→ modalità player
modalità contesto

Il segmento testuale Gli è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 549Analitici , di cui in selezione 19 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Orgosolo antica [e appunti di Ernesto De Martino sul pianto rituale sardo] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]l’improvviso, misterioso, chiuso; visibile centro, e inconsapevole, di una vita non mutata da millenni, di uni antica, superstite civiltà.

È la più arcaica « città » di tutt’Italia, probabilmente di tutto il Mediterraneo.

Entrando per la via principale, che attraversa come un serpente tutto Orgosolo, l’abitato si stende in salite scoscese ed in ripide discese, attraversato da viuzze impraticabili scavate nella roccia o fatte con ciottoli taglienti, veri sentieri di capre e di pecore. In alto

lo sbarra un ammasso di pietre di granito frantumato in breccia, ed in basso una scarpata di pietra di calcare ridotta a pietrisco e sabbione. L’abitato non segue alcun disegno per l’altezza e per la larghezza : le case compaiono a livello e sotto e sopra la strada.

Sotto i tetti, fatti a tegole di ardesia o di legno, a primo sguardo sembra che non vi sia differenza alcuna tra abitazioni, se non nei piani che sono di solito uno, raramente anche tre. Eccezion fatta per alcune costruzioni più moderne, tutti i muri sono edificati con grosse [...]

[...]costituito da esse. Salendo per qualche gradino costruito con estrema imperizia, consumato, si accede in una stanza bassissima, che costituisce tutta l’abitazione. Una persona di normale statura è costretta ad abbassarsi per entrare e, una volta entrata, deve restarvi china. Di estate e d’inverno, molto spesso, vi investe sin dall’ingresso, una nuvola di fumo denso, scuro, che annebbia tutto, ed un odore acre, forte, di legna bruciata. Lacrimano gli occhi, il respiro è diffìcile. Attraverso quel fumo si intravedono in alto nella stanza due travi enormi, scurissime, bruciate, che sostengono un tetto di tegole di legno aperte solo!in un piccolo foro, da cui trapela la luce; sulle mura abiti attaccati ad un chiodo e attrezzi da pastore; al centro della stanza sul pavimento, che è solo terra ribattuta, un piccolo recinto chiuso con tre o quattro mattoni, in cui si fa il fuoco. Nessun mobile, se non qualche banchetto di legno, basso, corto, da nani. Scendendo per una botola con una scala a pioli di legno, quasi sempre sconnessa, si accede ad [...]

[...]ati ad un chiodo e attrezzi da pastore; al centro della stanza sul pavimento, che è solo terra ribattuta, un piccolo recinto chiuso con tre o quattro mattoni, in cui si fa il fuoco. Nessun mobile, se non qualche banchetto di legno, basso, corto, da nani. Scendendo per una botola con una scala a pioli di legno, quasi sempre sconnessa, si accede ad una fossa inferiore, una specie di tana scavata nel granito, dove, qualche volta, dorme l’intera famiglia.

È la più antica forma di abitazione in muratura che si conosca e, con la sua pianta a focolare centrale, continua, con rudimentale sviluppo, uno dei tipi della casa preistorica europea.

Uscendo dai « fughiles », e riprendendo la via centrale, dopo un caos di altre case, al limite del paese, si trova uno spiazzo largo, quadrato, pieno di polvere e di pochi alberi, che, a strapiombo, si affaccia sulle campagne circostanti. Ricompare incombente, quasi dolce, eppur pauroso, il monte di Oliena che, nel percorso tra Nuoro e Orgosolo, di tanto in tanto, si era lasciato intravedere.

Questo[...]

[...]tte le pastore di Sardegna, ma le distingue sempre ima cura maggiore nel vestito, una dignità di sé scomparsa ormai tra uguali categorie del continente; un portamento severo, un’andatura maestosa. Portano, di solito, una gonna scura marrone

o nera che a diecine di pieghe discende sino ai piedi, come è uso in Spagna; una camicia più chiara abbottonata al collo e ai polsi; larghi mantelli in lana grezza di color marrone o nero, oppur scure mantiglie a larghe frangie, come è uso in Spagna; piedi scalzi, quasi sempre, o sandali; e un fazzoletto che copre sempre il capo e, discendendo per il viso, viene rigirato sotto il naso come tra le donne africane, a ricoprire il labbro e il mento. Il modo di saper restare immobili, pur stando in movimento; il modo di guardare, con impassibile dignità; il modo di camminare sènza gesti scomposti, con classicità, sciolte, eleganti eppur solenni, le fa sembrare quasi statue viventi, monumenti di un antico mondo.

Se vi capita di vedere una donna di Orgosolo nell’antico, ora poco usato, costume del paes[...]

[...]r i ricordi che evoca.

Su una larga gonna marrone, lunga sino ai piedi, son sovrapposti tre grembiali : uno, di orbace rosso, che si chiude all’orlo con un nastro di seta verde; un altro, uguale; un terzo, più piccolo, di orbace rosso, che sormonta i primi due, ma ricamato in seta con fili d’oro, di rosso, di blu, di verde, a contrasto violento, drammatico, con disegni di fiamma, di braccia vegetali, che ricordano, stilizzati,

i contorni degli antichi candelabri Ebraici. Sopra i grembiali vi è una camicia bianca, pronunciata sul petto, chiusa con grandi bottoni d’oro a forma di una grande chiocciola, che sormontano due giubbotti: uno, di orbace rosso, con maniche larghe, ricamato con quegli stessi fili di policrome sete, con fregi di foglie, di alberi, che ricordano le tavolette di Babilonia; l’altro, funereo, stretto alla vita e senza maniche, che rinchiude il primo.

Il pezzo più singolare di tutto il costume è, però, un rotolo di seta rigida, tessuta a grana grossa, di colore giallo scuro — una specie di papiro di antichi Egiziani — che si pone sul capo e si avvolge intorno al volto, sì che — come da una remota profondità — ne spuntano solo gli occhi, e il naso (1).

Malgrado l’insieme dei pezzi, così vario ed eterogeneo, la manifesta provenienza da così antiche civiltà, quel costume ha pure una

(1) Il prezzo medio dei singoli pezzi del costume è il seguente: sa vranella su sa ’ittu sa veste sa antalena sa ’ammisa su zippone sas palas su liunzu sa caretta su sacchittiddu s’aneddu issu lumene

sos butones

sa ’orona

sas iscarpas nieddas » » zelinas

gonna L. 2.000

primo grembiule » 10.000

secondo grembiule » 10.000

terzo grembiule » 15.000

la camicia » 2.000

primo giubbetto » 10.000

secondo giubbetto »[...]

[...]a su sacchittiddu s’aneddu issu lumene

sos butones

sa ’orona

sas iscarpas nieddas » » zelinas

gonna L. 2.000

primo grembiule » 10.000

secondo grembiule » 10.000

terzo grembiule » 15.000

la camicia » 2.000

primo giubbetto » 10.000

secondo giubbetto » 6.000

la benda » 15.000

zucchetto » 1.500

sottoveste » 1.500 Panello del nome (con iniziali)

gr. 50 d’oro » 15.000

i bottoni d’oro gr. 50 » 75.000

fermaglio d’oro » 10.000

corona di rosario in madreperla » 9.000

scarpe a stivaletto nere » 4.500

scarpe a stivaletto gialle » 4.5006

FRANCO CAGNETTA

sua unità, una fusione conseguita in Orgosolo e, nell’insieme, sembra precedere Israele, Babilonia, Egitto, come in un’epoca comune ai primitivi, oscuri aborigini Mediterranei.

In tutto il paese si incontrano quelle donne, in costume antico, in costume moderno, sedute ferme, impietrate sulle vie, o in continuo movimento intorno alle fontane, con le anfore in testa, che portano sempre con estrema eleganza. Le vedi anche in corsa, in aff[...]

[...] sormonta, a volte, ancora un altro giubbone nero, di orbace; in pantaloni larghi di tela bianca, a mezza gamba; con uose

o pezze ai piedi; ed il nero berretto frigio di Sardegna issato sulla testa. Altri portano camicie inamidate a cento pieghe, e macchiate tutte di vino; pantaloni di soldato ridotti a toppe; berretti di velluto con chiazze e strappi. Quasi tutti ricordano figure da Antico Testamento: con peli bianchi che discendono da sopra gli occhi, dalle orecchie, dai baffi, in una barba morbida, fluente, ben disposta in pieghe ondulate, che scende sino a metà petto. Hanno in mano vincastri contorti, bastoni maestosi da pastori.

Un quadro di tremila anni fa!

Questo è l’aspetto che compare per primo, superficiale, al visitatore, ma, cominciando a conoscere, a penetrare nel paese, voi vi accorgerete che esso non è così esterno, non vi tradisce : esso è rivelatore, proietta un mondo locale.INCHIESTA SU ORGOSOLO

7

Uno sguardo ad alcuni primi dati statistici sopra Orgosolo vi dà una fisionomia del paese che lascia trapela[...]

[...] cittadini di Orgosolo. Bisogna, soprattutto andare a cercarli mentre fanno i pastori in campagna, sapere le loro biografie, conoscere la storia antica e moderna del paese.

Per la scarsezza di fonti ufficiali, e non avendoli raccolti il Comune, i miei dati sono stati raccolti da pastori, in inchiesta privata.

Orgosolo ha, attualmente, una popolazione di circa 4312 abitanti, con una percentuale di uomini poco superiore alle donne, e 330 famiglie (2).

(2) TABELLA DELLA POPOLAZIONE DI ORGOSOLO

SECONDO ICENSIMENTI UFFICIALI DAL 1676 AL 1951

Stato sotto il quale si è evolto il censimento

S ®

5 8P

3 g«

£ fi

Totale delle famiglie

3 5 " £

0 CU

Regne de Sardeyna (Corona di Castiglia ed Aragona)

»

Regm/di Sardegna

Regno d’Italia

Repubblica Italiana

1688

1698

1728

1751

1839

1842

1848

1861

1871

1881

1901

1911

1921

1931

1936

1951

1188

1528

722

1256

2058

2077

2110

2009

1943

2174

2845

2988

2896

3062

3146

4251

599

750

897

1077

1010

1468

1466

589

778

859

1000

999

1594

1688

1830

2629

2959

3560

113

96

29

344 (fuegos) 487 ”

174 (fuochi) 530 ”

507

494

421

643

760

391

414

384

N.B. —[...]

[...]
722

1256

2058

2077

2110

2009

1943

2174

2845

2988

2896

3062

3146

4251

599

750

897

1077

1010

1468

1466

589

778

859

1000

999

1594

1688

1830

2629

2959

3560

113

96

29

344 (fuegos) 487 ”

174 (fuochi) 530 ”

507

494

421

643

760

391

414

384

N.B. — l dati dei censimenti del «Regne de Sardeyna» (Corona di Aragona e di Castiglia) sono riportati dai documenti originali pubblicati integralmente in: Francesco8

FRANCO CAGNETTA

La maggior parte degli uomini esercitano, indiscriminatamente, il mestiere di pastori transumanti, seminomadi. Verso i primi di settembre — per il clima, e non possedendo pascoli privati — discendono nelle pianure circostanti — in Campidano, in Baronia, in Ogliastra, in Gallura — ad affittare pascoli da privati proprietari per tenere i propri greggi individuali di 50100 capi in media. Verso i primi di giugno — e se il clima lo richiede anche oltre — ritornano in Orgosolo e vanno a pascolare, quasi tutti, nel territorio comunale, e molti ancora, perché arrivati tardi o per un pascolo migliore, in territori affittati da privati proprietari.

Ciascuno si industria, con un campo o con un orto, a fare un po’ di agricoltura ad uso familiare (grano, orzo, patate, alberi da frutta ecc.) : contadini in senso proprio si può dire che non esistono in Orgosolo.

Gli artigiani sono 57 : 20 muratori, 5 fabbri, 7 falegnami, 6 sarti, 15 calzolai, 4 barbieri. Ciascuno, in casa propria, si industria di farsi quello che gli occorre. E, di volta in volta, si rende occasionale artigiano per servire gli altri, se richiesto.

Gli impiegati sono 28, tra cui 4 professionisti: 11 impiegati per il Comune (1 segretario, 2 applicati, 1 messo, 1 bidello, 1 banditore,

1 guardia urbana, 2 guardie campestri, 1 cantoniere, 1 becchino), 1 medico, 1 farmacista (in casa), 1 ostetrica, 1 veterinario; 1 esattore;

2 per le Poste e Telegrafi (1 titolare, 1 postino); 2 per la Parrocchia (1 parroco, 1 viceparroco).

I negozianti sono 14: 4 possessori di spacci di alimentari e vari (non esiste alcun negozio di generi specializzati); 2 di sale e tabacchi; 8 di bettole con vendita di vino, birra, acquavite.

In tutto il paese non [...]

[...]l’acqua in poche fontane pubbliche, ma non nelle case, o solo in pochissime; vi è 1 pubblico telefono.

Corridore, Storia documentata della popolazione di Sardegna (14791901). Carlo Clausen, Torino, 1902, pp. 330. I dati dei censimenti del « Regno di Sardegna », del « Regno d’Italia » e della « Repubblica Italiana » sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali. Quelli del 1951 sono ancora in elaborazione.INCHIESTA SU ORGOSOLO

9

Gli istituti pubblici sono il Municipio, la Posta, 1 scuola con 5 classi elementari, 1 — incredibile — ambulatorio (l’acqua bollita per le iniezioni i clienti devono portarsela da casa); 1 chiesa e 12 cappelle, 1 cimitero.

Dei carabinieri e della polizia si dirà dopo.

In paese vi sono: 1 camion, 1 trattore, 5 motociclette, 10 biciclette; qualcuno ha la radio; cinema nessuno.

Se il paese sembra, a prima vista, un miserrimo paese — come tanti di Sardegna — esso è invece potenzialmente ricco, uno dei più ricchi di Sardegna.

Il territorio comunale è di 22.695 ha. di terreni — il secondo, [...]

[...]tti della superficie tenuta a pascolo mancano. Si possono aggirare, per calcoli approssimativi sul 55 / 100 del totale. La superficie forestale — secondo i dati gentilmente fornitimi dal locale ufficio forestale — con non meno di 800.000 piante — quasi tutte quercie di leccio, poche di rovere, e perastri — è di h. 6800 (2000 Demaniali, nelle regioni Funtana Bona, Vallone, Supramonte; 4000 Comunali, nelle regioni Fundales, Sulittu, su Pradu, Murgugliai, Mariuzza, Supramonte; 800 privati, nelle regioni Gattoré, Lenardeddu, Monte Pertusu). Purtroppo quasi metà di tutto il patrimonio è intaccato nel frutto ghiandatico e nelPincremento — e senza alcuna misura di provvidenza da parte della Regione e dello Stato — dal bruco « Limantria dispari ». I dati esatti della superficie tenuta a coltivato, in generale orti, mancano. Si possono aggirare, per calcoli approssimativi, sul 15 / 100 del totale. Il numero del bestiame (mancan i dati esatti) si aggira, all’incirca, su 53.200IO

FRANCO CAGNETTA

capi. Pecore : 29.000. Capre : 8500. Maiali : [...]

[...]00IO

FRANCO CAGNETTA

capi. Pecore : 29.000. Capre : 8500. Maiali : 3000. Bovini : 2300. Asini e cavalli: 400 (3).

È un patrimonio che, indubbiamente, è tra i primi di tutta la Sardegna.

Una ricchezza sconcertante in contrapposto alla miseria, al livello di vita in cui vive la popolazione.

Per avere una prima nozione di questo fenomeno, delle sue cause, bisogna andare nelle campagne a conoscere i pastori, il territorio.

Il 17 luglio 1954 mi sono recato in località « Orgurui » a 89 km. dal paese ad intervistare il vecchio pastore Floris Carlo fu Giovanni e fu Sanna Maria Antonia, di Orgosolo, nato, probabilmente, il 1877. Ecco i miei appunti dell’intervista, avvenuta tramite i pastori Succu Giovanni Antonio e Marrosu Antonio, di Orgosolo.

« Mai uscito da Orgosolo. Il paese lo conosce. È da 17 anni senza andare al paese. Non va al paese da 17 anni. Prima andava ogni tanto, ogni 3 o 4 anni. Al paese? Che ci ha da farci? Sta meglio qui. Non ha mai fatto il soldato. A Nuoro ci è andato, per la leva. Ma non lo hanno voluto[...]

[...]dal paese ad intervistare il vecchio pastore Floris Carlo fu Giovanni e fu Sanna Maria Antonia, di Orgosolo, nato, probabilmente, il 1877. Ecco i miei appunti dell’intervista, avvenuta tramite i pastori Succu Giovanni Antonio e Marrosu Antonio, di Orgosolo.

« Mai uscito da Orgosolo. Il paese lo conosce. È da 17 anni senza andare al paese. Non va al paese da 17 anni. Prima andava ogni tanto, ogni 3 o 4 anni. Al paese? Che ci ha da farci? Sta meglio qui. Non ha mai fatto il soldato. A Nuoro ci è andato, per la leva. Ma non lo hanno voluto perché era basso. E un’altra volta

(3)

TABELLA DEL BESTIAME DI ORGOSOLO SECONDO I 2 SOLI CENSIMENTI UFFICIALI

Stato sotto il quale si è svolto il censimento

Regno d’Italia

o

Ss 81 <s

1908

1930

rt

P «

16.313

15.892

O

102

177

Asini

21

37

Muli

Bovini

1809

1235

Suini

4156

1935

Ovini

6424

9891

c

a,

rt

o

3801

2617

N.B. — I dati dei due censimenti sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali del M[...]

[...]— I dati dei due censimenti sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio e dell’istituto Centrale di Statistica. Sono da ritenersi molto al di sotto del numero effettivo di bestiame esistente in Orgosolo se si tiene presente che qui è abitudine generale evitare la denunzia poiché si tiene in sospetto ogni operazione statale.INCHIESTA SU ORGOSOLO

11

che lo hanno arrestato. Perché gli hanno trovato un fucile qui vicino che non era il suo. Ha visto Nuoro solo nel carcere. Il Continente ? E chi lo conosce ? Non sa nemmeno che cosa è. Sta a pascolare le galline. Prima pascolava le pecore. La mattina si sveglia come le galline, alle 5, alle 6. Prima si svegliava alle 5, alle 6, come le pecore. Tiene attenzione alle galline. A mangiare, verso l’una, sa mangiare. Anche il vino sa bere, se ce n’è. Guarda sempre le galline. Il suo mestiere è questo. A dormire come le galline. Quando fa tardi. È come loro. Non sa i soldi. Se gli date 5 lire dice che è mille lire. Non sa le 1000 lire. Quelle non le sa. Troppo abbandonato! Una volta gli hanno dato 500 lire. E che se ne fa ? Ha fatto il pastore alle pecore, ora il pastore alle galline. Il letto, in vita sua, non lo conosce nemmeno adesso che è vecchio. Dorme a terra. Ha paura di guardare lo specchio. Il pettine lo ha conosciuto 10 anni fa. Conosce la fico d’india: questa sì. Il treno? E che treno? L’automobile? Lo ha visto sulla strada 3 volte. L’aeroplano? Lo ha visto passare qui sopra, 1 volta. Non sa il binocolo. Il cinema ? E che cinema ? ! La radio? Non la ha sentita. Il giornale? Lo ha visto. Non sa leggere. Non sa l’italiano. Che capisce? A modo suo. Non sa niente nepp[...]

[...]anni fa. Conosce la fico d’india: questa sì. Il treno? E che treno? L’automobile? Lo ha visto sulla strada 3 volte. L’aeroplano? Lo ha visto passare qui sopra, 1 volta. Non sa il binocolo. Il cinema ? E che cinema ? ! La radio? Non la ha sentita. Il giornale? Lo ha visto. Non sa leggere. Non sa l’italiano. Che capisce? A modo suo. Non sa niente neppure di religione. Solo di galline. Il fucile? Quello lo sa! Non sa sparare, ci ha paura. Ma quello gli piace! Sa la leppa, il coltello. L’ha in tasca, taglia la fico d’india, per la gallina: a mangiare. E mangia anche lui. I ricordi? Non si ricorda niente. Ricorda le pecore. E ora sa le galline. Sentite che sta a parlare con le galline ? Sempre solo. Ma è sano, di mente. Sanissimo!! ».

Il suo liguaggio, intercalato a parole umane — incredibile a dirsi — aveva suoni di gallina.

È questo — ben inteso — un caso molto grave, un caso limite :

10 riporto qui solo perché si possa intendere in quali assurde condizioni si può vivere nelle campagne di Orgosolo. Ma non è un caso unico. Situazioni consimili — e conoscenze quasi uguali — le ho trovat[...]

[...]en inteso — un caso molto grave, un caso limite :

10 riporto qui solo perché si possa intendere in quali assurde condizioni si può vivere nelle campagne di Orgosolo. Ma non è un caso unico. Situazioni consimili — e conoscenze quasi uguali — le ho trovate in qualche altro pastore: Mameli Francesco fu Salvatore e fu Corsi Filomena, di Nuoro — ma in Orgosolo dal 1919 —, nato

11 189064 anni! —, intervistato da me in località Ghirztauru il 17 luglio 1954; Muravera Salvatore fu Giovanni e fu Catgiu Anna, di Orgosolo, nato, probabilmente, il 1877, da me intervistato in lo12

FRANCO CAGNETTA

calità vicino « Orgurui » il 17 luglio 1954. Un altro caso, forse più grave, era quello della pastora Lovicu Eufrosine, detta « zia Frusina », morta l’anno prima di quest’inchiesta, assente dal paese — a quanto mi dicono — da 30 anni. La vita nelle campagne è, in Orgosolo, una vita a sé, staccata in certo senso dal paese: si svolge, a volte, quasi come su un altro pianeta, in un universo chiuso.

Ma nessuno, in Orgosolo, può completamente sottrarvisi.

Si può pensare che i casi da me citati siano unilaterali: che riguardano solo 3 o 4 vecchi e uomini che vivono in condizioni di eccezione. Quale è la vita dei pastori comuni, d[...]

[...]esi, non può dire, in verità, di conoscere bene il paese di Orgosolo.

E conoscere a fondo il paesaggio, il territorio — conoscere, cioè, le condizioni naturali in cui si svolge la vita del pastore — è, in Orgosolo più che ovunque, condizione indispensabile per conoscere i pastori, per comprendere il paese.

Con la guida del pastore Salvatore Marotto, del barbiere Alberto Goddi, dello studente Domenichino Muscau, di Orgosolo, dal

1 al 3 luglio 1954 mi portavo per due giorni ed una notte sulla montagna del Supramonte.

Le possibilità di accesso al Supramonte, a dire il vero, sono alquanto particolari: da centinaia di anni il Supramonte è noto non solo per la vita dei pastori, ma come il covo dei banditi del paese. Raramente orma umana — si può dire — si posa sul suo suolo, se non è quella di orgolese spinto da bisogno di pascoli o da necessità di bandito; e, più raramente, di carabiniere che si spinge a perlustrare — assai di rado — e con paura e con rischio. Da centinaia di anni sul Supramonte si svolge la vita più segreta, più [...]

[...]ssai di rado — e con paura e con rischio. Da centinaia di anni sul Supramonte si svolge la vita più segreta, più drammatica del paese: è come il tempio, l’Acropoli del vero uomo di Orgosolo, del pastore e del bandito.

La montagna del Supramonte, è una immensa catena ad altoINCHIESTA SU ORGOSOLO

13

piano — che è il prolungamento della montagna di Oliena — è posta nel vero cuore del territorio del paese. Solo da due anni una impresa di taglio di legname ha costruito una mulattiera strettissima, in salita, tutta in giro su burroni, che per 16 km., con dislivello di 500 m., conduce sino alle falde della montagna. Chiusa la impresa, questa strada è ora nel quasi completo abbandono. Attraversandola si ha una prima impressione di quello che è il più interno, riposto territorio del paese: grandi fasce di graniti bianchi, su tutto l’orizzonte, sono coperti da una fìtta boscaglia alta quanto un uomo; grossi blocchi di pietra, di tanto in tanto, si levano, in mezzo al verde scuro, come antiche ossa mastodontiche, come preistoriche abitazioni abbandonate. Dopo due ore — penetrati in una fìtta foresta di quercie —, quasi all’improvviso, si vede sulle teste tutto il Supramonte.

Una montagna inconsueta, di tetro fascino.

Fatta a grandi fasce di rocce ad andamento orizzontale, tutt’intorno alte pareti a strapiombo, nude, attraversate solo da fratture verticali ricoperte di bosco la rinchiudono : la rinchiudono come in un pietroso mistero, naturale, cupo, preistorico [...]

[...]territorio di Orgosolo: a sud, si vede una immensa distesa di grosse quercie verdi, come sospesa in un’amosfera immobile, senza segno di vita; e, lontano, i monti dalla strana forma di buccina, per cui si chiamano il Corno di bue. A nord, si vede uno sterminato territorio deserto, pietroso, tormentato, con al centro la punta a cono del monte di Gonàri; accanto la precipite montagna di Oliena, con ai piedi la larga foresta, quasi vergine, di Murgugliai, nella quale il 1899, si scontrarono le più grandi bande dei latitanti di Sardegna (di Lovicu di Orgosolo) contro 200 carabinieri, poliziotti, soldati.

Ancora un poco e si sarà sulla tettoia dell’altopiano (quale sorpresa vi aspetta?).

A chi lo guardi la prima volta affacciandosi e quasi all’improvviso — l’altopiano si presenta sotto gli occhi come una catastrofica, una paurosa visione. È un mondo lunare, un mondo non umano.

Una lunga e stretta pianura, lunga circa 2030 km., colore di ossa, si stende sotto gli occhi con un paesaggio di asprezza, di drammaticità certo rara. Non vi è terra, probabilmente, che riesca a conservare così evidenti, così chiari, i segni della sua antica storia minerale, della sua millenaria vita geologica.

Certamente, come si è detto, in primo tempo era il fondo di un mare. Nel periodo cretaceo — quando nel mondo esistevano solo i rettili terrestri, acquatici, volanti, e non esisteva ancora il Continente — il mare, invadendo questa terra, ne aveva distrutto ogniINCHIESTA SU ORGOSOLO

15

cresta, la aveva spianata. Restano i segni di alte rupi, superstiti, di antich[...]

[...]l centro.

Ma solo inoltrandosi, scendendo nel pianoro, il Supramonte comincia a rivelare il suo mondo strano e tenebroso, il suo segreto.

Tutta la superficie della roccia — come un immenso pavimento di pietra — compare formato di piccole scanalature, di lunghi solchi, di sottilissimi crepacci, di scarsa profondità o enormi (a volte 100200 m.) non tali, in verità, che impediscano di camminare, ma insidiose, paurose trappole, che i pastori sogliono coprire con rami messi a traverso, con tronchi, perché le pecore e le capre non vi spariscano.

Tutto il paesaggio, invece, non ha segni di grossi solchi: alvei di torrenti, letti di fiumi, valli; ed è privo di ogni corso d’acqua superficiale. Solo in fondo, alla fine del Supramonte compare una enorme frattura tra due pareti altissime di un bianco quasi accecante: « Gorropu ».

Di tanto in tanto, in tutto il territorio, si aprono voragini circolari, imbutiformi, di piccola profondità, o tali che le pietre lanciate dai pastori non rispondono più con un tonfo di caduta — per esempio « su[...]

[...]« Matteo Grua », ucciso nel 1917.

Sono le « nurre », le misteriose cavità del Supramonte, così antiche che sembrano nella denominazione ricordare i Nuragici, i primi abitatori della Sardegna.

Non vi è dubbio che si tratta di un paesaggio tipico del calcareo: di un carso.16

FRANCO CAGNETTA

Il carbonato di calcio, di cui è costituito il terreno, alla caduta delle pioggie, al contatto con l’anidride carbonica che vi è contenuta, si scioglie, si fora in tutte quelle crepe, quelle voragini, in un processo che è in corso dalle origini, da 100 milioni di anni.

Tutto il sottosuolo deve essere forato in un sistema di ranali, di fiumi sotterranei, di grotte naturali. Si conosce il fiume di « Gorropu », che si inabissa di un tratto nella terra, con gorgoglìi paurosi, spumeggiando in una voragine, di cui non si vede il fondo, in onde nere. Si conoscono le grotte di « sa pruna » e di « capriles », nascoste da vegetazione nelle imboccature, ma nelle quali, penetrando a lume di rami di ginepro accesi come è l’uso dei pastori, si scoprono — come per incanto — stallatati, stalagmiti, frangie, panneggiamenti; e in esse corrono su argille rosse piccoli corsi d’acqua impetuosi; stanno immobili, dalle nere acque stagnanti, misteriosi laghetti. Non è difficile trovare nei più riposti cunicoli, nel più profondo delle rocce, cartuccie abbandonate, resti di o[...]

[...]da roccia e le braccia dei rami, secche, tese in alto come per disperazione.

Al centro dell’altopiano, invece — dove il calcare è più duro e resistente, e lo scolo delle acque ha trascinato anche argille — si distendono grandi, immense foreste con piante di quercia di leccio, quasi tutte, e dell’altezza di 2030 m.: foreste vergini, e inconsuete per uguale densità — probabilmente — in ogni altra regione di Europa, dalle quali, quasi, non meraviglierebbe veder spuntare un mostro preistorico. Fitti intrichi di rami — quasi simili a liane — e fogliame tutto distrutto dai bruchi, sono di tanto in tanto, interrotti solo da spianate di enormi quercie spiantate dal fulmine. Per intere stagioni qui i fulmini dominano con il loro fuoco elettrico, e di piante secolari fanno, di tratto in tratto, solo grandi mucchi di ceneri.

In tutto il territorio d’intorno, su quel cupo deserto di pietra, di alberi, di tanto in tanto si levano aquile reali e volteggiano nel cielo in diritto volo, riconoscibili nelle regioni delle nuvole; in cerca, con grandi giri di esplorazioni, di un animale vivo su cui avventarsi per sfondare il cranio, succhiare il cer[...]

[...]torio d’intorno, su quel cupo deserto di pietra, di alberi, di tanto in tanto si levano aquile reali e volteggiano nel cielo in diritto volo, riconoscibili nelle regioni delle nuvole; in cerca, con grandi giri di esplorazioni, di un animale vivo su cui avventarsi per sfondare il cranio, succhiare il cervello.

Dalle macchie, dalle rupi si levano anche avvoltoi con volo lento, a grandi giri, in cerca di carogne, di carne marcia su cui affondare gli artigli, il becco; e solo il sibilo del vento ed il loro stridio di uccelli feroci — simile quasi a un fischio soprumano —interrompe, lacera il silenzio profondissimo.

Sulla terra, man mano che si avanza, piccoli ragni bianchi, a torme, ricoprono le rocce. In tutti i boschi, di inverno dormono i ghiri — cibo prelibato dei pastori — d’estate si arrampicano sulle piante, silenti. È il Supramonte, nelle foreste, anche la tana dei mufloni e dei cinghiali. Dei mufloni, i misteriosi ovini rossi dalle grandi corna, dal pelo corto e quasi senza coda, progenitori della18

FRANCO CAGNETTA

pecora; e de[...]

[...]ria di sospetto, e poi ci erano venuti incontro con lento passo, con gesti lenti — quasi immobili — coperti dai raggi del sole che filtravano tra i rami.

— Siete venuto per « bene »? Non sarete un poliziotto?

Erano 30 giorni che non scendevano in paese, non vedevano

uomini da altrettanti giorni, e da anni uno venuto da « fuori », uno straniero ad Orgosolo.

L’ospitalità di questi pastori è — passato il primo sospetto —, l’ospitalità degli uomini che scoprono, ad ogni nuovo incontro, la esistenza dell’uomo. È un’ospitalità di tempi arcaici, di uno scomparso rispetto per l’uomo.

Eravamo entrati nella capanna, il cui interno era assai rozzo, primitivo : vi erano pietre e tronchi tagliati per sedili, una caldaia, a terra, pelli di pecora per letto, e mazze, e borse di pecora alle pareti.

Mi mettevano davanti tutto quello che avevano, in recipienti di sughero: pane; latte cagliato, formaggio di pecora; una borraccia di vino.

— Mangiate! — gridava uno minacciandomi con il coltello.20

FRANCO CAGNETTA

— Bevete! Mangiate! — gridavano tutti e mi riempivano le mani.

Dovevano essere così gli ospiti dell’antico mondo, così dissimili dai molli, corrotti Trimalcioni dei nostri tempi. Si è perso ovunque, se non in queste regioni, quel rapporto di banchetto di tribù in cui l’ospitante gode, tripudia nel veder mangiare il suo ospitato, si sazia con la sua fame poiché, una volta entrato in qualche modo nella tribù, lui e l’altro sono ormai come una unità comune, quasi un solo corpo.

— Quanto tempo restate al Supramonte?

— Sei, sette mesi. Da giugno a novembre.

— E l’inverno?

— Non si può stare. Ci stanno solo i disperati. Quelli che non trovano pascolo.

Vivevano in questo[...]

[...]ogni altra zona : i più di essi, i piccoli e medi proprietari di gregge senza terre proprie (il novanta per cento del paese) andavano con quelle, d’inverno, in terre d’altri, cercate in concorrenza, a prezzi altissimi: magri pascoli in abbandono di secoli coperti solo di macchie magre, di scarsi corsi d’acqua. Quelli che non riuscivano a trovarli, perché arrivati troppo tardi o impossibilitati u pagare, scendevano con una marcia tragica a rubare gli altri pascoli, ad invadere campi e vigne, con rischio di fucilate, di carcere. Se non facevano questo dovevano starsene anche d’inverno, in quel monte. Le pecore dovevano cercarsi dei rami o foglie di quercie, bere l’acqua appena scesa dal cielo, prima che scomparisse nel suolo. Pioveva di continuo, i venti soffiavano paurosi, il freddo scendeva sotto zero, qualche volta c’era neve. I pastori facevano quasi una vita da acquatici, si prendevano reumatismi, polmoniti e tisi. Se vi erano, qualche volta, con tutto il gregge si chiudevano in enormi quercie bucate, in grotte. Se non potevano, restavano all’aperto, bruciavano immense quercie, che con i venti bruciavano intere, e sotto la pioggia, in poco tempo.

— E l’estate?

— L’estate è un poco meglio. Ma vedete che bella strada per ve[...]

[...]i soffiavano paurosi, il freddo scendeva sotto zero, qualche volta c’era neve. I pastori facevano quasi una vita da acquatici, si prendevano reumatismi, polmoniti e tisi. Se vi erano, qualche volta, con tutto il gregge si chiudevano in enormi quercie bucate, in grotte. Se non potevano, restavano all’aperto, bruciavano immense quercie, che con i venti bruciavano intere, e sotto la pioggia, in poco tempo.

— E l’estate?

— L’estate è un poco meglio. Ma vedete che bella strada per venire. Vedete che caldo, che vento? Paghiamo un tanto per capo, al Comune, per starci!INCHIESTA SU ORCOSOLO

21

— Quante volte scendete al paese?

— Una volta al giorno, uno per turno, se portiamo il latte al caseificio e per questa strada. Una volta anche ogni tre mesi se restiamo a fare il formaggio.

Facevano chilometri e chilometri per andare a cercare un poco d’acqua, nelle grotte. Scendevano a queste con le pecore, verso le pozze, e qualche volta sulle spalle dovevano portare le bestie per i cunicoli, ad una ad una. L’acqua era una ossessione,[...]

[...]va ora il mondo moderno, astratto, artificiale. Era il primo ingresso di uno Spirito22

FRANCO CAGNETTA

nelle cose. Il feticismo naturale si trasformava in un feticismo dei concetti.

— I soldi vanno tùtti al padrone della terra, aH’industriale del latte.

Mi ero messo a fare i loro bilanci personali. Da un lato segnavo la condizione del pastore, il numero delle pecore, la loro qualità; il ricavato del latte, della lana, della carne, degli agnelli. Un litro di latte al giorno in media, un chilo di lana all’anno in media, 1020 chili di carne in media per ogni bestia. Mostri animali per resistenza, però, animali preistorici. Dall’altro segnavo i fitti che pagavano all’anno per dieci, venti piccoli pascoli privati estivi, sempre pessimi, i fitti a capo che pagavano per i pascoli comunali estivi; i debiti contratti con l’industriale del latte che anticipava il denaro per questi pagamenti; le tasse comunali, le tasse statali (pagano le tasse questi pastori!) per bollettini, marchiatura, vaccinazione ecc.; le spese di mantenimento pe[...]

[...] pagavano all’anno per dieci, venti piccoli pascoli privati estivi, sempre pessimi, i fitti a capo che pagavano per i pascoli comunali estivi; i debiti contratti con l’industriale del latte che anticipava il denaro per questi pagamenti; le tasse comunali, le tasse statali (pagano le tasse questi pastori!) per bollettini, marchiatura, vaccinazione ecc.; le spese di mantenimento per le pecore (collari, campane, funi ecc.); le spese personali e famigliari di vitto, vestimento, medicine ecc. Erano bilanci poveri, incredibilmente poveri. Si aggiravano su una spesa giornaliera massima di 100200 lire per persona. Le entrate erano sempre incerte per l’andamento delle stagioni, per gli smarrimenti, gli azzoppamenti, la moria delle pecore; per il furto subito ad opera di volpi e di pastori. Per i più fortunati, dopo una così terribile vita di stenti, le entrate riuscivano a chiudersi a paro con le uscite; per i più ogni anno finiva con 50100 mila lire di deficit, con la vendita del gregge, per parte o per intero, con il sequestro delle bestie, dei mobili, della casa.

Erano costretti così, di tanto in tanto, a rubare qualche pecora per mangiarla, a rubare a loro simili, a poveri pastori. Era il prodotto della loro spietata situazione, del mondo del povero pastore.

Alcuni d’essi, per viv[...]

[...]le bestie, dei mobili, della casa.

Erano costretti così, di tanto in tanto, a rubare qualche pecora per mangiarla, a rubare a loro simili, a poveri pastori. Era il prodotto della loro spietata situazione, del mondo del povero pastore.

Alcuni d’essi, per vivere, facevano malazioni abituali : i più do tati cercavano tra i più miseri, tra i disperati; li fornivnao di vitto, di vino, di armi e, quasi sempre, li mandavano a rubare le pecore tra gli altrui greggi. Qualche volta li dirigevano di persona, molte volte li mandavano soli di fronte alla vendetta dei derubati, all’arresto,. alla morte. Lottavano tra di loro, qualche volta si facevano banditi. ,INCHIESTA SU ORGOSOLO

23

Una serie di piccoli malviventi, da centinaia e centinaia di anni, riempivano le campagne in numero crescente, dopo ogni cattiva annata, carestia o guerra.

Questi erano i « banditi » di Orgosolo, i terribili « briganti » di Orgosolo.

Erano briganti che lavoravano, dalla mattina alla sera, nel lavoro dei pastori. Ed il lavoro dei pastori è un lavoro ch[...]

[...]i Orgosolo, i terribili « briganti » di Orgosolo.

Erano briganti che lavoravano, dalla mattina alla sera, nel lavoro dei pastori. Ed il lavoro dei pastori è un lavoro che richiede forza e, al tempo stesso — più che non si creda — conoscenze e intelligenza.

Lungo e complesso è il lavoro del pastore.

Per prima cosa, il pastore deve sapere conoscere bene, capo per capo, il suo gregge : e conosce, in, verità, ogni singola pecora come un famigliare, poiché è il suo bene supremo.

Deve saperlo tenere ripartito con una divisione che è, quasi scientifica :

sa verve’e = la pecora in generale

su mass’ru = il montone

su mazzau = il montone castrato

su anzone verranile = l’agnello nato in primavera

su anzone verrile = l’agnello nato in inverno

su sa ’aiu = l’agnello di 1 anno

sa sermentosa = la pecora di 1 anno e mezzo

sa vidusta = la pecora di 2 o 3 anni

sa brodda = la pecora anziana

sa laghinza = la pecora che non ha figliato

sa anzadina (o prossima) = la pecora che sta per figliare sa lunadia = la pecor[...]

[...]artito con una divisione che è, quasi scientifica :

sa verve’e = la pecora in generale

su mass’ru = il montone

su mazzau = il montone castrato

su anzone verranile = l’agnello nato in primavera

su anzone verrile = l’agnello nato in inverno

su sa ’aiu = l’agnello di 1 anno

sa sermentosa = la pecora di 1 anno e mezzo

sa vidusta = la pecora di 2 o 3 anni

sa brodda = la pecora anziana

sa laghinza = la pecora che non ha figliato

sa anzadina (o prossima) = la pecora che sta per figliare sa lunadia = la pecora sterile

su amadriau = il gregge intero.

Ogni pecora deve avere « su timbru » (= il contrassegno) per riconoscimento; ((sa collana» (= il guinzaglio) e ((sa ’ampana» (= campana) perché non si smarrisca.

Il primo grande lavoro del pastore è la ricerca e la scelta del pascolo.

Il paesaggio pastorale — a prima vista monotono, tutto uguale— presenta, invece, mille diversità nel tipo e nella qualità del pascolo. La sua scelta deve essere fatta non in rapporto all’apparenza visibile delle erbe, ma in rapporto alla natura del suolo, al24

FRANCO CAGNETTA

l’àndamento del clima, all’esistenza di acque, alla qualità della vegetazione. È la complessa scienza del pastore che egli apprende solo empiricamente, con l’esperienza. Il pascolo [...]

[...]store è la ricerca e la scelta del pascolo.

Il paesaggio pastorale — a prima vista monotono, tutto uguale— presenta, invece, mille diversità nel tipo e nella qualità del pascolo. La sua scelta deve essere fatta non in rapporto all’apparenza visibile delle erbe, ma in rapporto alla natura del suolo, al24

FRANCO CAGNETTA

l’àndamento del clima, all’esistenza di acque, alla qualità della vegetazione. È la complessa scienza del pastore che egli apprende solo empiricamente, con l’esperienza. Il pascolo deve essere cercato per tempo; in terribile concorrenza con tutti gli altri pastori; in contrasto con un proprietario di terra quasi sempre spietato e violento; con prezzo vantaggioso che non superi — e bisogna bene calcolarlo — il frutto che (tenuto presente ogni pericolo) si potrebbe ricavare. È il rischio maggiore del pastore che, si è visto, può portarlo in tremende condizioni.

Andando a <( s’ussoria » il pascolo) per « tentare » (= guardare) le bestie, nel « tramudare » (= transumare) d’inverno in pianura, d’estate in montagna, il pastore deve sapere salvare le pecore dall’« ingrustiare » (= sparpagliarsi); da qualsiasi pericolo del suo
lo (inclinazion[...]

[...]n prezzo vantaggioso che non superi — e bisogna bene calcolarlo — il frutto che (tenuto presente ogni pericolo) si potrebbe ricavare. È il rischio maggiore del pastore che, si è visto, può portarlo in tremende condizioni.

Andando a <( s’ussoria » il pascolo) per « tentare » (= guardare) le bestie, nel « tramudare » (= transumare) d’inverno in pianura, d’estate in montagna, il pastore deve sapere salvare le pecore dall’« ingrustiare » (= sparpagliarsi); da qualsiasi pericolo del suo
lo (inclinazione o frattura) delle erbe (guaste o velenose), delle acque (putrefatte o troppo impetuose), delle pioggie (scarse o eccessive), dei venti (troppo freddi o impetuosi), dei fulmini, delle volpi, dei ladri.

Quando a fine estate le pecore cominciano a « subare » (= andare in calore) egli deve sapere controllare — nei limiti del possibile — « su montau » (= la monta), per avere buon frutto. Deve sapere, nel caldo, fare « sa muriada » (= la partenza di notte) e « su muri ’ayu » (= la raccolta all’ombra).

Quando le pecore cominciano a figliare (da dicembre a marzo) comincia la grande fatica del pastore. Egli deve aiutarle. E dividere subito l’ovile:

su

cuile = l’ovile in generale

s’annile = ]a parte dell’ovile per gli agnelli

sa laghinza — la parte dell’ovile per le pecore che non hanno

figliato e i montoni sa prossima = la parte dell’ovile per le pecore prossime a figliare

o figliate

sa olladoria = la parte dell’ovile dove si dorme su pinnetu = la capanna.

Le pecore già madri non devono essere disturbate dai montoni, dalle altre, dagli agnelli. Poiché gli agnelli vogliono continuamente poppare bisogna legare loro in bocca « su camu » (= un pezzo di legno).INCHIESTA SU ORGOSOLO

25

Comincia allora, per primo, la mungitura. Questa avviene, in Orgosolo, in modo diverso dal consueto: il pastore, a gambe aperte, e con in mezzo un secchio, lascia passare sotto le pecore madri ad una ad una e, trattenendole con le gambe, le munge per il tempo necessario, lasciandole poi passare.

11 latte, raccolto in « malunes » (recipienti di sughero), in otri cuciti di pelle di pecora, o in recipienti di metallo — se non è portato a piedi o a cavallo, e per chilometri e[...]

[...]nti di sughero), in otri cuciti di pelle di pecora, o in recipienti di metallo — se non è portato a piedi o a cavallo, e per chilometri e chilometri, al più vicino caseificio — si deve lavorare subito.

Per prima, generalmente, si fa « sa frue » (= il latte acido), che è l’alimento tipico e principale di tutti i pastori di Sardegna.

Si pone il latte in un recipiente a fuoco e lo si fa tiepido a 4045 gradi. Poi si prende «su ’agar’u» (= il caglio) — che è un pezzo di duodeno dell’agnello — e, staccatane la quantità di un cucchiaino circa per 4 litri di latte, riposto in uno straccio di lino, si inumidisce col latte e si spreme, in qualche goccia, nel recipiente.

Il dosaggio è operazione molto delicata: se poco, il latte non si quaglia, se troppo si inacidisce. Bisogna scuotere subito questo con una mano, perché il quaglio non si depositi tutto in una parte. Ben presto lasciato ora a freddo il latte comincia a rapprendersi: in 20 minuti si ottiene una pasta gelatinosa e consistente, la cui durezza si saggia con un dito. Appena questa lo permette, si taglia la pasta a larghe fette, e si lascia riposare per 2430 ore. « Sa frue » è pronta ed è una sorta di Yogurth, di qualità più rozza, ma di sapore più delicato. Di ora in ora va sempre più inacidendosi e indurendosi, e bisogna consumarla in 12 giorni. I pastori la mangiano con « su or’ariu» (= il cucchiaio di legno o di osso di corna) e con «su tazzeri » (la scodella di legno) o, più diffusamente, poggiata sul pane di Orgosolo, di grano o di orzo, — sottilissimo, largo 45 millimetri, tondo come un sole, e largo 1520 centimetri — che fa da piatto, come un pezzo di pane staccato fa da coltello da [...]

[...]icato. Di ora in ora va sempre più inacidendosi e indurendosi, e bisogna consumarla in 12 giorni. I pastori la mangiano con « su or’ariu» (= il cucchiaio di legno o di osso di corna) e con «su tazzeri » (la scodella di legno) o, più diffusamente, poggiata sul pane di Orgosolo, di grano o di orzo, — sottilissimo, largo 45 millimetri, tondo come un sole, e largo 1520 centimetri — che fa da piatto, come un pezzo di pane staccato fa da coltello da tagliare e da cucchiaio per mangiare.

Del latte che non si fa a « frue » si fa, quasi tutto, formaggio di tipo « fiore sardo ». Quando il latte — come per « sa frue » — comincia a quagliarsi, con le mani, o con « sa muria » (un asse di legno con alla punta una tavoletta quadrata) si fa a poltiglia e, po26

FRANCO CAGNETTA

stolo in recipiente sul fuoco, a 4045 gradi, si agita lentamente, continuamente, perché non si attacchi sul fondo. Dopo mezz’oraun’ora si tira, coagulato, e si getta in « sa forma » (== una forma di legno di perastro a scodella tonda, forata nella base). Questa si poggia su « sa ’annitta » (= due assi di legno tenute sospese) e si lascia che « su soru » (= il siero) sgoccioli, in altro recipiente. Per fare prima, e meglio, si comprime il quagliato nella forma con « sa scrimatrice » (= una tavoletta piatta di legno). Divenuta consistente come una pasta, questa s[...]

[...] po26

FRANCO CAGNETTA

stolo in recipiente sul fuoco, a 4045 gradi, si agita lentamente, continuamente, perché non si attacchi sul fondo. Dopo mezz’oraun’ora si tira, coagulato, e si getta in « sa forma » (== una forma di legno di perastro a scodella tonda, forata nella base). Questa si poggia su « sa ’annitta » (= due assi di legno tenute sospese) e si lascia che « su soru » (= il siero) sgoccioli, in altro recipiente. Per fare prima, e meglio, si comprime il quagliato nella forma con « sa scrimatrice » (= una tavoletta piatta di legno). Divenuta consistente come una pasta, questa si rivolta dall’altra parte, e così più volte, perché assuma da ambo i lati forma tonda. Quando la pasta ha la consistenza voluta — che si saggia con un dito — si toglie dalla forma e si lascia a riposare 1012 ore su una tavola. Si affonda infine in « sa tina » (una mastella) con « sa salamuja » (= acqua satura di sale), e si lascia riposare ancora 24 ore. Il formaggio « fiore » è fatto. Se si vuole preservare la pasta da agenti esterni si cosparge di siero e si liscia con le mani.

Il formaggio si consuma fresco, a « ’asu mustiu » — l’antico «casus musteus» citato da Plinio — o si lascia in casa a stagionare, su assi esposte al fumo del focolare qualche volta, per un minimo di 3 mesi e un massimo di 2 anni.

Anche qualche altro tipo di formaggio è fatto[...]

[...]orma tutto il siero.

Si lavora molto formaggio d’estate.

Il burro e la ricotta si fabbricano poco in Orgosolo e poco si consumano.

Altri lavori attendono il pastore:

All'inizio dei calori: «su tusorghiu» (— la tosatura). E questa avviene come altrove, ma tosando la pecora sino alla pelle.

Di tanto in tanto necessita «sa mazzadura)) (la castrazione) che si fa, dopo legata la bestia, rompendo lo scroto con una mazza arroventata, o tagliandolo con un colpo di coltello.

L’« irgannare » (= la macellazione) avviene anche con una tecnica cruentemente primitiva. Legata la pecora o l’agnello bisoINCHIESTA SU ORGOSOLO

27

gna cc ispoiolare », colpire cioè con un colpo nella gola recidendo la carotide, sì che ne sgorghi una fontanella di sangue (il « fodiolu » latino). Molte volte accade, nelle annate « de fatigu » (— cattive) che bisogna uccidere tutti gli agnelli, perché poppando e facendo deperire le madri, non le uccidano. Si passa ad « incurare », a squartare cioè la pelle della pancia lungo una linea verticale sì che, affondando la mano, la pelle si possa asportare. Un altro modo di asportare la pelle è « a su buffare », cioè facendo un foro in una gamba dell’animale e soffiando così forte che tutta la pelle si sollevi.

Lavoro del pastore è anche quello di far da rudimentale veterinario. Ed al vero veterinario quasi mai si ricorre. Pratiche mediche empiriche si alternano a pratiche di magia, a « presuras » o formule. Le pecore in Orgoso[...]

[...]du o dessa figu = malattia del fegato

su eie arterau = il fiele alterato

sa ùria ’e sambene = malattia del sangue

sa iscussina = la diarrea

sa buffadura = gonfiatura per puntura di biscia, ro
spo, ecc.

Lavoro del pastore è la vendita del latte, del formaggio, della lana, della carne, delle pelli, estremamente gravoso per la concorrenza estrema tra pastori e per il dominio completo che ha il compratore sul pastore. Ecco ad esempio gli « Usi e consuetudini commerciali» di Orgosolo per la vendita più importante di Orgosolo: il latte, tra pastori e caseifici (e si intenda qui baraccamenti che raccolgono il prodotto, a conto di industriali, per spedirlo a lavorare in continente). Cito da un foglio della Camera di Commercio di Nuoro (valido per tutta la provincia):

«5) La consegna avviene nel luogo indicato dal compratore. Abitualmente il caseificio.

6) Il latte viene consegnato nei mesi freddi una volta al giorno, nei mesi caldi due. r28

FRANCO CAGNETTA

7) Le spese di trasporto sono a carico del venditore.

13) La determinazione del prezzo è chiusa, preventivamente stabilita o aperta se si conviene quello di mercato.

14) Si paga ordinariamente ogni quindicina, anche mensilmente ».

E il prezzo, chiuso, lo fa sempre l’industriale. Mai il pastore.

Unico « vantaggi[...]

[...]eggiore di quella di « su mere ».

Ma è « su terraccu » che sta peggio di tutti : prende un cappotto, un paio di scarpe all’ingaggio, 56 pecore a fine d’anno, o — oggi — 100400 lire giornaliere. Suo il lavoro più grave, sua la più grave privazione.

Questa la vita dei pastori del Supramonte, dei pastori medii, dei più giovani nelle campagne di Orgosolo. Paurosa per condizioni naturali, penosa per gravità di lavoro.

Per conoscerla sempre meglio bisogna, ora, scendere in paese.

su mere su cumpanzinu su terraccu

= il padrone = il socio = il servo.INCHIESTA SU ORGOSOLO

29

# * #

Il paese di Orgosolo presenta per l’etnologo un terreno di osservazione che, per primitività di strutture sociali e per manifestazioni di mentalità e cultura proprie solo alle civiltà primitive, è difficile trovare ancor oggi, forse, in qualsiasi altro paese d’Italia e d’Europa. Per una convergenza di motivi ambientali estorici (che cercheremo poi di indicare tutt’insieme) il paese si presenta come uno di quei piccoli mondi quasi perfettamente i[...]

[...]basi economiche e forme ideologiche tali che lo fanno vivere ancor oggi nei più antichi « cicli culturali »‘ che si conoscano tra le popolazioni dell’Europa.

In maniera evidente, e con forme quasi lineari, in Orgosolo si presenta, innanzitutto, imo schema di costituzione della società, di struttura sociale, che, secondo la denominazione dell’etnologia classica delle scuole di Mòdlig, Schmidt, Montandon, Menghin, prende il nome di « grande famiglia » o « grande famiglia pastorale » (die Grosse Familie). È la forma sociale che, sviluppatasi nel tardo paleolitico e nel neolitico tra i primi pastori delle steppe dell’Asia centrale, diffusasi per millenni tra quasi tutti i popoli Indoeuropei e Semiticamiti; si può ritrovare oggi, con forme quasi lineari, solo nelle zone montuose più isolate e ad economia unilateralmente pastorizia della Russia (Ciukci, Tungusi, Samojedi, Tartari, Mongoli, Calmucchi, Ostiachi, Kirghisi), della Turchia, della penisola balcanica (Slavi zadruga, Albanesi) e, parzialmente, della Spagna.

Lo studio della organizzazione particolare [...]

[...]diffusasi per millenni tra quasi tutti i popoli Indoeuropei e Semiticamiti; si può ritrovare oggi, con forme quasi lineari, solo nelle zone montuose più isolate e ad economia unilateralmente pastorizia della Russia (Ciukci, Tungusi, Samojedi, Tartari, Mongoli, Calmucchi, Ostiachi, Kirghisi), della Turchia, della penisola balcanica (Slavi zadruga, Albanesi) e, parzialmente, della Spagna.

Lo studio della organizzazione particolare che ha la famiglia in Orgosolo (e così, seppure con forme più contaminate, in quasi tutti i paesi della Barbagia), costituisce la chiave di volta per una larga comprensione di quasi tutta la locale società. Questa, infatti, si può dire che, per quella propria organizzazione, sia arrestata, o quasi, soltanto alla famiglia: le forme sociali più sviluppate e superiori, che costituiscono invece la nostra società, lo Stato, sono quasi estranee o, solo adesso, iniziano ad intaccarla.

In tutte le terre in cui il suolo si sfrutta in modo primitivo,30

FRANCO CAGNETTA

solo a pascolo (come è il caso di Orgosolo e dei popoli su citati) la necessità economica di una sempre maggiore concentrazione di greggi al fine di ottenere, con gli scarsi frutti che se ne conseguono, almeno il minimo vitale per l’individuo e le sue associazioni, determina un allargamento particolare dell’organizzazione della famiglia.

L’ambiente economico autosufficiente, non necessitoso di scambio, che è proprio della pastorizia unilaterale, determina, altresì, una chiusura nella famiglia, rendendo difficile ogni suo sviluppo ed i rapporti con le forme superiori.

Tra queste due leggi, con continua alternanza, si muove tutta la vita e la civiltà locale.

Analizziamo, pertanto, questo schema in Orgosolo:

La famiglia in Orgosolo, come in tutt’Europa, è costituita oggi dall’unione biologica e sociale dell’uomo e della donna in forma « monogamica ». La poligamia è sconosciuta e condannata.

Sino al secolo scorso in Orgosolo (come in tutta la Barbagia, e particolarmente nei paesi di Oliai e Olzai) era ampiamente praticata ed accettata dalla pubblica opinione la unione « naturale » tra l’uomo e la donna, senza sanzione civile o religiosa se non il consenso delle famiglie. È il « matrimonio di prova » di cui parlano molti autori da Lamarmora a Gramsci.

Dalla guerra 191518, con la maggior penetrazione e p[...]

[...]osolo, come in tutt’Europa, è costituita oggi dall’unione biologica e sociale dell’uomo e della donna in forma « monogamica ». La poligamia è sconosciuta e condannata.

Sino al secolo scorso in Orgosolo (come in tutta la Barbagia, e particolarmente nei paesi di Oliai e Olzai) era ampiamente praticata ed accettata dalla pubblica opinione la unione « naturale » tra l’uomo e la donna, senza sanzione civile o religiosa se non il consenso delle famiglie. È il « matrimonio di prova » di cui parlano molti autori da Lamarmora a Gramsci.

Dalla guerra 191518, con la maggior penetrazione e pressione dello Stato e, in particolare, della Chiesa, quella unione si può dire quasi scomparsa ovunque, sostituita dal matrimonio con sanzione civile o religiosa, e la stessa opinione pubblica è largamente trasformata, poiché si respinge e si condanna oggi quel primitivo istituto.

L’uomo e la donna, statalmente coniugati, costituiscono insieme una unità organica famigliare che si allarga e si sviluppa con la nascita dei figli. Ma, da questa, la famiglia[...]

[...] Lamarmora a Gramsci.

Dalla guerra 191518, con la maggior penetrazione e pressione dello Stato e, in particolare, della Chiesa, quella unione si può dire quasi scomparsa ovunque, sostituita dal matrimonio con sanzione civile o religiosa, e la stessa opinione pubblica è largamente trasformata, poiché si respinge e si condanna oggi quel primitivo istituto.

L’uomo e la donna, statalmente coniugati, costituiscono insieme una unità organica famigliare che si allarga e si sviluppa con la nascita dei figli. Ma, da questa, la famiglia di Orgosolo assume un carattere particolare, che è quello tipico, appunto, della « Grande Famiglia ».

La posizione dell’uomo, che adempie alla funzione economica principale di cercare i pascoli, di condurre i greggi, di trarne i frutti è, in essa, preminente. La posizione della donna, che adempieINCHIESTA SU ORGOSOLO

31

alla funzione economica secondaria dei lavori di casa e dei lavori agricoli (orti) è, invece, subordinata.

Tenuto presente il valore economico inferiore della donna e la sua mancanza di iniziativa (la sua subordinazione) la verginità è particolarmente considerata dall’uomo nella scelta del matrimonio.

Con la nascita della prole i figli maschi e femmine rima[...]

[...] trarne i frutti è, in essa, preminente. La posizione della donna, che adempieINCHIESTA SU ORGOSOLO

31

alla funzione economica secondaria dei lavori di casa e dei lavori agricoli (orti) è, invece, subordinata.

Tenuto presente il valore economico inferiore della donna e la sua mancanza di iniziativa (la sua subordinazione) la verginità è particolarmente considerata dall’uomo nella scelta del matrimonio.

Con la nascita della prole i figli maschi e femmine rimangono con i genitori, e subordinati. La subordinazione tra i fratelli è a seconda dell’età, rispettando la primogenitura. La subordinazione delle sorelle è per i fratelli a seconda dell’età, e per le sorelle, poi, a seconda dell’età.

La scelta matrimoniale dei figli venuti in età di matrimonio avveniva, in Orgosolo, sino alla guerra 191518, ad opera dei genitori. Si promettevano i candidati, senza che si conoscessero, in una età che oscillava dagli 8 ai 15 anni. La bambina promessa doveva parlare abitualmente del suo futuro marito con il termine « su ziu ». La conoscenza tra i candidati avveniva, quasi sempre, solo all’atto del matrimonio. Questo uso però, oggi, pare totalmente scomparso: solo alcune donne mi hanno detto che, sia pure con il futuro consenso dei candidati, esso è vivo, ancora, in qualche famiglia.

Gon il matrimonio dei figli i maschi con la nuova moglie rimangono, in Orgosolo, generalmente nella casa dei genitori. Le donne vanno in casa del marito o, raramente, rimangono nella famiglia originaria.

Con la nascita dei nipoti anche questi rimangono nella casa dei nonni, e subordinati. La subordinazione dei nipoti è per il nonno, per il padre, per gli zii in ordine di età, per la madre, per i fratelli e cugini in ordine di età. Non risulta subordinazione propria, se non di rispetto, per la nonna, le zie, le sorelle, le cugine. La subordinazione delle nipoti è per il nonno, per il padre, per gli zii, fratelli e cugini in ordine d’età; per la madre, per le zie, sorelle e cugine in ordine di età.

Si viene, così, a costituire un grosso gruppo famigliare che va da 1030 individui, in media, a più di 100, che abitano una stessa casa o case attigue (ove possibile), con alla sommità il padre più anziano è (( su mannu » (= il patriarca), subordinatamente il primogenito o, se è celibe o senza figli, il padre più anziano tra i suoi52

FRANCO CAGNETTA

fratelli. Si tenga presente che il criterio di età ha valore unitamente a quello di capacità nel lavoro di pastore. Il vecchio orgolese impossibilitato per età a lavorare perde automaticamente l’autorità di « mannu ». Ma, in generale, egli rimane valido sino a 7080 anni e più. Tutti i membri della famiglia, quasi sempre, sono fortemente cementati dal vincolo e, quasi sempre, fortemente rispettosi di quella gerarchia.

La struttura generale gerarchica che si riscontra in questa famiglia si può studiare, con molto profitto, nella ripartizione generale della sua proprietà.

I beni di famiglia (greggi, casa, orti, mobili, oggetti, denaro) restano generalmente indivisi (= proprietà « famigliare ») e regolamentati dal padre più anziano « su mannu » (= proprietà « paterna »). Esiste un termine in Orgosolo che indica indifferentemente la proprietà famigliare patriarcale e la famiglia patriarcale proprietaria ed è: s’ereu (dal catalano, = l’eredità).

Si tenga presente come ciò è dettato dalla necessità fondamentale di aumentare il potenziale delle greggi, e non frammentarle con divisioni.

La divisione dell’« ereu » non avviene, generalmente, neppure con la morte del padre più anziano, « su mannu », e passa automaticamente al primogenito o, tra i suoi fratelli, al padre più anziano, che, automaticamente assume la funzione di nuovo « su mannu ». Quando la divisione avviene per varie ragioni (e questo raramente) invale il criterio gerarchico secondo cui il primogenito,[...]

[...] la divisione avviene per varie ragioni (e questo raramente) invale il criterio gerarchico secondo cui il primogenito,

0 il padre più anziano tra i suoi fratelli, riceve quasi tutto; seguono

1 maschi secondo la loro gerarchia; ed infine le femmine che rice vono poco, secondo la loro gerarchia. Queste, all’atto del matrimonio hanno però in anticipo, generalmente, la parte che è loro assegnata, proporzionalmente, da « su mannu » o da un consiglio di famiglia.

Gli stessi lavori indispensabili alla vita dell’individuo assumono qui un carattere di lavoro collettivo (famigliare) diretto e distribuito gerarchicamente (patriarcale).

II lavoro più importante, il lavoro pastorizio, viene eseguito solo dagli uomini sotto la direzione del padre più anziano, « suINCHIESTA SU ORGOSOLO

33

mannu ». È questo che si incarica, con il concórso di un consiglio di famiglia a volte, di cercare il pascolo e trattarne l’acquisto. Il gregge, a seconda dell’importanza numerica, viene guidato da tutti gli uomini della famiglia con funzioni secondo la gerarchia, o distribuito per numero di capi relativamente all’importanza che ciascun padre ha nella famiglia e con compiti gerarchici. La vendita del latte, la migrazione, la mungitura, la fabbricazione del formaggio ecc. vengono, abitualmente, condotti dagli anziani; i più giovani provvedono ai lavori minori ed ai più pesanti — custodia del gregge, trasporto del latte, ecc.

Uguale vita collettiva, ma con minore distinzione gerarchica, ha anche il lavoro delle donne. Il più importante è, certamente, la fabbricazione dello speciale pane di Orgosolo che si fa per molti chili, per quintali a volte, e che serve in campagna, per uno, due tre mesi, agli uomini.

Merita un cenno particolare questo lavoro, che non è specifico di Orgosolo, e comune, invece, a tutti i paesi della Barbagia.

Una volta ogni 715 giorni, o un mese, 1015 donne si riuniscono in cucina o, a volte, in una piccola stanza costruita apposta fuori della casa, dal pavimento di terriccio e dal tetto bassissimo. Alcune di esse, le più robuste, con le braccia nude impastano farina, acqua, lievito in larghi e quadrati impastatoi di legno poggiati per terra. Ottenuti alcuni comuni panelli li spianano con un matterello in larghe schiacciate rotonde e, raccoltele, le pongono a [...]

[...]asche e legna. Subito ritrattele le chiudono in strette strisce di tela, lunghe sino a 45 metri (decorate, a volte, con linee trasversali azzurre, nere, marrone) e le lasciano a riposare, o lievitare, per qualche tempo. Quindi le ritirano e le mettono a cuocere con larghe pale di legno sul fuoco vivo del forno. Presto quelle schiacciate si gonfiano come quasi due cappelli cinesi vuoti all’interno, riuniti solo nel giro esterno, e, cavatele, le tagliano in due orizzontalmente con un lungo coltello. Le rimettono ancora nel forno per poco tempo fino a che diventano dorate, croccanti ed allora il pane e fatto. Ritiratolo dal forno, lo ripongono nei larghi cesti sardi di asfodelo, che sono fatti per quésta conservazione.34

FRANCO CAGNETTA

In Orgosolo questo pane ha vario nome, secondo più tipi :

Carta ’e musica = il pane ili generale (« carta di musica »

perché croccante)

o « limpidu » o « carasau »

sas ispianadas = il pane di grano

sas tondinas = il pane di orzo

su orgathu = il pane più tondo e più lavorato.

La co[...]

[...]e.34

FRANCO CAGNETTA

In Orgosolo questo pane ha vario nome, secondo più tipi :

Carta ’e musica = il pane ili generale (« carta di musica »

perché croccante)

o « limpidu » o « carasau »

sas ispianadas = il pane di grano

sas tondinas = il pane di orzo

su orgathu = il pane più tondo e più lavorato.

La coabitazione di uomini e di donne nella casa, ciò che in modo completo avviene raramente — se si considera la necessità degli uomini di stare nelle campagne, di migrare — si manifesta altrettanto in carattere collettivo (famigliare) e gerarchico (patriarcale). Non vi è divisione vera e propria di uomini e di donne in due parti ma una tendenza accentuata. Il padre più anziano, <( su mannu », dorme nel letto con la propria moglie, e così fanno abitualmente tutti i figli più anziani sposati; i giovani dormono abitualmente per terra, su una stuoia, in cucina; le donne giovani in una stanza con un letto per una, se possibile, o uno per più.

Anche i pasti — quando la famiglia è riunita — avvengono in modo collettivo e patriarcale. Al centro della cucina si mette in generale in terra una tavola quadrata bassissima, quasi a fior di terra con una sola scodella e tutti mangiano secondo la gerarchia incominciando dal padre più anziano — ma anche secondo la gerarchia dell’appetito — attingendo con le mani, il coltello o le posate. In antico questo avveniva con un enorme vaso di sughero riempito di « sa frue ». Ora questo uso va scomparendo, si mangia normalmente, e l’alimentazione stessa è migliorata. Il cibo abituale d’oggi del pastore è una minestra di brodo di pecor[...]

[...]a cucina si mette in generale in terra una tavola quadrata bassissima, quasi a fior di terra con una sola scodella e tutti mangiano secondo la gerarchia incominciando dal padre più anziano — ma anche secondo la gerarchia dell’appetito — attingendo con le mani, il coltello o le posate. In antico questo avveniva con un enorme vaso di sughero riempito di « sa frue ». Ora questo uso va scomparendo, si mangia normalmente, e l’alimentazione stessa è migliorata. Il cibo abituale d’oggi del pastore è una minestra di brodo di pecora con pasta arrossata dal pomodoro — ima minestra tipica di tutta la Barbagia — chili di pasta, un po’ di pecora bollita (se c’è) e formaggio pecorino. Uno straordinario modo di cuocere la carne, che non è solo di Orgosolo ma di tutta la Barbagia, consiste, in campagna, nel cuocere una intera pecora in ima buca di terra riempita di brace e ricoperta di frasche e ancora terra, a fior di suolo. È questo un modo che deriva quasi sempre dall’essere stata la pecora rubata e, così messa a cuocere, l’eventuale suo proprietario[...]

[...]IESTA SU ORGOSOLO

35

uso di vino forte, di tipo « canonau » e di un caffè eccellentissimo ed offerto in ogni casa, tostato a perfezione. Si fanno di tanto in tanto, nelle feste, banchetti formidabili con interi agnelli e capretti bolliti od arrostiti, con « sa ’orda » (intestini di pecora arrestiti), con damigiane di vino, birra e in un’atmosfera da fastosi e grandi banchetti deH’antichità.

Ma è soprattutto nella educazione dei propri figli che il carattere arcaico e patriarcale della famiglia pastorale si manifesta a pieno. In generale, il piccolo orgolese va alla scuola pubblica per 2, 3 classi elementari, poi viene ritirato e messo subito in campagna: e qui dimentica tutto quello che ha imparato. L’analfabetismo in Orgosolo, ufficialmente, è nella proporzione del 6070 per cento, ma, tenuto conto di questo « ritorno all’analfabetismo » è del 9095 per cento, cioè quasi generale. La famiglia all’educazione pubblica, di cui diffida, preferisce una sua propria educazione famigliare: questa consiste solo nella educazione pratica alle greggi, al lavoro pastorale. Il bambino povero orgolese già1 vestito da adulto con i pantaloni lunghi ed i gambali, con il viso chiuso sempre in un sentimento di timore, di odio contro tutti, è il vero volto del pastore orgolese. A 78 anni, per mangiare, egli è costretto a lasciare la famiglia, a partire lontano. Gran parte del lavoro di sorveglianza delle bestie, marce interminabili, notti passate tra temporali, volpi, ladri, e sempre dormendo a terra, con la brina o con la neve, lo fanno adulto anzi tempo. Se ima pecora gli si perde, si azzoppa, o gli è rubata, è privato a lungo di ogni cosa che gli occorra, non mandato a casa, picchiato con le mani, con la cinghia, col bastone. Bisogna che impari a non distrarsi mai, a non farsi ingannare, a sapersi rivalere. Vada pure a rubare un’altra pecora, se gli manca. Gli uomini lo deridono, lo scherniscono: per una crudele rivalsa, perché pensano che si deve fare le ossa, che deve saper essere un uomo, un buon pastore. Educato dalla natura, e dall'uomo solo al bastone ed al furto, egli tace : impara a pazientare ed aspetta solo di essere grande per rifarsi, per rivalersi. Deve essere un padrone, e non un servo. L’educazione di questa società pastorale, della « grande famiglia », ne fa un individuo isolato, quasi zoologico, che negli altri non vede che un possibile pericolo, un nemico. Egli non impara36

FRANCO CAGNETTA

altro modo che di sopraffare o di essere sopraffatto, di dominare o di essere dominato. È il più antico, il più vivo segreto di tutta la nostra terra, dell’Italia meridionale in particolare, sì che l’uomo moderno, coperto di secoli di civiltà, non nasconde, al fondo, che

il pastore di terre povere rimasto in quella vita primitiva, nelle origini di millenni. Il carattere, la fiducia in sé, la straordinaria forza di saper rimanere solo; come l’istinto di solidarietà famigliare; la generosità per l’altro, la « fratellanza » sono però, altrettanto, il prodot[...]

[...]re o di essere sopraffatto, di dominare o di essere dominato. È il più antico, il più vivo segreto di tutta la nostra terra, dell’Italia meridionale in particolare, sì che l’uomo moderno, coperto di secoli di civiltà, non nasconde, al fondo, che

il pastore di terre povere rimasto in quella vita primitiva, nelle origini di millenni. Il carattere, la fiducia in sé, la straordinaria forza di saper rimanere solo; come l’istinto di solidarietà famigliare; la generosità per l’altro, la « fratellanza » sono però, altrettanto, il prodotto di questa antica vita, di questa educazione, che ha il suo centro di diffusione nella «grande famiglia». Un uso precedente, ora scomparso, che si può ritrovare tra i pastori Ebrei della Bibbia (Deuteronomio XV, 14) era, per esempio « sa ponidura » : il regalo di una pecora da parte di ogni gruppo famigliare a quel pastore che per cattive annate, per furto ecc. avesse avuto il gregge distrutto.

Naturalmente, con il procedere degli anni, con lo sviluppo sociale, con la penetrazione e la crescente pressione dello Stato la « grande famiglia », come istituto tipico e integrale, si va oggi disgregando in Orgosolo. Le eccezioni alla regola si fanno sempre più numerose, più estensive. La trasformazione è lenta, impercettibile; scoppia, di tanto in tanto, in casi clamorosi. Pur, legata alla più profonda struttura economica, alla pastorizia unilaterale, questa forma sociale continua ad essere il pilastro e il baluardo di tutta la vita e civiltà orgolese. Da « grandi famiglie » e da rapporti propri allo sviluppo di questa forma si può dire, infatti, che sia costituito tutto

il paese di Orgosolo: un insieme, una «tribù» di «grandi famiglie ».

E una tribù di « grandi famiglie » legate tra di loro in modo molto stretto è, in un certo senso, Orgosolo.

I matrimoni che qui avvengono di frequente in modo « endogamico », cioè in famiglia (tra cugini, tra zìi e nipoti ecc.) si mescolano a quelli « esogamici » più frequenti, cioè fuori della famiglia.

Questa parentela tra due « grandi famiglie » distinte crea una « alleanza » che viene considerata — e lo è per un verso uno sviluppo interno di « sangue » della grande famiglia. I nuovi mariti — i cognati — entrano a far parte come parenti di « sangue » e

lo sono. Tutti i di loro famigliati, impropriamente, vengono consiinchiesta su orgosolo

37

derati anche parenti di « sangue ». Si viene a creare una sola, e più vasta « grande famiglia » che si considera unita « ab antiquo ».

Una forma più avanzata di questa parentela artificiale ritenuta anche parentela di « sangue » è il « comparatico ». I compari vengono scelti per ragioni di simpatia, di vicende della vita, di interessi: essi si legano, soprattutto, come testimoni nei battesimi, nei matrimoni, con « figliocci », o come compari di S. Giovanni. Anticamente esisteva in Orgosolo un rito di comparatico che consisteva nel mescolare il sangue fatto sgorgare appena dai due polsi. Ora questo è scomparso ed è rimasto solo il rito simbolico nello scambio di qualche regalo, secondo le possibilità, in grano, in pecore, in oro ed in bestiame. Al comparatico possono prendere parte gli uomini e le donne, ma divisi. I comparatici misti sono eccezionali. Le famiglie dei « compari » entrano a far parte l’una nell’altra come una sola e più estesa « grande famiglia ».

Le maggiori tra le « grandi famiglie » abbracciano un ventesimo, un decimo del paese, ed in alcuni periodi speciali, come i Cossu e i Cornine della famosa « disamistade », dal 1905 al 1926, quasi metà del paese.

Esse non si sciolgono se non con la morte, e, solo più modernamente, per dissidi vari economici, coniugali, politici, ecc.

L’elemento che contribuisce non già all’accrescimento e allargamento di questi grandi gruppi, bensì al loro restringimento e divisione discende, altrettanto, in Orgosolo, dalla « grande famiglia ». Esso è insito nella distribuzione interna della ricchezza e nell’interna subordinazione.

I fr[...]

[...]ese, ed in alcuni periodi speciali, come i Cossu e i Cornine della famosa « disamistade », dal 1905 al 1926, quasi metà del paese.

Esse non si sciolgono se non con la morte, e, solo più modernamente, per dissidi vari economici, coniugali, politici, ecc.

L’elemento che contribuisce non già all’accrescimento e allargamento di questi grandi gruppi, bensì al loro restringimento e divisione discende, altrettanto, in Orgosolo, dalla « grande famiglia ». Esso è insito nella distribuzione interna della ricchezza e nell’interna subordinazione.

I fratelli minori, i celibi, i giovani, le donne, con il corso degli anni, e dei secoli, vengono a costituire man mano una società patrimonialmente più povera e che, nella divisione del lavoro, adempie ài compiti più umili di subordinati. Di contro stanno i primogeniti, i padri anziani, e anche le donne che essi sposano, che vengono a costituire man mano una società più ricca e nei lavori privilegiata: i proprietari di greggi e i superiori.

Con l’estensione del processo, nei secoli, in tutti i gruppi di famiglia, questo viene a conformarsi con una partizione generale del paese in due «classi». La «classe» è, essenzialmente, il solo38

FRANCO CAGNETTA

elemento che in questa società si stacchi dalla grande famiglia vera e propria o, più esattamente, quello che divide il paese in due classi di « grandi famiglie ». Esse sono quella di « sos proprietarios » (i proprietari) detta anche di « sos meres » o « sos prinzipales » (i padroni, i principali) e quella di « sos poveros » (i poveri) detta anche di « sos terraccos » (i servi).

La esistenza di uguale divisione sin dal tardo impero romano si può comprovare, in tutta la Sardegna, dai contemporanei documenti e, in particolare dalla « Carta de Logu » di Eleonora Giudichessa di Arborea (un codice legislativo che è il più importante documento di storia medioevale sarda). Allo stato attuale la divisione, che può essere altrettanto antica in Orgosolo, è[...]

[...]e Logu » di Eleonora Giudichessa di Arborea (un codice legislativo che è il più importante documento di storia medioevale sarda). Allo stato attuale la divisione, che può essere altrettanto antica in Orgosolo, è quasi completa: il paese compare come spaccato in queste due grandi classi pastorali.

I rapporti, tra queste due classi (che non vanno affatto intese in senso moderno, ma solo antico) sono rapporti speciali di una unitaria società famigliare e patriarcale, di una « tribù ».

Esiste uno stato di pace e di colloquio tra le due classi; e, contemporaneamente, esiste tra di loro uno stato di guerra e di lotta.

«Sos proprietarios» o «sos meres» o «prinzipales» ostentano nei riguardi di « sos poveros » o « sos terraccos » un atteggiamento paternalistico di protezione, di apparenti atti di bontà, di promesse, di manifestazioni di simpatia che (sempre nel loro interesse, temendo il peggio) manifestano affittando qualche pascolo a prezzo appena più umano; trattando i servi delle greggi sempre alla buona, quasi da pari a pari, con n[...]

[...] però di comprendere la differenza sostanziale che intercorre tra di loro, se manifesta intelligenza, energia, spirito di indipendenza, il padrone o superiore scopre di colpo, allora, il suo disprezzo, comincia a sospettarlo come un nemico, come il futuro ladro delle sue greggi, delle sue terre, dei suoi averi; e apre le ostilità apertamente con l’oppressione, con la denunzia a torto o a ragione per ogni minimo fallo, con l’angheria, con rappresaglie, con l’omicidio.

La formazione di questa classe di « sos proprietarios » o « sos meres» o «sos prinzipales» è avvenuta ed avviene in OrgosoloINCHIESTA SU ORGOSOLO

39

(come in tutta la Sardegna) in modo assai speciale: con la rapina di pecore altrui, con il furto, con l’appropriazione violenta di terreni comunali e delle terre più povere ed indifese tra le private, con l’usura, con l’abuso del potere, se detiene il Comune, con amicizie tra le autorità.

Non mi è stato possibile ricostruire in Orgosolo (poiché manca ogni dato ufficiale) una tabella che indichi esattamente tutte le [...]

[...]orraine, dei Moro. Una loro valutazione esatta non mi è stata possibile effettuare (ed è possibile solo, forse, ad enti statali). Ecco, intanto qualche dato approssimativo che posso fornire sulle più importanti:

Fratelli Podda: 800 pecore, 80 buoi, 18 cavalli, 220 capre, 230 h. di pascolo.

Corraine Nicolò : 200 pecore, 40 buoi, 5 cavalli, 104 h. di vigna e oliveto.

Moro Luigi: 450 pecore, 47 buoi, 2 cavalli, 183 h. di pascolo.

La famiglia Monni, discendente da Serafino, un prestatore di denari venuto da Dorgali, e composta oggi di 6 fratelli, suoi discendenti, con circa 50 figli, è quella che possiede la proprietà più sviluppata di Orgosolo. Essa è costituita dalla catena dei negozi più importanti del paese, da case di abitazioni, da caserme di carabinieri, da terreni, da greggi, da denaro. Sin da quando si è installata40

FRANCO CAGNETTA

in Orgosolo questa famiglia, e quasi sempre, ha avuto nelle mani

il Comune e l’Ambulatorio, influente presso il clero e le autorità di polizia, contando oggi, tra i suoi componenti, un senatore d.c. (il solo deputato italiano nato in Orgosolo ma vissuto sempre fuori): l’avv. Antonio Monni.

Una poesia popolare assai diffusa nel paese, e che qui pubblico solo per documentare lo stato d’animo popolare nei riguardi di una parte di questa famiglia, dice:

A ti descriere sa gente villana Seminatrice de sos curantismu Suni in bidda sa razza Monniana Cun su podere dà s’istriccinismu E sun gontrade su comunismu Cun sa democrazia cristiana Chi sfruttana e cundennana e confinana Chi furana e chi occhini e rapinnana (4).

La tronfia arroganza della classe sociale dei proprietari e signori di Orgosolo ho avuto modo io stesso di sperimentare direttamente, allorché, nel corso della mia inchiesta, per evitare la rivelazione di verità, alcuni di loro hanno osato farmi minacce di morte, se non sgombravo, minacce che hanno avuto il solo effetto[...]

[...]e confinano e rubano ed uccidono e rapinano.INCHIESTA SU OSGOSOIO

41

« uomo ». Esiste un termine particolare in Orgosolo per indicare questo uomo esecrato, eppur stimato : « su abile » (l’abile), « su baiente » (il valente). La miseria con tutto quello che comporta è profondamente disprezzata. Il termine che definisce il povero in Orgosolo è, nel particolare ambiente, quasi offensivo : « su rimitanu » (l’eremita, il pezzente). In ogni famiglia c’è il problema di fare del proprio figlio un « ornine bonu », non nel significato di uomo buono, ma in quello latino di uomo non soggetto a vita servile. Ogni uomo che pensi che per la sola povertà deve andar chino, che sua moglie ed i suoi figli possono, per un caso qualsiasi, andare all’elemosina; che per la sola povertà è accusato da tutto il paese, e quasi sempre, di dabbennaggine, di inettitudine, di poltroneria, è sempre un uomo disposto ad ogni delitto, ad ogni malazione pur di liberarsi. L’aspirazione generale — come in tutte le società di pastori — è, in fondo quella di diventare ricco e superiore.

Cova però nel sangue di questi diseredati il ricordo cocente delle pecore, delle terre, dei denari loro rubati o sottratti con inganno dai ricchi; cova il ricordo delle umiliazioni, delle sofferenze, dei lutti subiti in passato;[...]

[...]l ricordo cocente delle pecore, delle terre, dei denari loro rubati o sottratti con inganno dai ricchi; cova il ricordo delle umiliazioni, delle sofferenze, dei lutti subiti in passato; cova il presente di una vita tristissima e grama che debbono sopportare. Di tanto in tanto, e molto spesso, essi si ricordano di essere sensibili, ostili, ribelli a una ingiustizia immeritata, a una crudele sopraffazione.

La lotta contro il ricco e l’uomo di migliore condizione si svolge, così, in modo aperto o nascosto, con il furto di pecore, con gli sgarrettamenti, con il furto nelle campagne, con la loro devastazione, con il ricatto, con il sequestro, con l’omicidio.

Assai di recente, dall’ultimo dopoguerra, tutta la lotta tra le due classi è andata assumendo in Orgosolo anche un aspetto più moderno, che la mitiga e la nobilita (come vedremo) : una lotta culturale e politica; ma, in generale, si deve ritenere che essa si svolge quasi tutta, ancora, con i metodi primitivi o « barbari » che sono propri della struttura e tradizione locale.

Parrebbe, a questo punto, che l’esistenza di Orgosolo si sviluppi per intero in un « ciclo cult[...]

[...]ndata assumendo in Orgosolo anche un aspetto più moderno, che la mitiga e la nobilita (come vedremo) : una lotta culturale e politica; ma, in generale, si deve ritenere che essa si svolge quasi tutta, ancora, con i metodi primitivi o « barbari » che sono propri della struttura e tradizione locale.

Parrebbe, a questo punto, che l’esistenza di Orgosolo si sviluppi per intero in un « ciclo culturale » di pastori, chiuso in una organizzazione famigliare, la quale nell’interno è divisa in individui isolati, quasi zoologici, nell’insieme in due grandi e rudimentali42

FRANCO CAGNETTA

gruppi di classe. È questo il mondo patriarcale, straordinariamente antico e sorprendente, di quasi tutti i paesi della Barbagia. Ma il paese di Orgosolo gode fama particolare ed eccezionale di paese che si distingue tra tutti questi : in Sardegna è considerato il paese della « vindicada » o « vindicau » (vendetta) e della « bardana » (razzia), un paese di cupi assassini e di terribili ladri di pecore. Sin dall’inizio dell’800 esiste una letteratura giorn[...]

[...]e che si distingue tra tutti questi : in Sardegna è considerato il paese della « vindicada » o « vindicau » (vendetta) e della « bardana » (razzia), un paese di cupi assassini e di terribili ladri di pecore. Sin dall’inizio dell’800 esiste una letteratura giornalistica che contribuisce a sottolineare solo questo aspetto del paese, a spargerne il terrore, ed è raro che non si aggiunga sempre al nome del paese l’aggettivo «maledetto» o non si consigli, accuratamente, di evitarlo. Quasi in tutta la Sardegna sono pochi i sardi che vi abbian messo piede, senza alcun impegno che li costringesse, e meno ancora quelli che ne parlino senza una paura esagerata o che non preferiscano tacerne. Quasi tutti i pastori dei paesi confinanti, solo a fare il nome di Orgosolo, non riescono a nascondere un gesto di sgomento, di timore, ed il pastore orgolese sino al secolo scorso (come riferisce, ad es., l’abate Angius) era talmente temuto dai pastori delle pianure in cui svernava che questi credevano incontrandolo, addirittura, che fosse sicuro presagio di [...]

[...]ferisce, ad es., l’abate Angius) era talmente temuto dai pastori delle pianure in cui svernava che questi credevano incontrandolo, addirittura, che fosse sicuro presagio di tempesta atmosferica.

La situazione criminale, in verità, in Orgosolo non è normale : da molti anni è oramai il solo paese della Sardegna in cui si può dire che esistono come « istituti sociali » veri e propri la « vendetta » e la « bardana ». Se esistesse una statistica degli omicidi, ferimenti, conflitti, ricatti, sequestri di persona, grassazioni, e di reati come furto di pecore, sgarrettamenti, furti di campagna, distruzioni di viti e colture, incendi di boschi ecc., probabilmente Orgosolo (almeno in rapporto a questi due « istituti » che li originano) sarebbe quasi ogni anno in testa ai paesi di Sardegna. Da uno studio dei giornali sardi dal 1901 al 1954 (e con l’approssimazione possibile), ho rilevato che in Orgosolo (e specie nei mesi caldi che coincidono con la presenza della popolazione dei pastori), si verificano un omicidio in media ogni due mesi (6 all’[...]

[...]ercentuale annua di

1 reato su ogni 80 abitanti. E si deve considerare che questa statistica vale solo per i reati denunciati, o pubblicamente conosciuti, mentre non riguarda quelli taciuti per paura, per compromesso ecc.

Il paese di Orgosolo si distingue per questo, oggi, da tutti i paesi di Barbagia. Ieri, quasi tutti i paesi di Barbagia avevano una analoga situazione. Per esempio Fonni nel 1800 o Olzai o Orane in questo secolo hanno eguagliato, a volte, questi indici statistici. La struttura sociale e la cultura di questi paesi sembra però essere ancora uguale, o quasi, a quella di Orgosolo.

Quale è dunque la ragione del sopravvivere in Orgosolo di una situazione sì particolare e, soprattutto, di istituti sociali come la « vendetta » e la « bardana » che in tutti gli altri sono quasi scomparsi? Quale è la ragione strutturale, e culturale, della turbolenza continua di Orgosolo?

Il problema è tra i più difficili e complessi che imponga una storia delle montagne di Sardegna ma, al tempo stesso, è tra i più importanti e decisivi per chiarire le basi ultime ed essenziali della storia di queste società.

10 non credo che il problema possa essere mai risolto dallo studioso che lo guardi da un punto di vista statico della «odierna» economia. Poiché la spiegazione si può trovare solo, a mio parere, in una economia (struttura e cultura) che c’è stata e non si [...]

[...]ria di queste società.

10 non credo che il problema possa essere mai risolto dallo studioso che lo guardi da un punto di vista statico della «odierna» economia. Poiché la spiegazione si può trovare solo, a mio parere, in una economia (struttura e cultura) che c’è stata e non si vede in Orgosolo se non in numerosi e reperibili elementi che sono sopravvissuti e come incastrati nell’attuale « ciclo culturale » dei pastori

o della « grande famiglia ».

Si tratta di mettere in luce struttura e culture di un « ciclo » precedente: e ciò è desumibile soltanto, oggi, da uno studio della mentalità e del carattere degli orgolesi (le soprastrutture sono le più lente a trasformarsi), dal soccorso di notizie archeologiche e storiche sul paese, e dallo studio di ancor esistenti, fondamentali ma apparentemente secondari istituti locali.

11 pastore di Orgosolo, se lo si osserva attentamente, è certa44

FRANCO CAGNETTA

mente diverso da quello di tutti i vicini paesi. Il pastore di questi o il pastore tradizionale e proprio della « grande famiglia » (quale

lo Huntington, ad esempio, ha individuato nei suoi lineamenti generali) è, in generale, un individuo isolato, gregario, conservatore, falso, pavido, di intelligenza tarda e mansueto. Il pastore orgolese invece, in generale, è un individuo più associativo, più individuale, fondamentalmente guerriero ed aggressivo, insofferente, coraggioso, di intelligenza astuta e crudele. Questi caratteri lo fanno assomigliare, certamente, ai popoli di un « ciclo » precedente a quello pastorale (al più antico che si conosca in tutta la storia dell’Europa), il « ciclo culturale » che l’etnologia classica chiama dei « cacciatori e raccoglitori » o delle « orde ».

Molti dati di osservazione storica e sulla mentalità e il carattere posso qui avanzare per convalidare questa tesi, ma, soprattutto, varrà a convincere il lettore uno studio dei due principali e particolari istituti sociali del paese, e cioè la « vendetta » e la razzia.

Si tenga conto, innanzitutto, che Orgosolo, tra tutti i paesi della Barbagia, è ancora oggi il solo che conservi nel proprio territorio foreste quasi vergini, e sterminate, a differenza di tutti i paesi vicini che nel secolo scorso (come in tutta la Sardegna) ne sono stati spogliati da una specula[...]

[...]e questa tesi, ma, soprattutto, varrà a convincere il lettore uno studio dei due principali e particolari istituti sociali del paese, e cioè la « vendetta » e la razzia.

Si tenga conto, innanzitutto, che Orgosolo, tra tutti i paesi della Barbagia, è ancora oggi il solo che conservi nel proprio territorio foreste quasi vergini, e sterminate, a differenza di tutti i paesi vicini che nel secolo scorso (come in tutta la Sardegna) ne sono stati spogliati da una speculazione privata.

La selvaggina (diminuita fortemente in tutta la Barbagia) è più facile a trovarsi ancor oggi nel territorio di Orgosolo, e specie per razze zoologiche preistoriche, come i mufloni.

Nel corso della mia gita effettuata sul Supramonte ho avuto la fortuna di fare un ritrovamento archeologico di una certa importanza : in località « sas baddes » (le valli), ai limiti di un bosco che confina con un largo prato di terra alluvionale, e cioè un’antica palude, ho rinvenuto i resti di un abitato del neolitico (epoca della pietra levigata), costituito da una officina [...]

[...]ti di un abitato del neolitico (epoca della pietra levigata), costituito da una officina litica con frammenti di pugnali e punte di frecce; resti calcificati di ossa di animali, tra cui un teschio ben conservato di scimmia antropoide, bacini di bue e frammenti di animali da individuare; e numerosi residui di abbozzi statuari, tra cui, ben conservati, una testa di cinghiale e due di bue. Su questo ritrovamento (per il quale mi riservo, effettuati gli studi, di dare una comunicazione integrale) mi limito qui ad osservare

IINCHIESTA SU ORGOSOLO

45

come possa darci un elemento per congetturare la esistenza in Orgosolo, nel neolitico, di un popolo di cacciatori. L’etimologia stessa del nome del paese, secondo il più autorevole studioso di lingua sarda, Max Leopold Wagner, significa «guado, terreno acquitrinoso » palude (5). Ciò, presumibilmente, fa pensare ad un abitato di cacciatori.

Notizie storiche sugli abitanti di Orgosolo quali cacciàtori sono numerose ma di tradizione soltanto orale. Allo stato attuale non esiste più nel p[...]

[...]municazione integrale) mi limito qui ad osservare

IINCHIESTA SU ORGOSOLO

45

come possa darci un elemento per congetturare la esistenza in Orgosolo, nel neolitico, di un popolo di cacciatori. L’etimologia stessa del nome del paese, secondo il più autorevole studioso di lingua sarda, Max Leopold Wagner, significa «guado, terreno acquitrinoso » palude (5). Ciò, presumibilmente, fa pensare ad un abitato di cacciatori.

Notizie storiche sugli abitanti di Orgosolo quali cacciàtori sono numerose ma di tradizione soltanto orale. Allo stato attuale non esiste più nel paese un solo individuo che viva della sola caccia, ma sino a 50 anni fa, e specialmente tra i banditi, secondo notizie avute da quasi tutti gli abitanti, esistevano cacciatori abituali, di mestiere.

L’abitante di Orgosolo è conosciuto in tutta la Sardegna come un meraviglioso cacciatore. Abile, astuto, paziente, testardo in modo eccezionale egli si sopraeleva su tutti gli altri sardi, e specialmente nella caccia del cinghiale e del muflone (oggi interdetta), secondo qualità che possono discendere soltanto da tradizioni storiche.

Una antica caccia oggi scomparsa che per la sua singolarità vale qui a lungo ricordare era la caccia tra l’uomo e l’avvoltoio, da cui discendeva anche una sorprendente forma particolare di gioco. Questo antico gioco, di cui non ho qui più trovata traccia alcuna, ma che è assai vivo ancora nel ricordo di qualche vecchio orgolese era la « lotta » tra l’uomo e l’avvoltoio : non l'uccisione di un ani
(5) « Il guaio è che non conosciamo[...]

[...]simili disseminati nel cuore dell’isola. Proprio vicino ad Orgosolo vi è Badu Orghe, dunque un « guado » (teireno acquitrinoso); e una regione chiamata Orgolasi.

Certo non possiamo sapere se tutti questi nomi risalgono alla radice org di orgosa : per quelli cominciati con orgos lo riteniamo sicuro.

Il basco e il berbero non sembrano offrire nessun tipo affine; ma il greco antico (attico) ha 5pya « terra umida, grassa e fertile ».

La somiglianza di forma e di significato fra il vocabolo greco e il vocabolo sardo può essere un puro gioco del caso, ma ove il vocabolo greco fosse mutuato da qualche lingua asiatica — il che non ci pare inverosimile — si potrebbe anche trattare di lontane sopravvivenze mediterranee ». Bibliotheca romanica cdendam curat W. v. Wartburg. Series prima. Manualia e commentationes. III. La Lingua Sarda di M. L. Wagner. Casa editrice A. Francke. S. A. Berna (195IX PP 28991.■16

FRANCO CAGNETTA

male che assaliva le pecore, del nemico delle greggi, ma un ludo, nna mimesi, uno spettacolo che si generava da[...]

[...]iones. III. La Lingua Sarda di M. L. Wagner. Casa editrice A. Francke. S. A. Berna (195IX PP 28991.■16

FRANCO CAGNETTA

male che assaliva le pecore, del nemico delle greggi, ma un ludo, nna mimesi, uno spettacolo che si generava da quella lotta ragionevole.

In una fossa scavata nella terra l’orgolese poneva una carogna putrida di pecora, di capra, e se l’osceno odore non attirava l’avvoltoio, sulla cima di un’altura, in zona ventilata, egli uccideva ed arrostiva un cane. Giungeva ben presto da chilometri, da distanze incalcolabili, attirata dall’odor nauseabondo e dalla fame la fiera celeste, isolata o a schiere, e si avventava rutilante sulla carogna per ingozzarsi e riempirsi di carne marcia. Per distruggere gli avvoltoi l’orgolese, che oggi usa il fucile, poneva forti uncini di ferro legati a corde nelle carcasse, perché, ingoiandoli, nella sua ingordigia l’uccello potesse rimanere preso, accoppato, trucidato a colpi di pietra. Ma molte volte, trasformando tutto in una sottile pazzia, in un « gioco », senza mettere gli uncini, l’orgolese sfidava direttamente l’animale satollo, lo eccitava, lo aggrediva, e lo combatteva a colpi di bastone. Si scatenava una lotta barbara, terribile, una sfida tra forze umane e meramente animali, con la posta dello scempio e della morte: un mulinello di rostri e di bastoni, di penne, di ali, di braccia. Era la lotta più misteriosa, più antica e più segreta del paese. Risaliva a ragioni primitive della specie umana: suggeriva l’idea degli uomini che contendono al caos le distinzioni dell’essere, che cercano di distinguersi dalla forza del bruto con le astuzie, con l’intelligenz[...]

[...]ni, l’orgolese sfidava direttamente l’animale satollo, lo eccitava, lo aggrediva, e lo combatteva a colpi di bastone. Si scatenava una lotta barbara, terribile, una sfida tra forze umane e meramente animali, con la posta dello scempio e della morte: un mulinello di rostri e di bastoni, di penne, di ali, di braccia. Era la lotta più misteriosa, più antica e più segreta del paese. Risaliva a ragioni primitive della specie umana: suggeriva l’idea degli uomini che contendono al caos le distinzioni dell’essere, che cercano di distinguersi dalla forza del bruto con le astuzie, con l’intelligenza, il lavoro, lo strumento. L’orgolese giocava, mimava inconsciamente l’origine dell’uomo.

Anche il più grande zoologo di Sardegna del XVIII secolo, padre Francesco Cetti S.J., ricorda questa lotta (6).

Che l’abitante di Orgosolo fosse probabilmente un popolo cacciatore (e guerriero) può essere sottolineato anche, indirettamente, dall’abilità e dalia fama che in passato ha avuto, ed ha ancor oggi, come cavaliere. Gli orgolesi, chi li vede per la pr[...]

[...] astuzie, con l’intelligenza, il lavoro, lo strumento. L’orgolese giocava, mimava inconsciamente l’origine dell’uomo.

Anche il più grande zoologo di Sardegna del XVIII secolo, padre Francesco Cetti S.J., ricorda questa lotta (6).

Che l’abitante di Orgosolo fosse probabilmente un popolo cacciatore (e guerriero) può essere sottolineato anche, indirettamente, dall’abilità e dalia fama che in passato ha avuto, ed ha ancor oggi, come cavaliere. Gli orgolesi, chi li vede per la prima volta a cavallo, strappano un grido di entusiasmo. Basta guardarli con le gambe nervose e sottili strette alla pancia del cavallo, senza sella e senza staffa, slanciarsi con in mano la criniera tra uno svolazzo

(6) Francesco Cetti, Gli uccelli di Sardegna. Presso Giuseppe Piattoli. Sassari. MDCCLXXVI, p. 23.

IINCHIESTA SU ORGOSOLO

47

di pelli o di lucenti panni, tra balzi, dirupi, precipizi. I primi cavalieri di Sardegna.

L’amore quasi incredibile che l’orgolese porta per le armi, qualsiasi genere di armi, può essere un segno, ancora, della origine antichissima e lunghissima, da un popolo in eminenza di bellicosi cacciatori. Imbracciando il fucile oggi, come ieri la clava e l’arco con le frecce; l’orgolese sembra nato in quella positura.

I migliori tiratori sardi — e ne fa fede la tradizione dei banditi

—[...]

[...]HIESTA SU ORGOSOLO

47

di pelli o di lucenti panni, tra balzi, dirupi, precipizi. I primi cavalieri di Sardegna.

L’amore quasi incredibile che l’orgolese porta per le armi, qualsiasi genere di armi, può essere un segno, ancora, della origine antichissima e lunghissima, da un popolo in eminenza di bellicosi cacciatori. Imbracciando il fucile oggi, come ieri la clava e l’arco con le frecce; l’orgolese sembra nato in quella positura.

I migliori tiratori sardi — e ne fa fede la tradizione dei banditi

— discendono da Orgosolo.

Un altro elemento che potrebbe denunciare l’origine orgolese dai «cacciatori» è la generale crudeltà che essi dimostrano contro gli animali o gli uomini che lottano. Ho assistito, per esempio, all’uccisione di una pecora, ed ho avuta la netta impressione che il colpo inferto per la morte non è certo quello del pastore, dell’ex padrone della bestia, ma, piuttosto, quello del nemico, del cacciatore.

La crudeltà degli orgolesi per i cani, per es., è innaturale in un paese di pastori. Uno dei giochi infantili, ed adulti, degli orgolesi, è per es. quello della gratuita lapidazione di un cane, non sino alla ^ morte; ancora peggio, quello del suo completo spellamento sì che poi se ne scappi, ancora per poco, vivo; dopodiché succede, abitualmente, una vera orgia di fischi, di urla micidiali. Questa stessa crudeltà di cacciatori si può riscontrare, con evidenza, nella tortura, nell’omicidio, nello scempio di cadaveri. Da tale crudeltà, approfondita dalla macellazione nella società dei pastori, discende il carattere alquanto sanguinario, l’abitudine frequente al sangue.

Poiché il ciclo culturale dei « cacciatori » si [...]

[...]una vera orgia di fischi, di urla micidiali. Questa stessa crudeltà di cacciatori si può riscontrare, con evidenza, nella tortura, nell’omicidio, nello scempio di cadaveri. Da tale crudeltà, approfondita dalla macellazione nella società dei pastori, discende il carattere alquanto sanguinario, l’abitudine frequente al sangue.

Poiché il ciclo culturale dei « cacciatori » si accompagna sempre, o quasi sempre, con una attività specifica di « raccoglitori » vale qui citare un importante ed ancor esistente istituto che ha una forte sopravvivenza in Orgosolo (già diffuso in tutta la Sardegna) che è, esattamente, quello dell’« Ademprivio ».

L’« Ademprivio », il quale è un uso civico locale così diffuso e tenace che dai tempi della legislazione aragonese (1325) sino alle leggi italiane di abolizione (186577) era stato codificato come « diritto », è l’abitudine di tutto il paese di riunirsi per andare nei boschi, gratuitamente e senza ostacolo (ora soltanto per uno o due48

FRANCO CAGNETTA

periodi dell’anno) a fare legna, pietre, ghian[...]

[...]a, pietre, ghiande ed altri frutti che si trovino. L’ademprivio come « diritto » è rimasto sino ad oggi solo in Orgosolo.

In esso è da individuarsi il più antico e primitivo istituto agrario locale e, tenuto conto lo scarso sviluppo che sino ai nostri giorni ha avuto in Orgosolo l’agricoltura e potrebbe, forse — come in altre zone d’Italia dove esistono analoghi usi civici — avere le sue più lontane radici in una consuetudine propria a « raccoglitori ». Naturalmente avanzo questa ipotesi in modo solo dubitativo e non credo che si potrà mai effettuarne la comprova, mancando del tutto i documenti di tradizione ed i residui culturali che potrebbero certificarne quella origine.

Ma per indicare i caratteri probanti (e non soltanto ipotetici come i precedenti) di una origine dai cacciatori e raccoglitori (ciò che serve a chiarire il problema specifico strutturale e culturale della « turbolenza » di Orgosolo) vale qui studiare soprattutto e innanzitutto l’istituto della « vendetta », negli innesti e nelle proprie forme che ha preso nella società contemporanea dei pastori o nell’attuale ciclo culturale della « grande famiglia ».

L’istituto della vendetta, più che ogni altro, ha reso celebre Orgosolo negli ultimi anni non solo in tutt’Italia, ma in tutt’Europa. Per il numero dei reati ad essa connessi, e per la continuità e spettacolarità che essi presentano, si deve ritenere che, in questo settore, Orgosolo rappresenti, oggi, il più importante paese di tutt’Europa.

L’istituto della « vendetta », ben intesi, assai diffuso tra popolazioni a struttura economica e culturale primitiva in tutto il mondo, è stato largamente studiato per singole zone e codificato nei lineamenti generali dall’etnologia. Ma una ricerca sulla « vendetta » in Orgosolo non è stata neppur tentata (se non in articoli gior[...]

[...]tti, in tutte leINCHIESTA SU ORGOSOLO

49

società e le culture) e lo definisce, un fenomeno ideologico valido in assoluto, agevolato da strutture particolari e da particolari culture : ma fondamentalmente fatto « sacro », « ragione magica », « dovere ».

La « vendetta », che sempre si origina in strutture economiche che portano ad una formazione della società in gruppi « chiusi » trova sempre il suo movimento in un fatto culturale. Tutti gli uomini che si ritengono esistenti (discendenti e legati) in una singola unità il cui elemento comune è considerato ideologicamente il sangue in primo luogo, e, secondariamente, altro elemento ideologico come il totem in antico, l’amicizia modernamente ecc., all’atto in cui viene intaccata dall’esterno, da altri uomini (e nelle società « chiuse » da un altro gruppo analogo) la propria comune unità con spargimento di sangue od altra offesa, sentendo minacciata la comune esistenza e con ciò la propria e singola sentono la necessità di intervenire con un atto che in qualche modo tenga lontano ed [...]

[...]ligiosa, ad una « ideologia » staccata da ogni particolare società. Il problema è rimasto « astratto » : si fa ricorso a un « uomo » uguale

o valido per ogni società, a un uomo « eterno ».

Io credo che la soluzione del problema della « origine » o « necessità » della vendetta si possa invece collegare ad una particolare società economica e ad un particolare periodo storico dell’umanità: al ciclo definito in etnologia «dei cacciatori e raccoglitori».

È nota in etnologia la importanza decisiva che in tutte le società primitive ha la estensione o generalizzazione dell’« esperienza fondamentale », del lavoro principale in una singola e delimitata unità economica e sociale.50

FRANCO CAGNETTA

Il momento fondamentale per il ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » è la caccia, la lotta tra l’uomo e la bestia; una lotta fondamentale che coincide, altrettanto, con un momento generale, quale il momento del rischio della esistenza, della vita di fronte alla morte.

La connessione ideologica tra la caccia e la « vendetta » potrebbe, probabilmente, essersi generata in questo modo:

Il cacciatore vedendo in tutto il suo mondo che se si perde sangue, di uomo o di bestia, si perde la vita, ritiene, in modo primitivo, che il sangue è l’elemento fondamentale della vita, del mondo. Nel corso della sua esistenza il cacciatore trova, altrettanto, che lui e[...]

[...]e sangue, di uomo o di bestia, si perde la vita, ritiene, in modo primitivo, che il sangue è l’elemento fondamentale della vita, del mondo. Nel corso della sua esistenza il cacciatore trova, altrettanto, che lui e un suo « fratello » sono uniti nel sangue, per l’elemento fondamentale del mondo e della vita. Se un suo fratello è ferito, perde sangue e muore, essendo entrato in gioco l’elemento fondamentale della vita e del mondo, il sangue, anch’egli, avendolo in comune, è posto di fronte all’esperienza decisiva del rischio della esistenza, della vita di fronte alla morte. Nel momento della caccia, quando il cacciatore perde il sangue ed è in pericolo di vita, colpito dalla bestia, il solo modo che ha di non continuare a perder sangue e non morire è quello di far perder sangue alla bestia e farla morire. L’unico modo proprio di difendersi e salvarsi, cioè, si configura come il solo modo di ferire e far morire. L’estensione di questa esperienza della caccia a tutta la vita, al mondo totale — secondo la generalizzazione propria del primitiv[...]

[...]zione propria del primitivo — conduce alla applicazione generale anche nella sola società umana, ai rapporti tra soli uomini, nella lotta tra uomo e uomo. Si ingenera la « vendetta ».

La « vendetta », nasce e non può nascere che da una società di cacciatori; la sua estensione può avvenire solo quando questa attività sia preminente: cioè in un «ciclo culturale» di cacciatori che è, appunto, noto all’etnologia come « ciclo dei cacciatori e raccoglitori ».

Rimane il problema della sua persistenza in un qualsiasi ciclo che gli si sostituisca, e, per esempio, nel ciclo dei pastori della « grande famiglia », nel quale l’« esperienza fondamentale », il lavoro principale non è più, certamente, la caccia ma la domesticazione e l’allevamento.INCHIESTA SU ORGOSOLO

51

Secondo gli studi del Mòdlig, Schmidt, Montandon, Menghin, è nota la tendenza, suffragata da numeroso materiale, a far discendere il ciclo dei pastori della « grande famiglia » da un precedente ciclo di « cacciatori e raccoglitori ».

Con la cattura dell’animale (un momento fondamentale della caccia oltre l’uccisione), nel ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » si viene ad introdurre gradualmente un’altra esperienza importante: ila domesticazione, poi l’allevamento. Il momento di passaggio da questo primo ciclo al secondo, lungo a yolte per millenni, non è certo ricostruibile, né si può dire che esso sia originato od importato. Rimane però un forte legame tra il ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » e quello dei pastori; e la stessa cultura di questi, specialmente nella «grande famiglia», viene molto influenzata.

Sebbene si sia passati dalla lotta cruenta alla domesticazione e aH’allevamento, rimane pur sempre come « esperienza fondamentale », lavoro principale del nuovo ciclo, il rapporto tra l’uomo e la bestia. Un momento subordinato di questo, ma importantissimo, e residuo di quel ciclo precedente, è ancora quella pur sempre cruenta lotta che è l’uccisione dell’animale domesticato e allevato, la macellazione della pecora. Il generale ambiente ideologico proprio della società dei cacciatori, il cui elemento fondamentale è il « sangue », con la formazione della società [...]

[...]rincipale del nuovo ciclo, il rapporto tra l’uomo e la bestia. Un momento subordinato di questo, ma importantissimo, e residuo di quel ciclo precedente, è ancora quella pur sempre cruenta lotta che è l’uccisione dell’animale domesticato e allevato, la macellazione della pecora. Il generale ambiente ideologico proprio della società dei cacciatori, il cui elemento fondamentale è il « sangue », con la formazione della società dei pastori in una famiglia sempre più forte che si riconosce legata per elemento fondamentale col « sangue », viene qui ribadito e, per questo verso, rafforzato.

Dove, come quasi sempre avviene, la coesistenza dei due diversi cicli permane e una società di cacciatori nell’insieme mantiene un peso consistente rispetto alla società dei pastori, la cultura generale del primo ciclo ha fortissime possibilità, certamente, di persistere.

Per il caso di Orgosolo queste leggi mi pare che possano benissimo essere comprovate. La società di Orgosolo, società antichissima di pastori e di cacciatori sopravvissuti sino al seco[...]

[...]ra generale del primo ciclo ha fortissime possibilità, certamente, di persistere.

Per il caso di Orgosolo queste leggi mi pare che possano benissimo essere comprovate. La società di Orgosolo, società antichissima di pastori e di cacciatori sopravvissuti sino al secolo scorso, presenta per i suoi caratteri strutturali e culturali tutte le condizioni per l’esercizio della « vendetta ».

E più la società è chiusa in grossi gruppi (« grandi famiglie »)52

FRANCO CAGNETTA

e la mentalità o cultura si limita nel circolo ristretto e primitivo che ne discende, più la « vendetta » ha motivò di divampare ed incendiare in tutto il paese come legge generale interna della società. Diviene allora « disamistade » (inimicizia).

Una osservazione attenta ed analitica dei modi propri, passati e presenti, della « vendetta » in Orgosolo ci permette da un lato di ricavare preziosi elementi che comprovano l’esistenza di una mentalità o cultura (di un’« anima ») primitiva, per dirla con Levi Bruhl; e, dall’altro, di individuare in essa un uso così [...]

[...]ive, a cura di E. Besta, nella rivista: Studi sassaresi pubblicati per cura di alcuni professori della Università di Sassari. Anno III, sez. I. Tip. G. Dessi, Sassari, 190304, pp. 222.INCHIESTA SU ORGOSOLO

53

tori di « vendette » in Orgosolo e principali superstiti della grande « disamistade », oggi sui 70 anni, hanno avuto a dirmi che un ucciso, se non si sopprime il colpevole deH’assassinio, torna « a gridare e sbraitare » nella sua famiglia e nel suo parentado; e che una «goccia di sangue», non corrisposta, porta «sfortuna» a tutta la famiglia e al parentado che l’ha versata.

Queste due antiche credenze, proprie di un mondo magico, anteriori, sono oggi generalmente prese in poca considerazione e sostituite quasi sempre da postulazioni di principio che richiamano l’« onore », il « prestigio ». Avendole riferite ad anziani e soprattutto ai giovani le ho viste quasi sempre derise come « stupidaggini di vecchi » ma, persino tra i più scettici, ho sempre trovato di fronte ad esse una certa sospensione e, in qualche caso, persino un dubitoso riaffiorare di quell’antica superstizione.

La « vendetta » come istituto giuridico si pres[...]

[...]imento. Per una idea concreta del movimento di una « vendetta » in Orgosolo rimando il lettore al mio citato studio sulla famosa «vendetta» tra i Cossu e i Corraine durata in Orgosolo dal 1905 al 1927 con innumerevoli fatti di sangue e uccisioni.

Una legislazione generale della « vendetta » non esiste, ovviamente, in codice scritto o in un codice vero e proprio che si tramandi oralmente, tuttavia nel costante ritordo di « vendette » che hanno gli orgolesi è rintracciabile un vero e proprio « corpus » consuetudinario di usi e tradizioni a cui mantengono sempre fede.

Posso indicare qui intanto le leggi generali più costanti e rispettate, che è possibile rintracciare, in modo vario, tra quasi tutte le società in cui si pratica la « vendetta ».

Alla « vendetta » in Orgosolo partecipano tutti i membri ma54

FRANCO CAGNETTA

schi delle « grandi famiglie » implicate (i congiunti più prossimi, i famigliati, gli affiliati come compari amici, ecc.) dall’età puberale sino a tarda vecchiaia. La limitazione al solo mondo maschile (non ho notizie di « vendette » eseguite da donne) discende certamente dall’essersi l’istituto originato in ima società di cacciatori, e cioè una società già organizzata in una divisione di lavoro maschile e femminile, riprodotta e ribadita nella successiva società dei pastori.

Secondo il modo della « vendetta » riscontrabile in tutte le forme di società divise in grandi gruppi « di sangue » a questa partecipano tutti gli interessati con una « solidarietà attiva » (colpire il[...]

[...]e al solo mondo maschile (non ho notizie di « vendette » eseguite da donne) discende certamente dall’essersi l’istituto originato in ima società di cacciatori, e cioè una società già organizzata in una divisione di lavoro maschile e femminile, riprodotta e ribadita nella successiva società dei pastori.

Secondo il modo della « vendetta » riscontrabile in tutte le forme di società divise in grandi gruppi « di sangue » a questa partecipano tutti gli interessati con una « solidarietà attiva » (colpire il responsabile o uno del suo gruppo) ed una « solidarietà passiva » (accettare la responsabilità del colpevole in tutto il gruppo da cui sia uscito).

I moventi della « vendetta » sono in Orgosolo, legati come ovunque ad un danno «economico», in primo luogo quelli primari o «naturali» di versamento di sangue umano vero e proprio (omicidio e ferimento); in secondo luogo quelli secondari o «artificiali» come il versamento di sangue di animali (sgarrettamenti), esteso poi a qualsiasi danno, furto di pecore, furto e danneggiamento di campagne[...]

[...]) come per lo stupro, esteso poi a ratto, rottura matrimoniale ecc. Un elemento « artificiale » considerato però come offesa al « sangue », ed assai importante in Orgosolo, è ancora la denunzia alla estranea autorità statale, carabinieri, polizia, magistratura ecc.

I perseguibili per « vendetta » sono in Orgosolo il responsabile diretto, senza distinzione di età e di sesso, poi il padre più importante del gruppo avverso, « su mannu », e tutti gli uomini in ordine di importanza e di età, non esclusi i bambini, come più volte ebbe a verificarsi durante la « disamistade ».

L’interesse particolare e proprio della « vendetta » in Orgosolo, oltre questi caratteri generali, sta però nel fatto che durante il suo esercizio si profila un vero e proprio « processo penale » secondo il modo della più antica tradizione sarda conosciuta, appunto, attraverso la « Carta de logu ».

Cercherò di indicare i singoli momenti secondo moderne corINCHIESTA SU ORGOSOLO

55

rispondenze, tenendo presente che nel « processo orgolese », naturalmente, es[...]

[...]ORGOSOLO

55

rispondenze, tenendo presente che nel « processo orgolese », naturalmente, esiste sempre una grande rozzezza e, spesso, una contemporaneità di momenti.

Avvenuto il fatto di sangue e l’offesa vi è, dapprima, la « denunzia ».

Il carattere di questa è generico, privato e pubblico, indirizzata a tutto il proprio gruppo di « sangue » e, come monito, al gruppo di « sangue » che è colpito. È manifestata attraverso parole di cordoglio e di ira, segni visibili di lutto e « lamenti funebri ». Ogni orgolese non si rivolgerà mai o quasi mai, o soltanto formalmente, ad una estranea autorità statale: molte volte questo atto è considerato come un reato altrettanto grave che il fatto di sangue od ogni altra offesa.

Alla denunzia segue subito l’« indagine ».

Questa è effettuata dall’individuo maggiormente colpito, parente, compare, amico ecc. e più volte in un concorso collettivo. Qualche volta, ma raramente, ci si attiene alla voce pubblica che indica l’uccisore, il feritore, il colpevole di danneggiamento, di furto ecc.; m[...]

[...]’ovile non sanno giustificarsi e non fanno il nome dei colpevoli vengono « ipso facto » ritenuti per colpevoli.56

FRANCO CAGNETTA

Al momento dell’indagine segue quello del « giudizio ».

L’amministratore del processo, il protagonista, secondo un antico uso codificato ancora nella « Carta de Logu » non è generalmente uno solo ma abitualmente un piccolo consesso. Di esso fanno parte l’individuo maggiormente danneggiato cui si uniscono famigliari, compari, amici, che svolgono una o più discussioni sull’entità del reato, sulla colpevolezza del sospetto, sul modo di punire. Una sentenza viene emessa dall’individuo maggiormente colpito o dal membro più autorevole del consesso con il consenso di tutti gli altri.

Indicherò qui, dapprima, quel tipo di sentenza che si chiude sempre con la decisione di uno spargimento di sangue. Per i reati minori viene di solito stabilito che si cominci con mio spargimento di sangue animale, sgozzamento di pecore o sgarrettamento più abitualmente (e cioè taglio dei tendini di una gamba, così che l’animale diventi inservibile). Per i reati più gravi — e sempre per l’omicidio — viene abitualmente comminata sentenza capitale.

L’imputato non viene ammesso al giudizio e, tenuto all’oscuro, non gli si dà la possibilità di difendersi, adducendo prove, testimoni e avvocati rudimentali.

Esiste però in Orgosolo una sorta di « citazione » che consiste in alcuni segni simbolici premonitori, legati in generale a una simbologia di sangue, come lo sgozzamento o lo sgarrettamento di una pecora davanti alla casa od all’ovile di chi ha offeso, la deposizione, quivi, di qualche palla di fucile o altro oggetto mortale, qualche croce di asfodelo, bandiere nere e così via.

A termine del giudizio interviene la designazione dell’« esecutore ». L’esecuzione è delegata generalmente tra gli stessi giu[...]

[...]one » che consiste in alcuni segni simbolici premonitori, legati in generale a una simbologia di sangue, come lo sgozzamento o lo sgarrettamento di una pecora davanti alla casa od all’ovile di chi ha offeso, la deposizione, quivi, di qualche palla di fucile o altro oggetto mortale, qualche croce di asfodelo, bandiere nere e così via.

A termine del giudizio interviene la designazione dell’« esecutore ». L’esecuzione è delegata generalmente tra gli stessi giudicanti all’individuo più colpito o al più importante o capace del consesso. Raramente si ricorre, malgrado si dica il contrario, a un esecutore professionale o a un sicario che è in generale un bandito. L’esecutore non è mai delegato da solo ma con esecutori supplementari i quali, per le ragioni tecniche dell’omicidio, sono necessari, in generale, come guardia del corpo, pali, protettori.

È di straordinario interesse rilevare che l’esecuzione della sentenza viene delegata non ad un solo individuo ma sempre aINCHIESTA SU ORGOSOLO

57

più di uno poiché l’antico diritto sardo[...]

[...]ellato » in Sardegna — un istituto diffuso d’altronde nel medioevo in tutta Europa con nomi e forme varie — è molto lunga e complessa, con continua soppressione e restaurazione, poiché quasi sempre si trasforma in vere associazioni a delinquere, ma è pur sempre necessario per sostituire la forza pubblica statale qui impotente ed inadeguata. In Orgosolo in quest’anno non esisteva la «compagnia baracellare» poiché due o tre anni fa si è dovuta sciogliere per delitti da essa compiuti e non si è potuta riattivare per un collettivo rifiuto della popolazione a farne parte.

L’applicazione della sentenza avviene con il momento della « esecuzione ». In generale in Orgosolo prima della esecuzione avviene anche una specie di « notificazione » della sentenza.

Al giustiziando gli esecutori, a viso aperto o mascherato, ripetono in breve le ragioni che lo hanno portato alla morte e, immantinente, lo uccidono.

I modi di assassinio in Orgosolo (e si potrebbe farne un Grand58

FRANCO CAGNETTA

Guignol) sono di ogni tipo, in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni circostanza.

Generalmente si usa oggi il mitra ma, indifferentemente, anche il fucile, poco la rivoltella, la scure, il pugnale, la pietra, le mani per strangolare. Assai diffuso è l’omicidio operato precipitando il giustiziato in un pozzo o in una nurra, sì che al tempo stesso, ne scompaia il cadavere. Scon[...]

[...] pozzo o in una nurra, sì che al tempo stesso, ne scompaia il cadavere. Sconosciuto, invece, è l’omicidio per avvelenamento.

L’audacia orgolese nell’uccidere sulla pubblica piazza, davanti alla casa sulla strada, davanti alla caserma dei carabinieri ecc. ha una fama in tutta la Sardegna. L’omicidio avviene però sempre in modo tenebroso e non conosco casi di omicidi avvenuti dopo rissa

o colluttazione a viso aperto. La capacità di sparire degli assassini di Orgosolo ha altrettanto, in tutta la Sardegna, larga fama.

Si può dire che al delitto segua sempre P« esemplarità ». Il cadavere viene abbandonato, generalmente, in luogo visibile o trascinato, a volte, davanti alla casa, né si tralascia mai di lasciargli qualche sfregio, mutilazione o scempio visibile. Per quanto si possa sostenere l’influenza in questo delle leggi spagnole, questo uso è in verità assai più antico, se si ritrova codificato nella « Carta de Logu », e risale, addirittura, a presupposti e residui di cultura e mentalità primitiva. In generale sono quasi legge in Orgosolo due mutilazioni: il taglio delle orecchie per i ladri di pecore, poiché le pecore portano da antichissimo tempo il segno di proprietà sull’orecchio (esiste persino un termine locale per indicare i tagliatori di orecchie: «sos muzzurros »); e il taglio della bocca sino alle orecchie per i falsi testimoni, come è comprensibile. La mutilazione di una parte ritenuta particolarmente responsabile per il tutto è uso caratteristico ed assai conosciuto in tutte le società primitive.

Quando ad Orgosolo si uccide si ha l’impressione che sia stata eseguita una sentenza capitale. E l’omicida può sparire in mezzo alla gente e quasi confondere la sua responsabilità in una responsabilità più larga e più profonda. Dopo queste esecuzioni il paese rimane generalmente tranquillo e non è per timore di rappresaglie e tanto meno per « omertà » (che è un term[...]

[...]te ritenuta particolarmente responsabile per il tutto è uso caratteristico ed assai conosciuto in tutte le società primitive.

Quando ad Orgosolo si uccide si ha l’impressione che sia stata eseguita una sentenza capitale. E l’omicida può sparire in mezzo alla gente e quasi confondere la sua responsabilità in una responsabilità più larga e più profonda. Dopo queste esecuzioni il paese rimane generalmente tranquillo e non è per timore di rappresaglie e tanto meno per « omertà » (che è un termine esterno) che cadeINCHIESTA. SU ORGOSOLO

59

nel silenzio anche l’eco dei misfatti. È piuttosto, e solamente, l’antichissima « legge » di Orgosolo.

Il vecchio principio primitivo che la vendetta è inestinguibile (quello appunto che conduce all’assassinio) è però attenuato anche in Orgosolo da qualche principio che la considera estinguibile (e così conduce a punizioni « minori »).

In generale si possono dire aumentate le vendette « minori » o

lo spargimento di sangue « secondario » che si ha con lo sgozzamento e sgarrettamento di pec[...]

[...]d es., di invasione abusiva di pascolo o di seminato da parte di una pecora

o di un gregge. Il danneggiato ha il diritto di fare immediatamente l’esecuzione della bestia, o di più bestie, consegnandone il cadavere,

o i cadaveri, al loro proprietario. È dato ritrovare in questo modo un antico principio di riscatto sacrificale, di « simbolica » vendetta,60

FRANCO CAGNETTA

che nel medioevo, per es. si può ricollegare ai processi contro gli animali. L’uso di questo era così vasto e diffuso che la « Carta de Logu » e la legislazione spagnola lo stabiliscono come istituto che prende il nome di « maquizia ».

Ma ancor più che nell’« abbonamento » il principio della conciliazione o della « vendetta simbolica » ha la sua manifestazione più importante in Orgosolo nelle « paghes » (paci) che di tanto in tanto si realizzano.

Ogni volta che si sia verificato un eccesso di delitti (omicidi, ecatombi di bestiame ecc.) rovinoso per le famiglie e le proprietà di ambo i gruppi in contesa si può addivenire, in generale tramite «pacificato[...]

[...]he la « Carta de Logu » e la legislazione spagnola lo stabiliscono come istituto che prende il nome di « maquizia ».

Ma ancor più che nell’« abbonamento » il principio della conciliazione o della « vendetta simbolica » ha la sua manifestazione più importante in Orgosolo nelle « paghes » (paci) che di tanto in tanto si realizzano.

Ogni volta che si sia verificato un eccesso di delitti (omicidi, ecatombi di bestiame ecc.) rovinoso per le famiglie e le proprietà di ambo i gruppi in contesa si può addivenire, in generale tramite «pacificatori» (che sono sempre uomini del paese e mai autorità statali, vescovi ecc., come si dice), ad ima serie di abboccamenti e, poi, ad un concilio generale, al quale intervengono tutti i responsabili (assassini), e i padri e membri importanti delle parti, al fine di discutere e di cercare un qualche accordo che, generalmente oggi, si svolge su un terreno di interesse, di compensazioni pecuniarie. È questo il caso, per es. delle celebri « paghes » tra i Cossu e i Cornine, dopo 22 anni di lotta accanita e [...]

[...]i « paghes ». Anche qui lo spargimento di sangue animale ha il valore di riscatto simbolico del sangue versato in tutte le precedenti vendette.

L’istituto della «vendetta» è così diffuso nel paese di Orgosolo che si può ritenere, a mio parere, inestinguibile, almeno finoINCHIESTA SU ORGOSOLO

61

a che non saran modificati la struttura più profonda dell’economia del paese ed i più profondi rapporti sociali di struttura delle « grandi famiglie ».

Il continuo alimento alla vendetta viene dato ora (e, naturalmente, anche in passato) oltre che dalla lotta tra le grandi famiglie, dalla lotta sociale tra le due classi, tra i ricchi e i poveri. Questa si articola così largamente nella « vendetta » che si deve cercare in essa, di volta in volta, lo sviluppo proprio e locale di una primitiva lotta di classe.

L’istituto della « vendetta » contribuisce così grandemente alla formazione della mentalità e del carattere degli orgolesi che, per il suo esercizio millenario, si può dire che, quanto nessun altro in Italia, questi possono considerarsi un antico popolo guerriero che, per concorrenza di economia e di cultura, è riuscito a sopravvivere sino ai nostri giorni.

Ma per porre in evidenza questo carattere « guerriero » (che è un aspetto generale della discendenza dai «cacciatori e raccoglitori») bisogna indubbiamente studiare l’altro istituto, a questo fine più interessante: la «bardana».

L’istituto della « bardana » o razzia è un istituto locale antichissimo.

Le sole notizie che si hanno su tutta la regione delle montagne già piene di foreste che circondano Orgosolo, (la Barbagia), dalla epoca delle più antiche popolazioni locali, che si può far risalire al 5000 a C., sino ai nostri giorni, non parlano che di popoli locali che, riuniti in piccoli gruppi, discendevano nei vicini territori a rapinare bestiame e prodotti agricoli, a devastare abitati, ad attaccare e spoglia[...]

[...]n istituto locale antichissimo.

Le sole notizie che si hanno su tutta la regione delle montagne già piene di foreste che circondano Orgosolo, (la Barbagia), dalla epoca delle più antiche popolazioni locali, che si può far risalire al 5000 a C., sino ai nostri giorni, non parlano che di popoli locali che, riuniti in piccoli gruppi, discendevano nei vicini territori a rapinare bestiame e prodotti agricoli, a devastare abitati, ad attaccare e spogliare le truppe colà inviate o più raramente stanziate, disparendo, quasi sempre irraggiungibili, tra le foreste e nelle montagne.

Per il periodo « preistorico » o Nuragico, per il quale non esistono notizie scritte, si può dedurre dai monumenti archeologici, e specialmente dai « bronzetti sardi » ritrovati in Barbagia, che questi popoli dovevano essere organizzati in società di guerrieri, cacciatori e pastori. Per il periodo cartaginese (VIIV sec. a. C.) Pausania e Diodoro ci parlano di predoni che, continuamente turbolenti, ave62

FRANCO CAGNETTA

vano impedito la occupazione del loro [...]

[...]uto fare altro che limitarli con ima cintura militare nel loro territorio, dando a questo il nome di Barbaria, terra non romana. Non diverse sono le notizie medioevali da papa Gregorio I ai documenti del « Codice diplomatico », e così per l’epoca moderna in raccolte di leggi, documenti di polizia, libri di viaggiatori ecc.

In tutto il mondo sono conosciuti popoli consimili come, per es., nell’antichità i Germani i Celti, i Baleari, i Pannoni, gli Sciti i Parti ecc.; nell’epoca medioevale gli Unni, i Vandali ecc.; nella epoca contemporanea i Berberi, i Beduini, gli Arabi ecc.; ma l’esistenza ancor oggi di popoli predoni nel territorio italiano è una sorpresa per la maggior parte degli italiani.

E, in verità, l’attività dei predoni di Barbagia (limitata oggi soprattutto al paese di Orgosolo) costituisce per le popolazioni confinanti (Fonni, Urzulei Oliena, Villagrande ecc.) e per quelle delle pianure in cui scendono in transumanza (Campidani, Baronia, Ogliastra, Gallura ecc.) uno dei problemi più gravi come è tra i più gravi della economia di Sardegna.

Uno studio attento ed analitico delle forme e dei modi della « bardana » o razzia orgolese può permettere di mettere in evidenza elementi speciali che si devono far risalire non alla struttura economica e sociale del ciclo odierno della « grande famiglia », ma piuttosto a quello del ciclo anteriore dei « cacciatori e raccoglitori ». Al tempo stesso, può porre in rilievo che la serie dei reati connessi non possono catalogarsi tranquillamente tra quelli di « delinquenza comune » : furto, abigeato, grassazione ecc.

La larghezza e l’intensità dell’esercizio della « bardana » devono farla ritenere invece, e piuttosto, un « istituto » sociale discendente dalle origini e sopravvissuto in questo paese.

Alla « bardana », innanzitutto — e questo elemento sorprende chi si avvicini al problema — prendono parte quasi sempre non delinquenti comuni ed elementi abnormi dalla società riuniti inINCHIESTA SU ORGOSOLO

63
[...]

[...]neo, transitorio. Compiuta la « bardana », e magari una sola in tutta la loro vita, essi ritornano alle abituali occupazioni. La « bardana » è per la coscienza comune e per la coscienza giuridica locale un lavoro come un altro, un affare qualunque e, per questo aspetto, può essere considerato un fenomeno come per es. il contrabbando in alcune particolari società di zone di frontiera.

Alla « bardana » in Orgosolo partecipano, in generale, solo gli uomini (non ho notizie di « bardane » fatte da donne) senza limitazione di età (dall’età puberale a tarda vecchiaia), e di ogni mestiere, famiglia e classe sociale.

I modi di costituire la associazione per la « bardana », tenuto presente il criterio generale di una scelta per capacità naturale ed esperienza, avvengono, di volta in volta, in Orgosolo, in due modi particolari: questi corrispondono, in grandi linee, ai due modi particolari delle due grandi e rudimentali classi sociali del paese.

II primo modo (che è quasi sempre quello dei « poveri » organizzati in (( bardana » per arricchirsi alle spalle di un <( ricco ») è per <( invito »: il promotore o i promotori invitano i prescelti, generalmente tra i parenti e amici; ognuno [...]

[...] generalmente attraverso un loro delegato o più delegati, ad invitare ed arruolare i prescelti, generalmente tra parenti od amici dei delegati. Forni scono Parmamento, il vitto, qualche genere voluttuario come vino e tabacco e sempre, o quasi sempre, una quota fissa di ingaggio,64

FRANCO CAGNETTA

salario del delitto; il bottino va al promotore o ai promotori con percentuale al delegato o ai delegati e, qualche volta, con un premio a tutti gli arruolati, uguale o proporzionale alla parte avuta.

L’organizzazione di rapine da parte di «ricchi» è la «bardana» abituale: si può dire che la «bardana» è la via maestra della formazione della proprietà.

Questo fatto è stato più volte documentato.

I proprietari di Oliena, paese confinante con Orgosolo, il 1870 così scrivevano in petizione al Parlamento : « i delinquenti sono tra le persone tenute per buone e per condotta e per posizione sociale... meriterebbe la sua seria attenzione il sapere che questi individui così riuniti ad hoc non sono banditi né persone miserabili, ma tra i p[...]

[...] povero ed il pezzente spesse volte cala nella rete della giustizia e ne riporta la meritata pena, ma i grossi delinquenti che hanno agio e modo riescono ad eluderla. I furti più grossi si commettono col concorso di molti, e quelli che ne sono la mente e l’anima trovano il modo di mostrarsi al pubblico al momento che il reato viene consumato.... Il numero stragrande dei furti non potrebbe avere luogo senza l’aiuto di coloro che con biechi fini vogliono arricchirsi senza badare ai mezzi, e costoro non li troviamo tra i poveri, ma sibbene tra coloro che del furto non hanno bisogno per vivere, tra gli agiati» (10). Il colonnello On. PaisSerra il 1896 nella inchiesta parlamentare da lui condotta sulle condizioni della p. s. in Sardegna per incarico di Crispi, così scriveva: «Non è raro il caso che partecipino a rapine agiati pastori, e spesso ve ne ha di coloro che seguitano i loro affari, resi più prosperi dal bottino ricavato in siffatte

(9) Avv. G. M. LeiSpano, Presidente dell’Associazione Economica Sarda. La questione sarda. Con dati originali e prefazione di Luigi Einaudi. Bocca, Torino, 1922, pp. 112.

(10) Egidio Castiglia, Undici anni nella zona delinquente. Dessi, Sassari, 189[...]

[...]ndotta sulle condizioni della p. s. in Sardegna per incarico di Crispi, così scriveva: «Non è raro il caso che partecipino a rapine agiati pastori, e spesso ve ne ha di coloro che seguitano i loro affari, resi più prosperi dal bottino ricavato in siffatte

(9) Avv. G. M. LeiSpano, Presidente dell’Associazione Economica Sarda. La questione sarda. Con dati originali e prefazione di Luigi Einaudi. Bocca, Torino, 1922, pp. 112.

(10) Egidio Castiglia, Undici anni nella zona delinquente. Dessi, Sassari, 1899, pp. 8284.INCHIESTA SU ORGOSOLO

65

imprese; e se non se ne vantano non se ne sentono però né rimorso né vergogna, come se si trattasse di agiatezza acquistata (11) ».

Se i « ricchi » sono i promotori della « bardana » per arruolamento, gli arruolati sono, in generale, rintracciabili tra i « poveri ». Scriveva il PaisSerra : « È altrettanto vero che la forza bruta viene arruolata tra i miserabili. Se la volontà iniqua che li dirige non trovasse questo facile strumento di sua nequizie non potrebbe con tanta frequenza manifestarsi in orribili fatti » (12). Poiché per compiere la « bardana » occorre sempre qualcuno che conosca le persone da rapinare, le sue abitudini, i luoghi, in generale si deve ritenere che partecipano soprattutto ad essa i « servi », servi pastori o servi di casa.

Per quanto riguarda i rapporti generali inte[...]

[...]n orribili fatti » (12). Poiché per compiere la « bardana » occorre sempre qualcuno che conosca le persone da rapinare, le sue abitudini, i luoghi, in generale si deve ritenere che partecipano soprattutto ad essa i « servi », servi pastori o servi di casa.

Per quanto riguarda i rapporti generali interni dei componenti una « bardana », se si esclude il caso di quelle, e specialmente dei « poveri », nella quale tra tutti i membri esiste una uguaglianza, si deve ritenere che abitualmente esiste un capo con potere, qualche volta, di vita o di morte sui dipendenti. L’organizzazione, in generale, è strettamente gerarchica, quasi militare: in alcune «bardane » i componenti son indicati, persino, da un numero progressivo.

L’armamento della « bardana », sia quello rudimentale e improvvisato della « bardana » dei poveri, sia quello organizzato della « bardana » dei ricchi, è composto non solo di armi di fortuna (pugnali, schioppi, rivoltelle, fucili) ma di tutte le armi più moderne ed oggi, in generale, mitra. La provenienza dell’armamento è[...]

[...]otta per il possesso di territorio di pascolo e il saccheggio di tutte le case.

Dal medioevo le lotte per il possesso di territorio di pascolo è stata, con continuità, una delle forme più gravi e più famose di « bardana ». Le lotte contro il comune di Locoe, ad es., sono vive tuttora nel ricordo dei vecchi orgolesi. L’intero paese, armato, a piedi e a cavallo, scendeva a torme per battersi ogni tanto con quello di Locoe in vere e proprie battaglie. Il territorio, a poco a poco conquistato dagli orgolesi, era militarmente presidiato, e si accendevanoINCHIESTA SU ORGOSOLO

67

continuamente conflitti con diecine e diecine di morti. Dopo tanto sangue, il 1845 Locoe veniva completamente spopolata e distrutta e la tradizione vuole che ciò sia avvenuto per avvelenamento di tutte le acque ad opera di orgolesi.

Il saccheggio di tutte le case di un vicino paese, è uno dei feno meni più impressionati della storia di Sardegna. Per darne un esempio vivo darò qui la descrizione di uno assai celebre compiuto in Tortoli il 13 novembre 1894, che contiene tutti gli elementi di questa forma c[...]

[...]ine e diecine di morti. Dopo tanto sangue, il 1845 Locoe veniva completamente spopolata e distrutta e la tradizione vuole che ciò sia avvenuto per avvelenamento di tutte le acque ad opera di orgolesi.

Il saccheggio di tutte le case di un vicino paese, è uno dei feno meni più impressionati della storia di Sardegna. Per darne un esempio vivo darò qui la descrizione di uno assai celebre compiuto in Tortoli il 13 novembre 1894, che contiene tutti gli elementi di questa forma classica di « bardana ».

A mezzanotte, da 100 a 500 grassatori orgolesi a cavallo, armati di moschetti, erano penetrati, silenziosi, in quel paese. Circondata la caserma dei carabinieri, e dispostisi nelle vie in modo da poter controllare tutte le case, avevano cominciato a sparare contro le finestre, cacciando urla acutissime per intimidazione. Dalla caserma de} carabinieri avevano risposto al fuoco con due o tre fucilate e, allora, un gruppo di orgolesi, entrato con la forza, aveva massacrato i pochi uomini di guarnigione. Numerosi grassatori e bande, sfondate co[...]

[...]ndo e compiendo ferimenti ed uccisioni. Solo le donne, non una esclusa, venivano rispettate.

Nella casa del proprietario Pau, fratello del vescovo di Lanusei, che era il principale obbiettivo della «bardana», si tenevano in oro 2500 lire, 1500 monete russe, 1250 monete di Venezia, 20 sterline, calici d’oro, oggetti di chiesa, gioielli, argenterie, orologi; e inoltre, fucili, pistole, munizioni. Nella casa, il proprietario, era assente e sua moglie e nove figli si erano salvati per un grande foro sopra il tetto, tenuto sempre pronto per qualsiasi eventualità. Era stato ucciso un servo, non si sa se perché aveva tentato di difendere i beni del padrone, o per eliminare un complice o testimoni pericolosi. Compiuto il furto, come per incanto i grassatori erano scomparsi dal paese. Il sindaco di Tortoli e altri 2 o 3 uomini usciti dalle case, erano usciti qualche ora dopo nelle campagne e qui avevano rinvenuto il cadavere di un grassatore, morto per ferite ricevute dalle fucilate dei carabinieri: aveva fattezze signorili, mani bianche e fini, era complet[...]

[...]o di difendere i beni del padrone, o per eliminare un complice o testimoni pericolosi. Compiuto il furto, come per incanto i grassatori erano scomparsi dal paese. Il sindaco di Tortoli e altri 2 o 3 uomini usciti dalle case, erano usciti qualche ora dopo nelle campagne e qui avevano rinvenuto il cadavere di un grassatore, morto per ferite ricevute dalle fucilate dei carabinieri: aveva fattezze signorili, mani bianche e fini, era completamente spogliato, e con la testa staccata e asportata dal busto, che i suoi compagni avevano portato con loro per evitare il ri68

FRANCO CAGNETTA

conoscimento. Nessuno dei grassatori è stato poi mai identificato.

Diecine e diecine di simili « bardane » hanno subito dagli orgolesi quasi tutti i paesi vicini e, seppur in questa forma si possano dire scomparse, (ma da poco), il ricordo dei grandi predoni di Orgosolo rimane tra tutti quegli abitanti.

Da qualche anno rapine simili sisvolgono, di tanto in tanto, solo contro qualche casa o qualche gruppo isolato di case, e le grandi « bardane » contro i paesi vicini, si svolgono, e sempre meno in vero, soprattutto nelle campagne con furto di intere greggi, di torme di buoi, di mandrie di capre, di branchi di porci.

I reati contro enti pubblici, in generale statali, si svolgono tuttora in luogo di dimora e sulle strade.

In antico era celebre, ad esempio, la « calata » dei predoni di Orgosolo nelle saline di Oristano, dove essi si fornivano di sale per fabbricare i formaggi.[...]

[...]oi, di mandrie di capre, di branchi di porci.

I reati contro enti pubblici, in generale statali, si svolgono tuttora in luogo di dimora e sulle strade.

In antico era celebre, ad esempio, la « calata » dei predoni di Orgosolo nelle saline di Oristano, dove essi si fornivano di sale per fabbricare i formaggi.

Non si ricordano assalti alle Banche, perché Banche non ve ne sono. Una rapina tradizionale, e tuttora frequente, è, invece, contro gli Uffici postali.

La più audace e frequente « bardana » è fatta contro caserme di carabinieri, di p. s., a fine di « vendette » e per svaligiarne gli stipendi.

Le « bardane » più frequenti sono oggi sulle strade.

L’assalto ai treni, al treno CagliariArbatax, con svaligiamento di tutti i viaggiatori, è avvenuto ancora, l’ultima volta, il 1922.

L’assalto alle corriere è, ancor oggi, reato frequente. Negli ultimi anni, dopo la guerra, ciò era divenuto un flagello. Per rendersi conto ancor oggi basta viaggiare sotto la scorta, da FarWest, che fa la polizia. Non solo viaggiano carabinieri armati di mitra nelle corriere e staffette motocicliste armate di mitra che seguono a distanza, ma, lungo le strade, ci sono, da due o tre anni, posti radio che Comunicano il passaggio cronometrico delle corriere: ogni ritardo che venga segnalato è segno di rapina e motociclisti e geeps corrono incontro per soccorso. Ma anche ciò è sventato dai predoni, poiché basta fermare un istante la corriera, svaligiarla du[...]

[...]attacca alle tradizioni dei popoli primitivi della Sardegna » (13).

Se non si tiene presente questo carattere normale, (seppur per noi « straordinario ») si rischia di non comprendere una situazione locale che non può essere se non quella che è: non si può affrontare concretamente la soluzione del problema.

Un fenomeno singolare su cui bisogna rivolgere l’attenzione è che l’abitante di Orgosolo, il pastore, il componente della « grande famiglia », che, come tale, dovrebbe avere il carattere di uomo prudente, sospettoso, chiuso nella famiglia, proprio e quasi solo in queste imprese rischiose, pericolose quanto mai, può dirsi che esca dal proprio mondo, si fidi di « estranei ». « Gli arruolati — scrive il PaisSerra — per lo più non conoscono né l’obbiettivo dell’impresa né molte volte si curano del bottino perché sono assoldati. Spesso provenienti da diverse contrade sono ignòti gli uni agli altri, e arrischiano la vita e la libertà per pochi soldi, sol fidandosi in quello spirito di fede reciproca, di solidarietà fra essi che ancora permane

(13) Ib. p. 50.70

FRANCO CAGNETTA

incorrotto, nelle rudi popolazioni montane » (14). Per delinquere l’orgolese esce dalla propria famiglia, dal proprio gruppo di « sangue », entra in un altro più largo, in uno Stato. E la « bardana », in vero, si può dire, in certo modo, il solo Stato di Orgosolo.

Ciò fa pensare che questo istituto, con questo istinto associativo, possa nascondere ancora un residuo di società, di organizzazione sociale precedente a quello attuale della « grande famiglia » : la organizzazione in «orda», che è la più propria e più frequente delle società di « cacciatori e raccoglitori ».

Dopo gli studi dello Elkin sopra le « orde » in Australia sappiamo esattamente che cosa si debba intendere per « orda » : questa è una piccola comunità di individui di ambo i sessi, distinti in nuclei famigliari, dimoranti in un proprio territorio, esercitanti gli uomini la caccia, le donne la raccolta; su ogni singola famiglia che si unisce in « orda » non esiste una comune autorità superiore se non in cerimonie dirette dai più anziani; su ogni singola « orda » non esiste una superiore autorità comune e ^'insieme delle orde, la tribù, riconducibile solo a una identità linguistica, non esiste perciò come unità attiva, che per es. fa la guerra, allarga il territorio ecc.

Ciò che distingue l’« orda » dalla famiglia — ed è il suo carattere specifico, determinante — è che mentre in quest’ultima gli individui si ritengono legati per il « sangue », nella prima gli individui si ritengono legati per « antenati comuni », per i « padri che occuparono il territorio ».

Non possiamo pertanto parlare di « orda » nello stadio culturale presente degli orgolesi né possiamo dire — mancando qualsiasi residuo di quell’elemento ideologico decisivo, determinante — che essi in antico, già « cacciatori e raccoglitori » costituissero anche « orde » vere e proprie. Ce lo fanno pensare però gli attributi secondari, le «forme strutturali» e, specialmente, nell’istituto della « bardana ».

L’orda dei razziatori, degli antichi cacciatori seminomadi, potrebbe essere stata la antica radice sociale oggi sparita e non ricostruibile — di questa popolazione singolarissima tra tutti i vicini

(14) lb. p. 51..INCHIESTA SU ORGOSOLO

71

e consimili paesi di pastori, che, prima di Orgosolo hanno raggiunto un progresso superiore.

Quali siano le ragioni della conservazione in Orgosolo di questi residui di arcaici elementi strutturali e culturali che non discendono dalla struttura economica e dalla cultura presente vedremo chiaramente, nella seconda parte di questa inchiesta, analizzando i rapporti tra Orgosol[...]

[...]per entro la civiltà cristiana è stato oggetto di una lotta decisiva, protrattasi per venti secoli. Appena alcuni secoli fa il lamento funebre era diffuso tra le plebi rustiche di tutto il continente europeo, e le nazioni e le regioni che prima l’hanno perduto sono quelle che prima hanno fatto il loro ingresso nella moderna civiltà industriale : così l’Inghilterra e la Germania occidentale fin dal 1600, più tardi l’Irlanda che arriva sino alle soglie dell’800 ; la Francia sembra averlo perduto nelle regioni più arretrate durante il secolo scorso, e così pure l’Italia settentrionale e centrale; il lamento persiste ancora nelle cosiddette aree depresse, cioè in quelle che non sono pie72

FRANCO CAGNETTA

namente entrate nel processo di industrializzazione, come l’Europa balcanica e danubiana, qualche zona della Spagna, e — per l’Italia

— la Puglia, la Lucania, la Calabria, qualche settore anche abbastanza a nord della catena appenninica (come la Sabina) e, infine, la Sardegna. Nella sua forma generale il lamento funebre è un sistema organico tradizionale e rituale di espressioni foniche (verbali e musicali) e mimiche, sistema che si inserisce nel cerimoniale funerario in momenti critici particolari, e che per il suo interno meccanismo deve essere interpretato come un modo di difesa dall’eccesso parossistico (o addirittura autolesionistico) che l’evento luttuoso scatena nei sopravvissuti, soprattutto le donne. Il lamento funebre è reso[...]

[...]suti, soprattutto le donne. Il lamento funebre è reso dalle parenti femminili del defunto, o dalle lamentatrici professionali in un ulteriore sviluppo dell’istituto, e si appoggia su moduli fissi verbali mimici e melodici che tendono a spersonalizzare il dolore e che inducono, attraverso la ripetizione stereotipa una sorta di leggera trance nella lamentatrice in azione. Nelle forme più arcaiche, che risalgono alla raccolta e alla caccia, il cordoglio comporta sempre un impulso alla vendetta, a uno spargimento di sangue che compensi e riequilibri lo choc che il gruppo umano ha subito in virtù della morte: e anche nel caso di morte per noi naturale si opera una inchiesta e si cerca il responsabile magico della morte, colui che ha ucciso per incantesimo o per fattura. Nella società in cui la morte violenta è frequente e nelle quali vige l’istituto della vendetta, il lamento acquista anche la funzione di attizzare la vendetta; l’etimologia di attitu, secondo il Wagner, sarebbe appunto questa.

La migliore descrizione etnografica del lament[...]

[...]e il gruppo umano ha subito in virtù della morte: e anche nel caso di morte per noi naturale si opera una inchiesta e si cerca il responsabile magico della morte, colui che ha ucciso per incantesimo o per fattura. Nella società in cui la morte violenta è frequente e nelle quali vige l’istituto della vendetta, il lamento acquista anche la funzione di attizzare la vendetta; l’etimologia di attitu, secondo il Wagner, sarebbe appunto questa.

La migliore descrizione etnografica del lamento funebre sardo resta pur sempre quella del Bresciani, per quanto anche il Lamarmora ci abbia lasciato su questo istituto isolano un rapporto preciso. Dice il Bresciani:

« In sul primo entrare al defunto tengono il capo chino, le mani composte, il viso ristretto e procedono in silenzio quasi di conserva, come se per avventura non si fossero accorte che bara e morto ivi fossero. Indi alzati corne a caso gli occhi e visto il defunto a giacere, danno repente in un acutissimo strido, battono palma a palma e escono in lai dolorosi e strani. Imperocché levato un crudeINCHIESTA SU ORGOSOLO

73

lissimo compianto altre si strappano i capelli, squarcian co’ i denti le bianche pezzuole ch’ha in mano ciascuna, si sgraffiano e sterminano le guance, si provocano a urli, a omei, a singhiozzi gemebondi e soffocati, si dissipano in larghissimo compianto. Altre si abbandonano sulla bara, altre si gittano ginocchioni, altre si stramazzan per terra, si rotolan sul pavimento, si spargon di polvere; altre per [...]

[...]mpianto altre si strappano i capelli, squarcian co’ i denti le bianche pezzuole ch’ha in mano ciascuna, si sgraffiano e sterminano le guance, si provocano a urli, a omei, a singhiozzi gemebondi e soffocati, si dissipano in larghissimo compianto. Altre si abbandonano sulla bara, altre si gittano ginocchioni, altre si stramazzan per terra, si rotolan sul pavimento, si spargon di polvere; altre per sommo dolor disperate, serran le pugna, strabuzzan gli occhi, stridon i denti, e con faccia oltracotata sembran minacciare il cielo stesso. Poscia di tanto inordinato corrotto, le dolenti donne così sconfitte, livide e arruffate, qua e là per la stanza sedute in terra e sulle calcagna si riducon a un tratto in un profondo silenzio. Tacite, sospirose, chiuse dai raccolti mantelli, con le mani congiunte e con le dita conserte mettono il viso in seno e contemplano con gli occhi fissi nel cataletto. In quello stante, una infra loro quasi tocca ed accesa da un improvviso spirito prepotente, balza in pie’, si riscuote tutta nella persona, s’anima, si ravvisa, le s’imporpora il viso, le scintilla lo sguardo, e, voltasi ratta al defunto, un presentaneo cantico intuona. E in prima tesse onorato encomio di sua prosapia e canta i parenti più prossimi, ascendendo di padre in padre in sino a che montano le memorie fedeli di tutti i santi di suo lignaggio : appresso riesce alle virtù del defunto, e ne magnifica di somme laudi il senno, il valore e la pietà. Questi carmi [...]

[...]uadro della ideologia funeraria arcaica. Il morto è una potenza dal quale occorre difendersi, una energia malefica che bisogna placare: la più elementare difesa è appunto il non veder il morto, il non accorgersi di lui, almeno fin quando non si entra nel rito, che ha appunto fra le sue molteplici valenze anche quella di placare il morto. Un’altra tecnica è quella di non farsi vedere dal morto, di celarsi al suo sguardo, il che si fa sia chiudendogli gli occhi, sia mascherandosi e dissimulan74

FRANCO CAGNETTA

dosi: che è una delle valenze più arcaiche dell’abbigliamento di lutto.

Oltre alle determinazioni del lamento funebre sardo stabilite da Padre Bresciani, altre furono aggiunte dai successivi studiosi come, per es. il Ferrerò, il Wagner, il Fara ecc. Fra queste determinazioni che, del resto, non sono proprie del lamento funebre sardo ma appartengono al lamento funebre in generale, sono da ricordare la insorgenza del lamento in momenti determinati del rituale funebre (veglia funebre, trasporto del morto, cerimonia in chiesa, [...]



da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: QUESTIONE DI PRATI
I
César Borgne posò sul tavolo una bottiglia di grappa con il tappo ancora affondato nel collo. « Questa », disse, « per festeggiare ».
« Oh », disse Salomone Croux. « Compi gli anni? ». Sapeva, come tutti in paese, che Borgne aveva venduto un prato, il suo unico prato. Lo aveva venduto a un industriale di Biella, certo Marconi o Maltoni. Questo tale era capitato quassù una domenica e si era — come dicono i ricchi — innamorato del luogo. Sul prato di Borgne avrebbe costruito una villa. Una villa in cemento armato, più finestre che muri, con riscaldamento centrale, garage e relativa strada d'accesso. Tutto si sapeva, tutto fuorché una cosa: quanto Borgne avesse preso del prato. Il geometra del comune era stato chiamato solo per rilevare i confini. Il compromesso era s[...]

[...] e relativa strada d'accesso. Tutto si sapeva, tutto fuorché una cosa: quanto Borgne avesse preso del prato. Il geometra del comune era stato chiamato solo per rilevare i confini. Il compromesso era stato stilato in città nello studio di un dottore commercialista. Un affare misterioso. Tanto più misterioso in quanto nessuno, non essendo questa una zona di ville, aveva mai venduto un prato a gente di fuori. « Cosi », disse Salomone Croux, « compi gli anni. Beh, auguri ».
«Auguri vivissimi », disse l'altro, il ragazzo Attilio Glarey, e sorrise.
« Ho venduto il prato », disse César Borgne. « A un industriale. Ci costruisce una villa. Una villa in cemento armato, con riscaldamento centrale, garage e tutto il resto. E un signore. E il più grosso industriale di Biella ».
« Bel colpo », disse il ragazzo Attilio Glarey.
Così », disse Salomone Croux, « hai venduto un prato s.
« Già », disse César Borgne.
«Che prato? ».
« Che prato? Il mio. Il prato sotto il canale ».
« Proprio un bel colpo », disse il ragazzo Attilio. Sorrideva.
« Peccat[...]

[...]mone Croux alzò le spalle. « Era della zia Jacqueline buonanima », disse, « vedova di Evaristo Grange, fratello di mia madre buonanima ».
« E zia di mia madre », precisò César Borgne.
« Fosse stato mio », disse Salomone Croux, « non lo vendevo nemmeno per un milione ».
«Lo vendevi si », disse César Borgne. « No, non lo vendevi per paura di farti fregare ».
Il ragazzo Attilio rise forte. Teneva apertamente per César. Puntò l'indice sulla bottiglia di grappa e disse: « Beh, non si beve? ».
La risata di Attilio irritò Salomone Croux. « A questo mondo c'è chi è capace di ragionare e chi non lo è », disse, volgendo, poiché era strabico, un occhio a César Borgne e uno al ragazzo Attilio. « Se hai un prato, sai cos'è. E un prato. È li. Non si muove. Non diventa più grande ma nemmeno diventa più piccolo. Quest'anno ci hai fatto tre fieni. L'anno venturo ci fai tre fieni. Tutti gli anni ci fai tre fieni. Più buoni, meno buoni, sono sempre tre fieni. Venisse anche il diluvio universale, quando l'acqua scola via cosa trovi? Il tuo prato. Questo, nella mia testa ignorante, è un prato ». Parlava lentamente, teneva la mano destra aperta con il palmo all'insù e le dita allargate come vi reggesse il prato, la fissava compiaciuto come se le fienagioni vi si susseguissero l'una via l'altra. Quindi chiuse la mano destra a pugno per significare che il prato non c'era più e dischiuse la sinistra sollevandola a scatti come vi facesse saltare monete. « E il danaro? Cos'è il danaro? G[...]

[...]a mia testa ignorante, è un prato ». Parlava lentamente, teneva la mano destra aperta con il palmo all'insù e le dita allargate come vi reggesse il prato, la fissava compiaciuto come se le fienagioni vi si susseguissero l'una via l'altra. Quindi chiuse la mano destra a pugno per significare che il prato non c'era più e dischiuse la sinistra sollevandola a scatti come vi facesse saltare monete. « E il danaro? Cos'è il danaro? Guardate quella bottiglia. E o non è piena di grappa? ».
César Borgne non voleva mostrarsi condiscendente. Tuttavia non poté fare a meno di guardare la bottiglia. Altrettanto fece il ragazzo Attilio.
« Per forza è piena », disse il ragazzo Attilio. « E ancora da stappare ».
« Dunque è piena», disse Salomone Croux. « E una bottiglia piena di buona grappa. Uno è contento di avercela, no? Si, uno è contento di avercela. È tanta grappa. È un'intera bottiglia di grappa. Adesso ne prendi uno, due bicchieri, perché due? siamo in tre, ne occorrono tre. Facciamo tre bicchieri. La grappa è andata un po' giù? Eh, ce n'è, ce n'è tanta! Bevi e non ci pensare. Bevi e versa. È andata giù un altro po'? Eh, ce n'è tanta ancora tanta! ». César e Attilio tenevano gli occhi sulla bottiglia. Loro malgrado, gli occhi scivolavano lungo la superficie
QUESTIONE DI PRATI 75
liscia del vetro. « Un altro bicchiere? », disse Salomone Croux. « Certo. Ce n'è tanta! Cosa volete che sia un altro bicchiere! Un altro bicchiere è niente. Un altro ancora è niente. Un altro ancora è ancora niente. Mon djeu me! Cosa è successo? Cosa è successo? ». Salomone Croux si piegò in avanti fino a che i suoi occhi strabici non furono a un palmo dalla bottiglia. « È vuota! ». Sollevò la bottiglia contro l'orecchio, la scosse. « Vuota », confermò. « Com'è come non è, poco fa era piena sino al collo e adesso non ce n'è nemmeno una goccia per inumidire le labbra. Così, signori, è il danaro. Esattamente così ». Con una smorfia di sprezzo depose la bottiglia sul tavolo, riportò soddisfatto il busto all'indietro chiudendo a pugno anche la mano sinistra.
« Al diavolo », imprecò César Borgne. « Prendo fuori una bottiglia di grappa, la prendo per festeggiare e tu, sacrenom, me l'adoperi per i tuoi stupidi esempi. Mi hai fatto passare la voglia ». Allontanò da sé la bottiglia. « Me la sento sullo stomaco anche solo a guardarla ».
«Meglio così », disse Salomone Croux. «Per me la grappa è veleno. Mi dá bruciore di stomaco ».
« E invece no, la beviamo », disse César Borgne. « E sai alla faccia di chi? Alla faccia degli invidiosi ». Mise tra i denti la fettina di tappo che emergeva dal collo della bottiglia, strinse, fece ruotare il vetro. Con un rumore di rutto il tappo si staccò dal vetro. César fece scarrere due bicchieri da vino lungo il piano del tavolo, uno verso Salomone che gli stava di fronte, uno verso il ragazzo Attilio che gli stava di fianco. Li riempi, riempi il proprio bicchiere. Era una grappa di pura vinaccia, distillata nella cantina di casa. Era chiara come acqua di fonte. « Alla faccia degli invidiosi », brindò, alzando il bicchiere all'altezza degli occhi.
« Alla faccia loro », disse prontamente Salomone Croux alzando il bicchiere.
« Alla faccia », disse il ragazzo Attilio alzando il bicchiere e guardando con insolenza la faccia di Croux.
II
«Mon djeu me », disse Salomone Croux. Si batté ripetutamente il
petto. Teneva la bocca spalancata, ne gettava fuori buffate di alito.
« Sessanta gradi, non uno di meno ».
César Borgne rise. « Sessanta? ».
Rise anche il ragazzo e ripeté: « Sessanta? >.
76 GIOVANNI PIRELLI
« Sessantacinque? », disse Salomone Croux.
« Sessantacinque? », disse César Borgne, strizzando l'occhio al ragazzo Attil[...]

[...]scrupolosamente imitato dal ragazzo Attilio, beveva a generose, ben intervallate sorsate; Salomone a sorsatine fitte accompagnate da smorfie di disgusto. Stavano come se ciascuno fosse solo con il proprio bicchiere. Nella stalla, fiocamente illuminata da una lampadina nuda e sporca appesa ad un chiodo, stagnava il tiepido umidore del fiato della mucca. Impregnava tutto, la mangiatoia, il tavolo di noce, la lunga panca ad angolo dietro il tavolo, gli sgabelli, la credenza rosa dai tarli, le tavole del soffitto, l'intonaco smunto delle pareti. Distesa sulla lettiera la mucca ruminava. L'unica sua compagna, una capra, le stava accanto ritta e immobile; dormiva. Il tempo era senza misura, il resto del mondo inesistente.
Aveva, César Borgne, un magnifico paio di baffi. Baffi all'antica, rigonfi sotto le nari, naturalmente discriminati verso le estremità della bocca, conchiusi con due riccioli aderenti alle gote. Baffi che non richiedevano cure, bastava regolarli lungo la linea del labbro, ogni due o tre domeniche, perché i peli non pizzicass[...]

[...] cattivo umore le arricciava in dentro. Adesso, ogni qualvolta, tra una sorsata e l'altra, deponeva il bicchiere, alzava una mano ed arricciava la punta di un baffo, ora questa, ora quella; questa in fuori, quella in dentro. `L'avrei dato via in ogni caso', si diceva, pensando al prato. `In ogni caso'.
l
QUESTIONE DI PRATI 77
S'arricciava un baffo in fuori, lanciava un'occhiata al ragazzo Attilio. L'approvazione di Attilio: bella roba! Quel figlio di una madre e di chissà quanti padri. Quella mezza cartuccia. Uno che a diciannove anni compiuti — ci avrebbe messo la mano sul fuoco — l'amore lo faceva solo con il proprio cuscino. César beveva un'altra sorsata, deponeva il bicchiere, lanciava un'occhiata a Salomone. `Sta a vedere se questo porco pensa che ho fatto un cattivo affare o se parla per invidia'. Si arricciava la punta dell'altro baffo, in dentro, . rabbiosamente. È che a lui non gliele andava mai bene una. Come guida era un fallito. Beveva. Forte e in gamba com'era, s'annoiava a portare clienti in montagna. Bevendo, partendo g[...]

[...]o di una madre e di chissà quanti padri. Quella mezza cartuccia. Uno che a diciannove anni compiuti — ci avrebbe messo la mano sul fuoco — l'amore lo faceva solo con il proprio cuscino. César beveva un'altra sorsata, deponeva il bicchiere, lanciava un'occhiata a Salomone. `Sta a vedere se questo porco pensa che ho fatto un cattivo affare o se parla per invidia'. Si arricciava la punta dell'altro baffo, in dentro, . rabbiosamente. È che a lui non gliele andava mai bene una. Come guida era un fallito. Beveva. Forte e in gamba com'era, s'annoiava a portare clienti in montagna. Bevendo, partendo già dalla base con le gambe incerte e la testa annebbiata, si avviliva, s'abbassava al loro livello. Ormai, se ancora gli capitavano clienti, una, due volte per stagione, erano fanatici che si lasciavano incantare dal nome: la guida César Borgne, della famosa famiglia dei Borgne. Una seconda volta, con César Borgne, non tornavano più. Come contadino, non parliamone. Nella divisione paterna aveva avuto una casa e un orto. Quando la zia Jacqueline era morta lasciandogli un prato, aveva venduto l'orto e comperato una mucca. Ma come può un uomo di quarant'anni, forte e in gamba, scaricare le proprie energie badando a un prato e una mucca? Beveva sempre piú. Finalmente nostro Signore guarda giù e dice: 'Povero Borgne, è un disgraziato, bisogna dargli una mano'. Gli manda l'industriale di Biella, discutono, si mettono d'accordo. Affare fatto. E che affare! Macché, arriva quel dannato di un Salomone Croux e cosa dice? Dice che i quattrini sono come la grappa...
César guardò la bottiglia. Era andata un pi) giù, si capisce. Però ce n'era tanta, tanta ancora! Si morse il labbro come se gli fosse scappata una bestemmia. Come fosse stato di quelli, cioè, che dopo tirata una bestemmia si mordono il labbro. Aveva scolato il proprio bicchiere ma gli ripugnava di versare dalla bottiglia altra grappa. S'attorcigliava senza posa la punta di un baffo. L'attorcigliava in dentro, rabbiosamente,. Proprio con Salomone Croux doveva capitare, uno che sa quello che dice, tanto é vero che non dice mai quello che pensa; che, per paura di dire quello che pensa, una volta tanto, non prende mai una sbornia, mai. Invece bisognava fargliela prendere.
Salomone fu svelto nel coprire con il palmo della mano il proprio bicchiere ancora pieno a metà. « Un bicchiere ho detto, un bicchiere bevo », disse.
« Via », disse César. Si sforzava di mostrarsi bonario. c Tira via quella mano ».
n
78
GIOVANNI PIRELLI
«E a me? », disse il ragazzo Attilio. II suo bicchiere, come quello
di César, era vuoto.
« Senza complimenti », disse Salomone. « Sto bene così ».
« Se non accetti mi offendo ». Non é che César si offendesse; an
dava in bestia. Non ammetteva che in casa sua qualcuno rifiutasse
di bere. Non lo tollerava.
« Offendersi [...]

[...]a me? », disse il ragazzo Attilio. II suo bicchiere, come quello
di César, era vuoto.
« Senza complimenti », disse Salomone. « Sto bene così ».
« Se non accetti mi offendo ». Non é che César si offendesse; an
dava in bestia. Non ammetteva che in casa sua qualcuno rifiutasse
di bere. Non lo tollerava.
« Offendersi perché? » Salomone alzò le spalle. « Lo sai che non
bevo. Ho già fatto un'eccezione. L'ho fatta perché non é bene abban
donare gli amici nei momenti difficili ».
« Al diavolo! Al diavolo! », disse César.
«E a me? », disse il ragazzo Attilio sollevando il bicchiere davanti
agli occhi di César. César gli scostò la mano come scacciasse una
mosca.
« Uno che non beve », disse, « si asciuga dentro e crepa ».
« Dopo di te », disse Salomone.
« Prima, molto prima. E nessuno verserà una lacrima ».
« Su di te, lacrime come piovesse. Con quel puzzo di acquavite
che uscirà dalla cassa... ».
« Tu nemmeno ce l'avrai la cassa. Sarai troppo duro per essere
ficcato in una cassa. Duro e secco come un baccalà ».
« Che discorsi », disse il ragazzo Attilio. « Io vado a letto ».
« Avanti, Salomone. Riempiamo il bicchiere e poi basta », disse
César.
« No ».
« Crepa ».
« Dopo di te », insisté Salomone[...]

[...], insisté Salomone.
« Uh », sbuffò il ragazzo Attilio. « Perché é venuto a guastarci la
festa ? »
« Come è venuto può andarsene », disse César.
III
Erano incattiviti l'uno contro l'altro, i due anziani, e ciascuno contro se stesso. S'eran ficcati in un vicolo cieco senza speranza di un solo passo avanti; Salomone per sapere quanto César aveva preso del prato, César per sapere cosa ne pensava Salomone.
Salomone aveva travasato la grappa che gli avanzava nel bicchiere di Attilio. Rovesciato il proprio bicchiere, lo premeva con la mano lunga e ossuta. Era disgustato per la grossolanità di César, irritato per
QUESTIONE DI PRATI 79
le ore di sonno sprecate, rabbioso perché già sentiva bruciare lo stomaco. Con tutto ciò nemmeno gli passava per il capo di andarsene. Era li e ci stava. Stava immobile, la mano ad artiglio sopra il bicchiere rovesciato, lo sguardo strabico fissato su chissà quale punto del tavolo. E un uomo senza baffi, si diceva César Borgne, meditando. E senza baffi, non beve, non ha una donna. Che uomo è? Non è un uomo. Una donna non è. Cos'è? È un rospo. Prendi un rospo, guardagli sotto la pancia e provati a dire se è maschio o femmina. È un rospo ma se fosse una rana sarebbe lo stesso. Con tutto ciò, se Salomone se ne fosse andato, César si sarebbe infuriato. A uno che ha venduto il suo prato non si dice peccato, non si parla di disgrazia senza nemmeno sapere a quanto è stato venduto; senza spiegare perché.
Fortunatamente c'era anche il ragazzo Attilio. Attilio aveva pensato. La cosa era del tutto inconsueta. Di regola il ragazzo Attilio ascoltava César, gli dava ragione e basta. « Si, la gente chiacchiera », disse. « Chiacchiera per invidia. Se lo sognano un affare [...]

[...] è maschio o femmina. È un rospo ma se fosse una rana sarebbe lo stesso. Con tutto ciò, se Salomone se ne fosse andato, César si sarebbe infuriato. A uno che ha venduto il suo prato non si dice peccato, non si parla di disgrazia senza nemmeno sapere a quanto è stato venduto; senza spiegare perché.
Fortunatamente c'era anche il ragazzo Attilio. Attilio aveva pensato. La cosa era del tutto inconsueta. Di regola il ragazzo Attilio ascoltava César, gli dava ragione e basta. « Si, la gente chiacchiera », disse. « Chiacchiera per invidia. Se lo sognano un affare così. No, non sono neanche capaci di sognarselo ». Era un fraseggiare imparato da César.
« Tu di affari te ne intendi come te ne intendi di donne », disse Salomone. Era contento che il ragazzo avesse riportato il discorso sull'affare del prato. Lo provocava appunto per farlo parlare.
Attilio arrossi. « Ne so un bel po' più di te », disse. « A me César dice sempre tutto. Sa che di me si può fidare ».
Salomone staccò la mano da sopra il bicchiere, ma solo per un momento, solo per agi[...]

[...] per un momento, solo per agitare un dito nell'aria. « No, non ci credo. Un uomo parla di affari solo con un altro uomo ».
Era un'aperta provocazione. « Infatti », ribatté Attilio, « a te non. dice niente. Non vedi che non ti dice niente? Lo sai, tu, quanto ha preso del prato? Io lo so. So che ha preso tanti, tanti quattrini, che adesso si comprerà... un'automobile ». Era stato incerto se dire toro o automobile. Appena detto automobile, la cosa gli parve perfettamente verosimile.
« Un'automobile? Per farne? », disse Salomone simulando credulità e meraviglia.
« Si, un'automobile rossa. E il giorno in cui lo vedrete arrivare in paese sull'automobile rossa, creperete tutti d'invidia ».
César Borgne immaginò se stesso che arriva in paese su un'automobile rossa e senti un singulto montargli dal ventre alla gola. Si con tenne. « Il ragazzo ha ragione », disse. « Solo le automobili rosse sono
80 GIOVANNI PIRELLI
da uomo. Quelle nere, gialle, verdine, sono tutte automobili da signora ».
Salomone guardò in viso César. Lo vide tanto serio da rimanere interdetto. Macché, era uno scherzo, non poteva non esserlo. «Toglimi una curiosità: dove la metti questa tua automobile? Nella stalla, accanto alla mucca e alla capra? »
Un'automobile rossa nella stalla? Accanto alla mucca e alla capra? César serro le labbra. I singulti si moltiplicavano tra ventre e gola, premevano cercando uno sbocco, diventavano crampi. Per fortuna non dovette rispondere perché il ragazzo Attilio intervenne con foga. « Dove la tiene? Dove vuoi che la tenga? La tiene in garage. Con i soldi che ha preso cosa vuoi che sia costruire un garage? So tutto, io. So che César sta trattando il terreno. E un prato di Belfront Augusto. Sarà un garage[...]

[...]ntite.
« Per ora ho fatto fare solo il progetto della saracinesca che va su e giù », riuscì a dire César, accompagnando la frase con una smorfia cattiva. Non era cattiveria. Era dolore. Erano i crampi che diventavano insopportabili. Con una mano si comprimeva il ventre, con l'altra si pizzicava una coscia e ne torceva la pelle; perché, come si dice, chiodo scaccia chiodo.
Salomone Croux non sapeva più che pensare. Recentemente Belfront Augusto gli aveva parlato di voler vendere un prato lungo la provinciale perché era quasi a livello del torrente. A primavera, al tempo del disgelo, gli si riempiva di pietre e di mota. César comperava il prato di Belfront per farci un garage? César faceva fare il progetto a un geometra di Ivrea? Era impazzito? Per niente non si impazzisce. Se era impazzito doveva aver preso molti, moltissimi soldi. Mezzo milione, forse più. « Scusa », disse, « e chi la guida quest'automobile? ».
Attilio era esacerbato. Da come Salomone poneva le domande si capiva che era convinto solo a metà. « Chi la guida? L'autista! L'autista che César fa venire da Torino. Cosa credi, che César non abbia i soldi per pagarsi l'autista? L'autista avrà una livrea blu con bo[...]

[...]anti. Sul berretto avrà scritto in oro: César Borgne, come sul berretto dell'autista del Royal c'è scritto: Hotel Royal ».
QUESTIONE DI PRATI 81
Era troppo, troppo anche per un uomo forte, duro, tenace quale César. Premette il ventre con entrambe le mani, disse con voce supplichevole: « Basta, basta, non ne posso più ». Ed esplose. La grande bocca si spalancò con una secca detonazione seguita da un rovinare di risa miste a singhiozzi. Il busto gli si rovesciò indietro contro lo schienale della panca. Di li, con un contraccolpo, si ripiegò in avanti fino a toccare con la fronte il piano del tavolo. Tra uno scroscio e l'altro emetteva, nel tentativo di prendere fiato, fischi aspirati, striduli e acuti, irresistibilmente comici. Salomone non ebbe tempo di sentirsi interdetto. Investito dallo scoppio di César, anch'egli si rovesciò all'indietro, senza fiato, mentre la risata gli montava a ondate su per la gola. Gli usci come staffetta, una risatina. Cercò, serrando le labbra, di resistere. Non era sua abitudine ridere. Non voleva assolutamente ridere. Le ondate trattenute gli si comprimevano in gola. Contrasse il viso in una smorfia arcigna. Al limite della resistenza un rantolo gli sfuggi dalle labbra. Attraverso il pertugio aperto dal rantolo proruppe il resto. Si rovesciò in avanti, come già César, sussultando e gemendo. L'esplosione di Salomone investi a sua volta César, il cui busto tornò a rovesciarsi all'indietro. Tentò di mantenere quella posizione, di riprendere fiato, di calmarsi. Inutile. Lo spettacolo di Salomone, il contegnoso Salomone in preda a un incontrollabile accesso di risa, era irresistibile, per César, quanto per Salomone il fischio aspirato di César che tentava di prendere fiato. Anche Salomone si sforzava di frenarsi, di calmarsi. Pensava a sua mo[...]

[...]losione di Salomone investi a sua volta César, il cui busto tornò a rovesciarsi all'indietro. Tentò di mantenere quella posizione, di riprendere fiato, di calmarsi. Inutile. Lo spettacolo di Salomone, il contegnoso Salomone in preda a un incontrollabile accesso di risa, era irresistibile, per César, quanto per Salomone il fischio aspirato di César che tentava di prendere fiato. Anche Salomone si sforzava di frenarsi, di calmarsi. Pensava a sua moglie morta, pensava a com'era brutta quando l'avevano messa dentro la bara. Inutile, tutto inutile. In questo trascinarsi a catena la risata montava, si dilagava, raggiungeva proporzioni assurde rispetto al motivo che l'aveva originata. « Basta, basta », supplicava l'uno. « Smettila, sacrenom », imprecava l'altro. Se poi i loro sforzi combinati sortivano l'effetto che l'uno e l'altro accennava a quietarsi, bastava che i loro occhi umidi s'incontrassero perché il riso inesauribile, riprendesse a sgorgare. Tra i due, offeso, torvo, i gomiti piantati sul tavolo e la testa affondata nei pugni, stava [...]

[...] originata. « Basta, basta », supplicava l'uno. « Smettila, sacrenom », imprecava l'altro. Se poi i loro sforzi combinati sortivano l'effetto che l'uno e l'altro accennava a quietarsi, bastava che i loro occhi umidi s'incontrassero perché il riso inesauribile, riprendesse a sgorgare. Tra i due, offeso, torvo, i gomiti piantati sul tavolo e la testa affondata nei pugni, stava il ragazzo Attilio. Tanto più il ragazzo Attilio si incupiva, tanto più gli altri erano costretti a ridere; e viceversa.
Alla lunga, esausti, i due anziani si calmarono. E mentre s'asciugavano gli occhi e soffiavano il naso, accadde che César riempisse, insieme al proprio, il bicchiere di Salomone e Salomone non protestasse, che tenesse, anzi, il bicchiere alzato finché César non glielo ebbe colmato. Fu proprio Salomone ad alzare il bicchiere brindando:
82 GIOVANNI PIRELLI
«Alla tua automobile rossa! ».
« Alla mia automobile rossa! »
« Al garage con la saracinesca che va su e giù! ».
« Al garage! »
« All'autista di Torino! »
« Con César Borgne sul berretto. Alla faccia sua! »
« Alla faccia degli invidiosi! »
« Alla faccia dei permalosi! »
« Buffoni », disse il ragazzo Attilio, al quale, evidentemente, que
st'ultimo brindisi era stato rivolto. E tirò la lingua. I due anziani,.
ormai placati, bevevano. Non gli badarono.
« Ah », fece Salomone quando ebbe deposto il bicchiere. Si sentiva
leggero. César non comperava l'automobile. Quindi non era impazzito.
Quindi del prato aveva preso poco; trecentomila, forse meno.
IV
« Parliamo seriamente », disse Salomone Croux. Era una frase che non avrebbe detto (parlava sempre seriamente) se non avesse avuto il sospetto di non poterlo più fare. César gli stava riempiendo il bicchiere,. Salomone decise di non sollevare questioni. Bastava lasciarlo pieno.
« Ma va », disse César.
Il ragazzo Attilio meditava, cupo, come vendicarsi di César che si era fatto beffe di lui, l'aveva trattato da bambino; peggio, da donna. Era gonfio di stizza ma totalmente vuoto d'idee.
« Non voglio sapere quanto hai preso del prato. Non mi interessa », disse Salomone.
« Bene. Allora non parliamone più ».
« Non mi interessa », ripeté Salomone. Meditava. Meditando portò il bicchiere alle labbra. Si ricordò che non voleva bere. Ripose il bicchiere sul tavolo. L'aveva appena posato che, meditando, tornò a portarlo alle labbra. Una buona grappa, distillata nella cantina di casa,. una grappa di pura vinaccia, brucia alle prime sorsate. Bevine un altro poco. Non brucia più. Bevine ancora. Più ne bevi, più ti sembra di bere acqua fresca. « Puoi aver preso molto, puoi aver preso poco; la cosa[...]

[...]ne, « vai al mercato e ti provi, con i soldi che hai preso, a comperarne uno uguale. Con il prato la prova non serve. Perché? Perché non troverai mai un prato uguale a quello che hai venduto ».
« Era un buon prato », disse il ragazzo Attilio.
« Stai facendo il furbo », disse César a Salomone. « Fai l'esempio del bicchiere e tu stesso dici che un prato è un'altra cosa ».
«Torniamo pure al bicchiere », disse Salomone. Portò il bicchiere vicino agli occhi strabici, lo rigirò sulla punta delle dita, sorseggiò un altro po' di grappa. « Mettiamo che non esista un bicchiere uguale a questo. Per sapere se ho fatto un affare buono o cattivo non ho che un mezzo : provo a ricomperare il bicchiere che ti ho venduto ».
« Vorresti dire... ». César adesso sudava. Beveva, sudava e si tirava in dentro la punta del baffo.
« Sei in gamba, César. Hai già capito. Per sapere se hai fatto un affare buono o cattivo non hai che un mezzo : provare a ricomperare
84 GIOVANNI PIRELLI
il tuo prato ». Il ragionamento chiudeva in modo così impeccabile che Salomo[...]

[...]Salomone si sentì intelligente più di quanto già sapeva di esserlo. Si accorse che il suo bicchiere era quasi vuoto. Non ne fu contrariato. Se bere lo rendeva più intelligente, valeva la pena, una volta tanto, di bere. Scolò il resto della grappa e ruttò con soddisfazione.
« Ricomperare il mio prato? », disse César. « E impossibile ».
« Se le cose stanno così, vuol dire che ha fatto non un cattivo, ma un pessimo affare ».
« Non è questo che voglio dire. E che il prato l'ho venduto. Ho già firmato il compromesso ».
« Sei un bel tipo », disse Salomone. « Come potresti ricomperarlo se non lo avessi venduto? ». Rise. Anche il ragazzo Attilio rise. Teneva apertamente per Salomone. Poiché César era troppo impegnato a pensare, Salomone riempì il suo bicchiere e il proprio.
« E a me? », disse il ragazzo Attilio.
Salomone riempì anche il bicchiere del ragazzo Attilio. « In concreto », disse. « Vai a Biella da quel tuo Marconi, o Maltoni che sia, gli metti il mezzo milione sul tavolo e dici: `Vi dò indietro il vostro mezzo milione, voi mi da[...]

[...] compromesso ».
« Sei un bel tipo », disse Salomone. « Come potresti ricomperarlo se non lo avessi venduto? ». Rise. Anche il ragazzo Attilio rise. Teneva apertamente per Salomone. Poiché César era troppo impegnato a pensare, Salomone riempì il suo bicchiere e il proprio.
« E a me? », disse il ragazzo Attilio.
Salomone riempì anche il bicchiere del ragazzo Attilio. « In concreto », disse. « Vai a Biella da quel tuo Marconi, o Maltoni che sia, gli metti il mezzo milione sul tavolo e dici: `Vi dò indietro il vostro mezzo milione, voi mi date indietro il mio prato'. Quello è un industriale e i conti li sa fare. Se accetta, vuol dire che aveva fatto un affare cattivo. Tu, in questo caso, hai la soddisfazione di sapere che avevi fatto un buon affare ».
« Ma se l'affare era buono perché devo ridargli i quattrini? ».
« Oh Dio », si spazientì Salomone, « pretendi troppo. Se non hai la prova come puoi sapere se l'affare era buono o cattivo? ».
« E se invece... », disse César. La voce gli tremava.
Salomone allargò le braccia. « Se invece è il Marconi che ha fatto un buon affare, lui si tiene il prato e tu il tuo cattivo affare. Amico mio, gli affari sono affari ».
César stette alcuni istanti zitto. Sudava e si asciugava la fronte con il dorso della mano. « Non ci vado. Non mi va d'andarci », disse impetuosamente, puntando l'indice contro Salomone. « Perché ho capito che, se ci vado, in un caso o nell'altro il fregato sono io. Non ci vado », ripeté mentre le vene del collo gli si facevano gonfie, « perché se me lo vedo davanti, l'industriale, il gran signore, finisce che gli spacco il muso. Pochi o molti, mi tengo i quattrini ».
« Ho capito », disse Salomone. « È come pensavo. Hai fatto un pessimo affare ».
« E invece no. Ho preso tanti soldi come tu nemmeno te li sogni ».
QUESTIONE DI PRATI 85
«Ah si? ».
« Si ».
« Quanti? »,
« Tantissimi ».
« Ecco », disse Salomone con tono calmo e distaccato. « E vuota ».
« Che cosa? », disse César trasalendo.
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'è piú.
Non ce n'è nemmeno da inumidire le labbra ».
V
César si rovesciò in gola ciò che avanzava del suo bicchiere. « Sono tanti quattrini, tanti, tanti », disse ostinatamente, con voce già roca, « come tu nemmeno te li sogni. Sono tantissimi ». Si morse il labbro. « Sono più che tantissimi ». Più lo ripeteva e meno n'era convinto. Era di umore nero. Fissava la bottiglia vuota e palpava sotto la giacca il pacco delle banconote. Se lo sentiva, tra le dita, più smilzo. Eh già. Un bigliettone da diecimila se ne era andato non appena riscosso, ad Aosta, l'assegno. Aveva comperato un paio di scarpe per sua moglie, povera donna. Macché povera donna. Era la moglie di un contadino. Forse che con le scarpe nuove cessava di essere una moglie di contadino ? Aveva fatto compere per tutti. Quattro bambine, quattro regalini. E che da due Natali le bambine aspettavano un Bambino Gesù che non veniva. L'imprudenza era stata di far arrivare questo Bambin Gesù adesso, in febbraio, con dieci mesi di anticipo. Di anticipo? 'Perché', aveva detto Ines, la terza, `il Bambin Gesù arriva così tardi ?'. Per sé, una cravatta. Ne aveva bisogno? Che diamine, doveva fare spese per tutti e per se stesso niente? Ancora giù, ad Aosta, incontra due cugini di Valtournanche. Quanto tempo che non ci si vede, come mai da queste parti, sai che lo zio tale si[...]

[...]nanche. Quanto tempo che non ci si vede, come mai da queste parti, sai che lo zio tale si é preso una brutta malattia, ricordi la vedova talaltra?, s'é risposata con un brigadiere della Finanza, i prezzi del fieno, delle patate, del vino, i prezzi di tutto, le tasse... pago io (erano finiti, naturalmente, all'osteria), eh no, non mi fate questa offesa, oggi no, un'altra volta, oggi pago io... Era dovuto andare al cesso a sfilare fuori un altro bigliettone perché le poche centinaia di lire che avanzavano del primo non erano sufficienti per pagare i due fiaschi più il mezzo litro di giunta. Arriva sù e va diritto da un suo zio che gli aveva dato del fieno. Adesso che il prato era stato venduto, gli toccava garantirsi tutto il fieno per la mucca. Gli dà le ventimila che gli doveva dalla primavera scorsa. E quello: « Oh, siamo diventati
86 GIOVANNI PIRELLI
ricchi? ». Cretino era stato, cretino. Se teneva il debito, lo zio, pur di prendere un po' di quattrini, gli avrebbe dato altro fieno a credito. D'ora in avanti, invece, avrebbe preteso pagamento a consegna. Morale, quattro bigliettoni partiti. E non finiva qui. A casa, ecco la moglie lamentarsi: chissà quanti soldi spesi per quelle scarpe, come se lei non poteva tirare avanti con le scarpe vecchie, con quei soldi, piuttosto, andava ad Aosta e si faceva fare la radiografia, si, era inquieta, adesso non poteva più stare zitta, era troppo inquieta, da tre notti sognava serpenti. Serpenti? Si, serpenti: vipere. E va bene, andasse ad Aosta. Si capisce, quando si diventa ricchi, nascono le esigenze. Una donna incinta sogna vipere? Occorre la radiografia. Viaggio, visita, radiografia: un altro bigliettone. Un altro bigliettone? Cosa volete che sia un altro bigliettone? Ce n'é t[...]

[...]lei non poteva tirare avanti con le scarpe vecchie, con quei soldi, piuttosto, andava ad Aosta e si faceva fare la radiografia, si, era inquieta, adesso non poteva più stare zitta, era troppo inquieta, da tre notti sognava serpenti. Serpenti? Si, serpenti: vipere. E va bene, andasse ad Aosta. Si capisce, quando si diventa ricchi, nascono le esigenze. Una donna incinta sogna vipere? Occorre la radiografia. Viaggio, visita, radiografia: un altro bigliettone. Un altro bigliettone? Cosa volete che sia un altro bigliettone? Ce n'é tanti. Ce n'é tanti ancora, tanti...
Salomone Croux lo osservava gongolante. Sbronzo e gongolante. Dei tre era l'unico con la sbornia allegra. La sbornia del ragazzo Attilio era, ancora più che triste, tetra. Quanto alla sbornia di César, si stava facendo rabbiosa. Malediceva se stesso per aver venduto il suo unico prato e sua moglie che si era opposta alla vendita. Malediceva il pessimo affare e Salomone che si permetteva di insinuare che era stato un pessimo affare. Indietro nel tempo, malediceva la zia Jacqueline che, morendo, gli aveva lasciato quel prato. Più indietro ancora, malediceva la notte in cui suo padre e sua madre avevano fatto all'amore, sporcaccioni, non poteva suo padre andare a dormire nel fienile invece di generare un figlio cos' disgraziato?
« Al diavolo », esplose. Prese la bottiglia vuota e la scagliò sul pavimento. La bottiglia scivolò sull'assito umido e non si ruppe. César le fu sopra, la schiacciò con lo scarpone, la ridusse in mille frammenti. Non si fermò, discese in cantina, ne risali con un'altra bottiglia identica alla prima. La stappò con i denti, riempi i tre bicchieri fino all'orlo.
« E adesso? », disse. « Cosa avete da dire, fagiani? ».
« Ha ragione », disse Salomone. « Ha ragione. Se ha due bottiglie, finita la prima gli resta la seconda. Se ha due mucchi di denaro, finito il primo gli resta il seconda. Tutto sta a vedere se ha due mucchi di danaro oppure una solo ».
VI
Fu allora che la sbornia tetra diede ad Attilio, che non aveva mai idee, un'idea. « L'unica », disse, « é che tu, Salomone, gli venda un prato.
QUESTIONE DI PRATI 87
Se resta senza prato é un disgraziato e non c'é nulla da fare ». Così si vendicava di César. Lo gettava in pasto a Salomone.
« Già », disse Salomone, « bisognerebbe sentire cosa ne pensa Salomone. Che io sappia, Salomone ha trattato molti prati in vita sua. Ha trattato prati contro prati. Prati contro denaro mai. Non sa cosa farsene, Salomone, del denaro. Né di uno né di due mucchi di denaro ».
« In questo caso César é un disgraziato », disse Attilio, « e non c'è nulla da fare. Per tutta la vita sarà un disgraziato ». Quasi, in un ritorno di affetto, [...]

[...]ro denaro mai. Non sa cosa farsene, Salomone, del denaro. Né di uno né di due mucchi di denaro ».
« In questo caso César é un disgraziato », disse Attilio, « e non c'è nulla da fare. Per tutta la vita sarà un disgraziato ». Quasi, in un ritorno di affetto, s'inteneriva. Reagì. « Che farci? Se l'è voluta lui ».
« Chissà », disse Salomone con voce distaccata, come parlasse di una persona lontana. « Infinite sono le vie del Signore. Può darsi che gli vada bene. Tutto può darsi. Ti ricordi Pession Eliseo? Era malato di cancro e nessun medico gli dava più di tre mesi di vita. Invece é morto un anno dopo e non di cancro. È morto perché, per paura del cancro, si é buttato nella Dora ».
« Povero Eliseo », disse il ragazzo Attilio.
« E Brunod? Ti ricordi la notte in cui bruciava il fienile di Brunod? ».
« Di Luigino Brunod? », disse il ragazzo Attilio.
« Non c'era uno che non giurasse che il fuoco gli avrebbe preso tutto, fienile e casa. Che fuoco! Invece la casa si é salvata. È vero che per rifare il fienile ha dovuto ipotecare la casa. Però, dico io, gli é andata bene. Sinceramente, mi auguro che anche a César vada bene. Bevo a che gli vada bene », concluse, levando il bicchiere.
« A che gli vada bene », disse il ragazzo Attilio levando il bicchiere. Bevvero. Il solo César non bevve. Non beveva e non parlava. Salomone ed il ragazzo Attilio bevevano e parlavano tra loro come se l'altro non esistesse.
« Io un prato ce lo avrei », disse Salomone, « come quello che César ha dato via. Quanto sarà stato il prato di César? Se non sbaglio (é difficile che sbagli) milletrecento metri quadri. Il mio é milledue e rotti. Poca differenza. Per il resto é identico, prende lo stesso sole, prende acqua dallo stesso canale. È proprio di fianco al prato che César ha dato via ».
« Credevo », disse il ragazzo Attilio, « che non ci fossero mai due prati identici ».
« Certo che non ci sono. Di proprio identici non ce ne sono mai. Forse che ci sono due bicchieri proprio identici? Forse che questi due bicchieri sono identici? Se guardi bene, uno ha sempre qualcosa
88 GIOVANNI PIRELLI
di diverso dall'altro. Però è un bel caso che ci siano due prati quasi
identici[...]

[...]ato che César ha dato via ».
« Credevo », disse il ragazzo Attilio, « che non ci fossero mai due prati identici ».
« Certo che non ci sono. Di proprio identici non ce ne sono mai. Forse che ci sono due bicchieri proprio identici? Forse che questi due bicchieri sono identici? Se guardi bene, uno ha sempre qualcosa
88 GIOVANNI PIRELLI
di diverso dall'altro. Però è un bel caso che ci siano due prati quasi
identici come due bicchieri ».
« E tu glielo daresti? », disse il ragazzo Attilio.
« Farei così. Gli direi: non voglio sapere quanto hai preso del tuo
prato. Non mi interessa. Tanto hai preso, tanto mi dai ».
« Oh », disse il ragazzo Attilio. « Gli daresti il prato senza sapere
se ha preso poco o molto? ».
« Certo. Ma non quel prato di cui parlavo. Un altro. Il prato di
cui parlavo non lo darei nemmeno per un milione ».
« Quale prato gli daresti? ».
« Un buon prato. Un tantino più piccolo, più in pendenza. Invece
di essere sotto il canale, è sopra. Sarebbe un prato più che bastante per
chi ha una mucca sola. Mucca », disse Salomone levando il bicchiere alla
mucca di César, « bevo alla tua salute ».
« Alla salute di Claretta », disse il ragazzo Attilio levando il bic
chiere alla mucca.
« Di Claretta », disse Salomone con un rutto. « Che il tuo padrone
ti ricomperi un buon prato ».
« E se l'affare non si combina? ».
Salomone allargò le braccia, urtando il bicchiere, spandendo la
grappa che gli rimaneva. Tornò a riemp[...]

[...] un prato più che bastante per
chi ha una mucca sola. Mucca », disse Salomone levando il bicchiere alla
mucca di César, « bevo alla tua salute ».
« Alla salute di Claretta », disse il ragazzo Attilio levando il bic
chiere alla mucca.
« Di Claretta », disse Salomone con un rutto. « Che il tuo padrone
ti ricomperi un buon prato ».
« E se l'affare non si combina? ».
Salomone allargò le braccia, urtando il bicchiere, spandendo la
grappa che gli rimaneva. Tornò a riempire il proprio bicchiere e quello
di Attilio. « Una mucca », disse, « non vive di fieno comperato. E amaro
il fieno comperato. In pochi mesi la bestia s'intossica e muore a.
Salomone rise di gusto. Attilio no. « Povera bestia, che colpa ha lei
se César ha venduta il suo unico prato? ».
« Si vede che vuol più bene al danaro che alle mucche ».
«Il prato sopra il canale basterebbe per far vivere Claretta? a.
« Certo che basterebbe ».
« César non sarà così crudele », disse il ragazzo Attilio, a da lasciar
morire Claretta se tu gli offri il modo di salvarla ».
« No[...]

[...] comperato. E amaro
il fieno comperato. In pochi mesi la bestia s'intossica e muore a.
Salomone rise di gusto. Attilio no. « Povera bestia, che colpa ha lei
se César ha venduta il suo unico prato? ».
« Si vede che vuol più bene al danaro che alle mucche ».
«Il prato sopra il canale basterebbe per far vivere Claretta? a.
« Certo che basterebbe ».
« César non sarà così crudele », disse il ragazzo Attilio, a da lasciar
morire Claretta se tu gli offri il modo di salvarla ».
« Non so. Dipende quanto vuole per Claretta ».
« Come sarebbe a dire? ».
« Esattamente come ho detto ».
« Non capisco », disse il ragazzo Attilio.
« Non capisci mai niente », disse Salomone, gli occhi strabici lucenti
di sbornia e d'allegria. « Quando mai un contadino vende un prato se è
in grado di comperare un'altra mucca? a.
QUESTIONE DI PRATI 89
VII
Il pugno di Cesar si abbatté sul tavolo, il tavolo sobbalzò, la bottiglia schizzò via, descrisse una breve traiettoria, discese, collo in gil, sull'assito. La grappa si sparse esalando un odore forte ed acre. César nemmeno volse uno sguardo a quel disastro. « Basta », tuonò. « Basta. Non voglio più saperne né di prati né di mucche. Sono un signore, io. Ho danaro, tanto che non ve lo sognate nemmeno. E me lo tengo ». Era malamente sbronzo. Di solito beveva fino al momento in cui si alzava per chiudere la porta dietro Attilio, spegnere il lume, coricarsi e fare all'amore. L'essere rimasto seduto senza bere lo aveva sbilanciato. « E adesso », disse cupo, « andatevene fuori dai piedi ».
Il ragazzo Attilio ebbe paura. Salomone era straordinariamente divertito. Bevve il fondo di grappa che ancora gli restava, allontanò da sé il bicchiere spingendolo con il dorso della mano lungo il pian[...]

[...]. Ho danaro, tanto che non ve lo sognate nemmeno. E me lo tengo ». Era malamente sbronzo. Di solito beveva fino al momento in cui si alzava per chiudere la porta dietro Attilio, spegnere il lume, coricarsi e fare all'amore. L'essere rimasto seduto senza bere lo aveva sbilanciato. « E adesso », disse cupo, « andatevene fuori dai piedi ».
Il ragazzo Attilio ebbe paura. Salomone era straordinariamente divertito. Bevve il fondo di grappa che ancora gli restava, allontanò da sé il bicchiere spingendolo con il dorso della mano lungo il piano del tavolo, sospirò. « César ha ragione », disse. « Adesso é un signore. Io e te, Attilio, siamo nati e resteremo contadini. Non siamo la compagnia che fa per lui. Su, Attilio, di buona notte al signore e andiamo. Andiamo », ripeté e non si mosse. Nemmeno Attilio si mosse. Avrebbe pagato un capitale per esser già fuori, lontano da César infuriato, ma aveva paura di muoversi per primo. « Io l'ho sempre detto », seguitò Salomone, « che César Borgne era un ragazzo in gamba, che avrebbe fatto molta strada. Ec[...]

[...]ui. Su, Attilio, di buona notte al signore e andiamo. Andiamo », ripeté e non si mosse. Nemmeno Attilio si mosse. Avrebbe pagato un capitale per esser già fuori, lontano da César infuriato, ma aveva paura di muoversi per primo. « Io l'ho sempre detto », seguitò Salomone, « che César Borgne era un ragazzo in gamba, che avrebbe fatto molta strada. Eccolo diventato un signore. Uno con la gia %a gonfia di danaro ».
César si alzò di scatto. La testa gli girava. Andò alla credenza, vi si appoggiò, schiena agli altri due. Premeva il petto contro la credenza, sentiva il gonfio delle banconote sotto la giacca. Rimase silenzioso alcuni minuti. Quindi, senza voltarsi: « Non avete sentito? Devo prendervi a calci nel culo? ».
Il ragazzo Attilio si sollevò sulle natiche. Cercava di incontrare almeno uno dei due occhi di Salomone, di fargli un cenno. Si rendesse conto, Salomone, che con César in quello stato non c'era da scherzare. Salomone si sollevò anch'egli, pull il piano dello sgabello con il fazzoletto da naso, tornò a sedersi. Il ragazzo Attilio si senti finito in una gabbia di matti. Rimase con le natiche e le mani sull'orlo della panca, pronto allo scatto. Misurava la distanza fra sé e la porta, non perdeva una mossa di César.
E allora, Attilio ? », disse Salomone. Si pizzicava il pantalone all'altezza del ginocchio, scuotendo la testa. Fingeva di crucciarsi per i suoi pantaloni senza piega. « Cosa aspettiamo a togliere il disturbo al
90 GIOVANNI PIRELLI
signor Borgne? E alla signora Claretta? Quanta strada anche Claretta, eh? La ricordo[...]

[...]sgabello con il fazzoletto da naso, tornò a sedersi. Il ragazzo Attilio si senti finito in una gabbia di matti. Rimase con le natiche e le mani sull'orlo della panca, pronto allo scatto. Misurava la distanza fra sé e la porta, non perdeva una mossa di César.
E allora, Attilio ? », disse Salomone. Si pizzicava il pantalone all'altezza del ginocchio, scuotendo la testa. Fingeva di crucciarsi per i suoi pantaloni senza piega. « Cosa aspettiamo a togliere il disturbo al
90 GIOVANNI PIRELLI
signor Borgne? E alla signora Claretta? Quanta strada anche Claretta, eh? La ricordo quando ancora era la più povera, la più disgraziata tra le mucche di mia conoscenza. E adesso non conosce più fieno, conosce solo biglietti di banca ».
Era troppo. César si volse. Aveva il viso paonazzo, il collo gonfio e le mani che tremavano. « Fai il furbo, vero? Speri che. te la venda per quattro soldi? Bene, puoi togliertelo dalla testa. Non te la vendo. Non la vendo a nessuno e tanto meno a te ».
« Ti credo », disse Salomone. « Per poco che te ne intendi di mucche, sai che sarebbe fatica sprecata. Ha anche rifiutato il toro, il mese scorso, o confondo con un'altra tua mucca? Comunque non c' da impressionarsi. II macellaio la prenderà. Il macellaio non ci rimette mai. Cornpera tanto al chilo, rivende tanto al chilo, osso compreso. Attilio, non conosci per caso un macellaio onesto? Non vorrei che il povero César si facesse fregare anche sul peso di Claretta ».
« Non la dò al macellaio. Non la dò a nessuno [...]

[...] tanto al chilo, rivende tanto al chilo, osso compreso. Attilio, non conosci per caso un macellaio onesto? Non vorrei che il povero César si facesse fregare anche sul peso di Claretta ».
« Non la dò al macellaio. Non la dò a nessuno ».
« Oh, la tieni? Credevo che non volessi più saperne né di prati né... ».
« No, non la tengo », disse cocciutamente César.
Salomone sollevò il cappello per grattarsi il cranio, alzò le spalle, inarcò le sopracciglia. Guardava interrogativamente il ragazzo Attilio. « L'ammazza », bisbigliò il ragazzo Attilio al quale la paura suggeriva prospettive sanguinose.
« Sissignore », disse César, « l'ammazzo ».
« Come credi che l'ammazza? », bisbigliò Salomone.
« Con il coltello », bisbigliò il ragazzo Attilio. Il solo pensiero del coltello nelle mani di César lo fece impallidire.
« Con il coltello, con il coltello, si. Proprio con il coltello », disse Cesar, estraendo dal cassetto della dispensa il coltello del pain deur. « Cosa credi? Che mi faccia impressione infilzare il cuore di una mucca? ».
« Voglio vedere come fai », disse Salomone.
« César, non lo fare, ti supplico, non lo fare », implorò il ragazzo Attilio.
César si fece addosso alla mucca e le diede un calcio nel deretano. La mucca si rizzò sulle gambe posteriori, poi su quelle anteriori. Quando fu ritta arricciò la coda e fece i suoi bisogni. Poi prese a sfiorare con il muso bavoso il piano della mangiatoia, esplorandola, emettendo sbuffi di fiato, sollevando rimasugli di fieno. La capra si svegliò. Alla vista del
QUESTIONE DI PRATI 91
coltello prese a tirare, terrorizzata, la corda a cui era legata. Puntava i piedi, tirava e quasi si strozzava. La mucca Claretta, invece, volse al padrone gli occhi grandi, acquosi e stupidi. Non capiva e infatti non si scompose.
« È ben affilato? », disse Salomone. Voleva divertirsi ma gli era venuto il dubbio che l'uccisione della mucca, fatta malamente, non gli sarebbe piaciuta. Il ragazzo Attilio aveva affondato il viso nelle mani.
« È corto », ammise a malincuore César. « La buco senza arrivare al cuore ».
« Meglio se la dai al macellaio », disse Salomone.
«Non gliela dò, al macellaio non la dò. Non la dò a nessuno ».
« Fai bene. I macellai sono tutti macellai. Povera Claretta, lei non ha colpa se tu hai venduto il tuo unico prato. Meglio sarebbe tirarle una schioppettata in fronte. Morirà senza accorgersene ».
« No, Cesar, non con il fucile! », implorò il ragazzo Attilio, togliendosi le mani dagli occhi per portarle alle orecchie.
« E invece proprio con il fucile », disse César. Mandò il coltello a conficcarsi nella mangiatoia, si spostò al cassone dove teneva il Mauser, ne sollevò il coperchio. Seguiva il suggerimento di Salomone, ne provava rabbia, ma che farci?, mica poteva, per contraddire Salomone, ammazzare la mucca dando fuoco alla stalla.
Stava immergendo la mano nel cassone quando la voce di Salomone lo fermò. « Se quelle che hai li sono cartucce a pallini, ti faccio presente che Claretta non è una lepre. È una mucca ». Lasciò ricadere pesantemente il coperchio del cassone. [...]

[...]a, a suo piacimento, nel senso opposto.
« Sai cosa? », disse Salomone. « Impiccala. Se l'impicchi non c'è né rumore né spargimento di sangue ».
César impallidì. Quando era bambino di cinque o sei anni, sua nonna, la madre di sua madre, era stata trovata appesa a una corda in solaio. Una crisi di malinconia, come se ne registrano, da queste parti, parecchie. Qualcuno s'impicca, altri si buttano nel fiume; ai più anziani basta il lavatoio. Volse gli occhi al soffitto. Travi non ne mancavano. Erano travi grosse, capaci di reggere non una, dieci mucche. Non c'era che da sollevare una tavola (sopra vi era un fienile vuoto) e far passare la corda intorno al trave. Facile, facilissimo. Tuttavia esitava. Sperava ancora di scoprire un ostacolo per non farne niente.
92 GIOVANNI PIRELLI
«
Cos'hai? », disse Salomone. « Non ti senti bene? ».
Boja fauss. Quel maledetto gli leggeva dentro come in un libro. « Cosa credi? Che César Borgne ci pensi due volte prima di impiccare una mucca? ». Dalla cassapanca si riportò alla dispensa, appoggiandovi contro una sedia. Sall sulla sedia, estrasse da sopra la dispensa una corda da montagna coperta di muffa, scese, spostò la sedia sotto un trave in corrispondenza della mangiatoia, vi risali, sollevò una tavola del soffitto, fece passare la corda intorno al trave, preparò il cappio. « Ecco », disse.
Salomone disse: « Bravo. Hai fatto un buon lavoro, ordinato e preciso. C'é un solo inconveniente. La tua stalla é bassa. Trop[...]

[...]avo. Hai fatto un buon lavoro, ordinato e preciso. C'é un solo inconveniente. La tua stalla é bassa. Troppo bassa per impiccare mucche. Va giusto bene per un uomo non tanto grande, grande pressapoco come te. Io direi che tu lasciassi perdere la mucca e provvedessi a te stesso. Io, nei tuoi panni, lo farei ».
« Tu credi?, credi che io non trovo il modo di impiccare una stupida mucca? ». Era disperato. Fu proprio la disperazione che in quel punto gli suggere un'idea. Non la vagliò; gli bastò immaginare, in un lampo, la scena. Si, era un'idea geniale, degna di César Borgne. Il suo viso si trasfigurò. Dall'altezza della sedia guardò Salomone ed il ragazzo Attilio, li guardò come li vedesse per la prima volta. Bassi erano e senza baffi. Omuncoli. Nani castrad. E sbronzi. Lui, César, non era sbronzo. Era in piedi su una sedia. Era alto. Alto, forte e con baffi. Li dominava. « Tu », ordinò ad Attilio, « prendi fuori la lanterna ». Scese con un salto dalla sedia, staccò dalla mangiatoia la catena a cui era legata la mucca. « E tu, fagiano », disse a Salomone, « accendigliela ». «[...]

[...]ia guardò Salomone ed il ragazzo Attilio, li guardò come li vedesse per la prima volta. Bassi erano e senza baffi. Omuncoli. Nani castrad. E sbronzi. Lui, César, non era sbronzo. Era in piedi su una sedia. Era alto. Alto, forte e con baffi. Li dominava. « Tu », ordinò ad Attilio, « prendi fuori la lanterna ». Scese con un salto dalla sedia, staccò dalla mangiatoia la catena a cui era legata la mucca. « E tu, fagiano », disse a Salomone, « accendigliela ». « Oh, Claretta, oh », disse, facendo voltare la mucca muso alla porta. « Cosa fanno i signori di notte? » disse. Era eccitato, sprizzava foga e cattiveria. « Escono a divertirsi. Cosa fa il signor Borgne? Esce a divertirsi. Avanti, servi, apritegli la porta ».
VIII
Uscirono. César, davanti, trascinando la mucca. Dietro, attaccato alla coda della mucca, l'ilare e barcollante Salomone. Ultimo, strascicando i piedi in sintonia con la sua sbornia tetra, il ragazzo Attilio. La notte era nera, umida e fredda. Una cappa di nebbia bassa sui tetti rifletteva il chiarore opaco della lanterna che César reggeva nella mano libera. Nel vicolo, tra due compatte file di muri in pietra, grigi, quasi neri, figure ed ombre apparivano ugualmente fantomatiche. Cornicioni di neve sporgevano dagli spioventi dei tetti, ma, sul passaggio dove lo
QUESTIONE DI[...]

[...]alla coda della mucca, l'ilare e barcollante Salomone. Ultimo, strascicando i piedi in sintonia con la sua sbornia tetra, il ragazzo Attilio. La notte era nera, umida e fredda. Una cappa di nebbia bassa sui tetti rifletteva il chiarore opaco della lanterna che César reggeva nella mano libera. Nel vicolo, tra due compatte file di muri in pietra, grigi, quasi neri, figure ed ombre apparivano ugualmente fantomatiche. Cornicioni di neve sporgevano dagli spioventi dei tetti, ma, sul passaggio dove lo
QUESTIONE DI PRATI 93
scolo delle gronde alternava disgeli e geli, la neve aveva fatto luogo ad un lucido, infido velo di ghiaccio.
«Facciamo un bel corteo », disse César. Il freddo pungente gli infondeva nuovo vigore e cattiveria. « Tu, Salomone, monta sulla mucca. Tu, Attilio... aspetta, aspettate un momento. Salomone, prendi questa ». Passe, a Salomone la catena della mucca, spari nel vano dell'uscio di casa, ne riemerse dopo pochi istanti reggendo due padelle, di quelle con il manico lungo di legno che s'usano per arrostire le castagne sulla fiamma. « Ecco. Tu Attilio, sei la banda ». Gli mise le padelle, una per mano e disse: « Prova ».
« Non voglio », disse il ragazzo Attilio. « Non mi va ».
« Prova, fagiano ».
Controvoglia, debolmente, Attilio batté le padelle l'una contro l'altra. « Piú forte ».
« Non mi va ».
« Piú forte, ho detto ».
« È inutile, non mi va », disse cocciutamente Attilio.
« Cosi, fagiano! ». César gli si mise alle spalle, gli prese i polsi, gli allargò le braccia, gliele riunì con violenza. Ma Attilio aveva mollato la presa, le padelle finirono a terra e solo le sue mani sbatterono l'una contro l'altra.
« Ahi », fece Attilio, portandosi le mani doloranti alla bocca. Quasi piangeva.
« E allora vattene », disse spazientito César. « Va a piangere in braccio a quella vacca di tua madre. Va, va. Salomone, a noi ». S'era già scordato del ragazzo Attilio. « Avanti, monta su ».
« Io? », disse Salomone, guardando la coda inquieta della bestia. « Io? ».
«Proprio tu. Sei il più anziano. La cavalcatura tocca al più anziano ».
« Mmonta tu », disse Salomone. Aveva [...]

[...]mucca. Sei leggerino. Sei un cavaliere ideale. E tu, Salomone, sei la banda. Vieni, Attilio, vieni ».
94 GIOVANNI PIRELLI
Il ragazzo Attilio era ancora n, le mani dolenti e intirizzite chiuse a pugno sulla bocca. « Non mi va », disse, muovendo all'indietro. « Non mi va di fare il cavaliere. Hai detto che io sono la banda ».
« Ho cambiato idea », disse César.
Attilio fece una giravolta sui tacchi ma scivolò sul ghiaccio finendo gattoni. César gli fu sopra, lo strinse nelle braccia, lo sollevò di peso, lo issò in groppa alla mucca.
« Cado, cado », gemette Attilio.
a Attaccati alle corna. Nessuno é ancora morto per aver cavalcato una mucca. Beh, Salomone, cosas aspetti? ».
Salomone, felice di aver scambiato ruolo con Attilio, raccolse le padelle. Essere la banda si confaceva con il suo stato d'animo. Sin dalla prima, energica battuta, la mucca fece uno scarto. Mentre puntava le gambe anteriori, irrigidendole, le posteriori le mancarono sotto il deretano. Si drizzò con un colpo di reni ma il peso che portava in groppa le impedì di rit[...]

[...]le due file di case, la bestia, sebbene contro volontà, muoveva discendendo lungo il vicolo. E con lei muoveva il corteo.
In testa, César. Aveva buone scarpe chiodate e non per niente era stato guida, teneva il busto diritto e appoggiava il piede, ad ogni passo, in modo che i chiodi mordessero il ghiaccio. Reggeva in una mano la lanterna a petrolio, nell'altra la catena della mucca. Il cappella rovesciato all'indietro, il ciuffo ribelle basso sugli occhi, la rotondità dei baffi già imbiancata di brina, cantava con voce baritonale la canzone di quando si sentiva in gran forma. Cantava: «Le duc de Bordeaux ressemble à sa mère sa mère à son pere et son père à mon cu de là fen conclu que le duc de Bordeaux ressemble à mon cu comme deux gouttes d'eaux ». Terminata la canzone gridava, ma senza voltarsi : « Andiamo bene? Bella nottata, eh? ». E ricominciava da capo. «Le duc de Bordeaux... ».
Dietro la mucca, Salomone. Aveva perduto il cappello, quel cappello che toglieva solo al momento in cui si coricava, e metteva in testa, al risvegli[...]

[...]itonale la canzone di quando si sentiva in gran forma. Cantava: «Le duc de Bordeaux ressemble à sa mère sa mère à son pere et son père à mon cu de là fen conclu que le duc de Bordeaux ressemble à mon cu comme deux gouttes d'eaux ». Terminata la canzone gridava, ma senza voltarsi : « Andiamo bene? Bella nottata, eh? ». E ricominciava da capo. «Le duc de Bordeaux... ».
Dietro la mucca, Salomone. Aveva perduto il cappello, quel cappello che toglieva solo al momento in cui si coricava, e metteva in testa, al risveglio, prima ancora di infilare i pantaloni. Questa perdita non lo poteva disturbare per il motivo che non se n'era accorto. Era meravigliosa
QUESTIONE DI PRATI 95
mente ubriaco, avanzava sgambettando con le ginocchia piegate come un virtuoso di balletto russo. Non era virtuosismo. Era questione di necessità. Solo mantenendo il baricentro vicinissimo a terra ce la faceva a non ruzzolare. In ciò s'aiutava con le padelle tenute una per mano dalla. parte del manico. Lo sfregolio dei due piatti sul ghiaccio, pur non corrispondendo al tipo di banda previsto da César, era tuttavia un baccano apprezzabile.
In groppa alla mucca, il ragazzo Attilio. Come, per necessità, la mucca e Salomone, ciascuno a modo suo, avanzavano sgambettando[...]

[...]groppa alla mucca, il ragazzo Attilio. Come, per necessità, la mucca e Salomone, ciascuno a modo suo, avanzavano sgambettando,. così il ragazzo Attilio, per necessità, stava avvinghiato alla sua cavalcatura. Con le mani le stringeva il collo, con le gambe i fianchi. Un cedimento delle zampe posteriori lo scaraventava fin sul deretano della mucca, un contraccolpo lo rimbalzava con il viso tra le corna. Era tanta la paura di finire a terra che, se gli fosse stato possibile, si sarebbe buttato. Non era possibile. Tra la rotondità del ventre della bestia ed i muri del vicolo vi era uno spazio di pochi palmi. Se fosse stato pássibile, avrebbe gridato. Anche questo gli era impossibile. La paura lo soffocava. Quando, superato un ostacolo e riavutosi un poco, apriva la bocca, una nuova emozione — un sobbalzo più forte, lo spigolo di una casa, il buco d'ingresso di una stalla seminterrata, un trave sporgente da un muro — gli frantumava il grido in gola. Una sola volta, chissà come, gridò. Fu quando gli si parò innanzi, basso, nero e minaccioso, l'arco di pietra che copre il passaggio dal vicolo alla piazzetta della chiesa. « Mamma », gridò, appiccicò il viso al collo della mucca e chiuse gli occhi, certo di dover morire.
Quando li riapri, si trovò sulla neve. Sopra di lui c'era la cappa di nebbia grigia e bassa come un coperchio. Tra lui e quel coperchio dondolava una massa tondeggiante. Era il ventre della mucca Claretta. La mucca beveva, il muso immerso nel lavatoio fino alle narici fumanti. Oltre le gambe della mucca c'erano le gambe di César.
César riaccese la lanterna che nella corsa s'era spenta. La fiamma vacillò, quindi prese forza, si sollevò, illuminò l'intero poligono della piazzetta con il lungo lavatoio in pietra, l'antico pioppo cipressino ac canto al campanile, l[...]

[...]nte. Era il ventre della mucca Claretta. La mucca beveva, il muso immerso nel lavatoio fino alle narici fumanti. Oltre le gambe della mucca c'erano le gambe di César.
César riaccese la lanterna che nella corsa s'era spenta. La fiamma vacillò, quindi prese forza, si sollevò, illuminò l'intero poligono della piazzetta con il lungo lavatoio in pietra, l'antico pioppo cipressino ac canto al campanile, la facciata della chiesa, le case schierate fra gli sbocchi dei vicoli.
Allora si udì la voce di Salomone. Era quasi nel mezzo della piazza, seduto sulla neve gelata e diceva: « Che chiaro di luna, che bellissimo chiaro di luna ». Era completamente svanito.
« Brava, brava Claretta », disse a sua volta César. « Sei una mucca
96 GIOVANNI PIRELLI
in gamba. Ti faranno accademico del CAI ». Per Attilio nemmeno una parola. Lasciò che la mucca bevesse un paio di minuti, quindi ordinò: « Basta. Se ti gonfi come un'otre, chi ti porta piú su? ».
« Non lo fare, César, non lo fare », supplicò il ragazzo Attilio, sollevandosi fino a mettersi in ginocc[...]

[...] alla corda oppure salire i quarantasette gradini e suonare a martello. César spalancò il battente con una pedata e introdusse la lanterna nel vano illuminando l'imbocco della scala. Con l'altra mano si tirava dietro la mucca.
« Con Claretta ? », disse, disperato, il ragazzo Attilio.
« Già ».
«Perché con Claretta? ».
« Per mostrarle il panorama », disse spazientito César. S'infilò nel vano e affrontò la salita. Li, la mucca si ribellò. Puntò gli zoccoli delle gambe anteriori contro il rialzo del primo gradino, tese il collo, inarcò le reni e si fissò in quella posizione, dura come una pietra, inamovibile. « Oh, Claretta », le diede la voce César. « Oh, Claretta, oh, oh ». La mucca non si lasciò incantare. « O000h », fece César e tirò la catena con quanta forza avevá. La mucca non si mosse un solo palmo. « La banda! », gridò César. « Cosa fa la banda? ».
Salomone sussultò. Seduto sul ghiaccio accanto al lavatoio, la testa ciondoloni sul petto, stava per assopirsi. Saltò su come un automa, apri le braccia, le riunì sbattendo clamorosa[...]

[...]e un solo palmo. « La banda! », gridò César. « Cosa fa la banda? ».
Salomone sussultò. Seduto sul ghiaccio accanto al lavatoio, la testa ciondoloni sul petto, stava per assopirsi. Saltò su come un automa, apri le braccia, le riunì sbattendo clamorosamente le padelle. Come' già nel vicolo, davanti alla casa di César, così anche adesso la mucca ebbe un sobbalzo. Perduta la sua rigidezza, si trovò a cedere alla forza della catena. Una volta posati gli zoccoli sui primi gradini, prese a salire volonterosamente benché la scala s'avvitasse ripida e stretta. César, precedendola e guidandola, si studiava di illuminarle il cammino lasciando quanto più possibile in ombra il buco centrale lungo cui penzolava la corda della campana. Saliva così bene, quella brava bestia, che sarebbe stato peccato
QUESTIONE DI PRATI 97
se le fossero venuti brutti pensieri. Dietro di lei, distanziato di alcuni gradini, avanzava Salomone. La mente deliziosamente annebbiata, saliva superando i problemi della statica e della dinamica grazie alle padelle che reggeva ve[...]

[...] gradino in gradino. Il frastuono del ferro ritmicamente battuto sulla pietra era quanto occorreva perché la bestia procedesse con la voluta continuità.
Fermo e rigido nello stesso punto dove, all'inizio, s'era irrigidita la mucca, stava il ragazzo Attilio. Sperava che lo chiamassero. Ma poiché nessuno pareva ricordarsi di lui, gridò su: a Io vado a letto. Non salgo. Non mi va di salire ».
« Vva, vva a ppiangere in brbraccio a quella vvacca », gli gridò, dall'alto, Salomone.
La provocazione fu più forte della paura. Anche il ragazzo Attilio prese a salire. Aveva l'animo oppresso da tristi presagi. Saliva piano, con il cuore in bocca, incespicando ad ogni gradino poiché, trovandosi distanziato dagli altri, la luce della lanterna gli giungeva estremamente fioca. Però saliva. « Ma perché, César, perché non dici cosa vuoi fare? », implorò. Non ebbe risposta alcuna. « Se finisce male », disse, « l'avrai voluto tu ». Ancora non gli badarono. « Cosa credete, che io abbia paura? » Aveva adottato il sistema di salire a quattro zampe. Era un sistema molto più redditizio. Verso la metà della rampa era quasi a ridosso di Salomone.
« Oh, oh, Claretta ». César dava la voce alla mucca, ma non per farla avanzare. Le dava la voce per calmarla, temendo che potesse incespicare e rompersi una gamba. La mucca, infatti, una volta infilatasi in quel budello oscuro, sembrava avere un unico pensiero: uscirne. Aveva il fiato grosso, ansimava, procedeva a strappi, eppure non si fermava.
« In giù non andrà, te lo dico io », si lamentò il r[...]

[...]do! », disse gioiosamente Salomone. « Una mmucca allo sspiedo! ».
« Con questo freddo? » disse il ragazzo Attilio.
« Chi non dorme mangia e chi mangia non ha freddo », sentenziò César. « E chi non mangia è perché è invidioso. E chi è invidioso si impicchi D.
« Ss'impicchi », disse Salomone. « Qui c'è ccorda per ttutti ». Fu così esilarato della propria battuta che barcollò. Barcollando apri un braccio, una padella urtò la corda della campana, gli schizzò di mano, precipitò lungo il buco, raggiunse il fondo. Di laggiù un fragore sinistro risali il campanile. La mucca ebbe un nuovo sobbalzo e si lanciò in avanti, cioè in sù.
« Oh, oh, oh », le diede la voce César, balzando anch'egli in su per non venire urtato dalle corna della bestia arrancante. « Oh, oh, oh ». Saliva, quasi correndo, incalzato dalla mucca, e s'adoperava a moderarne la foga. « Oh, oh, oh ». Si trovò agli ultimi gradini. « Oh, Claretta, oh, oh ». Emerse dalla scala, gli si parò dinnanzi la massa scura della campana. Alle sue spalle premeva la mucca. « Fermala, Salomone », gridò, « tirala per la coda ».
« Pperché? », disse Salomone. « Quando arriva in ccima si fferma per fforza ».
«Fermala, ti dico, fermala ».
Era un'unica, grande campana che occupava quasi tutto lo spazio fra le quattro finestre ad arco. Solo su un lato, in corrispondenza dello sbocco della rampa, c'era un assito largo mezzo metro e lungo circa un metro e mezzo. Potevano starci tre uomini. Oppure una mucca. Non potevano starci una mucca e un uomo.
César fece dietro front e mise la lanter[...]

[...]one. « Quando arriva in ccima si fferma per fforza ».
«Fermala, ti dico, fermala ».
Era un'unica, grande campana che occupava quasi tutto lo spazio fra le quattro finestre ad arco. Solo su un lato, in corrispondenza dello sbocco della rampa, c'era un assito largo mezzo metro e lungo circa un metro e mezzo. Potevano starci tre uomini. Oppure una mucca. Non potevano starci una mucca e un uomo.
César fece dietro front e mise la lanterna davanti agli occhi della bestia. Contava, abbagliandola, d'arrestarla. La fronte della mucca urtò la lanterna, il vetro andò in frantumi, la fiamma si spense, César indietreggiò. Di traverso la finestra contro cui terminava l'assito c'era una sbarra in ferro infissa nella pietra a mezzo metro dal suolo. La scavalcò
QUESTIONE IDI PRATI 99
all'indietro. Si trovò la fronte ossuta della bestia che gli premeva lo stomaco e lo spingeva nel vuoto. La mucca non aveva intenzioni aggressive. S'era intestardita a sistemarsi con le quattro zampe sull'assito e per far questo le occorreva tutto lo spazio. Era forte, César, ma anche la bestia era forte e in posizione migliore. La lotta, in effetti, non durò che pochi istanti. Il tutto, dacché il frastuono della padella precipitata in fondo al campanile aveva imbestialito Claretta, era durato meno di mezzo minuto.
X
«Oh! », chiamò Salomone Croux dalla fine della rampa. I minuti passavano, c'era buio e silenzio, solo un lieve chiarore, dall'esterno, lasciava intravedere il posteriore della mucca che ostruiva lo sbocco. Salomone si sedette. « Oh! ». Nessuna risposta. Rise: « Cchissà ccosa diavolo ccombina ».
Uno scalatore, un capocordata che venga a trovarsi in difficoltà quand'è in parete, due cose non deve fa[...]

[...]la mucca che ostruiva lo sbocco. Salomone si sedette. « Oh! ». Nessuna risposta. Rise: « Cchissà ccosa diavolo ccombina ».
Uno scalatore, un capocordata che venga a trovarsi in difficoltà quand'è in parete, due cose non deve fare: non deve guardare giù e non deve gridare. César Borgne non aveva guardato giù e non aveva gridato. Aggrappato saldamente alla sbarra di ferro, il corpo penzoloni nel vuoto, annaspava con i piedi alla ricerca di un appiglio, anche piccolo, su cui poggiare almeno la punta degli scarponi. Ne trovò uno insperatamente comodo. Senonché, non appena riversatovi sopra una parte del peso, l'appiglio cominciò a muoversi. Era la lancetta lunga dell'orologio del campanile. La lancetta, che segnava le meno dieci (mancavano dieci minuti alla mezzanotte), prese a spostarsi all'indietro, cioè in giù. L'orologio batté i tre quarti. La lancetta seguitò a scendere fino a trovarsi in posizione verticale. L'orologio batté la mezza. I piedi di César tornarono ad annaspare nel vuoto.
« Ah, ah », scoppiò a ridere Salomone, sentendo battere, dopo i tre quarti, la mezza. « Cche mmatto! Cche mmatto! ».
« Ho freddo », disse il ragazzo Attilio.
La mucca stava perfettamente tranquilla, le quattro zampe p[...]

[...]César tornarono ad annaspare nel vuoto.
« Ah, ah », scoppiò a ridere Salomone, sentendo battere, dopo i tre quarti, la mezza. « Cche mmatto! Cche mmatto! ».
« Ho freddo », disse il ragazzo Attilio.
La mucca stava perfettamente tranquilla, le quattro zampe piantate sull'assito come fosse la sua lettiera, il muso sporgente oltre la sbarra della finestra come fosse la sbarra della mangiatoia.
Fuori, i piedi di César avevano trovato un nuovo appiglio. Avevano trovato, sul quadrante dell'orologio, le asticelle in lamiera delle ore; rilievi minimi, di pochi millimetri, sufficienti, tuttavia, perché la punta degli scarponi vi facesse presa. La punta dello scarpone destro mordeva l'asticella delle ore tre, la punta del sinistro le asticelle delle ore nove.
ioo
GIOVANNI PIRELLI

Aveva disposto il corpo a leva, con le braccia e le gambe tese ed il sedere buttato in fuori. II sedere fungeva, cioè, da fulcro, i piedi da potenza e le mani da resistenza. È la migliore posizione, su uno strapiombo, per essere equilibrati e distribuire ugualmente il peso sui muscoli delle quattro estremità. Così sistemato, non avendo più nulla da fare, cominciò a sospettare d'essersi cacciato in un guaio. Ancora non gridò, non chiese aiuto. Non lo fece per due motivi: primo, perché gli seccava di chiedere aiuto; secondo, perché sapeva che nei casi del genere gli altri fanno confusione e basta. La faccenda doveva venir risolta fra lui e la mucca. Si issò sulle braccia, abbandonando l'appiglio dei piedi, puntò il cranio contro il petto della bestia e spinse. Spinse come fosse mucca contro mucca. La vera mucca non arretrò di un centimetro; si limitò a scrollare il muso sbavando addosso al padrone. César si calò indietro, ritrovò l'appiglio dei piedi, riposò un poco, rinnovò il tentativo. Dopo il terzo tentativo si rese canto che sprecava molta energia mentre la sua antagonista non ne sprecava affatto. C'era poi l'aggravante di una sbornia che riguardava lui, non la mucca. Sentiva spossatezza alle braccia e un certo tremito che dal calcagno gli saliva al ginocchio. Brutta faccenda quando uno impastato in parete comincia ad avere il tremito alle ginocchia. È segno che sta perdendo il controllo dei nervi. Allora capi di essersi cacciato in un guaio di quelli per i quali si può anche crepare. Improvvisamente ebbe molta paura.
«Oh! », chiamò.
« Oh », disse Salomone, dalla fine della rampa. « Ffinalmente! ». « Sono nei guai », disse César. Gli seccava dire di piú. « Salomone? ».
« Oh », disse Salomone.
« Tira indietro la mucca ».
«Pperché? Ccosa c'è? ». Più che non dalla situazione che non tentava nemmeno di spiegarsi, Salomone era sconcertato dalla strana voce che di lontano gli giungeva all'orecchio. Era la voce di un altro. Chi poteva essere quest'altro? E César, dove si era cacciato costui?
« Ho freddo », disse il ragazzo Attilio. « Io me ne vado. Vado a letto ».
La voce si fece ancora sentire. Era la voce di César per il solo motivo che non poteva essere d'altri. « Sacrenom, non capite che sto crepando? ».
Addirittura? A chi credeva di darla da bere? No, Salomone non
QUESTIONE DI PRATI 101
ci cascava. « Hai ssentito? », disse ad Attilio. « E César. Ddice che ccrepa ».
« Che crepi », disse il ragazzo Attilio. « Crepo anch'io. Crepo di freddo. Digli che facci[...]

[...]se il ragazzo Attilio. « Io me ne vado. Vado a letto ».
La voce si fece ancora sentire. Era la voce di César per il solo motivo che non poteva essere d'altri. « Sacrenom, non capite che sto crepando? ».
Addirittura? A chi credeva di darla da bere? No, Salomone non
QUESTIONE DI PRATI 101
ci cascava. « Hai ssentito? », disse ad Attilio. « E César. Ddice che ccrepa ».
« Che crepi », disse il ragazzo Attilio. « Crepo anch'io. Crepo di freddo. Digli che faccia presto ».
« Presto! », fece eco la voce di César. « Tirate indietro la mucca! ».
Il tono era tale che Salomone si convinse di dover fare qualcosa. Per), siccome diffidava ancora e non voleva passare per fesso, disse ad Attilio con tono distaccato: « Nnon ssenti? Ddice di tiidi tirar indietro la mmucca ». Prese la coda dell'animale e ne agitò il ciuffo sul viso di Attilio.
« Non mi va di tirare », disse il ragazzo Attilio schernendosi con il braccio sugli occhi.
« Ttira, ppigrone », disse Salomone.
« Assassini! Vigliacchi! ». Salomone e Attilio si sentirono agghiacciare. Si sca[...]

[...].
« Presto! », fece eco la voce di César. « Tirate indietro la mucca! ».
Il tono era tale che Salomone si convinse di dover fare qualcosa. Per), siccome diffidava ancora e non voleva passare per fesso, disse ad Attilio con tono distaccato: « Nnon ssenti? Ddice di tiidi tirar indietro la mmucca ». Prese la coda dell'animale e ne agitò il ciuffo sul viso di Attilio.
« Non mi va di tirare », disse il ragazzo Attilio schernendosi con il braccio sugli occhi.
« Ttira, ppigrone », disse Salomone.
« Assassini! Vigliacchi! ». Salomone e Attilio si sentirono agghiacciare. Si scambiarono un'occhiata interrogativa e spaurita, s'attaccarono con simultanea decisione alla coda della mucca, tirarono. Tirarono in giù, a strattoni, così come, per l'appunto, si tira la corda della campana quando un pericolo incombe e bisogna dare l'allarme. Per scarsa che sia l'intelligenza e corta la memoria di una mucca, la mucca Claretta sapeva di avere dietro di sé una scala ripida e un vuoto. Prese paura, puntò gli zoccoli, s'agitò. Agitandosi premette con un fianco l'orlo della campana. La campana cominciò a dondolare, il mov[...]

[...]entirono agghiacciare. Si scambiarono un'occhiata interrogativa e spaurita, s'attaccarono con simultanea decisione alla coda della mucca, tirarono. Tirarono in giù, a strattoni, così come, per l'appunto, si tira la corda della campana quando un pericolo incombe e bisogna dare l'allarme. Per scarsa che sia l'intelligenza e corta la memoria di una mucca, la mucca Claretta sapeva di avere dietro di sé una scala ripida e un vuoto. Prese paura, puntò gli zoccoli, s'agitò. Agitandosi premette con un fianco l'orlo della campana. La campana cominciò a dondolare, il movimento crebbe, il battacchio urtò il bronzo. Ne usci un suono strascicato e cupo. La paura della bestia aumentò. S'agitò più scompostamente, urtò con maggior vigore la campana ancora oscillante, provocò un altro, più forte rintocco, un terzo, un quarto rintocco. Terrorizzata, la mucca si spingeva in senso opposto agli strattoni di Salomone e d'Attilio, cioè in avanti. Così facendo urtava con le ginocchia le mani di César aggrappato alla sbarra di ferro. La pelle delle dita di César, già indurite dal freddo, prese a spaccarsi.
« Smettetela! », urlava adesso César. « Basta! Basta! ».
« Più fforte, più fforte », diceva Salomone al ragazzo Attilio.
« Vi ammazzo! Assassini! », urlava César. « Vi ammazzo! ».
Più gridava, più i due dalla scala tiravano, più la mucca s'agitava. I rintocchi si diffondevano ormai nella notte sull'intera borgata e oltre, oltre le circostanti frazioni sino ai casolari dispersi sul[...]

[...]'agitava. I rintocchi si diffondevano ormai nella notte sull'intera borgata e oltre, oltre le circostanti frazioni sino ai casolari dispersi sulla costa e giù verso il fiume.
102 GIOVANNI PIRELLI
XI
Ce ne vuole, da queste bande, per cavare uno dal letto. Se il rumore è in casa o viene su dalla stalla, è un'altra faccenda. Ma se viene da fuori, si pensa a uno dei soliti ubriaconi che fa bisboccia o baruffa con i compagni, o impreca contro la moglie che ha sprangato l'uscio di casa. Affari suoi. Ci si tira la coperta sopra la testa e si ripiomba nel sonno. Infatti, per quanto forti fossero le urla di César, nessuno vi aveva badato, nessuno si era mosso. Ma quando i rintocchi della campana si diffusero sul paese ed echeggiarono nella valle, allora l'atavico senso del pericolo e della solidarietà nel pericolo spinse tutti, precipitosamente, fuori dai letti e dalle case.
I primi a giungere furono Eliseo Chénoz e suo figlio Zino, la cui abitazione dava sullo spiazzo della chiesa. Nell'oscurità (erano scesi senza lanterna; quanto alla lampa[...]

[...]i casa. Affari suoi. Ci si tira la coperta sopra la testa e si ripiomba nel sonno. Infatti, per quanto forti fossero le urla di César, nessuno vi aveva badato, nessuno si era mosso. Ma quando i rintocchi della campana si diffusero sul paese ed echeggiarono nella valle, allora l'atavico senso del pericolo e della solidarietà nel pericolo spinse tutti, precipitosamente, fuori dai letti e dalle case.
I primi a giungere furono Eliseo Chénoz e suo figlio Zino, la cui abitazione dava sullo spiazzo della chiesa. Nell'oscurità (erano scesi senza lanterna; quanto alla lampadina sopra il lavatorio, era permanentemente bruciata) videro una sagoma che penzolava dalla finestra del campanile, agitandosi e urlando : « Vi ammazzo, assassini, vi ammazzo! ». Cosa accadeva lassù? Chi ammazzava? Chi era l'ammazzato? Rimasero ammutoliti.
Da un'altra casa usci, allacciandosi la cinghia dei pantaloni, Laurent Pascal. Da un vicolo giunsero correndo gli uomini della famiglia Brunod: l'anziano Luigino; il figlio ed il nipote. Tutti, data uno sguardo alla sagoma[...]

[...]piazzo della chiesa. Nell'oscurità (erano scesi senza lanterna; quanto alla lampadina sopra il lavatorio, era permanentemente bruciata) videro una sagoma che penzolava dalla finestra del campanile, agitandosi e urlando : « Vi ammazzo, assassini, vi ammazzo! ». Cosa accadeva lassù? Chi ammazzava? Chi era l'ammazzato? Rimasero ammutoliti.
Da un'altra casa usci, allacciandosi la cinghia dei pantaloni, Laurent Pascal. Da un vicolo giunsero correndo gli uomini della famiglia Brunod: l'anziano Luigino; il figlio ed il nipote. Tutti, data uno sguardo alla sagoma che penzolava dal campanile, s'agitava e urlava, si fecero addosso ai Chénoz padre e figlio tempestandoli di domande: « Cos'è? Chi è? Cosa è stato? ».
« Cosa volete che ne sappiamo? », rispondevano i Chénoz.
« Ma se eravate qui », si spazientivano gli altri.
Frotte di uomini e alcune donne spuntavano, intanto, dalla raggera di vicoli, accrescendo la ressa intorno ai due Chénoz. Molti arrivavano con lanterne; lanterne a petrolio, a carburo, ad acetilene. Il chiarore si faceva piú intenso, saliva, conquistava le zone opache sotto la cappa di nebbia.
« C'è una mucca! », gridò con entusiasmo il figlio dell'idraulico Grange, lettore di romanzi a fumetti. « Una mucca in cima al campanile! ».
Per alcuni istanti tutti guardarono su senza poter aprir bocca. Finché Lino Guichardaz, il giovane cognato di César, gridò : « Quello è mio cognato! E César Borgne! ».
Tanto bastò per ridare ai più svegli il senso della realtà. Laurent Pascal si staccò dal gruppo e corse verso il campanile, seguito dal figlio
QUESTIONE DI PRATI 103
Chénoz, dall'anziano Luigino Brunod, da altri. Nel giro di pochi istanti, da tutti. Si ammassarono alla porticina del campanile, irruppero nell'interno, s'ingorgarono, spingendosi e urtandosi, su per le scale. In cima alla rampa trovarono Salomone Croux e il ragazzo Attilio Glarey.
Attilio era rannicchiato sulle ginocchia, una mano ancora attaccata alla coda della mucca, l'altra infilata sotto la giacca. « Ho freddo », piagnucolava.
Salomone si era rizzato in piedi, fronte ai sopraggiunti. Prevenne ogni domanda: « E ttu », dichiarò, « ttutto uno scherzo di CCésar »[...]

[...] disponeva di una forza incredibile. Se retrocedeva un palmo o due trovava modo, con un colpo di reni, di ributtarsi in avanti. Al termine della spinta in avanti urtava le mani di César avvinghiate alla sbarra di ferro. La campana batteva cupi rintocchi, César urlava: « Assassini! Porci! Vi ammazzo! ».
Laurent Pascal era davvero un tipo deciso. Abbandonò la coda della mucca e disse: « Bisogna abbatterla. Presto, fate portare una scure ».
Anche gli altri mollarono la presa. Fu passata parola di portare una scure.
«E come l'abbatti? Dal sedere? », disse l'anziano Luigino Brunod. Laurent Pascal alzò le spalle.
« Di chi è la mucca? », disse ancora Luigino Brunod. « Di César? ».
«Tu cosa faresti? », disse, cedendo al dubbio, Laurent Pascal.
Luigino Brunod non sapeva cosa avrebbe fatto. Nessuno lo sapeva. Abbattere una mucca cominciando dal sedere? Abbatterla senza il con senso del padrone? Una mucca non è un cane, una gallina, un coniglio. È un patrimonio. Riconsiderata l'iniziativa sotto questo punto di vista, nessuno, nemmeno Laurent [...]

[...]i portare una scure.
«E come l'abbatti? Dal sedere? », disse l'anziano Luigino Brunod. Laurent Pascal alzò le spalle.
« Di chi è la mucca? », disse ancora Luigino Brunod. « Di César? ».
«Tu cosa faresti? », disse, cedendo al dubbio, Laurent Pascal.
Luigino Brunod non sapeva cosa avrebbe fatto. Nessuno lo sapeva. Abbattere una mucca cominciando dal sedere? Abbatterla senza il con senso del padrone? Una mucca non è un cane, una gallina, un coniglio. È un patrimonio. Riconsiderata l'iniziativa sotto questo punto di vista, nessuno, nemmeno Laurent Pascal, si sentiva ardire di tradurla in atto. Dallo slancio dei primi momenti già passavano ad un atteggiamento di titubanza, di attesa. Attesa di che? Della scure che nessuno voleva adoperare?
« Cosa diavolo gli é saltato in mente? », disse il padre Chénoz.
« Quando uno beve come beve César », disse Luigino Brunod.
Lino Guichardaz, il giovane cognato di César, si volgeva a questo
104 GIOVANNI PIRELLI
e a quello, gridando: « Bisogna fare qualche cosa! Bisogna fare qualche cosa! ».
Il ragazzo Attilio piagnucolava : « Ho freddo. Ho freddo ». Invece Salomone Croux ripeteva: « È ttutto uno sscherzo, uno sscherzo di quel ppazzo ».
Alcuni del fondo della rampa gridarono: « Cosa state a discutere invece di smuovere via quella mucca? ».
« Perché non vi provate voi! », grida giù Laurent Pascal.
« I sol[...]

[...] si volgeva a questo
104 GIOVANNI PIRELLI
e a quello, gridando: « Bisogna fare qualche cosa! Bisogna fare qualche cosa! ».
Il ragazzo Attilio piagnucolava : « Ho freddo. Ho freddo ». Invece Salomone Croux ripeteva: « È ttutto uno sscherzo, uno sscherzo di quel ppazzo ».
Alcuni del fondo della rampa gridarono: « Cosa state a discutere invece di smuovere via quella mucca? ».
« Perché non vi provate voi! », grida giù Laurent Pascal.
« I soldi gli hanno datò alla testa », disse il padre Chénoz.
« Altro che soldi », disse Luigino Brunod. « Suo zio Emile, buonanima, ricordate come é finito? Tornava sbronzo da una veglia ed é cascato in una concimaia ».
« Bisogna fare qualche cosa! », gridava Lino Guicherdaz. « Bisogna fare qualche cosa! ».
Giù nella piazzetta, disposti a mezzaluna, a rispettosa distanza dal punto dove César poteva cadere, stavano coloro i quali, giunti in ritardo, avevano trovato il campanile completamente ingombro. Tra costoro mancava un tipo deciso come Laurent Pascal. Il solo a fare una specie di proposta era stato il figlio dell'idraulico Grange, il lettore di romanzi a fumetti, ridisceso dal campanile in piazza per meglio godersi lo spettacolo. « Ci vorrebbe il mitra di Pecos Bill », aveva detto. Di li l'idea di abbattere la mucca con un colpo in fronte. Non c'era uomo in paese che non avesse fucile, ma erano fucili da caccia con cartucce a pallini. L'unico possessore di un vero '91 e relativi caricatori era Ferdinando Berthod il quale lavorava alla Cogne, in miniera, e non rientrava se non il sabato sera. La giovane moglie di Ferdinando, seguita da un po' di giovanotti intraprendenti, era corsa a casa, pur non avendo molte speranze di trovare il cantuccio dove il marito nascondeva la sua preda bellica dell'otto settembre. Nell'attesa sorgeva una perplessità analoga a quella già sorta nel campanile. Abbattere una mucca, l'unica mucca di César, senza il consenso del padrone? E se invece della mucca si colpiva César? Nessuno se la sentiva, quando il '91 fosse arrivato, di sparare. Intanto, anch'essi riempivano l'attesa di parole, osservazioni e congetture inutili. Parlavano gli uomini. Le donne si stringevano neg[...]

[...]e di trovare il cantuccio dove il marito nascondeva la sua preda bellica dell'otto settembre. Nell'attesa sorgeva una perplessità analoga a quella già sorta nel campanile. Abbattere una mucca, l'unica mucca di César, senza il consenso del padrone? E se invece della mucca si colpiva César? Nessuno se la sentiva, quando il '91 fosse arrivato, di sparare. Intanto, anch'essi riempivano l'attesa di parole, osservazioni e congetture inutili. Parlavano gli uomini. Le donne si stringevano negli scialli e tacevano. Qualcuna recitava macchinalmente preghiere. Dei bambini, diversi piangevano. Piangevano perché avevano freddo, o perché avvertivano il senso della tragedia, o ancora perché, avendo riso dell'uomo penzoloni e della mucca in cima al campanile, s'erano presi uno scappellotto.
QUESTIONE DI PRATI 105
Tra campanile e piazzetta c'era ormai tutto il paese; come, sul litorale, tutt'un paese di pescatori quando c'è in mare una barca sorpresa dalla burrasca. Mancavano alcuni vecchi di quelli che non escono più, alcuni ammalati. Mancava Augusta, la levatrice, e un paio di donne cors[...]

[...]ucca in cima al campanile, s'erano presi uno scappellotto.
QUESTIONE DI PRATI 105
Tra campanile e piazzetta c'era ormai tutto il paese; come, sul litorale, tutt'un paese di pescatori quando c'è in mare una barca sorpresa dalla burrasca. Mancavano alcuni vecchi di quelli che non escono più, alcuni ammalati. Mancava Augusta, la levatrice, e un paio di donne corse sin dal primo allarme in casa di César per trattenervi, con storie e pretesti, la moglie e le bimbe. Specialmente la moglie, povera deana, che era incinta di sei mesi.
XII
La campana taceva e César non gridava più. Sapeva, adesso, di dover morire. Tra poco si sarebbe voltato a guardare giù. Allora le sue mani avrebbero abbandonato la presa. Non si era ancora voltato ma sentiva un brusio di voci montare dalla piazza. Sapeva cosa significava. Significava che tutto il paese era li ad assistere alla sua morte, che l'attendeva. Perciò gli toccava morire. Al mattino di quello stesso giorno era ad Aosta, nello studio del dottore commercialista, e firmava il compromesso per la vendita del prato; a mezzoggiorno era in un'osteria a far chiacchiere con i cugini di Valtournanche (lo zio tale che si è preso una brutta malattia, la vedova talaltra che ha sposato uno della Finanza, i prezzi, le tasse); a sera era in casa con la moglie che parlava di vipere (hanno sempre presentimenti, le donne, maledette loro) e le bambine che si contendevano i regali del Bambin Gesù; un'ora fa beveva e spaccava bottiglie; adesso, chissa perché, doveva morire. Chissa perché. Perché era un disgraziato, ecco tutto. Nato disgraziato, vissuto disgraziato, morto disgraziato. Non poteva capitare a Salomone di salire davanti alla mucca? Certo. Bastava dirglielo. Invece a Salomone capitavano tutte le fortune. A che scopo? Per morire ottantenne nel suo letto, solo come un cane, con un patrimonio di prati e di mucche che non sapeva a chi lasciare? Non si diceva, in paese, che Salomone era iettatore? Lo era, lo era. Diceva: `Vedete questa bottiglia piena di grappa? Ebbene, è vuota'. E la bottiglia era vuota. `Ne hai un'altra?', diceva `Se ne hai un'altra sei a posto'. Nemmeno il tempo di dirlo che l'altra bottiglia finiva a terra in frantumi. Quel Maltoni, industriale di Biella, non poteva mettere gli occhi sul prato di Salomone, proprio accanto e quasi identico al suo? Nossignori, ignorava il prato di Salomone Croux e insisteva, insisteva, aumentava la cifra, la raddoppiava, la triplicava finché César Borgne mollava, vendeva il suo prato. Torna dall'aver firmato il compromesso: con chi si scontra proprio davanti
106 GIOVANNI PIRELLI
all'uscio di casa? Con Salomone Croux. Non lo aveva nemmeno riconosciuto perché annottava e Salomone aveva la schiena curva sotto un carico di ramaglia. S'era sentito chiamare: 'Cesar!' Aveva ancora quel suono nell'orecchio: César, César, César. Era la voce [...]

[...]ccanto e quasi identico al suo? Nossignori, ignorava il prato di Salomone Croux e insisteva, insisteva, aumentava la cifra, la raddoppiava, la triplicava finché César Borgne mollava, vendeva il suo prato. Torna dall'aver firmato il compromesso: con chi si scontra proprio davanti
106 GIOVANNI PIRELLI
all'uscio di casa? Con Salomone Croux. Non lo aveva nemmeno riconosciuto perché annottava e Salomone aveva la schiena curva sotto un carico di ramaglia. S'era sentito chiamare: 'Cesar!' Aveva ancora quel suono nell'orecchio: César, César, César. Era la voce della morte. Ma 11, davanti a casa, mentre tornava dalla città carico di quattrini e di doni, non lo aveva capito. Al contrario: aveva invitato Salomone, cosa mai accaduta, a venire a far veglia con lui. Salomone aveva rifiutato. Andava a dormire. Quando mai la morte va a dormire? Infatti era venuto. La bella sbornia era diventata una sbornia cattiva. Gli durava ancora. Alla fin fine c'era da ammazzare la mucca. Non ricordava perché. Si parlava di coltello, di fucile. Chi era saltato fuori a dire che bisognava impiccarla? Chi lo aveva detto? Chi? Lui, sempre lui, sempre Salo'none Croux.
`L'ammazzo', si disse Cesar. `L'ammazzo'. Allora, ricordandosi che stava per morire e non aveva più tempo d'ammazzare nessuno, fu preso da una gran rabbia. « Sacremon », disse forte, « cosa ci stai a fare tu? ». Il tu era San Wuilliermo, patrono del paese, un santo che, come Gesù alle nozze di Cana, aveva mutato l'acqua in vino; perciò veniva considerato prote[...]

[...] impiccarla? Chi lo aveva detto? Chi? Lui, sempre lui, sempre Salo'none Croux.
`L'ammazzo', si disse Cesar. `L'ammazzo'. Allora, ricordandosi che stava per morire e non aveva più tempo d'ammazzare nessuno, fu preso da una gran rabbia. « Sacremon », disse forte, « cosa ci stai a fare tu? ». Il tu era San Wuilliermo, patrono del paese, un santo che, come Gesù alle nozze di Cana, aveva mutato l'acqua in vino; perciò veniva considerato protettore degli ubriachi. `Se mi tiri fuori di qui, non ti dò fastidi per il resto della mia vita. Non bevo più. Te lo giuro sulla testa di mio padre'.
Poiché era giunto al limite della resistenza, decise di dare a San Wuilliermo un termine. Avrebbe contato fino a dieci. Se entro quel termine non accadeva nulla, avrebbe deciso che San Wuilliermo era un volgare truffatore. Contò fino a dieci. Gli concesse una proroga e ricontò da uno a cinque, poi da uno a tre. Allora si accorse che dalla piazza saliva un brusio più fitto, rotto da voci più alte. Fece l'ultima cosa che gli restava da fare: si volse. Laggiù, tra i bagliori delle lanterne, una folla lo aspettava. Era una folla immobile. Oppure ondeggiava. Una delle due, la cosa non cambiava, la folla lo tirava giù.
Nel medesimo istante in cui, sparato da Cyprien Berthod, un colpo di fucile '91 raggiungeva la mucca a mezzo la fronte e l'abbatteva, César Borgne, mollata la presa, piombava giù senza un grido.
XIII
« Grappa », sospirò. Era caduto nel triangolo fra campanile, lavatoio e pioppo. In quel punto vi era un mucchio di neve accumulata dall'assessore Chénor il quale aveva il compito, dopo ogni nevicata, di
107
QUESTIONE DI PRATI
aprire il passaggi[...]

[...]a crosta gelata, vi era sprofondato fino al collo. Dalla neve emergevano il viso, reso ancor più terreo dalle macchie scure dei baffi, le avambraccia con le maniche a brandelli e le mani spellate, scarnificate, sanguinolente. La sua unica mossa fu di aprire un occhio, uno solo. Lo rinchiuse subito e restò a palpebre abbassate. « Grappa », ripeté in un sospiro.
Prima ancora che si riavessero coloro che dalla piazza avevano assistito alla caduta, gli furono addossi gli altri, scesi precipitosamente dal campanile quando avevano udito lo sparo.
« Svelti », gridò il padre Chénoz, « portiamolo a casa ».
« Siete matti? », intervenne Luigino Brunod. « Non lo toccate. Lasciatelo immobile finché non viene il medico ».
« Il medico! », gridò Lino Guichardaz, il giovane cognato di César. « Muovetevi, mandate per il medico! ».
« Se lo lasciamo qui muore di freddo », si oppose il padre Chenoz. « Ha ben altro di che morire », disse gravemente Luigino Brunod. « Il prete! Il prete! », gridò Lino Guichardaz dietro al figlio Chénoz che partiva correndo a chiamare il medi[...]

[...]adre Chénoz, « portiamolo a casa ».
« Siete matti? », intervenne Luigino Brunod. « Non lo toccate. Lasciatelo immobile finché non viene il medico ».
« Il medico! », gridò Lino Guichardaz, il giovane cognato di César. « Muovetevi, mandate per il medico! ».
« Se lo lasciamo qui muore di freddo », si oppose il padre Chenoz. « Ha ben altro di che morire », disse gravemente Luigino Brunod. « Il prete! Il prete! », gridò Lino Guichardaz dietro al figlio Chénoz che partiva correndo a chiamare il medico.
« Ahi, ahi », presero a piangere le donne. Il pianto delle donne si comunicò ai bambini.
« Grappa », implorò Cesar.
«César, come stai? Cosa ti senti? ».
« Dove hai male? Alla schiena? Alla testa? ».
« César, parla, rispondi. Sono io, sono tuo cognato Lino. Non mi conosci piú? Perché non rispondi? César! ».
César sollevò faticosamente una mano e se la passò sulla bocca. « Grappa », disse. « Grappa. Grappa ».
« Vergine Santa », strillò una donna. « Sputa sangue! ».
Dalla casa dei Chénoz fu portata una bottiglia di grappa. La bottiglia f[...]

[...] comunicò ai bambini.
« Grappa », implorò Cesar.
«César, come stai? Cosa ti senti? ».
« Dove hai male? Alla schiena? Alla testa? ».
« César, parla, rispondi. Sono io, sono tuo cognato Lino. Non mi conosci piú? Perché non rispondi? César! ».
César sollevò faticosamente una mano e se la passò sulla bocca. « Grappa », disse. « Grappa. Grappa ».
« Vergine Santa », strillò una donna. « Sputa sangue! ».
Dalla casa dei Chénoz fu portata una bottiglia di grappa. La bottiglia fu appoggiata alle labbra di César il tempo necessario perché ne prendesse un piccolo sorso.
« Ancora », disse.
«Ma si, che beva, poveraccio », disse il padre Chénoz.
« Così finite di ammazzarlo », disse Luigino Brunod.
« Ancora », disse César. « Ancora ».
« E su, dategliene. Non vedete che é già più di là che di qua? ». « Ancora », disse César. « Ancora ». Bevve a lungo, ebbe un colpo
1Ó8 GIOVANNI PIRELLI
di tosse, sputò. Lo sputo, una miscela di grappa e sangue, gli colava lungo il mento.
« Un fazzoletto », disse Luigino Brunod: « Chi ha un fazzoletto pulito? ». Nessuno lo aveva. Un ragazzino parti alla ricerca di un fazzoletto pulito.
Salomone », sospirò César. « Salomone ».
Lo andarono a prendere. Salomone Croux era ancora in cima alla rampa del campanile, pieno di paura. La morte inaspettata della mucca lo aveva sconvolto. Si lasciò condurre abbasso, riluttante e al tempo stesso rassegnato come fosse tra due carabinieri. Dietro Salomone venne anche il ragazzo Attilio pallido come un cencio. La cerchia intorno a César si apri per lasciarli passare. [...]

[...]condurre abbasso, riluttante e al tempo stesso rassegnato come fosse tra due carabinieri. Dietro Salomone venne anche il ragazzo Attilio pallido come un cencio. La cerchia intorno a César si apri per lasciarli passare.
César socchiuse un occhio su Salomone, lo richiuse, scosse debolmente la testa. « Chi lo avrebbe mai detto », sussurrò sconsolatamente.
« Io te lo avevo detto », reagì Salomone. Parlava forte perché tutti lo sentissero. La paura gli aveva fatto sloggiare la sbornia. Il trovare César ancora vivo gli faceva sloggiare la paura. Tornava ad essere l'uomo diffidente e calcolatore di sempre. « Io te lo avevo detto di non fare pazzie. Ti avevo detto che finiva male ».
« Male. Oh si. Male », si lamentò César. « Bevi, Salomone, bevi alla salvezza della mia povera anima ». Apri un occhio. « Bevi, ti dico ».
Salomone non poté fare a meno di portare la bottiglia alle labbra. Il solo odore della grappa lo nauseava. « Su, bevi », disse César. « Ancora. Bravo. Sei un amico. Adesso fa bere me ». Bevve e disse: « Anche tu, Attilio, povero ragazzo, bevi anche tu ». Attilio scoppiò in singhiozzi. « Bevi, fagiano ». Attilio bevve un sorso e all'istante vomitò. « Su, fatemi bere. Ah, amici miei, chi lo avrebbe mai detto? ».
Fu portato il fazzoletto pulito. Luigino Brunod se lo fece dare e si chinò su César per pulirgli la bocca. César, con un gesto della mano, lo respinse. Disse: « Salomone ».
«Si?».
« Hanno ammazzato la mia mucca? ».
« Si ».
« Non dove[...]

[...] labbra. Il solo odore della grappa lo nauseava. « Su, bevi », disse César. « Ancora. Bravo. Sei un amico. Adesso fa bere me ». Bevve e disse: « Anche tu, Attilio, povero ragazzo, bevi anche tu ». Attilio scoppiò in singhiozzi. « Bevi, fagiano ». Attilio bevve un sorso e all'istante vomitò. « Su, fatemi bere. Ah, amici miei, chi lo avrebbe mai detto? ».
Fu portato il fazzoletto pulito. Luigino Brunod se lo fece dare e si chinò su César per pulirgli la bocca. César, con un gesto della mano, lo respinse. Disse: « Salomone ».
«Si?».
« Hanno ammazzato la mia mucca? ».
« Si ».
« Non dovevano. Non dovevano ammazzare la mia mucca. Povera moglie mia. Senza uomo. Senza prato. Senza mucca ». Una lacrima gli spuntò sulle ciglia.
« Tua moglie può sempre andare dall'industriale di Biella », disse Salomone. «Quando l'industriale saprà che tu... mi capisci?... non sarà.
QUESTIONE DI PRATI 109
tanto crudele da non ridarle il tuo prato. Glielo darà in ogni caso. Voglio dire: anche se l'affare che aveva fatto era buono ».
« Mia moglie dovrebbe rompergli il muso », disse César stringendo il pugno sanguinolente. Allentò la stretta, scosse la testa. «Non è bene, no, non è bene che una donna rompa il muso a un uomo. Fammi bere ». Bevve e disse: « Non è bene, no. Meglio dare il danaro a te».
« Il denaro a me ? », disse Salomone. « Io non voglio danaro ».
« Ahi », si lamentò César. « Muoio, Salomone, muoio. Svelto, fammi bere ».
« Perché il danaro a me? », disse Salomone.
« Bevi, Salomone, bevi. Tu fingi di bere. Tu non bevi. Oh, bravo. Quel prato, sai?, che mi volevi dare, sai? Ci ho ripensato ».
«Quale prato? ».
« Quello sotto il canale, accanto al mio. L'altro no, non è un buon prato. Per quello accanto al mio ti dò quattrocentomila. Te li dò in contanti, subito ».
« Impossibile », disse Salomone. « Per quella cifra posso darti il prato sopra il canale. Proprio perché sei tu che me lo chiedi ».
« Ah », si lamentò César. « [...]

[...] te le sognavi nemmeno... ».
Due prati? Io devo dare due prati? Perché devo dare due prati? Se si è ridotto così », disse, volgendosi intorno, « la colpa è sua. Tutta
110
GIOVANNI PIRELLI

sua. Perché devo rimetterci io? ». Non incontrò che volti chiusi, sguardi nemici. « Perché », gridò in uno scatto d'ira, « non date voi i vostri. prati? Perché devo darli io? Ve li paga, non avete sentito?, ve li paga in contanti. Avanti, perché non gli fate una offerta? ».
Nessuno parlò. Se qualcuno fece una mossa, fu per ritrarsi, per defilarsi dietro le spalle di un altro. Se c'era chi doveva accontentare il povero César, chi doveva rinunciare a un prato, era giusto fosse Salomone Croux. Se non altro perché era antipatico.
« Non parliamone più », disse César. « Bevi, Salomone. Bevi e non parliamone più. Attilio, vieni ragazzo, vieni vicino a me. Bravo. Tu sei bravo. Adesso metti la mano sotto la giacca. Trovato? Tira, tira fuori ».
La mano tremante del ragazzo Attilio estrasse da sotto la giacca di César un pacco di banconote ancora le[...]

[...] César. « Bevi, Salomone. Bevi e non parliamone più. Attilio, vieni ragazzo, vieni vicino a me. Bravo. Tu sei bravo. Adesso metti la mano sotto la giacca. Trovato? Tira, tira fuori ».
La mano tremante del ragazzo Attilio estrasse da sotto la giacca di César un pacco di banconote ancora legato con lo spago. Erano banconote da diecimila tutte nuove fiammanti. Era un grosso pacco. Un mormorio di stupore corse fra i paesani. Salomone Croux spalancò gli occhi. Settecentomila? Di più? Più di settecentomila?
César disse: «Ragazzo, porta questo pacco a mia moglie. Le dirai che comperi prati e mucche. Comperi da chi le pare, non da Salomone Croux. Capito bene? Nemmeno se Salomone le dà prati e mucche per quattro soldi. Dillo a mia moglie: da chi vuole, non da Salomone Croux. E la mia ultima volontà ».
« No, César, non morire », implorò il ragazzo Attilio con un nuovo scroscio di singhiozzi.
« E smettila di piangere, fagiano », disse César.
« César », disse Salomone. Si sentiva maledettamente solo e infelice. Avrebbe avuto bisogno di tutta la freddezza e l'astuzia di cui solitamente disponeva, ma il supplemento di grappa che era stato costretto a bere gli stagnava nella testa come fango. « Ragiona, César. Non posso dare via due prati. Non darei via nessun prato. Se tratto, é perché sei. tu, perché tu, poveretto... ».
« Ottocentomila », disse César.
« Novecento. Per novecento te li do. Hai vinto, vedi? Per novecento ti dò due prati. Sei contento adesso? ».
Sta bene novecento », disse César. ' « Per novecentomila in contanti, i due prati più una mucca e una manza dalla tua stalla. Su, Attilio, contagli sul naso novecentomila lire. Ahi. Ahi la mia schiena. Fa presto, Attilio...».
« No!, no! », disse Salomone. « Non posso. E un ricatto. Non po[...]

[...]gnava nella testa come fango. « Ragiona, César. Non posso dare via due prati. Non darei via nessun prato. Se tratto, é perché sei. tu, perché tu, poveretto... ».
« Ottocentomila », disse César.
« Novecento. Per novecento te li do. Hai vinto, vedi? Per novecento ti dò due prati. Sei contento adesso? ».
Sta bene novecento », disse César. ' « Per novecentomila in contanti, i due prati più una mucca e una manza dalla tua stalla. Su, Attilio, contagli sul naso novecentomila lire. Ahi. Ahi la mia schiena. Fa presto, Attilio...».
« No!, no! », disse Salomone. « Non posso. E un ricatto. Non posso ».
QUESTIONE DI PRATI 1=1
César Borgne ebbe un colpo di tosse. « Muoio », disse. « Mia moglie. Dov'è mia moglie? Povera donna, sola con quattro creature e una in seno ». La commozione gli sali alla gola. Poiché detestava i sentimenti, s'incattivì. « Chiamatela. Glielo voglio dire io. Con chi le pare, tratti con chi le pare. Non con Salomone Croux ».
Salomone impazziva. Che affare era questo? Era un affare buono o cattivo? Poter stare seduto a un tavolo, riempire fogli di cifre, detrarre, aggiungere, rifiutare, lasciar passare tempo, rilanciare; e invece la controparte era li li per morire e se ne approfittava, lo prendeva per il collo, gli concedeva pochi istanti per dire si o no. Se già non era troppo tardi. César, le palpebre abbassate, respirava a singulti ed emetteva ora suoni rochi, gorgoglianti, bestiali, ora lamenti. Il ragazzo Attilio, ligio, malgrado i singhiozzi, alla consegna, contava le banconote impilandole sulla neve. Tutti gli sguardi erano fissi 11. Nessuno ne aveva mai viste tante. Tante banconote nuove fiammanti. Era perfin peccato vederle posare sulla neve. Si bagnavano, si gualcivano.
«Novecentomila », fini di contare il ragazzo Attilio.
« I due prati e una manza », disse in fretta Salomone. « Per novecentomila i due prati e una manza ».
« Dillo a mia moglie, Attilio. Diteglielo tutti », disse César con un filo di voce. « Con chi le pare. Non con Salomone Croux ».
Il ragazzo Attilio riprese in mano le banconote. Salomone gridò con voce stridula: « E va bene, prenditi tutto, prenditi anche il mio cappello. Vuoi anche il mio cappello? ». Solo allora s'accorse di essere senza cappello. Si fissò in un atteggiamento ebete: la bocca semiaperta, lo sguardo stralunato, una mano premuta sul cranio.
« Una mucca e una manza che mia moglie sceglierà dalla tua stalla », disse César. « Attilio, dagli i soldi. Ricontali, prima. Sta attento che non ci siano due biglietti attacc[...]

[...] », disse César con un filo di voce. « Con chi le pare. Non con Salomone Croux ».
Il ragazzo Attilio riprese in mano le banconote. Salomone gridò con voce stridula: « E va bene, prenditi tutto, prenditi anche il mio cappello. Vuoi anche il mio cappello? ». Solo allora s'accorse di essere senza cappello. Si fissò in un atteggiamento ebete: la bocca semiaperta, lo sguardo stralunato, una mano premuta sul cranio.
« Una mucca e una manza che mia moglie sceglierà dalla tua stalla », disse César. « Attilio, dagli i soldi. Ricontali, prima. Sta attento che non ci siano due biglietti attaccati ».
Vi fu una lunga pausa mentre il ragazzo Attilio ricontava il denaro. « Mi sono lasciato prendere per il collo », si lamentava Salomone la mano ancora premuta sul cranio come uno che abbia preso una botta in testa e tema di prenderne altre. « Per il collo, per il collo ». Quando Attilio ebbe finito di contare, Salomone cessò di lamentarsi. « E quelle? », disse. Aveva preso il malloppo delle banconote ma si era accorto che Attilio ne aveva cinque o sei ancora in mano. « E quelle? ». Poteva rassegnarsi al fatto di aver concluso un cattivo affare. Poteva giustificarsi dicendo di[...]

[...]asse ancora soldi, era una truffa, una truffa intollerabile. «E quelle? a, gridò.
César apri un occhio, fece una smorfia, puntò i gomiti sulla neve, apri l'altro occhio, sollevò il busto. «Avaro», disse. Raccolse le ginocchia, vi spostò sopra il peso del bacino e del busto. « Avaro », ripeté. « Avaro, avaro, avaro », disse con voce sempre più forte, levandosi in piedi. «E il funerale chi me lo paga? Me lo paghi tu? ».
In quel momento giungeva, gli occhi fuori dall'orbite, mugolando, la moglie di César. « Perché piangi, fagiana », disse César. « Asciugati gli occhi e tienili bene aperti. Devi andare con Salomone Croux a scegliere dalla sua stalla una mucca e una manza. Oh, mi raccomando! ». Si chinò a passare sulla neve le mani sanguinolente, raccolse la bottiglia di grappa, se la portò alle labbra. « Ecco », disse, agitando la bottiglia. « È vuota ».
Salomone sussultò. « Che cosa? ».
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'é nemmeno da inumidire le labbra ».
GIOVANNI PIRELLI



da Romano Ledda (a cura di), Dossier NATO in KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 5 - 9 - numero 19

Brano: [...]omu
ne con i viscerali oltranzisti, ha potuto scrivere che la NATO ha rappresentato il recupero dei
« valori della cultura e della civiltà occidentali »,
la « restaurazione del
l'unità dello spirito occidentale, che della nostra civiltà è la sostanza » e la non « dispersione nella contaminazione con nuovi fenomeni barbarici di quel che di valido il mondo occidentale aveva costruito nel corso di secoli ». Merce avariata. In realtà, a scorrere gli articoli celebrativi, i bilanci anche apologetici, i solenni discorsi pronunciati a Washington per il ventennale, si rimane colpiti soprattutto da una cosa : l' unico argomento portato a sostegno della NATO si fonda su un fatto immaginario. Il suo successo — della NATO — consisterebbe nell'aver salvato la pace, impedendo l'aggressione sovietica. Poca cosa e risibile, poichè la minaccia di aggressione non è mai esistita.
Perduta così, su questo terreno, ogni credibilità la NATO cerca di darsi un nuovo volto, di riscoprire o far nascere una sua « vocazione democratica » per dirla col ministro [...]

[...]cosa : l' unico argomento portato a sostegno della NATO si fonda su un fatto immaginario. Il suo successo — della NATO — consisterebbe nell'aver salvato la pace, impedendo l'aggressione sovietica. Poca cosa e risibile, poichè la minaccia di aggressione non è mai esistita.
Perduta così, su questo terreno, ogni credibilità la NATO cerca di darsi un nuovo volto, di riscoprire o far nascere una sua « vocazione democratica » per dirla col ministro degli Esteri Nenni. Ma può la NATO trovare questa vocazione? La sua natura, le sue ragioni di nascita e di esisten
I paesi europei membri del
za lo consentono? Che cosa è in realtà la NATO? Rispondere a questi interrogativi vuol dire ripercorrere le scelte fondamentali e la storia della NATO, descriverne i meccanismi, mettere in luce i suoi più autentici significati, rivelarne la poliedrica funzione. Ed è cosa agevole. Perchè la NATO si è presentata sulla scena politica mondiale
Patto atlantico. Basi NATO
con alcuni precisi e irrefutabili connotati. E' stata strumento, da un lato, di una lotta[...]

[...]na repressione crescente verso le aree del « terzo mondo ». E' stata, dall'altro lato, la struttura portante della difesa e del consolidamento dei regimi capitalistici dell'occidente europeo. Elemento unificatore di questi due aspet ti sono state la politica dei blocchi voluta dall'imperialismo e la supremazia americana sull'Europa.
La NATO ha simboleggiato per l'Europa e per il mondo tutto ciò. Per cui volere un mutamento, oggi, della realtà degli ultimi venti anni è incompatibile, per usare le parole di un cattolico, « con l'idealizzazione e la sopravvivenza della NATO ». Al contrario, richiede la rimessa in discussione della NATO e dell'Alleanza atlantica, per rovesciare e battere la logica che ne presiedette la nascita e ne determina i destini. ciò che vogliamo dimostrare ai lettori di Rinascita con questa ricerca.
Inserto a cura
di Romano Ledda
e
o
.a a.
aI;o
di (è
re

:)),
Ile I.u
na Iza
o in lei
in ire
ziapo, anIn
,call'insul smi odo
6nza ido: me:
con
ente usi onti tinti però oste gnoa di
o lo nda,nndo unipoi
e basi militari americane nel bacino del Mediterraneo
p. 12 Rinascita n. 19 9 maggio 1969 Dossier NATO
_lamer, ill li_J1751ii
la divisione
_ei blocchi
« Gli Stati Uniti sono troppo ricchi per accettare uno scacco politico senza cercare un altro modo per imporre la loro volontà. Essi possono, se vogliono, trasformare il problema politico in un problema economico o, come ultima risorsa, in un problema militare » : è su questa base che nasce l'impegno mondiale degli USA
Il primo atto che sancisce formalmente la nascita della Alleanza atlantica è la risoluzione Vandenberg votata dal Senato degli Stati Uniti d'America l'11 giugno 1948. Con essa si auspica « il progressivo sviluppo di accordi regionali » .e si autorizza il Presidente ad « associare l'America all'Europa occidentale in accordi di mutua difesa che contribuiscano alla sicurezza nazionale ». Ma è noto che la sua radice politica è da ricercarsi un po' più indietro nel tempo, in quella inversione di tendenza della politica estera americana che iniziò sul finire stesso della seconda guerra mondiale, e su cui influirono fattori di varia natura, tra cui il monopolio dell'arma atomica. La percezione delle profonde trasformazioni [...]

[...]ire stesso della seconda guerra mondiale, e su cui influirono fattori di varia natura, tra cui il monopolio dell'arma atomica. La percezione delle profonde trasformazioni nate dallo sconvolgimento bellico, e la volontà di congelarle, il senso di una profonda crisi che sconvolgeva l'ordinamento capitalistico e la decisione di bloccarla con ogni mezzo: queste le radici politiche della guerra fredda.
Nota lo storico americano Theodore Draper che « gli Stati Uniti sono troppo ricchi per accettare uno scacco politico senza cercare un altro modo per imporre la loro volontà. Essi possono, se vogliono, trasformare il problema politico in un problema economico o, come ultima risorsa, in un problema militare ».
Nell'immediato dopoguerra gli Stati Unit. si presentavano, in un mondo sconvolto, favolosamente ricchi al punto che Henry R. Luce poteva baldanzosamente affermare che « popolo americano deve accettare con entusiasmo i doveri e la missione della nazione più potente e vitale del mondo e perciò fargli sentire tutto il peso della nostra influenza per gli scopi e con i mezzi che ci , sembreranno più opportuni ». Non era ancora maturata compiutamente la pretesa — che dominerà i successivi sviluppi della iniziativa internazionale statunitense — di intervenire in ogni parte del mondo in cui sembrassero venire alla luce situazioni giudicate non coincidenti o contrarie agli interessi americani. Ciò avverrà con l'avvento di Foster Dulles e troverà la sua più compiuta espressione nella politica « planetaria » di Johnson. Ma se ne gettarono le radici con il contenimento (politica del containment) e se possibile, con l'inversione dei processi di emancipazione aperti nel mondo. Fu uno spostamento deciso dell'asse storico della politica estera americana. Politica di potenza e sfida sociale vi si intrecciarono, trovando di volta in volta ora l'uno ora l'altro maggiore o minore rilievo. Il comunismo fu allora visto come la forza di un presunto « imperialismo sovietico »[...]

[...]a imperialistico come « una cospirazione sovietica globale ». Walter Rostow, ad esempio, vedeva nella lotta di liberazione vietnamita contro il colonialismo francese nel 1946, « il risultato della decisione di Stalin di lanciare una offensiva in Oriente». E fu quindi essenziale combattere il comunismo in ogni parte del mondo.
La definizione compiuta di questa strategia di contenimento si ebbe con la Dottrina Truman (12 marzo 1947), con la quale gli USA si impegnavano a « sostenere i popoli liberi i quali resistono ai tentativi di coercizione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne ». L'Alleanza atlantica fu il primo e coerente corollario di quella dottrina, che nel giro di pochi anni avrebbe proliferato nel mondo una catena interminabile di patti. Nel suo Pax americana lo studioso americano Ronald Steel osserva giustamente che « la NATO è stata la prima delle nostre alleanze coinvolgenti ed è ancora la più importante. Attorno alla NATO costruimmo la nostra diplomazia postbellica di contenimento e di intervento ». Di lì, con [...]

[...]abile di patti. Nel suo Pax americana lo studioso americano Ronald Steel osserva giustamente che « la NATO è stata la prima delle nostre alleanze coinvolgenti ed è ancora la più importante. Attorno alla NATO costruimmo la nostra diplomazia postbellica di contenimento e di intervento ». Di lì, con una logica obbligata, sarebbero discesi poi i patti militari e le alleanze regionali del CENTO, SEATO, ANZUS, la Dottrina Eisenhower per « proteggere » gli arabi dal comunismo, e, infine, la risoluzione del Golfo del Tonchino, che autorizzò il presidente a intervenire nel Sudest asiatico: in breve, più di un milione di soldati americani all'estero, più di 3.000 basi militari sparse in tutto il mondo (sulla base di un rapporto del Pentagono il New York Times dell'li aprile 1969 afferma che le basi sono 3.491), quattro alleanze di « difesa », 42 trattati di mutua assistenza militare, aiuti militari a oltre settanta paesi. « Impegni i cui eguali — ha scritto James Reston — nessuna nazione sovrana ha mai preso nella storia del mondo ». L'Alleanza at[...]

[...]no il New York Times dell'li aprile 1969 afferma che le basi sono 3.491), quattro alleanze di « difesa », 42 trattati di mutua assistenza militare, aiuti militari a oltre settanta paesi. « Impegni i cui eguali — ha scritto James Reston — nessuna nazione sovrana ha mai preso nella storia del mondo ». L'Alleanza atlantica fu il primo anello della catena perche l'Europa era l'epicentro dello scontro.
Si è parlato molto, con l'assunzione da parte degli USA di responsabilità mondiali, di fine completa dell'isolazionismo tradizionale, grazie a uno slancio morale immune da vecchi egoismi, al risveglio provocato dal dramma della seconda guerra mondiale e dagli sviluppi della guerra fredda. Più realisticamente De Gaulle osserva nelle sue Memorie che la «volontà di potenza degli americani » è sempre « propensa ad ammantarsi di realismo ». Tre ragioni di fondo, assai poco idealistiche, spingevano gli USA a rompere definitivamente con l'isolazionismo: una militare, l'altra economica, l'altra ancora politica, tutte strettamente intrecciate.
Vediamo prima quella militare. Nonostante il monopolio della bomba atomica, essa poteva essere il vero « asso nella manica » se gli americani, in mancanza (allora) di bombardieri intercontinentali e di sommergibili atomici, avessero potuto disporre di basi oltreoceano che avessero avuto a loro tiro il campo socialista. « Il sistema di basi riflette essenzialmente la nostra decisione di assicurare l'efficacia del deterrente
La struttura " organizzativa
della NATO, a partire dal suo organo politico principale (il Consiglio atlantico di Bruxelles) fino ai comandi militari periferici nei vari settori. Di particolare interesse per l'Italia è il comando alleato del Mediterraneo (sigla: Cincafmed) con sede a Malta la cui costituzione è strategico — scrive Twonsend Hoopes su Foreign Affairs —e anche le nostre decisioni di organizzare e sostenere la NATO e di mantenere potenti forze navali nel Mediterraneo ». Ovviamente si otteneva anche lo scopo politico di « rafforzare la decisione di molte nazioni di resistere alla pressione comunista esterna e reagire con fermezza contro la sovversione interna ». La necessità e l[...]

[...]». Ovviamente si otteneva anche lo scopo politico di « rafforzare la decisione di molte nazioni di resistere alla pressione comunista esterna e reagire con fermezza contro la sovversione interna ». La necessità e l'utilità delle basi in Europa e nel mondo, non verrà meno, anche sotto il profilo militare, neanche quando il monopolio atomico sarà finito, e entreranno in funzione i missili intercontinentali e i sommergibili atomici.
Economicamente gli USA uscivano dalla guerra con un colossale apparato economico, e con tutti i pericoli di crisi o di recessione che la caduta della domanda bellica avrebbe potuto provocare. Impedire quella caduta e nel contempo garantire degli sbocchi a tutta la produzione americana, assicurarsi nuove sedi di investimento, si poneva come una necessità inderogabile.
Le motivazioni politiche sono di due ordini. La prima, scarsamente esplorata, e su cui oggi si inizia una ricerca, riguarda lo stato della società americana di allora. Dietro un'apparente e gagliarda compattezza vi era in realtà il primo germe della crisi sociale e politica che sarebbe esplosa in questi anni.
« A coloro il cui senso di sicurezza era stato distrutto dall'estrema mobilità della vita americana — scrive lo Steel — che si sentivano minacciati dalle richieste di
l'ultima iii' ordine di tempo presa dalla NATO, nella riunione tenuta nel novembre scorso a Reykjavik. Il nuovo comando di Malta è stato assunto dall'ammiraglio degli Stati Uniti, Edward C. Autlaw, nel quadro del comando delle Forze alleate della Europa meridionale .di cui è capo un ammiraglio italiano eguaglianza da parte delle minoranze razziali e che erano umiliati dalla mancanza di personalità di una società sempre più burocratizzata, lo anticomunismo ideologico serviva come punto focale di scontento. Esso non poteva sedare quelle ansie, ma poteva spiegarle in una forma accettabile a chi vedeva altrettanti nemici all'interno di quanti ne scorgeva all'estero. L'assunzione di una responsabilità mondiale fu un atto di autoesorcismo da parte di un popolo tormentato dai demoni ».
La seconda motivazione, più nota, è derivata da quella militare ed economica: supporto di quelle operazioni non potevano[...]

[...]le Marshall pronunciò a Harvard il 5 giugno 1947 per lanciare il suo «Piano di aiuti », tutte queste componenti sono presenti: la necessità per l'economia USA di avere un'Europa capitalistica sulla base di una espansione e penetrazione del capitale americano, la lotta a quei partiti e gruppi politici che vi si oppongono (la estromissione dei partiti comunisti dai governi),
La commissione Harriman aveva già del resto, nel suo rapporto a Truman sugli aiuti, affermato che « gli interessi degli USA in Europa non possono essere valutati semplicemente in termini economici, essi sono anche strategici e politici ». « L'Alleanza atlantica — ha scritto di recente un altro studioso americano — è la componente politicomilitare di una operazione di cui il Piano Marshall è l'ingrediente basilare », « un muro » dietro il quale sarebbero passate molte altre cose. E più chiaramente ancora Claude Julien, autorevole giornalista di Le Monde, nel suo L'empire americain: «L'impegno militare ed economico [degli USA] non è un accidente o un accessorio. Senza di esso la società americana sarebbe stata c[...]

[...]e in termini economici, essi sono anche strategici e politici ». « L'Alleanza atlantica — ha scritto di recente un altro studioso americano — è la componente politicomilitare di una operazione di cui il Piano Marshall è l'ingrediente basilare », « un muro » dietro il quale sarebbero passate molte altre cose. E più chiaramente ancora Claude Julien, autorevole giornalista di Le Monde, nel suo L'empire americain: «L'impegno militare ed economico [degli USA] non è un accidente o un accessorio. Senza di esso la società americana sarebbe stata costretta a una revisione lacerante non solo dei suoi obiettivi e dei suoi mezzi di sussistenza. Fondata sull'impero economico e rafforzata dall'impero militare l'American Way of Life non sopravviverebbe a un ripiegamento nelle proprie frontiere.
Le classi dominanti europee subirono, ma anche accettarono e persino cercaro no tutto ciò. Uscivano scosse dalla guerra, sotto accusa, da un lato responsabili del fascismo, dall'altro di un'antica capitolazione di fronte alla tracotanza nazista. Il crollo degli[...]

[...]iettivi e dei suoi mezzi di sussistenza. Fondata sull'impero economico e rafforzata dall'impero militare l'American Way of Life non sopravviverebbe a un ripiegamento nelle proprie frontiere.
Le classi dominanti europee subirono, ma anche accettarono e persino cercaro no tutto ciò. Uscivano scosse dalla guerra, sotto accusa, da un lato responsabili del fascismo, dall'altro di un'antica capitolazione di fronte alla tracotanza nazista. Il crollo degli imperi coloniali apriva nuovi e drammatici problemi. Le economie erano stremate. Negli USA trovarono ciò che serviva loro per ricostruire il loro potere. Vi fu come una partita doppia di ricatti: da un lato legavano gli USA a una responsabilità europea, dall'altro lato gli affidavano la loro sopravvivenza; da un lato gli garantivano una impostazione di politica sociale, economica, di esasperata difesa capitalistica dell'ordine costituito, dall'altro lato chiedevano una copertura per questa garanzia. A questa duplice operazione di reciproco sost4gno le classi dominanti europee sacrificarono l'Europa, la sua pace, la sua unità, e con esse l'autonomia, l'indipendenza e la sovranità nazionale. Queste ultime venivano a morire con la NATO, dietro la quale si profilavano i blocchi come « universi politici, economici, militari, culturali, religiosi completi e chiusi ».
aggg11.11Igl.
Segretanato Generale
3
2
Cor[...]

[...]ice operazione di reciproco sost4gno le classi dominanti europee sacrificarono l'Europa, la sua pace, la sua unità, e con esse l'autonomia, l'indipendenza e la sovranità nazionale. Queste ultime venivano a morire con la NATO, dietro la quale si profilavano i blocchi come « universi politici, economici, militari, culturali, religiosi completi e chiusi ».
aggg11.11Igl.
Segretanato Generale
3
2
Corn. Alleato Sud Europa (Cancswth) Napoli
Consiglio Atlantieo
Bruxelles
SeBet.
Presiding,
Comdata Politico
Coniato
di
Sicurezza
Comdata
E 0110111ìw
ComiMO Inform.
e Rei. Cult.
Alto Com
Pie ' C
d'urgenza
Comitato Armamenti
C. Papam Lou, loft
C. Coord.
Spazio Aereo
europeo
rimiato
Biteneio
Civil.
Comit.t.
Bilan.le
Miliare
Comdata Sci.ndlíco
Co,.. Dielt
Rican.
Dias
Comitato lnfrestautt
Com. Affen
Difese
Nucleare
COMITATO MILITARE (Capi di Stato Maggiore dei paesi membri) Bruxelles
STATO
MAGGIORE
INTERNAZIONALE
INTEGRATO
Bruxelles
Collegio di .difesa NATO
Ufficio Militare di standard...
Organisml per te c[...]

[...]pa (Cineent) Brunssum (Olanda)
Com. Alleato
Nord Europa.
(Cincnorth)
Kalsaas
4
Com. Alleato Mediterranela (Cineafinedl Mala
6
L
inganno
della scelta
~9R civlitai
Non si può negare che alcuni fautori dell'Alleanza avessero in mente qualche cosa di più di un patto militare. Sta di fatto però che l'Alleanza si è concretizzata tutta e soltanto in una struttura militare ed è attraverso di essa che si è stabilito il vero rapporto fra gli USA e l'Europa
Partendo da un preambolo in cui si fa riferimento alla « civiltà » comune dei paesi atlantici, il Trattato dell'Alleanza definisce un duplice ordine di accordi: cooperazione politica ed economica tra i suoi membri e mutua difesa militare. Nel dibattito attualmente in corso sull'Alleanza e la necessità di un suo riadeguamento, si tende a separare i due termini e si punta sulla definizione del Trattato come momento di una collaborazione comunitaria atlantica, sul terreno politico ed economico. Non a caso si parla di « distorsione » militare dovuta a fattori internazionali, ester[...]

[...]re. Nel dibattito attualmente in corso sull'Alleanza e la necessità di un suo riadeguamento, si tende a separare i due termini e si punta sulla definizione del Trattato come momento di una collaborazione comunitaria atlantica, sul terreno politico ed economico. Non a caso si parla di « distorsione » militare dovuta a fattori internazionali, esterni alla volontà dei suoi promotori. E' una tesi difficilmente accettabile. George Kennan che fu uno degli ispiratori del trattato aveva, in effetti, solennemente affermato che esso intendeva « istaurare un ordine internazionale diverso, un nuovo modello di relazioni tra gli Stati che superano le regole e i metodi della politica di potenza ». Ma immediatamente dopo aggiungeva che essendo impossibile affrontare le pendenze internazionali con i sovietici attraverso normali trattative diplomatiche, era necessario « un adeguato apparato di potenza » che contenesse l'URSS.
In realtà, gli articoli che costituiscono la struttura portante del Trattato sono quelli centrali (4, 5, 6) in cui viene definita la natura di una mutua difesa in caso di minaccia dell'« integrità territoriale », dell'« indipendenza politica » e della « sicurezza » di una delle parti, e in caso di
attacco armato » contro una o più di esse. La vaghezza delle definizioni (cos'è un attacco armato? un incidente di frontiera o una invasione? cosa si intende per minaccia alla sicurezza? un mutamento di regime interno vi rientra?) conferma il carattere militare del Trattato. « Proprio per la presenza di termini t[...]

[...]armato? un incidente di frontiera o una invasione? cosa si intende per minaccia alla sicurezza? un mutamento di regime interno vi rientra?) conferma il carattere militare del Trattato. « Proprio per la presenza di termini tanto vaghi e così poco obbliganti — scriveva tempo fa il settimanale delle ACLI Azione sociale in una inchiesta sulla NATO — solo un meccanismo militare precostituito » può dare « un contenuto e una certezza di garanzia » a quegli articoli.
Non si può certo negare che alcuni fautori dell'Alleanza avessero in mente qualche cosa di più di un patto militare. Sta di fatto però che l'Alleanza si è concretizzata « tutta e soltanto in una struttura militare », ed è attraverso di essa che si è stabilito il vero rapporto tra gli Stati Uniti e l'Europa sul terreno politico ed economico: un rapporto di subordinazione dell'Europa agli, USA.
In uno studio sui problemi della NATO apparso su Lo Spettatore internazionale (numero 1, 1967) si riconosce che « spesso le scelte e gli indirizzi assunti in sede NATO hanno contrastato e contrastano con la prospettiva di distensione, e che l'organizzaatone in quanto tale può costituire un elemento di ritardo sul processo. Ma questo è dovuto non tanto alla influenza di Washington sugli europei, quanto alla egemonia dei militari (americani ed europei) sui civili ». Anche se così fosse, non bisognerebbe chiedersi attraverso quale meccanismo si è potuto arrivare a ciò? Ma non è così. Lo Spettatore coglie una verità parzialissima. All'interno dell'Alleanza non si sono verificati alcuni accidenti ne una dolorosa ma necessaria separazione tra obiettivi politici e militari. L'impronta militare è stata data dalla sua stessa natura, perchè: 1) l'Alleanza voleva essere uno strumento di pressione della potenza americana nei confronti dei paesi socialisti, sulla base della politica äi contenimento; 2) la struttura militare era l'unica che garantisse, grazie al rapporto di forza, un naturale dominio statunitense; 3) la « paura » dell'aggressione e la protezione americana erano l'unico cemento unitario[...]

[...]itici e militari. L'impronta militare è stata data dalla sua stessa natura, perchè: 1) l'Alleanza voleva essere uno strumento di pressione della potenza americana nei confronti dei paesi socialisti, sulla base della politica äi contenimento; 2) la struttura militare era l'unica che garantisse, grazie al rapporto di forza, un naturale dominio statunitense; 3) la « paura » dell'aggressione e la protezione americana erano l'unico cemento unitario degli alleati europei.
Verificare nella storia dell'Alleanza tutto ciò, e ricostruire il processo che ne ha fatto un'appendice dell'imperialismo americano può essere perciò di qualche interesse_ Vediamo prima di tutto gli aspetti specificamente militari e il modo con cui hanno inciso sugli indirizzi politici. Essi possono essere esaminati sotto diversi profili.
Il primo e più elementare è quello dell'organizzazione che si diede l'Alleanza. Fin dal primo Consiglio atlantico del 17 settembre 1949, venne messo a punto il meccanismo organizzativomilitare dell'Alleanza, ossia la NATO. (North Atlantic Treaty Organization). E tale sarebbe rimasto fino ai nostri giorni. Nel corso del 1950 (soprattutto alle sessioni di New York e di Bruxelles) esso venne puntualizzato con tre decisioni importanti che riguardarono: a) il potenziamento delle forze tradizionali degli alleati europei; il progetto, definito successivamente in un Consiglio atlantico a Lisbona, prevedeva l'allestimento di 100 divisioni e di 9.000 aerei; b) l'istituzione di un esercito integrato, sotto comando americano; c) l'adozione della « strategia in avanti », ossia l'inserimento della Germania federale nella NATO.
Il punto a) non venne mai realizzato. Dello stato reale dell'Europa si fece interprete il ministro degli Esteri olandese Dirk U. Stikker affermando che qualunque « ulteriore abbassamento di vita » dovuto a « insostenibili » spese di riarmo « metterebbe a repentaglio quella pace sociale sul fronte interno che è così necessaria al nostro sforzo difensivo ». In realtà gli alleati europei furono sempre riluttanti a impegni estremamente gravosi in questo senso (tranne qualche fedelissimo come l'Italia). Vi erano altre tre ragioni di fondo, oltre a quelle addotte da Stikker, a motivare quelle riluttanze. Prima: un rapporto americano metteva in luce, in quegli anni, come nonostante la propaganda sull'aggressione sovietica non « esisteva in Europa il reale senso del pericolo » tale da giustificare quello sforzo. Seconda: gli alleati europei intendevano il rapporto militare con gli USA prevalentemente come uno spostamento di forze americane sul continente, e soprattutto come utilizzazione del SAC (Strategic Air Command), ossia dell'enorme potenziale aereo statunitense, cui avevano già concesso basi e infrastrutture. Terza: chi ricorda le lotte sociali e politiche di quegli anni, comprende il ruolo decisivo che esse ebbero nell'impedire la piena attuazione del progetto. Ciò non significa, naturalmente, che l'Europa non fosse travolta dalla spirale del riarmo. Le spese militari della NATO nel 1949 erano di 18,7 miliardi di dollari, nel 1950 salirono a 20,4 miliardi, nei 1951 a 42,2 miliardi, nel 1952 a 59,9, nel 1953 a 64 miliardi. E un terzo di queste spese veniva sostenuto dagli alleati europei.
Tuttavia vi era un altro aspetto del problema che ten
(disegno di Gal) deva a emergere fino a divenire, negli anni immediata
mente successivi, dominante. Gli USA chiedevano un potenziamento delle forze tradizionali europee in virtù di una loro strategia (fondata sulla invulnerabilità, allora, del territorio americano) che faceva dell'Europa lo scudo di un attacco nemico sino al «momento in cui la spada del SAC sarebbe sopravvenuta a stroncarlo ».
L'Europa in altri termini avrebbe dovuto servire come prima lineacuscinetto. Nella sua Histoire diplomatique de l'Europe René AlbrechtCarrié, osserva che in fondo «il desiderio di non divenire un campo di battaglia era comprensibilmente forte tra gli europei, che non trovavano ragione di rallegrarsi dell[...]

[...]li europee in virtù di una loro strategia (fondata sulla invulnerabilità, allora, del territorio americano) che faceva dell'Europa lo scudo di un attacco nemico sino al «momento in cui la spada del SAC sarebbe sopravvenuta a stroncarlo ».
L'Europa in altri termini avrebbe dovuto servire come prima lineacuscinetto. Nella sua Histoire diplomatique de l'Europe René AlbrechtCarrié, osserva che in fondo «il desiderio di non divenire un campo di battaglia era comprensibilmente forte tra gli europei, che non trovavano ragione di rallegrarsi della prospettiva di un'eventuale liberazione che avrebbe liberato poco più di un cimitero », mentre gli americani « consideravano con timore cornprensibilmente minore l'eventualità di un conflitto e non nascondevano la tendenza a considerare gli alleati europei come una semplice aggiunta delle forze americane e i territori europei come utili basi avanzate ».
Il punto b) venne realizzato immediatamente, e il generale Eisenhower divenne il primo comandante delle forze alleate. Il 2 aprile 1951 il dispositivo veniva messo a punto con la istituzione del Quartier generale supremo delle forze alleate in Europa (SHAPE). L'integrazione militare e il comando unico sono i catalizzatori di tutto ìl senso che veniva ad assumere la NATO. Con l'integrazione veniva automaticamente a ridursi ogni margine di sovranità nazionale dei paesi alleati.
L[...]

[...]alla Turchia orientale. Tale rete è posta in ogni momento sotto mio comando e deve assicurare in permanenza la polizia dello spazio aereo alleato» (generale Lemnitzer).
Si veniva così affermando un criterio di sovranazionalità — nel solo ambito militare — di tale portata che più di uno studioso del diritto si è chiesto fino a che punto fosse legittimo, oltre che politicamente accettabile. Il giurista Alberto Predieri nel suo studio su « Il Consiglio supremo di difesa » (organismo nazionale italiano) si chiede, ad esempio, fino a che punto « integrando la difesa italiana nella NATO », con i suoi organi che « impartiscono direttive ai singoli governi degli Stati », si siano « limitati i poteri » di quel Consiglio, in netto contrasto con l'articolo 87 della Costituzione italiana.
Il meccanismo è stato reso ancora più evidente dal fatto — non tecnico, ma poli
tico che il comandante
americano della NATO (Saceur) è contemporaneamente comandante di tutte le forze americane in Europa non integrate nella NATO (EUCOM). Se si considera che nell'arsenale della NATO le forze più importanti sono i bombardieri del SAC e la VI flotta americana nel Mediterra neo, e che essi non sono integrati nella NATO, si capisce subito quale sia il reale rapporto di dipendenza dagli USA.
Dobbiamo insistere brevemente su ques[...]

[...] più evidente dal fatto — non tecnico, ma poli
tico che il comandante
americano della NATO (Saceur) è contemporaneamente comandante di tutte le forze americane in Europa non integrate nella NATO (EUCOM). Se si considera che nell'arsenale della NATO le forze più importanti sono i bombardieri del SAC e la VI flotta americana nel Mediterra neo, e che essi non sono integrati nella NATO, si capisce subito quale sia il reale rapporto di dipendenza dagli USA.
Dobbiamo insistere brevemente su questo punto. Si tratta infatti di un potenziale militare atomico e missilistico dipendente unicamente dal presidente degli Stati Uniti. Esso viene utilizzato come mezzo di pressione sugli stessi alleati, ma soprattutto è la base di pronto intervento americano in ogni parte del. l'occidente e del Medio Oriente (nel 1958, ad esempio, in Libano). Ebbene, la questione è: fino a che punto questo intreccio di poteri coinvolge la NATO, e quindi la trascina automaticamente in conflitti esterni alla sua regione? Ancora. Giustamente Filippo Frassati osserva su Critica Marxista (n. 2, 1968): « Il co
SANREMO 27 APRILE 1969
ONO a L0110 COMO LRMGM
MAhhFESJNuIOIE POPOIORE
CRRTRR LE BRSI 51111>11
Siepwri della quella
nonWilliam fl ori
Manifesto della FGCI di Sanremo
mandante in capo p[...]

[...]», e collega automaticamente le forze della NATO a quelle altre, estendendo già così la territorialità della NATO stessa.
Abbiamo detto che il problema non è tecnico, bensì politico. Esso è intrinseco alla natura militare del Patto atlantico, e alla logica che vuole la supremazia del più forte. Anche un mutamento sul piano tecnico delle strutture dei comandi non muterebbe il dato essenziale del potere reale — grazie alla loro forza nucleare — degli USA, e della loro arbitraria utilizzazione del potenziale atomico ospitato in Europa, e caposaldo della struttura militare della NATO.
Non può perciò stupire che i diversi organismi « collettivi » inventati per íl « coordinamento tra alleati » dell'iniziativa militare (Standing Group, Comitato militare ecc.), siano a poco a poco scomparsi, o giacciono come strumento inutile. L'integrazione militare li ha messi fatalmente a tacere, essendo per sua natura « da una parte uno strumento di indirizzi strategici del tutto autonomi, quelli del Pentagono» scrive il generale Beaufre su Politique étran[...]

[...]alleati » dell'iniziativa militare (Standing Group, Comitato militare ecc.), siano a poco a poco scomparsi, o giacciono come strumento inutile. L'integrazione militare li ha messi fatalmente a tacere, essendo per sua natura « da una parte uno strumento di indirizzi strategici del tutto autonomi, quelli del Pentagono» scrive il generale Beaufre su Politique étrangère (n. 3, 1965) — « dall'altra lo strumento attraverso il quale si subordinano a quegli indirizzi gli obiettivi e le scelte militari dei governi europei». Appare quindi assai chiaro che l'integrazione militare è il perno su cui gli Stati Uniti hanno stabilito il loro dominio e il loro controllo sulla politica europea.
p. 14 Rinascita n. 19 9 maggio 1969 Dossier NATO


Due strategie
di sterminio
nucleare
Le gravissime implicazioni della teoria di Foster Dulles basata sul sostegno atomico della politica del « rischio calcolato ». Le forze di pace danno scacco alla NATO e la capacità militare del Patto di Varsavia impone la revisione strategica culminata con la « teoria » di Mac Namara: nascono i piani dell'escalation
ti », essi « sarebbero stati, comunque schiacciati ».
L'equilibrio militare, in cui si e[...]

[...]acciati ».
L'equilibrio militare, in cui si era cercata la prima :giustificazione della NATO, ¡era quindi raggiunto. Nessuno credeva più in Europa alla favola dell'aggressione sovietica. I regimi capitalistici erano! restaurati.
Fu in questo clima che il 16 dicembre 1967 la Conferenza di Parigi dei capi di governo dei paesi appartenenti alla NATO venne investita dal problema della istallazione di missili a medio raggio in Europa. Si trattava degli IRBM (Intermedie Range Ballistic Missiles), che per le loro caratteristiche non erano da rappresaglia ma offensivi: « Il loro effetto è potente, — scrisse allora A. Wohlstetter sulla rivista Foreign Af fairs — solo in caso di attacco a sorpresa ». Il 10 dicembre, avendo già Dulles reso pubblica la proposta americana, il governo sovietico aveva proposto la denuclearizzazione della Polonia, della Cecoslovacchia e della Germania orientale, a condizione che i missili non venissero istallati nella Germania federale.
Il Dipartimento di Stato americano liquidò la nota sovietica « come un tentativo di seminare discordia tra gli alleati ». Non così fecero alcuni alleati europei. A Parigi, il primo m[...]

[...]r sulla rivista Foreign Af fairs — solo in caso di attacco a sorpresa ». Il 10 dicembre, avendo già Dulles reso pubblica la proposta americana, il governo sovietico aveva proposto la denuclearizzazione della Polonia, della Cecoslovacchia e della Germania orientale, a condizione che i missili non venissero istallati nella Germania federale.
Il Dipartimento di Stato americano liquidò la nota sovietica « come un tentativo di seminare discordia tra gli alleati ». Non così fecero alcuni alleati europei. A Parigi, il primo ministro norvewese Gerhardsen affermò che « la Norvegia non intendeva ospitare depositi atomici nè missili » soprattutto perchè vi era in Europa un nuovo clima di negoziati che non bisognava lasciar cadere. Varie voci si levarono a sostegno della posizione norvegese. Le proposte di Dulles naturalmente passarono anche se, poi, solo l'Italia, la Turchia, l'Inghilterra e la Germania federale accettarono le basi missilistiche. E' abbastanza significativo che il Piano Radford — destinato a imbottire la NATO di rampe missilistich[...]

[...]he non bisognava lasciar cadere. Varie voci si levarono a sostegno della posizione norvegese. Le proposte di Dulles naturalmente passarono anche se, poi, solo l'Italia, la Turchia, l'Inghilterra e la Germania federale accettarono le basi missilistiche. E' abbastanza significativo che il Piano Radford — destinato a imbottire la NATO di rampe missilistiche e di depositi atomici — venisse accettato proprio nel momento in cui si aprivano alcuni spiragli nel buio della guerra fredda. Grazie a esso, ogni possibilità di negoziato si arenb.
Ma altrettanto significativo è che la NATO divenisse un avamposto della « rappresaglia massiccia », caricatasi nel frattempo della politica di roll back nei confronti dei paesi socialisti, proprio nel momento in cui negli Stati Uniti si iniziava quella profonda revisione strategica in campo militare che culminò nella «Dottrina McNamara ». Non ricorderemo qui il complesso dibattito di quegli anni. Basterà ricordare che il lancio del primo Sputnik privò gli USA della loro invul nerabilità e li costrinse quindi a rivedere le dimensioni stesse del conflitto nucleare, che stava alla base della « rappresaglia massiccia ». E' qui interessante rilevare che, nel corso della revisione, nessun « alleato » venne consultato o semplicemente informato di mutamenti che riguardavano i destini del mondo, e in modo ancor più diretto gli alleati militari degli USA. « Il senso di insicurezza — ha scritto una volta Henry Kissinger, attuale consigliere di Nixon — della maggior parte dei nostri alleati è stato aumentato dai rapporti unilaterali che si sono stabiliti all'interno dell'Alleanza in campo militare. In nessun altro settore la dipendenza europea dagli Stati Uniti è stata maggiore e così prolungata. La politica americana ha avuto un solo pensiero, quello di rendere più sopportabile la nostra tutela ». Gli alleati vennero semplicemente informati, a cose fatte, della svolta strategica USA: risposta flessibile, guerra limitata, escalation.
Non ricorderemo tutto il complesso sviluppo politico che sottese alla nuova strategia militare. Basterà ricordare che il punto di partenza fu — una volta considerato che l'uso dell'atomica avrebbe toccato anche l'America — una più acuta coscienza della sterilità della « rappresaglia massiccia », del carattere catastrofico di una guerra nucleare su scala mondiale e del fallimento dei tentativi di disgregare il campo socialista.
Ne derivava una visione politica che tendeva a disinnescare il meccanismo della guerra fredda, per varare un processo distensivo le cui caratteristiche dovevano però essere: 1) status quo internazionale, con un equilibrio statico tra i due sistemi, di cui si riconosceva finalmente la esistenza; e quindi smobilitazione della crociata antisovietica dullesiana; 2) garanzia dell'equilibrio attraverso un accordo « bipolare » tra USA e URSS, da potenza[...]

[...] di blocco che stava loro dietro; 3) i mutamenti in qualsiasi area del mondo dovevano essere contrastati, se necessario con l'intervento armato.
Questo il quadro politico della risposta flessibile e delle guerre limitate, contenenti la spirale della scalata. Dietro la reale crisi che questa visione conteneva della guerra fredda, appariva però chiaro che vi era in essa il germe di quel « globalismo » dell'intervento imperialista nel mondo, che negli ultimi mesi della presidenza Kennedy, e successivamente con Johnson, arriverà al delirio planetario della superpotenza americana.
Il passaggio tra le due fasi veniva sinteticamente descritto da Federico Artesio nell'articolo ' citato: « La prospettiva del deterrente americano valida per l'Europa nelle occasioni disperate impallidisce nella misura in cui si è venuto svuotando il pericolo dell'aggressione sovietica e in quella in cui è venuto vece crescendo lo spettro dell'imperialismo americano ».
Le conseguenze . per la NATO furono di grande portata, militari e politiche. La risposta flessi[...]

[...]mpallidisce nella misura in cui si è venuto svuotando il pericolo dell'aggressione sovietica e in quella in cui è venuto vece crescendo lo spettro dell'imperialismo americano ».
Le conseguenze . per la NATO furono di grande portata, militari e politiche. La risposta flessibile rende necessaria la possibilità di prendere decisioni immediate relative al « grado di replica » all'avversario, e quindi esclude nel modo più tassativo consultazioni tra gli alleati e ogni divisione di comando. Per cui, come ha scritto in un acuto, per quanto filoatlantico saggio Luisa Calogero La Malfa (in La NATO nell'era
L'accelerazione di questo processo di integrazionedipendenza si è avuta anche sotto il profilo delle diverse strategie mondiali che gli USA venivano via via sperimentando e dalla collocazione che è stata data alla NATO.
Nell'ottobre del 1953 il National Security Council americano autorizzava i militari a « introdurre l'impiego di armi nucleari tattiche e strategiche nei piani di difesa contro attacchi convenzionali ». Veniva maturando la teoria della « rappresaglia massiccia » ossia la « massima dissuasione a un costo sopportabile fondandosi su una grande capacità» di risposta ato mica istantanea « nei luoghi da noi scelti » (Dulles). Nel 1954 il Consiglio della NATO faceva propria quella strate gia dichiarando che « gli eserciti atlantici opporranno i loro mezzi atomici a ogni attac co importante anche se non atomico ».
Questo passo della NATO fu denso di gravi implicazioni.
Bisogna dire che i governi europei, o almeno una parte di essi, cominciarono a comprendere i pericoli di quelle implicazioni, e a vivere in una reale contraddizione. Cominciarono a comprendere, ad esempio, che gli USA non si limitavano più a una politica di contenimento, ma puntavano oramai a una politica di controllo e intervento mondiale (il 1953 e il 1954 furono dominati dalla tentazione di Dulles di usare l'atomica in Indocina), sulla base di quella che Federico Artusio nel 1965 chiamava « una prefigurazione ideologica omogenea del mondo », a tutela dei loro interessi. Per cui sentivano, quei governi, l'esigenza di un distacco, di una separazione,
o per lo meno di una manifestazione di automia, per la sproporzione che veniva a crearsi tra gli interessi europei e quelli americani. La contraddizione[...]

[...]ca di controllo e intervento mondiale (il 1953 e il 1954 furono dominati dalla tentazione di Dulles di usare l'atomica in Indocina), sulla base di quella che Federico Artusio nel 1965 chiamava « una prefigurazione ideologica omogenea del mondo », a tutela dei loro interessi. Per cui sentivano, quei governi, l'esigenza di un distacco, di una separazione,
o per lo meno di una manifestazione di automia, per la sproporzione che veniva a crearsi tra gli interessi europei e quelli americani. La contraddizione non fu sciolta per molti anni (e non lo è ancora oggi) perché tutto ruotava intorno all'accettazione dell'egemonia americana.
In realtà i processi che venivano alla luce erano profondi e drammatici. Nell'ottobre del 1951 la NATO si era estesa alla Grecia e alla Turchia, l'una fascista l'altra dominata dalla feroce dittatura di Menderes. Da un lato crollava definitivamente il mito delle « democrazie » atlantiche, già seriamente incrinato dalla presenza portoghese. Dall'altro dal NordAtlantico si arrivava a una dimensione territoriale del[...]

[...]stesa alla Grecia e alla Turchia, l'una fascista l'altra dominata dalla feroce dittatura di Menderes. Da un lato crollava definitivamente il mito delle « democrazie » atlantiche, già seriamente incrinato dalla presenza portoghese. Dall'altro dal NordAtlantico si arrivava a una dimensione territoriale della NATO che si spingeva fin sotto il Caucaso, attraverso una parte dell'Asia Minore. Le considerazioni militari avevano così pieno sopravvento sugli scrupoli di « civiltà ».
Già nel 1950, del resto, il Senato americano aveva chiesto che con la Turchia, la Grecia, la Germiania federale, anche la Spagna entrasse nella NATO. Fu soprattutto per la opposizione della Norvegia che ciò non avvenne. Ma proprio in quegli anni (1953) la Spagna firmava un accordo militare bilaterale con gli USA che le conferiva un posto di rilievo in tutto il sistema militare occidentale. Sempre in quegli anni accordi militari bilaterali vennero stipulati dagli USA con la Libia, il Marocco, l'Etiopia mentre venivano varati i grandi trattati regionali del Sudest asiatico e del Pacifico.
La NATO venne a trovarsi così, tramite gli USA, e anche in parte l'Inghilterra, in un intrico politico militare
diplomatico così denso di nessi intercontinentali, che fu fatalmente coinvolta in tutti i punti di tensione del mondo, automaticamente, senza che alcun governo europeo potesse minimamente decidere e incidere su quelle tensioni. Questo dato drammatico, che oggi pare attenuarsi nella memoria di chi sostiene che la NATO ha salvato la pace in Europa, era del resto la conseguenza logica dell'accettazione della « rappresaglia massiccia ». Nel suo famoso discorso, pronunciato il 12 gennaio 1954 davanti al Council on Foreign Relati[...]

[...] un intrico politico militare
diplomatico così denso di nessi intercontinentali, che fu fatalmente coinvolta in tutti i punti di tensione del mondo, automaticamente, senza che alcun governo europeo potesse minimamente decidere e incidere su quelle tensioni. Questo dato drammatico, che oggi pare attenuarsi nella memoria di chi sostiene che la NATO ha salvato la pace in Europa, era del resto la conseguenza logica dell'accettazione della « rappresaglia massiccia ». Nel suo famoso discorso, pronunciato il 12 gennaio 1954 davanti al Council on Foreign Relations, Foster Dulles aveva detto chiaramente che la rappresaglia massiccia era la risposta unica ed efficace rispetto al costo economico, finanziario, sociale di tante piccole guerre, al fatto che « nell'Artico, e nei Tropici, in Asia, nel Medio Oriente e in Europa » era in atto l'aggressione. La dimensione nucleare della « risposta » conferiva già una sua universalità oggettiva a ogni alleanza americana, compresa la NATO.
Ma vi era un secondo elemento che venne allora in piena luce: quello del carattere apertamente aggressivo della NATO, proprio in virtù della totale accettazione della « rappresaglia massiccia ». Il 13 giugno 1957 il generale Norstad, n[...]

[...]ale di tante piccole guerre, al fatto che « nell'Artico, e nei Tropici, in Asia, nel Medio Oriente e in Europa » era in atto l'aggressione. La dimensione nucleare della « risposta » conferiva già una sua universalità oggettiva a ogni alleanza americana, compresa la NATO.
Ma vi era un secondo elemento che venne allora in piena luce: quello del carattere apertamente aggressivo della NATO, proprio in virtù della totale accettazione della « rappresaglia massiccia ». Il 13 giugno 1957 il generale Norstad, nel rapporto presentato alla commissione difesa del Senato americano, aveva affermato che l'URSS era completamente e saldamente accerchiata e l'Occidente era in grado di lanciare contro di essa un attacco atomico dai cieli, da un perimetro di 360 gradi costellato di oltre 250 basi della NATO. Anche se i sovietici, aggiungeva Norstad, « disponessero del 200% delle capacità di fuoco degli allea
la TO
APRE LE PORTE AL
FASCISMO
FUORI C ITALIA DALLA NATO
Tntli
qvuti
Manifesto della sezione propaganda d el Pu
n. 19 Rinascita p. 15
Dossier NATO 9 maggio 1969


la sicurezza è nella neutralità
)
%\\V‘V%$
0.0
Manifesto della sezione propaganda d el PCI
L'Europa
pill divisa
L'aggravamento della tensione favorisce il ricatto permanente che la Germania di Bonn, spalleggiata dagli USA, esercita sugli altri alleati: è la crisi di ogni reale prospettiva dello stesso « europeismo atlantico » e della capacità dell'Europa di stabilire nuovi rapporti con i paesi di nuova indipendenza
della distensione) « la natura eminentemente politica delle scelte possibili nella strategia della dissuasione porta a rafforzare anzichè ad attenuare la supremazia politicomilitare esercitata dagli USA »,
Con l'accettazione della nuova strategia americana, la NATO diviene definitivamente
e semplicemente un « braccio militare » del presidente degli Stati Uniti. In secondo luogo, si è caratterizzato meglio lo impegno della NATO nell'ambito extraeuropeo. Mentre con la « rappresaglia massiccia » la NATO era solo automaticamente travolta da un conflitto mondiale, qui il suo impegno diventa più diretto, non automatico ma volontario, in quella che Walt Rostow chiama la « continuità territoriale della difesa ». Con molta chiarezza del resto il 6 marzo 1965, in un importante discorso tenuto a Cleveland, il segretario di Stato americano Dean Rusk affermava: « La Europa e la comunità nordatlantica non possono preservare la loro sicurezza semplicemente vigilando lungo una linea che passa soltanto per l'Europa. La loro sicurezza comune è coinvolta anche in ciò che accade in Afric[...]

[...]so tenuto a Cleveland, il segretario di Stato americano Dean Rusk affermava: « La Europa e la comunità nordatlantica non possono preservare la loro sicurezza semplicemente vigilando lungo una linea che passa soltanto per l'Europa. La loro sicurezza comune è coinvolta anche in ciò che accade in Africa, nel Medio Oriente, nell'Amertica latina, nell'Asia meridionale e nel Pacifico occidentale. L'Alleanza atlantica deve adeguarsi a nuove esigenze ». Gli impegni via via assunti dalla NATO nel Mediterraneo (v. Rinascita, nn. 41 e 50 del 1967, nn. 5,6,13,14 del 1968), la sua diretta partecipazione alla guerra coloniale portoghese, sono un segno della natura assunta dal suo meccanismo politicomilitare.
In terzo luogo e infine, la accettazione della strategia flessibile ripropone necessariamente una nuova corsa al riarmo degli eserciti convenzionali per la guerra limitata (la copertura atomica e il grilletto della escalation rimangono agli americani); anche degli eserciti europei, perchè si dovrebbe combattere in Europa, nel territorio degli « alleati », i quali però, come non hanno avuto nessuna parte nell'elaborazione della nuova strategia, non avrebbero nessun potere nel determinare il corso stesso, politico
e militare, dell'eventuale conflitto. Nonostante questo paradosso, gli USA hanno conseguito anche questo obiettivo, dopo anni di resistenza da parte degli europei, a ridosso degli avvenimenti cecoslovacchi. L'Italia, ad esempio, ha aumentato il proprio bilancio militare del 7% solo da alcuni mesi.
Questo può essere considerato il punto terminale di un processo la cui logica è nel Trattato del 1949. Non a caso essa coincide con una profonda crisi politica della NATO e delle relazioni tra gli alleati. Taluno ha voluto spiegare quella crisi come il risultato di una serie di errori deformanti interni a una struttura buona e positiva. E di qui vengono tutte le proposte « revisioniste » della Alleanza. Ma non si tratta, invece, della natura stessa degli attuali rapporti tra USA ed Europa? non si tratta della scelta storica compiuta dall'imperialismo americano di fronte ai processi del nostro tempo? Prima di analizzare, quindi, le caratteristiche di quelle crisi e la impossibilità o velleità del « revisionismo » atlantico, converrà vedere più da vicino il prezzo che l'Europa (e il mondo) hanno pagato alla politica atlantica degli Stati Uniti.
Nel 1949, al momento del voto sul Patto Atlantico l'onorevole Ugo La Malf a, con una divinazione di cui possiamo apprezzare tutto l'acume, ebbe a dire: « Oggi sta nascendo l'Europa e l'America non c'entra ». A distanza di vent'anni quale è il bilancio che l'Europa può trarre dalla nascita della NATO e dalla appartenenza a essa dei paesi occidentali? Il prezzo pagato, come si vedrà, è stato altissimo: attraverso la NATO l'Europa è stata l'epicentro della guerra fredda, ha subito una spaccatura profonda dettata dalla logica dei blocchi, ed è pervenuta a una condizione subalterna a[...]

[...]me, ebbe a dire: « Oggi sta nascendo l'Europa e l'America non c'entra ». A distanza di vent'anni quale è il bilancio che l'Europa può trarre dalla nascita della NATO e dalla appartenenza a essa dei paesi occidentali? Il prezzo pagato, come si vedrà, è stato altissimo: attraverso la NATO l'Europa è stata l'epicentro della guerra fredda, ha subito una spaccatura profonda dettata dalla logica dei blocchi, ed è pervenuta a una condizione subalterna agli USA sul terreno politico ed economico. Vediamo come.
La questione tedesca è stata e continua a essere il perno di ogni problema concernente la vita dell'Europa. « Dal tipo di sistemazione che sarebbe stato dato al problema tedesco scriveva tempo fa il già citato settimanale delle ACLI — dipendeva in realtà o meno la sussistenza delle strutture » politiche e militari che « si erano andate consolidando in Europa nel dopoguerra ». E' persino superfluo richiamare l'importanza del problema. A essa infatti era, ed è ancora legato il riconoscimento della realtà emersa dalla seconda guerra mondiale [...]

[...]ndo un peso determinante e decisivo per la storia di questi ultimi venti anni. Infatti con la NATO si ebbe quel riarmo tedesco che avrebbe sancito la politica dei blocchi: fu — è bene ricordarlo ancora una volta — dopo l'ingresso della Germania federale nella NATO che i paesi socialisti diedero vita al Patto di Varsavia (14 maggio 1955).
Nel 1950, adottando la « strategia in avanti » che portava la politica di contenimento sulle rive dell'Elba, gli Stati Uniti avevano già posto il problema dell'inserimento della Germania nella Alleanza. Acheson aveva detto: la difesa europea « implica la partecipazione di unità tedesche e l'utilizzazione delle risorse industriali tedesche per i suoi rifornimenti ». Il rinrmo tedesco, è noto, era chiaramente escluso dagli accordi di Potsdam. Meno noto è invece il fatto ch'esso era escluso anche dagli alleati atlantici europei. Quando il 6 aprile 1949 un autorevolissimo editoriale di Le Monde disse che íl riarmo tedesco era contenuto nel Patto Atlantico come « un germe nell'uovo », lo occidente europeo reagì con una certa indignazione, e il governo francese precisò ufficialmente: « Il mondo deve sapere che la Francia non po trebbe restare membro di! un sistema di sicurezza che autorizzi la Germania a riarmarsi ». Attraverso la NATO la partita fu, ovviamente, vinta dagli Stati Uniti, i quali minacciarono subito una « revisione lacerante » della loro politica, ottenendo una non del tutto ras[...]

[...]i. Quando il 6 aprile 1949 un autorevolissimo editoriale di Le Monde disse che íl riarmo tedesco era contenuto nel Patto Atlantico come « un germe nell'uovo », lo occidente europeo reagì con una certa indignazione, e il governo francese precisò ufficialmente: « Il mondo deve sapere che la Francia non po trebbe restare membro di! un sistema di sicurezza che autorizzi la Germania a riarmarsi ». Attraverso la NATO la partita fu, ovviamente, vinta dagli Stati Uniti, i quali minacciarono subito una « revisione lacerante » della loro politica, ottenendo una non del tutto rassegnata ubbidienza. E fu questa la sanzione della rinascita, non della Germania, ma di quelle forze economiche, politiche e militari, che nel segno dell'anticomunismo costituirono il nucleo principale del neorevanchismo tedesco, ostacolando con questa soluzione del problema tedesco stesso, non soltanto un diverso assetto europeo, ma anche una effettiva distensione nel cuore dell'Europa.
Non descriveremo qui le diverse tappe attraverso le quali l'obiettivo americano venne p[...]

[...]le forze economiche, politiche e militari, che nel segno dell'anticomunismo costituirono il nucleo principale del neorevanchismo tedesco, ostacolando con questa soluzione del problema tedesco stesso, non soltanto un diverso assetto europeo, ma anche una effettiva distensione nel cuore dell'Europa.
Non descriveremo qui le diverse tappe attraverso le quali l'obiettivo americano venne pienamente realizzato, e che segnarono uno dei momenti più travagliati della vita dell'occidente europeo (basti ricordare il fallimento della CED). Ciò che interessa vedere è invece il modo con cui la NATO impostò la questione tedesca e le conseguenze che ne derivarono allora, di cui l'Europa porta ancora oggi il segno.
La rivista Il Mulino (n. 1, 1949), non certo sospetta di antiatlantismo, riconosce che «le contraddizioni e gli equivoci che l'Alleanza accumulò sulla questione tedesca furono tali .e tanti che finirono per costituire un ostacolo al
la definizione di una ef f etti
va politica distensiva ». In realtà non vi furono equivoci. Il taglio dato fu uno e univoco: l'identificazione degli interessi della NATO, e quindi quelli dell'Europa occidentale, con gli interessi e le rivendicazioni della Repubblica federale tedesca. Ciò era voluto dagli Stati Uniti ed era nella logica naturale della politica di contenimento, costruita su quelle che George Kennan chiamava le « situazioni di forza » per imporre, « dispiegando tutta la potenza militare », all'URSS e ai paesi socialisti determinate soluzioni.
Non vi fu perciò rivendicazione revanchista della Germania federale che non fosse fatta propria dalla NATO, e posta alla base di tutta la sua strategia politica e militare verso i paesi socialisti. Questi avvertivano in profondità, e con fondati motivi, il nodo della questione tedesca, e su questa base avanzarono una serie di proposte assa[...]

[...]spettiva di « una Germania democratica e unita nel senso occidentale del termine ». La linea adottata dalla RFT, diretta allora da Adenauer, e fatta subito propria dalla NATO perchè coincidente con quella statunitense, fu quella di « evitare ogni negoziato in attesa che l'occidente potesse opporre a Mosca, come fait accompli, una Germania riarmata nel quadro di una Europa organizzata ». Il secondo momento cruciale fu dato quando nel 1954 il Consiglio atlantico di Parigi, fallita la CED, decise l'ingresso della Germania federale nella NATO. L'URSS avanzò allora una nuova proposta per la neutralizzazione e riunificazione della Germania, e per una conferenza sulla sicurezza europea. André Fontaine — in un recente articolo sulla rivista Affari Esteri — riconosce «la volontà dei sovietici di fare agli occidentali concessioni suscettibili di rovesciare la situazione ».
Eisenhower rispose che « una Germania riunificata deve avere la possibilità di esercitare il suo inerente diritto all'autodifesa collettiva » il che significava una Germania unita nella NATO. Con tardiva resipiscenza George Kennan commentava che così si cacciava l'URSS in « una porta chiusa ». Pochi mesi dopo infatti nasceva il Patto di Varsavia. Il fatto era che la politica del contenimento, coincidente con quella di Adenauer, puntava sulla presunta possibilità di ottenere — attraverso un duro confronto di forza — lo sgreto[...]

[...] densi di tragiché conseguenze per la
p. 16 Rinascita n. 19 9 maggio 1969 Dossier NATO
Europa. Nota acutamente lo storico Enzo Collotti che la ambizione di Adenauer di fare della RFT « la potenza destinata ad assumere la leadership di una Europa irrevocabilmente legata alla politica statunitense » e nel contempo l'avamposto « dell'Europa cristiana contro il bolscevismo... non avrebbe potuto procedere se non si fosse incontrata con la volontà degli Stati Uniti di rivalutare il potenziale europeo e soprattutto tedesco in funzione antisovietica. Senza la politica di Truman e di Foster Dulles, senza la conquista economica (da parte degli USA) dell'Europa, senza il Piano Marshall
e il Patto Atlantico, senza la politica di forza, il roll back
e la teoria della liberazione dei paesi dell'Europa orientale, il fanatismo anticomunista
e antisovietico di Adenauer sarebbe rimasto isolato ». Ne venne invece l'esaltazione di un ruolo primario e preminente della Germania federale. Al punto che quando si delinearono — alla luce della potenza atomica dell'URSS — nuove ipotesi che liquidassero le tesi della rappresaglia massiccia; la Germania potè assumere all'interno della NATO un ruolo di punta oltranzista, preoccupata soltanto di un [...]

[...] Piano Marshall
e il Patto Atlantico, senza la politica di forza, il roll back
e la teoria della liberazione dei paesi dell'Europa orientale, il fanatismo anticomunista
e antisovietico di Adenauer sarebbe rimasto isolato ». Ne venne invece l'esaltazione di un ruolo primario e preminente della Germania federale. Al punto che quando si delinearono — alla luce della potenza atomica dell'URSS — nuove ipotesi che liquidassero le tesi della rappresaglia massiccia; la Germania potè assumere all'interno della NATO un ruolo di punta oltranzista, preoccupata soltanto di un abbandono da parte degli alleati della « vecchia frontiera » e quindi della svalutazione della « posizione di avamposto della Repubblica federale» (Collotti). L'eredità di questa politica pesa ancora oggi, nonostante il suo artefice sia scomparso da lun go tempo. E non è un caso che gli accenni a una politica nuova della RFT passino oggi per una radicale liquidazione di quella eredità, investendo la stessa NATO e la logica dei blocchi.
Questo fu il primo prezzo: attraverso la questione tedesca, la divisione dell'Europa. Tutto ciò, ovviamente, sconvolse anche i più bei sogni europeistici che animavano alcune forze politiche intorno agli anni '50. Nell'ambito dell'Alleanza atlantica tutti i processi d'integrazione occidentale — dalla comunità carbosiderurgica al MEC — non potevano non portare il segno della politica DullesAdenauer, ossia il segno di una Europa angusta e soffocata: l'Europa carolingio cattolico autoritaria, cara ad Adenauer, De Gasperi, Schuman, recinto e baluardo di una « civiltà » conforme e subalterna all'ideologia della guerra fredda. Per cui non molto tempo fa un articolo del periodico democristiano Politica si chiedeva se non esiste « una inconciliabilità reale tra europeismo
e atlantismo ». E la rivi[...]

[...]iodico democristiano Politica si chiedeva se non esiste « una inconciliabilità reale tra europeismo
e atlantismo ». E la rivista delle ACLI, Relazioni sociali (n. 10, 1968) si domandava a sua volta se la prospettiva europeistica « non sia stata bloccata in gran parte dalla prospettiva atlantica » (oltre che dalla scelta capitalistica,
e su questo ritorneremo subito: ma le due scelte atlantica
e capitalistica erano nel 1949 intimamente fuse).
Gli Stati Uniti, del resto erano interessati a una solu zione effettivamente unitaria dell'Europa, sia pure della sola Europa occidentale? A seguire tutta la vicenda « europeistica » si possono cogliere con grande chiarezza due elementi chiave della posizione statunitense su questo problema: 1) in tutta una prima fase l'unità europea li interessa unicamente in funzione della integrazione tedesca; 2) sempre, fino a oggi, l'unità politica dell'Europa li interessa in funzione del loro riconoscimento come forza egemone che tratta bipolarmente a nome di tutto il blocco. In altri termini, i problemi della unità europea affiorano nella politica statunitense unicamete in rapporto all'esercizio della loro egemonia. Per il resto è tutta propaganda. Come per la regina di Alice nel paese delle merav[...]

[...]unicamente in funzione della integrazione tedesca; 2) sempre, fino a oggi, l'unità politica dell'Europa li interessa in funzione del loro riconoscimento come forza egemone che tratta bipolarmente a nome di tutto il blocco. In altri termini, i problemi della unità europea affiorano nella politica statunitense unicamete in rapporto all'esercizio della loro egemonia. Per il resto è tutta propaganda. Come per la regina di Alice nel paese delle meraviglie, « poco importa ciò che le parole vogliono dire, si tratta di sapere chi è il padrone ».
Ma vi è anche l'altro aspetto: è proprio sull'altare della NATO che l'Europa perde la sua possibilità d'iniziativa autonoma « soffocando tutti gli spunti che potevano manifestarsi in una simile direzione » (Collotti). Basta pensare al modo con cui l'aggressione americana al Vietnam e la solidarietà che ha richiesto
e ottenuto, in nome dell'Alleanza, abbiano congelato il dialogo con l'Est ed elevato continue muraglie sulla via di una reale distensione europea.
Basterà ancora pensare al peso determinante avuto dal la NATO nel provocare non solo rapporti mondiali, ma rapporti specifici tra Europa
e Africa all'ombra del colonialismo e del neocolonialismo. In realtà tutto il disegno europeistico perseguito dalle vecchie classi dominanti europee, e vantato come possibile anzi inevitabile all'interno delle strutture dell'Alleanza atlantica, si è rivelato marcio e suicida per l'Europa. « Sulla via dell'atlantismo e della integrazione monopolistica — si scriveva su Rinascita solo qualche anno fa — l'occidente [...]

[...]della integrazione monopolistica — si scriveva su Rinascita solo qualche anno fa — l'occidente europeo si trova oggi stretto dall'invadenza economica americana, paralizzata nel suo dialogo con i paesi socialisti e nei rapporti col terzo mondo, posto di fronte al riesplodere di focolai revancïtisti ».
Nè si pub dimenticare quello che provocarono il prezzo che esigettero la nascita della NATO e la logica dei blocchi nella stessa Europa orientale. Gli studi storici più seri hanno oramai liquidato la leggenda churchilliana della « cortina di ferro ». In realtà l'Unione Sovietica puntava, nell'immediato dopoguerra, su un lungo periodo di distensione e di accordo tra le grandi potenze. L'assetto dell'Europa orientale la interessava soltanto come eliminazione della tradizionale politica verso l'Est degli Stati sorti dal Trattato di Versailles,
e quindi come eliminazione delle vecchie aristocrazie feudali, matrici del fascismo balcanico. La formula della « de mocrazia popolare » non era in questo senso una invenzione propagandistica. Fu con la guerra fredda e col rapido mutamento della situazione internazionale che cominciò a mancare lo spazio per questa politica e lo spazio anche all'interno dei singoli paesi per quelle forze che avevano puntato su una politica di amicizia con l'URSS su una base di neutralità. Tuttavia è solo col 1948 — un anno dopo la dottrina Truman — che la via obbligata [...]

[...] Centrale
Per chi volesse di più un itinerario di prestigio in una realtà nuova e sensazionale. Partenza iÍ 1° Agosto.
Tutto in aereo, l'itinerario si snoda per 22 giorni attraverso Mosca, Irkutsk, Bratsk, Alma Ata, Tashkent, Bukhara. Samarkand, Odessa, Kiev e Leningrado.
Un big tour dell'URSS in prima categoria,
tutto compreso a Lire 522.000
UN RENDEZVOUS CON LA RUSSIA Mosca e Leningrado
In partenza con aerei speciali da Milano (5121926 luglio, 291623 agosto) da Roma (1825 luglio, 181525 agosto) 8 giorni a
Mosca e Leningrado. un primo contatto co un mondo poco noto.
Servizi di 1" categoria, tutto compreso a
Lire 150.000
VACANZE SUL MAR NERO Mamaia, La Miami europea
15 giorni in aereo da. Milano, con partenze tutti i sabati dal 14 Giugno al 5 Settembre. Mare, sole e possibilità di interessanti escursioni a Bucarest, Istanbul, Atene, Cairo. Tutto compreso, in alberghi con bagno di 1' o 2° categoria. Quote da
Lire 90.000 a Lire 116.000
ed inoltre altri viaggi in aereo, treno, pullman per l'Europa Orientale, l'Ungheria e la Cecoslovacchia, i Balcani, la Svezia, la[...]

[...]al 5 Settembre. Mare, sole e possibilità di interessanti escursioni a Bucarest, Istanbul, Atene, Cairo. Tutto compreso, in alberghi con bagno di 1' o 2° categoria. Quote da
Lire 90.000 a Lire 116.000
ed inoltre altri viaggi in aereo, treno, pullman per l'Europa Orientale, l'Ungheria e la Cecoslovacchia, i Balcani, la Svezia, la Spagna e soggiorni balneari a Dubrovnik ed in BuIgaria sulle Sabbie d'O ro.
Gratis e senza impegno il programma dettagliato presso
1TALTURIST
MILANO Via F. Baracchini, 10 Tel. 8690641
ROMA Via IV Novembre, 112 Tel. 689891 688233 TORINO Via A. Doria, 7 Tel. 538566
PALERMO Via M. Stabile, 222 Tel. 248027
GENOVA Via Cairoli, 14/3 Tel. 205900
Dossier NATO 9 maggio 1969 n. 19 Rinascita p, 17
Peretrazione
del capitale
no_
Le posizioni degli Stati Uniti nell'economia europea sono tali da condizionare la stessa competitività mondiale dell' industria del vecchio continente. Quale costo ha dovuto pagare l' Europa in conseguenza dell'asservimento alla politica USA
Gli organi civili NATO dipen di Bruxelles
denti dal Consiglio atlantico
Produzione
del missile
Sidewinder .
Oberúhldingen
Produzione
del missile
. Bullpup,,. Oslo
trifrastrilture
elettrOnica
della difesa aerea
(NAOGE). Parigi
Produzlone
dell'aered F 104 G
`âlarfighler .
Coblenza
OleodotIi
Centro Europa.
Versailles
Approvvigionamenl0
e manutenzione
I NAMSO.). Parigi
Produzione
del missile .Hawk,.
RueilMalmaison
/ ALTRI
ORGANI CIVILI DELLA NATO ISTITUITI DAL CONSIGLIO ATLANTICO
Conviene a questo punto chiedersi quale sia il reale rapporto, attraverso i mecca nismi politici e militari della NATO, che si è venuto stabilendo tra Europa e USA in questo ventennio, sia sul terreno economico sia su quello degli sviluppi interni a ogni singolo paese europeo.
All'inizio di queste note si osservava lo stretto intreccio che si stabiliva fin dal dopoguerra tra obiettivi militari, politici ed economici. E cib per diverse ragioni. Prima fra tutte, e la più contingente, quella del « mercato militare » europeo, che per il peso assunto dall'industria bellica nel meccanismo produttivo statunitense, diveniva uno dei pilastri degli orientamenti dell'economia americana dei dopoguerra. Nel n. 2/1968 di Critica marxista si possono leggere utilmente alcuni saggi su questo problema. La funzione della NATO fu inizialmente, ma questo aspetto perdura ancor oggi, quella « di perpetuare un alto livello di spese militari negli Stati Uniti, attraverso commesse per il riarmo degli eserciti europei e la istituzione di un sistema di basi militari, il cui costo divenne uno stimolo costante alla domanda interna USA, un incentivo alla ricerca scientifica e tecnologica e alla competitività internazionale ».
Ma l'obiettivo era di più lungo respiro. Restaurare il capitalismo europeo non voleva infatti essere soltanto la ricostruzione di un mercato bellico e la garanzia politica di un sistema sociale omogeneo agli Stati Uniti, voleva dire — e questo è il fenomeno che è venuto delineandosi con grande chiarezza nel corso del ventennio — rimettere in piedi un capitalismo nettamente subordinato alla divisione internazionale del lavoro predisposta dall'imperialismo statunitense. Intorno al 1950 venne imposta, attraverso la NATO, una vera e propria rete di vincoli e di veti economici e commerciali all'intiera Europa occidentale (basti ricordare il commercio con l'Est) che assicurarono da un lato il pieno controllo americano sulla destinazione degli « aiuti » e quindi su tutte le tendenze e le scelte della re[...]

[...]e chiarezza nel corso del ventennio — rimettere in piedi un capitalismo nettamente subordinato alla divisione internazionale del lavoro predisposta dall'imperialismo statunitense. Intorno al 1950 venne imposta, attraverso la NATO, una vera e propria rete di vincoli e di veti economici e commerciali all'intiera Europa occidentale (basti ricordare il commercio con l'Est) che assicurarono da un lato il pieno controllo americano sulla destinazione degli « aiuti » e quindi su tutte le tendenze e le scelte della restaurazione capitalistica, e dall'altro lato aprirono le porte della Europa all'invasione commerciale, di prodotti bellici e no, degli Stati Uniti E' su questa base che è venuta costruendosi l'espansione in Europa — una volta rimesso in piedi il sistema capitalistico — del capitale americano. Nel numero citato di Critica marxista si scrive che « le conquiste di posizioni di predominio da parte dei grandi gruppi monopolistici americani in setto ri economici fondamentali, la subordinazione tecnologica, la penetrazione americana nei mercati dei capitali europei sono tutti fatti che poterono realizzarsi e cominciare a imporsi già negli anni '50, proprio per le condizioni create dall'esistenza della NATO e dalla posizione che in [...]

[...]dosi l'espansione in Europa — una volta rimesso in piedi il sistema capitalistico — del capitale americano. Nel numero citato di Critica marxista si scrive che « le conquiste di posizioni di predominio da parte dei grandi gruppi monopolistici americani in setto ri economici fondamentali, la subordinazione tecnologica, la penetrazione americana nei mercati dei capitali europei sono tutti fatti che poterono realizzarsi e cominciare a imporsi già negli anni '50, proprio per le condizioni create dall'esistenza della NATO e dalla posizione che in essa occupano gli USA ».
Per attenerci a fonti sempre non sospette ricorderemo le due relazioni dell'allora ministro Fanfani in cui emergeva la consapevolezza di come gli USA fossero arrivati a una posizione egemonica così forte da compromettere l'autonomia dell'Europa e da condizionare alle loro esigenze e ai loro interessi la stessa competitività mondiale dell'economia europea. Fanfani coglieva — le due relazioni erano sul gap tecnologico e sull'Euratom — un aspetto decisivo del problema: quello del possesso americano di tutte le industrie tecnologicamente più avanzate (elettronica, leghe metalliche, aeronautica, trasporti, petrolchimica, prodotti alimentari conservati, ecc.), e quindi della chiave di ogni ulteriore sviluppo economico.
Non è cosí affat' o casuale, ma logico e conseguente, che l'Europa sia stata chiamata di recente a pagare le conseguenze dei processi inflattivi in atto negli Stati Uniti, che hanno tra le loro cause l'avventura vietnamita. Anzi vi è qualcosa di p[...]

[...]ratom — un aspetto decisivo del problema: quello del possesso americano di tutte le industrie tecnologicamente più avanzate (elettronica, leghe metalliche, aeronautica, trasporti, petrolchimica, prodotti alimentari conservati, ecc.), e quindi della chiave di ogni ulteriore sviluppo economico.
Non è cosí affat' o casuale, ma logico e conseguente, che l'Europa sia stata chiamata di recente a pagare le conseguenze dei processi inflattivi in atto negli Stati Uniti, che hanno tra le loro cause l'avventura vietnamita. Anzi vi è qualcosa di più e di più grave. Di fatto, e la cosa è assolutamente paradossale nell'illustrare la politica delle classi dominanti europee, la Europa ha pagato direttamente una serie di costi, che hanno pesato sul suo sviluppo, alla politica americana, anche quando essa contrastava con gli interessi dello stesso capitalismo europeo. In un
Gli investimenti USA in Europa a seguito della costituzione dell'alleanza atlantica dossier sull'imperialismo americano in Europa, pubblicato da Problemi del socialismo (n. 38, 1969) si costata giustamente: « Il fatto singolare è che nel corso di questi anni, mentre l'economia americana compiva il più grosso balzo di questo dopoguerra, aumentando il suo distacco rispetto all'economia europea considerata complessivamente, l'attenzione veniva centrata piuttosto sulle difficoltà della bilancia dei pagamenti USA e sui crescenti attivi realizzati dai paesi della CEE, trascurando che i fenomeni monetar[...]

[...]ssivamente, l'attenzione veniva centrata piuttosto sulle difficoltà della bilancia dei pagamenti USA e sui crescenti attivi realizzati dai paesi della CEE, trascurando che i fenomeni monetari dissimulavano una situazione reale capovolta. Ciò che si può dire in sintesi su questo punto è che i paesi del MEC accettando tra le proprie riserve dollari inflazionati, senza esigerne la conversione in oro (Francia a parte), trasferendo capitali europei negli USA e finanziando con capitali propri gli investimenti USA in Europa, hanno consentito all'economia americana di mettere insieme tre politiche, che senza l'aiuto europeo sarebbero state tra loro incompatibili: le guerre del Vietnam, un forte tasso di espansione interna, una crescita senza precedenti degli investimenti in Europa ».
Il problema che quindi si pone, in questo quadro, non è soltanto quello di una resistenza agli Stati Uniti d'America, ma ha dei contorni più profondi e precisi. E' possibile, in altri termini, proseguendo dalla via dell'attuale integrazione monopolistica che caratterizza lo sviluppo economico dell'Europa, ottenere una reale indipendenza dagli Stati Uniti? E' possibile costruire su questa Europa occidentale una scelta compiutamente autonoma? Oppure essa non deve passare attraverso profonde riforme del le strutture attuali a livello comunitario e a livello nazionale? Come atlantismo e restaurazione capitalistica hanno proceduto di pari passo, così oggi l'autonomia nazionale ed europea sono legate intimamente, intrecciate dialetticamente, a un processo di avanzata democratica e antimonopolistica in tutta l'Europa occidentale. Il nesso tra la lotta politica e sociale, interno a ogni paese e a livello europeo, appare evidente anche in [...]

[...]ello europeo, appare evidente anche in virtù di alcune particolarità della struttura politica e militare della NATO.
Veicolo generale di questi processi, la NATO infatti ha avuto anche una sua più specifica funzione sia pure nel semplice ambito della produzione bellica. La NATO è infatti, per conto suo come istituzione, un committente economico di un certo rilievo. Tutta l'attività della NATO in questa direzione è circonda ta dal segreto. Ma sfogliando il suo bollettino mensile — Notizie NATO — non è raro imbattersi in notizie co
me questa: « il consiglio
atlantico ha approvato la decisione — presa dalla conferenza NATO dei direttori nazionali degli armamenti — di istituire un gruppo consultivo industriale NATO. Oltre a svolgere funzioni consultive nei riguardi della conferenza degli armamenti, il nuovo organismo costituirà la sede idonea per la presentazione di problemi importanti a elementi rappresentativi delle industrie della NATO, nonchè per l'esame delle politiche e dei metodi NATO in fatto di studio, di ricerca e di produzione, entro i limiti in cui tali aspetti interessano l'industria ». Ricucendo molte di queste notizie si può ricavare un quadro molto preciso in cui si vede emergere un fenomeno assai significativo: le commesse NATO all'industria europea non riguardano mai i prodotti completi dalla progettazione alla produzione finita. Tutto avviene sulla base del[...]

[...]iche e dei metodi NATO in fatto di studio, di ricerca e di produzione, entro i limiti in cui tali aspetti interessano l'industria ». Ricucendo molte di queste notizie si può ricavare un quadro molto preciso in cui si vede emergere un fenomeno assai significativo: le commesse NATO all'industria europea non riguardano mai i prodotti completi dalla progettazione alla produzione finita. Tutto avviene sulla base della ricerca statunitense, lasciando agli europei il ruolo di « terminali » di un centro creativo e di direzione collocato oltre Atlantico.
Il condizionamento industriale e sulle prospettive di sviluppo economico di questa linea, è evidente. Da un lato si riducono i margini di scelta degli orientamenti produttivi e di ricerca dell'Europa, dall'altro lato se ne condiziona la vita, e quindi si determina un forte lobby industriale europeo legato visceralmente alla NATO.
Ma vi è un altro aspetto da vedere. Sempre dal bollettino della NATO risulta che vi è uno staff internazionale di pianificazione militare. Non è del tutto bizzarro che, con i grandi discorsi sulla sovranazionalità, l'unico terreno in cui essa operi effettivamente è quello militare. Il primo piano pluriennale di produzione bellica della NATO arriva al 1972, prescindendo già quindi da ogni possibile recessione di qu[...]

[...]a sovranazionalità, l'unico terreno in cui essa operi effettivamente è quello militare. Il primo piano pluriennale di produzione bellica della NATO arriva al 1972, prescindendo già quindi da ogni possibile recessione di questo o quello alleato a partire dal 1969.
In altri termini la NATO è diventata un enorme apparato economico, militare, politico che invade la vita di ogni paese alleato fin nei suoi aspetti più interni.
Cade qui il discorso sugli « accordi segreti » e bilaterali che ogni paese alleato ha firmato con gli USA. La Francia, uscendo dal comando militare integrato, ha sollevato un velo — ancora modesto e incompleto — sulla natura di questi accordi e sullo stretto rapporto esistente tra lo atlantismo e la democrazia interna di ogni paese alleato. Il colpo di Stato in Grecia ha sollevato un velo più consistente e ci ha fatto comprendere da un lato, e ancora una volta, la netta subordinazione della NATO agli interessi statunitensi, e dall'altro la
to la sua presenza effettiva
e per molti versi ricattatoria
e condizionante su tutta la vita interna dei paesi della Europa occidentale. Su questo stesso settimanale si scriveva alcune settimane orsono: « Si tratta die vedere (per ogni paese alleato) quale potente gruppo di potere — forse dell'apparato militare, civile e poliziesco dello Stato — sia venuto consolidandosi intorno alla NATO con una sua autonomia di manovra e di iniziativa, e con una tensione di punta nel fare emergere, oramai periodicamente, pericoli autoritari »
Ma a questa domanda b[...]

[...]sto stesso settimanale si scriveva alcune settimane orsono: « Si tratta die vedere (per ogni paese alleato) quale potente gruppo di potere — forse dell'apparato militare, civile e poliziesco dello Stato — sia venuto consolidandosi intorno alla NATO con una sua autonomia di manovra e di iniziativa, e con una tensione di punta nel fare emergere, oramai periodicamente, pericoli autoritari »
Ma a questa domanda bisogna aggiungerne altre riguardanti gli strumenti specifici di cui la NATO dispone per quegli interventi_ Da un lato il tipo di struttura dato agli eserciti degli alleati, dall'altro lato i servizi segreti, e dall'altro ancora i servizi di « difesa civile ». In un recente numero di Notizie NATO (febbraio 1969) vi è un articolo non firmato, dal titolo « L'importanza della difesa civile », in cui si accenna a una vera e propria struttura (« Comitato superiore dei piani di emergenza nel settore civile») messa in pied: fin dal 1955,
e dipendente direttamente dal Comando militare integrato. Il Comitato si articola in una serie di sezioni: controllo, servizio di capiisolati, salvataggio e pronto soccorso, telecomunicazioni, polizia (« Le forze di polizit de[...]

[...]lavori pratici ». Lo scopo della difesa civile è ambiguo, perchè abbiamo già visto, all'inizio, come nel concetto di aggressione esterna rientri anche la « sovversione interna », ossia la lotta politica e sociale. Ed è in questa luce che colpisce un'affermazione neanche apparentemente innocua: « Un gabinetto di guerra dovrà probabilmente venir costituito, perchè potrebbe verificarsi la impossibilità che i Parlamenti si riuniscano per occuparsi degli affari della nazione come usano fare in tempo di pace. E' particolarmente importante provvedere affinchè tutti i posti importanti siano provvisti del personale necessario: un gruppo di lavoro della NATO sta studiando con attenzione questo vitale aspetto dei piani di emergenza ».
INVESTIMENTI AMERICANI IN EUROPA (tnmato,i a dollari)
o
1946 1950


1957 1960
8
ó
11163
o
N
co
1966
o o)
1967
p. 18 Rinascita n. 19 maggio 1969 Dossier NATO
Crisi politica
delPAlleaiiza
La crisi di Cuba e l'aggressione al Vietnam fanno precipitare le tensioni all'interno dell'Alleanza. Quali [...]

[...]eramento dei blocchi è l'unica prospettiva di sviluppo autonomo dell'Italia e dell'Europa
Non può stupire, alla luce di quanto siamo sinora venuti esponendo, che la NATO sia stata colpita da una profonda crisi politica. Le sue cause sono varie. La sua vecchiaia in una situazione mondiale assai diversa, che ha visto scomparire la credibilità di un immaginario pericolo di un'aggressione sovietica all'occidente, che fu uno dei punti di saldatura degli interessi americani e di quelli delle classi dominanti europee. La pesantezza dei suo meccanismo, l'aumento e non la diminuzione dei rischi per i paesi alleati degli Stati Uniti nella tnrhinosa vipenria internazionale di questi ultimi anni. Ma la sua radice principale è nella subalternità
e diseguaglianza in cui si
è trovata l'Europa rispetto agli Stati Uniti. L'urto e il uu.seaiso sono divenuti nnevitabili nel momento in cui la politica di Washington, lungi dall'esercitare una mediazione in nome degli interessi di tutto l'occidente capitalistico, si è rivelata pienamente come corrispondente a specifiche scelte dell'imperialismo USA, cercando di coinvolgervi l'Europa. La crisi di Cuba nel 1962, e soprattutto l'aggressione al Vietnam, furono i campanelli d'allarme di una situazione che era venuta già incancrenendosi fin dai primi anni di vita dell'Alleanza.
Gli interessi degli Stati Uniti coincidono sempre con quelli dei loro alleati europei? questo l'interrogativo che ha cominciato a dilagare in Europa, anche in settori non trascurabili della borghesia europea... Di qui una serie di spinte di varia natura e anche di segno opposto. Il ripiegamento nazionale gollista, espressione di un insorgente conflitto interirnperialista, oltre che di una diver nte veduta sui problemi mondiali, ha costituito la spinta principale. Ma a essa se ne sono aggiunte altre, per esempio nella destra della Germania occidentale, determinate dal risentimento e dalla paura che gli impegni gl[...]

[...] in settori non trascurabili della borghesia europea... Di qui una serie di spinte di varia natura e anche di segno opposto. Il ripiegamento nazionale gollista, espressione di un insorgente conflitto interirnperialista, oltre che di una diver nte veduta sui problemi mondiali, ha costituito la spinta principale. Ma a essa se ne sono aggiunte altre, per esempio nella destra della Germania occidentale, determinate dal risentimento e dalla paura che gli impegni globali degli USA comportino un « disimpegno » americano in Europa, che metterebbe in crisi il revanchismo.
Riflussi nazionalisti, esigenze di autonomia nazionale, spinte economiche oggettive, spunti revanchisti, preoccupazioni reazionarie si sono confusi insieme scuotendo le strutture politiche (me
no quelle militari) della NATO. Neanche gli avvenimen
ti cecoslovacchi — che pure
hanno avuto un peso nel « rilanciare » gli impegni milita
ri e far passare antiche ri
chieste degli Stati Uniti agli alleati europei — hanno potuto attenuare la portata di questa crisi nè sminuire le esigenze di una « modifica »
o « riforma » della NATO. Non vi è dubbio, in questo senso, che anche gli Stati Uniti av vertono la necessità di una revisione profonda dei rapporti euroamericani, la cui crisi può portare alla lunga anche a una separazione. La pubblicistica americana è assai ricca di spunti in questa direzione, con una sovrabbondanza di materiali, di studi, di progetti, di proposte che farebbero pensare a una svolta politca. In realtà ci sono elementi nuovi e diversi. Dopo il duro colpo ricevuto in Asia col Vietnam, gli Stati Uniti stanno riconsiderando l'importanza delle « retrovie europee », perche avvertono gli elementi di turbamento insorti e quindi una conseguente debolezza. Ma qual è la direzione in cui si muovono? e con quali obiettivi?
In tutta una prima fase del dibattito atlantico tra gli alleati, gli Stati Uniti considerarono ogni attacco al Patto Atlantico come un vero e proprio attacco ai loro interessi in cui identificavano tutto il mondo occidentale. La risposta alla crisi politica fu una risposta essenzialmente militare, fatta dell'aumento degli stanziamenti bellici, della crescita delle divisioni, della pro
Nella cartina sono indicati i probabili effetti di un bombardamento effettuato sull'Italia con un « lancio minimo » di bombe nucleari — da 25 a 30 ordigni — indirizzate sui principali obiettivi militari (cioè sulle basi aeree e navali della NATO e degli Stati Uniti nel nostro paese). Gli effetti illustrati sono quelli — ripetiamo — di un « lancio liferazione dei comandi. Questo aspetto non si è oggi attenuato, anzi in una certa misura appare rinvigorito. Quel che si delinea parallelamente
invece un nuovo discorso politico sulle funzioni della Alleanza.
I precedenti della storia non sono certo confortanti. Tutte le proposte e gli accorgimenti che gli europei hanno avanzato e adottato in questi venti anni, per avere un maggiore « peso » nell'Alleanza sono miseramente falliti. Dai « tre saggi » del 1956 al piano Duynster, dalla proposta del direttorio « a tre » avanzata da De Gaulle al piano Harmel, una per una le proposte sono cadute di fronte all'intoccabilità dei dominio statunitense. Nel già citato saggio di Luisa Calogero La Malfa si conviene, con una punta di amarezza, sulla « scarsa disposizione degli USA a cedere parte della loro leadership non solo strategica . ma anche politica in seno alla NATO e quindi a capire quale sia il ruol[...]

[...]no avanzato e adottato in questi venti anni, per avere un maggiore « peso » nell'Alleanza sono miseramente falliti. Dai « tre saggi » del 1956 al piano Duynster, dalla proposta del direttorio « a tre » avanzata da De Gaulle al piano Harmel, una per una le proposte sono cadute di fronte all'intoccabilità dei dominio statunitense. Nel già citato saggio di Luisa Calogero La Malfa si conviene, con una punta di amarezza, sulla « scarsa disposizione degli USA a cedere parte della loro leadership non solo strategica . ma anche politica in seno alla NATO e quindi a capire quale sia il ruolo dell'Europa nell'Alleanza atlantica ». Le stesse controproposte americane, di cui rimane emblematico il grande disegno kennediano di una
minimo », il quale sarebbe tuttavia largamente sufficiente a distruggere almeno i tre quarti dell'Italia. I cerchi indicano le zone di effetto diretto delle bombe (termico, meccanico, radioattivo); il quadro nero la zona di espansione dell'effetto radioattivo intenso a seguito dell'esplosione
Atlantic partnership, hanno qu[...]

[...]I cerchi indicano le zone di effetto diretto delle bombe (termico, meccanico, radioattivo); il quadro nero la zona di espansione dell'effetto radioattivo intenso a seguito dell'esplosione
Atlantic partnership, hanno questo segno, chiamando semmai l'Europa occidentale a una integrazione più profonda nel terreno politico e economico.
Adesso, si dice, il quadro sarebbe cambiato molto e vi sarebbe un ripensamento profondo verso l'Europa da parte degli USA. E' vero? E se è vero, in che cosa consiste il mutamento? Nelle diverse varianti che appaiono in tutti coloro che hanno aperto questo discorso — da Alastair Buchan a Henry Kissinger — tre sono gli elementi che appaiono in maggiore evidenza: 1) gli Stati Uniti potrebbero essere anche disposti a rive dere il meccanismo interno dell'Alleanza, pronti a fare « realistiche » concessioni agli alleati europei, a condizione che non venga meno il loro sostanziale predominio sugli affari europei; 2) il blocco della NATO dovrebbe essere rinsaldato in funzione di un dialogo bipolare — Stati Uniti e URSS — su tutti gli affari mondiali; 3) l'Europa occidentale dovrebbe partecipare più attivamente alla politica repressiva degli Stati Uniti in tutte le altre aree del mondo.
Ciò che in realtà si vuole non è un'autonomia dell'Europa occidentale, ma una sua diretta corresponsabilizzazione alla politica mondiale de gli USA. Nelle sue diverse sfumature, questa è la linea che emerge. Citiamo testualmente da uno dei testi più significativi di questi ultimi tempi espressi da un autorevole artefice della politica estera americana. Il punto da cui si parte è il seguente: « La collaborazione con l'Europa rimane un elemento centrale, una premessa della nostra po litica estera, perché i rapporti euroamericani sono interdipendenti. La logica implacabile del potere di dissuasione nucleare costituisce una delle dimensioni di questa interdipendenza. La progressiva integrazione delle economie, la altra ». La crisi che st[...]

[...]uroamericani sono interdipendenti. La logica implacabile del potere di dissuasione nucleare costituisce una delle dimensioni di questa interdipendenza. La progressiva integrazione delle economie, la altra ». La crisi che sta colpendo le relazioni euroamericane, non si risolve con «un ritiro generale americano, ma con un più rapido serrare le file da parte dei nostri alleati, per associarsi a noi nei vitali compiti del mantenimento della pace e degli aiuti nelle zone più importanti ai fini del progresso mondiale ».
E' su questa base che l'Alleanza va modernizzata e adeguata, nella visione americana, ai problemi del nostro tempo. Si comprende chiaramente, così, come la stessa richiesta di una partnership assuma oggi un significato non di un condizionamento degli USA, ma di una partecipazione volontaria alla loro politica imperialista nel mondo. Per usare le parole di Riccardo Lombardi: « La soluzione vagheggiata della trasformazione dell'Alleanza in partnership (addirittura con poteri sovranazionali come ha detto piacevolmente Nenni in sede di direzione del partito) è una non pia illusione data la sproporzione addirittura mostruosa delle forze, e tra l'altro raggiungerebbe il risultato opposto a quello proclamato: ribadirebbe, rendendola ferrea, la solidarietà degli alleati europei con la politica mondiale della potenza egemone e trasformerebbe la so[...]

[...]imperialista nel mondo. Per usare le parole di Riccardo Lombardi: « La soluzione vagheggiata della trasformazione dell'Alleanza in partnership (addirittura con poteri sovranazionali come ha detto piacevolmente Nenni in sede di direzione del partito) è una non pia illusione data la sproporzione addirittura mostruosa delle forze, e tra l'altro raggiungerebbe il risultato opposto a quello proclamato: ribadirebbe, rendendola ferrea, la solidarietà degli alleati europei con la politica mondiale della potenza egemone e trasformerebbe la solidarietà in connivenza D.
Appare del resto evidente che gli Stati Uniti non possono rinunciare volontariamente alla difesa dei loro oramai vasti interessi economici e finanziari nel continente europeo. Per cui sono pronti a discutere i modi con cui la loro tutela si esercita e que sto naturalmente nel caso migliore, ma non certo un'alternativa a essa. Gli USA hanno ancora bisogno della NATO qualunque forma possa assumere, poichè in essa è lo strumento « di controllo e di unità », di condizionamento di ogni istanza realmente autonoma e di ogni forza centrifuga, ed è anche la « garanzia » di conservazione del sistema capitalistico nell'Europa occidentale. Da qualunque parte si guardi al problema, questo è il risultato. Perchè tutta la strategia mondiale americana è ancora fondata sulla politica dei blocchi, sull'equilibrio delle forze militari o del terrore e sulla visione bipolare, diarchica della condotta degli affari mondiali. La stessa accet[...]

[...]e di unità », di condizionamento di ogni istanza realmente autonoma e di ogni forza centrifuga, ed è anche la « garanzia » di conservazione del sistema capitalistico nell'Europa occidentale. Da qualunque parte si guardi al problema, questo è il risultato. Perchè tutta la strategia mondiale americana è ancora fondata sulla politica dei blocchi, sull'equilibrio delle forze militari o del terrore e sulla visione bipolare, diarchica della condotta degli affari mondiali. La stessa accettazione della « distensione » in Europa si fonda su questi rigidi presupposti. Da essi la NATO appare per molti versi esaltata, come un fattore pregiudiziale all'attuazione di quella politica. La « fedeltà attraverso le mutazioni », l'ordine statico fondato sulla egemonia americana, « distensiva » o no divenga l'azione della NATO, sono due connotati intrinseci alla sua natura, alle sue funzioni, alle sue origini. Perciò ogni riammodernamento o revisione che non metta in discussione la realtà dei rapporti USAEuropa, ogni atto politico che rimanga i
alla logica [...]

[...] revisione che non metta in discussione la realtà dei rapporti USAEuropa, ogni atto politico che rimanga i
alla logica del blocchi imposta dall'imperialismo americano, è destinato a restare lettera morta, pura velleità, e a consacrare quello strapotere americano in Europa che nella NATO ha trovato la sua istituzionalizzazione e le vie del suo progressivo consolidamento.
Non esistono una Alleanza atlantica o una NATO pulite, fatte di eguali tra gli eguali. In quest'ambito e con quella politica non vi è spazio per la sovranità, l'autonomia nazionale; non vi è spazio per l'Europa; non vi è spazio per il pieno dispiegamento della libertà e della democrazia, fondate sulla libera dialettica delle classi e delle forze politiche, all'interno dei paesi alleatisubalterni degli USA.
;10
1;1
CO)
05141
ChE



da Rutilio Cateni, Quella volta che venne il Federale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE
Venne la sera, con le stelle e ogni cosa. La Pavana era alla sua
finestra a prendere frescura.
Disse Libertario: « Non vorrei andare ».
Ma la Pavana andò alla credenza, apri un cassetto. Prese il fez
nero e glielo mise in testa senza guardarlo.
« Vai — gli disse. Per la nostra casa, per il nostro campo... ».
Libertario, così vestito di nero, si sentiva pesare. E sentiva di recare offesa alla casa e alla Pavana che non osava di guardarlo.
« Non bere », disse lei sottovoce.
Libertario apri lentamente la porta e usci sulle scale. Era stanco. Una stanchezza fatta di noia. Gli occhi infossati, la barba nera di quattro giorni. Senti la voce della Pavana che diceva: «Buonanotte. Non ti posso accendere la lampada sulle scale. È fulminata ». Una voce che sapeva di nebbia. « Quanto siamo stanchi io e lei! », disse piano Libertario e pensò a tante cose e anche alla cena silenziosa che avevano consumata. Una di qua e uno di lá dalla tavola. Il rumore improvviso del pane fresco che si troncava, dell'acqua che scendeva nei bicchieri. Lei che metteva la minestra nel piatto. Il fumo odoroso della minestra e lei che troncava il pane. Lei che empiva i bicchieri. E, infine, il g[...]

[...]cchieri. Lei che metteva la minestra nel piatto. Il fumo odoroso della minestra e lei che troncava il pane. Lei che empiva i bicchieri. E, infine, il gatto che miagolava solitario. E anche la casa era stanca.
Sul pianerottolo del primo piano, c'era il vecchio. Il vecchio detto Giolitti, per i baffoni bianchi che aveva.
« Giolitti disse Libertario — date un'occhiata alla mia donna,
lassù. Io e lei siamo molto stanchi e io devo uscire ».
« Per gli ascari! — disse Giolitti — sei più nero del nero ».
È buio qui », fece.
«k la divisa », disse il vecchio.
« Ah! Questa qui... ».
« Ai miei tempi non si portava », disse Giolitti.
« Anche a me dá noia ».
« Fa sudare — disse Giolitti. — È una camicia di forza ».
« È puzzolente! », disse forte Libertario.
Giolitti mise il naso vicino alla sahariana.
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 105
« E vero. Puzza ».
Libertario cominciò a scendere le scale. Tuttavia disse ancora al
vecchio: «Puzza di cane bastardo! ».
E il vecchio dall'alto gli gridò: « Puzza di canaglia! ».
« Ma io la devo p[...]

[...]il vecchio.
« Ah! Questa qui... ».
« Ai miei tempi non si portava », disse Giolitti.
« Anche a me dá noia ».
« Fa sudare — disse Giolitti. — È una camicia di forza ».
« È puzzolente! », disse forte Libertario.
Giolitti mise il naso vicino alla sahariana.
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 105
« E vero. Puzza ».
Libertario cominciò a scendere le scale. Tuttavia disse ancora al
vecchio: «Puzza di cane bastardo! ».
E il vecchio dall'alto gli gridò: « Puzza di canaglia! ».
« Ma io la devo portare — disse Libertario — io ho una casa e
un campo... ».
«Non importa. Ma sei italiano? Sei per l'Italia? ».
Libertario era al pianterreno e disse nella tromba delle scale: « Io
sono per la mia casa, per il mio campo e per la mia donna ».
E il vecchio disse: « E codesta non è l'Italia? che cosa credi che sia l'Italia? Io ho girato un po' il mondo, ho visto tutto così: una casa, un orto... ».
Poi Libertario fini di scendere l'ultimo gradino e non senti piú nulla, ma la voce tremante del vecchio Giolitti rimbombava ancora nella tromba delle scale. Diceva che l'I[...]

[...]olta gente era chiusa dentro le case. Non sapeva niente della visita del federale. E lui, invece, doveva andare perché sapeva che il federale sarebbe venuto e avrebbe fatto una lunga predica.con la voce arrabbiata. Eppure, adesso, non pareva possibile che dentro alla casa del fascio, in mezzo a questa quiete, ci fosse uno che potesse rompere questa quiete con la voce da cane, potesse rompere il beato silenzio della campagna oscurata. Arroventare gli animi. Eccitare gli animi per qualcosa d'indefinito come la conquista di un'Abissinia lantana da casa nostra. Fatta in un'altra maniera da come é fatta la nostra terra. Con gli uomini che hanno un altro colore e vedono un cielo diverso con un sole diverso. E mangiano formiche e ragni e scorpioni.
Un gatto, sopra un cornicione, miagolava ai sette venti.
« Non si sa perché piange quello II. Non si sa se piange per l'amo rosa o per questa serata tranquilla o per la fame che ha in corpo. Ma certo non piange per la venuta del federale. Non sa niente di queste cose. Sta in cima al cornicione, e dei dolori e delle pene degli uomini se ne frega. Che gli importa se uno ha un campo e rischia di perderlo? E se poi uno' ha una donna che gli hanno disonorato? E se poi uno ha le corna? E se poi uno deve vestirsi di nero e andare al fascio a fare il saluto romano? E se poi uno va in un posto dove non vuole andare? A lui che gli importa? Lui aspetta l'amorosa. Aspetta che la serata venga diversa, con un po' di rumore, con un po' di vento, con un po' di luna tappata. Aspetta che un pezzo di pane gli entri nello stomaco e lo sazi di tanta fame arretrata. E dopo, tutto finisce. Viene giù dal cornicione e cammina sulle quattro zampe. E va in un cortile dove non ci sia a far guardia un cane ringhioso. Si sdraia ai piedi di un pagliaio e dorme la sua nottata senza timore e rancore. Che gli importa, dunque, di tante cose a quel gatto che sta in cima al cornicione? Che gli importa di me, della Pavana, del nostro
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 107
campo, della nostra casa da poveri, di Mangione che é entrato in que
sta casa col frustino e mi ha incoronato? ».
Senti un vocio confuso. Era davanti alla casa del fascio. Li fuori
c'erano: Quattro Tèmpora (poeta ufficiale); Bucaneve (ruffiano); Man
gione (segretario politico). E c'erano gli altri. Discutevano, ad alta voce,
sulla stagione e sui raffreddori estivi.
Il primo ad accorgersi di lui fu Bucaneve.
« Buona sera camerata — disse — non si salutano gli amici? ».
«« Sono stanco », disse Libertario.
Mangione intervenne. Prese subito le sue difese.
« Ha ragione. Lavora più di tutti noi. Va a fare il bracciante e
lavora il suo campo. Non ha un minuto di riposo, poveretto ».
Ci sarebbe la notte, — disse Bucaneve ma la notte l'amico
non si riposa ».
Quattro Tèmpora tirò fuori la sua parola di poeta.
« FA l'orgia — disse — l'orgia notturna ».
Bucaneve ridacchiò e osservò che l'orgia è la virtù dei grandi e
degli eletti. Sulla storia romana c'è un'orgia dietro l'altra.
Libertario non sentiva. Aveva gli occhi addosso a Mangione. Sen
tiv[...]

[...]stanco », disse Libertario.
Mangione intervenne. Prese subito le sue difese.
« Ha ragione. Lavora più di tutti noi. Va a fare il bracciante e
lavora il suo campo. Non ha un minuto di riposo, poveretto ».
Ci sarebbe la notte, — disse Bucaneve ma la notte l'amico
non si riposa ».
Quattro Tèmpora tirò fuori la sua parola di poeta.
« FA l'orgia — disse — l'orgia notturna ».
Bucaneve ridacchiò e osservò che l'orgia è la virtù dei grandi e
degli eletti. Sulla storia romana c'è un'orgia dietro l'altra.
Libertario non sentiva. Aveva gli occhi addosso a Mangione. Sen
tiva il cuore battere forte e il sangue correva su e giù per le vene.
Una cosa che faceva impressione. Mangione se ne accorse e cercò di
non guardarlo, ma Libertario insisteva. Lo seguiva da ogni parte. An
che dietro l'albicocco. Anche dietro il muro di cinta. Allora, Man
gione si fece coraggio e gli si avvicinò. Gli parlò con voce calma,
suasiva. Da angelo custode.
« Tu l'hai con me! » disse Mangione. Libertario non rispose.
« Fu uno scherzo — disse Mangione — uno scherzo e nulla più,
te lo posso giurare. Tua moglie non l'ho neppure toccata ».
« Gli hai anche sputato addosso! » disse Libertario. II fiato alla gola
lo strozzava.
Mangione avrebbe avuto piacere che questa frase non fosse stata
detta ad alta voce. Così. Di fronte agli altri. Ma tant'è. Bisognava ri
mediare.
« Queste donne che inventiva! — disse — La Pavana mi dette un
bicchiere d'aceto e io sputai fuori dalla finestra ».
« Io ho del vino buono », fece l'altro.
« Tua moglie sbagliò il fiasco ».
« Maiale! » disse Libertario.
Mangione gironzolò. Fece finta di nulla. Scambiò quattro chiacchie
108 RUTILIO CATENI
re con un tale che si chiamava Lentini. Libertario stava per andargli sul muso ma la pancia enorme di Quattro Tèmpora si interpose.
«Conosci Achille? — disse Quattro Tèmpora — Achille era protetto dagli dèi ».
« È un maiale. Ha rovinato la mia famiglia! ».
« Dalle rovine nasce la santità — disse Quattro Tèmpora. — Rassegnati. Coraggio ».
Bucaneve ridacchiava in un crocchio a parte e non scopri nulla di queste manovre. Stava spiegando dei misteri osceni sulla Sacra Famiglia. D'un tratto si senti il rombo violento di un motore. Era una motocicletta. Si fermò proprio li, davanti alla casa del fascio. Il fanale acceso illuminava un pezzo di strada. Mangione si avvicinò subito e domandò al conducente se c'era niente in vista. Intanto, Bucaneve, infilò una sequela di moccoli perché il motore non smetteva di rombare. Allora il conducente spense il motore, si allargò la giubba di pelle e disse di tenersi pronti: la macchina del federale aveva lasciato la strada cilindrata e stava dirigendosi verso il paese a velocità moderata. Tutti zittirono. Allora Mangione disse:
[...]

[...]un pezzo di strada. Mangione si avvicinò subito e domandò al conducente se c'era niente in vista. Intanto, Bucaneve, infilò una sequela di moccoli perché il motore non smetteva di rombare. Allora il conducente spense il motore, si allargò la giubba di pelle e disse di tenersi pronti: la macchina del federale aveva lasciato la strada cilindrata e stava dirigendosi verso il paese a velocità moderata. Tutti zittirono. Allora Mangione disse:
« Il gagliardetto. Presto! Fate presto! » Bucaneve si mosse come un fulmine e andò a prendere il gagliardetto. Tornò quasi subito.
« La bandiera! » urlò Mangione.
Bucaneve consegnò il gagliardetto a un tale e corse a prendere anche la bandiera.
La motocicletta si allontanò rombando.
Disse Quattro Tèmpora: «Peccato che il federale non abbia voluto una bella adunata coi fiocchi! La serata è bella. Avremmo fatto una bellissima figura ».
Mangione disse che bastavano loro. La crema del paese. Allora, Quattro Tèmpora, squadrò bene tutte le teste intervenute e si considerò capo spirituale di quella claque.
Intanto si misero in fila indiana e aspettarono impazienti l'arriva del federale. Le sigarette bruciavano l'aria. Quattro Tèmpora si mise accanto a Libertario perché non commette[...]

[...] paragone », disse quell'altro.
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 109
Finalmente stava arrivando l'automobile. Era una vecchia « Ba
lilla ». A prima vista sembrava che reggesse l'anima coi denti.
« Eccola! — disse Mangione — state pronti! ».
Difatti l'automobile svoltò e inforcò direttamente la via del paese. Pareva che lasciasse una scia di fumo. Invece era polvere sollevata
dall'impeto della corsa. Quando i fanali scoprirono, lungo il ciglio della strada, la fila indiana dei fascisti, l'auto rallentò, e frenò proprio all'imbocco dell'ingresso alla casa del fascia. L'auto dondolò un poco sulle vecchie molle arrugginite, poi corse subito Mangione. Aprì lo sportello. Gridò: « A...ttenti! ».
I piedi batterono in terra e spolverarono.
« Per il signor federale, eia! eia! ».
E il coro compatto: «Alalà! ».
Il signor federale scese comodamente dall'auto. Si irrigidì sull'attenti e salutò romanamente (forse rise con un labbro). Poi volle dare lui stesso il riposo e la fila si sciolse con precauzione. Il federale si rivolse all'autista[...]

[...]amente dall'auto. Si irrigidì sull'attenti e salutò romanamente (forse rise con un labbro). Poi volle dare lui stesso il riposo e la fila si sciolse con precauzione. Il federale si rivolse all'autista: « Beniamino, vai a bere qualcosa alla bottega. Fra un'ora partiamo ».
« Come! — disse Mangione. — Non rimanete a casa mia a pren dere un boccone? ». Il federale disse di no con la testa.
« Questa é la sede — disse allora Mangione — e questi sono gli uomini. Fidati. Fidatissimi ».
« Vedo », disse il federale. E difatti guardò casa e uomini. Entrarono. Lo stanzone era pulitissimo. Pavesato di bandiere tricolori. Il tavolino era ricoperto di un panno nero. Sul davanti aveva un bel fascio dorato che spiccava alla luce della lampada. Sopra al tavolino, una bottiglia con l'acqua e il bicchiere. Il federale andò in cima alla stanza e si siedé comodamente dietro al tavolino. Accanto a lui c'era Mangione. Alle parti: Bucaneve, Quattro Témpora e qualche altro.
Il federale era un uomo massiccio. Alto. Impettito. Con un berretto a visiera che gli tappava i sopraccigli folti e la testa calva e schiacciata. Chiacchierò un po', sottovoce, con Mangione guardando davanti a sé. Poi, con un sospiro, si alzò dalla sedia appoggiando le mani al tavolino.
Bucaneve subito gridò: « A...ttenti! ». La sua voce fu molto spettacolare. Tutti si irrigidirono. Allora parlò Mangione: «La parola al camerata Tarquinio Andò, nostro amatissimo federale ». Scoppiò un uragano di applausi. Erano cinquanta e parevano mille. La stanza rimbombava furiosamente. Bucaneve si avvicinò a Mangione. Gli disse:
110 RUTILIO CATENI
« Il rimbombo! » e Mangione alzò gli occhi al cielo e in cuor [...]

[...]', sottovoce, con Mangione guardando davanti a sé. Poi, con un sospiro, si alzò dalla sedia appoggiando le mani al tavolino.
Bucaneve subito gridò: « A...ttenti! ». La sua voce fu molto spettacolare. Tutti si irrigidirono. Allora parlò Mangione: «La parola al camerata Tarquinio Andò, nostro amatissimo federale ». Scoppiò un uragano di applausi. Erano cinquanta e parevano mille. La stanza rimbombava furiosamente. Bucaneve si avvicinò a Mangione. Gli disse:
110 RUTILIO CATENI
« Il rimbombo! » e Mangione alzò gli occhi al cielo e in cuor suo schiacciò un moccolo grosso come una casa. Non c'era niente da fare. I1 rimbombo c'era e ci stava. Quando si fu schiarita la gola, il federale, fece la sua predica. Cominciò a parlare con un tono piuttosto calmo e sottomesso. Allora Bucaneve disse a Quattro Tèmpora: «Va bene. Su questo tono va bene ». E l'altro disse: «Se parli per il timbro di voce, ti avverto che il bello ha da venire. Quando si fa una predica ci vuole il suo periodo di combinazione, di riscaldamento. Se invece vuoi riferirti al fatto che Tarquinio è un meridionale spaccato... ».
Ma il federale[...]

[...]cato... ».
Ma il federale esigeva, giustamente, che tutti ascoltassero quello che diceva, cosicché tutti ascoltarono. Compresi Bucaneve e Quattro Tèmpora.
« Non vi farò un discorso — disse il federale. — Vi illuminerò un poco sulla situazione politica attuale. Guerra d'Africa. Santissima guerra d'Africa. Eppoi sono tra voi per un'altra faccenda. Una faccenda che vi fa disonore... ». Mangione allibì. Dette un'occhiata di traverso a Bucaneve che gliela restituì pari pari. Pensava: « Chi può essere stato ad avvertire il federale? A chi ha potuto interessare quella benedetta storia di corna? ». Aspettò il resto del discorso e allora si rinfrancò. I1 federale diceva: «Infatti: quanti volontari ci sono in questo paese? Quanti fascisti di questa sezione sono andati a combattere in terra d'Africa? ». Mangione era come estasiato.
« Dico a voi, segretario politico! » urlò il federale.
« Nessuno » disse allora Mangione con un gentile soffio di voce.
Il federale, di fronte a questa laconica risposta, s'incattivì. Gli occhi gli diventarono giall[...]

[...]nedetta storia di corna? ». Aspettò il resto del discorso e allora si rinfrancò. I1 federale diceva: «Infatti: quanti volontari ci sono in questo paese? Quanti fascisti di questa sezione sono andati a combattere in terra d'Africa? ». Mangione era come estasiato.
« Dico a voi, segretario politico! » urlò il federale.
« Nessuno » disse allora Mangione con un gentile soffio di voce.
Il federale, di fronte a questa laconica risposta, s'incattivì. Gli occhi gli diventarono gialli come tuorli d'uovo. Era la bile che faceva il suo corso. « Mi fate schifo tutti quanti! — disse. — Siete una massa di smidollati! ».
La stanza rimbombava. « Siete una massa di somari! ».
Mangione si fece piccino piccino: « Anche qui c'è da lavorare.. Siamo gente operosa ».
« Gente inutile! » gridò il federale. — Gente che si sta a grattare
i coglioni dalla mattina alla sera. Che cosa ci fate qui, tappati in questo paese? In questo paese puzzolente? Bisogna andare dove la Patria chiama ».
« Ci andremo » disse Mangione per consolarlo.
« Alzi una mano chi vuol partire! ». Ma nessuno alzò una mano. « Fiato sprecato! » disse il federale sudando.
QUELLA VOLTA CHE VENNE 1L FEDERALE 111
« Parlate più piano, federale. La gente si impaurisce... » azzardò Bucaneve.
Il federale cominciò a parlare più calmo per via del sudore. Parlò di un sacco di cose. Poi si mise a sedere e tornò calmo.
Disse: « Se c'è qualcuno che vuol fare qualche domanda[...]

[...]
Disse: « Se c'è qualcuno che vuol fare qualche domanda... Dico: c'è qualcuno che vorrebbe sapere qualcosa sulla situazione attuale del mondo? ».
« Vorrei fare una domanda sulla giustizia» disse Libertario.
« Vieni avanti camerata — disse il federale. — E una domanda originale e interessante ». Libertario andò li, davanti al federale. Fece il saluto romano. «Riposo! » disse l'altro. E lui rimase sull'attenti e fissò intensamente e senza paura gli occhi di Mansione. Tutti capirono il perché di quella domanda. Erano li. Incantati di vedere Libertario che aveva chiesto la parola, che si era staccato dal loro gruppo ed era distante quattro passi da loro. Già una barriera. Anche Quattro Tèmpora disse: «Però é coraggioso ». Ma Bucaneve si sentiva rodere dentro e Mangione tremava impercettibilmente, con la paura addosso che lo ghiacciava.
«Allora? » disse il federale, bonario.
« Ecco... » Non trovava le parole adatte. Si sentiva confuso. Eppure vedeva negli occhi di Mangione (ah! com'erano quegli occhi!) l'immagine piangente e indifesa del[...]

[...] Erano li. Incantati di vedere Libertario che aveva chiesto la parola, che si era staccato dal loro gruppo ed era distante quattro passi da loro. Già una barriera. Anche Quattro Tèmpora disse: «Però é coraggioso ». Ma Bucaneve si sentiva rodere dentro e Mangione tremava impercettibilmente, con la paura addosso che lo ghiacciava.
«Allora? » disse il federale, bonario.
« Ecco... » Non trovava le parole adatte. Si sentiva confuso. Eppure vedeva negli occhi di Mangione (ah! com'erano quegli occhi!) l'immagine piangente e indifesa della Pavana. La carne di lei. L'ombelico. Il pube... Tutti aspettavano con ansia che lui continuasse a parlare. E allora si fece forte e disse nel grande silenzio: « Signor federale, quanti anni di galera diamo a quel farabutto di Mangione? ».. Mangione si irrigidì, colpito da quell'offesa gridata e improvvisa. Il federale si alzò di scatto dalla sedia. Gli altri tacevano. Impalati come statue. Allora Quattro Tèmpora, con una calma studiata, si mosse dal posto. Si avvicinò al tavolino. Disse: « È un minorato » e si batté una mano, sulla fronte. Il federale stava quasi per cedere, ma la pancia di Quattro Tèmpora si muoveva. Urtò nel tavolino. La bottiglia cadde e versò l'acqua sui pantaloni del federale. Mangione disse: «Signor federale, questo è un nostro poeta. E un genio. Ha scritto una poesia su donna Rachele ».
Ma il federale urlò: « Lasciatelo parlare! ». E Quattro Témpora. si allontanò di nuovo con le mani pigiate sulla pancia.
Allora Libertario rimase ancora li. Fermo e muto. E tutto intorno era un sussurare soffocato. Un ronzio di mosche e di libellule_ Lo guardavano. Lo scrutavano. Lo ingoiavano con gli occhi per quella
112 RUTILIO CATENI
sua posizione di privilegio. Era il padrone assoluto della stanza. Ma proprio per questo si[...]

[...]'acqua sui pantaloni del federale. Mangione disse: «Signor federale, questo è un nostro poeta. E un genio. Ha scritto una poesia su donna Rachele ».
Ma il federale urlò: « Lasciatelo parlare! ». E Quattro Témpora. si allontanò di nuovo con le mani pigiate sulla pancia.
Allora Libertario rimase ancora li. Fermo e muto. E tutto intorno era un sussurare soffocato. Un ronzio di mosche e di libellule_ Lo guardavano. Lo scrutavano. Lo ingoiavano con gli occhi per quella
112 RUTILIO CATENI
sua posizione di privilegio. Era il padrone assoluto della stanza. Ma proprio per questo si senti come stringere l'anima in una morsa, come soffocare. Quel coraggio che aveva avuto si andava annebbiando. (E dopo? Dico: dopo cosa accadrà a me, alla casa, al campo, alla Pavana?). Eppure, nel briciolo di coraggio che gli rimase, legato proprio fra la gola e lo stomaco, disse ad alta voce (e la voce era troncata): « Federale. Mangione é entrato in casa mia. Ha preso con la forza la mia Pavana. E poi le ha sputato addosso ». Il federale aspettava queste parole. Ormai conosceva già da molto tempo Mangione e sapeva di lui vita e miracoli.
Disse: «Camerata, ci vogliono le prove! ». Il federale, chissà perché, sperava in cuor suo che le prove ci fossero. Quel Mangione ne stava combinando troppe. Ma Libertario era ormai troncato. Si guardò intorno, notò i quattro passi che lo distanziavano dagli altri ed ebbe le vertigini di quell'abisso. Si cercò le mani e se le strinse. Piagnucolò: « Federale io... sono cornuto! ».
« Ma le prove, le prove ci sono? » disse ancora il federale.
Non rispose. Non rispose piú. La testa gli girava per via di quella barriera oltrepassata. Allora, per la stanza, cominciò a girare la pancia di Quattro Témpora. Voluminosa. Potente. Entrava in mezzo ai fascisti. Strusciava le altre pance. Le cozzava. Le comandava come una regina. Ci fu una pausa. Una lunga pausa. Il federale aspettava. Dopo un pezzo, la voce di Quattro Témpora. Calma. Grave. Veniva di fondo alla stanza e" sembrava sprofondata in un pozzo.
« Potete giudicare voi stesso, federale. Interrogate. Domandate a questa gente... ».
Quattro Témpora, a questo punto, troncò il meraviglioso incantesimo della voce. Allargò le bra[...]

[...]attro Témpora. Voluminosa. Potente. Entrava in mezzo ai fascisti. Strusciava le altre pance. Le cozzava. Le comandava come una regina. Ci fu una pausa. Una lunga pausa. Il federale aspettava. Dopo un pezzo, la voce di Quattro Témpora. Calma. Grave. Veniva di fondo alla stanza e" sembrava sprofondata in un pozzo.
« Potete giudicare voi stesso, federale. Interrogate. Domandate a questa gente... ».
Quattro Témpora, a questo punto, troncò il meraviglioso incantesimo della voce. Allargò le braccia. Fece un lungo sospiro. Si fermò vicino a un finestrone. Guardò la notte al di là dei vetri. Una notte regale e taciturna.
« Camerata! — disse il federale. — Se non ci sono le prove... ». Si mosse dal tavolino. Andò accanto a Libertario e gli parlò paternamente. « Sei stanco figliolo... Hai la barba lunga. L'uniforme scomposta. Hai bisogno di riposo, di calma... ». Gli mise una mano sulla spalla. Gli disse: « Coraggio. Ci sono passato anch'io ». Come se lui avesse avuto le corna. Ma Libertario era già lontano coi pensieri. Già diviso da quella gente. Era dentro alla casa accanto alla Pavana. O nel campo a frullanare il fieno. Qualunque cosa dicessero, qualunque cosa facessero, non lo riguardava più. La vera vita da vivere, da accettare
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 113
come sofferenza vera, era un'altra. Al di lá di quelle mura. Subito al di lá. Dove c'erano la luna, la notte, le case del paese, i campi addormentati, i grilli canterini, le rane, i muggiti di vacche partorienti. Tut[...]

[...]ue cosa dicessero, qualunque cosa facessero, non lo riguardava più. La vera vita da vivere, da accettare
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 113
come sofferenza vera, era un'altra. Al di lá di quelle mura. Subito al di lá. Dove c'erano la luna, la notte, le case del paese, i campi addormentati, i grilli canterini, le rane, i muggiti di vacche partorienti. Tutte cose attaccate all'anima e alla carne.
Qualcuno lo prese per le spalle, dolcemente. Gli sussurravano parole e parole. Lo misero in un angolo e lo dimenticarono. Il federale riattaccò discorso con . gli altri. Un discorso feroce. Africa, Addis Abeba, Negus Neghesti. Ma poi la stanza si vuotò. Un'automobile portò via il federale (forse la Pavana, dalla finestra, vide la strada cilindrata illuminata dai fanali).
Rientrarono quasi tutti nel grande stanzone. Anche questa volta ignorarono Libertario. Parlarono un poco di lui. Così. Di sfuggita. Poi la bocca di Mangione si aperse. Disse: « In Abissinia ci manderemo Libertario ». E nessuno pensò di ridere. Anzi Quattro Témpora disse: « Volontario ». E fece un poco di rima.
RUTILIO CATENI



da (Comunismo e occidente, 3°) Benno Sarel, Proletariato e ordine democratico popolare nella Germania Orientale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]prodotto del suo lavoro, rifiuta alla classe operaia il diritto alla gestione delle fabbriche nel momento stesso in cui la tecnica rende possibile e necessaria tale gestione. La lotta che la classe operaia é indotta ad ingaggiare, per la sua stessa situazione, non tende ad altro che a riunire il lavoratore al prodotto del suo lavoro.
Sotto il capitalismo l'operaio è forza di lavoro, ed il suo prodotto é merce soggetta alla legge del mercato che gli sfugge non appena uscita dalle sue mani. La separazione fra l'operaio ed il prodotto del suo lavoro é chiara, decisa, codificata nelle leggi. Nella società democratico popolare esiste una separazione analoga. Il prodotto del lavoro é qui uno degli elementi del piano, legge fondamentale del paese formulata con riguardo alle necessità che si impongono al Governo e sulla quale gli operai non hanno influenza. La lotta operaia continua dunque, ma ad ogni tappa della sua storia, la sua forma e i modi con cui si esprime sono determinati dalla situazione generale della società. Ora, il dilemma del nuovo regime consiste nel fatto che esso non può né distaccarsi dalla classe operaia, né affidarsi ad essa; non pue, tende gli operai completamente in disparte dalle decisioni economiche, né consentire loro di assumere influenza sulla Commissione del piano. Questo dilemma é il quadro entro il quale si svolge la vita della fabbrica. Il piano non può funzionare bene senza una partecipazione operaia ai suoi organismi di base; d'altro canto, l'equilibrio dell'impresa si basa sull'idea della proprietà del popolo. Il piano, nella fabbrica, é formulato da organizzazioni comprendenti tanto i dirigenti quanto gli operai: sindacato e partito. Queste organizzazioni, tenuto conto dei nuovi rapporti di lavoro che dovrebbero regna[...]

[...]e dalle decisioni economiche, né consentire loro di assumere influenza sulla Commissione del piano. Questo dilemma é il quadro entro il quale si svolge la vita della fabbrica. Il piano non può funzionare bene senza una partecipazione operaia ai suoi organismi di base; d'altro canto, l'equilibrio dell'impresa si basa sull'idea della proprietà del popolo. Il piano, nella fabbrica, é formulato da organizzazioni comprendenti tanto i dirigenti quanto gli operai: sindacato e partito. Queste organizzazioni, tenuto conto dei nuovi rapporti di lavoro che dovrebbero regnare entro l'impresa, sono poste da
Continuazione dai n. 6 e 7.
164 COMUNISMO E OCCIDENTE
vanti al compito di far proporre dalla loro base operaia un piano conforme alla politica governativa. Ma, come abbiamo visto, classe operaia e governo sono presi entro ingranaggi contrastanti.
La lotta operaia si svolgerà dunque in seno alle organizzazioni ufficiali, prendendone spesso in prestito il linguaggio e le formule ideologiche. La separazione sociale corrispondente alla separazione[...]

[...]trastanti.
La lotta operaia si svolgerà dunque in seno alle organizzazioni ufficiali, prendendone spesso in prestito il linguaggio e le formule ideologiche. La separazione sociale corrispondente alla separazione fra il lavoratore ed il prodotto del lavoro, passerà conseguentemente attraverso al sindacato ed allo stesso partito. Per forza di cose questa separazione sarà fluida, imprecisa, e lo sarà altrettanto nei vertici della fabbrica quanto negli operai. Infatti, se da un lato si vuol attrarre gli operai nelle Commissioni che stabiliscono il piano, dall'altro lato gli operai approfittano della situazione per esercitare una influenza effettiva nell'organizzazione del lavoro, nella pianificazione dei salari e, indirettamente, nella produzione della fabbrica.
Grazie al sistema dei cottimi, delle gare di emulazione, degli stacanovisti, che abbiamo analizzato (1), il regime democraticopopolare logora l'antica solidarietà operaia, ma le fornisce d'altro canto l'occasione di avvicinarsi più che mai al suo scopo: la gestione delle fabbriche.
Nel suo sforzo di superare le proprie divisioni e di avanzare, la classe operaia si muove entro una contraddizione dialettica, che vuole che essa agisca e si organizzi e che, allo stesso tempo, elabori la propria ideologia. La classe operaia può riuscirvi più o meno bene. Come abbiamo visto, la situazione obbiettiva le é sfavorevole nella Germania Orientale del 1949. Tuttavia[...]

[...]a propria ideologia. La classe operaia può riuscirvi più o meno bene. Come abbiamo visto, la situazione obbiettiva le é sfavorevole nella Germania Orientale del 1949. Tuttavia essa ha un punto di vantaggio al proprio attivo, il fatto di annoverare nelle proprie file ancora molti uomini esperimentati e colti. Giacché ad ogni nuova tappa la classe operaia mette in discussione non soltanto la propria condizione attuale, ma tutto il proprio passato. Gli operai della Germania Orientale assimileranno più lentamente di una classe operaia nuova la situazione nella quale li ha posti la democrazia popolare, ma il processo sarà senza dubbio più profondo e, di conseguenza, più completa e più ricca la sintesi.
Nelle pagine che seguono studieremo le tappe della lotta operaia nella Germania Orientale dopo il suo risveglio del 1949. Non potremo, in questo quadro, attardarci sulle prime tappe del 1949 e del 1951. Quanto alle lotte operaie del giugno 1953, le analizzeremo dedicando una speciale atteniione al settore dal quale hanno preso le mosse, l'industria edilizia.
(1) Vedi Nuovi Argomenti, marzoaprile 1954.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 165
La tappa del 1949
Abbiamo rilevato il cambiamento che si verifica nel 1949 nella Germania Orientale: la ripresa economica consente il ridestarsi delle lotte operaie nel momento stesso in cui l'apparizione degli stacanovisti e dei cronometris[...]

[...]ie del giugno 1953, le analizzeremo dedicando una speciale atteniione al settore dal quale hanno preso le mosse, l'industria edilizia.
(1) Vedi Nuovi Argomenti, marzoaprile 1954.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 165
La tappa del 1949
Abbiamo rilevato il cambiamento che si verifica nel 1949 nella Germania Orientale: la ripresa economica consente il ridestarsi delle lotte operaie nel momento stesso in cui l'apparizione degli stacanovisti e dei cronometristi nelle fabbriche addita agli operai un avversario immediato.
L'iniziativa della lotta viene quasi sempre presa dagli operai di eta matura, spesso dai quadri di base del sindacato e del partito (2). Si tratta di prepararsi o di accordarsi per attaccare in sede di assemblea sindacale un certo provvedimento o un certo metodo di lavoro del cronometrista? La grande esperienza organizzativa degli operai tedeschi riprende tutto il suo vigore e serve allo scopo.
Come sempre, la lotta di massa mette in evidenza, accanto ai vecchi, dei nuovi quadri: la fusione necessaria si compie in seno alle stesse assemblee ufficiali, all'uscita delle riunioni, negli stessi laboratori fra gruppi affini che si formano e fra i quali si discute liberamente.
Con questa lotta economica spontanea e con questi inizi di organizzazione operaia autonoma, la vita ideologica torna nelle imprese. Le vecchie nozioni della vita di fabbrica, legate alla lotta di classe, ven gono applicate alla nuova situazione. Il salario a cottimo viene sempre chiamato Akkord e non Leistungslohn (lavoro a rendimento) come viene chiamato ufficialmente; il cronometrista viene assimilato al RefaMann di un tempo (3) e lo stacanovista col ben noto Lohndrücker (guastasalari). L'antica esperi[...]

[...] di alcuni responsabili del nostro sindacato... Altri responsabili sindacali... si oppongono alla elevazione delle norme troppo basse. Non si preoccupano che di spillare come salario tuttociò che è possibile spillare » (Neues Deutschland 29.5.49). A Riesa, la più grande acciaieria del paese: « Questi (vecchi) compagni sono inclini a lasciarsi influenzare da elementi ritardatari e scontenti. Essi rappresentano le rivendicazioni « giustificate » degli operai in vista di impossibili aumenti dei salari » (Neues Deutschland 2.10.49).
(3) Refa: sistema di razionalizzazione simile al taylorismo.
(4) Dichiarazione di un responsabile sindacale riportate dalla Tägliche Rundschau del 3.6.49.
M
166 COMUNISMO E OCCIDENTE
Tuttavia, le condizioni del regime sono diverse da quelle del capitalismo classico, ed è dentro un quadro nuovo che si svolge la lotta di questa vecchia classe operaia. Tutto é diritto politico in un paese staliniano; non occorre soltanto innalzare le norme, ma occorre anche accettare l'idea che questo innalzamento serve alla società poiché, scomparso il capitalismo, le fabbriche sono del popolo. Per forza di cose, la discussione sulle norme si amplia : la fabbrica é veramente del popolo ? Che cosa é il regime? E l'Unione Sovietica? Che [...]

[...] si amplia : la fabbrica é veramente del popolo ? Che cosa é il regime? E l'Unione Sovietica? Che cosa è la «intelligentzia »? (5). Non vi é dubbio che queste domande non ricevono una precisa risposta, ma la cosa importante é l'atmosfera nella quale esse sorgono e la situazione di fatto che le ha fatte sorgere.
Con il sorgere di queste discussioni ideologiche, tutte le vecchie correnti politiche della vecchia classe operaia tedesca rivivono fra gli operai. Non é un caso se alla conferenza del SED del 1949 Fred Oelssner, il migliore teorico del partito, attacca per la prima volta il luxemburgismo (6). È caratteristico che nel 1948 il partito denunciava soprattutto il « nazionalismo schumacheriano »; nel 1949 il « sindacalismo puro » da un lato, ed il « radicalismo di sinistra » dall'altro (7).
(5) Sotto questa parola gli operai riuniscono i tecnici, i dirigenti, le alte gerarchie del sindacato e del partito. Generalmente gli operai sono ostili alla intelligentzia. Si Iegge: «Esiste ancora nella grande maggioranza dei casi una diffidenza istintiva (fra operai e tecnici) una antipatia che si manifesta da un lato con atteggiamenti altezzosi, e dall'altro con la ostilità irriflessiva e con la diffamazione » (Tägliche Rundschau del 24.3.49). In seno al partito: « quante volte non ci si astiene dal parlare al gruppo di impresa di cose che vengono invece dette apertamente durante il lavoro. Ma là, vi é forse il compagno caposquadra o il compagno direttore, e allora non si può... » (Neues Deutschland del 7.10.49). Un corrispondente operaio della Acciaieria di Hennigsdorf si rivolge alle « Autorità » in generale: « Non raccogliete le vostre informazioni nelle segreterie e nelle direzioni delle imprese! Là, vi si dirà soprattutto il bene e vi si nasconderà il male. Mentre, fra di loro, i compagni non nascondono il proprio pensiero » (Neues Deutschland del 20.11.49).
(6) « ...Abbiamo il compito di debellare gli avanzi teologici di tipo semimenscevico della sinistra tedesca, questi avanzi che riuniamo abitualmente sotto il nome di Iuxemburgismo. Non si creda che questa quistione possa essere risolta semplicemente dicendo: chi dei nostri tanti membri hanno letto Rosa, che importanza hanno ancora questi problemi? No, questo sarebbe un sottovalutare il peso della tradizione ideologica» (Protokoll der I Parteikonferenz der SED, Berlino, 1949, pag. 457).
(7) «In questo momento le centrali dello spionaggio inglese ed americano lavorano in un primo luogo per diffondere la propaganda trotskista... Allo stes[...]

[...]a una lotta efficace contro l'ideologia schumacheriana, ma dove si é avuta «una eccessiva tolleranza verso le argomentazioni di apparenza radicale e rivoluzionaria ». (Neues Deutschland del 7.12.49). Nel 1949 il
SENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 167
Così nel corso di questa tappa, la lotta per le rivendicazioni suscita la rinascita di una vita ideologica e di un inizio di organizzazione operaia indipendenti. Essa utilizza gli elementi esistenti, e l'eredità del passato sì rivela grande. Ma le condizioni del presente sono dure ed allo stesso tempo sconcertanti: tuttavia nella lotta operaia, elementare, si sente una grande ricchezza.
La tappa del 1951
Nel 1951, quando la questione delle norme torna a riproporsi in modo acuto, la lotta operaia riprende su un altro piano e con nuovi mezzi. La cornice é, questa volta, l'accordo collettivo di impresa: la lotta si svolge sul piano della fabbrica, e non più su quello della squadra e del laboratorio. Per proteggere i cronometristi il partito aveva preso l'abitudine di « [...]

[...]lta, l'accordo collettivo di impresa: la lotta si svolge sul piano della fabbrica, e non più su quello della squadra e del laboratorio. Per proteggere i cronometristi il partito aveva preso l'abitudine di « coprire » la rivelazione dei tempi con la presenza del delegato operaio e di un membro del Comitato sindacale di laboratorio, legati alla gerarchia ufficiale. Ma in certe situazioni ogni provvedimento subisce una alterazione, e di solito sono gli operai che influenzano i quadri e gli organismi sindacali di base. Al livello del laboratorio, l'organizzazione ufficiale torna ad essere fino ad un certo punto quella degli operai. Parallelamente, i piccoli gruppi che si formano dopo le riunioni, allo spaccio, nel laboratorio, nel treno, tendono a consolidarsi e prendono talora il carattere di vere e proprie organizzazioni. Gli accordi collettivi pesano, ma per la prima volta gli operai saggiano il limite delle forze del regime : spesso essi riescono a modificare gli accordi ed in molte imprese, come nella Leuna e nella Zeiss, essi li respingono per tre o quattro volte.
Così come la norma, l'accordo collettivo é allo stesso tempo una categoria economica e politica: le discussioni politiche rinascono. Certo, esse non vengono condotte fino in fondo più di quanto lo fossero nel 1949 ma, come l'azione e l'organizzazione operaia, anche la vita ideologica si innalza e si svolge in un quadro ed in una atmosfera che diventa quella dell'offensiva.
partito decide di estendere il fronte nazionale fino agli « antichi funzionari, soldati, ufficiali e generali della [...]

[...] o quattro volte.
Così come la norma, l'accordo collettivo é allo stesso tempo una categoria economica e politica: le discussioni politiche rinascono. Certo, esse non vengono condotte fino in fondo più di quanto lo fossero nel 1949 ma, come l'azione e l'organizzazione operaia, anche la vita ideologica si innalza e si svolge in un quadro ed in una atmosfera che diventa quella dell'offensiva.
partito decide di estendere il fronte nazionale fino agli « antichi funzionari, soldati, ufficiali e generali della « Wehrmacht », cosí come agli ex nazisti. Anche a questo proposito il pericolo é additato a sinistra: « Il primo pericolo ed il maggiore é attualmente la ristrettezza settaria... che si esprime attraverso al fronte nazionale... con il rifiuto di collaborare con elementi patriottici non appartenenti al popolo lavoratore... » (Dokument der SED, T. II, Berlino 1950, pag. 344 e 354).
168 COMUNISMO E OCCIDENTE
La rivolta del 1953
Nel luglio 1952 il Congresso del partito adotta la politica che é conseguenza del riarmo ufficialmente annunciato: una politica dura, spartana, nella quale la produzione non produttiva verrà immensamente accresciuta, nel momento stesso in cui forze giovanili vengono distolte dalla produzione. Nel suo rapporto, di ritorno dal 19° Congresso bolscevico, Walter Ulbricht così definisce questa politica : massima economia, produttività accresciuta, revisione delle norme (Neues Deutschland 23.11.52). Da ora in poi questo tema ritorna ogni giorno: le norme in vigore non corrispondono più al livello tecnico ragg[...]

[...]scevico, Walter Ulbricht così definisce questa politica : massima economia, produttività accresciuta, revisione delle norme (Neues Deutschland 23.11.52). Da ora in poi questo tema ritorna ogni giorno: le norme in vigore non corrispondono più al livello tecnico raggiunto; esse vengono sorpassate con troppa facilità.
Il 18 gennaio 1953 il Ministro per l'industria pesante Selbmann, pubblica un importante articolo nell'organo centrale del partito. Egli vi riprende il tema delle economie e delle nuove norme. Cita come esempio gli specialisti sovietici presenti nella Germania Orientale. Preconizza con energia l'applicazione dei mezzi sovietici di lavoro consistenti soprattutto in un aumento della cadenza e della durata del lavoro (8). Per settimane e settimane il suo articolo viene discusso nella stampa e nelle assemblee sindacali.
Fino dal principio ,dell'anno hanno luogo degli aumenti delle norme, annunciati come volontari. Ma questo movimento prende vigore dopo il 1° aprile, quando il caposquadra Ehirg del gruppo di Mansfeld (miniere di rame e officine) eleva del 10% le norme della sua squadra. Uha larga pubblicità viene data al suo gesto, ed il suo esempio viene seguito. Oramai i giornali prendono l'abitudine di annunciare su intere colonne gli aumenti volontari delle norme, tosi come l'adozione dei metodi sovietici di lavoro.
Nella edilizia la situazione é allo stesso tempo migliore e più tesa che altrove. Gli operai edili sono pagati meglio della maggior parte dei loro colleghi: essi hanno una vecchia tradizione sindacale la quale ha imbevuto del proprio spirito il nuovo sindacato costituito nel 1945. Rudolf Kirchner, vicepresidente del Consiglio Confederale, in occasione del terzo Congresso sindacale nel 1950, attacca la direzione dell'edili
(8) Così il «Movimento dei dieci minuti u consiste nel giungere sul lavoro 10 minuti prima dell'inizio, per preparare tutto. Il sistema della manutenzione delle macchine di Nina Nasarova, quale viene applicato nella Germania Orientale, consiste soprattutto nell'effettuare i lavori di manutenzione dopo finita la giornata di lavoro.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 169
zia. Egli cita il caso di uno dei dirigenti il quale, invece di propagan dare l'affermazione corrente « [...]

[...]acale nel 1950, attacca la direzione dell'edili
(8) Così il «Movimento dei dieci minuti u consiste nel giungere sul lavoro 10 minuti prima dell'inizio, per preparare tutto. Il sistema della manutenzione delle macchine di Nina Nasarova, quale viene applicato nella Germania Orientale, consiste soprattutto nell'effettuare i lavori di manutenzione dopo finita la giornata di lavoro.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 169
zia. Egli cita il caso di uno dei dirigenti il quale, invece di propagan dare l'affermazione corrente « il vero aumento dei salari sarà il risultato del sorpassamento del piano » proclama : « Noi non abbiamo più nessun diritto. Non abbiamo più accordi collettivi. Abbiamo oggi delle ordinanze come sotto il fascismo ». E Rudolf Kirchner commenta : « Quando si parla così, non si sa più dove comincia e dove finisce il sinistrismo ed il trotskismo » (9).
L'anno, seguente è Gerhard Ziller, Ministro per la costruzione delle macchine, che torna alla carica contro il sindacato dell'edilizia dichiarando davanti[...]

[...]truzione delle macchine, che torna alla carica contro il sindacato dell'edilizia dichiarando davanti alla VI sessione del Comitato Centrale del partito: « Nel campo dell'edilizia la situazione é tale che il comitato federale del sindacato ha pubblicato, nel maggio 1949, un elenco di norme nelle quali si è partiti dall'idea che il rendimento deve essere abbassato rispetto all'anteguerra, il che non é minimamente giustificato... il risultato é che gli operai edili, e precisamente gli edili berlinesi, riscuotono un salario che non corrisponde affatto al lavoro prestato... » (10).
Il 1949 è un anno durante il quale le norme vengono stabilite sistematicamente: due anni più tardi esse verranno dichiarate sorpassate e verranno rivedute: l'edilizia, ed in primo luogo l'edilizia berlinese, verranno tuttavia risparmiate. La causa dì ciò é duplice: la nota cornbattivitá degli operai edili, il fatto che il 1951 é l'anno del Convegno mondiale della gioventù a Berlino. Nel momento stesso dell'innalzamento delle norme, nell'estate 1951, l'industria edilizia berlinese era in una situazione tesa. Era impossibile correre il rischio di torbidi in quel momento.
Il 1952 é l'anno della Stalinallee (11). Diecine di migliaia di operai edili vi affluiscono; si ha bisogno di loro; essi sono al centro dell'inte
(9) Protokoll des 3 F.D.G.B. Kongresses, Berlino, F.D.G.B., 1950, pp. 297 e 300.
(10) Tägliche Rundschau del 27.6.1951.
(11) La Stalinallee, il viale Stalin, l'antica Frankfurterallee, era prima della guerra una opulenta arteria commerciale: nel 1945 era completamente distrutta. Nel 1949 ne viene iniziata la ricostruzione. Ma la vera Stalinallee nasce all'inizio del 1952: i cantieri sono l'uno accanto all'altro per una lunghezza di 4 Km.; in tutte le strade adiacenti, squadre di operai di fabbriche, in via di principio volontari, sgomberano le rovine, durante l'inverno vi si lavora alla luce delle lampade elettriche. La Stalinallee é l'organo del regime; se ne é fatta il centro del[...]

[...]di principio volontari, sgomberano le rovine, durante l'inverno vi si lavora alla luce delle lampade elettriche. La Stalinallee é l'organo del regime; se ne é fatta il centro della vita di BerlinoEst e, in un certo senso, di tutto il paese: stampa e radio, scrittori e compositori l'hanno adottata come il loro tema preferito. Squadre di agitatori del partito vi si recano, ed intorno a loro si formano dei gruppi di discussione, con i passanti, con gli operai dei cantieri, con quelli che sgomberano le rovine.
resse. Tuttavia l'industria edilizia lavora in perdita, e l'amministrazione ripropone il problema delle norme. Come sempre in questi casi, l'iniziativa viene presa dagli attivisti (stakanovisti) e dai capisquadra, per principio fedelissimi al regime. All'isolato n. 16, dal quale il movimento ha inizio, sono i capisquadra Semm e Faust. La Neues Deutschland del 26.1.52 descrive così l'atmosfera del loro cantiere: (i capisquadra) «...furono insultati dai loro colleghi: guastasalari! gli gridano gli operai. minacciandoli, vedrete se vi faremo passare queste ubbie ». In occasione di una festa del cantiere si venne alle mani. « Qualche operaio rimasto a concezioni arretrate » riferisce la Neues Deutschland, molestò i capisquadra.
Durante tutto il 1952, nell'edilizia, viene condotta una piccola guerra per l'aumento delle norme. « Proprio nell'edilizia — scrive la Neues Deutschland del 10.2.52 — esiste tutta una serie di operai che non considera ancora l'impresa come proprietà del popolo, come impresa loro propria, e nuocciono al loro stesso interesse tentando... con ogni sorta di inganni, [...]

[...]Proprio nell'edilizia — scrive la Neues Deutschland del 10.2.52 — esiste tutta una serie di operai che non considera ancora l'impresa come proprietà del popolo, come impresa loro propria, e nuocciono al loro stesso interesse tentando... con ogni sorta di inganni, di ricavare il più possibile... ». Il giornale del partito dello stesso giorno spiega questo atteggiamento così: « ...la vecchia concezione nata nelle condizioni della lotta di classe degli operai edili contro gli imprenditori capitalisti, concezione adesso sorpassata e ritardataria ». Allo stesso tempo il partito mette in evidenza i casi di cantieri edili che corrispondono salari molto elevati, li presenta come elementi nocivi all'interesse generale, e tenta di infondere loro una cattiva coscienza e di isolarli dalla massa operaia. Così : « ...la squadra dei carpentieri della Weberwiese (piazza della Stalinallee) si é arrangiata per riscuotere dei salari che essa non é in grado di giustificare né di fronte a se stessa, né di fronte all'impresa, né di fronte agli operai berlinesi ».
Una espressione sp[...]

[...]e in evidenza i casi di cantieri edili che corrispondono salari molto elevati, li presenta come elementi nocivi all'interesse generale, e tenta di infondere loro una cattiva coscienza e di isolarli dalla massa operaia. Così : « ...la squadra dei carpentieri della Weberwiese (piazza della Stalinallee) si é arrangiata per riscuotere dei salari che essa non é in grado di giustificare né di fronte a se stessa, né di fronte all'impresa, né di fronte agli operai berlinesi ».
Una espressione spesso ripetuta, tanto nelle discussioni in cantiere quanto nella stampa (per es. Neues Deutschland del 23 febbraio, 18 marzo, 23 marzo 1952 ecc.) é quella di « Normenschaukelei », qualcosa come ciurlare nel manico per ciò che concerne le norme, e « mercanteggiare le norme » allo stesso tempo. L'operaio si accorda col delegato sindacale, col rappresentante del Comitato sindacale di cantiere, talora con i sorveglianti, per fare pressione sul cronometrista e per « stordirlo » con ogni genere di argomenti: come nell'impresa capitalistica, la norma è piú il ri[...]

[...]operai berlinesi ».
Una espressione spesso ripetuta, tanto nelle discussioni in cantiere quanto nella stampa (per es. Neues Deutschland del 23 febbraio, 18 marzo, 23 marzo 1952 ecc.) é quella di « Normenschaukelei », qualcosa come ciurlare nel manico per ciò che concerne le norme, e « mercanteggiare le norme » allo stesso tempo. L'operaio si accorda col delegato sindacale, col rappresentante del Comitato sindacale di cantiere, talora con i sorveglianti, per fare pressione sul cronometrista e per « stordirlo » con ogni genere di argomenti: come nell'impresa capitalistica, la norma è piú il risultato di un rapporto di forza, che non di un tempo rilevato dal cronometrista.
La « Normenschaukelei » é tanto più facile quanto più « la vecchia
COMUNISMO E OCCIDENTE
SENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 171
concezione nata nelle condizioni della lotta di classe » risuona dall'alto in basso nell'organizzazione sindacale: « i responsabili della Federazione sindacale dell'edilizia hanno adempiuto molto male al lavoro di fissaz[...]

[...]si hanno indietreggiato ed hanno capitolato davanti alle concezioni arretrate di alcuni colleghi » (12). E: « l'organizzazione di base (dei sindacati e del partito) della Weberwiese... ha indietreggiato nella lotta ideologica quotidiana contro le concezioni arretrate » (13). E un fatto caratteristico che il segretario sindacale del cantiere di Semm e di Faust non abbia appoggiato la loro iniziativa e che, nell'assemblea sindacale da lui diretta egli abbia taciuto e li abbia lasciati attaccare da tutti i partecipanti (14).
Poco alla volta gli operai riescono ad imporre a parecchi capisquadra e perfino a parecchi attivisti il loro stato d'animo « ereditato dal tempo della lotta di classe ». Il brigadiere è nominato dalla direzione, ma é praticamente impossibile insediarlo contro la decisa volontà degli operai: non potrebbe lavorare. Giacché è un fatto che l'antica rigorosa disciplina di fabbrica o di cantiere é stata spazzata via dal « vento del 1945 » e niente altro l'ha ancora sostituita. Il caposquadra riceve una percentuale progressiva sui salari della squadra, in caso di sorpassamento del piano. Egli ha dunque l'interesse a spingere la produzione. Allo stesso tempo per? egli é costretto a convincere gli operai che essi devono produrre, giacché adesso il regime é loro: il partito non può accettare di essere isolato nell'impresa. Ogni settimana, e talora più spesso, la squadra tiene un consiglio di produzione, e il caposquadra deve collegare i problemi del lavoro con la vita politica. Gli operai però, pur essendo attaccati a questa forma embrionale di democrazia industriale, trasformano il Consiglio di produzione in un'assemblea di critiche e di rivendicazioni: « le corde sono di cattiva qualità, i progetti di costruzione non arrivano a tempo; non abbiamo buone calzature; il vitto è caro; ecc. ecc. ». Allo stesso modo come i quadri sindacali anche il caposquadra « indietreggia » e trasmette ai propri superiori lo stato d'animo dei suoi compagni. Spesso gli operai riescono a fare nominare a capo della loro squadra uno dei loro compagni di fiducia: l'atmosfera diviene fraterna, ed il brigadiere in segreto — perché é proibito — spartisce con i compagni i propri supplementi.
(12) Neues Deutschland del 9.6.51.
(13) Neues Deutschland del 10.2.52.
(14) Neues Deutschland 26.1.1952.
172 COMUNISMO E OCCIDENTE
Lo stesso avviene con gli attivisti. Il sindacato, d'accordo col partito e la direzione, fa delle proposte; secondo lo spirito del regime, tende a farle approvare dagli operai : questi riescono spesso a far nominare coloro che vogliono. In tal modo la volontà del regime di essere legato agli operai, che sarebbe una forza se il legame fosse reale e libero, diventa una debolezza poiché lo spirito degli operai penetra nella sfera dirigente e provoca i deviazionismi, cancro del regime.
Anche un altro tentativo del regime si infrange, il più delle volte, di fronte alla rinascente solidarietà operaia. Nell'edilizia, era tradizionale il lavoro a cottimo di squadra : si tenta di sostituirlo col « contratto di squadra » (15) il quale tende a ricompensare quanto più possibile il rendimento singolo di ciascun membro della brigata facendo leva cosí sull'individualismo dell'operaio.
Il 1953, che si preannuncia molto duro, si inizia su queste premesse. Nel 1952 l'edilizia ha incontrato una perdita di[...]

[...] dell'applicazione delle decisioni della conferenza di febbraio. Il 6 giugno infine, viene organizzata a Lipsia una nuova conferenza dell'edilizia avente lo scopo di « ...discutere il modo di condurre la campagna di dure economie nell'industria edilizia » (19). A quanto sembra, dopo il febbraio non si erano realizzati grandi progressi...
(15) Neues Deutschland 4 apr. 1952.
(16) Neues Deutschland 6.6.53.
(17) Neues Deutschland 10.4.53.
(18) Tägliche Rundschau 16.5.1953.
(19) Neues Deutschland 7.6.1953.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 173
Intanto, a seguito della campagna iniziata dal brigadiere Ehrig, l'aumento delle norme ha inizio alla Stalinallee: a metà aprile, 70 squadre lo hanno realizzato; 106 squadre al momento della conferenza del 6 giugno; il 60% degli operai della Stalinallee, prima del 18 maggio. Nessuna delle fonti di informazione (20) precisa d'altronde in quale modo preciso si sia effettuato l'aumento delle norme, come gli operai abbiano aderito ad un provvedimento che ribassa i loro salari o fa aumentare il loro sforzo.
Questo aumento delle norme si colloca in una situazione che rappresenta una smentita alla parola d'ordine del partito: « Una vita migliore, grazie ad una accresciuta produttività ». In realtà il livello di vita sta calando dall'autunno 1952 (perfino nel momento del suo livello più alto, esso era stato più basso di quello della Germania Occidentale). La crisi é in pieno sviluppo. I prodotti industriali sono scarsi e di cattiva qualità. La Neues Deutschland dell' 11.1.53 ammette che (anche nel 1952) la produzione dell'industria leggera é stata scarsa. E vero d'altronde che l'approvvigionamento degli spacci delle grandi aziende é migliorato dopo il mese di aprile, ma la vita delle famiglie resta dura.
Un nugolo di sottoscrizion[...]

[...]na accresciuta produttività ». In realtà il livello di vita sta calando dall'autunno 1952 (perfino nel momento del suo livello più alto, esso era stato più basso di quello della Germania Occidentale). La crisi é in pieno sviluppo. I prodotti industriali sono scarsi e di cattiva qualità. La Neues Deutschland dell' 11.1.53 ammette che (anche nel 1952) la produzione dell'industria leggera é stata scarsa. E vero d'altronde che l'approvvigionamento degli spacci delle grandi aziende é migliorato dopo il mese di aprile, ma la vita delle famiglie resta dura.
Un nugolo di sottoscrizioni e di ore straordinarie « volontarie» si abbatte sulle imprese. Anzitutto le sottoscrizioni permanenti, per la Corea e per il fondo mondiale della pace. Ma le occasioni non mancano: il novembre è il mese dell'amicizia germanosovietica; il dicembre é il mese dell'anniversario di Stalin; il gennaio é il mese dell'anniversario di Wilhelm Pieck; a cominciare dal gennaio vengono fatti fimare agli operai dei « contratti di risparmio », una specie di prestito forzoso per la ricostruzione. Il 16 maggio ha luogo il Congresso dell'associazione per l'amicizia germanosovietica; migliaia di impegni di sottoscrizione vengono, fatti firmare nelle aziende: lo scopo é di innalzare un monumento a Stalin. Infine alla conferenza dell'edilizia di Lipsia ïl segretario del sindacato federale domanda di fare del mese di giugno « il mese della maggior realizzazione del piano, in onore al sessantesimo compleanno di Walter Ulbricht ».
Un altro fatto ancora sembra fatto apposta per esasperare operai e tecnici: si pretende di fare loro riconoscere la superiorità dei metodi di lavoro russi e polacchi sui metodi tedeschi. Già nel 1951 il Consiglio
(20) Neues Deutschland 14.6.1953. Vorwärt[...]

[...]ento a Stalin. Infine alla conferenza dell'edilizia di Lipsia ïl segretario del sindacato federale domanda di fare del mese di giugno « il mese della maggior realizzazione del piano, in onore al sessantesimo compleanno di Walter Ulbricht ».
Un altro fatto ancora sembra fatto apposta per esasperare operai e tecnici: si pretende di fare loro riconoscere la superiorità dei metodi di lavoro russi e polacchi sui metodi tedeschi. Già nel 1951 il Consiglio
(20) Neues Deutschland 14.6.1953. Vorwärts 8.6.1953, Neues Deutschland 5.6.1953.
174 COMUNISMO E OCCIDENTE
Confederale aveva dichiarato: «gli attivisti polacchi additano ai loro colleghi tedeschi tutta una serie di deficienze... E accaduto che gli operai edili della Repubblica Democratica Tedesca non hanno subito afferrato le lezioni degli operai edili polacchi. Così pure si rivelano segni di suscettibilità nazionale... » (21). Walter Ulbricht invia alla conferenza dell'edilizia dei 6 giugno un telegramma nel quale dichiara: «Non viene prestata sufficiente attenzione allo studio dei metodi di costruzione sovietici... Dovete riuscire a migliorare la vostra esperienza di produttori attraverso ad un serio studio della letteratura sovietica nel campo dell'edilizia » (22). Contemporaneamente il Consiglio Confederale condanna la rivista dell'edilizia di BerlinoEst Costruzione e Pianificazione, la quale pubblica « su intere colonne » resoconti della letteratura specializzata della Germania Occidentale.
Durante il maggio la situazione si fa piú tesa. Nelle campagne si hanno degli scontri con i contadini. Dal Magdeburgo, da Chemnitz, giungono notizie di scioperi provocati dalla introduzione delle nuove norme. I1 14 maggio il Comitato centrale allunga l'ombra della ghigliottina sui « Trotskisti, sionisti, massoni, elementi corrotti ecc. », ed allo stesso tempo propone un aumento generale delle norme del 10%. Il 28 maggio il Consiglio dei Ministri fa sua la proposta del Comitato Centrale, e fissa il 5 giugno come la data di inizio delle nuove norme. Questa data sopraggiunge, é un venerdì, giorno di paga, e gli operai ricevono la loro settimana in base alla nuova tariffa : le diminuzioni di paga giungono fino al 30 e al 40%. Scoppia il bluff degli aumenti volontari. Alla Stalinallee gli operai esprimono ad alta voce la loro scontentezza. Intanto la stampa continua ad annunciare la solidarietà degli operai con le misure prese dal regime. Lunedì 8 alcuni operai della Stalinallee indirizzano una petizione al Presidente del Consiglio chiedendo di revocare l'aumento delle norme. Attendono invano una risposta. II 9 giugno viene presa una decisione di distensione: essa riguarda i piccoli capitalisti, i commercianti, i contadini: ma il comunicato dell'ufficio politico non dice parole sulle norme.
I circoli dirigenti sono divisi: in maggio hanno luogo alcuni arresti di « morbidi ». Dopo il 9 giugno si epurano gli epuratoti; segretari del partito e dei gruppi giovanili, alti funzionari « duri » vengono trasferiti o allontanati.
(21) Handbuch des Gewerkschafts Funktionärs, Berlin, F.O.G.B., 1952, pag. 106.
(22) Neuau f.eutswhland T giugno 1953.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 175
Non vi è dubbio che anche nelle redazioni dei giornali si hanno degli urti. È evidente che la Tribune, organo centrale dei sindacati, é per la politica « dura ». Il 16 giugno essa scrive: « In relazione al comunicato del Consiglio dei Ministri del 28 maggio, in certi casi viene chiesto in quale misura le deliberazioni sull'aumento delle norme siano ancora giuste... non vi è dubbio che le decisioni sulle norme sono giuste in ogni caso. Tutto infatti dipende.. da un continuo aumento della produzione, di pari passo con delle strette economie ». Quello stesso giorno il governo revoca la propria decisione di aumento delle norme.
All'indomani, 17 giugno, la Tribune fa un'altra gaffe e dà un'altra prova della cecità di alcuni circoli dirigenti: « in applicazione della deliberazione del Comitato Centrale del S.E.D., gli oper[...]

[...] vi è dubbio che le decisioni sulle norme sono giuste in ogni caso. Tutto infatti dipende.. da un continuo aumento della produzione, di pari passo con delle strette economie ». Quello stesso giorno il governo revoca la propria decisione di aumento delle norme.
All'indomani, 17 giugno, la Tribune fa un'altra gaffe e dà un'altra prova della cecità di alcuni circoli dirigenti: « in applicazione della deliberazione del Comitato Centrale del S.E.D., gli operai di Hennigsdorf hanno come proprio obiettivo principale la utilizzazione di tutte le risorse della impresa e l'aumento sensibile della produzione, senza bisogno di maggiori investimenti ». Il giorno stesso, gli operai di Hennigsdorf si riuniscono nella fabbrica alle 5 del mattino per raggiungere i loro compagni della Stalinallee e fare una manifestazione contro il regime... La Neues Deutschland sembra più chiaroveggente, oppure i partigiani della distensione hanno avuto il sopravvento. Come che sia, il 14 giugno il giornale pubblica un articolo dal titolo « È tempo di rinunciare alla sferza » che rivela i retroscena dell'aumento delle norme alla Stalinallee: il 28 maggio, quando, secondo le notizie ufficiali, il 60% degli operai avevano aumentato le norme, aveva luogo una riunione di capisquadra e d[...]

[...]no per raggiungere i loro compagni della Stalinallee e fare una manifestazione contro il regime... La Neues Deutschland sembra più chiaroveggente, oppure i partigiani della distensione hanno avuto il sopravvento. Come che sia, il 14 giugno il giornale pubblica un articolo dal titolo « È tempo di rinunciare alla sferza » che rivela i retroscena dell'aumento delle norme alla Stalinallee: il 28 maggio, quando, secondo le notizie ufficiali, il 60% degli operai avevano aumentato le norme, aveva luogo una riunione di capisquadra e di attivisti della Stalinallee. Proprio questa riunione di uomini che il regime considera come il suo migliore appoggio, respinge a maggioranza quell'aumento delle norme che il Governo aveva allora deciso. Il Segretario del partito della Stalinallee, Müller, si era dichiarato contrario alla riunione, e questa aveva avuto luogo per iniziativa del caposquadra Rocke. Sembra che il caposquadra Rocke avesse organizzato la riunione di propria iniziativa, senza l'appoggio di un qualsiasi apparato. Egli ha delle buone ragioni di irritazione contro il partito e contro la direzione della impresa. Al principio di maggio la sua squadra aveva iniziato un lavoro su un nuovo cantiere, ed egli racconta : « Vi ero appena giunto, quando tre incaricati della Direzione centrale, fra i quali il cronometrista, si presentano per discutere l'aumento delle norme... chiedo di aspettare che io abbia riunito tutta la mia squadra, la metà della quale lavora tuttora in un'altra strada... ma il cronometrista risponde che i miei compagni hanno già
176 ' COMUNISMO E OCCIDENTE
aderito all'aumento delle norme, e che la direzione del cantiere ha già le loro firme. Replico che è una bugia, ed avevo ragione. Vedendo fallita la sua manovra, il cronometrista mi dice che ad ogni modo egli non lascia lavo[...]

[...] discutere l'aumento delle norme... chiedo di aspettare che io abbia riunito tutta la mia squadra, la metà della quale lavora tuttora in un'altra strada... ma il cronometrista risponde che i miei compagni hanno già
176 ' COMUNISMO E OCCIDENTE
aderito all'aumento delle norme, e che la direzione del cantiere ha già le loro firme. Replico che è una bugia, ed avevo ragione. Vedendo fallita la sua manovra, il cronometrista mi dice che ad ogni modo egli non lascia lavorare sui grandi cantieri se non le squadre che hanno aumentato le norme. Ed allora anche noi abbiamo aumentato la nostra norma del 6,5%. Il caposquadra Rocke narra l'esperienza da lui fatta davanti alla assemblea del 28 maggio. Le lingue si sciolgono, e si viene a sapere che « alcune squadre di carpentieri » dell'isolato G. Nord ed « alcune squadre » della Strausberger Platz in conflitto con il dipartimento delle norme della impresa « avevano sospeso il lavoro » (l'articolo non fa la parola « sciopero »). Si viene anche a sapere che il segretario berlinese del partita, Bruno Ba[...]

[...]'esperienza da lui fatta davanti alla assemblea del 28 maggio. Le lingue si sciolgono, e si viene a sapere che « alcune squadre di carpentieri » dell'isolato G. Nord ed « alcune squadre » della Strausberger Platz in conflitto con il dipartimento delle norme della impresa « avevano sospeso il lavoro » (l'articolo non fa la parola « sciopero »). Si viene anche a sapere che il segretario berlinese del partita, Bruno Baum, il 27 maggio a proposito degli avvenimenti dell'isolato G. Nord, aveva dichiarato che « sarebbe bene dare una buona volta un esempio : licenziare immediatamente una delle squadre che hanno turbato la disciplina del lavoro in cantiere ».
L'articolo ci dà anche delle informazioni sulla squadra Vorwerk dell'isolato G. Nord. Questa squadra aveva chiesto al cronometrista di constatare che il suo lavoro era difficile e che essa aveva diritto ad un supplemento di salario. Il cronometrista fa uno studio sul lavoro della squadra, ma i risultati si fanno attendere per 3 settimane. La squadra scende in sciopero : subito il cronometr[...]

[...]n cantiere ».
L'articolo ci dà anche delle informazioni sulla squadra Vorwerk dell'isolato G. Nord. Questa squadra aveva chiesto al cronometrista di constatare che il suo lavoro era difficile e che essa aveva diritto ad un supplemento di salario. Il cronometrista fa uno studio sul lavoro della squadra, ma i risultati si fanno attendere per 3 settimane. La squadra scende in sciopero : subito il cronometrista concede un aumento del 17%. Tornato negli uffici della direzione ritrova tutta la sua combattività, e per telefono comunica alla squadra Vorwerk di aver agito sotto coazione e di non poter mantenere quanto aveva deciso.
Ecco ora la squadra Zock della Strausberger Platz, centro delle manifestazioni della Stalinallee. Il venerdì gli operai avevano ricevuto la paga in base ad una tariffa più bassa della normale. Reclamano ma non ricevono risposta. Oramai però lo sciopero sembra essere diventato il sistema normale di reazione alla Stalinallee; la squadra si mette in sciopero, e la direzione si affretta a pagargli il dovuto. Un caso analogo si verifica con la squadra dei carpentieri Bornemann.
Occorre notare la posizione del dipartimento delle norme o del cronometrista, nella maggior parte dei casi menzionati dalla Neues Deutschland del 14 giugno. L'autore dell'articolo vi si riferisce frequentemente: « I cronometristi... hanno perso ogni contatto con ' i loro colleghi del cantiere. Si comportano con arroganza... I cronometristi pensano di mettersi in buona vista agli occhi delle direzioni, con stratta
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 177
gemmi, ma si ingannano perché l'impres[...]

[...] Un caso analogo si verifica con la squadra dei carpentieri Bornemann.
Occorre notare la posizione del dipartimento delle norme o del cronometrista, nella maggior parte dei casi menzionati dalla Neues Deutschland del 14 giugno. L'autore dell'articolo vi si riferisce frequentemente: « I cronometristi... hanno perso ogni contatto con ' i loro colleghi del cantiere. Si comportano con arroganza... I cronometristi pensano di mettersi in buona vista agli occhi delle direzioni, con stratta
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 177
gemmi, ma si ingannano perché l'impresa non potrà mai funzionare senza gli operai... I cronometristi non devono pensare di poter continuare ad agire contro gli interessi degli operai... devono sforzarsi di eliminare la tensione attuale che essi stessi hanno provocato... ». Si direbbe che, alla vigilia della sommossa del 16 giugno, si sia stabilito alla Stalinallee una specie di fronte popolare che va dagli operai agli attivisti ed ai quadri medi del partito e del sindacato.
Dopo la riunione di capisquadra e di attivisti del 28 maggio, gli ambienti dirigenti tentano di reagire. Per il 30 maggio viene convocata un'altra riunione di capisquadra e di attivisti. E indicativo il fatto che non siano stati né il partito né il sindacato ad organizzarla — i loro quadri non sono sicuri — ma la redazione della Neues Deutschland, che sembra avere dei buoni informatori nei cantieri della Stalinallee. Si hanno pochi dettagli su questa riunione. Vi viene costituito un « Aktiv » (gruppo di elementi sicuri collegati fra loro) « col compito di deliberare sulle difficoltà di ogni genere e di controllare i provvedimenti presi per eliminarle » (23). Dalle poche notizie che si hanno sulla discussione, emerge che anche in quella occasione venne ventilata l'idea che sarebbe stato meglio incominciare col migliorare i sistemi di lavoro ed in un secondo tempo aumentare le norme, in modo da non diminuire le paghe operaie. Sembra in ogni modo che l'« Aktiv» del 30 maggio non abbia avuto nessuna influenza sugli avvenimenti successivi.
La direzione ed il comitato del partito si sono trovati isolati il 16 maggio alla Stalinallee? No: vi sono anche degli attivisti che si oppongono ai manifestanti, e soprattutto dei gruppi di giovani comunisti. E fuori dubbio che una gran parte della gioventù é favorevole al regime. Esiste almeno un cantiere della Stalinallee nel quale le norme sono state aumentate volontariamente: quello organizzato dai giovani comunisti ». Sarebbe necessario a questa punto tracciare tutta la politica della gioventù del regime, ma avremo occasione di tornare su questo argomento. Notiamo qui che i giovani della Stalinallee hanno veramente la possibilità di perfezionarsi, di imparare, di frequentare la Facoltà Operaia e Contadi[...]

[...]i che i giovani della Stalinallee hanno veramente la possibilità di perfezionarsi, di imparare, di frequentare la Facoltà Operaia e Contadina: tuttoció dipende soltanto dalle loro capacità e, naturalmente, delle loro attitudini politiche. Ma nonostante
(23) Neues Deutschland del 5 giugno 1953.
178 COMUNISMO E OCCIDENTE
tutto è impossibile separare veramente la gioventù dal contesto sociale al quale appartiene. Il 16 ed il 17 giugno, vi sono migliaia di giovani operai che partecipano alle manifestazioni a fianco degli anziani. Già al principio di maggio si poteva leggere nel giornale della gioventù comunista, una nota assai nuova : « Gli esempi che dimostrano che la gioventù è `'in testa alla produzione nei settori essenziali, non valgono per tutti i casi... la causa va ricercata nella debolezza della educazione patriottica impartita dalla Gioventù Libera Tedesca » (24).
Nonostante la divisione in due settori, Berlino resta una città unitaria, nel senso che esiste uno comunità berlinese quasi quanto una comunità parigina o londinese. Fino al 17 giugno si circolava liberamente fra l'Est e l'Ovest. La popolazione di un settore della città segue con attenzione ciò che accade nell'altro settore. Ora, nella BerlinoOvest come in t[...]

[...]ste uno comunità berlinese quasi quanto una comunità parigina o londinese. Fino al 17 giugno si circolava liberamente fra l'Est e l'Ovest. La popolazione di un settore della città segue con attenzione ciò che accade nell'altro settore. Ora, nella BerlinoOvest come in tutta la Germania Occidentale, le rivendicazioni operaie prendono sempre più vigore, e, soprattutto dall'ultima primavera, iI settore Ovest della città è testimone di un movimento degli operai edili. Nel mese di aprile, 37.000 operai edili si preparano allo sciopero ed eleggono comitati di sciopero di impresa e di quartiere. Chiedono un aumento di 15 pfennig all'ora. Il sindacato è però conciliante, e lo sciopero viene evitato. Ma a metà maggio una parte degli operai edili di BerlinoOvest entra in sciopero, chiedendo un nuovo accordo collettivo. La stampa di BerlinoEst mette in gran rilievo questo sciopero, e non vi é dubbio che gli operai edili della Stalinallee lo seguono attentamente. Il 10 aprile la Neues Deutschland pubblica un servizio sull'industria edile di BerlinoOvest. Descrive lo stato d'animo combattivo degli operai, la preparazione dei picchetti di sciopero, e, molto malaccortamente, elenca numerosi casi di crumiri e di Lohndrücker (guastasalari) protetti dalla direzione che vengono scacciati o attaccati dagli operai. Il 12 giugno la Neues Deutschland torna alla carica : « Da quattro settimane dura lo sciopero... gli operai continuano valorosamente la grande tradizione dell'edilizia berlinese nella lotta contro l'arbitrio degli imprenditori e contro la reazione ». Ed il giornale cita le lotte degli edili berlinesi del periodo guglielmino. Il 14 giugno, nella stessa pagina nella quale la Neues Deutschland descrive gli arbitri della direzione dei cantieri della Stalinallee, si può leggere
(24) Junge Welt del 6 maggio 1953, giornale dell'organizzazione ufficiale della gioventù.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 179
la notizia che gli operai di BerlinoOvest hanno vinto, che essi hanno imposto alle imprese l'accettazione di 22 dei 28 punti richiesti, che riuniti in assemblea generale hanno deliberato a maggioranza la cessazione dello sciopero, così come ne avevano votato la proclamazione. E che fra i punti sui quali hanno ottenuto soddisfazione é compreso l'impegno a non applicare sanzioni per lo sciopero.
Il 15 giugno scoppia uno sciopero in un cantiere periferico del settore orientale. La polizia interviene ed arresta gli « agitatori ». Gli operai mandano una delegazione ai cantieri della Stalinallee. La mattina del 16, [...]

[...]hanno imposto alle imprese l'accettazione di 22 dei 28 punti richiesti, che riuniti in assemblea generale hanno deliberato a maggioranza la cessazione dello sciopero, così come ne avevano votato la proclamazione. E che fra i punti sui quali hanno ottenuto soddisfazione é compreso l'impegno a non applicare sanzioni per lo sciopero.
Il 15 giugno scoppia uno sciopero in un cantiere periferico del settore orientale. La polizia interviene ed arresta gli « agitatori ». Gli operai mandano una delegazione ai cantieri della Stalinallee. La mattina del 16, si formano capannelli di operai che discutono. Nei cantieri piccoli e in quelli privati la forza del regime è minore e le norme non sono state aumentate. Vero é che, fino ad allora, vi si guadagnava meno che nei grandi cantieri e lo spaccio era più scadente : ma adesso le due situazioni si equivalgono. Qualche squadra decide di cercare lavoro altrove: l'operaio è per sua natura nomade. Lungo la Stalinallee, nella marcia verso il centro della città, altre squadre si aggiungono alle prime. Ben presto il corteo asce[...]

[...]privati la forza del regime è minore e le norme non sono state aumentate. Vero é che, fino ad allora, vi si guadagnava meno che nei grandi cantieri e lo spaccio era più scadente : ma adesso le due situazioni si equivalgono. Qualche squadra decide di cercare lavoro altrove: l'operaio è per sua natura nomade. Lungo la Stalinallee, nella marcia verso il centro della città, altre squadre si aggiungono alle prime. Ben presto il corteo ascende ad un migliaio di operai. Allora il carattere della manifestazione cambia: non si pue) più andare a cercare lavoro in tal numero: il corteo si indirizza verso la sede del governo per domandare risposta alla petizione dell'8 giugno. Strada facendo, operai di altri rami e passanti ingrossano il corteo : alla Leipzigerstrasse il corteo é composto di migliaia di operai. Ed ecco che il carattere del corteo, rimasto fino ad allora calmo, cambia ancora una volta : le rivendicazioni economiche si sono trasformate in rivendicazioni politiche. Davanti alla sede del Ministero, davanti al Ministro Selbmann che tenta di parlar loro, questi operai non organizzati danno prova di una grande maturità, quella maturità, quell'impeto fiducioso nella propria forza, che le giornate rivoluzionarie danno agli operai. « Sono un operaio comunista », dice il Ministro. « Te ne sei dimenticato — gli gridano — i veri comunisti siamo noi, non tu ». E presentano le loro rivendicazioni.
Lo svolgimento dei fatti di Berlino del 17 giugno é noto : nuove manifestazioni degli operai edili; sciopero nelle principali aziende; intervento di gruppi semifascisti dalla BerlinoOvest (soprattutto l'Unio ne della gioventù tedesca); entrata in scena dei carri armati sovietici venuti in soccorso della polizia popolare.
180 COMUNISMO E OCCIDENTE
È bene sottolineare il diverso carattere della giornata del 17 giugno, a seconda che ci si trovi entro una fascia di 500 metri all'incirca
dalla linea di demarcazione del settore occidentale, o più addentro nel
settore sovietico. Solamente nel primo caso si verificano saccheggi ed incendi, che sono evidentemente l'opera di qualche[...]

[...]dalla linea di demarcazione del settore occidentale, o più addentro nel
settore sovietico. Solamente nel primo caso si verificano saccheggi ed incendi, che sono evidentemente l'opera di qualche centinaio di spo
stati venuti dall'Ovest con l'intendo di far deviare la manifestazione.
Sorta a Berlino il 16 giugno, la rivolta si estende rapidamente a tutta la regione circostante. II 17 giugno tutti i centri industriali del paese sono in sciopero: gli operai hanno avuto notizia dei fatti di Berlino attraverso la radio del settore occidentale. È soprattutto nelle . vecchie zone industriali di Halle, di Bitterfeld, di Magdeburgo, che la rivolta acquista un'ampiezza eccezionale, e che essa lascia scorgere che cosa sarebbe divenuta se avesse durato più a lungo.
Sembra che la prima reazione degli operai sia stata quella di creare dei comitati di sciopero. Questi organizzano il movimento, ed allo stesso tempo assumono la gestione delle imprese : hanno cura di assicurare i lavori di manutenzione, di organizzare la, vigilanza contro gli eventuali sabotaggi; e quando si tratta di imprese di interesse pubblico urgente, di assicurarne il funzionamento. Ad Halle, a Bitterfeld, a Magdeburgo, a Iena, gli scioperanti, riuniti in piazza, eleggono un co mitato centrale di sciopero. Questo, quando ne ha il tempo, si insedia nella casa comunale, si occupa degli approvvigionamenti della città, della produzione del gas e dell'elettricità, ordina ai pompieri di rimanere in servizio, ecc. ecc. In altre città ci si limita ad eleggere dei co mitati operai di fabbrica. Si esce in strada, si balla, si occupano le sedi del partito, si disarmano i poliziotti, si liberano i prigionieri politici, ecc. ecc.
I comitati di sciopero adottano in generale atteggiamenti differenti, a seconda che abbiano a che fare con le autorità tedesche o sovietiche. Le prime vengono ignorate, con le seconde si offre di trattare. Ecco il telegramma che il comitato centrale di sciop[...]

[...]berano i prigionieri politici, ecc. ecc.
I comitati di sciopero adottano in generale atteggiamenti differenti, a seconda che abbiano a che fare con le autorità tedesche o sovietiche. Le prime vengono ignorate, con le seconde si offre di trattare. Ecco il telegramma che il comitato centrale di sciopero di Bitterfeld invia al comandante sovietico in Berlino :
« Sig. Alto Commissario, noi lavoratori del circondario di Bitterfeld vi preghiamo di togliere senza indugio lo stato di assedio da Berlino, tosi come ogni altra misura diretta contra gli operai, di guisa che sia possibile a noi tedeschi continuare a credere che voi siete veramente il rappresentante di un governo di lavoratori ».
Ed ecco il telegramma che lo stesso comitato indirizza al governo di BerlinoEst:
BENNO SAREI. PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 181
«Noi lavoratori del circondario di Bitterfeld esigiamo: dimissioni del sedicente governo democratico tedesco... costituzione di un governo provvisorio composto di lavoratori progressisti... » (25).
Vi sono stati casi in cui alcuni comandanti sovietici locali, prima di aver ricevuto l'ordine di repressione, h[...]

[...]ituzione di un governo provvisorio composto di lavoratori progressisti... » (25).
Vi sono stati casi in cui alcuni comandanti sovietici locali, prima di aver ricevuto l'ordine di repressione, hanno riconosciuto i comitati di sciopero ed hanno trattato con essi. Questo fatto si é verificato specialmente nelle imprese aventi lo statuto di società anonime sovietiche.
Indubbiamente la rivolta non è stata esclusivamente proletaria. Scesi in strada, gli operai si sono visti unire a loro tutti gli strati della popolazione. Accanto al « Brüder zur Sonne zur Freiheit » socialista, ha echeggiato il .« Deutschland über alles » nazionalista, e forse talvolta anche il « Horst Wessel Lied » nazista. Ma tuttociò conta poco. L'essenziale, in questi paesi di fabbriche nei quali la rivolta é scoppiata, é appunto che le fabbriche erano in mano agli operai.
La storia esatta della rivolta del 17 giugno é certamente ancora da scrivere. Si può però affermare fin da ora che essa rappresenta lo sbocco delle lotte che la classe operaia ha condotto dal 1949 in poi. Quella giornata di rivolta sintetizza, e perciò risolve, i problemi organizzativi ed ideologici che gli operai avevano posto a se stessi da anni. E ciò — questo é uno dei rari privilegi delle giornate rivoluzionarie — in una sola formula di azione: le fabbriche ai comitati operai!
La giornata del. 17 giugno ha però anche un significato più vasto. Quella classe operaia che si é formata durante un secolo di lotta contro il capitalismo, che impadronendosi delle fabbriche ha posto una barriera di sangue fra se stessa ed il regime staliniano, ha testimoniato davanti al mondo che una terza via, quella del socialismo libero, esiste.
Dopo la rivolta
La fase immediatamente successiva alla rivolta é a[...]

[...] lotta contro il capitalismo, che impadronendosi delle fabbriche ha posto una barriera di sangue fra se stessa ed il regime staliniano, ha testimoniato davanti al mondo che una terza via, quella del socialismo libero, esiste.
Dopo la rivolta
La fase immediatamente successiva alla rivolta é aperta dalla sessione del Comitato Centrale del partito, il 21 giugno. Il comunicato uscito da questa riunione é caratterizzato da un lato da una serie di miglioramenti economici accordati agli operai, dall'altro da una affermazione che, quattro settimane dopo, non sarà più di attualità: «quando le masse operaie non comprendono il partito, la colpa é di quest'ultimo e non degli operai! ». Questa prima fase vede prevalere l'ala
(25) Citato da Der Monat, ottobre 1953.
182 COMUNISMO E OCCIDENTE
del Comitato Centrale favorevole alla distensione: Herrnstadt, Zaiser, Fechner, appoggiate indubbiamente, anche se prudentemente, da Grotewohl. Migliaia di operai arrestati durante la rivolta vengono liberati. Fechner, ministro dell'industria, in una intervista che gli costerà la libertà, dichiara che il diritto di sciopero é garantito dalla costituzione. Un operaio della fabbrica dello stabilimento Plania, può dichiarare: « Sono orgoglioso del 17 giugno; la classe operaia ha dimostrato di essere una volontà, di essere una forza »; ed Herrnstadt, redattore capo dell'organo centrale del partito, pubblica questa dichiarazione.
Herrnstadt, uno degli uomini più capaci del Comitato Centrale, sarebbe favorevole a lasciare che una opposizione, rispettosa dei punti essenziali del regime, possa svilupparsi, reclamare riforme, svolgere una critica libera : vorrebbe mettere all'attivo del regime quella ricchezza che soltanto la libertà crea. Questa fase liberale rappresenta senza dubbio una esperienza unica, per la sua audacia, dentro il mondo staliniano. Si può pensare che in altre condizioni essa avrebbe potuto riuscire, ma durante l'ultima estate, nella Germania Orientale, essa era votata al fallimento.
Finito lo sciopero, i comitati che gli[...]

[...]upparsi, reclamare riforme, svolgere una critica libera : vorrebbe mettere all'attivo del regime quella ricchezza che soltanto la libertà crea. Questa fase liberale rappresenta senza dubbio una esperienza unica, per la sua audacia, dentro il mondo staliniano. Si può pensare che in altre condizioni essa avrebbe potuto riuscire, ma durante l'ultima estate, nella Germania Orientale, essa era votata al fallimento.
Finito lo sciopero, i comitati che gli operai hanno creato, continuano a sopravvivere in forma clandestina. Le rivendicazioni operaie colpiscono, a quell'epoca, per il loro carattere unitario ed esteso: si reclama una seconda revisione delle norme, un aumento dei salari più bassi, un ribasso del 40% nei prezzi dei magazzini liberi, e spesso la punizione di Ulbricht, capo della tendenza « dura ». Contemporaneamente vengono formulate le rivendicazioni particolari di ciascuna impresa. Il tono degli operai é coraggioso, audace: « Se ho un regime operaio », dichiara un muratore berlinese (26), « voglio avere i miei diritti come operaio[...]

[...]anno creato, continuano a sopravvivere in forma clandestina. Le rivendicazioni operaie colpiscono, a quell'epoca, per il loro carattere unitario ed esteso: si reclama una seconda revisione delle norme, un aumento dei salari più bassi, un ribasso del 40% nei prezzi dei magazzini liberi, e spesso la punizione di Ulbricht, capo della tendenza « dura ». Contemporaneamente vengono formulate le rivendicazioni particolari di ciascuna impresa. Il tono degli operai é coraggioso, audace: « Se ho un regime operaio », dichiara un muratore berlinese (26), « voglio avere i miei diritti come operaio »; e gli operai di Bitterfeld commentano ad alta voce: « Il 17 giugno era dunque per ottenere tutto ciò che oggi si vede era possibile ottenere » (27). Questi non sono discorsi da sconfitti!
Allo stesso tempo, le organizzazioni del partito subiscono unkscossa. Migliaia di membri presentano le loro dimissioni, i quadri direttivi delle fabbriche si trovano nella impossibilità di riconoscere la propria colpa come vorrebbero le direttive ufficiali, e di controllare allo stesso tempo gli operai i quali gridano loro: « Allora andatevene! ».
(26) Neues Deutschland 28.6.53.
(27) Freiheit di Halle 1.7.53.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 183
La prima fase si chiude il 15 luglio, quando il Comitato centrale decide l'arresto di Fechner e la sua sostituzione con Hilde Benjamin, l'implacabile presidente del Tribunale Supremo, al Ministero della Giustizia. Si apre con ciò un periodo di repressioni. Contemporaneamente, con politica tipica di un regime che si fonda sulla minoranza, il comitato centrale dà soddisfazione ad una delle rivendicazioni operaie più contrarie alla politica seguita fino allora: l'aumento delle categorie di salario più basse, e cioè la inversione della tendenza all'apertura del ventaglio dei salari.
Qualche giorno dopo il Comitato centrale espelle[...]

[...] Hilde Benjamin, l'implacabile presidente del Tribunale Supremo, al Ministero della Giustizia. Si apre con ciò un periodo di repressioni. Contemporaneamente, con politica tipica di un regime che si fonda sulla minoranza, il comitato centrale dà soddisfazione ad una delle rivendicazioni operaie più contrarie alla politica seguita fino allora: l'aumento delle categorie di salario più basse, e cioè la inversione della tendenza all'apertura del ventaglio dei salari.
Qualche giorno dopo il Comitato centrale espelle dal proprio seno Herrnstadt, e contemporaneamente Zeiser dichiara che il partito ha avuto ragione nelle cose essenziali e che i suoi errori sono stati di natura secondaria. Si tratta ora di ristabilirne l'autorità, ma i primi passi in questa direzione sono destinati ad aumentare ancor più il disorientamento tra i militanti: quella che fino allora era una verità, il riconoscimento degli errori, diviene adesso una nuova deviazione, la « Busstimmung n (lo spirito di penitenza).
L'atmosfera cambia rapidamente nelle fabbriche: secondo la versione precedente, gli elementi provocatori avevano contribuito soltanto a scatenare ed a canalizzare la rivolta; adesso invece viene proclamato che questa è interamente opera loro, e gli oppositori al regime ed i capi che la rivolta si era data vengono tutti messi in un fascio con i provocatori.
Durante l'agosto ed il settembre le fabbriche sono piene di discussioni appassionate. Gli operai difendono l'onore della loro rivolta, rifiutando di lasciarsi mettere in un mucchio con i saccheggiatori e con gli elementi provocatori che si erano infiltrati. Allo stesso tempo, quegli stessi operai in quelle stesse riunioni, continuano a presentare con audacia le loro rivendicazioni, dimostrando anche con questo il carattere unitario della loro lotta economica e politica. Ma adesso anche le loro rivendicazioni vengono dichiarate opera di provocatori: « Una delle manovre preferite dal nemico della classe operaia consiste nel far sorgere ogni genere di liste di rivendicazioni, piene di richieste provocatorie... n (28).
Le riunioni di fabbrica di quel periodo prendono un'aria sinistra. L'ufficio di presidenza delle riunioni viene rinforzato con un membro
(28) Tribune, organ[...]

[...] preferite dal nemico della classe operaia consiste nel far sorgere ogni genere di liste di rivendicazioni, piene di richieste provocatorie... n (28).
Le riunioni di fabbrica di quel periodo prendono un'aria sinistra. L'ufficio di presidenza delle riunioni viene rinforzato con un membro
(28) Tribune, organo dei sindacati, del 28.8.53.
184 COMUNISMO E OCCIDENTE
del Comitato centrale o regionale. Spesso le riunioni si aprono con una minaccia. Agli stabilimenti ferroviari di Halle, un certo Mattern, inviato del Comitato centrale, dice: «Vi è qualcuno fra di voi che si immagina che noi abbiamo i ginocchi tremanti per la paura ». A costoro, come a tutti i sabotatori, egli promette «...dei colpi tali sulla testa da far perdere loro la parola ed il senno » (29). La porta della sala di riunione è sorvegliata da elementi della polizia di fabbrica. I resoconti delle assemblee si chiudono quasi sempre con queste parole: «I provocatori (seguono i nomi) sono stati consegnati alle autorità ». In mold casi gli operai non si lasciano intimidire e riescono ad impedire gli arresti; le riunioni vengono allora rinviate. Durante il mese di ottobre le riunioni cambiano carattere: si fanno deserte, ed i rapporti sono seguiti dal silenzio.
Di pari passo con la repressione, il Governo continua ad adottare misure destinate a migliorare il livello di vita dei lavoratori: ribassi sensibili dei prezzi nei magazzini liberi; ribasso delle imposte sui salari; aumento del numero dei giorni di ferie; miglioramento della qualità delle merci ecc. ecc. Questi provvedimenti vengono accompagnati da una propaganda di tono paternalistico che può riassumersi cosí: « Il regime vi dà questi vantaggi; é il vostro regime; quanto più lo sosterrete tanto più rapidamente la vostra situazione migliorerà ».
Il 10 ,dicembre il governo pubblica un'ordinanza che porta altri notevoli miglioramenti agli operai: il miglioramento della sicurezza del lavoro e delle cure mediche in fabbrica, la limitazione del numero delle ore straordinarie, il miglioramento dei trasporti per gli operai, l'aumento delle paghe, i crediti per la costruzione di alloggi. Bisogna tuttavia tener conto che si trattta di miglioramenti che partono da un livello molto basso: che, per esempio, per mancanza di autocarri, molti operai debbono fare ogni giorno ore di bicicletta per recarsi al lavoro, e che un miglioramento del genere di questo che adesso diremo era stato oggetto di numerose decisioni mai rispettate durante i passati inverni: le sale d'aspetto per gli autocarri saranno riscaldate.
L'ordinanza del 10 dicembre vede ricomparire la vecchia politica della differenziazione operaia: questa volta gli aumenti vanno a favore delle categorie superiori « tenuto conto che gli aumenti apportati nel corso dell'anno... hanno livellato i giusti rapporti... ». Anche gli stanziamenti per i premi agli operai vengono destinati a coloro che oltre
(29) Neues Deutschland 2.10.53.
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 185
passano le norme. Si adotta infine una innovazione, che sembra volersi riallacciare ad un certo paternalismo di vecchio stile: nei «fondi della direzione » di ogni fabbrica, si introduce un capitale per i regali, «per casi di matrimonio, nascite, giubilei di lavoro ».
Anche una importante evoluzione in un altro settore rafforza questa impressione di paternalismo implicito nell'ultima politica operaia del governo : un paragrafo dell'ordinanza parla di « es[...]

[...]».
Anche una importante evoluzione in un altro settore rafforza questa impressione di paternalismo implicito nell'ultima politica operaia del governo : un paragrafo dell'ordinanza parla di « estensione dei diritti sindacali ». Si tratta in realtà semplicemente del diritto sindacale di controllo all'applicazione dei provvedimenti governativi relativi alla situazione operaia. In nessun testo, nell'ordinanza o altrove, si fa più cenno al diritto degli operai alla congestione delle fabbriche, diritto che la legge delega ai sindacati ed ai quali si é sempre fatto richiamo dopo il 1945. Nella dottrina del regime questo diritto é infatti la testimonianza irrecusabile del carattere popolare delle imprese. L'omissione é evidentemente da mettere in rapporto con i fatti del 17 giugno, durante i quali i comitati di sciopero avevano preso sul serio l'idea della gestione.
A cavallo tra il 1953 ed il 1954 la calma domina nelle fabbriche della Germania Orientale: non vi è azione di rivendicazione, non vi é notevole azione governativa : soltanto qualch[...]

[...]o tra il 1953 ed il 1954 la calma domina nelle fabbriche della Germania Orientale: non vi è azione di rivendicazione, non vi é notevole azione governativa : soltanto qualche scaramuccia a proposito di gratifiche natalizie. La fase che si é aperta dopo i fatti di giugno é al suo termine. Le liste delle rivendicazioni, dalle quali si sono cancellate le esigenze esplosive, verranno incluse nell'accordo collettivo aziendale in corso di preparazione. Gli operai, che avevano lavorato fiaccamente durante i mesi successivi alla rivolta di giugno, hanno ripreso il ritmo normale del lavoro. Questo fatto ha una spiegazione: la maggior parte degli operai lavorano a cottimo, e la loro paga è legata al rendimento. Anche uno sciopero degli iscritti ai sindacati che si era protratto fino all'autunno, é cessato: gli iscritti, si é dichiarato ufficialmente, avranno diritto a supplementi di assistenza per malattie, per quiescenza, a maggiori ferie pagate, nonché ad una riduzione del 30% per due viaggi in ferrovia. Allontanatisi i giorni della rivolta, la tendenza alla concorrenza fra gli operai riprende il suo posto accanto alla tendenza alla solidarietà.
Il IV Congresso del partito
I congressi del partito scandiscono la vita dei paesi di democrazia popolare. I loro periodi preparatori fanno le veci, in un certo senso,
186 COMUNISMO E OCCIDENTE
delle campagne elettorali. Tenuto conto del linguaggio e delle regole del regime, esiste nel paese, in quei periodi, una vita politica reale, e le riunioni che si succedono su tutta la scala dallo stabilimento fino alla organizzazione regionale del partito rappresentano il luogo di incontri, e spesso il luogo di scontri, delle opin[...]

[...]te si rinnovano i comitati di fabbrica e di impresa del partito. Ora, si dà il fatto che il proletariato della Germania Orientale, apparentemente lo stesso di prima del 17 giugno, é in realtà cambiato. La critica operaia é sempre stata vivace nella Germania Orientale, e non si limitava alle quisquilie della vita di fabbrica. Osservazioni come t< I poliziotti hanno buone calzature, ma per noi non ce ne sono n oppure « I nuovi dirigenti non sono meglio dei capitalisti », erano moneta corrente, anche in seno al partito. Generalmente nulla di male capitava a chi faceva discorsi di questo genere, se essi erano spontanei e se era evidente che essi non nascevano da tutto un sistema di idee. Dopo il 17 giugno, quei medesimi discorsi assumono però un altro valore. Tanto per l'operaio che ha partecipato alla rivolta, quanto per l'uomo ligio al potere che l'ha repressa, osservazioni di quel genere pronunciate nelle riunioni, allo spaccio, nei treni, evocano adesso qualche cosa di ben preciso e si riferiscono ad un retroscena; dall'una parte e dall'[...]

[...]che cosa di ben preciso e si riferiscono ad un retroscena; dall'una parte e dall'altra si sa che quei discorsi possono non restare vane parole.
È per questo che il partito trasforma la campagna di rinnovamento dei comitati di base in una_ vasta opera di epurazione. Le candidature ai comitati vengono poste liberamente, ed il voto é segreto, ma intorno ad ogni candidatura si apre la discussione. Il candidato é tenuto a rispondere alle domande che gli vengono poste, ed é raro che non si giunga alla domanda chiave: «Che cosa pensate del 17 giugno? quale é stato allora il vostro atteggiamento? ». Se la risposta non é soddisfa
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 187
cente la candidatura viene scartata, o con la votazione pubblica o con l'opposizione dei partigiani del regime che sono presenti. In tal modo il partito riesce ad epurare dai comitati di base gli elementi simpatizzanti col 17 giugno; ma, nello stesso tempo, si verifica un fatto che getta l'allarme fra i dirigenti: la percentuale degli operai nel partito diminuisce, ed ancora più essa diminuisce nei comitati. La Volkstimme, giornale locale di Magdeburgo, annuncia che nei comitati di nuova elezione vi é il 35,5% di operai ed il 41,4% di impiegati. Né é escluso che, fra gli operai, ve ne siano di anziani, diventati burocrati.
Nel solco delle discussioni che sempre si rinnovano sui fatti del 17 giugno, ogni sorta di altri problemi politici viene posta: «Perché la nostra stampa non pubblica per esteso le dichiarazioni di Molotov? » (30), viene domandato audacemente ad una riunione. Ad una riunione circoscrizionale, un antico militante socialista rimpiange l'avvenuta unificazione socialista comunista, visti i suoi risultati: ció non toglie che la conferenza lo presenti come candidato alla direzione. In un'altra riunione, un delegato chiede che vengano tolti i perm[...]

[...]o di anziani, diventati burocrati.
Nel solco delle discussioni che sempre si rinnovano sui fatti del 17 giugno, ogni sorta di altri problemi politici viene posta: «Perché la nostra stampa non pubblica per esteso le dichiarazioni di Molotov? » (30), viene domandato audacemente ad una riunione. Ad una riunione circoscrizionale, un antico militante socialista rimpiange l'avvenuta unificazione socialista comunista, visti i suoi risultati: ció non toglie che la conferenza lo presenti come candidato alla direzione. In un'altra riunione, un delegato chiede che vengano tolti i permanenti del partito nelle fabbriche, esprimendo con ciò il voto di numerosi militanti di base. La violenza con la quale gli viene risposto sta a testimoniare che egli ha toccato un punto sensibile della nuova classe dirigente: « Questo punto di vista favorisce... le manovre imperialistiche contro il nostro partito; esso é un aspetto di lotta ipocrita dei trotskisti » (31).
Non é un caso che Fred Oelssner scelga questo momento per tornare a sottolineare, come nel 1949, la necessità di « ...vincere, nei ranghi del partito, i residui delle false concezioni di Rosa Luxembourg ». La grande teorica dell'estrema sinistra del Socialismo, le cui polemiche con Lenin sulle questioni del partito eran state celebri, era stata assassinata, ricordiamolo, da 35 anni.
An[...]

[...]isteva nel premere sulla massa dei piccoli e medi contadini individuali per indurli ad aderire alle cooperative. Dopo il giugno, e per qualche settimana, si consente ai cooperatori di tornare all'economia individuale; la politica che attualmente Ulbricht definisce adotta una direttiva mediana : le cooperative verranno mantenute e verranno favorite nella consegna dei prodotti industriali; in cambio nessun contadino sarà costretto a farne parte. « Gli operai », dichiara Ulbricht, « si appoggeranno tanto sui contadini lavoratori individuali quanto sui cooperativisti ». Si tratta adesso per il partito di isolare i contadini ricchi senza tuttavia minacciarli di espropriazione. Walter Ulbricht invita a venire nella Repubblica Democratica tedesca delle delegazioni di contadini della Germania Occidentale.
Rivolgendosi agli imprenditori privati delle città Walter Ulbricht constata che i piccoli imprenditori e gli artigiani rappresentano all'incirca il 20% della produzione industriale del paese. Il loro peso sociale
pera sproporzionato a questa cifra : il solo artigianato impiega 700.000 uomini. Anche per costoro, così come per i contadini privati, Ulbricht non fa piú questioni di espropriazione, e neanche di vantaggi particolari, come era il caso nel giugno 1953. Ulbricht promette agli imprenditori privati una certa libertà di iniziativa e degli sbocchi sicuri per la loro produzione, dichiarando allo stesso tempo che « il potere statale della repubblica democratica tedesca si appoggia sul blocco dei partiti democratici antifascisti », ossia il S.E.D. ed i partiti borghesi liberaldemocratici e cristianodemocratici. Il discorso è indubbiamente rivolto
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 189
alla piccola borghesia della Germania Occidentale, alla quale pure Ulbricht rivolge l'invito di recarsi a visitare la Repubblica Democratica tedesca.
Ulbricht propone insomma agli imprenditori privati una specie di mercato che[...]

[...]repubblica democratica tedesca si appoggia sul blocco dei partiti democratici antifascisti », ossia il S.E.D. ed i partiti borghesi liberaldemocratici e cristianodemocratici. Il discorso è indubbiamente rivolto
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 189
alla piccola borghesia della Germania Occidentale, alla quale pure Ulbricht rivolge l'invito di recarsi a visitare la Repubblica Democratica tedesca.
Ulbricht propone insomma agli imprenditori privati una specie di mercato che potrebbe tosi definirsi: « Voi non sarete molestati nella vostra attività, ma non tentate di riprendere la vostre antiche posizioni; lavorate e quando è il caso siate testimoni della pace che regna nel paese ». Rivolgendosi poi agli operai, Walter Ulbricht cambia tono e tiene un linguaggio diverso. I cinque o sei quarti d'ora del suo discorso dedicati agli operai possono così riassumersi: « Lavorate con accanimento, il paese vi appartiene, tutte le strade vi sono aperte. Entrate nell'apparato dello Stato, nelle commissioni economiche, salite nella scala sociale: 10 ministri su 20 sono degli ex operai, così come lo sono 2.300 consiglieri generali, circa i due terzi del totale... ». Con questo Ulbricht intende risolvere il dilemma più grave del regime, che consiste nel non poter distaccarsi dagli operai né fidarsi di loro. Ecco l'eufemismo che Ulbricht adotta per citare la dura lotta svoltasi durante la scorsa estate intorno all'aumento delle norme: « E noto che lo scorso anno si è discusso su questioni attinenti alle norme di lavoro ». Questa di Ulbricht non é affatto la politica dello struzzo, ma un atteggiamento coerente davanti al mondo delle fabbriche che potrebbe così riassumersi: invitare i più dotati fra gli operai a salire nella scala sociale ed a integrarsi nell'apparato statale; appoggiarsi su questo apparato di origine operaia per dimostrare a tutti i lavoratori che lo stato é loro e per isolare gli oppositori del regime.
Il problema della produzione agricola ha avuto un posto di rilievo nel rapporto di Ulbricht. Il segretario generale ha fatto suo con questo le preoccupazioni del comitato centrale dell' URSS, seguendo gli esempi dei congressi dei partiti degli altri paesi di democrazia popolare tenutisi negli ultimi mesi. Vi é tuttavia una differenza importante fra la Germania Orientale e, per esempio, la Bulgaria o l'Ungheria. In questi paesi agricoli, a scarsa densità di popolazione, un aumento della produttività nelle campagne é sufficiente per elevare il livello di vita della popolazione. Ma il livello di vita degli abitanti della repubblica democratica tedesca dipende soprattutto dalla possibilità di esportare con profitto : macchine, apparecchi ottici ed elettrici, prodotti chimici. Ora, per poter esportare, la Germania Orientale ha bisogno anzitutto di importare le materie prime. Nello scorso giugno Grotewohl, che era
190 COMUNISMO E OCCIDENTE
allora il personaggio di primo piano del regime, annunciava la sospensione dei lavori del Kombinat dell'Oder, e sottolineava che ciò rendeva disponibili dei crediti da assegnare alle industrie leggere. Ulbricht invece annunciava ai congressisti la messa in mar[...]

[...]invece annunciava ai congressisti la messa in marcia del quinto altoforno di quella fondamentale industria siderurgica. Era questa una vittoria della tendenza c< dura» sulla tendenza della distensione? Non vi é dubbio. Ma questa stessa vittoria corrisponde ad un retroscena economico: il nuovo corso, quale era stato formulato nello scorso giugno, non era attuabile se non in una prospettiva di distensione internazionale, o quanto meno di ripresa degli scambi economici, ripresa che non si era verificata. Ora, la democrazia popolare tedesca di oggi non corrisponde che alla Germania centrale di ieri: zona di industrie manifatturiere altamente qualificate, chiusa fra due zone di industria pesante: la. Ruhr e la Slesia. Tagliata fuori la Ruhr, perduta ed integrata nell'economia polacca la Slesia, nella impossibilità di importare acciaio e materiale semilavorato dai paesi dell'Est, i quali ne scarseggiano, la Germania Orientale tende all'autarchia, e con immensi sacrifici si procura una industria pesante. Ulbricht é semplicemente il rappresentante di questa necessità, la stessa necessità che si era imposta all' URSS e della quale Stalin aveva fatto una virtù. Perciò Ulbricht annuncia come una vittoria al Congresso che il numero degli altiforni del Kombinat di Calbe é di 10 e sarà portato a 20. È da notare che quest[...]

[...] Slesia, nella impossibilità di importare acciaio e materiale semilavorato dai paesi dell'Est, i quali ne scarseggiano, la Germania Orientale tende all'autarchia, e con immensi sacrifici si procura una industria pesante. Ulbricht é semplicemente il rappresentante di questa necessità, la stessa necessità che si era imposta all' URSS e della quale Stalin aveva fatto una virtù. Perciò Ulbricht annuncia come una vittoria al Congresso che il numero degli altiforni del Kombinat di Calbe é di 10 e sarà portato a 20. È da notare che questi altiforni sono i soli in tutto il mondo che funzionano a lignite (la Germania Orientale non produce antracite) il che rappresenta un successo tecnico. Ma,. fatto tipico in una economia ripiegata su se stessa, il reddito di questa impresa non sembra essere preso in considerazione. Cosi Ulbricht poteva annunziare al Congresso che l'insieme della produzione industriale ha raggiunto nel 1953 il 176% del livello del 1936. Che la metallurgia pesante e la produzione di energia ha raggiunto il 200%, mentre la costruzi[...]

[...]on ciò il livello di vita della popolazione sia aumentato di altrettanto. Significa ciò che il nuovo corso é definitivamente condannato ? No. Ulbricht annuncia che nel 1954 verrà stanziato un miliardo di marchi di crediti fuori piano per l'agricoltura e per l'industria leggera. L'economia della Germania Orientale sembra disporre di un certo margine, costituito dall'annullamento delle riparazioni dovute all' URSS e forse anche dal rallentamento degli investimenti nell'industria pesante annunciati, senza che ne vengono forniti dettagli, dallo stesso Ulbricht.
La soluzione dei problemi della Germania Orientale risiederebbe
BENNO SAREL PROLETARIATO E ORDINE DEMOCRATICO POPOLARE 191
nella ripresa degli scambi internazionali. Da notare a questo proposito che una esposizione dei prodotti industriali della R.D.A. si é aperta in marzo al Cairo. Vi sono però due elementi che si oppongono alla larga ripresa degli scambi commerciali del paese : anzitutto la situazione internazionale; in secondo luogo la qualità tuttora incerta dei suoi prodotti industriali (Ulbricht stesso lo metteva in evidenza) conseguenza a sua volta di una ricostruzione effettuata troppo rapidamente ed in cattive condizioni. Nel migliore dei casi, occorrerà ancora qualche anno perché la situazione del paese si normalizzi. Tracciando le grandi linee del secondo piano quinquennale, destinato a svolgersi fino al 1960, Ulbricht rinviava al compimento di esso quel superfluo e quel lusso che era stato promesso per il 1955.
Ulbricht ha raccolto grandi applausi quando ha menzionato la concessione dei diritti di sovranità accordati al paese dell' URSS. È forse questa la ragione principale del tono di sicurezza e di ottimismo del suo discorso? No, nonostante che la dichiarazione sovietica rappresenti, a parte i motivi di politica i[...]

[...] l'ostilità della classe operaia e, come riflesso di questa, i profondi dissensi sorti fra i capi stessi. Ma il tono di Ulbricht corrisponde anche ad un incontestabile dinamismo di quella giovane classe dirigente che ancora si stupisce di vedere come il sistema da essa incarnato fuziona; come nonostante le proprie contraddizioni, essa « fa camminare » il paese.
La società della Germania Orientale sta cristallizzandosi intorno a questi due poli: gli operai e la classe dirigente. Al punto in cui siamo, iI movimento degli operai ha da risolvere tre generi di problemi, che d'altronde si condizionano a vicenda : trovare una formula organizza tiva adatta alla situazione; darsi un programma, una ideologia che contenga una definizione della nuova classe dirigente; uscire dall'isolamento, allearsi con i contadini e con gli intellettuali, prendere contatto con i movimenti operai di oltre frontiera, ed allo stesso tempo impostare, a modo proprio, il problema dell'unità tedesca. Il suo avvenire dipenderà dalla sua capacità di risolvere tali problemi.
BENNO SAREL
ERRATACORRIGE. Nel numero precedente, nell'articolo di G. della Volpe, si
corregga come segue: a p. 139, riga 17 dall'alto, invece di « compresa u leggasi « compressa II.



da Saverio Montalto, Memoriale dal carcere in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]un freddo agghiacciante nelle vene e che il cuore cessa di battere e che 1*anima rimane sbigottita e atterrita. Oh, come un giorno agognavo di poter raccontare certi fatti della mia vita con la mente sgombra e serena! Ma i Fati, forse per loro ragioni speciali, non hanno permesso ed

io raccolgo le ultime forze che mi avanzano e mi sottometto ancora una volta alle loro imposizioni! E se non temessi di essere tacciato da pusillanime dal resto degli uomini, oserei affermare che in certi momenti delFindividuo, solo il nulla può essere Tunica ancora di salvezza. Perché, perché, mi domando, Tu, o regolatore del Mondo, hai voluto scegliere me per attore a rappresentare una delle più orribili tragedie della realtà ? Non ero parte anch’io del tuo complesso organismo, oppure sono stato uno degli indegni? Non mi sembra, perché anch’io, per la mia poca parte, ti ero servito al comun scopo di bene! E spero almeno riconoscerai, che la tua intenzione non è stata quella di far rivivere un secondo Caino!

(*) L’autore del presente memoriale, Saverio Montalto, era un modesto impiegato comunale in un paese qualunque della Sicilia. Aveva fatto la prima guerra mondiale con le classi più giovani, era stato ferito e fatto prigioniero. Ritornato al suo paese natale ed ottenuto un posto di impiegato nel comune di un paese vicino, si era dato ad una vita disordinata confondendosi con la borghesia [...]

[...]iegato nel comune di un paese vicino, si era dato ad una vita disordinata confondendosi con la borghesia inutile e vana che lo circondava. Però non ne era soddisfatto. Innamoratosi di una ragazza di quella borghesia, si accorse a sue spese come, in tale ambiente, l’amore non sìa un sentimento apprezzabile. Riprese la sua vita dissipata, trascinato dal demone dell’immaginazione e della sensualità, finché non si trovò avvinto nelle reti di una famiglia insidiosa, dove era caduta pure la sorella, sposa infelicissima.

A questo punto Saverio Montalto si ritira dalla società, preferendo la solitudine della sua cameretta in una modesta casa di affitto. Uno scrittore che lo conosce gli offre la sua amicizia, incoraggiandolo; e Saverio Montalto incomincia a leggere e aMEMORIALE DAL CARCERE

125

Incomincio coll’anno 1927. Nella mia casa nativa di M... mio zio Arciprete era morto da due anni, le mie due sorelle maggiori erano sposate per i fatti loro una a M... stesso e l’altra a R.« e perciò in famiglia erano rimasti mio padre, il quale ancora abbastanza vegeto accudiva ai lavori della piccolissima proprietà che avevamo, e mia sorella Anna ventiquattrenne che accudiva alle faccende domestiche. Io, dato che ormai avevo il posto di applicato comunale definitivo a N..., andavo e venivo soffermandomi di quando in quando anche la notte a M... Io, è notorio, ho voluto sempre bene ai miei parenti facendo nei limiti del possibile non lievi sacrifici per loro, ma per questa mia sorella poi nutrivo, fin d’allora, un affetto speciale. Me la ricordavo piccina piccina di quando la mamma ci aveva abbando[...]

[...]che lei sapeva comprendermi bene anche nei discorsi un po* fuori del comune, sia perché aveva fatto la sesta elementare e letto abbastanza, sia perché come intelligenza di donna si elevava al disopra delle altre che io conoscevo. E, del resto, come può nascere un vero affetto ed una vera amicizia anche fra familiari senza una comprensione perfetta e reciproca? E qui non posso fare a meno a non ricordarmi di quando ultimamente i componenti la famiglia Armoni, ed in ispecie mia moglie e mio cognato Giacomo, non sapendo che cosa rispondere ad alcune parole di mia sorella, sentendosi punti sul vivo e che non potevano fare a meno a non riconoscere la loro meschinità, esclamavano sarcasticamente: « Già, ci dimenticavamo che è intelligente come il fratello! ».

Da tuttociò ognuno può immaginare, dato anche che ormai mio zio Arciprete non c’era più e quindi la responsabilità* della famiglia

scrivere, scoprendo, accanto al mondo meschino della provincia, un altro mondo, più Ubero e puro, quello della fantasia e del pensiero.

Sposa poi in circostanze poco chiare una ragazza di quella famiglia che aveva preso a dominarlo, ricattandolo specialmente con la persecuzione della sorella, da lui amata teneramente, e si chiude sempre più in un suo segreto dolore. Infine, scoppia fulminea e travolgente la tragedia: uccide la sorella, ferisce la moglie ed il cognato.

Perchè lo fece? In questo memoriale, scritto in sua difesa nel carcere, durante il periodo istruttorio, vi è una risposta: un tentativo sincero e profondo di spiegare quelli che sono i motivi misteriosi delle azioni umane. Si ha non solo un documento umano di grande valore, malgrado le probabili riserve consigliate dalla difesa, ma una rappresentazione di vita, pregevolissima. L’autore ha saputo scavare nel mondo tenebroso delle sue passioni, dominandole con la forza della sua fantasia trasfiguratrice. Schiavo degli altri, nella condizione più orribile che si possa immaginare, si è reso libero da sé, con la forza dello spirito. Parole alate e accenti commossi miracolosamente gli sono sgorgati dal cuore colmo di angoscia: un uomo, sofferente nella sua nudità, si è rivelato.126

SAVERIO MONTALTO

ce l’avevo quasi tutta io, giacché su mio padre, uomo di campagna ed avanzato in età, non si poteva tener molto conto, come trepidavo e ci tenevo a collocar bene questa mia sorella innalzandola se mi fosse stato possibile, fino alle stelle. C’erano state già diverse ambasciate di matrimonio, ma quando per una ragione e quando per un’altra ancora non si era potuto stringere definitivamente con nessuno.

Un bel giorno venni a sapere da una donna fidata che frequentava la [...]

[...]sorella se n’era innamorato. Mia sorella a sua volta se n’era innamorata di lui pazzamente e inoltre ora si corrispondevano per mezzo di lettere. Mi disse anche che mia sorella aveva timore di dirlo a me, ma che presto il giovanotto a nome don Giacomo Armoni si sarebbe accostato a me per chiedere la sua mano; Io rimasi assai addolorato e perplesso come mai mia sorella aveva fatto ciò senza farmi sapere nulla e pregai pel momento la donna di sorvegliarla e di non dirle niente che io sapevo già il fatto almeno finché non mi fossi informato del come e del quanto.

A N... venni a sapere che veramente c’era un assai modesto commerciante di tessuti a nome don Cesare Armoni oriundo da T..., che

10 conoscevo già di vista, padre del Giacomo e di altra numerosa prole, ma che lui ed in ispecie la moglie non ne volevano sapere affatto di questo matrimonio del figlio e ciò non solo perché c’era prima una figlia da collocare sicuramente, a dir loro, con un professionista o medico o avvocato, ma anche perché principalmente pretendevano che

11 loro figlio così bello, così grande affarista, così temuto che dove passava lui tremava la terra ecc. ecc. doveva sposare almeno almeno una principessina milionaria e di alto lignaggio e non mai una donna povera e di basse condizioni sociali come mia sorella. Seppi anche che il Giacomo era un giovanottino di primo pelo installato con una botteguccia di tessuti nella via Vecchia di T... rinomata allora nel paese perché ci abitava il fior fiore della prostituzione e che il giovanottino non solamente spandeva e spendeva, come si suol dire, interesse e capitale, ma per quanto ambiva passare per valoroso cap[...]

[...]izioni sociali come mia sorella. Seppi anche che il Giacomo era un giovanottino di primo pelo installato con una botteguccia di tessuti nella via Vecchia di T... rinomata allora nel paese perché ci abitava il fior fiore della prostituzione e che il giovanottino non solamente spandeva e spendeva, come si suol dire, interesse e capitale, ma per quanto ambiva passare per valoroso capo dell’onorata società, il che, naturalmente, i delinquenti locali glie lo lasciavano fare, sempre, s’intende col loro tornaconto e guadagno. Per allora non seppi altro, ma in seguito venni ad appurare ancora che i genitori non solo erano orgogliosi e contenti di questo comportamento del loro Giacomo,MEMORIALE DAL CARCERE

127

ma che una volta, dato che una persona bempensante del paese di T... aveva cercato di mettere in guardia il padre della piega presa dal figlio, il padre, anziché ringraziare la gentile persona, rispose a male parole concludendo con boria che suo figlio era all’altezza di sapere quello che faceva e che nessuno doveva permettersi d’ingerirsi negli affari suoi.

Ritornato a M... chiamai mia sorella e la misi al corrente di tutto supplicandola e scongiurandola di desistere dalla sua malsana idea insistendo principalmente sul fatto che lei era molto più grande di lui e che perciò ne veniva di conseguenza che lui, dopo sposati, presto se ne x sarebbe stancato e sicuramente l’avrebbe abbandonata. Ma lei non volle sentire ragione e mi disse che quand’anche i genitori del suo amato non avessero voluto acconsentire presto al matrimonio, lei avrebbe atteso finché lui non si fosse emancipato e reso libero ed indipendente da loro. Per il fatto [...]

[...]lo conoscevo, aveva soggiogato anche me!

All’indomani mattina mentre scendevo verso N... mi vedo avvicinare a metà strada da un giovanotto, il quale, tenendo la testa bassa ed un comportamento più da maffioso che da persona perbene, mi disse : « Io sono il fidanzato di vostra sorella! ».

Io intesi che il solito fremito di paura , mi agghiacciò, ma mi dominai con un grande sforzo di volontà e risposi : « Ah sì ? E che cosa volete? ».

« Voglio chiedervi la sua mano! ».

«A me? Prima di me c’è mio padre! Io non conto! ».

«No! So che voi contate tutto!».

«Ma vi sembra regolare chiedermi voi la mano direttamente, così in mezzo alla strada? Anzitutto voi siete figlio di famiglia senza128

SAVERIO MONTALTO

nessuna posizione e quindi non potete sostenere il peso di una nuova famiglia, e, poi, c’è anche che i vostri genitori non acconsentono che voi vi sposiate! Fate venire i vostri genitori e poi si vedrà! ».

« I miei genitori per ora non possono venire! Ma non importa! Voi intanto mi ammettete in casa e poi quando ritornerò dal soldato mi sposerò! ».

« Ma avete pensato che non è giusto ammettere in casa un ragazzo come voi figlio di famiglia? E poi mia sorella ha ventiquattr’anni e voi appena diciotto. Che l’uomo sia più grande in età è meglio, ma per la donna non è così! ».

« Io non sono un ragazzo come voi dite, perché io mi sento più a posto di coloro che sono grandi! Riguardo poi alla differenza d’età ho molto piacere che sia proprio così! Ed allora accettate o non accettate? ».

«Pel momento, mi dispiace; ma non posso accettare nulla».

Il giovanotto a questo punto si allontanò senza, se ben ricordo, neanche salutare.

Passarono diversi mesi. Io intanto cercai di dissuadere sempre più mia sorella con ogni mezzo compreso quello di allontanarla momentaneamente da M... mandandola a R... dall’altra mia sorella sposata, m[...]

[...]ervì ad aumentare sempre più il mio fondo trepido e pauroso per cui rimanevo stordito e intontito senza sapere più come regolarmi e le decisioni da prendere.

Fu verso questo periodo che una mattina di buon’ora a N... intesi bussare alla porta. Andai ad aprire e ti vedo entrare mio padre. Capii subito dalla sua faccia che doveva essere successo qualcosa di grave e per poco il mio cuore non cessò di battere. Si sedè e mi raccontò colle lagrime agli occhi che durante la notte aveva sorpreso il Giacomo Armoni nella stanza di mia sorella. Mi disse che aveva cercato di reagire, ma che lui, dato che era giovine e più forte, aveva avuto il sopravMEMORIALE DAL CARCERE

129

vento. Allora mio padre li aveva lasciati al loro destino e se n’era allontanato di casa. Io pregai mio padre di andare momentaneamente a stabilirsi dall’altra mia sorella a R... e lui pazientemente se ne andò. Come si fu allontanato mi sdraiai sul letto colla faccia affondata nel cuscino e non so per quanto tempo vi rimasi immobile e senza coscienza. Non so più quando[...]

[...]te: «Vile, vile! Ah, ah! Che campi a fare ormai? Sì, sì; non solo vile, ma anche becco! Ah, ah! ». E ci volle molto tempo perché mi persuadessi in qualche modo che poi, in fondo, la gente si preoccupava dei casi miei tanto e non quanto. Mi rammento che in questo periodo un giorno incontrandomi col mio collega Giovanni Mollica, mi disse: «Ho saputo che Giacomello è fidanzato con tua sorella. Stai attento che dopo che le mangia quello che ha, la piglia a bastonate e la caccia via ». Io finsi di non capire e così passò anche questa. Superata la vera crisi decisi, in via d’accomodamento provvisorio, di abbandonare mia sorella al suo destino e pregai anche mio padre e le altre mie sorelle di non occuparsene più neanche loro. Ma non era questa la vera via d’uscita, perché ora più di prima amavo mia sorella e benché mi sforzassi di non pensare più a lei, in alcuni istanti sentivo inavvertitamente che l’anima sanguinava per la sua perdita e che nel contempo l’avvilimento mi abbatteva sempre più e che la paura di dovermi incontrare da un momento [...]

[...]TO

vano, in modo di non avere occasione di ritornarci più, e m’incontrai nella mia casa coll’Armoni, e con un’altra faccia che neanche ebbi la forza di guardare, per poco non svenni dalFavvilimento e dalla paura ed entrai ed uscii muto e fuori di me e senza sapere ove ero e ove mi trovavo.

Dopo qualche tempo credei di aver trovato il rimedio di tutti i mali: avevo comprato da poco l’automobile e mi misi a scorazzare di qua e di là insieme agli amici in cerca di felicità attraverso ogni sorta di svago e divertimento colla speranza di far tacere il tormento che per partito preso tenevo celato in fondo al cuore. Qualcuno in quel tempo mi prese per pazzo, e credo che non aveva tutti i torti, perché sciupavo a destra e a manca non solo tutto quello che guadagnavo ma anche ciò che avevo potuto realizzare vendendo parte della mia poca proprietà e quando non potevo avere danaro diversamente prendevo a prestito presso banche e privati che mi davano credito.

Arrivai così verso la metà del 1930 e mi trovavo oberato di debiti e mezzo rovina[...]

[...] pazzo, e credo che non aveva tutti i torti, perché sciupavo a destra e a manca non solo tutto quello che guadagnavo ma anche ciò che avevo potuto realizzare vendendo parte della mia poca proprietà e quando non potevo avere danaro diversamente prendevo a prestito presso banche e privati che mi davano credito.

Arrivai così verso la metà del 1930 e mi trovavo oberato di debiti e mezzo rovinato. In questo frattempo erano avvenuti vari mutamenti. Gli Armoni erano falliti ed avevano liquidato tutto rimanendo sul lastrico, e, del resto, non poteva andare altrimenti, data la loro stupidaggine ed inettitudine, tanto vero che quando si voleva nel paese dire che un individuo era veramente sciocco, si esclamava : « È più stupido di don Cesare Armoni! ». Ultimamente veramente avevano riaperto il negozietto, ma non c’era più nulla e se vendevano qualche scampolino non bastava per il pane e tutti si domandavano come facevano proprio a vivere. Avevo saputo anche, e ciò m’importava più di tutto, che mia sorella aveva venduto tutta la sua parte di pro[...]

[...]he mia sorella non aveva più nulla cercava di allontanarsi pian piano e che nonMEMORIALE DAL CARCERE

131

intendeva più sposarla. Mia sorella di questo fatto aveva avuto anche lei sentore ed aveva dichiarato che quando diventava certa e sicura che l’Armoni non l’avesse più sposata sarebbe andata a gettarsi di notte tempo in un pozzo vicino al paese. Più tardi venni a sapere ancora che se io mi fossi messo in mezzo impegnandomi di sborsare agli Armoni una data cifra, forse poi il Giacomo ed i suoi genitori avrebbero acconsentito al matrimonio. Pensai: «Ormai è senza onore e senza dote e se non la sposa lui non la sposerà nessuno. E certamente finirà o nel pozzo o chi sa come. Mi conviene perciò far qualunque sforzo e sacrificio purché la sposi immediatamente ». E poi, benché cercassi di rimanere persuaso al contrario, l’amavo sempre ed ora più di prima giacché la sapevo maggiormente in pericolo. Mi recai a M... dal mio amico Avv. Giulio Sacerdote, lo misi al corrente di tutto e

10 pregai d’intromettersi lui nella faccenda e di ag[...]

[...]te di tutto e

10 pregai d’intromettersi lui nella faccenda e di aggiustare ogni cosa al più presto possibile. L’amico Sacerdote si prestò fraternamente ad accomodare tutto e difatti dopo alcuni giorni mi vidi arrivare in casa

11 Giacomo Armoni, il quale senza tanti preamboli mi disse : « Se volete che sposi vostra sorella mi dovete dare cinquemila lire! ».

« Sta bene! » dico io. « Sposatela immediatamente che l’avrete ».

« Ma io li voglio subito! ».

«Subito, subito, non ve le posso dare. Ma non dubitate che non appena sarete sposati ve le darò ».

Per quel giorno se ne andò; ma dopo pochi giorni ritornò per dirmi che non poteva sposare subito anche perché non aveva trovato casa e che in casa sua non c’era spazio sufficiente per alloggiare una nuova famiglia. Io gli risposi che poteva sposare subito lo stesso giacché pel momento lui e mia sorella potevano venire ad abitare con me dato che avevo cinque stanze ed abitavo solo, che non era il caso di fare inviti o altro, che per le poche spese di matrimonio ci avrei pensato io ed anche per il loro mantenimento finché non si fossero messi in condizioni di non avere bisogno di nessuno. Lui accettò e così decidemmo che all’indomani saremmo andati insieme ai suoi a M... per riconciliarmi con mia sorella. Difatti all’indomani mattina andammo a M..., ci riabbracciammo con mia sorella piangendo entrambi lungamente[...]

[...] in condizioni di non avere bisogno di nessuno. Lui accettò e così decidemmo che all’indomani saremmo andati insieme ai suoi a M... per riconciliarmi con mia sorella. Difatti all’indomani mattina andammo a M..., ci riabbracciammo con mia sorella piangendo entrambi lungamente senza poterci dire una parola e ritornammo ad amarci c volerci bene come un tempo. Quel giorno fu uno dei giorni più felici della mia vita.

Il matrimonio si celebrò verso gli ultimi giorni di dicembre di quel 1930. Mia sorella conservava ancora duemila lire che consegnò132

SAVERIO MONTALTO

al suo Giacomo, il quale parte diede a suo padre e parte tenne per sé per recarsi a Palermo insieme a mia sorella per qualche giorno in viaggio di nozze. Dopo alcuni giorni ritornarono e così vennero a stabilirsi presso di me nella casa che abitavo anche ultimamente.

Questa la vera storia ed i fatti che mi costrinsero a mettermi in relazione con la famiglia Armoni, la quale mi portò in seguito nel baratro profondo in cui mi trovo.

I primi a frequentare allo spesso l[...]

[...]el 1930. Mia sorella conservava ancora duemila lire che consegnò132

SAVERIO MONTALTO

al suo Giacomo, il quale parte diede a suo padre e parte tenne per sé per recarsi a Palermo insieme a mia sorella per qualche giorno in viaggio di nozze. Dopo alcuni giorni ritornarono e così vennero a stabilirsi presso di me nella casa che abitavo anche ultimamente.

Questa la vera storia ed i fatti che mi costrinsero a mettermi in relazione con la famiglia Armoni, la quale mi portò in seguito nel baratro profondo in cui mi trovo.

I primi a frequentare allo spesso la mia casa furono i genitori e la sorella Aurora di mio cognato di qualche anno maggiore di lui e cioè ventiquattrenne. I due gemelli allora undicenni venivano per fare qualche servizietto e per trasportare Pacqtia dal vicino pozzo o dalla vicina fontana, il fratello Lorenzo l’attuale insegnante si trovava volontario a fare il, corso di allievo sergente, il fratello Giovanni c’era ma faceva solo qualche apparizione improvvisa e poi scappava via e le altre due sorelle Elena ed Iva [...]

[...] mio cognato di qualche anno maggiore di lui e cioè ventiquattrenne. I due gemelli allora undicenni venivano per fare qualche servizietto e per trasportare Pacqtia dal vicino pozzo o dalla vicina fontana, il fratello Lorenzo l’attuale insegnante si trovava volontario a fare il, corso di allievo sergente, il fratello Giovanni c’era ma faceva solo qualche apparizione improvvisa e poi scappava via e le altre due sorelle Elena ed Iva l’attuale mia moglie che venivano dopo l’Aurora si vedevano anche loro raramente, perché impegnate, dicevano loro, l’Elena all’assesto della casa e la Iva a stare in permanenza nel negozio specie quando non c’era presente il padre, per vendere qualcosa di ciò che ancora vi era rimasto. Io, dato che li sapevo in ristrettezze, i presenti, e specialmente i genitori e l’Aurora, i quali erano, ripeto, in quel periodo i più assidui in casa mia, li facevo restare spesso a pranzo con noi o a cena. Dopo un certo tempo me ne accorsi che sia la madre che la figlia se ne venivano da noi tutte addobbate e impomatate e che no[...]

[...]ano loro, l’Elena all’assesto della casa e la Iva a stare in permanenza nel negozio specie quando non c’era presente il padre, per vendere qualcosa di ciò che ancora vi era rimasto. Io, dato che li sapevo in ristrettezze, i presenti, e specialmente i genitori e l’Aurora, i quali erano, ripeto, in quel periodo i più assidui in casa mia, li facevo restare spesso a pranzo con noi o a cena. Dopo un certo tempo me ne accorsi che sia la madre che la figlia se ne venivano da noi tutte addobbate e impomatate e che non tralasciavano occasione per mettere in mostra la loro bellezza e le loro qualità personali. La madre principalmente, ad ogni minimoché, non faceva altro che magnificare la sua bellezza di quand’era giovane, che, del resto, si poteva vedere anche oggi che aveva circa quarantasei anni (e forse si avvicinava ai cinquanta) e che era madre di otto figli. Della sua bontà poi, del suo sapere fare come economia e come donna di casa, della sua onestà principalmente e di tante cose e rose che non ricordo più, non c’era neanche d’avere la più minima idea, giacché era stata sempre la regina di N... e contorni e tutte le altre donne le quali si credevano per davvero signore perbene, in confronto a lei dovevano nascondersi, giacché tutte sommate assieme non valevano nemmeno il dito mignolo del suo piede; e, a questo punto, quando ci trovavamo soli, soleva aggiungere: «Ma sono stata sfortunata! Non per causa mia, ma per causa di mio marito, di quello [...]

[...]nore perbene, in confronto a lei dovevano nascondersi, giacché tutte sommate assieme non valevano nemmeno il dito mignolo del suo piede; e, a questo punto, quando ci trovavamo soli, soleva aggiungere: «Ma sono stata sfortunata! Non per causa mia, ma per causa di mio marito, di quello stupido, di quello sciocco che non ha voluto ascoltare le mie parole, perché sennò ora non ci troveMEMORIALE DAL CARCERE

133

remmo a questo stato e con una figlia di ventiquattr’anni in casa. E non perché non ha avuto matrimoni a bizzeffe, perché tutto il mondo conosce la sua straordinaria bellezza, la sua grande onestà ed ingenuità, la sua intelligenza che ciò che vede cogli occhi fa con le mani, senza parlare poi di quello che sarebbe capace di fare lei in una casa che son sicura che dal niente la farebbe salire alle stelle. Anche ora abbiamo un matrimonio per le mani, un certo Mico Spezzano di R... che sta diventando pazzo, ma io non voglio perché so che suo padre è un uomo di quelli... mi capite? Ma ci ha colpa mio marito! Ma lui me l’ha pagata! Sapete che io non lo voglio più vedere e che siamo divisi? È da tanto tempo che dormiamo ognuno per conto nostro. Ed è stato anche per causa sua che i miei fratelli, quello che sta qui a N... e quello dell’America mi hanno abbandonata e non vogliono più saperne di me. Ma a me interessa poco anche di loro. Mi accontento che le mie figlie ed i miei figli facciano i servi, ma da loro non vado. Però io spero che il Signore m’aiuterà e che quanto prima sposo le mie figlie, giacché per i maschi non ci penso affatto, e così poi voglio divertirmi e scialarmi, perché io ancora sono giovane e bella ed è proprio ora che incomincio a gustare e a capire che significa divertimento, perché fino ad ora, si può dire, che sono stata una ragazzina ingenua! Io e voi non sembriamo di eguale età, non è vero? », Io sorridevo e non potevo fare a meno a non acconsentire a tuttocciò che diceva. La figlia poi sembrava per davvero un’angela calata dal paradiso: nei modi, nel comportamento, nella benevolenza verso mia sorella, per quanto verso di me si mantenesse alquanto riservata e noncurante: si notava in lei solamente un certo incedere risoluto, altero e spigliato che mentre da un lato la rendeva più attraente ed intraprendente dall’altro poteva far pensare piuttosto ad una donna navigata, ma nel resto tutto a meraviglia. La madre inoltre quando parlava di mia sorella e di me, ma in ispecie di mia sorella, sembrava addirittura che le volassimo entrambi dagli occhi. Dato ormai che il destino aveva voluto così ella ci considerava già più che figli e non c’erano parole adatte per potere esprimere tutto l’affetto che nutriva per noi due. Certo il suo Giacomo bello, il suo Giacomo meraviglioso, il suo Giacomo grande ed immenso era sempre la pinna del suo cuore, ma noi, noi eravamo ancora qualcosa più di lui! Anche don Cesare ed il resto dei figli, quantunque meno espansivi, si dimostravano a quell’epoca affettuosi, obbedienti e riverenti. Giacomo ora verso di me sembrava avere anche soggezione e sottomissione e mi fece ricredere in gran134

SAVERIO MONTALTO

parte di tutta la mia paura che un tempo avevo nutrito verso di lui. Ed io ci credevo a tutto, avevo considerazione e compassione perché la sfortuna aveva voluto metterli in quelle condizioni e mi attaccavo sempre più a loro, perché vedevo che ormai mia sorella era felice e ciò m’interessava più di tutto. Un vero conoscitore del mondo al mio posto forse avrebbe pensato: «Guar[...]

[...]ppoiché, fino allora, benché avessi già trentatré anni, avevo semplicemente vissuto la vita e, sia pure, attraverso varie vicende più

o meno dolorose. E la vita per essere conosciuta occorre che sia pensata e meditata e non solamente vissuta. Anche il bambino vive, ma non può dire di conoscere. E poi, in verità, c’era da pensare poco a certe cose: i debiti pressavano e bisognava pagare almeno gl’interessi e il peso della nuova e complessa famiglia si faceva sentire e come, considerato anche che il suocero di mia sorella aveva incominciato, oltre al resto, a chiedere spesso benché sotto titolo di prestito, specie quando non poteva aggiustare diversamente per la spesa giornaliera, del danaro, che io facevo di tutto per dare, sia perché non volevo figurare che stavo in brutte acque sia che mi sentivo obbligato per le cinque mila lire che avevo promesso a mio cognato Giacomo. Per fortuna che allora godevo anche della nona categoria di pensione per una ferita riportata in guerra e così in qualche modo me la cavavo bene. Avevo smesso anche [...]

[...]rutte acque sia che mi sentivo obbligato per le cinque mila lire che avevo promesso a mio cognato Giacomo. Per fortuna che allora godevo anche della nona categoria di pensione per una ferita riportata in guerra e così in qualche modo me la cavavo bene. Avevo smesso anche da un pezzo di andare al circolo, non facevo più spese inutili e pazzesche e dato ora che c’era mia sorella, quando non avevo altro da fare, o restavo in casa oppure mi recavo dagli Armoni ovvero andavo a sedermi nel loro negozio. In uno di questi giorni mi vidi chiamare dal sarto Antonio De Vincenzo da N... per dirmi che mio cognato prima di sposare gli aveva ordinato un vestito, ma dato che poi lui si era rifiutato di darlo in credito, giacché lo sapeva cattivo pagatore, mio cognato ora, a sua volta, gli aveva mandato a dire che il vestito non lo voleva più. Il De Vincenzo quindi prima di convenirlo in giudizio si era rivolto a.me per dirmi come doveva regolarsi. Io parlai con Giacomo e siccome Giacomo insistè che il vestito non lo .prendeva più, io dopo un lungo lavorio persuasi il sarto di venderlo ad un altro, ché se anche non avesse realizzato il suo vero prezzo, la differenza glie l’avrei rimborsata io. Ma la mia preoccupazione erano sempre le cinquemila lire che avevo promesso per quanto loro ora non avevano più il coraggio di dirmi niente dato tutto quello che giornalmente spendevo per loro. Cercai di fare altri debiti, ma nonMEMORIALE DAL CARCERE

135

trovai. Cercai di vendere a M... quell’altro poco di proprietà che mi rimaneva, ma ormai non acquistava più nessuno, per la scomparsa del danaro, ed anche se ci fosse stato qualcuno a voler comprare intendeva acquistare a prezzi irrisori. Anche mia sorella, ora che poteva vendere la casa, non trovò più chi l’acq[...]

[...] allora, un giorno che mi trovavo solo in casa con mia sorèlla, la chiamai e le dissi: «Senti Anna! Vedi che io ancora le cinquemila lire non le ho potute trovare, né penso che le troverò per ora. E poi, come sai, a nostro padre debbo badare io ed anche a nostra sorella di R..., dato che anche lei si trova un po’ male, di tanto in tanto debbo mandare qualcosa. Per te e per tuo marito, per il momento, ci penserò io a tutto ed anche per la sua famiglia per quanto posso. Intanto cercherò di sposarmi, giacché ormai che tu sei a posto, posso farlo senz’altro e così con la dote che prenderò si aggiusterà ogni cosa. E poi, se anche oggi vi dessi queste cinquemila lire, cosa fareste? Il negozio non ve lo potete impiantare sicuramente, perché cinquemila lire non bastano neanche per le tasse che si debbono pagare. Perciò conviene aspettare, perché intanto forse i tempi cambieranno e da cosa nasce cosa ».

«Per me figurati! Era per te che io mi preoccupavo, perché pensavo che volessi stare libero. Ma ormai che è così, per noi tanto di guadagnato.[...]

[...] che hanno scombinato il matrimonio, credo che non ci pensa più neanche lui. E poi come potevano fare? Se non hanno, come si dice, neanche per comprarsi il pane? Come facevano a dare le diecimila lire che il padre di Spezzano chiedeva? ».

Passarono diversi mesi. In questo frattempo mi era capitato un fatterello degno di essere raccontato. Ad un certo punto me n’ero accorto che la madre di mio cognato anziché venire da noi in compagnia della figlia, preferiva venire piuttosto sola ed allo spesso. Un giorno, non ricordo più come fu, ci trovammo soli in cucina mentre si preparava da mangiare. Io stavo, essendo la cucina alquanto piccola,136

SAVERIO MONTALTO

i

in un punto che per uscire e scendere giù, dovevo passare assolutamente dietro le sue spalle. E giacché lei era abbastanza voluminosa, chiesi permesso; ma lei sorrise in modo strano e senza affatto spostarsi.

Io allora, tutto trasecolato, richiesi permesso e lei, quasi adirata, rispose: «Passate! Non vi mangio! ». Io dovetti strisciare vicino al muro per passare e poi m[...]

[...]bbastanza voluminosa, chiesi permesso; ma lei sorrise in modo strano e senza affatto spostarsi.

Io allora, tutto trasecolato, richiesi permesso e lei, quasi adirata, rispose: «Passate! Non vi mangio! ». Io dovetti strisciare vicino al muro per passare e poi mi allontanai confuso e vergognoso. Da quel giorno mi mostrai meno cordiale e così lei, capita l’antifona, si fece vedere più di raro e quando ora veniva a casa mia, veniva sempre con la figlia Aurora o in compagnia di altri. La figlia dopo scombinato il matrimonio, si mostrò con me meno altera e più espansiva di prima e con mia sorella più affettuosa che mai. Ma io ormai avevo capito tutto e, benché in fondo l’amassi, cercavo di evitarla il più che mi fosse possibile, perché avevo un certo timore che si potesse accorgere di qualche cosa mio cognato ed un matrimonio tra me e lei, per un complesso di circostanze, specie economiche come ognuno può immaginare, non era mai possibile e particolarmente in quel momento. Una sera infatti, che mio cognato ci trovò soli nella stanza da lavoro, dato che mia sorella si era allontanata[...]

[...]ecie economiche come ognuno può immaginare, non era mai possibile e particolarmente in quel momento. Una sera infatti, che mio cognato ci trovò soli nella stanza da lavoro, dato che mia sorella si era allontanata momentaneamente non ricordo più per quale motivo, io rimasi assai male e cambiai colore. Ma lui trovò la cosa semplice e naturale come se nulla fosse, o per lo meno credè opportuno di trovarla, e così io, come Dio volle, dopo un po’ ripigliai l’aspetto normale di prima. Seppi in seguito da mia sorella, forse a questo proposito, che mio cognato un giorno aveva chiamato la madre e le aveva detto: «Oh mamma! Non credi che fra mio cognato ed Aurora ci sia qualche cosa? Tu lo sai che lui non la può sposare! ».

«Oh figlio mio bello! E tu sai che tua madre è donna di permettere certe cose? Tu ormai capisci e puoi sapere da te stesso l’onore e la grande illibatezza di tua madre e di tutta la tua famiglia. Aurora poi, non solo che è la perla fra le perle di N... e di tutto il mondo, ma data la sua intelligenza e la sua accortezza, può stare anche in mezzo ad un reggimento di soldati ».

Mio cognato si tranquillizzò e così non se ne parlò più.

Siamo arrivati così verso la fine di agosto del 1931. E mentre mi trovavo a M... ove mi recavo ogni anno per stare un po’ di tempo con mio padre, m’incontrai colla nostra parente ed amica certa donna Maria, la quale mi domandò : « È vero che Anna ha un bambino maschio di tre mesi? ».

Io mi mortificai e risposi che veramente sapevo che doveva sgra[...]

[...] di ottobre. Donna Maria rimase anche lei male e conMEMORIALE DAL CARCERE

137

tinuò : « Scusate, io non sapevo. Così avevo sentito. La gente ne dice di tutti i colori! ».

Ritornato da M... appresi dopo qualche mese a N... che nel paese, non si sa come, si era sparsa la voce che io ero fidanzato ufficialmente con Aurora. E difatti dopo qualche giorno incontrandomi col podestà Angelo Spurio mi domandò : « È vero che sei fidanzato colla figlia di Armoni? Stai attento che se tu la sposi, sarò io il primo a non guardarti più in faccia! ». Distaccatomi da lui mi rammentai come diversi anni prima e quando ancora non conoscevo di fatto la famiglia Armoni, una sera al circolo alcuni amici miei compagni di giuoco, parte dei quali ora si trovano al mondo dell’aldilà, parlando sardonicamente di Aurora dissero che anche la madre una volta si era messa in testa che doveva sposare Iginio Milano, il quale rappresentava allora il più ricco signore di N..., e che perciò la figlia non poteva fare a meno a non seguire le orme della madre e ciò per un’altra fissazione che, a quell’epoca, sembra avesse avuta l’Aurora per un giovane figlio di signori di N... Intesi fare il nome poi di un altro individuo col quale si malignava che l’Aurora avesse avuto dei rapporti piuttosto intimi, ma io in quel momento m’interessavo così poco di certi fatti, che ci ridevo anch’io sopra e mi divertivo ad ascoltarli. Seppi più tardi che la ragione vera per cui la madre di mio cognato era nemica col fratello dimorante a N... era ben diversa di come l’aveva raccontata lei. Pare che un tempo mentre il geometra Anguria era fidanzato coll’Aurora preferiva corteggiare più la madre che la figlia; ed allora venuta la cosa all’orecchio del fratello, que[...]

[...] che l’Aurora avesse avuto dei rapporti piuttosto intimi, ma io in quel momento m’interessavo così poco di certi fatti, che ci ridevo anch’io sopra e mi divertivo ad ascoltarli. Seppi più tardi che la ragione vera per cui la madre di mio cognato era nemica col fratello dimorante a N... era ben diversa di come l’aveva raccontata lei. Pare che un tempo mentre il geometra Anguria era fidanzato coll’Aurora preferiva corteggiare più la madre che la figlia; ed allora venuta la cosa all’orecchio del fratello, questi chiamò il cognato don Cesare Armoni per metterlo in guardia di ciò che si vociferava nel paese. Don Cesare si adontò e pronto rinfacciò il fratello di sua moglie con ira ammonendolo che doveva impicciarsi solamente delle cose di casa sua e non di quelle degli altri. D’allora in poi rimasero tutti nemici. A questo proposito mi viene a mente che verso gli ultimi tempi mia sorella un giorno mi diceva che la suocera di tutti parlava male in N... tranne del geometra Anguria e della sua famiglia e che una volta aveva solennemente dichiarato che quella donna che avesse sposato il geometra Anguria poteva reputarsi la donna più fortunata della terra, perché il geometra Anguria era il servo delle donne.

Ad ottobre sgravò mia sorella ed io dovetti pensare a tutto compreso all’onorario della levatrice ed ai viaggi dell’automobile di andata e ritorno dalla Marina di C..., considerato che la levatrice condotta138

SAVERIO MONTALTO

di N... non si era potuta chiamare perché era nemica colla madre di mio cognato. Fu verso questo periodo se non mi sbaglio che pregai il podestà di prest[...]

[...]tarsi la donna più fortunata della terra, perché il geometra Anguria era il servo delle donne.

Ad ottobre sgravò mia sorella ed io dovetti pensare a tutto compreso all’onorario della levatrice ed ai viaggi dell’automobile di andata e ritorno dalla Marina di C..., considerato che la levatrice condotta138

SAVERIO MONTALTO

di N... non si era potuta chiamare perché era nemica colla madre di mio cognato. Fu verso questo periodo se non mi sbaglio che pregai il podestà di prestarmi duemila lire, il quale gentilmente me le diede e di ciò gli sono stato sempre grato, non solo perché altri non me le avrebbe date sicuramente, ma per quanto le avevo di grande ed urgente necessità. Non ricordo bene neanche se in questo frattempo dovetti vendere la macchina o poco dopo dato che ormai non la potevo più tenere.

Guarita mia sorella decisi di fidanzarmi e così un giorno le dissi:

« Anna, ormai intendo sposarmi, non solo perché così voialtri vi metterete subito a posto, ma anche per sfatare ciò che si dice per il mio fidanzamento con Aurora. Io vorrei sapere chi è stato che ha potuto mettere in giro questa fandonia! ».

«Io non cert[...]

[...]ri vi metterete subito a posto, ma anche per sfatare ciò che si dice per il mio fidanzamento con Aurora. Io vorrei sapere chi è stato che ha potuto mettere in giro questa fandonia! ».

«Io non certo e credo neanche tu. E Giacomo neanche perché sa bene che se tu non sposi una con dote, siamo tutti rovinati ».

«Ma come possono pretendere certe cose, se sono io, si può dire, che vi sto campando a tutti? ».

«Intanto lo pretendono. La madre e gli altri, pur di sposarla, sarebbero capaci di farci andare tutti quanti di porta in porta a chiedere Pelemosina. Me Phan fatto capire chiaramente. Anzi la madre mi ha detto che se lei ha acconsentito al mio matrimonio, ha acconsentito proprio per questo e che se tu la sposi, poi non si preoccupa più, neanche se la tieni come una donna qualsiasi. Però Giacomo, son sicura, che non c’entra».

«Questo non avverrà mai! E non perché son poveri in canna, ma principalmente per altre ragioni che non è neanche il caso di ricordare. Si dicono troppe cose sul loro conto! ».

«Anche questo c’è? Ed allor[...]

[...]ha detto che se lei ha acconsentito al mio matrimonio, ha acconsentito proprio per questo e che se tu la sposi, poi non si preoccupa più, neanche se la tieni come una donna qualsiasi. Però Giacomo, son sicura, che non c’entra».

«Questo non avverrà mai! E non perché son poveri in canna, ma principalmente per altre ragioni che non è neanche il caso di ricordare. Si dicono troppe cose sul loro conto! ».

«Anche questo c’è? Ed allora che cosa vogliono?».

«Ed io penso che la colpa non è tanto della figlia quanto della madre. E tieni presente, giacché tu ormai sei anche madre di una figlia, che quando succede una qualche cosa in una famiglia la colpa è sempre della madre, giacché se non vede o finge di non vedere ciò che fa la figlia, significa che la commedia piace anche a lei. Finché è successo a te, dato che eri sola e non c’era nostra madre, e passi; ma per loro non c’è giustificazione che tenga. Perciò, ti prego, e magari lo dirai tu medesima ad Aurora con le buone maniere, che io non potrò fare mai un passo simile e ciò, s’intende, perché navighiamo tutti, economicamente, in brutte acque ».

Da questo momento incominciarono le mie peregrinazioni perMEMORIALE DAL CARCERE

139

potermi sposare; e ci tengo che tutti coloro che sono convinti diversamente sappiano, che se allora tutti i miei fidanzamenti andarono[...]

[...]n le buone maniere, che io non potrò fare mai un passo simile e ciò, s’intende, perché navighiamo tutti, economicamente, in brutte acque ».

Da questo momento incominciarono le mie peregrinazioni perMEMORIALE DAL CARCERE

139

potermi sposare; e ci tengo che tutti coloro che sono convinti diversamente sappiano, che se allora tutti i miei fidanzamenti andarono a monte, la ragione vera non fu perché mio cognato Giacomo o altri della sua famiglia costrinsero la mia volontà a non sposare, no; e non solo perché non avevano alcun motivo a poterla costringere, ma anche perché mio cognato aveva molto piacere che io sposassi, dato che gli avevo promesso anche che con la dote che avrei preso, avremmo aperto in società un importante negozio di tessuti od altro, ciò che rappresentava allora il suo sogno. Se i miei fidanzamenti finirono male del resto, finirono male solamente ed esclusivamente per la fretta con cui venivano combinati e ognuno sa che tutto ciò che si fa con la fretta non si porta mai a compimento. E se mio cognato Giacomo non potè presenziare mai ai miei fidanzamenti ufficiali la colpa è d’attribuirsi semplicemente, non c’è vergogna a dirlo, al fatto che momentaneamente, poveretto, non aveva neanche un vestito alqu[...]

[...] con la fretta non si porta mai a compimento. E se mio cognato Giacomo non potè presenziare mai ai miei fidanzamenti ufficiali la colpa è d’attribuirsi semplicemente, non c’è vergogna a dirlo, al fatto che momentaneamente, poveretto, non aveva neanche un vestito alquanto passabile per potersi presentare in una cerimonia simile. E giacché mi trovo, ci tengo a chiarire, fin da ora, che neanche quando poi, assai più tardi, mi decisi a sposare mia moglie, lo feci perché mi fu obbligato con la rivoltella in pugno dai suoi familiari, no; ma lo feci di mia pura e spontanea volontà, giacché nessuno aveva il diritto di obbligarmi ad un fatto simile, e per motivi che sicuramente non dimenticherò di dire fra poco. So bene che più d’uno asserì che mia moglie era già incinta all’atto del matrimonio, e, del resto, non si poteva non pensare altrimenti, data la fama e l’andamento della famiglia; però i fatti, in seguito, smentirono completamente le lord gratuite asserzioni, giacché per sfortuna o fortuna, io non lo so, mia moglie non ebbe mai figli.

Passò circa un anno e mezzo senza che io potessi sposare ed intanto erano successi diversi fatti. Avevo dovuto cambiare casa per due motivi: primo perché la famiglia Armoni aveva incominciato a dare fastidi al padrone di casa che abitava al piano terreno, per cui abbastanza seccato si era permesso di tenermi un discorso poco corretto, e poi anche perché avevo trovato una casa più corroda ed indipendente per me e che mi faceva risparmiare circa sessanta lire al mese. Don Cesare Armoni ad un certo punto, non sapendo più che pesci pigliare, dato che il negozio l’aveva chiuso definitivamente, decise di cedere a suo fratello un po’ di terra che gli restava ancora vicino a T... per millecinquecento lire e così con questo danaro se ne andò in Francia in cerca di fortuna. A ciò, in verità, l’avevo incoraggiato anch’io, giacché speravo che col tempo, come lui mi aveva promesso partendo, si140

SAVERIO MONTALTO

sarebbe richiamata colà tutta la famiglia, e se così il destino avesse voluto, oggi io certamente non mi troverei nelle condizioni in cui mi trovo. Ma il destino non permise, e non solo che consumò tutto ciò che aveva portato con sé, ma per quanto mi costò altre sei o settecento lire che dovetti mandargli in seguito.

Durante il periodo che don Cesare rimase in Francia, che non rammento ora se durò un anno o più, io dovetti, oltre al resto, dare tassativamente alla sua famiglia da dieci a quindici lire al giorno per la spesa giornaliera, e mi ricordo anche che dovetti pagare ancora per conto suo altre settecento lire circa di fondiaria e tasse arretrate per impedire che l’esattore vendesse all’asta, giusta la sua minaccia, un locale edificatorio, a cui loro ci tenevano tanto, limitante coll’abitazione dell’autista Michele Pannunzio. Fu in questo periodo ancora che il figlio Giovanni partì per soldato ed il figlio Lorenzo invece venne congedato, dato ch’era stato degradato da sergente a soldato, per il motivo vero che io non ho potuto sapere mai, e quindi non poteva fare più carriera. E per fortuna che suo zio Giulio Armoni, tocco da compassione, vedendolo ora gironzolare per le strade, lo mantenne agli studi e così divenne maestro elementare. Naturalmente gli Armoni, dopo che il loro figlio divenne insegnante, per contraccambiare lo zio del beneficio ricevuto se lo inimicarono di nuovo e poco mancò che non lo battessero e lo malmenassero stante le minacce che gli facevano in mia presenza e specie dopo che PArmoni Giulio si era deciso di sposare per la seconda volta facendo perdere loro la speranza dell’eredità. Appresi in seguito che PArmoni Giulio da tempo non varcava la soglia del fratello, come del resto non la varca tuttavia, proprio per non incontrarsi con la cognata e cioè con la mia attuale suocera, tanto vero che quando morì la prima moglie dell’Armoni Giulio, e, mia suocera abbassandosi un po’ dalla sua altezza, dato che dalla morte della cognata, che tanto un tempo aveva calunniata, ora sperava che le venisse qualche vantaggio, fece sapere al cognato che aveva intenzione d’andare a visitare la moglie morente., egli, per tutta risposta le mandò dicendo che non desiderava la sua presenza in casa sua e che lasciasse morire in pace sua moglie. Mia suocera allora senza scomporsi rispose : « Me ne strafotto di lui e di quanto è lungo! ». A questo proposito mi dimenticavo di dire, ma giacché ci siamo lo dico, che il frasario della mia suocera e di tutta la sua famiglia, in alcuni momenti era proprio d’ammirare, almeno da quel che potevo udire e sentire con le mie orecchie, e son certo che se i facMEMORIALE DAL CARCERE

141

chini delPImmacolatella del porto di Napoli così rinomati ovunque per il loro frasario, avessero potuto udire e sentire anche loro, ne sarebbero rimasti quanto mai ammirati per non dire anche loro sconcertati. E non dimenticherò mai il fatto di quando una volta mia suocera ultimamente, non so più se in seguito ad una rissa alla quale sembra abbia preso parte anche il figlio Giacomo, giacché le risse in casa Armoni, di cui solo i vi[...]

[...]con le mie orecchie, e son certo che se i facMEMORIALE DAL CARCERE

141

chini delPImmacolatella del porto di Napoli così rinomati ovunque per il loro frasario, avessero potuto udire e sentire anche loro, ne sarebbero rimasti quanto mai ammirati per non dire anche loro sconcertati. E non dimenticherò mai il fatto di quando una volta mia suocera ultimamente, non so più se in seguito ad una rissa alla quale sembra abbia preso parte anche il figlio Giacomo, giacché le risse in casa Armoni, di cui solo i vicini potrebbero dire qualcosa, erano all’ordine del giorno, ebbe a dichiarare: «Quando non c’è altro da fare,

io e le mie figlie, dato che ancora tutti ci vogliono perché siamo belle, ci metteremo sulla strada a chiamare chi passa e così staremo meglio d’ora...». Rifacendomi un po’ indietro debbo dire che dopo il mio primo fidanzamento, l’Aurora smise di frequentare la mia casa dimostrandosi con me indifferente e sprezzante; ma io, per far capire a tutti che li avevo trattati sempre come parenti e non per altre ragioni, continuai a frequentare, quando potevo, lo stesso la loro casa. Mia suocera però non si preoccupò affatto dell’Aurora e continuò anche lei nei miei rapporti ad essere tanto affabile e buona; e, senza perdersi d’animo, mandava ora a casa mia, colla scusa di aiutare mia sorella nelle faccende domestiche, considerato che la po[...]

[...]mo, mandava ora a casa mia, colla scusa di aiutare mia sorella nelle faccende domestiche, considerato che la povera Anna era sola, diceva lei, Iva la mia attuale consorte. E perché, si potrebbe obiettare, non mandava l’altra, l’Elena, visto che l’Elena era più grande e quindi pronta per andare a marito? Eh, no! L’Elena non la poteva mandare per due ragioni essenziali. Prima perché c’era stata già una certa diceria con un certo Vincenzino Sofia figlio di marinaio, un bravo ragazzo in fondo, che sicuramente, se la mia suocera fosse stata una accorta e ottima madre di famiglia, avrebbe sposata l’Elena; ma poi anche perché l’Elena era un po’ bruttina e certamente non avrebbe fatta molta impressione sui miei sensi. La Iva allora aveva circa sedici anni ed era tutt’altro che brutta. Ma io non vedevo in lei la bellezza: vedevo l’inganno. Pensavo che quella ragazza lì, era costretta a rappresentare inconsapevolmente ed innocentemente una farsa poco pulita e tutto ciò mi rattristava e m’impietosiva. Ma qualcuno forse dirà: ma anche questo è amore? Sarà, ma io posso affermare che in quel momento sentivo solo pietà e compassione. E poi c’era mia sorella che aveva capito a[...]

[...]tutt’altro che brutta. Ma io non vedevo in lei la bellezza: vedevo l’inganno. Pensavo che quella ragazza lì, era costretta a rappresentare inconsapevolmente ed innocentemente una farsa poco pulita e tutto ciò mi rattristava e m’impietosiva. Ma qualcuno forse dirà: ma anche questo è amore? Sarà, ma io posso affermare che in quel momento sentivo solo pietà e compassione. E poi c’era mia sorella che aveva capito anche lei tutto il retroscena e sorvegliava e non permetteva, per un complesso di cose che ognuno può immaginare da sé, che io mi spingessi oltre i buoni rapporti affettivi di parentela, anche perché mia sorella era molto affezionata all’Iva, dato che quando era rimasta sola a M... l’aveva avuta per compagna, e non voleva farle142

SAVERIO MONTALTO

provare un’amara disillusione. Ed io amavo spassionatamente la Iva e la trattavo con molti riguardi e non solo per riverbero della particolare affezione di mia sorella, ma anche perché la mia indole e natura non era capace di trattare diversamente una donna e fu forse questa mia ind[...]

[...]sola a M... l’aveva avuta per compagna, e non voleva farle142

SAVERIO MONTALTO

provare un’amara disillusione. Ed io amavo spassionatamente la Iva e la trattavo con molti riguardi e non solo per riverbero della particolare affezione di mia sorella, ma anche perché la mia indole e natura non era capace di trattare diversamente una donna e fu forse questa mia indole e natura che poi, quando fummo sposati, fece prendere il sopravvento a mia moglie nei miei riguardi. Ma mia moglie scambiò allora questo mio affetto, direi soltanto fraterno, per amore dei sensi; e, del resto, alla sua età non solo lei ma qualsiasi donna l’avrebbe scambiato; e quando poi, dopo un certo tempo, io alquanto seccato di questo suo abbaglio feci comprendere che non ne volevo sapere di niente e che non avevo intenzione di sposare, lei rimase male e per poco non fece una malattia, tanto vero che un giorno fummo costretti insieme a mio cognato di portarla a M... dal dott. Nino D’Ascola perché la visitasse attentamente per stabilire di che cosa si trattava. Il dott. D’Ascola non trovò niente di straordinario e così tutti ci pacificammo. Seppi in seguito che per il fatto che la Iva veniva da noi, ci furono in quel tempo, fra l’Aurora e la madre delle scenate, guerre, ingiurie scambievoli ecc. ecc. E dichiaro, fin da questo momento, [...]

[...] attentamente per stabilire di che cosa si trattava. Il dott. D’Ascola non trovò niente di straordinario e così tutti ci pacificammo. Seppi in seguito che per il fatto che la Iva veniva da noi, ci furono in quel tempo, fra l’Aurora e la madre delle scenate, guerre, ingiurie scambievoli ecc. ecc. E dichiaro, fin da questo momento, che se io sono stato costretto fin qui a mettere in chiaro alcuni fatti poco piacevoli riguardanti le donne della famiglia Armoni, come del resto sarò costretto ancora nel seguito di questa esposizione, non l’ho fatto, né lo farò, per mia giustificazione, perché io ormai non ho nulla più da sperare dalla vita, ma l’ho fatto e lo farò perché mio cognato Giacomo impari a conoscere, e sempre che Iddio, o presto o tardi, gli voglia togliere dagli occhi il fitto velo dell’attuale sua perversa cecità, la gente in mezzo alla quale è vissuto ed a cui sono affidate ora le sorti delle sue tre figlie femmine.

Mi sovviene a questo punto che una volta e prima che il fratello Giovanni di mio cognato fosse partito per soldato fui chiamato d’urgenza dagli Armoni. Recatomi in casa loro vi trovai l’Elena con una mano spaccata in due da una larga ferita lacero contusa. Mi pregarono di medicargliela io alla meglio, perché, secondo affermavano loro,

il medico era assente. Io, dato che tenevo sempre in casa i medicinali, più urgenti, glie la medicai come meglio potei e seppi poi, più tardi, che la ferita all’Elena l’aveva prodotta il fratello Giovanni colpendola ripetutamente colla paletta di ferro della cucina.

Dopo che anche mio cognato Giacomo si persuase che difficile mente avrei potuto sposare bene facendo le cose in fretta, si decise di andare dal caro amico don Pietro Sorrentino, esperto capostazione cheMEMORIALE DAL CARCERE

143

allora si trovava alla Marina di N..., allo scopo d’impratichirsi per poter sostenere l’esame d’assuntore. Io approvai l’idea perché pensavo che così mia sorella si sarebbe allontanata col tempo dal resto d[...]

[...]Dopo che anche mio cognato Giacomo si persuase che difficile mente avrei potuto sposare bene facendo le cose in fretta, si decise di andare dal caro amico don Pietro Sorrentino, esperto capostazione cheMEMORIALE DAL CARCERE

143

allora si trovava alla Marina di N..., allo scopo d’impratichirsi per poter sostenere l’esame d’assuntore. Io approvai l’idea perché pensavo che così mia sorella si sarebbe allontanata col tempo dal resto della famiglia Armoni per quanto mio cognato ripeteva spesso che se anche avesse vinto l’esame d’assuntore difficilmente se ne sarebbe allontanato da N... giacché non poteva lasciare la famiglia sola e senza alcun mezzo per vivere dato il momento che attraversava e che tutti dovevano mangiare senza che alcuno producesse affatto compreso il padre che era ancora in Francia e che dopo un certo tempo rientrò. E giacché dalla Marina di N... non si poteva andare e venire a piedi tutti i giorni pensai di comprare per l’occasione una bicicletta e la misi a sua disposizione. Mentre mio cognato si trovava alla Marina di N... conobbe un certo De Angelis anche questo capostazione, il quale aveva un fratello a Palermo grossista di calzature e così consigliò mio cognato d’impiantarsi a N... un pi[...]

[...]che alcuno producesse affatto compreso il padre che era ancora in Francia e che dopo un certo tempo rientrò. E giacché dalla Marina di N... non si poteva andare e venire a piedi tutti i giorni pensai di comprare per l’occasione una bicicletta e la misi a sua disposizione. Mentre mio cognato si trovava alla Marina di N... conobbe un certo De Angelis anche questo capostazione, il quale aveva un fratello a Palermo grossista di calzature e così consigliò mio cognato d’impiantarsi a N... un piccolo negozio provvisoriamente, ciò che poteva fare con poca spesa, giacché per essere presentato dal fratello grossista ci pensava lui e lui era sicuro che col tempo avrebbe fatto fortuna giacché il tipo di calzature che trattava il fratello, dato che costava pochissimo andava sicuramente per un paese piccolo e rurale come N... Fu deciso e fu fatto. Io stesso feci comprare per tremila lire metà del locale di don Cesare dall’autista Miche Pannunzio

il quale me ne aveva parlato poco tempo prima e così mio cognato Giacomo andò a Palermo, portò le scarpe[...]

[...]tava pochissimo andava sicuramente per un paese piccolo e rurale come N... Fu deciso e fu fatto. Io stesso feci comprare per tremila lire metà del locale di don Cesare dall’autista Miche Pannunzio

il quale me ne aveva parlato poco tempo prima e così mio cognato Giacomo andò a Palermo, portò le scarpe e verso l’estate del 1933, così mi sembra, il negozio s’impiantò coll’aggiunta di altra poca merceria che rimaneva dal negozio antico. Io stesso gli trovai il locale, che hanno tuttavia, sotto la casa di Angelo Chiarenza, col quale feci

il contratto e gli pagai pel momento il fitto e poiché il locale era molto grande fu stabilito di dividerlo a metà mediante un tramezzo e così provvisoriamente la metà anteriore fu adattata a magazzino e la metà posteriore per dormire mio cognato e mia sorella considerato che andare e venire da me non era possibile perché abbastanza lontano ed anche perché ormai ognuno di noi voleva rendersi libero per i fatti suoi.

Intanto la Iva aveva smesso anche lei di venire a casa mia, però

io avevo continuato lo stesso ad andare da loro, ma ora sia la madre che il resto della famiglia, benché si sforzassero di acco[...]

[...]zo e così provvisoriamente la metà anteriore fu adattata a magazzino e la metà posteriore per dormire mio cognato e mia sorella considerato che andare e venire da me non era possibile perché abbastanza lontano ed anche perché ormai ognuno di noi voleva rendersi libero per i fatti suoi.

Intanto la Iva aveva smesso anche lei di venire a casa mia, però

io avevo continuato lo stesso ad andare da loro, ma ora sia la madre che il resto della famiglia, benché si sforzassero di accogliermi come prima, pur si capiva benissimo che lo facevano per necessità e perché sapevano che ancora senza di me sarebbero morti di fame. La madre in ispecie si vedeva così chiaro che schizzava veleno da tutti i poriSAVERIO MONTALTO

della pelle che solo chi non avesse voluto per partito preso non avrebbe intuito la feroce malvagità contenuta e son certo che se lei avesse potuto mi avrebbe senza pietà e misericordia pestato sotto le piante dei piedi. Ma io pel momento fingevo di non capire e mi ripromettevo di allontanarmene definitivamente come infatti feci dopo un certo tempo. Anche mio co[...]

[...]on ci avrei neanche pensato a lei; e fu questo il vero motivo che mi attaccò sempre più a lei. Qualche giorno prima d’andarsene, mi chiamò e mi disse:

«Senti Saverio! Io so tutto quello che fino ad ora hai fatto per me ed anche per loro. Ma se anche loro non ti fossero riconoscenti non fa niente, perché tu l’hai fatto per me e perciò non t’importa ». (A questo proposito la suocera affermava sempre con la sua solita ira e ferocia, specie verso gli ultimi tempi, che né lei, né i suoi mi serbavano gratitudine alcuna, perché ciò che avevo fatto io, l’avevo fatto esclusivamente per mia sorella e non per loro; e, forse, in ciò, non aveva torto). «Ma tutto il sacrificio che hai fatto fin’ora se tu ora ci abbandoni, è andato perduto, perché ora più di prima abbiamo bisogno d’aiuto. Di tutto quello che per il momento si guadagna, che sarà certamente ben poco, noi non possiamo toccare niente, giacché dobMEMORIALE DAL CARCERE

145

biamo pensare d’ingrandire il negozio ed io spero fra pochi anni, con Giacomo che compra la roba, poiché in ci[...]

[...]to fin’ora se tu ora ci abbandoni, è andato perduto, perché ora più di prima abbiamo bisogno d’aiuto. Di tutto quello che per il momento si guadagna, che sarà certamente ben poco, noi non possiamo toccare niente, giacché dobMEMORIALE DAL CARCERE

145

biamo pensare d’ingrandire il negozio ed io spero fra pochi anni, con Giacomo che compra la roba, poiché in ciò è molto bravo come tu stesso hai potuto vedere, ed io che vendo come mi hai consigliato tu, e stai certo che io mi lascerò guidare da te e non da altri e che non farò come facevano loro che se un individuo entrava la prima non entrava la seconda volta nel negozio, di metterci in condizione di guadagnare per tutti e di non disturbare più a te. Perciò tu finché noi non ci metteremo a posto definitivamente ci darai due o trecento lire al mese, perché a te in fondo non ti fanno niente, e così noi pagheremo l’affitto del negozio e con qualche altra piccola cosa che arrangeremo possiamo, se non altro, comprare almeno il pane per vivere. Se poi abbiamo bisogno qualche volta di altro[...]

[...]ente della merce, ce lo darai lo stesso, se puoi, ma di questo m’impegno io stessa di restituirtelo non appena fatta la vendita, mettendolo da parte per te ».

«Non ti preoccupare, che farò tutto. Però vedi che ti avverto fin da ora, e lo dirai anche a tuo marito, che là dentro non deve venire nessuno a fare il soprastante e specie il padre e la madre, altrimenti non farete niente di buono ».

«Per questo neanche Giacomo ha fiducia in loro e glie lo ha detto già che nessuno deve venire a fare confusione. E loro, veramente, benché a denti stretti, hanno acconsentito. Momentaneamente, visto e considerato anche che si tratta di pochissima vendita, ci starò io ed Iva, perché Iva, come sai, mi vuole molto bene, ed anche a te, del resto, e son sicura che farà come le dico io. Io verrò da te ogni dopo pranzo per aggiustarti la casa e finché tu mi vuoi. Se poi hai bisogno urgente mi manderai a chiamare che lascio ogni cosa e verrò a qualunque ora. Tu verrai a sederti nel negozio la sera, quando non avrai a che fare; è vero che verrai? e così[...]

[...]
«E dimmi ancora che non mi abbandoni?».

«Ma via! Che sono queste cose Anna? Perché ti dovrei abbandonare? Tu mi conosci! ».

« Sì, sì, ti conosco! E perciò me ne vado un po’ tranquilla » e ripetendo ciò, per ben tre volte si attaccò di nuovo al mio collo baciandomi da forsennata. Poi uscì. Sulla via solitaria, giacché limitavo con la campagna, sostò un po’ per calmarsi ed asciugarsi le lagrime. Quando se l’ebbe asciugate, mi disse: «Non voglio farmi vedere che ho pianto, altrimenti chi sa che diranno! » e si mosse per andarsene.

10 rimasi sulla via per guardarla. Lei prima di scomparire nella discesa si girò, ma senza avere ormai la forza di dirmi più nulla. Poi reprimendo ancora le lagrime, scomparve. Quella faccia sconfortata e di dolore ancora mi attraversa l’anima da parte a parte e la porterò con me fino alla tomba.

Rimasto solo mi diedi allo studio. Veniva spesso da me il mio carissimo amico Giuseppe Larussa il quale si era dedicato agli studi letterari e mi consigliò molti libri utili che mi servirono in seguito di mo[...]

[...] si mosse per andarsene.

10 rimasi sulla via per guardarla. Lei prima di scomparire nella discesa si girò, ma senza avere ormai la forza di dirmi più nulla. Poi reprimendo ancora le lagrime, scomparve. Quella faccia sconfortata e di dolore ancora mi attraversa l’anima da parte a parte e la porterò con me fino alla tomba.

Rimasto solo mi diedi allo studio. Veniva spesso da me il mio carissimo amico Giuseppe Larussa il quale si era dedicato agli studi letterari e mi consigliò molti libri utili che mi servirono in seguito di molto aiuto e conforto specie nei momenti difficili della mia vita. Ebbi anche in alcuni momenti la velleità di scrivere, ma scrivevo per me e non per gli altri e quando non avevo voglia di fare altro. Dapprincipio dormì per alcun tempo nella mia casa l’Ottavio il fratello minore di mio cognato, ma poi accortomi che riferiva tutte le mie cose ai suoi non lo feci venire più e mi feci fare tutto dal padre della persona di servizio che avevo ultimamente, dato che per trasportarmi l’acqua, giacché in casa non c’era, veniva da me da tempo.

Intanto io andavo quasi tutte le sere a sedermi nel negozio di mia sorella e qualche volta anche dagli Armoni e mia sorella veniva da me, ma la vedevo sempre più triste e che sfioriva e deperiva sempre più. Lei però allora non mi diceva mai [...]

[...]e altro. Dapprincipio dormì per alcun tempo nella mia casa l’Ottavio il fratello minore di mio cognato, ma poi accortomi che riferiva tutte le mie cose ai suoi non lo feci venire più e mi feci fare tutto dal padre della persona di servizio che avevo ultimamente, dato che per trasportarmi l’acqua, giacché in casa non c’era, veniva da me da tempo.

Intanto io andavo quasi tutte le sere a sedermi nel negozio di mia sorella e qualche volta anche dagli Armoni e mia sorella veniva da me, ma la vedevo sempre più triste e che sfioriva e deperiva sempre più. Lei però allora non mi diceva mai niente, perché non voleva disturbarmi e perché, si vede, ancora i suoi guai erano alquanto sopportabili. In questo frattempo mi ero accorto che il barbiere Armando Romeo, colla scusa che tagliava i capelli alle ragazze della famiglia Armoni, frequentava allo spesso e qualche volta anche con la moglie la loro casa e che l’Aurora, a sua volta, accompagnata di quando in quando dal fratello Lorenzo, frequentava anche lei la casa del Romeo.

11 Lorenzo la portava fino alla soglia della casa del Romeo e se ne andava. Il Romeo grato verso il Lorenzo lo forniva di qualche sigarettaMEMORIALE DAL CARCERE

147

e lo invitava spesso a casa sua per dargli da mangiare qualcosa, considerato poveretti, come la stessa moglie del Romeo ripeteva, che se la passavano molto male. Il Romeo a quel tempo si vedeva spesso a braccetto del Lorenzo e qualche volta ci fu anche qualche scampagnata tra il Romeo e il Lorenzo e le donne della famiglia Armoni. Sapevo inoltre che nel paese per tutto questo si malignava abbastanza ed allora facendomi animo, un giorno dissi a mia sorella di dire a suo marito di cercare di allontanare il Romeo con le buone maniere, perché non era regolare che la famiglia coltivasse una così stretta amicizia mentre tra me e il Romeo non correvano buoni rapporti dopo uno sgarbo che alcuni mesi prima avevo ricevuto nel suo salone. Mia sorella trovò che il pretesto per non insospettire il marito era buono e così glie ne parlò. Ma né mio cognato, né sua madre vollero sentire ragione e specie la madre la quale intuì il vero motivo per cui bisognava allontanare

il Romeo e perciò inveì contro mia sorella e per poco non se la mangiò dicendole tutto quello che sapeva mettere fuori lei dalla sua bocca concludendo infine che nessuno doveva permettersi un’altra volta di muovere verbo sulla sua famiglia, perché la sua famiglia era la più onorata del paese di N... ecc. ecc. E perché mio cognato e famiglia non vollero allontanare il Romeo? Perché il Romeo passava per pezzo grosso dell’onorata società. E sia mio cognato che la sua famiglia avevano un sacro rispetto per tutti coloro che appartenevano all’onorata società e specie poi per i pezzi grossi. Loro se li guardavano i mali passi e come tutti i malvagi cercavano di prendersi la rivincita con i deboli, coi poveri diavoli, con mia sorella e anche con me in seguito, che mi sapevano più innocuo di un coniglio. Anzi ultimamente, data anche la mia statura, mi chiamavano proprio « il coniglio ».

10 d’allora in poi mi feci i fatti miei su questi riguardi. Questo fatto del Romeo e tanti altri che ho raccontati e che dovrò raccontare ancora della famiglia Armoni, voglio solamente che la Giustizia li apprenda,

11 indaghi se può, per conto suo, ma senza rendere notorio che li ho riferiti io, giacché a dire il vero, mentre li racconto mi assale un sacro terrore. La Giustizia del resto non sa niente della gente della famiglia Armoni perché se sapesse qualcosa, son certo, non si meraviglierebbe più di questo mio sacro terrore.

Dopo un certo tempo e quando il Lorenzo aveva conseguito già la licenza normale mi vidi arrivare in casa Giuseppe Panetta sarto. Si sedè e mi raccontò più morto che vivo che la sera avanti mentre la famiglia Armoni era in chiesa (perché mia suocera ed il resto della148

SAVERIO MONTALTO

famiglia sono assai devoti e pii, a modo loro, s’intende) il Lorenzo aveva attirato in casa una bambina di circa nove anni del Panetta ed aveva sfogato su di lei la sua libidine. Il Panetta aveva chiamato un dottore del luogo per far visitare la bambina, però non c’era stato alcun danno. Ma il Panetta si era rivolto lo stesso al Maresciallo e questi gli aveva detto di esporre regolare denunzia che poi ci avrebbe pensato lui. Allora io pregai e scongiurai il Panetta, dato che non c’era stato niente di positivo, di voler lasciar perdere altrimenti avrebbe rovinato il Lorenzo, perché sicuramente con un addebito simile non avrebbe potuto fare più l’insegnante, e più che per lui per il resto della sua famiglia.

Il Panetta per sua bontà mi esaudì e così finì la cosa a questo punto. Dopo qualche giorno chiamai il Lorenzo, gli raccontai il fatto, gli dissi tante altre cose che in quel momento mi suggerì la morale e l’ira, e, lui, dopo avermi ascoltato a testa bassa, si alzò e se ne andò sempre a testa bassa e senza aver avuto il coraggio di profferire una parola.

Venne il 1935, e giacché ancora dovevo dare le trecento lire mensili a mio cognato Giacomo e pagare per lui altre piccole spese che non ricordo più e che qualche debito pressava tuttavia e non potevo più rimediare, cedetti il quinto dello stipendio per cinque anni realizzando circa cinquemila lire. Fu verso questo periodo, mi sembra, che finii di pagare per conto di mio cognat[...]

[...]sò mio cognato per la costruzione della sua stanza da letto e per cui il Marano prima di consegnarla aveva voluto la mia garanzia. E fu qualche anno prima anche, almeno così mi pare, che un giorno mi vidi arrivare in casa tutta trafelata mia sorella Anna, la quale mi disse:

« Questa volta siamo rovinati! ».

Io spaventato domandai: «Che cosa è successo?».

«Che cosa? È successo che a Giacomo, mentre andava a Palermo per comprare la merce, gli hanno preso il portafoglio con mille lire ed anche col libretto dell’abbonamento » — mio cognato aveva l’abbonamento che io stesso avevo consigliato per potere sostituire volta per volta, poiché i capitali non c’erano, gli articoli che venivano a mancare nel magazzino — « Capirai che a noi mille lire ci fanno assai per quanto lui se la sente più per la figura che ha fatto che per altro. Difatti è nel letto perché dice che vuole morire e che non vuole sapere più di niente. Menomale che ha trovato uno di P... che gli haMEMORIALE DAL CARCERE

149

prestato cento lire per il ritorno. Ora, se tu non fai quest’altro sacrificio, siamo perduti. Mi ha chiamato anche la suocera, perché la suocera quando ha necessità, io e te siamo i loro salvatori e tante altre cose belle. Poi quando non ha più bisogno, allora siamo.. Basta! Tu del resto quello che fai lo fai per me! ».

«Lo sapevo che tutti i guai li debbo aggiustare io?! E benché loro non meritano nulla, te le dò lo stesso, perché sennò ne vai tu di mezzo. Però tuo marito dovrebbe convincersi che il superuomo lo può fare solo con te e con me e non con gl[...]

[...]he la suocera, perché la suocera quando ha necessità, io e te siamo i loro salvatori e tante altre cose belle. Poi quando non ha più bisogno, allora siamo.. Basta! Tu del resto quello che fai lo fai per me! ».

«Lo sapevo che tutti i guai li debbo aggiustare io?! E benché loro non meritano nulla, te le dò lo stesso, perché sennò ne vai tu di mezzo. Però tuo marito dovrebbe convincersi che il superuomo lo può fare solo con te e con me e non con gli altri! ».

« Lo so! Ma che vuoi che faccia, ormai che ci sono capitata? ».

Quando mia sorella se ne andò era molto contenta, perché sapeva che con queste altre mille lire, forse per qualche tempo non l’avrebbero tanto tormentata. Difatti, anche con me, si mostrarono alquanto affabili i signori Armoni per qualche tempo.

Verso l’estate del 1935, mi sembra, vidi di nuovo arrivare mia sorella trafelata e confusa : « Questa volta — mi disse — non vengo per me; ma vengo perché penso che conviene anche a te. Il suocero deve pagare ancora una cambiale di mille lire e più alla banca e sono ava[...]

[...]viene anche a te. Il suocero deve pagare ancora una cambiale di mille lire e più alla banca e sono avallanti lo zio della suocera don Bruno Zito e Audino Pasquale il marito di commare Vincenza, quelli che hanno la bettola di fronte al negozio che aveva una volta il suocero. Ora la cambiale ce l’ha l'avvi Spagna il quale si è rivolto allo Zito ed all’Audino — perché sa che

il suocero non può pagare. — Ieri sono andati in casa della suocera i figli di Audino, Giorgio e Paolo, che tu stesso sai che cosa sono, e li Ijanno minacciati che se non pagano e fanno avere dei grattacapi al loro padre, si finisce a coltellate. Ora sia la suocera che gli altri stanno tremando e non sanno come debbono fare perché vogliono pagare. Il suocero ha ancora quell’altra metà del locale vicino a Michele Pannunzio, perché come sai la casa l’hanno ipotecata per Aurora, quando hanno venduto la terra ch’era sua al Feudo e perciò il suocero sarebbe disposto a vendere il locale che gli resta a te, purché facciate una retrocarta che se fra due anni ti restituisce i soldi tu gli restituirai

il locale, se poi non ti restituisce niente il locale rimane a te. Tra cambiale, interessi e spese di notaio, se ne possono andare un millecinquecento lire e perciò penso che ti conviene perché il locale vale di più e seppure loro non lo ricompreranno trovi sempre a venderlo di più e non di meno».

«A dirti la verità del locale non ho cosa farmente, perché, vera150

SAVERIO MONTALTO

mente, penso di andarmene da N... o presto o tardi e specie quando vi sarete messi a posto definitivamente)).

« E te ne vai e mi abbandoni ? », disse mia sorella tremante.

«Ma no! Ques[...]

[...]to definitivamente)).

« E te ne vai e mi abbandoni ? », disse mia sorella tremante.

«Ma no! Questo non sarà mai, perché dove vado vado ti manderò sempre quel che posso mandarti ».

« Ma io non parlo per questo, perché, per il mangiare, non m’importa neanche se muoio di fame! Parlo che rimango sola! Credi che loro si preoccupano di me? Si preoccupano solo quando hanno bisogno. Ormai è tanti anni che ti trovi qui, tutti ti conoscono e ti vogliono bene e dove vai non sai come ti trovi! ».

«Va bene, va bene! Ancora non me ne sono andato! ».

«Ed allora come restiamo; lo fai quest’altro bene?».

«Lo faccio! Ma sempre per te! ».

Dopo alcuni giorni andammo dall’avv. Spagna per pagare e ritirare la cambiale e mi ricordo che mio cognato Giacomo e suo padre pretesero anche una certa ricevuta, una specie di ricatto, per un altro certo imbroglio di altre quattro o cinquemila lire che avevano fra di loro, collo zio don Bruno Zito. Mentre accompagnavo questi verso casa sua ed eravamo rimasti soli, mi disse:

« Mi hanno rovinato e loro non si sono aggiustati! Mi hanno rubato più di quindicimila lire. Tutta la colpa però è di quella serpe della madre, perché il marito è un trastullo che lo comanda a bacchetta ed ora anche i figli. Compiango quella povera martire di vostra sorella! Dovete sapere che quella donna è stata la rovina di quattro famiglie: della sua, di quella di vostra sorella, della mia ed ora anche della vostra. Vi basti sapere questo: mentre erano falliti e sull’orlo del precipizio, quella signora ha preteso di essere portata dal marito a Palermo per divertirsi. Basta! » e mandò un sospiro.

E giacché mi trovo faccio presente che il locale da me acquistato, dopo due anni e quando ero già sposato, rimase a me perché il padre di mia moglie non trovò più conveniente per lui ricomprarlo anche perché non ci aveva i soldi. In quel periodo io mi ero deciso col tempo di fabbricare una casetta ed allora chiusi il locale con ferro spinato e vi piantai alcuni alberi in modo da trovarmeli cresciuti al momento opportuno, spendendoci sopra altre tre o quattrocento lire. Avevo trovato a chi darlo da coltivare ma mio suocero si oppose e lo volle lui. Ultimamente, dato che ciò che spendevo per farlo coltivare, non lo ricavavo perché pretendeva quasi tutto mio suocero, lo pregai di vedersela lui per le spese di coltivazione ed a me non dare p[...]

[...]coltivare, non lo ricavavo perché pretendeva quasi tutto mio suocero, lo pregai di vedersela lui per le spese di coltivazione ed a me non dare piùMEMORIALE DAL CARCERE

151

niente. Lui veramente per debito di coscienza ogni tanto portava lo stesso qualcosa. Seppi poi che ciò che ricavava dall’orto lo vendeva (si può interrogare un certo Patrizio Antonio bettoliere) oppure lo teneva esclusivamente per sé e se qualche volta dava alla sua famiglia oppure alla figlia Aurora sposata patate, pomodori ecc. se li faceva pagare anche da loro ed a caro prezzo. Con questa occasione seppi anche che mio suocero, oltre a dormire giù in un basso di casa come

il servo, mentre mia suocera sù a parte da principessa, mangiava e beveva anche a solo. Seppi anche, circa un anno fa dal cav. Giuseppe Levantino, che mio suocero aveva sparsa la voce che l’orto l’aveva dato a me per dote quando m’ero sposato con la figlia.

Si era arrivati così verso la fine del 1935. Io mi recavo la sera sempre da mia sorella però da qualche tempo a questa parte la vedevo più triste del solito e che si riduceva sempre peggio anche fisicamente dato che allattava ancora la seconda bambina. Gli affari del negozio andavano bene principalmente per opera sua, giacché sapeva accogliere con le buone maniere i clienti giusto come l’avevo consigliata io, tanto vero che un giorno di quelli era ritornato per acquisti il cav. don Giacomo Tavella dopo un certo tempo ed aveva esclamato: «Ma qui avete fatto proprio cose da pazzi in pochi anni! ». E poi anche i vicini amavano e stimavano molto mia sorella, perché lei amava e stimava tutti. Una sera la vidi più triste del solito. Io volevo domandarle che avesse, però non dicevo niente perché avevo paura di sapere. Lei allora quasi facendo una risoluzione improvvisa diede la piccina ad Iva e mi portò dalla parte di dietro del magazzino al di dà dove dormivano vicino al gabinetto in un sottoscal[...]

[...]l negozio, ma oggi anche nel negozio in presenza di gente.

Io non per le botte, perché ormai sono abituata alla sofferenza, ma per la gente e perché penso che certe cose non le merito dal marito».

« Ma perché tutto questo? ».

«Per niente! Per un nonnulla! A volte è una bestia, non ragiona affatto! Ma non è lui, è la madre! Forse lui non sarebbe così cattivo! ».152

SAVERIO MONTALTO

A questo punto uscì nel negozio e ritornò. «Non voglio che arrivi qualcuno e che sospettino che ti racconto qualcosa, perché altrimenti mi ammazza del tutto. Iva non parla! È Tunica, ma gli altri uno peggio delTaltro. C’è la madre poi che non c’è l’eguale sotto il sole, ed è proprio lei che aizza il figlio ».

«Ma che vogliono insomma? ».

«Lo sai tu che vogliono? Vogliono che vedono che io so adattarmi a tutto; ecco mi son ridotta qui in questo buco e se mi mandano da mangiare mi mandano e se nò con un uovo sto una giornata quantunque debbo allattare la bambina; vedono che io so fare tutto meglio di loro, vedono che io so vendere anche meglio di loro, vedono che non dico mai niente, vedono insomma che io non sono come loro e per questo, apriti cielo! Se poi parli con loro?! Loro son belle e giovani ed io son vecchia che non mi meritavo mai un giovane così bello, così sapiente e che so io; loro sanno fare tutto e sono econome ed io non so fare niente e sono sperperona, loro sono aristocratici ed io sono figlia di gente bassa e di pezzenti, che non ho portato dote, perché per un giovane come lui dovevo almeno almeno portare centomila lire; loro poi sono le più oneste e tutte le altre compresa io sono tutte prostitute. Figurati che non potendo dire altro, hanno detto che tu vieni nel negozio perché ti faccio da mezzana per Grazietta Morabito, solo perché hanno visto che qualche volta è entrata qui. Ti ricordi quella sera quando mio marito venne cogli occhi stralunati? Menomale che ha trovato Grazietta sulla porta altrimenti sarebbe stato capace di fare non si sa che cosa. Così ho paura di parlare anche con i vicini e devo inimicarmi con tutti come sogliono fare loro».

«Sai che fai Anna? Cerca di evitare quanto puoi perché col tempo, quando sarete soli tu e tuo marito, si spera che cambierà questa situazione. Per ora soffri in silenzio! ».

« Peggio! L’altro giorno la suocera mi ha detto tante che mi vergogno anche di dirle; neanche i facchini della stazione. In ultimo se la pigliò anche con nostra madre morta. Nostro padre poi, non è che un ubbriacone miserabile! Io mi misi a piangere senza dire nulla e mi alzai per venirmene qui. Lei allora più inferocita, mi prese dai capelli e mi diede uno schiaffo, trattandomi da scostumata e da villana ».

« Ma tuo marito che dice? »

« Mio marito è peggio degli altri e dice che sua madre ha sempre ragione! ».MEMORIALE DAL CARCERE

153

«Ma è possibile^che non capiscono che se non fosse stato per te e per me a quest’ora andrebbero a chiedere l’elemosina di porta in porta? ». '

«Loro non capiscono niente. Mio marito ha detto che se non mi avesse sposata lui, non mi avrebbe sposata più nessuno e che perciò quello che hai fatto fino ad ora è niente e che devi dargli ancora le cinquemila lire».

«Ah sì? Allora digli che facciamo i conti di tutto quello che ho sborsato fino ad ora, togliamo le cinquemila ed anche il valore della casa di M... che resta per me e la differenza me la restituisca. Fino ad ora credo che ho speso oltre le ventimila a dir poco».

«Queste dice che non contano».

« Io adesso lo voglio chiamare e parlargli ».

« No, no; per carità; sarà peggio! Per ora fai in conto che non sai niente. In seguito si vedrà».

«Lo so quello che vogliono! Ma è possibile che dopo che mi sono sacrificato fino a questo punto, vogliono anche che sposi la loro figlia? E poi, con simile gente, chi vorrebbe mai avere a che fare? ».

«Lo so anch’io. Ma intanto loro lo pretendono, perché dicono che tu non sei meglio di loro e che non sei neanche meritevole di apparentare con loro. Certo finché hanno avuto bisogno di te e la cosa si poteva sopportare in qualche modo, ma ora che vedono che incominciano a non avere più bisogno di te, ti assicuro che son cose che non le auguro neanche agli animali irragionevoli ». e si mise di nuovo a piangere. Quel pianto mi attraversava l’anima ed il cuore. Non so perché: io qualsiasi pianto sopportavo, anche quello delle altre sorelle, ma il pianto di questa mia sorella non ero capace di sopportarlo. Vedevo che soffriva per avere troppo amato, vedevo ch’era vittima dell’ingratitudine e che soffriva perdavvero, perché le persone molto sensibili soffrono per davvero, e non sapevo darmi pace. Cercai di dominarmi per poterla confortare; poi rimasi ancora un po’ nel negozio e me ne andai.

Per quella notte non dormii, né per altre notti appress[...]

[...]o darmi pace. Cercai di dominarmi per poterla confortare; poi rimasi ancora un po’ nel negozio e me ne andai.

Per quella notte non dormii, né per altre notti appresso. Non sapevo mettermi assolutamente il cuore in pace, né sapevo intanto quale risoluzione prendere. Volevo chiamare mio cognato, ma avevo paura, non tanto per me, quanto per mia sorella e rimanevo indeciso. Ed ora non solamente avevo paura di lui, ma di tutti i presenti della famiglia, perché proprio sapevo che tutti potevano fare del male a mia sorella. Dopo qualche tempo m’incoraggiai e chiamai mio cognato. Lui dap154

SAVERIO MONTALTO

prima si sorprese, poi si addolorò, poi disse sarcasticamente che credeva di potere correggere sua moglie perché pensava che appartenesse a lui e che fosse cosa sua, ma che ora che sapeva che non era cosa sua, non si sarebbe più permesso neanche di parlare più una parola; si alzò ed uscì.

Le cose dopo un certo tempo si aggravarono sempre più come aveva previsto mia sorella. Io ora quasi evitavo di andare da lei per non vederla soffrire e mi trovavo al colmo dell’esasperazione. Eravamo arrivati già fin verso la fine di febbraio del 1936. In una notte di maggiore esaltazione e disperazione trovai la via d’uscita o per lo meno mi sembrò di trovarla. Difatti la mattina mandai a chiamare d’urgenza[...]

[...]ei per non vederla soffrire e mi trovavo al colmo dell’esasperazione. Eravamo arrivati già fin verso la fine di febbraio del 1936. In una notte di maggiore esaltazione e disperazione trovai la via d’uscita o per lo meno mi sembrò di trovarla. Difatti la mattina mandai a chiamare d’urgenza mia sorella. Non appena entrò, senza neanche lasciarla respirare le dissi: «Ho deciso di sposare Iva! Dirai a tuo marito che faccia tutto lui, giacché io non voglio avere seccature, e che fra quindici giorni saremo marito e moglie. Dirai ancora che non intendo invitare nessuno e che sposerò di sera tardi. Gli dirai pure che non voglio né mobili né vestiti per lei, né altro perché è sufficiente quello che ha; si porti soltanto un materasso perché il lettino c’è già anche per lei ».

Mia sorella mi guardava incantata. Poi mi disse:

« Ma vedi che se si tratta di un capriccio momentaneo, ti pentirai. Peggio ancora se non le vuoi bene! ».

«Le voglio, le voglio; non te ne preoccupare! Il matrimonio non è un istituto d’amore, anzi, i grandi uomini, affermano che è la tomba dell’amore. Il matrimonio è un istituto etico e cioè, in altre parole, marito e moglie si debbono volere bene, aiutare e rispettare principalmente come fratello e sorella, madre e figlio e via discorrendo. E guai, dicono gli stessi grandi uomini, se i genitori dovessero poggiare i loro occhi sul capo dei figli in qualità d’amanti. E se la moglie non tradisce il marito non lo tradisce in ossequio a questo principio di eticità e non perché non sarebbe tentata a farlo, giacché la natura è così. Cerca di spiegare ciò a lei con parole tue. Mi capisci? ».

«Ti capisco! E son certa che con te non avrà a soffrire anche se tu non dovessi volerle bene; per quanto questo, non è possibile. Ma sì! E poi dobbiamo restare in perpetuo a questo mondo? Tu stesso hai sempre detto che fra cinquantanni, al massimo, saremo tutti cenere ».

«Tu a lei dirai che la sposo perché le voglio bene e perché non parla mai ed è la più affezionata con noi. Però [...]

[...]ità e non perché non sarebbe tentata a farlo, giacché la natura è così. Cerca di spiegare ciò a lei con parole tue. Mi capisci? ».

«Ti capisco! E son certa che con te non avrà a soffrire anche se tu non dovessi volerle bene; per quanto questo, non è possibile. Ma sì! E poi dobbiamo restare in perpetuo a questo mondo? Tu stesso hai sempre detto che fra cinquantanni, al massimo, saremo tutti cenere ».

«Tu a lei dirai che la sposo perché le voglio bene e perché non parla mai ed è la più affezionata con noi. Però il matrimonio si faràMEMORIALE DAL CARCERE

155

sotto certe condizioni: anzitutto dobbiamo dormire a parte e tuttocciò non per venire meno agli impegni coniugali. Con te si può parlare perché sei sposata. Il fatto di dormire separati, se mai, dovrebbe servire a maggior stimolo dei sensi. Ma la ragione è ben altra. La ragione è che io ormai mi avvicino ai quarantanni ed abituato a dormire finora sempre solo, non sarei capace ad abituarmi in compagnia. E poi gli aristocratici dormono ognuno per conto loro. Fingiamo di essere anche noi aristocratici e tutto è fatto! In secondo luogo lei mi dovrà obbedire in tutto quel che io dico in casa per il motivo che io ho più esperienza di lei; non debbo essere disturbato, perché intendo studiare e per il fatto che non sa né cucinare, né fare altro non importa perché si abituerà insieme a me. Come sai, io so fare tutto. Desidero infine che dopo sposati nessuno deve venire in casa mia a rompermi il capo, perché ora basta; e, certo, non devono pretendere più nulla da me, comprese le trecento lire al mese che vi ho[...]

[...] vivere, facendo un po’ di economia, s’intende, abbastanza bene».

« Certo, ormai, queste cose le devono capire anche loro ».

« Ah! Dimenticavo di dirti che la cosa essenziale è che sua madre non dovrà comparire mai in casa mia e neanche in chiesa la sera del matrimonio. E su ciò non transigo in modo assoluto! ».

«E se non accettano?».

« Allora il matrimonio non si fa ».

« E se Giacomo mi domanda perché non sposi la grande? ».

« Gli dirai che non sposo la grande perché non mi va il suo carattere e che non sposo Elena per la stessa ragione. Del resto potrei sposare tutto al più una donna con trenta o quaranta mila lire di dote. Sarebbero tante e tali, le pretese che sto certo che non basterebbero neanche per mettersele addosso. Mi conviene allora sposare Iva con la camicia, perché so che non può avere nessuna pretesa e che faccio un bene per tutti».

Mia sorella più confusa che persuasa se ne andò per portare la lieta novella.

Il giorno dopo ritornò felice e contenta dicendomi:

«Finalmente sono finiti i miei guai![...]

[...]
«Finalmente sono finiti i miei guai!».

« Che ti hanno detto? ».

«Figurati! Tutti contenti: tranne di Aurora, s’intende. La madre ha fatto una smorfia, quando ha sentito che non vuoi saperne di lei,156

SAVERIO MONTALTO

ma poi contentissima anche lei e non sanno ora tutti come carezzarmi e volermi bene. Anzi la suocera mi ha dichiarato espressamente che ora che si fa questo matrimonio, è pensiero suo come deve trattare me e i miei figli. Giacomo però sai che cosa mi ha detto ridendo? Non credo che tuo fratello farà anche con noi come cogli altri fidanzamenti? Io Tho rassicurato ed allora egli mi ha fatto capire che il letto ed una cassa li fa lo stesso, a spese sue, tanto per fare vedere che c’è il letto matrimoniale se viene qualcuno. Per dormire assieme o divisi, son cose, che riguardano te e tua moglie. Egli, quando vuole, certe cose le capisce bene».

«Ed Iva?».

« Iva mi ha detto che lei è contentissima anche se tu le dirai di stare o di dormire in cucina. Per tutto il resto quando sentirai una parola dalla sua bocca di cucirgliela coll’ago. E poi bisogna dire che ti vuole assai bene ed anche a me ». \

Quel giorno mia sorella fu ancora felice ed anch’io fui felice benché di una felicità non tanto normale.

Il fatto si propagò immediatamente nel paese e dopo alcuni giorni, venuto a trovarmi il mio amico Giuseppe Larussa, gli comunicai la mia decisione. Lui preoccupato mi rispose: «Non credo vi siate regolato bene! Io, caro amico, non vi consiglio mai una cosa simile! ».

« Ma se io mi son deciso principalmente per mia sorella? ».

« Lo capisco benissimo! Ma non risolverete lo stesso la situazione ».

«Ma se ormai non posso ritornare indietro?».

«Fate come credete, perché voi siete l’arbitro, ma per me è così! ».

Benché il mio amico Larussa fosse allora assai giovane, si vede, era assai più saggio di me. Poi gli domandai : « E la gente che dice ? ».

« Dice che siete impazzito! ».

Difatti quando dopo alcuni giorni feci le pubblicazioni, vidi che tutti gli amici del Municipio mi guardavano un po’ circospetti ed alquanto confusi. Ma io ormai non vedevo più nessuno. Né diedi ascolto a mio padre, piombato a N... non appena il fatto si propagò anche a M...

Sposai il 15 marzo di quel 1936. Fu uno dei giorni più sconfortati della mia vita: non uscii affatto e passeggiai solo tutto il dì su e giù per le stanze della mia casa. Non so perché: un sentimento lugubre mi attanagliava il cuore. Solo potevo prendere un po’ di pace pensando continuamente al Fedone di Platone. Vedevo il modo ieratico, calmoMEMORIALE DAL CARCERE

157

e sereno con cui il grande Socrate aveva avvicinate le mani al calice della cicuta e mi veniva da piangere. Piangevo e così mi calmavo.

Verso le tre del pomeriggio venne mia sorella e mi aggiustò il letto e mi rassettò la casa. Poi piangemmo a lungo assieme, mi baciò ripetutamente ed andandosene mi disse : « Ora ci vediamo domani dopo mezzogiorno ».

«Perché; stasera non vieni?».

« No; perché Giacomo dice che dato che non viene ne[...]

[...]dopo mezzogiorno ».

«Perché; stasera non vieni?».

« No; perché Giacomo dice che dato che non viene nessuna delle donne, non debbo venire neanche io».

«Sta bene! Sia fatta la sua volontà!».

« Ma tu verrai lo stesso quando esci da me? ».

«Verrò! Dove vuoi che vada?».

La sera assistettero alla cerimonia in chiesa Giuseppe Larussa, il sacerdote don Paolo Canale, l’Arciprete ed il sagrestano di cui non si poteva farne a meno e tutti gli uomini presenti della famiglia Armoni. Mi accompagnarono anche a casa e poi subito se ne andarono. Così passò la mia giornata di nozze.

Dopo alcuni giorni che fui sposato, tenni questo discorso a mia moglie: «Ascoltami Iva! Come sai ancora io mi trovo con debiti e perciò per il momento dobbiamo fare la massima economia ed arrangiarci come si può. Significa che in seguito quando ci troveremo meglio, poi, se dobbiamo fare qualche spesa in più, la faremo. E poi come sai anche c’è mio padre a cui debbo pensare solamente io e c’è anche mia sorella di R... che ha molto bisogno ed ogni tanto la debbo aiutare pure. Che vuoi; son fatto così! Non sono capace vedere soffrire i miei ed io scialare e godere. Per il fatto di tua madre, io non ti dico di non andare a vederla, perché so che non te lo posso proibire; però ricordati che meno vai o se non vai del tutto è meglio ancora. Tua madre è combinata in modo che uno più lontano sta e meglio è. Ti dico ancora che io le voglio tutt’altro che male; [...]

[...]o fare qualche spesa in più, la faremo. E poi come sai anche c’è mio padre a cui debbo pensare solamente io e c’è anche mia sorella di R... che ha molto bisogno ed ogni tanto la debbo aiutare pure. Che vuoi; son fatto così! Non sono capace vedere soffrire i miei ed io scialare e godere. Per il fatto di tua madre, io non ti dico di non andare a vederla, perché so che non te lo posso proibire; però ricordati che meno vai o se non vai del tutto è meglio ancora. Tua madre è combinata in modo che uno più lontano sta e meglio è. Ti dico ancora che io le voglio tutt’altro che male; anzi il male che voglio a lei, Iddio lo faccia ricadere su di me; ma è così. Forse poveretta, dato che è fatta così, neanche lei ci ha colpa».

Mia moglie fu molto contenta di questo discorso. In casa stava sempre in silenzio, non faceva mai niente senza di me, anche perché non lo sapeva fare e così pian piano sotto la mia guida, si abituò a fare tutto ed anche bene. Per qualche anno le cose procedettero a meraviglia giacché non andava mai da sua madre e seppure andava, stava un po’ e poi ritornava a casa. Anche per mia so'rella le cose sembrava an158

SAVERIO MONTALTO

dassero bene. Ma dopo qualche anno la situazione peggiorò di colpo e più di prima, anche perché ora non si poteva più rimediare.

Si era, mi sembra, verso il maggio del 1937. Un giorno mi mandò a chiamare mia sorella mentre suo marito era assente. Mi portò nel solito sottoscala e mi raccontò con le lagrime agli occhi che di nuovo avevano incominciato a martirizzarla, che suo marito l’aveva picchiata diverse volte e che se prima del[...]

[...] da sua madre e seppure andava, stava un po’ e poi ritornava a casa. Anche per mia so'rella le cose sembrava an158

SAVERIO MONTALTO

dassero bene. Ma dopo qualche anno la situazione peggiorò di colpo e più di prima, anche perché ora non si poteva più rimediare.

Si era, mi sembra, verso il maggio del 1937. Un giorno mi mandò a chiamare mia sorella mentre suo marito era assente. Mi portò nel solito sottoscala e mi raccontò con le lagrime agli occhi che di nuovo avevano incominciato a martirizzarla, che suo marito l’aveva picchiata diverse volte e che se prima del matrimonio le soleano usare un po’ di riguardo, adesso niente del tutto e che il cagnolino che avevano contava in quella casa assai più di lei ed era trattato assai più di lei.

Io non volli sapere altri particolari per non indignarmi di più, la pregai di sopportare e me ne andai. Mentre mi ritiravo a casa intesi che non vedevo più dagli occhi e che la testa mi girava come un mulino. Arrivato a casa non ero capace di sopportare la presenza di mia moglie e senza ragione,[...]

[...]i nuovo avevano incominciato a martirizzarla, che suo marito l’aveva picchiata diverse volte e che se prima del matrimonio le soleano usare un po’ di riguardo, adesso niente del tutto e che il cagnolino che avevano contava in quella casa assai più di lei ed era trattato assai più di lei.

Io non volli sapere altri particolari per non indignarmi di più, la pregai di sopportare e me ne andai. Mentre mi ritiravo a casa intesi che non vedevo più dagli occhi e che la testa mi girava come un mulino. Arrivato a casa non ero capace di sopportare la presenza di mia moglie e senza ragione, si può dire, sfogai con lei la mia disperazione. Li trattai d’ingrati e di gente perfida e tutto quanto sapevo della sua famiglia di poco pulito glie lo scaraventai in faccia senza pietà. Lei sentendosi tocca sul vivo e che ciò che dicevo rispondeva a verità, si mise a piangere e poi fece per andarsene; ma giunta fuori la porta ritornò e si coricò. Io dopo sfogato capii che lei in fondo non c’entrava e ritornato in me subito cercai di riparare al mal fatto chiedendo scusa a mia moglie e rifacendomela amica. Ormai non ci pensavo più a ciò ch’era avvenuto, quando dopo alcuni giorni, nel pomeriggio ti vedo arrivare mia suocera cogli occhi del cane arrabbiato. Era questa la prima volta che veniva in casa mia dopo che mi ero sposato. Mi chiamò nello studio, chiuse la porta, mi fece sedere, sedè anche lei ed incominciò a dire :

« Sappiate che la mia famiglia è la prima di N... ed io sono figlia di chi sono figlia (suo padre poveretto era ciabattino), perché mio padre era il primo negoziante di questi contorni e non a torto i miei figli mi chiamano la padrona di sette paesi. E sulla onestà e serietà mia e delle mie figlie non si è mai permesso nessuno di dire il minimo che, perché io non sono una di quelle bagascione vecchie come vostra sorella che se non la sposava mio figlio non l’avrebbe sposata più nessuno. Capite? Non perché vostra sorella trovò mio figlio per coprire le corna a lei ed a voi?! Capite? Quale dote ha portato? E voi che cosa siete di fronte a me e mia figlia? E non perché ho accettato allora! Credete che ho dimenticato che avete preteso che io non assistessi al matrimonio? Per questa volta a voi vi lascio stare, ma vostra sorella d’ora in avanti ha a che fare con me. E sappiatelo una buona voltaMEMORIALE DAL CARCERE

159

per sempre che se mia figlia deve avere ancora il minimo dolor di testa, prima di tutto vado da vostra sorella e la squarto a quattro pezzi e poi per voi se ne parlerà; e, se non basto io, ho quattro giovani di figli ed un marito che non hanno cosa pensare! ».

Si alzò ed 'uscì.

Fui preso dalle contrazioni tetaniche. Mi misi a letto vestito e con diverse coperte addosso, ma i denti mi ballavano lo stesso dal freddo.

Il cuore dal tumulto non lo sentivo più. Mi misi ad urlare e per fortuna che la casa era isolata e quasi in campagna. In questo momento entrò nella stanza di furia il fratello Giovanni di mia moglie, mi guardò bieco ed uscì. Ad un certo punto perdei completamente la coscienza e mi assopii. Rimasi qualche giorno a letto ma poi alzatomi mi sentivo come intontito e così rimasi sempre, si può dire, nei momenti di calma, fino alla fine.

Verso i primi di agosto di quell’istesso anno mentre una sera ritornavo da M... caddi dalla motocicletta e per poco non ci lasciai la vita. Riportai varie ferite alla faccia, alle mani ed al ginocchio; ma il colpo principale l’ebbi alla regione temporale destra con conseguente edema e periostite di cui ancora ne rimane qualche traccia. Rimasi nella cunetta[...]

[...]etta per un periodo che non ho saputo mai precisare e quando rinvenni e mi vidi di nuovo in mezzo alla strada non sapevo più orizzontarmi dove mi trovassi. Le prime cure me l’apprestarono pietosamente e cortesemente i signori Muratore e poi venni curato definitivamente dal dottor Giulio Castagna, il quale in quel tempo lo credevo amico e benché stesse allora nella borgata S. Giuseppe, alquanto distante dal paese, ormai era divenuto medico di famiglia di mia suocera e di mia sorella dietro mio suggerimento dato che cogli altri medici del centro mia suocera non era in buoni rapporti. Anzi dopo che incominciammo a chiamarlo noi acquistò una certa clientela pure nel centro, tanto vero che intese la necessità di stabilirsi quivi. E ciò lo fece anche per suggerimento di mia suocera, giacché dopo un po’ di tempo era diventato l’idolo della famiglia. Il Castagna da parte sua, per sdebitarsi da tanta idolatria, non si stancava mai, specie in quel periodo, di frequentare la casa della mia suocera, sia che c’era e sia che non c’era bisogno dell’opera sua. Mi ricordo a questo punto che una volta parlando con Giuseppe Larussa dei miei guai di famiglia ebbe a dirmi queste parole: «Caro amico, non ve l’abbiate a male, ma io non ebbi allora, quando venni a trovarvi in seguito alla vostra caduta, una bella impressione di vostra moglie. Mi rammento che mi ricevette con160

SAVERIO MONTALTO

una faccia così fresca e sorridente che non solo mi sorprese, ma mi addolorò! ». Ma io ormai conoscevo mia moglie e non mi fece tanta specie. In occasione della mia caduta mia suocera venne in casa mia col resto della famiglia ed io in fondo ebbi piacere, perché speravo così di placare in qualche modo la loro malvagità verso mia sorella e che forse ritornando tutti amici l’avrebbero trattata un po’ meglio. Verso la fine di agosto ero quasi guarito e mi recai alla festa di S. Rocco con mia moglie, quantunque non ci volevo andare, perché mi trovavo in lutto stretto dato che mio padre era morto il marzo precedente. Ma lei insistè ed io, sempre per evitare conseguenze disastrose verso mia sorella dovetti acconsentire. Al ritorno da S. Rocco, un giorno rientrando dal mio ufficio verso mezzogiorno trovai mia moglie inviperita e la persona di servizio certa Grazia Marina tutta graffiata e malmenata pronta per andarsene via perché il mio cognato Giacomo, non so più per quale ragione, l’aveva accompagnata a schiaffi ed a calci dal negozio fino alla piazza della stazione. La poveretta mi disse che per me sarebbe rimasta per sempre, ma per loro, ora che si erano permessi a tanto, non poteva stare più. Io ingoiai la pillola, la pagai e la mandai e dopo un po’ di tempo presi la persona di servizio che ebbi poi fino all’ultimo.

Dopo la caduta il mio fondo trepido e pauroso aumentò sempre più e dovetti fare [...]

[...]se che per me sarebbe rimasta per sempre, ma per loro, ora che si erano permessi a tanto, non poteva stare più. Io ingoiai la pillola, la pagai e la mandai e dopo un po’ di tempo presi la persona di servizio che ebbi poi fino all’ultimo.

Dopo la caduta il mio fondo trepido e pauroso aumentò sempre più e dovetti fare grandi sforzi per potermi assicurare di nuovo sulla motocicletta.

Dopo qualche tempo, mi sembra, ritornò il fratello di mia moglie Lorenzo, il quale si era riabilitato in Africa divenendo S. Tenente di complemento e per cui io ebbi molto piacere. Quando aveva appreso del mio matrimonio aveva scritto una lettera a mia moglie dicendole ,della grande fortuna che aveva avuto a sposare me ed a me chiedendo scusa pel fatto dell’incidente colla figlia di P anetta giustificandosi che allora si era trattato di una vile calunnia.

Quel Natale andai a passarlo cogli Armoni, come buona parte .delle feste successive, benché a malincuore e sempre per accontentare mia sorella, la quale ogni volta mi diceva: «Se non vieni, se la pigliano con me e son sicura che non mi lasciano venire più da te. E poi se non vieni tu con chi vuoi che io passi le feste? Con loro? Con loro e cogli estranei è tutt’uno! E poi, dato che tu non devi pensare più per le spese del pranzo, come una volta, in verità, ce ne hanno molto piacere, specie Giacomo, perché a te son sicura che ti voglionoMEMORIALE DAL CARCERE

161

bene ed anche per dimostrarti che ora che spendono loro ti desiderano più di prima ».

La sera di quel Natale dopo cena venne un certo mastro muratore Pierino Lombardia con la famiglia, il quale stava riadattando la casa degli Armoni e così ci mettemmo a giocare a nocciole tutti quanti, tranne dei fratelli maggiori di mia moglie che si trovavano già fuori per i fatti loro. Ad un certo punto mia sorella aveva perduto tutte le nocciole e disse di non volere giocare più. Mia suocera allora adirata se ne uscì con queste parole : « Giuoca, pezzentona scostumata! ». Io a queste parole rimasi interdetto anche perché c’era la famiglia del Lombardia ed alzandomi dissi di non volere giocare più neanche io. I Lombardia anche loro sconcertati si alzarono e se ne andarono. Come loro se ne furono allontanati, io dissi a mia moglie: «Andiamo! E questa è la prima e l’ultima volta che entro in questa casa! ». Successe un trambusto che non si capiva più niente. Mia suocera dato che non poteva sfogare con mia sorella perché c’ero presente io incominciò a strillare ed a urlare ed a battere le figlie femmine da sembrare impazzita. In questo mentre arrivò l’insegnante Lorenzo ed anche lui si mise a battere le sorelle senza ragione. Io rimanevo paralizzato ed intontito e non sapevo più dove mi trovassi. Ad un certo momento mia suocera mandò un ultimo strillo sibilante e penetrante da spezzare le cervella e cadde svenuta per terra. L’insegnante disse: « Mettetela a posto, perché se arriva Giacomo vi fa tutti a pezzi! ». Io tremavo come una foglia. Capii che forse la causa di tuttocciò ero stato io e mi piegai e baciai mia suocera chiedendole perdono per farla rinvenire. Sento ancora sulle labbra l’impressione di aver baciato un serpente. Ma con tuttocciò mia suocera non rinvenne lo stesso e si dovette portare di peso sul suo lettino ove rimase per diversi giorni e svenuta per tutta la notte e buona parte del giorno appresso. Io dopo un certo tempo pregai tutti i . presenti di non dire niente a Giacomo ch’eravamo stati io e mia sorella la causa di tutto quel guaio e me ne andai con mia moglie. Non ricordo più ciò che mi fece e mi diss[...]

[...]ono per farla rinvenire. Sento ancora sulle labbra l’impressione di aver baciato un serpente. Ma con tuttocciò mia suocera non rinvenne lo stesso e si dovette portare di peso sul suo lettino ove rimase per diversi giorni e svenuta per tutta la notte e buona parte del giorno appresso. Io dopo un certo tempo pregai tutti i . presenti di non dire niente a Giacomo ch’eravamo stati io e mia sorella la causa di tutto quel guaio e me ne andai con mia moglie. Non ricordo più ciò che mi fece e mi disse mia moglie in quella occasione; ma penso che mi avrà combinato un facsimile della madre. L’indomani sera ritornai da mia suocera per chiederle nuovamente scusa e perdono e così lei dopo alcuni giorni si alzò dal letto. Seppi in seguito che quello era lo stratagemma prediletto di mia suocera quando si sentiva nel torto e non poteva avere ragione altrimenti sopra i suoi familiari più o meno autorevoli. E difatti quando, in seguito, una volta ebbe una questione seria col figlio162

SAVERIO MONTALTO

Giacomo in cui il torto era suo, si mise a letto svenuta dicendo di volere morire e senza rispondere a[...]

[...]sione; ma penso che mi avrà combinato un facsimile della madre. L’indomani sera ritornai da mia suocera per chiederle nuovamente scusa e perdono e così lei dopo alcuni giorni si alzò dal letto. Seppi in seguito che quello era lo stratagemma prediletto di mia suocera quando si sentiva nel torto e non poteva avere ragione altrimenti sopra i suoi familiari più o meno autorevoli. E difatti quando, in seguito, una volta ebbe una questione seria col figlio162

SAVERIO MONTALTO

Giacomo in cui il torto era suo, si mise a letto svenuta dicendo di volere morire e senza rispondere alle preghiere e lamenti di nessuno compresi i miei, giacché nei momenti difficili o che avevano bisogno di prestiti ricorrevano a me per mezzo di mia sorella innalzandoci momentaneamente più o meno alle stelle secondo i loro bisogni più o meno urgenti, e per farla rinvenire il figlio Giacomo, quando dopo diversi giorni si preoccupò che forse voleva morire per davvero, dovette ricorrere al dott. Castagna, il quale a stento riuscì a farla rinvenire consumando una buona dose di ammoniaca. E se non mi venisse da piangere potrei descrivere le mosse bizzarre che mia suocera fece nel letto all’odore penetrante dell’ammoniaca prima di aprire gli occhi definitivamente. Faccio presente a questo punto che il bene di mia suocera era sterminato ed immenso come il mare per i suoi familiari che sapeva che gli potevano dare da mangiare e da bere, ed infatti il marito dopo che fallì e che non fu più in condizione di darle pranzi suntuosi, divertimenti ecc. non lo potè più né vedere e né sentire. In questa occasione me ne accorsi che il Castagna aveva già un certo de^ boluccio per mia cognata Aurora, però per mia moglie non potevo pensare mai che avesse fin d’allora forse lo stesso debole. Mi dispiacqui, perché non mi aspettavo mai, non per loro, ma per me, dato che il Castagna lo credevo un amico, che lui avesse abusato a tanto. Né dissi mai niente a nessuno, perché sapevo come la pensava la famiglia Armoni e che certamente sarei passato per calunniatore e che le conseguenze le avrei dovuto sopportare sempre io e la mia povera sorella. In questo frattempo però avevo incominciato a notare che mia moglie andava acquistando sempre più il carattere della madre, specie se veniva in casa qualcuno di condizioni sociali piuttosto basse, giacché si faceva avanti sempre lei per cercare di civettare e mettere in mostra le sue fattezze. Io tremavo dentro di me senza darmi neanche ragione del vero motivo. Dopo meno di un anno dalla morte di mio padre, mia moglie si tolse il lutto dicendo che le faceva male e mentre

io e mia sorella continuammo a portarlo, lei vestiva gli abiti smaglianti; non solo, ma pretendeva che io l’avessi accompagnata per le vie della città per potere mettere in mostra il suo splendore e la sua bellezza. Seppi poi ch’era stata la madre a consigliarla, dicendole: «Ma sì! Che cosa pretende quel coniglio di tuo marito, che una bambola come te s’invecchi di colpo per un vecchio rimbambito e miserabile come suo padre ? ».

Si era verso Testate del 1938. Mia sorella era andata ad abitareMEMORIALE DAL CARCERE

163

nella casa della suocera, dato che il marito l’aveva accomodata ed ampliata. Lei aveva fatto di tutto per non andare, perché sapeva bene che le sue condizioni sarebbero peggiorate, ma il marito si era imposto senza sentire ragione ed aveva dovuto obbedire. Io ora evitavo di andare allo spesso da lei perché incominciavo a nutrire un sacro terrore per quella gente ed un giorno se[...]

[...]omento andrò da Catuzzella a R... Poi troverò un posto di serva a Palermo o a Catania, perché io so fare tutto, e campo. Purché mi lascino però portare con me la bambina, perché ha bisogno del latte e non ho il coraggio di abbandonarla, diversamente andrò a buttarmi a mare! ».

«Tu non andrai a nessuna parte. Significa che te ne verrai da me! ».

«Da te? Se fossi solo, va bene, perché trovavano la cosa molto comoda; ma dato che c’è la loro figlia, anzitutto non la debbo disturbare e poi ormai lei m’odia più degli altri. Tutti mi odiano! » e si sollevò in mezzo al letto. « Anche le mura, anche l’aria che respiro di questa casa! Ma io perciò non volevo venire ad abitare qua, perché lo sapevo! ».

«Ma che vogliono, insomma?» e mentre parlavo guardavo nella stanza appresso perché avevo paura che arrivasse qualcuno.

« Che vogliono? Ormai lo so che vogliono! Vogliono che io scomparisca, perché ormai son di più! Ma io l’ho detto al mio signor marito! Avevo la proprietà e ve l’ho data; avevo l’onore e ve l’ho dato; avevo un fratello impiegato e ve l’ho dato! Adesso volete che scomparisca perché avete bisogno di una bambolina come le vostre sorelle e non di una vecchia sdentata e di una tisica come me? E me ne vado! Io non ero tisica! Mi avete ridotta voi tisica! E per questo mi ha preso a schiaffi mentre stavo nel letto ad allattare la bambina. Immagina che se la pigliano anche con me perché ho tre figlie femmine! Io li volevo meglio di loro i maschi e n[...]

[...]detto al mio signor marito! Avevo la proprietà e ve l’ho data; avevo l’onore e ve l’ho dato; avevo un fratello impiegato e ve l’ho dato! Adesso volete che scomparisca perché avete bisogno di una bambolina come le vostre sorelle e non di una vecchia sdentata e di una tisica come me? E me ne vado! Io non ero tisica! Mi avete ridotta voi tisica! E per questo mi ha preso a schiaffi mentre stavo nel letto ad allattare la bambina. Immagina che se la pigliano anche con me perché ho tre figlie femmine! Io li volevo meglio di loro i maschi e non per me, ma per accontentare loro. Ma164

SAVERIO MONTALTO

mi posso mettere io contro la volontà di Dio o della natura, chi è che li manda? Parla? Dici tu che sei un uomo che capisci? ».

«Calmati, calmati!».

« Non mi posso calmare! Io son pazza, perché lo so che son pazza! Ed io perciò me ne voglio andare! ».

«Ma che avete avuto ora?».

«Niente! Perché io seguendo il tuo consiglio non parlo mai. Ultimamente dato che mi trovavo in queste condizioni e che dovevo allattare la bambina e che loro mi trattavano come una cagna, feci presente a mio marito che volevo mangiare quando mangiava lui perché così mi avrebbero trattata meglio. Lui trovò la cosa giusta ed accondiscese, perché lui in fondo non sarebbe cattivo se non fosse per la madre e son sicura che se fossi divisa per i fatti miei le cose andrebbero diversamente. Per qualche giorno si andò bene, ma poi la madre si adontò di botta ed incominciò a fare come al solito suo. Un giorno mi portò il piatto pieno, me lo buttò davanti come si fa con i cani, anzi con i cani si fa con più delicatezza e disse : « Mangiate, dato che dobbiamo servire anche voi! ». Io mi misi a piangere e non volevo mangiare, ma mio marito mi obbligò e dovetti mangiare per forza. Poi lui non so[...]

[...]i giorni che dice che non vuole più vederci a nessuno! ».

« E tuo marito? ».

« Mio marito se l’è presa con me, perché dice che per causa mia è nemico colla madre. La madre lo sa baloccare, perché sa che senza di lui muore di fame, salvo poi quando è assente ad ingiuriarlo cornuto e delinquente. Ora fa lo stesso anche con Lorenzo perché sa che ora che prenderà il posto di maestro anche lui le può dare. Perché non fa lo stesso col marito e cogli altri che ogni giorno sembra il mercato e si ammazzano e si dicono tante che ho vergogna anche di sentirle? Col figlio Giovanni non parlano tanto perché hanno tutti paura. Anche per te e per tua moglie dice che muore per il gran bene che vi porta! Perché? Perché sa che voi le fate onore e che potete darle e mandarle. Io a mio marito non lo so baloccare come lei, perché avrei vergogna, altrimenti vedresti che anche a me mi vorrebbe bene».

«Ma se loro dicono di volermi bene, e l’ho detto anche a mia moglie, a te voglio che vogliano bene e non a me, perché io del loro bene non saprei cosa farne! ».

«Lo so! Ma non capisci che io son di più ormai? Figurati cheMEMORIALE DAL CARCERE

165

non son padrona di prendere neanche un pezzo di pane, non dico per me, ma neanche per le mie figlie. Già, che anche loro incominciano così piccole a parlare e fare le stesse mosse di loro e le istruiscono ad odiarmi. Ma se non crescono come voglio io è meglio che il Signore se le chiami. Già che non le posso neanche educare che si mettono loro davanti e se la pigliano con me. Anche la tua ragazza di servizio ha paura di parlarmi, che se se ne accorgono che viene qui, l’ammazzano. Ed intanto mi lasciano qui sola, abbandonata, con questa bambina, anche a morire di fame. Non ne parliamo poi che cosa hanno fatto con questa casa! Che io non ero degna di entrare in questa reggia, che io non ho visto mai mura pittate ad olio, che io non ho visto mai poltrona ed armadio, che io ero abituata a stare in mezzo ai porci ed in mezzo alle puttane e tutto il resto che sanno dire loro. C’è anche che la grande finge di essermi amica, ma lo fa solamente per dispetto di s[...]

[...]esta bambina, anche a morire di fame. Non ne parliamo poi che cosa hanno fatto con questa casa! Che io non ero degna di entrare in questa reggia, che io non ho visto mai mura pittate ad olio, che io non ho visto mai poltrona ed armadio, che io ero abituata a stare in mezzo ai porci ed in mezzo alle puttane e tutto il resto che sanno dire loro. C’è anche che la grande finge di essermi amica, ma lo fa solamente per dispetto di sua madre e di tua moglie e forse per fare capire a te che se tu avessi sposata lei, tutto questo non si sarebbe verificato. Ma io non voglio niente da nessuno più e solo me ne voglio andare! Ora che il negozio l’ho portato a questo stato e che può andare anche senza di me, non vogliono che ci vada più compreso il mio marito. Hanno invidia perché la gente quando viene cerca sempre di me e vuole comprare con me. L’altra volta la madre si mise a ballare ed a fare le mosse che fanno quelle che tu sai, senza spiegare, dicendo: «Vuole fare la bambolina di negozio! Vuole fare la donna bella! Vuole fare la donna elegante! Vuole fare la donna aristocratica ed ammanierata! Ah bagasciona vecchia! Mettetevi a fare il bucato ed a lavare piatti. Ti riesce, che hai trovato a noi, per farti il servo?! ». Son cose, ti assicuro, che tagliano il core dei santi! Ma io voglio fare tutto. Ma [...]

[...]pre di me e vuole comprare con me. L’altra volta la madre si mise a ballare ed a fare le mosse che fanno quelle che tu sai, senza spiegare, dicendo: «Vuole fare la bambolina di negozio! Vuole fare la donna bella! Vuole fare la donna elegante! Vuole fare la donna aristocratica ed ammanierata! Ah bagasciona vecchia! Mettetevi a fare il bucato ed a lavare piatti. Ti riesce, che hai trovato a noi, per farti il servo?! ». Son cose, ti assicuro, che tagliano il core dei santi! Ma io voglio fare tutto. Ma come posso fare se con loro non si può stare e solo posso trovare un momento di pace quando sono nel negozio? Ma io ormai li lascio liberi tutti, compreso mio marito! ».

«Va bene! Adesso manderò a chiamare tuo marito!». Mi alzai ed uscii.

Mentre ritornavo a casa mi sentivo avvilito e pensavo : « Ma perché, perché tanta malvagità sulla terra? Che cosa ha fatto per essere trattata così dagli uomini? Adesso se ne vuole andare! E dove andrà? Ed io poi come potrei continuare a vivere con mia moglie? ».

Dopo pranzo mandai a chiamare mio cognato Giacomo. Lo feci sedere nello studio e gli parlai così: «Vi prego, abbiate un po’ di carità per quella donna! Vostra madre lo sapete, è insopportabile con166

SAVERIO MONTALTO

noialtri, immaginate poi con la nuora. Io non vi dico di non trattarla e non crediate che io le voglia del male, no; però non è giusto che per causa sua voi dobbiate malmenare così mia sorella. Vostra madre è così e forse neanche lei ci ha colpa! Ma se non ha fatto mai pane con nessuno? E se è nemica con suo fratello, volete proprio che vada d’accordo con mia sorella? Vi prego, cambiate casa, giacché son disposto di pagarvi anche l’affitto. Adesso dice che se ne vuole andare! Capirete che un fatto simile, porterà varie conseguenze anche per mia moglie ».

<c Ma io in questo momento non posso cambiare abitazione, perché la mia famiglia ha bisogno di me e specie che ci sono ancora le mie sore[...]

[...]del male, no; però non è giusto che per causa sua voi dobbiate malmenare così mia sorella. Vostra madre è così e forse neanche lei ci ha colpa! Ma se non ha fatto mai pane con nessuno? E se è nemica con suo fratello, volete proprio che vada d’accordo con mia sorella? Vi prego, cambiate casa, giacché son disposto di pagarvi anche l’affitto. Adesso dice che se ne vuole andare! Capirete che un fatto simile, porterà varie conseguenze anche per mia moglie ».

<c Ma io in questo momento non posso cambiare abitazione, perché la mia famiglia ha bisogno di me e specie che ci sono ancora le mie sorelle in casa».

« Ed allora, vi prego, abbiatele un po’ di carità! ».

« Ma che volete; anch’io son fatto così! Quando perdo la bussola non vedo più nessuno e più di una. volta ha schiaffeggiato e preso a calci anche mia madre ed anche mio padre ».

« Male; perché coi genitori non si deve arrivare mai a questo punto! Però se vi dicono di andare a buttarvi sotto il treno non lo dovete fare neanche! Il rispetto e l’aiuto è un conto,, ma il capriccio è un altro. Sapete che cosa dice uno storico a prop< iko di Caterina dei Medici una p[...]

[...]n vedo più nessuno e più di una. volta ha schiaffeggiato e preso a calci anche mia madre ed anche mio padre ».

« Male; perché coi genitori non si deve arrivare mai a questo punto! Però se vi dicono di andare a buttarvi sotto il treno non lo dovete fare neanche! Il rispetto e l’aiuto è un conto,, ma il capriccio è un altro. Sapete che cosa dice uno storico a prop< iko di Caterina dei Medici una pessima imperatrice di Francia? Dice "e solo il figlio aveva saputo tramandarci il suo carattere chiamando i « madama la vipera»! Ma con ciò, dice lo stesso storico, il figlio \J>n venne mai meno ai doveri di figlio».

«Allora sapete per ora che facciamo? Mia moglie, dato che sta anche poco bene in salute, se ne viene qui da voi per un pò di tempo, perché qui ha anche il modo di curarsi meglio e vostra moglie se ne viene provvisoriamente da mia madre »

« Purché accettino, dispostissimo! ».

« Ora vado e cercherò di persuadere mia madre ».

Faccio presente a questo punto che in fondo mio cognato Giacomo è stato sempre in mezzo a tutta quella gente feroce e malvagia, forse il più buono; opinione che conservo tuttavia, anche dopo che mi spinse nell’abisso in cui mi trovo. Però allora dopo che mi rivelò che aveva percosso anche sua madre e suo padre, andandosene, fui invaso da un sacro terrore, perché pensavo che anche con me, a maggior ragione, un giorno o l’altro avrebbe potuto fare lo stess[...]

[...]ivelò che aveva percosso anche sua madre e suo padre, andandosene, fui invaso da un sacro terrore, perché pensavo che anche con me, a maggior ragione, un giorno o l’altro avrebbe potuto fare lo stesso. Dopo che mio cognato se ne andò, come se il cuore mi dicessé che sua madre non avrebbe di certo accettato la sua proposta, rimanevo trepidante,MEMORIALE DAL CARCERE

167

e più tardi mi vestii ed uscii. Andai dritto al negozio. Imboccata la soglia vidi mio cognato Giovanni con la rivoltella in mano che faceva come un pazzo dicendo « Mi perdo io, ma si salvano due famiglie! » ed il padre che cercava di disarmarlo e di trattenerlo. Ad un certo momento si sganciò dal padre ed il padre allora si lanciò appresso di corsa. Anch’io mi avviai verso la casa degli Armoni e mentre mi avvicinavo tremavo come una foglia. Entrai dentro e vidi mia suocera che si dimenava come un energumento e la figlia Aurora quasi morta per terra. Salii sopra di corsa da mia sorella. Al termine della scala incontrai mio suocero che teneva il figlio Giovanni a viva forza e che lottava per portarselo via. Li oltrepassai ed entrai nella stanza da letto di mia sorela. La vidi dritta in mezzo al letto in camicia e colle braccia tese come un crocefisso che gridava ripetutamente « Aiuto, mi vogliono ammazzare! » ed il marito inferocito ed in atto bestiale che stava per batterla. Mandai un urlo sovrumano e gridai « Fermo! ! ! » mettendomi in mezzo. La bestia al mio urlo s’intimorì e si ritrasse placandosi. Poi uscì. Mia sorella si gettò quasi nuda nelle mie braccia ripetendo « Mi vogliono ammazzare! ». Il suo cuore batteva con tanta violenza che mi faceva male sul petto. « Calmati, non te ne spaventare! » gli dissi « Dovranno passare prima sul mio cadavere! ». Dopo un certo tempo si calmò e più tardi entrò il marito dicendo: «Ciò che abbiamo stabilito tra di noi, non è fattibile, perché mia madre asserisce che non si dica mai al mondo che sua figlia debba ritornarsene in casa sua! ».

« Ma io non ho detto né ho pensato tutto questo! Si trattava semplicemente di una cosa che tutti fanno. Del resto la proposta era venuta da voi! ».

«E se l’è presa anche con me! Ma o fanno o no, è così! Se mia moglie non vuole stare se ne può andare! Però la bambina deve restare con me, perché lei non è donna di educare bambine! ».

« Sta bene! Per il momento consiglio a tutti la calma! Ora andrò io giù da vostra madre e la pregherò, se si vorrà persuadere, che ritorni amica con mia sorella e che venga nuovamente sopra e che faccia d’ora in avanti ogni cosa come piace a lei ».

Più tardi scesi da mia suocera e la pregai di ritornare sopra e di perdonare mia sorella per quella volta se aveva mancato in qualche cosa. Ma lei s’impuntò dicendo che mia sorella non si doveva permettere mai di calunniare lei, la signora Armoni, conosciuta in ogni dove per la sua dignità e decoro di persona aristocratica e perbene che sa168

SAVERIO MONTALTO

peva agire e t[...]

[...] è vostra sorella e, sappiatelo, che benché non lo meriti, essa è la regina di N**#. Chi c’è nel paese più contenta di lei? ».

Allora io piansi di fronte a mia suocera, mi umiliai, la scongiurai e la pregai ginocchioni, ma lei rimase dura e col suo contegno di donna perbene.

Verso la mezzanotte decidemmo che mia sorella, ormai rassegnata anche a morire, sarebbe rimasta a letto chiusa a chiave di dentro e che io, mio cognato Giacomo e mia moglie andassimo a casa mia. Per quella notte nessuno mangiò o dormì. Io nel letto vicino a mia moglie ebbi dei momenti orribili di orgasmo e di allucinazione e per poco non mi tirai un colpo di pistola alle tempia. La mattina mio cognato Giacomo si alzò ed uscì. Mia moglie, che fino a quel momento era rimasta muta per la presenza del fratello, ora che il fratello non c’era più si mise a copiare la madre dicendo che se ne voleva andare via a fare la cameriera dato che ormai lei non poteva stare più nella sua casa e che io mi ero permesso di scacciarla via. Allora io mi umiliai anche di fronte a mia moglie, mi get'jii ai suoi piedi, piansi, la pregai, la scongiurai come avevo fatto la :/fa avanti con sua madre e così lei, come Dio volle, si placò ed acce j discese di rimanere ancora con me. I

Verso le undici andai da mia sorella e| t trovai alzata che si stava accomodando le cose sue personali in una cassetta e decisa di andarsene via anche senza la sua bambina. Le atrocità le avevano fatto perdere anche l’istinto della maternità così vivo anche nelle bestie. In alcuni momenti si fermava e guardava forsennata. Io tentai un ultimo supremo sforzo ed andai giù di nuovo per scongiurare mia suoc[...]

[...]ella seduta sulla cassetta che si teneva la fronte con ambo le mani ed il marito all’impiedi vicino alla finestra. Mia sorella come mi scorse, sollevò la fronte ed esclamò: «Non credevo mai che avrei dovuto essere una donna così disgraziata dopo avere tanto amato! ».

In questo mentre entrò mia suocera dicendomi: «Per questa volta accondiscendo per voi! Ma solo per voi! Per l'avvenire si vedrà! » si vede che aveva annusato il pericolo per la figlia e non certo per miaMEMORIALE DAL CARCERE

169

sorella, giacché le bestie feroci annusano anche il pericolo e forse più degli uomini e così intimorita si era decisa a fare la pace.

Io m'intesi restituito al mondo dei vivi, presi mia sorella e la portai in braccio a mia suocera. Ci furono pianti, svenimenti eccetera e così dopo un’ora circa me ne andai a casa mia per informare anche mia moglie. Mi sentivo un pò tranquillo, va bene, ma le umiliazioni subite ed il resto, avevano ancora una volta amareggiato ed avvilito il mio cuore.

Non ricordo più se verso quest’epoca o prima o dopo mia cognata Elena diede dei segni di pazzia perché il suo fidanzato Vincenzino Sofia si era sposato con un’altra, per cui i fratelli ed il padre invece di confortarla e farle dimenticare il passato la bastonavano giornalmente a sangue tanto vero che un giorno che, dietro le insistenze di mia sorella, andai per darle un pò di sollievo, la vidi rilegata nel basso che serviva da ripostiglio e da stanza [...]

[...]o cuore.

Non ricordo più se verso quest’epoca o prima o dopo mia cognata Elena diede dei segni di pazzia perché il suo fidanzato Vincenzino Sofia si era sposato con un’altra, per cui i fratelli ed il padre invece di confortarla e farle dimenticare il passato la bastonavano giornalmente a sangue tanto vero che un giorno che, dietro le insistenze di mia sorella, andai per darle un pò di sollievo, la vidi rilegata nel basso che serviva da ripostiglio e da stanza da letto del padre tutta ammaccata e trasfigurata e piena di lividure; e non ricordo più neanche se fu verso questo periodo che un giorno il mio cognato Giacomo a proposito della cattiva condotta di sua sorella Aurora ed Elena, ebbe a dichiararmi : « Credete forse che io e mio fratello Giovanni non saremmo capaci di tirare un colpo in fronte a mia sorella Aurora ed un altro ad Elena e poi sotterrarle nel basso o nell’orto e spargere la voce che sono scomparse? Noi saremmo capaci ed ancora non è detta l’ultima parola! ». E fu forse in seguito a questa sua dichiarazione che subentr[...]

[...]proposito della cattiva condotta di sua sorella Aurora ed Elena, ebbe a dichiararmi : « Credete forse che io e mio fratello Giovanni non saremmo capaci di tirare un colpo in fronte a mia sorella Aurora ed un altro ad Elena e poi sotterrarle nel basso o nell’orto e spargere la voce che sono scomparse? Noi saremmo capaci ed ancora non è detta l’ultima parola! ». E fu forse in seguito a questa sua dichiarazione che subentrò in me la convinzione che gli Armoni avendo assassinata già e sotterrata nel loro basso mia sorella, dovevo allontanarmi da N##* diversamente avrebbero assassinato anche me pver cui avevo scritto due lettere, una al Podestà ed una al Tenente dei RR. CC. per giustificare la mia decisione ed il mio allontanamento. E se le lettere poi rimasero nel tiretto ed io non mi fui per allora allontanato più, non lo feci perché prevalse in me la paura che ovunque fossi andato o nascosto, gli Armoni mi avrebbero raggiunto e quindi assassinato lo stesso. Come non ricordo più neanche se fu verso quest’epoca che andai dal Comm. don Tiberi[...]

[...]Armoni avendo assassinata già e sotterrata nel loro basso mia sorella, dovevo allontanarmi da N##* diversamente avrebbero assassinato anche me pver cui avevo scritto due lettere, una al Podestà ed una al Tenente dei RR. CC. per giustificare la mia decisione ed il mio allontanamento. E se le lettere poi rimasero nel tiretto ed io non mi fui per allora allontanato più, non lo feci perché prevalse in me la paura che ovunque fossi andato o nascosto, gli Armoni mi avrebbero raggiunto e quindi assassinato lo stesso. Come non ricordo più neanche se fu verso quest’epoca che andai dal Comm. don Tiberio Spada per consigliarmi con lui come dovevo fare per emigrare nell’America del Sud confidandogli che la ragione principale per cui dovevo allontanarmi erano proprio le mie disgraziate condizioni di famiglia. E non ricordo più neanche se fu verso quest’epoca che incominciai a sfogarmi cogli amici, raccontando loro delle mie sventure, specie coll’amico Avv. Giulio Sacerdote, coll’amico oculista Dott. Francesco Polichemi e coll’amico Ing. Filippo Giusti.170

SAVERIO MONTALTO

Intanto fra alti e bassi si era arrivati al 1939. Io in questo frattempo aveva dovuto cambiare casa a causa di mia moglie la quale si era messa a litigare inimicandosi coi vicini come soleva fare sua madre e fra l’altro pretendeva che anch’io mi fossi messo a tu per tu con gente alquanto turbolenta e che non aveva che pensare, quando una sera dei primi di febbraio mi mandò a chiamare d’urgenza mio cognato Giacomo. Io pensai in un primo istante a mia sorella poi raggiunta la casa degli Armoni vidi mio cognato Lorenzo moribondo perché mentre scendeva dal villaggio di S... in bicicletta era caduto fracassandosi il cranio. Senza perdere tempo lo portammo all’ospedale ed io per ben quindici giorni e quindici notti vegliai solo al suo capezzale, per poterlo strappare alla morte coll’aiuto del mio amico chirurgo dott. Antonio Spataro. In ultimo, sempre a causa di mia suocera e di mio cognato Giacomo, giacché mi riempirono la testa che non era stato curato bene e che avevano preteso molto compenso, mi dovetti bisticciare col segretario dell’ospedale ed intaccare alquanto l’amicizia col caro Spataro, il quale, cosa rara per un medico, si era prestato per me in quell’occasione più di un fratello. E quando verso maggio mi sembra, mio cognato Lorenzo volle andare a Bologna ed a Milano per farsi visitare e curare qu[...]

[...]che non era stato curato bene e che avevano preteso molto compenso, mi dovetti bisticciare col segretario dell’ospedale ed intaccare alquanto l’amicizia col caro Spataro, il quale, cosa rara per un medico, si era prestato per me in quell’occasione più di un fratello. E quando verso maggio mi sembra, mio cognato Lorenzo volle andare a Bologna ed a Milano per farsi visitare e curare quivi perché di Spataro non avevano più fiducia, né dei miei consigli, dato che io ormai ero diventato come prima una pezza da piedi, dovetti prestare ancora altre L 2500, per le quali, assommate ad altre L. 1000 che avevo speso per l’ospedale, ricevetti una cambiale di L. 3500 più tardi, benché a malincuore, da mio cognato Giacomo; cambiale che conservo tuttavia insieme ad un’altra di L. 1500 che dovetti dare poi quando verso ottobre sposò sua sorella Aurora, con promessa categorica che il tutto avrei avuto restituito a Natale di quello stesso anno. E non solo che non mi furono restituite a Natale di quell’anno ma per quanto ultimamente il mio cognato Giacomo [...]

[...]enché a malincuore, da mio cognato Giacomo; cambiale che conservo tuttavia insieme ad un’altra di L. 1500 che dovetti dare poi quando verso ottobre sposò sua sorella Aurora, con promessa categorica che il tutto avrei avuto restituito a Natale di quello stesso anno. E non solo che non mi furono restituite a Natale di quell’anno ma per quanto ultimamente il mio cognato Giacomo non mi dava neanche più credito nel suo negozio, tanto vero che verso luglio del 1940, colla scusa che mia moglie non si accontentava dei suoi articoli dovetti comprare per lei un paio di scarpe a Palermo e fra l’altro quando mandavo per qualche piccolezza nel negozio, chiunque si trovava presente dei fratelli Armoni pretendeva essere pagato avanti. Di tuttocciò può testimoniare la mia persona di servizio.

A questo proposito mi ricordo che una volta il mio cognato Giacomo mi raccontò, per fare risaltare la sua bravura ed il suo molto saper fare, che quando andava a Fiuggi cercava sempre di trovare una qualche donnina danarosa per farsi pagare alla fine le spese di cura eMEMORIALE DAL CARCERE

171 [...]

[...]ed il suo molto saper fare, che quando andava a Fiuggi cercava sempre di trovare una qualche donnina danarosa per farsi pagare alla fine le spese di cura eMEMORIALE DAL CARCERE

171

soggiorno. E mi ricordo anche come una volta il dott. Arturo Calabrese mi raccontò che un giorno sul treno mio cognato Giacomo aveva preso arrogantemente a male parole il ten. colonnello Giorgio Cordopatre, sol perché questi si era permesso di dire, che ora che gli Armoni si erano rimessi a posto, potevano pagargli una cambiale di L. 2000 circa che lui aveva dovuto pagare un tempo come avallante di mio suocero. Dico anche, dappoiché cade a proposito, che il mio cognato Giacomo usava viaggiare, come forse anche ora, in seconda classe per darsi aria di uomo importante e dello snob e potere impressionare così il pubblico, malattia questa, del resto, di famiglia come ho potuto constatare esperimentando mia moglie. E la meraviglia mia qual era? Che si davano aria dello snob non solo con coloro che non

li conoscevano, ma anche con coloro che li conoscevano bene ed anche intimamente.

Se al posto del signor ten. col. Cordopatre ci fossero stati ancora i fratelli Audino, dei quali il più piccolo perì poi per una coltellata del più grande, sicuramente il mio cognato Giacomo non avrebbe risposto con arroganza, perché, data la sua grande intelligenza, sapeva molto bene che un ufficiale superiore non si sarebbe messo mai a fare a coltellate con lui. E se al posto mio ci fosse stato anche il suo barbiere Armando Romeo, s[...]

[...]sicuramente il mio cognato Giacomo non avrebbe risposto con arroganza, perché, data la sua grande intelligenza, sapeva molto bene che un ufficiale superiore non si sarebbe messo mai a fare a coltellate con lui. E se al posto mio ci fosse stato anche il suo barbiere Armando Romeo, son sicuro che anche a me mi avrebbe restituito le cinquemila lire e mi avrebbe dato credito nel suo negozio.

Faccio presente che molte cose atroci e dolorose e se vogliamo anche ridicole della famiglia Armoni non le ricordo più in questo momento, però sto certo che la Giustizia intuisce da sé, anche attraverso i pochi saggi che sto dando di scorcio e molto alla rinfusa.

Ritornando ora alla piaga che mi brucia, dico che quale ricompensa verso mia sorella della famiglia Armoni,. dato che lei si era adoperata premurosamente presso di me perché dessi le L. 2500 per l’andata di Bologna e Milano, dopo partiti i due fratelli, giacché ora bisognava fare economia per tutte le spese sostenute per la disgrazia della caduta di Lorenzo, la lasciavano morire di fame e non solo che mia sorella doveva morire di fame, ma doveva star zitta, benché lei non dicesse mai niente a nessuno, compreso me; ma loro sospettvano che dicesse perché si sentivano l’anima macchiata. E difatti io lo seppi in seguito quando un giorno mi disse: «Guarda, ora dicono che bisogna fare economia e[...]

[...]lla caduta di Lorenzo, la lasciavano morire di fame e non solo che mia sorella doveva morire di fame, ma doveva star zitta, benché lei non dicesse mai niente a nessuno, compreso me; ma loro sospettvano che dicesse perché si sentivano l’anima macchiata. E difatti io lo seppi in seguito quando un giorno mi disse: «Guarda, ora dicono che bisogna fare economia ed io approvo; però l’economia la debbo fare solamente io, perché loro mangiano e bevono meglio di prima ed io la sera debbo accontentarmi con pane ed olio se lo voglio; altrimenti172

SAVERIO MONTALTO

nessuno si preoccupa se mangio e se bevo compreso mio marito, il quale non mi domanda mai se son viva o morta. Sì sì; la sera mi ritiro e trovo solamente una goccia d’olio nella bottiglia ed un pezzo di pane che mi porto io stessa dal negozio. Tanto per dirti una, l’altro giorno hanno comprato un pesce di circa due chili: hanno mangiato tutti a mezzogiorno ed alla sera ed inoltre la madre ha conservato un po’ per la figlia più piccola, perché sennò si sciupa la bellezza, per il giorno appresso ed a me non mi hanno fatto sapere niente. L’ho saputo poi da Rosa, perché come sai Rosa ora è grande e capisce tutto. L’altra sera sai che cosa mi ha spiattellato il professore? Io mi ero ritirata stanca e lui si mise a scherzare con me all’uso dei carrettieri. Io un po’ seccata gli ho detto: “Voi, caro cognato, avete mangiato, ma io ancora debbo mangiare e se voglio c’è un po’ di pane ed olio!”. Lui allora mi ha risposto: “Ed io ho mangiato carne e pasta! Desiderate cosa?”. Queste cose le ha capite anche don Gennaro — perché allora Gennaro Grandi era fidanzato già con l’Aurora — e va scuotendo le mani ».

Ed io aggiungo che non solo che mia sorella doveva morire di fame, ma per quanto io non potevo mandarle niente altrimenti avrei avuto a che fare con mia moglie; a sua madre va bene, alla sua famiglia sissignori, ma a mia sorella no; la frutta, per esempio, che mandavano gli amici, perdersi sì ma a mia sorella no, e se qualche volta m’imponevo mia moglie a me non mi pigliava a schiaffi, benché me lo facesse capire che l’avrebbe fatto ben volentieri ma la serva che andava senza del suo permesso, quando mancavo io ne buscava poi di santa ragione. Basta dire che se qualche volta volevo dare a mia sorella un po’ di roba di maiale, dovevo portarla io di nascosto, quantunque il maiale delPanno serviva se non tutto buona parte per gli Armoni. Un giorno mentre mi mettevo a tavola, pensando a mia sorella, mi venne da piangere e non volli mangiare. Mia moglie allora mi domandò : « Perché questo ora? ».

«Perché? Perché io mangio e mia sorella non mangia! ».

« Ho capito! D’ora in avanti significa che non debbo mangiare neanche io».

Si alzò ed andò a coricarsi a letto, ove rimase per vari giorni senza volere mangiare. Però dopo che io uscivo mangiava e beveva e faceva i comodi suoi ed io per non aggravare la situazione fingevo di non capire niente. Né era questa la prima e l’ultima volta che mia moglie si metteva a letto e non solo che quando si metteva a letto non neMEMORIALE DAL CARCERE

173

voleva sapere di cucinare e quindi dovevo[...]

[...]ora mi domandò : « Perché questo ora? ».

«Perché? Perché io mangio e mia sorella non mangia! ».

« Ho capito! D’ora in avanti significa che non debbo mangiare neanche io».

Si alzò ed andò a coricarsi a letto, ove rimase per vari giorni senza volere mangiare. Però dopo che io uscivo mangiava e beveva e faceva i comodi suoi ed io per non aggravare la situazione fingevo di non capire niente. Né era questa la prima e l’ultima volta che mia moglie si metteva a letto e non solo che quando si metteva a letto non neMEMORIALE DAL CARCERE

173

voleva sapere di cucinare e quindi dovevo cucinare io dato che la serva era piccola ed incapace, ma per quanto proibiva la serva di scopare e di fare gli altri servizi che poteva fare. Due volte presi a schiaffi mia moglie durante i continui momenti di disperazione e di follia: una mi sembra verso quest’epoca ed una qualche mese prima della mia ultima sventura. Però in ambedue le volte dovetti accorgermi che il vero male fisico e morale lo facevo solo a me stesso e che le bestie effettivamente a prenderle a schiaffi è tutto tempo perduto.

Una sera mentre i due fratelli maggiori erano a Bologna ed a Milano uscendo di casa mi vidi avvicinare da mio cognato Giovanni dicendomi che mi doveva parlare di cose molto serie. Era sceso il crepuscolo ed andammo al Parco della Rimembranza. Quivi giunti mi disse con aria[...]

[...]ra mentre i due fratelli maggiori erano a Bologna ed a Milano uscendo di casa mi vidi avvicinare da mio cognato Giovanni dicendomi che mi doveva parlare di cose molto serie. Era sceso il crepuscolo ed andammo al Parco della Rimembranza. Quivi giunti mi disse con aria truculenta e minacciosa:

«Vostra sorella la deve finire! Diversamente voi lo sapete come la penso io! ».

Io fremevo non so più se in quel momento per la rabbia o per la paura. Gli domandai con voce tremante mentre sentivo che il respiro ed il cuore mi venivano meno:

«Ma per quale; motivo?».

« Perché lei si deve mettere in testa una buona volta per sempre che la mia famiglia lei non è degna di nominarla e che nessuno mai si è permesso di criticarla e di parlar male tranne che lei. Io non ho che pensare e sapete anche chi sono io! ».

«E che cosa vuoi da me? ». Faccio noto che io davo a futti del tu tranne dei genitori di Aurora e di mio cognato Giacomo. A me davano tutti del voi compresa mia moglie che non era stata capace di abituarsi al tu.

« Voglio che vi educhiate vostra sorella, sennò l’educo io! ».

Mi veniva da piangere, ma mi feci forza e per quella volta non piansi.

«E dimmi; come lo sai che lei parla male della tua famiglia? ».

« Lo so, perché oggi l’ho vista parlare con Angela Chiaravalle e quando mi ha visto smise ».

« Smise non perché parlava male della tua famiglia, ma perché sa che voialtri pensate sempre al male».

« Noi non pensiamo mai al male e vi dico, anche a voi, di finirla. La mia famiglia è la prima di N... per correttezza, onestà e tutto e vostra sorella non era meritevole di entrare nella nostra famiglia, perché lei è la regina di N..., perché ha un giovane di marito che non lo174

SAVERIO MONTALTO

ha nessuno ed è trattata meglio di tutti, per mangiare, per bere, per dormire e per vestire. Avete capito? ».

« Ho capito tutto. Però ti prego di essere più umano e di non andare dietro a tua madre».

« A mia madre non la deve nominare nessuno, perché neanche voi siete degno di nominarla. Avete capito? ».

A questo punto m’intesi venir meno e mi vergogno ancora della mia viltà di quel momento. Mi umiliai di fronte a costui, perché la paura delle sofferenze di mia sorella era superiore a qualunque umiliazione e pregai a lungo e scongiurai a lungo Giovanni che si stesse al suo posto, perché a mia sorella glie ne avrei[...]

[...] di non andare dietro a tua madre».

« A mia madre non la deve nominare nessuno, perché neanche voi siete degno di nominarla. Avete capito? ».

A questo punto m’intesi venir meno e mi vergogno ancora della mia viltà di quel momento. Mi umiliai di fronte a costui, perché la paura delle sofferenze di mia sorella era superiore a qualunque umiliazione e pregai a lungo e scongiurai a lungo Giovanni che si stesse al suo posto, perché a mia sorella glie ne avrei ora parlato io e sicuramente per l’avvenire non se ne sarebbe permessa più neanche una parola. Poi lo lasciai e non sapevo più in che mondo mi fossi.

Dopo qualche giorno venni nella determinazione di dire a mia sorella che se, oltre al marito, qualcun altro della famiglia Armoni si fosse permesso di alzare mano su di lei, di venirsene immediatamente da me che ci avrei pensato io ad avvisare il maresciallo dei carabinieri.

Al ritorno da Milano mio cognato Lorenzo se ne venne in famiglia con un giovanotto suo amico che un tempo abitava a N... Quando

io la sera uscivo con la motocicletta il giovanotto e mio cognato Lorenzo andavano in casa mia a prendere il caffè; non solo, ma avendoli invitati di venire da me quando c’ero io, mi promisero di sì, ma poi non vennero. Io siccome conoscevo bene la moralità di mio cognato Lorenzo, tacevo e mi rodevo dentro. Un giorno che feci presente a mia moglie che ciò non istava bene, lei negò dicendo che durante la mia assenza non era venuto mai nessuno. Io allora tacqui, perché ormai avevo paura non solo di loro, ma principalmente di mia moglie, la quale ormai aveva presa l’abitudine di minacciarmi coi fratelli e col padre, abitudine che mantenne fino alla fine.

In questo frattempo il dott. Castagna smise di frequentare la casa degli Armoni, ma conoscendo chi fossero loro, io rimasi amico. Penso che mia suocera sapendo che Gennaro Grandi aveva una qualche idea per l’Aurora, dato che era rimasto vedovo con vari figli e senza donna di casa, credè prudente allontanarlo e non certo perché faceva la corte a mia moglie, giacché quando una volta il Castagna a proposito di mia moglie le aveva detto che aveva per figlia una bambolina fatta col pennello, lei lusingata e contenta aveva risposto: «Avreste dovuto vedere me a vent’anni e le mie figlie di fronte a me ora sono scaglie! ». E mi spiego anche perché una volta mia moglie riferì alla mia perMEMORIALE DAL CARCERE

175

sona di servizio queste parole : « Mio marito anziché essere orgoglioso e contento che mi vogliono tutti, si arrabbia! Se mio fratello avesse la fortuna di avere una moglie che la vogliono tutti come me, non si arrabberebbe! », perché certamente le aveva sentite ripetere dalla madre. Mi rammento a questo punto che mia suocera ogni volta che mia sorella sgravava la obbligava attraverso frasi indirette di allattare i figli oltre due anni, allo scopo di farla deperire lentamente e quindi togliersela davanti.

Verso ottobre, dopo sposata l’Aurora, le cose si aggravarono assai per mia sorella. Io ora avevo tale paura di tutta quella gente da dimenticare anche le sofferenze di mia sorella. Capivo che lei doveva attraversare un brutto periodo ma non avevo la forza di avvicinarmi per domandarle. Un giorno ch’era sola nel negozio mi fermò mentre passavo colla motocicletta e mi portò nel solito sottoscala e mi disse:

« Sembra che hai paura di venire da me! ».

«Non si tratta di paura; ho molto da fare! ».

«Ormai me ne posso andare, perché me l’hanno fatto capire chiaramente, anc[...]

[...]motocicletta e mi portò nel solito sottoscala e mi disse:

« Sembra che hai paura di venire da me! ».

«Non si tratta di paura; ho molto da fare! ».

«Ormai me ne posso andare, perché me l’hanno fatto capire chiaramente, anche mio marito! ». Non piangeva più perché le sofferenze le avevano tolto anche il beneficio del pianto. « Mi dispiace per le bambine e per te ». « No; non mi dispiace di nessuno! Mi dispiace per me, perché non vorrei dargli il piacere di scomparire! Capisci a che punto mi hanno portato? ».

«Ma che avete avuto? ».

« L’altra notte, il mio marito, fino all’alba mi ha macellata come mai. L’ha fatta la valentia di martirizzare uno scheletro come me?! Credo che le bestie del deserto non sono così feroci! La madre poi,

il giorno avanti mi disse al solito suo quante ne ha potute e siccome io rimanevo muta senza dire una paròla, lei, sempre più inferocita, prima mi diede uno schiaffo e poi mi sputò in faccia. Io senza fiatare mi asciugai questa faccia col fazzoletto. E non è la prima volta che mi asciugo questa [...]

[...]i martirizzare uno scheletro come me?! Credo che le bestie del deserto non sono così feroci! La madre poi,

il giorno avanti mi disse al solito suo quante ne ha potute e siccome io rimanevo muta senza dire una paròla, lei, sempre più inferocita, prima mi diede uno schiaffo e poi mi sputò in faccia. Io senza fiatare mi asciugai questa faccia col fazzoletto. E non è la prima volta che mi asciugo questa faccia imbrattata dal loro sputo! ».

« Voglio chiamare ancora una volta tuo marito ».

« No, no; ti scongiuro! Ammazzano anche a te se parli! Quella notte anche a te, a nostro padre, a nostra madre morti ed a tutta la nostra famiglia vi ha presi per miserabili, vigliacchi, pezzenti, morti di fame; anzi parlando di te disse che se ti permetterai più di dire una parola ti darà tante da ricordartele per tutta la vita. AÌTultimo mi disse che quanto la moglie di Angelo Saba ha portato di gioielli, io e te e tutta la nostra famiglia non lo valevamo assommati assieme.176

SAVERIO MONTALTO

Io gli dissi che lui non era Angelo Saba e lui gridando che Angelo Saba di fronte a lui era una patata continuò a battermi con più ferocia di prima. Non so come ancora son viva! ».

«Ma perché tutto questo?».

«Perché? Perché le millecinquecento lire glie l’hai date ancora per me e la sorella Pha sposata per opera mia specie dopo che don Gennaro ha ricevuto quella lettera anonima che ty. sai. Hanno visto che don Gennaro e specie i figli mi stimano e mi vogliono bene, mentre a loro non li possono vedere, perché con loro non può avere contatto nessuno, perché finisce sempre a fetore. E poi c’è un’altra cosa importante. Ora che mio marito sa che io e forse anche tu sappiamo delle malefatte delle sue sorelle si sente minorato, tanto vero che un giorno mi ha detto che le figurine che si son fatte nella sua famiglia non si son fatte in nessun’altra, e perciò non potendo sfogare la rabbia con sua madre che non le ha sapute educare, sfoga con noi. Capisci? ».

«Guarda Anna! Te l’ho detto altre volte: la realtà crea i santi ed i diavoli, crea il serpente e crea il canarino, crea il bene e crea il male e via discorrendo; e questi termini estremi sono entrambi necessari altrimenti il mondo non sarebbe quello che è. Perciò cerca di sopportare per ora: intanto la madre se ne andrà a C... col figlio perché ha avuto, come sai, il posto di maestro lì e finché ritornerà speriamo che sarai per i fatti tuoi divisa[...]

[...], e perciò non potendo sfogare la rabbia con sua madre che non le ha sapute educare, sfoga con noi. Capisci? ».

«Guarda Anna! Te l’ho detto altre volte: la realtà crea i santi ed i diavoli, crea il serpente e crea il canarino, crea il bene e crea il male e via discorrendo; e questi termini estremi sono entrambi necessari altrimenti il mondo non sarebbe quello che è. Perciò cerca di sopportare per ora: intanto la madre se ne andrà a C... col figlio perché ha avuto, come sai, il posto di maestro lì e finché ritornerà speriamo che sarai per i fatti tuoi divisa e così forse le cose cambieranno! ».

« Ma io per intanto non posso più sopportare, perché non son di ferro; e poi son sicura che anche quando sarò divisa saremo punto e daccapo ».

Io cercai ancora di persuaderla e di confortarla e me ne andai.

Lascio immaginare alla giustizia il mio stato. Io ora difronte a mia moglie mi sforzavo di apparire calmo e tranquillo, ma lei comprendeva tuttocciò che passava dentro di me anche perché sapeva tutto. Non ero capace di sfogare, perché la paura mi teneva muto, e sentivo che la mente ed il cuore mi venivano meno. C’erano dei momenti che sentivo di non essere più me stesso, ma un altro. Una sera mentre ero nel negozio con mia sorella arrivò mio cognato Giacomo e s’impegnò fra noi una lunga discussione. Mio cognato a volte gridava come un ossesso e voleva battere mia sorella anche in mia presenza. Io lo trattenevo e poi si continuava la discussione. Si era fatto un pò* [...]

[...]impegnò fra noi una lunga discussione. Mio cognato a volte gridava come un ossesso e voleva battere mia sorella anche in mia presenza. Io lo trattenevo e poi si continuava la discussione. Si era fatto un pò* tardi e si era girata anche la porta del negozio. L’Ottavio, il più piccolo dei fratelli Armoni, se n’era andato e per fortuna che pioveva e quindi le voci non si sentivano tanto. Ad un certo punto entrò miaMEMORIALE DAL CARCERE

177

moglie col veleno agli occhi come non l’avevo vista mai accompagnata da uno dei fratelli che non ricordo più chi era e mi sembra anche dalla serva. Sbatte dietro di sé la porta mandando in frantumi un vetro e facendo un fracasso indiavolato, si avvicinò a me appuntandomi le dita negli occhi e disse urlando: «Tu la devi finire con tua sorella, capisci? — era la prima volta che mi dava del tu —. Perché altrimenti ti piglio a schiaffi e ti metto sotto i piedi, capisci? E se parli una parola ti piglio ora a schiaffi, capisci? — e faceva per avvicinarsi e per alzare le mani, ma non ebbe il coraggio di farlo perché si vede che io mentre la guardavo inebetito le dovetti fare un po’ di paura —. Perché tua sorella è quella che è ed io e la mia famiglia siano quelli che siamo! E ti proibisco di venire più qua e di dare retta a tua sorella, capisci? ».

Io e tutti i presenti si rimaneva paralizzati, tanto vero che il mio cognato Giacomo si sentì in dovere di dire: « Ci siamo ridotti come i... » e nominò una famiglia di facchini del paese famosa per le continue risse fra di loro. Io, incoraggiato da queste parole, ebbi la forza di dire a mia moglie:

«Però neanche voi dovete avvicinare più i vostri?».

« Sì, neanche io! ».

« Andiamo allora! » ed andammo muti e senza più dire una parola.

Rimasi tutta la notte e buona parte del giorno appresso sdraiato nello studio con la testa fra le mani. Non saprei descrivere ciò che mi passava per la mente. La mattina il padre ed i fratelli, tranne di mio cognato Giacomo, entravano di colpo nella mia casa, parlavano sottovoce con mia moglie e poi se ne andavano. Quando non volevano entrare fischiavano, perché un’altra caratteristica degli Armoni era quella di chiamarsi col fischio, mia moglie apriva il balcone e così si allontanavano. Quel fischio mi attraversava le cervella da parte a parte e mi dava un senso di lugubricità tale da farmi perdere completamente la ragione e così mi perseguitò fino alla fine quando qualcuno veniva e fischiava perché sapeva che c’ero io e non voleva salire.

Verso le undici entrò mia sorella nello studio. Anche lei era trasfigurata o almeno mi sembrò tale. Ebbe la forza di piangere e mi disse:

« Ho dovuto dare ragione a loro perché sennò mi avrebbero strangolata! Io ormai sono disposta a fare qualsiasi sacrificio, purché tu ti calmi! ».178

[...]

[...]ebbi una trafitta al cuore e non fui capace di vedere ancora soffrire quella donna. Mi calmai un po’ e domandai: «La gente hanno sentito le sue parole?».

« Se non sentito, hanno capito ed hanno detto che ormai hai paura e che forse non verrai più da me per questo! ».

« Va bene, resto! E spero anche col tempo di poter dimenticare! ».

Mia sorella dopo un poco se ne andò ma io non mi calmai e dopo qualche giorno andai dall’amico Sacerdote. Gli raccontai ancora una volta delle mie sventure e gli dissi che ormai volevo separarmi da mia moglie. Egli mi ascoltò, mi consigliò la calma, mi confortò, mi disse che difficilmente nei miei fatti si potevano trovare le determinanti di una separazione e mi consigliò in fine, dato che c’era anche la guerra in vista, di attendere pel momento, che poteva darsi che con la guerra tutti saremmo stati richiamati e quindi poi da cosa poteva nascere cosa. In quel momento mi persuasi, ma ritornato a casa seguitavo a persi > stere nella mia decisione.

Chiamai mio cognato Grandi e feci sapere agli Armoni che intendevo dividermi, benché sapevo che non mi sarei diviso perché avevo paura, ma io cercavo di tenere duro proprio per soffocare la paura, e che anche mia sorella si sarebbe divisa. Dopo qualche giorno venne mio cognato Giacomo col Grandi per comunicarmi con la sua aria magna, che io non avevo nessun motivo di potermi dividere; però se mia sorella avesse voluto dividersi poteva farlo anche subito. Io non ricordo più che cosa risposi e lui se ne ndò. Ma dopo alcuni giorni gli Armoni, capito il pericolo, vennero a più miti consigli e mio cognato mi fece sapere che ormai era disposto[...]

[...] sapevo che non mi sarei diviso perché avevo paura, ma io cercavo di tenere duro proprio per soffocare la paura, e che anche mia sorella si sarebbe divisa. Dopo qualche giorno venne mio cognato Giacomo col Grandi per comunicarmi con la sua aria magna, che io non avevo nessun motivo di potermi dividere; però se mia sorella avesse voluto dividersi poteva farlo anche subito. Io non ricordo più che cosa risposi e lui se ne ndò. Ma dopo alcuni giorni gli Armoni, capito il pericolo, vennero a più miti consigli e mio cognato mi fece sapere che ormai era disposto a fare famiglia a parte dai suoi, ma che però da quel momento in poi lui doveva fare l’uomo e non mia sorella, giacché fino ad allora lui aveva fatto la donna e mia sorella l’uomo. Io capii a lampo quest’altra sua recondita malvagità e siccome ormai la piaga recente causatami da mia moglie andava scomparendo, tremai ancora una volta per mia sorella. Lo presi col dolce, mi umiliai ancora una volta e lo esortai che avesse per l’avvenire una certa carità per quel rudere di donna, quasi impazzita dal dolore e se anche non sentisse alcun affetto per lei, almeno che glielo dimostrasse simulando, giacché pensavo che una delle cause principali che sconfortavano mia sorella era proprio il fatto che lei ormai si senMEMORIALE DAL CARCERE

179

tiva di non potere essere gradita ad un marito più giovane e più bello di lei. Lui mi rispose che da quel momento, dato che aveva deciso di stare diviso da sua madre, cosa che avrebbe messo in atto se non prima al ritorno di lei a giugno venturo da C..., ognuno doveva farsi

i fatti suoi e non ingerirsi delle faccende degli altri. Io capivo sempre più e tremavo, però nutrivo una certa speranza che una volta che mia s[...]

[...]elle cause principali che sconfortavano mia sorella era proprio il fatto che lei ormai si senMEMORIALE DAL CARCERE

179

tiva di non potere essere gradita ad un marito più giovane e più bello di lei. Lui mi rispose che da quel momento, dato che aveva deciso di stare diviso da sua madre, cosa che avrebbe messo in atto se non prima al ritorno di lei a giugno venturo da C..., ognuno doveva farsi

i fatti suoi e non ingerirsi delle faccende degli altri. Io capivo sempre più e tremavo, però nutrivo una certa speranza che una volta che mia sorella si fosse divisa dalla suocera forse le cose si sarebbero aggiustate e lo feci sapere anche a lei, dato che anche lei aveva capito e s’era già impaurita più di me. Dopo alcune sere vi fu una specie di riconciliazione generale voluta da me, perché sapevo bene che se mia sorella fosse rimasta nemica colla suocera non avrebbe trovata mai la pace; ma la riconciliazione non avvenne lo stesso. Mia suocera dichiarò che momentaneamente acconsentiva, va bene, ad ammettere alla sua presenza me e mia sore[...]

[...]ià impaurita più di me. Dopo alcune sere vi fu una specie di riconciliazione generale voluta da me, perché sapevo bene che se mia sorella fosse rimasta nemica colla suocera non avrebbe trovata mai la pace; ma la riconciliazione non avvenne lo stesso. Mia suocera dichiarò che momentaneamente acconsentiva, va bene, ad ammettere alla sua presenza me e mia sorella, perché non si dicesse mai che lei doveva essere la causa della distruzione di due famiglie, ma che d’allora in poi non ci avrebbe più voluto vedere e né sentire, e, che, d’allora in poi, ognuno avrebbe dovuto starsene a casa sua per i fatti suoi e che su ciò non transigeva assolutamente. « Anche a voi! », rivolgendosi a me direttamente disse: «Non vi voglio più vedere né sentire, dato che anche voi vi siete permesso di oltraggiare e calunniare una signora come me! ». La calunnia consisteva nel fatto che io avevo detto che non era giusto lasciare morire di fame mia sorella. In questo mentre arrivò mio cognato Giovanni facendo come un pazzo e urlando ed inveendo contro il fratello Giacomo che si era lasciato sottomettere dalla moglie e quando poi non ne potè più se ne andò dopo avermi dato uno sguardo da uomo di forza e di comando. Io ormai di fronte a quella gente non ero più capace di dire più nulla e se parlavo, parlavo semplicemente per umiliarmi e sottomettermi a loro. Dopo che Gk> vanni se ne andò, io pregai mia suocera di permettere me e mia sorella di andarla a trovare a C..., ma lei disse che se io e mia sorella ci fossimo permessi di andare a C..., avrebbe fatto cose che non aveva mai fatte. Mia suocera però parlava così non per me, perché a me se fossi andato solo, mi avrebbe accolto a braccia aperte, ma parla[...]

[...]a C..., ma lei disse che se io e mia sorella ci fossimo permessi di andare a C..., avrebbe fatto cose che non aveva mai fatte. Mia suocera però parlava così non per me, perché a me se fossi andato solo, mi avrebbe accolto a braccia aperte, ma parlava per mia sorella. Io capii fin troppo tutta la sua malvagità e dove voleva arrivare e non insistei più.

Quando verso i primi di novembre mia suocera partì per C... si portò con sé tutte e due le figlie femmine dicendo che non poteva lasciare le sue figlie con una donna traviata come mia sorella. Ma la ragione non era questa: la ragione vera era che intendeva aggravare180

SAVERIO MONTALTO

mia sorella del peso di quattro uomini compreso il suocero e di due bambine piccole, perché così sperava che al suo ritorno non ci fosse più. Il marito trovò tutto giusto e mia sorella sopportò tutto, anche il fatto che nessuno più le rivolgeva la parola o la guardava in faccia mentre era obbligata a servirli a tavola e in tutto il resto che loro occorreva. Il terribile Giovanni per non incontrarsi con lei si fece servire per tutto l’inverno il pranzo [...]

[...]anza un semplice arrivederci sgarbato e feroce. Mia sorella andò a nascondersi ed a piangersi la sua sventura.

Il mio cognato Giacomo, durante l’assenza della madre, verso i primi tempi fu insopportabile, ma poi, pian piano, si rimise un po’, come io prevedevo. Verso quei primi tempi vidi un giorno mia sorella fuor di sé, perché aveva recapitato una lettera di un’amante del marito; ma io cercai di calmarla dicendole che ormai una donna di famiglia come lei, madre di figlie, non doveva pensare più a certe stupidaggini, ma alla casa ed all’educazione delle figlie. Mi ricordo a questo punto che mia suocera era proprio lei che incitava i figli a scialarsi e divertirsi con le donne e non solamente il figlio Giacomo per fare distruggere sempre più mia sorella, ma anche i figli celibi, aggiungendo: « E poi che venga da me qualche altra bagascia con la pancina gonfia, che me la vedrò io! ». Mi ricordo anche di un certo Papalia Francesco piccolo negoziante di R..., amico d’infanzia e compare di mio cognato Giacomo, perché gli ha battezzato tutte e tre le figlie; ora finché mia suocera nutrì la speranza che il Papalia avesse sposata qualcuna delle sue figlie ed allora lo accolse sempre a braccia aperte; ma quando poi seppe che il Papalia si era fidanzato già gli fece capire chiaramente che lei non aveva più alcun piacere che lui andasse a trovarla. Il Papalia capì subito e non ci andò più. Anche il Papalia, se volesse, potrebbe dire tante cose sulla disgraziata vita di mia sorella oltre a coloro che ho indicato di già aH’Ill.mo Signor Giudice Istruttore.

Vengo ora ai casi che più da vicino interessano me e mia moglie. Sento che mentre mi avvicino a quest’ultima epoca mi assalgono iMEMORIALE DAL CARCERE

181

brividi fin dentro al midollo delle ossa; ma spero di farmi forza e coraggio e di poter raccontare.

La vigilia di Natale mia moglie pretendeva insieme al fratello Lorenzo, sceso a bella posta, che io fossi andato insième a loro a C... per passare il Natale colla madre. Io dissi allora a mia moglie che ero pronto ad andarci ma che però doveva venire con noi anche mia sorella Anna. Mia moglie e suo fratello mi risposero che per mia sorella Anna era impossibile ed io quindi di rimando lasciai libera mia moglie di andare lei dove avesse voluto perché io mi stavo a casa mia. Mio cognato Lorenzo capita l’antifona se ne andò e mia moglie subito si mise a letto. Io passai il Natale del 1939 e non ricordo più se anche il Capodanno del 1940 solo a tavola e con la serva e la madre della serva in cucina e con il pranzo preparato da me. Da mia sorella non ci potevo andare, perché avrei suscitate delle reazioni poco piacevoli non solo da parte di mia moglie ma anche dei presenti in N... della famiglia Armoni; né mia sorella poteva assolutamente venire da me dato che mia moglie in ispecie non voleva più vederla affatto e se la serva si permetteva in quel tempo di portare qualche nipotina in casa mia, aveva poi di che buscarne quando io mancavo. La sera della vigilia di Natale ricordandomi del detto di Salomone che diceva: «Agli uomini che soffrono date da bere perché così dimenticano per un poco le loro miserie», benché in genere non bevessi, bevvi quasi una bottiglia di vermouth, mi stordii e mi coricai vicino a mia moglie, giacché ormai si era imposta da tempo che dovevo dormire nel letto matrimoniale ed io lo facevo per evitare maggiori guai e complicazioni.

Dopo il Capodanno ed anche prima e fin quasi verso il maggio dovevo vedere fra i piedi per uno, due giorni di ogni settimana l’insegnante Lorenzo che scendeva da C... e veniva a mangiare e bere e dormire in casa mia dato che da mia sorella non ci voleva andare. Ogni qualvolta che quell’individuo bussava al portone io sentivo che il cuore incominciava a tumultuare nel petto, che il respiro imi veniva meno e come una corda nella testa che volesse romper[...]

[...]il cuore incominciava a tumultuare nel petto, che il respiro imi veniva meno e come una corda nella testa che volesse rompersi. Vedevo il modo sfacciato ed impudente e da fare da padrone con cui quell’individuo si presentava in casa mia senza cercare poi di persuadere affatto la madre di riconciliarsi con mia sorella, dato che lui rappresentava la dottrina, la sapienza ecc. e quindi come tale avrebbe dovuto rappresentare anche la bontà della famiglia Armoni, e non ero capace di sopportare affatto la sua presenza. Forse la presenza degli altri l’avrei sopportata, ma la sua no. A volte quando lui arrivava mi met182

SAVERIO MONTALTO

tevo a letto e rifiutavo di mangiare per fare capire chiaramente la sua poco bene accetta presenza, ma né lui, né mia moglie fingevano di vedermi e scialavano più che mai. E giacché mi trovo voglio dare un saggio della finezza del professore Armoni. Una sera per soffocare il mio dolore volli prendere parte anch’io alla loro allegria sforzandomi di bere quanto loro. Al culmine dell’allegria, il professore per esternare la sua soddisfazione, prese un Portogallo e lo scaraventò con tale forza alla ragazza di servizio, che per poco non la rese monocola. La poverina rimase di sasso, stava per piangere, ma poi si trattenne. La mattina appresso mia moglie se la prese con la ragazza di servizio perché non aveva saputo anche dopo il colpo continuare a ridere e scialare. Inoltre quandg la ragazz[...]

[...] un saggio della finezza del professore Armoni. Una sera per soffocare il mio dolore volli prendere parte anch’io alla loro allegria sforzandomi di bere quanto loro. Al culmine dell’allegria, il professore per esternare la sua soddisfazione, prese un Portogallo e lo scaraventò con tale forza alla ragazza di servizio, che per poco non la rese monocola. La poverina rimase di sasso, stava per piangere, ma poi si trattenne. La mattina appresso mia moglie se la prese con la ragazza di servizio perché non aveva saputo anche dopo il colpo continuare a ridere e scialare. Inoltre quandg la ragazza di servizio non era pronta a servire il professore, questi si metteva a gridare all’uso dei carrettieri e la picchiava. Anche gli altri componenti la famiglia Armoni quando la ragazza andava da loro e non era pronta a servirli la picchiavano di santa ragione. Verso febbraio, capito ormai mia moglie che io senza di mia sorella non ci andavo a C..., ci andò lei sola con la servetta e rimase per vari giorni. Al suo ritorno si presentò col fratello e la sorella più piccola per tenerseli con sé una settimana. Io non parlai, ma si vede che la mia faccia non doveva essere tanto chiara, giacché dopo un giorno o due, come Dio volle, se ne andarono.

Fi! verso febbraio mi sembra che un giorno mentre mia sorella si trovava nel negozio domandò all’Ottavio non so più che cosa per diverse volte senza che l’Ottavio avesse avuto l’educazione di rispondere o di guardarla almeno in faccia. Allora a mi[...]

[...]io volle, se ne andarono.

Fi! verso febbraio mi sembra che un giorno mentre mia sorella si trovava nel negozio domandò all’Ottavio non so più che cosa per diverse volte senza che l’Ottavio avesse avuto l’educazione di rispondere o di guardarla almeno in faccia. Allora a mia: sorella le scappò detto: «Ma bisogna essere proprio villani! ». Il mio suocero stava seduto fuori ed intese. Entrò dentro, si avvicinò a mia sorella, le appuntò le dita negli occhi ed urlò : « I miei figli sono i primi di N... perché figli della migliore famiglia di N... e non come te che sei figlia di quello ubbriacone miserabile pezzente di tuo padre! Se parli ancora un’altra parola ti metto sotto i piedi e non ti metto ora, perché non ti metto! ». Mia sorella si mise a piangere e non so se accorsero tutti i vicini del negozio, ma se non accorsero sentirono assai bene. Dopo questo fatto feci sapere al mio suocero che avrei venduto l’orto, col frutto del quale lui si ubbriacava, per mezzo della persona di servizio alla quale rispose: «Se quel miserabile del tuo padrone vende l’orto io ammazzo sua sorella! ».

Verso i primi di marzo, arrivato al colmo dell’esasperazione per la continu[...]

[...]corsero tutti i vicini del negozio, ma se non accorsero sentirono assai bene. Dopo questo fatto feci sapere al mio suocero che avrei venduto l’orto, col frutto del quale lui si ubbriacava, per mezzo della persona di servizio alla quale rispose: «Se quel miserabile del tuo padrone vende l’orto io ammazzo sua sorella! ».

Verso i primi di marzo, arrivato al colmo dell’esasperazione per la continua presenza del professore, un giorno chiamai mia moglie eMEMORIALE DAL CARCERE

183

le feci capire che io intendevo studiare ed occuparmi dei fatti miei e che data la continua presenza del fratello non lo potevo fare.

Lei allora mi rispose che l’aveva capito bene, però, dato che il fratello era ammalato non aveva il coraggio di dirgli d’andare da mia sorella oppure in casa dell’Aurora. Poi concluse che se io avessi voluto, potevo anche metterlo alla porta. Io tacqui e non parlai più. Fu dopo quest’epoca che ebbi una serie di attacchi al cuore ed al cervello che per poco non restai. C’erano dei momenti in cui la testa non me la sentivo più ed in me subentrava allora un altro individuo navigante nell’infinito delle tenebre e destinato a perire miseramente ed inesorabilmente. In un giorno che la testa non me la sentivo affatto ed il cuore batteva più del solito ed un certo essere feroce e strano tentava a qualunque costo apri[...]

[...]a testa non me la sentivo più ed in me subentrava allora un altro individuo navigante nell’infinito delle tenebre e destinato a perire miseramente ed inesorabilmente. In un giorno che la testa non me la sentivo affatto ed il cuore batteva più del solito ed un certo essere feroce e strano tentava a qualunque costo aprirmi il cranio per masticarmi le cervella, barcollando mi portai in cucina gridando e mi misi colla testa sotto il rubinetto. Mia moglie s’intimorì e mandò a chiamare di corsa il dott. Castagna. Il Castagna mi trovò nello studio sdraiato sul lettino che serviva ora per il professore e quando entrò era così emozionato e stravolto che per un pezzo rimase quasi muto ed indeciso su ciò che avesse dovuto fare.

10 lo guardavo, notavo la sua perplessità, ma badavo al mio stato. Egli poi si decise, mi fece un’iniezione di canfora, mi ordinò il canfidrolo e se ne andò. Dopo che il Castagna se ne andò l’attacco si ripete più forte. Verso sera presi alcune gocce di canfidrolo e si ripete più forte ancora. Allora smisi la canfora e non mandai più a chiamare il Castagna. Né lui si sentì in dovere di venire più da me, non dico come amico, ma neanche come ammalato; però ogni tanto mandava la serva ad informarsi come stavo. Dopo alcuni giorni mi intesi un po’ meglio ed allora decisi di recarmi a M... dal dott. Nino D’Ascola mio medico di fiducia. Il dott. D’Ascola mi osservò atte[...]

[...]ezione di canfora, mi ordinò il canfidrolo e se ne andò. Dopo che il Castagna se ne andò l’attacco si ripete più forte. Verso sera presi alcune gocce di canfidrolo e si ripete più forte ancora. Allora smisi la canfora e non mandai più a chiamare il Castagna. Né lui si sentì in dovere di venire più da me, non dico come amico, ma neanche come ammalato; però ogni tanto mandava la serva ad informarsi come stavo. Dopo alcuni giorni mi intesi un po’ meglio ed allora decisi di recarmi a M... dal dott. Nino D’Ascola mio medico di fiducia. Il dott. D’Ascola mi osservò attentamente e mi esortò di stare tranquillo, perché non c’era niente né al cuore, né altrove che mi dovesse impressionare. Io allora mi tranquillizzai da questo lato ed in seguito stetti un po’ meglio anche perché mi sforzavo di pensare

11 meno possibile ai guai e sempre allo scopo di star meglio.

Verso aprile vidi all’improvviso in casa mia cognata Elena, dato che da mia sorella non ci voleva andare e dato che i fratelli non la potevano più vedere giacché aveva preso a bastonate la madre a C...

Io feci capire che non intendevo tenerla e così i fratelli se la portarono da mia sorella. Verso maggio sgravò mia sorella e fu contenta perché finalmente aveva dato alla luce un figlio maschio. In questo frattempo un giorno mentre andai per visitare mia sorella vidi PElena con un184

SAVERIO MONTALTO

occhio fasciato ed ammaccato da fare orrore. Seppi poi che l’Ottavio per un nonnulla l’aveva pestata a quel modo. Mia sorella mi disse: « Neanche le bestie fanno così! ».

Intanto le scuole si chiusero e siccome mia sorella non aveva potuto cambiare casa perché ancora ammalata nel letto, mia suocera mandò dicendo che lei restava sempre a C... finché quella donna non se ne fosse andata per i fatti suoi. Io stesso trovai la casa sopra del negozio da don Angelo Chiarenza [...]

[...]rrore. Seppi poi che l’Ottavio per un nonnulla l’aveva pestata a quel modo. Mia sorella mi disse: « Neanche le bestie fanno così! ».

Intanto le scuole si chiusero e siccome mia sorella non aveva potuto cambiare casa perché ancora ammalata nel letto, mia suocera mandò dicendo che lei restava sempre a C... finché quella donna non se ne fosse andata per i fatti suoi. Io stesso trovai la casa sopra del negozio da don Angelo Chiarenza e diedi al figlio L. 200 in anticipo per accomodarla. Quando mia sorella se ne andò voleva portarsi con sé anche un quadro che una volta le aveva regalato la suocera. Ma TElena si oppose dicendo che non era roba sua. Mia sorella insiste ed allora il marito la prese a schiaffi sgravata come si trovava da circa quindici giorni e da fare pietà anche alle bestie della foresta e dicendole che da quel momento in poi lei, per nessuna ragione al mondo, doveva permettersi di mentovare i suoi familiari. Ritornando mia suocera da C... le cose, con la sua vicinanza si aggravarono di nuovo e mio cognato non potendo fare a[...]

[...]a circa quindici giorni e da fare pietà anche alle bestie della foresta e dicendole che da quel momento in poi lei, per nessuna ragione al mondo, doveva permettersi di mentovare i suoi familiari. Ritornando mia suocera da C... le cose, con la sua vicinanza si aggravarono di nuovo e mio cognato non potendo fare altro, rilegò ora mia sorella disopra

il negozio. Infatti, dato che per entrare ed uscire di casa non c’era altra via che il negozio, egli, non appena notte lo chiudeva e portava con sé la chiave ovvero la dava al fratello Ottavio adducendo come scusa che di sera non si poteva lasciare il negozio aperto; né si poteva ormai avere più fiducia di mia sorella; e faceva capire chiaramente nel medesimo tempo a tutti, compreso me, che non aveva piacere che si andasse a trovarla. E se i vicini volevano parlare con lei o qualche amica voleva andare a trovarla, dovevano farlo quasi di nascosto. Anch’io ora ci andavo raramente perché avevo paura d’incontrarmi con quelle facce torve ed ogni volta che salivo da lei sentivo che il respiro mi [...]

[...]a piacere che si andasse a trovarla. E se i vicini volevano parlare con lei o qualche amica voleva andare a trovarla, dovevano farlo quasi di nascosto. Anch’io ora ci andavo raramente perché avevo paura d’incontrarmi con quelle facce torve ed ogni volta che salivo da lei sentivo che il respiro mi veniva a mancare. Una sera che passavo colla motocicletta mi fermai e salii da mia sorella. Vi trovai il marito stravolto al solito suo e Pasquale il figlio maggiore di mio cognato Gennaro Grandi seduto vicino a mia sorella. Dopo un po’ mio cognato Giacomo scacciò bruscamente Pasquale che sapeva che andava di quando in quando da mia sorella per portarle un po’ di conforto, dicendo che dato che lui era nemico con suo padre non voleva che andasse in casa sua. Pasquale scornato e mortificato se ne andò. Allontanatosi, mio cognato si mise ad urlare contro mia sorella e per poco non le scaraventò in testa un boccale d’acqua di terra cotta che per quella volta mandò in frantumi sul pavimento. Dopo un po’ disse: «E se proibisco anche tuo fratello di ve[...]

[...]asse in casa sua. Pasquale scornato e mortificato se ne andò. Allontanatosi, mio cognato si mise ad urlare contro mia sorella e per poco non le scaraventò in testa un boccale d’acqua di terra cotta che per quella volta mandò in frantumi sul pavimento. Dopo un po’ disse: «E se proibisco anche tuo fratello di venire in questa casa, son padrone e neanche lui ci deve venire!MEMORIALE DAL CARCERE

185

Hai capito? » e detto ciò se ne andò. Verso gli ultimi tempi mio cognato aveva ridotta mia sorella a fare lei anche il bucato in casa, né io potevo mandare la servetta o la madre di costei ad aiutarla, magari pagando io quest’ultima, perché erano guai, non solo per mia sorella ma anche per me nei riguardi di mia moglie. Un giorno dissi a mia sorella: «Ma come fai la mattina; ti senti in condizione di alzarti? ». E lei: «Come vuoi che faccia? Non mi sento perché, specie la mattina, mi sento paralizzata, ma con quattro figli piccoli mi debbo alzare lo stesso! ».

A giugno, quando scoppiò la guerra, m’intesi rinascere ed aspettavo di giorno in giorno di essere richiamato giacché ormai non ero capace d’interessarmi più di nessuno, compresa mia sorella.

Verso luglio, un giorno che mia moglie picchiò la servetta più forte del solito raccolsi nell’aria dalla bocca di quest’ultima questa frase: «Io parlerei?! »; e siccome da un certo tempo avevo notato un nuovo atteggiamento di mia moglie nei nostri rapporti sessuali, non dimenticai più la frase. Un pomeriggio che mi trovai solo con la servetta, dato che ora mia moglie entrava ed usciva di casa senza darmi più conto dove andasse e che facesse, né, io del resto, glie lo chiedevo, le domandai perché quel giorno aveva detto quel « Parlerei ?! » a denti stretti. Dapprincipio la servetta negò, ma poi, dietro le mie insistenze alquanto aspre, mi dichiarò che mia moglie amoreggiava col medico Castagna. Mi disse che quando io mancavo lei se la faceva sempre alla finestra dirimpetto allo studio del Castagna, che una mattina il Castagna, mentre io ero all’ufficio, colla scusa che cercava di me, era salito sopra e si era intrattenuto in salotto con mia moglie e che tutto ciò lo sapeva anche la padrona di casa che abitava sotto di noi e forse anche il resto della famiglia. Io non volli sapere niente più, le raccomandai se si fosse accorta di altro per l’avvenire di riferirlo a me e mi serrai nello studio. Nello studio intesi che la mia casa ormai era definitivamente crollata e che ora per davvero non c’era alcuna via di scampo. « Anche le corna! » mi ripetevo chiuso in me passeggiando su e giù e poi soggiungevo: «Dote no, posizione sociale no, intelligenza no, bontà niente del tutto: ed anche disonesta? ». E poi soggiungevo ancora: «Eh già! La meraviglia sarebbe stata se fosse stata onesta!». Non so più quanto tempo rimasi in questo stato. Fino a questo momen[...]

[...]accomandai se si fosse accorta di altro per l’avvenire di riferirlo a me e mi serrai nello studio. Nello studio intesi che la mia casa ormai era definitivamente crollata e che ora per davvero non c’era alcuna via di scampo. « Anche le corna! » mi ripetevo chiuso in me passeggiando su e giù e poi soggiungevo: «Dote no, posizione sociale no, intelligenza no, bontà niente del tutto: ed anche disonesta? ». E poi soggiungevo ancora: «Eh già! La meraviglia sarebbe stata se fosse stata onesta!». Non so più quanto tempo rimasi in questo stato. Fino a questo momento non conoscevo l’odio, ma da questo momento in poi odiai non solo mia moglie e tutta la sua famiglia, ma anche il genere umano, dato che anche il genere umano, contribuiva per la sua parte alla186

SAVERIO MONTALTO

mia completa rovina, per opera di un Castagna che io, fra l’altro, avevo stimato sempre amico. Ora più di prima non potevo sopportare la gente e specie la casa del Castagna che avevo di rimpetto. A mia sorella non la odiavo, però le sue sofferenze non mi facevano più né caldo e né freddo e così fu, si può dire, fino alla fine. Dopo un certo tempo mi calmai un po’ perché pensavo di aver trovato la via d’uscita. Mi dissi : « Adesso farò di tutto per farmi richiamare, a fine g[...]

[...]vevo di rimpetto. A mia sorella non la odiavo, però le sue sofferenze non mi facevano più né caldo e né freddo e così fu, si può dire, fino alla fine. Dopo un certo tempo mi calmai un po’ perché pensavo di aver trovato la via d’uscita. Mi dissi : « Adesso farò di tutto per farmi richiamare, a fine guerra me ne andrò all’estero e così lascerò per sempre questa terra maledetta ». Cercai d’impormi la calma e di mostrarmi piuttosto cortese con mia moglie per quanto le mie forze me lo acconsentirono, sia per non rivelarle in qualche momento di maggior stravolgimento il suo fallo, altrimenti sapevo che lei sicuramente si sarebbe rivolta alla sua famiglia ed i fratelli, dato che mi permettevo di calunniare una Santa come mia moglie, chi sa che cosa avrebbero fatto nei miei riguardi. Una sera più tardi per evitare che la faccenda si propagasse di più, giacché ancora speravo che la cosa la sapessero solo i padroni di casa e che per un certo riguardo a me non dicessero niente agli altri, mentre andavo a letto dissi a mia moglie, dato anche che sapevo che lei tuttavia quando passava davanti al Castagna s’intratteneva colla moglie e qualche volta entrava anche dentro: «Vedi che io sono nemico col dott. Castagna e quando passi davanti alla sua casa ti prego quindi di non fermarti, perché certo non è giusto! ». Mia moglie impallidì e non profferì verbo.

Dopo alcun tempo me ne accorsi che il dott. Castagna si faceva notare col fucile per andare a caccia, cosa che non aveva fatto mai fino allora e che ora più di prima mi guardava dall’alto in basso facendomi capire che non sapeva cosa farne più della mia amicizia. Ma io ormai non pensavo a nessuno ed attendevo ora per ora di andarmene sotto le armi dato che avevo fatto una domanda al Ministero ed ero stato chiamato già per la visita. Verso agosto mi scrisse il mio amico Saverio Attila già richiamato dicendomi che se io gradivo essere richiamato subito bisogn[...]

[...]o ormai non pensavo a nessuno ed attendevo ora per ora di andarmene sotto le armi dato che avevo fatto una domanda al Ministero ed ero stato chiamato già per la visita. Verso agosto mi scrisse il mio amico Saverio Attila già richiamato dicendomi che se io gradivo essere richiamato subito bisognava insistere direttamente al Comando di Zona Territoriale di Palermo. Difatti verso fine settembre andai io personalmente a Palermo e portai con me mia moglie sempre per non insospettirla ma principalmente per non lasciarla sola. Mi recai dal comandante la Zona Territoriale e^gli raccomandai caldamente la mia domanda. Il comandante mi rispose che se ne sarebbe interessato vivamente e di stare tranquillo che fra qualche giorno sarei stato richiamato. Ma passò tutto ottobre ed io non fui richiamato lo stesso. MiMEMORIALE DAL CARCERE

187

vidi ancora una volta perduto ed allora pensai di prendermi un mese di licenza a novembre colla speranza di andarmene verso il nord per cercare di avere un posto colà anche provvisorio. Mi portai in Prefettura per chiedere la licenza, ma mi si disse che, dato lo stato di guerra, le licenze ufficiali erano abolite e che bisognava a[...]

[...]e la licenza, ma mi si disse che, dato lo stato di guerra, le licenze ufficiali erano abolite e che bisognava arrangiarsi, se mi fosse stata urgente, col Podestà. Parlai col Podestà ma me la rifiutò anche lui adducendo che non potevasi prendere una simile responsabilità. Persa anche quest’altra speranza mi stavo rassegnando ad attendere ancora il richiamo, quando il 12 novembre, mentre mi trovavo sul pianerottolo della scala della mia casa e con gli operai che mi stavano mettendo l’impianto della luce elettrica, mi vidi consegnare dal postino una lettera. Ero solo, l’apersi e lessi: «Ti avverto che il dottor Castagna ha avuto rapporti con tua moglie e tutt’oggi ». Gli occhi mi si oscurarono, le gambe intesi che si piegavano e per poco non caddi a terra. Cercai di dominarmi e non so come riuscii a mantenermi in piedi, a nascondere la lettera in tasca ed andarmene pel momento in una stanza ove non c’era nessuno. Un certo individuo strano introdottosi di colpo nella mia testa mi disse: «Te lo dicevo io che la cosa era già di pubblica ragione? Tu non ci volevi credere! ». Quel certo individuo strano non mi lasciò quasi più ed ancora di quando in quando si piglia gusto a perseguitarmi. Né mi ricordo più ciò che avvenne in seguito con precisione, giacché la cont[...]

[...]i piegavano e per poco non caddi a terra. Cercai di dominarmi e non so come riuscii a mantenermi in piedi, a nascondere la lettera in tasca ed andarmene pel momento in una stanza ove non c’era nessuno. Un certo individuo strano introdottosi di colpo nella mia testa mi disse: «Te lo dicevo io che la cosa era già di pubblica ragione? Tu non ci volevi credere! ». Quel certo individuo strano non mi lasciò quasi più ed ancora di quando in quando si piglia gusto a perseguitarmi. Né mi ricordo più ciò che avvenne in seguito con precisione, giacché la continua presenza di quel maledetto individuo mi faceva vedere tutto indistinto ed avvolto d’ombre. Però mi accorgevo con un certo compiacimento che ormai il cuore non mi tumultuava più come prima e se non fosse stato che di quando in quando avvertivo come un chiodo conficcato sulla sommità del cranio, per il resto, potevo dire di sentirmi bene. Io però, d’ora in poi, continuerò a raccontare lo stesso come se nei giorni che si susseguirono vedessi tutto distinto e sgombro d’ombre.

La notte non d[...]

[...]er il resto, potevo dire di sentirmi bene. Io però, d’ora in poi, continuerò a raccontare lo stesso come se nei giorni che si susseguirono vedessi tutto distinto e sgombro d’ombre.

La notte non dormii e me la feci girandomi e smaniando nel letto come mi accadde anche le altre notti che vennero dopo. E se dormivo facevo dei sogni opprimenti ed ossessionanti che lo strano individuo poi me li faceva subito dileguare. Il giorno dopo, mentre mia moglie gridava con la servetta in cucina ed io mi trovavo nella stanza da letto e gli operai nel salotto, profferii: «Dì alla puttana che si stia zitta, ché basta quanto si è frustata e che ci sono gli operai in casa! ». Mia moglie mi raggiunse nella stanza da letto e mi disse: «Cosa avete detto? Perché avete detto quelle parole? ». Io risposi: « Io non so niente! Tu lo sai meglio di me! Se tu sapessi però che cosa dice largente di188

SAVERIO MONTALTO

te, andresti or ora a buttarti a mare! ». Mattina di giovedì mi alzai presto ed incominciai la nenia di questa canzone: «Quanto è bella sta figliola, manco a Napoli ci sta; e si pettina e s’incannola, tutti quanti l’amore fa». Ogni tanto sostituivo la parola figliola con puttana o fontana e ci provavo un gusto matto a gridare forte ed a farmi sentire anche dai vicini. Poi vennero gli operai e smisi di cantare. Più tardi uscii per un po’ perché mi mantenevo calmo ed affabile, non solo cogli estranei, ma anche con mia moglie, e, benché meccanicamente, agivo e facevo tutto secondo il solito. Verso mezzogiorno gli operai se ne andarono ed io mi intesi assai più libero. Nel pomeriggio ripresi la nenia; mia moglie allora si avvicinò a me e mi disse: «Questa canzone la dovete cantare per le vostre sorelle e se continuate ancora mando a chiamare i miei fratelli! ». Io sorrisi per farle capire che non avevo paura, però non cantai più. Dopo che mia moglie si fu allontanata, lo strano individuo pronto mi disse: «Te lo dicevo io di stare zitto perché altrimenti ne buscavi? Beh, non ti dar pensiero, che anche così si sta bene! ». Io però più tardi ricominciai la nenia, perché ormai non potevo farne a meno, ma la durai un poco e sottovoce in modo che non mi sentisse mia moglie e poi la smisi completamente. Sera di venerdì, dappoiché mia moglie aveva dato l’allarme, venne mia sorella da me, mi portò nello studio e mi disse: « Son venuta per stare con te stasera, perché Giacomo non c’è — era da molto che non veniva più da me —. Ma insomma che hai? Ti sembra giusto che la devi ingiuriare puttana? ».

« A chi ? ».

« Andiamo! Dimmi che cosa è successo! ».

«Nulla! Ma giacché lo vuoi sapere, a te, lo dico! Mia moglie mi fa le corna col medico Castagna. Hai capito ora? ».

« Vedi, mi si accappona la pelle! » e mi mostrò il braccio. « Però io non ci credo! E come l’hai saputo? ».

« Ho ricevuto una lettera anonima; però io lo sapevo da tempo e perciò me ne volevo andare ».

« Senti, io ti dico di calmarti perché non è vero. Ma se dovesse essere vero certo che il dott. Castagna è stato un vero mascalzone, perché con te non si doveva permettere un fatto simile! Però io, ti ripeto, non ci credo e ti dico di calmarti, perché sicuramente si tratta di gente che vuole male a te ed a tua moglie e non bisogna[...]

[...]n ci credo! E come l’hai saputo? ».

« Ho ricevuto una lettera anonima; però io lo sapevo da tempo e perciò me ne volevo andare ».

« Senti, io ti dico di calmarti perché non è vero. Ma se dovesse essere vero certo che il dott. Castagna è stato un vero mascalzone, perché con te non si doveva permettere un fatto simile! Però io, ti ripeto, non ci credo e ti dico di calmarti, perché sicuramente si tratta di gente che vuole male a te ed a tua moglie e non bisogna dare loro gusto ».

Poi mia sorella insistè ancora che mi calmassi, mi portò tanti paragoni, mi disse anche che tutto al più si poteva trattare di un semMEMORIALE DAL CARCERE

189

plice corteggiamento e siccome io non ne avevo più voglia di sentire parole le promisi che mi sarei calmato e così andammo a raggiungere gli altri in cucina dopo averla raccomandata di non dire niente a mia moglie della lettera anonima. Più tardi però si chiusero tutt’e due nel salotto e mia sorella messa alle strette lasciò capire a mia moglie che io forse avevo ricevuta una lettera anonima; ma nel contempo le disse di stare tranquilla che si trattava sicuramente di gente perfida che voleva mettere zizzanie nelle famiglie, poiché si sapeva molto bene che non c’era niente di vero e quindi non si potevano dire che delle falsità.

Mattina di sabato andai a M... ed al ritorno seppi che mia moglie durante la mia assenza aveva mandato a chiamare il fratello Ottavio.

Così mi spuntò l’alba di quel maledetto giorno del 17 novembre 1940. Né avrei creduto mai che l’alba appresso avesse trovato me nella caserma dei carabinieri e mia sorella Anna nella bara situata in una stanza della mia casa, per quanto lo strano individuo che sempre più prendeva salda dimora in me, si era messo ora, fin dal mattino, a tormentarmi la vita con sentimenti lugubri e funerei. Quando penso a quel giorno ed a tutti gli altri che si susseguirono, sento che affiorano alle labbra questi versi, se non sbaglio, di [...]

[...]ratello Ottavio.

Così mi spuntò l’alba di quel maledetto giorno del 17 novembre 1940. Né avrei creduto mai che l’alba appresso avesse trovato me nella caserma dei carabinieri e mia sorella Anna nella bara situata in una stanza della mia casa, per quanto lo strano individuo che sempre più prendeva salda dimora in me, si era messo ora, fin dal mattino, a tormentarmi la vita con sentimenti lugubri e funerei. Quando penso a quel giorno ed a tutti gli altri che si susseguirono, sento che affiorano alle labbra questi versi, se non sbaglio, di un poeta tedesco:

«Signor, chiamami a te, stanco son’io,

« Pregar non posso, senza maledire! ».

Verso le dieci feci sapere a mia moglie che se neanche quel, giorno avesse voluto alzarsi mi sarei messo io a cucinare, e siccome lei rispose che intendeva rimanere a letto, mi portai in cucina ed incominciai a preparare. Verso l’una la pentola stava per bollire quando intesi bussare al portone. La servetta andò ad aprire e dopo un po’ vidi entrare in cucina mio cognato Giacomo senza salutare e per giunta, alle mie parole piuttosto cordiali dato che lo sapevo assente rispose con semplici monosillabi. Mi disse invece andando difilato verso lo studio : «Sentite cognato, debbo dirvi una parola! ». Io lo seguii e giunti nello studio c[...]

[...]se che riguardano esclusivamente la mia onorabilità e non voi! ».

«No, son cose che riguardano me! E vi dico, ancora una volta che me la dovete dare immediatamente! » e fece Tatto di alzarsi per aggredirmi. Io rimasi calmo e continuai: «Non credo che mi costringerete a buttarmi dal balcone oppure scapparmene di casa come mi trovo ed andare gridando per le vie del paese? ».

« Ah, ah! Non credevo mai che foste arrivato ad uno stato tale di vigliaccheria! Si vede allora che non solo siete vigliacco, ma anche mascalzone, perché debbo credere ora che la lettera l’avete inventata voi! Ma io so ben donde proviene la lettera, e perché non la volete consegnare, perché stamattina appena arrivato, non volendo, la piccola Giuseppa mi ha dichiarato che tempo fa, durante la mia assenza, una sera venne dalla mamma mia sorella Aurora col bambino e con Antonio e mangiarono insieme tante cose belle ».

L’Aurora era sgravata dopo mia sorella, però mia sorella non conosceva il suo bambino perché il marito le aveva proibito di andarla a trovare.

Mio cognato concluse:

«Io ancora non ho parlato[...]

[...]re, perché stamattina appena arrivato, non volendo, la piccola Giuseppa mi ha dichiarato che tempo fa, durante la mia assenza, una sera venne dalla mamma mia sorella Aurora col bambino e con Antonio e mangiarono insieme tante cose belle ».

L’Aurora era sgravata dopo mia sorella, però mia sorella non conosceva il suo bambino perché il marito le aveva proibito di andarla a trovare.

Mio cognato concluse:

«Io ancora non ho parlato con mia moglie, ma parlerò subito e poi faremo i conti ».

Al ricordo di mia sorella tremai ancora una volta e pensando a lei cercai anche ora di umiliarmi di fronte a mio cognato, pigliandolo colle buone e dicendogli che non era il caso di badare a delle sciocchezze; che io non ci facevo caso di niente, che ormai andava pigliando piede il libero amore e tante altre cose belle. Mio cognato per tutta risposta si alzò e si avvicinò con queste parole : « Me la vuoi dare sì,

o no? Più tardi vedremo se me la darai! ». Poi entrò da mia moglie dicendo: «Alzati e cammina!». Mia moglie si mise a piangere, fece per vestirsi, ma poi si coricò di nuovo, continuando a piangere. Mio cognato per consolarla le disse che lui era sicuro che lei non aveva fatto niente e che seppure l’avesse fatto di non avere paura che c’erano quattro fratelli a suo lato per difenderla e così uscì.

Rimasto solo lo strano individuo incominciò a ridere sarcasticamente nella mia testa: «Ah, ah! Ti dissi di star zitto? Adesso te laMEMORIALE DAL CARCERE

191

sbrighi tu! Cornuto e bastonato! E non solo bastonato ma per quanto vogliono addossare la colpa a te ed a tua sorella! ». Mi fece ricordare[...]

[...] piangere. Mio cognato per consolarla le disse che lui era sicuro che lei non aveva fatto niente e che seppure l’avesse fatto di non avere paura che c’erano quattro fratelli a suo lato per difenderla e così uscì.

Rimasto solo lo strano individuo incominciò a ridere sarcasticamente nella mia testa: «Ah, ah! Ti dissi di star zitto? Adesso te laMEMORIALE DAL CARCERE

191

sbrighi tu! Cornuto e bastonato! E non solo bastonato ma per quanto vogliono addossare la colpa a te ed a tua sorella! ». Mi fece ricordare anche che qualche giorno prima la suocera era andata in casa di mia sorella per bastonarla e che con mio cognato Giacomo c’era poco da scherzare, giacché, pur essendo ancora ragazzo, una volta l’onorevole Barca aveva dovuto, per non farsi strappare un documento dalle mani, metterlo alla porta colla pistola in pugno. A questo punto lo strano individuo mi lasciò ed al suo posto si sostituì nella testa una morsa di ferro che me la stringeva sempre più e non mi lasciava né pensare né agire se non secondo la sua volontà. Questa mors[...]

[...]la mente tante idee ma non fui capace di attuarne nessuna. Ad un certo punto presi mille lire dal tavolino del salotto e

11 misi nel tiretto della scrivania, per andarmene a Palermo, ma poi più tardi quando pensai di vestirmi per uscire non fui capace di farlo. Me ne accorsi in questo mentre che avevo la pistola nella scrivania e la portai nel tiretto del salotto ma non ricordo più se per evitare che l’avessi a portata di mano io oppure mia moglie o i suoi fratelli. Più tardi ancora venne una persona che desiderava parlarmi per certi documenti: prima lo feci salire, ma poi gli feci dire dalla persona di servizio che non c’ero in casa. Verso le quattro ebbi un momento di tregua e presi una tazza di caffè. Dopo il caffè mi affacciai al balcone per mirare il caseggiato ed il mare ed al loro posto vi trovai solamente una distesa oscura ed un cielo di un fosco porporino. In questo frattempo venne FOttavio e si portò via la Livia dicendo che doveva condurla dalle monache. Non avevo più pace ed andavo su e giù. Ad un certo punto vidi spuntare mia sorella e mi rallegrai perché ora da me si trovava fuori pericolo. Entrò nel salotto e mi disse : « Perché non gli dai la lette[...]

[...]o il caffè mi affacciai al balcone per mirare il caseggiato ed il mare ed al loro posto vi trovai solamente una distesa oscura ed un cielo di un fosco porporino. In questo frattempo venne FOttavio e si portò via la Livia dicendo che doveva condurla dalle monache. Non avevo più pace ed andavo su e giù. Ad un certo punto vidi spuntare mia sorella e mi rallegrai perché ora da me si trovava fuori pericolo. Entrò nel salotto e mi disse : « Perché non gli dai la lettera? ».

« Perché no! Sai che vogliono mettere in campo ora? Che sei stata tu a scriverla d’accordo con Aurora ».192

SAVERIO MONTALTO

« Si? E come? ».

«Dicono che tempo fa, una sera è venuta da te l’Aurora, e così l’avete concertata! ».

«E come poteva venire da me Aurora se io sono carcerata? Io ancora non conosco il suo bambino. Se l’abbia scritta o meno l’Aurora io non lo so! E poi, dico io, andavo a menarmi la zappa nei piedi? Loro non possono che non possono vedermi ora; immaginiamo quando tu fossi diviso dalla figlia! Ma se loro adesso vogliono affermare questo, vado dritta a buttarmi a mare! ».

«Sei sicura[...]

[...]rla d’accordo con Aurora ».192

SAVERIO MONTALTO

« Si? E come? ».

«Dicono che tempo fa, una sera è venuta da te l’Aurora, e così l’avete concertata! ».

«E come poteva venire da me Aurora se io sono carcerata? Io ancora non conosco il suo bambino. Se l’abbia scritta o meno l’Aurora io non lo so! E poi, dico io, andavo a menarmi la zappa nei piedi? Loro non possono che non possono vedermi ora; immaginiamo quando tu fossi diviso dalla figlia! Ma se loro adesso vogliono affermare questo, vado dritta a buttarmi a mare! ».

«Sei sicura del fatto tuo? ».

« E lo puoi mettere in dubbio? ».

« Già! Hai ragione! Non so più quel che dico! ».

In questo mentre intesi bussare giù al portone. Aprii il balcone della stanza da pranzo e vidi mio cognato Giacomo. Dopo un pò lo raggiungemmo nella stanza da letto ove c’era anche mia moglie già alzata. Mio cognato mi disse con aria di comando: «Ti sei deciso a darmi la lettera? ».

Io non risposi e stetti al mio posto guardandolo. Lui allora fece: «Lo so, lo so chi ha scritto la lettera, perché stamattina me l’ha detto Rosa e Livia! ».

«Come? » risposi io. «Oggi avete detto Giuseppa ed ora Rosa e Livia? ».

«Anche Giuseppa!» si fece portare dalla cucina la piccola Giuseppa, se la pose sulle ginocchia ed incominciò a dire: «È vero bella che venne la zia Aurora con Antonio? È vero figlia che avete mangiato cose belle? » e, siccome la bambina sorrideva vergognosa e non risp[...]

[...] sei deciso a darmi la lettera? ».

Io non risposi e stetti al mio posto guardandolo. Lui allora fece: «Lo so, lo so chi ha scritto la lettera, perché stamattina me l’ha detto Rosa e Livia! ».

«Come? » risposi io. «Oggi avete detto Giuseppa ed ora Rosa e Livia? ».

«Anche Giuseppa!» si fece portare dalla cucina la piccola Giuseppa, se la pose sulle ginocchia ed incominciò a dire: «È vero bella che venne la zia Aurora con Antonio? È vero figlia che avete mangiato cose belle? » e, siccome la bambina sorrideva vergognosa e non rispondeva lui insistè ancora intimorendola. La bambina ora spaventata stava per dire sì. Mia sorella che fino allora guardava trasognata, a questo punto si fece avanti, alzò le mani al cielo ed urlò disperata: «No, non è vero! Lo giuro, lo giuro! ». S’inginocchiò, si scoperse il seno e continuò fuor di sé «Non è vero! Lo giuro su questo latte che nutrisce quell’innocente! ».

Io mi avvicinai a mia sorella e le dissi: «Alzati! » e poi rivolgendomi a mio cognato profferii « E voi egregio signore, vi prego di e[...]

[...] urlò disperata: «No, non è vero! Lo giuro, lo giuro! ». S’inginocchiò, si scoperse il seno e continuò fuor di sé «Non è vero! Lo giuro su questo latte che nutrisce quell’innocente! ».

Io mi avvicinai a mia sorella e le dissi: «Alzati! » e poi rivolgendomi a mio cognato profferii « E voi egregio signore, vi prego di essere più umano e di ricordarvi che siete in casa mia! ».

«Finché c’è mia sorella ci sto di diritto; e, se parli ancora ti piglio a calci nel culo » e si slanciò contro di me. Le donne si misero in mezzo e lui si fermò. Mia sorella allora mi chiamò e mi portò nella stanza da pranzo. Quivi giunti mi supplicò : « Dagli la lettera, ti prego, dagliela! ».MEMORIALE DAL CARCERE

193

A questo punto ci raggiunse mio cognato seguito da mia moglie. Si avvicinò inferocito e dandomi una schiaffo profferì, portando la mano alla tasca di dietro: «Se non mi dai la lettera, ti faccio saltare la testa in aria! ». Le donne lo afferrarono ma io ero già nel salotto. In un attimo mi trovai colla pistola in mano, sbucai nella stanza da pranzo e gridai per intimorirlo di gettare la rivoltella ed uscire fuori. Lui diede un urto più forte per divincolarsi dalle donne ed io allora lo puntai. Vidi un’ombra distaccarsi per venirmi incontro, ma il colpo era partito. Da questo momento divenni tutto spirito di conservazione e scaricai tutti gli otto colpi[...]

[...]altare la testa in aria! ». Le donne lo afferrarono ma io ero già nel salotto. In un attimo mi trovai colla pistola in mano, sbucai nella stanza da pranzo e gridai per intimorirlo di gettare la rivoltella ed uscire fuori. Lui diede un urto più forte per divincolarsi dalle donne ed io allora lo puntai. Vidi un’ombra distaccarsi per venirmi incontro, ma il colpo era partito. Da questo momento divenni tutto spirito di conservazione e scaricai tutti gli otto colpi della pistola perché davanti a me non vedevo altro che ombre che mi volevano uccidere. Né so come son rimasto vivo. Dopo un certo tempo che non so precisare mi sembrava di girare insieme alla casa, ma senza sapere ancora dove mi trovassi. Poi ebbi come un barlume di coscienza e mi vidi nei pressi del balcone dello studio insieme a mia moglie e mio cognato che si contorcevano e si lamentavano vicino a me; e, non vedendo più mia sorella, mi ricordai che prima c’era anche lei presente. Mi slanciai verso la stanza da pranzo e la trovai per terra immobile e supina. Mi buttai sopra, la chiamai, ma non avuta risposta dal suo labbro, la baciai freneticamente e scappai in mezzo alla strada.

A questo punto non posso fare a meno a non invocare, con tutte le forze della mia anima lacerata e dilaniata, la maledizione eterna sul capo di coloro che mi hanno portato a quel passo estremo.

Quando fui in mezzo alla strada, da quel momento, t[...]

[...]cora di quei primi giorni indecifrabili: mi ricordo che volevo piangere ma che il pianto non veniva. Il pianto venne dopo che vidi varie volte mia sorella durante la solitudine della notte e dopo che una notte mi disse: «Taci ormai, non ti disperare, perché lo so bene che non sei stato tu ad uccidermi. E prego sempre il Signore perché non permetta che tu soccomba, e non per te, perché ormai il tuo ed il mio destino si confondono, ma per i miei figli, perché so che un giorno,194

SAVERIO MONTALTO

quando saranno in condizione di poter conoscere il bene dal male, si accosteranno sicuramente a te e solo allora ed in te troveranno queiraffetto che il mio povero cuore, dato che Lui ha creduto così, non gli ha potuto dare ». Dopo queste parole potei piangere profusamente ed il pianto incominciò a rendermi dei momenti sopportabili di vita. Ormai è finita e non ho altro da sperare dal mondo! Troppo amai e troppo soffrii, a dirla coi poeti. E l’amore e il dolore mi hanno lasciato solo amarezza e non altro che amarezza! E se qualcuno, che è venuto a trovarmi, mi ha visto calmo e forse sorridere, ed avrà scambiato questa mia calma e sorriso per indifferenza e cinismo, può stare certo e sicuro questo qualcuno, che non è atto a comprendere tuttocciò, che sotto la veste della calma e del sorriso, si può[...]

[...]o soffrii, a dirla coi poeti. E l’amore e il dolore mi hanno lasciato solo amarezza e non altro che amarezza! E se qualcuno, che è venuto a trovarmi, mi ha visto calmo e forse sorridere, ed avrà scambiato questa mia calma e sorriso per indifferenza e cinismo, può stare certo e sicuro questo qualcuno, che non è atto a comprendere tuttocciò, che sotto la veste della calma e del sorriso, si può racchiudere e contenere in un cuore umano.

Ed ora voglio chiedere una cosa a Dio. Voglio che Lui attraverso la sua Provvidenza faccia sì che il cadavere di quella martire, di quella santa martire, perseguiti fino alla tomba, e, se può, anche fino alPoltre tomba, gli autori del suo continuo ed ultimo martirio. E non per sete di vendetta, no; perché il mio cuore non sa cercare vendetta, ma perché si ricordino, una volta tanto nella vita, che anche loro sono uomini e non soltanto bestie feroci.

E poi voglio ancora che la Giustizia scenda per un istante dalle alte sfere in cui la Divina Sapienza l’ha messa, e mettendosi a cercare attraverso le miserie del mio cuore, si faccia anch’Essa miserie del mio cuore; indi, risalendo con calma e serenità al suo giusto posto, mi giudichi.

Ed ho finito. Però prima di chiudere definitivamente mi permetto ancora di richiamare l’attenzione della Giustizia su di un fatto molto importante. Se al mio posto i componenti la famiglia Armoni avessero trovato uno dei frateli Audino o altro individuo consimile, sto sicuro che non solo avrebbero rispettato e venerata[...]

[...]a Giustizia scenda per un istante dalle alte sfere in cui la Divina Sapienza l’ha messa, e mettendosi a cercare attraverso le miserie del mio cuore, si faccia anch’Essa miserie del mio cuore; indi, risalendo con calma e serenità al suo giusto posto, mi giudichi.

Ed ho finito. Però prima di chiudere definitivamente mi permetto ancora di richiamare l’attenzione della Giustizia su di un fatto molto importante. Se al mio posto i componenti la famiglia Armoni avessero trovato uno dei frateli Audino o altro individuo consimile, sto sicuro che non solo avrebbero rispettato e venerata mia sorella, ma per quanto mia moglie non si sarebbe mai azzardata a mettermi il disonore in casa. Ma loro sapevano di avere a che fare con un coniglio, con un uomo accondiscendente, che si umilia, incapace a reagire, trepido e pauroso come lo sono tuttavia ed ora che vado rientrando in me. Né so prevedere ciò che mi succederebbe per la paura se dovessi in questo momento incontrarmi ancora una volta coi signori Armoni. Né penso che mio cognato Giacomo si sarebbe avventurato per la seconda volta, giacché lui se li sa guardare i mali passi, di ritornare in casa mia quel maledetto giorno del 17 novembre per strapparmi la lettera, se avesseMEMORIALE DAL CARCERE

195

anche lontanamente previsto che io non ero più io, ma già sotto il domini[...]

[...]solo che osò ritornare, ma per quanto cercò d’introdurre nella mia casa l’usanza dei gangster americani di cui lui era tanto ammiratore, se non altro attraverso il cinematografo, sicuro che facendo al modo dei gangsters avrei consegnato ora anche la lettera, dato che la borsa l’avevo consegnata già da tanto tempo; e, non certo per attentare la mia vita, giacché la mia vita non solo faceva molto comodo a sua sorella che allora rappresentava mia moglie, ma anche a lui ed a tutto il resto della sua famiglia. Ed in tema di gangsters voglio dire anche che durante la grande guerra potei esperimentare che tutti i gangsters della portata di mio cognato ed anche più famosi di mio cognato, di fronte al pericolo ed alle pallottole del nemico erano soli loro a gettare le armi ed a fare marcia indietro, non solo, ma ad incitare anche i valorosi ad imitarli, giacché i gangsters diventano tali perché non sanno affrontare le responsabilità ed il peso della vita che non è cosa lieve, come la prostituta diventa prostituta perché non sa sopportare il peso dell’onestà, dappoiché, data la loro pochezza di mente, non immaginano neanche la vera [...]

[...] non solo, ma ad incitare anche i valorosi ad imitarli, giacché i gangsters diventano tali perché non sanno affrontare le responsabilità ed il peso della vita che non è cosa lieve, come la prostituta diventa prostituta perché non sa sopportare il peso dell’onestà, dappoiché, data la loro pochezza di mente, non immaginano neanche la vera gioia che dà l’eroismo ed il sacrificio. Ed è bene che sappia mio cognato che è questa la vera ragione per cui gli eroi e le donne oneste sono stati sempre pieni di bontà, perché bontà è anche sinonimo di comprendonio e d’intelligenza. E solo così mi posso spiegare ora la malvagità dei gangsters e delle prostitute e perché quella sera del 17 novembre mio cognato Giacomo di fronte al pericolo si rivelò vero gangster, e cercò di salvarsi, facendosi scudo di sua moglie e di sua sorella. Ma io, ripeto, in quel momento, non ero più io e quindi non potevo pensare, come la penso ora, la sua vera indole ed intenzione; né ero più in condizione di poter vedere chiaro fisicamente, giacché vedere chiaro coll’occhio fisico significa vedere chiaro coll’occhio chiaro della mente; ed ecco propriamente la vera ragione per cui mi trovo ora nel baratro profondo in cui mi trovo. Saverio Montalto

Direttore responsabile: Alberto Carocci Iscrizione n. 3045 del 301252 del Tribunale di Roma istituto grafico tiberino Roma Via Gaeta, 14



da Alberto L'Abate, Tre storie di emigrati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]uella di altri posti. Più di 20.000 italiani, molti dei quali abitanti in baracche o alloggi a ben diritto definibili come `tuguri': nessun assistente sociale che, al consolato, si preoccupi della loro salute materiale e morale e che li aiuti nei momenti difficili. Nessuno che dia loro una mano, quando sono trattati male dai padroni; purtroppo succede talvolta anche in Svizzera, a far cambiare a questi modo di agire o a trovare loro un padrone migliore. Nessuno che li aiuti, quando senza buone ragioni e all'improvviso vengano licenziati, a trovare un'altra occupazione.
Per comprendere meglio i loro problemi mi sono mescolato, per vari mesi, alla loro vita. Mangiavo con loro nei vari locali da loro preferiti, o li incontravo nei bar o nei circoli o nei luoghi dove vivono usualmente.
Ho potuto cos? intervistare circa un centinaio di operai di varie categorie, soprattutto perd manovali o muratori o operai di qualche fabbrica.
Il risultato di queste ricerche (provvisorie perché attualmente alcuni italiani residenti in Ginevra, la Scuola di Servizio Sociale del luogo e la cattedra di Sociologia della locale Università stanno portando avanti la ricerca) si pub sintetizzare cos?:
al[...]

[...]ultato di queste ricerche (provvisorie perché attualmente alcuni italiani residenti in Ginevra, la Scuola di Servizio Sociale del luogo e la cattedra di Sociologia della locale Università stanno portando avanti la ricerca) si pub sintetizzare cos?:
alloggi: situazione grave (relativamente almeno alla situazione ginevrina). Certe camere ammobiliate affittate da italiani si avvicinano spesso a porcili. Spesse volte dormono nella stessa stanza famiglie complete. In certe baracche, fuori Ginevra, manca l'acqua. Il costo dei locali affittati da italiani è molto più alto che di abitudine. Notevole speculazione su di loro spesso fatta da famiglie italiane che vivono da molti anni qui e sono diventate svizzere oppure hanno il permesso di stabilirsi.
mangiare: situazione non buona. Gli edili a mezzogiorno mangiano
164 ALBERTO L'ABATE
a secco spendendo molto e digerendo male. Non esistono, usualmente, mense nei cantieri. Migliore la situazione nelle industrie. La sera gli operai mangiano in ristoranti per 2, 3, 4 franchi e più ma restano spesso insoddisfatti.
istruzione: livello culturale degli operai abbastanza basso. Molti analfabeti e semianalfabeti. Un certo desiderio di apprendere specie in elementi con coscienza sociale più sviluppata. Corsi di educazione popolare o completamente inesistenti o inadeguati. Frequente tendenza a scoraggiare le discussioni ed il desiderio di apprendere sotto pretesto che a non si pub fare della politica». Oppure atteggiamento paternalistico verso gli operai (sono dei poveri analfabeti) che li scoraggia dopo la prima riunione.
politica: notevoli contrasti e gelosie tra i vari gruppi politici che si fanno concorrenza, si litigano e si criticano l'uno con l'altro senza spesso accettare un dialogo sereno, aperto, costruttivo.
sesso: notevole insoddisfazione sessuale dell'operaio medio. Costretto spesso a vivere senza famiglia oppure a rimandare il matrimonio per via di una certa insicurezza nella stabilità del lavoro e per difficoltà nel trovare alloggio, l'operaio italiano deve spesso ricorrere ai servizi di prostitute. I più giovani si trovano amiche, in genere italiane. I più sono comunque insoddisfatti ed hanno spesso un comportamento scorretto e aggressivo (parole sconce, fischi, ecc. ecc.) verso le ragazze che incontrano per la strada.
stato d'animo: lo stato d'animo più frequente è di astio contro l'Italia ed il governo attuale che li ha costretti ad emigrare. Notevole astio anche contro gli italiani che [...]

[...] l'operaio italiano deve spesso ricorrere ai servizi di prostitute. I più giovani si trovano amiche, in genere italiane. I più sono comunque insoddisfatti ed hanno spesso un comportamento scorretto e aggressivo (parole sconce, fischi, ecc. ecc.) verso le ragazze che incontrano per la strada.
stato d'animo: lo stato d'animo più frequente è di astio contro l'Italia ed il governo attuale che li ha costretti ad emigrare. Notevole astio anche contro gli italiani che vivono qui già da vario tempo, e che, a detta dei nuovi emigrati, si comportano male verso di loro. Forte risentimento generale contro le autorità consolari italiane che sono accusate di completa incuria ed insensibilità verso i loro problemi.
salari: notevolmente più elevati che in Italia. È questa una delle maggiori ragioni della emigrazione qui. Sembra peraltro diffusa una certa discriminazione tra operai svizzeri e quelli italiani. Spesse volte gli svizzeri sono pagati di più per lo stesso lavoro, oppure i salari più bassi sono per certe categorie dove il lavoro degli svizze[...]

[...]no qui già da vario tempo, e che, a detta dei nuovi emigrati, si comportano male verso di loro. Forte risentimento generale contro le autorità consolari italiane che sono accusate di completa incuria ed insensibilità verso i loro problemi.
salari: notevolmente più elevati che in Italia. È questa una delle maggiori ragioni della emigrazione qui. Sembra peraltro diffusa una certa discriminazione tra operai svizzeri e quelli italiani. Spesse volte gli svizzeri sono pagati di più per lo stesso lavoro, oppure i salari più bassi sono per certe categorie dove il lavoro degli svizzeri è quasi inesistente e dove l'italiano, per paura di non avere rinnovato il contratto l'anno seguente, è costretto a subire.
sicurezza sociale: notevole insicurezza del lavoro. Condizione di inferiorità degli italiani rispetto agli svizzeri perché non possono cambiare lavoro, se il loro padrone non è d'accordo. Mancanza completa di una assicurazione contro la disoccupazione. Mancanza degli assegni familiari. Mancanza di una assicurazione estesa alla famiglia (questo anche per gli svizzeri). Inesistenza di qualsiasi assicurazione per lo stagionale al suo rientro in Italia.
assimilazione: pochissima. Forte tendenza degli italiani a stare insie
TRE STORIE DI EMIGRATI 165
me, a trovarsi tra di loro, ad uscire in compagnia di altri italiani. Ma poca solidarietà generale. Notevole tendenza a creare gruppi, circoli, piccole gang, con stretti legami di ogni italiano del gruppo con l'altro del medesimo, ma pochi contatti dei gruppi tra di loro.
situazione legale: molti si lamentano che degli italiani, dopo aver abitato e mangiato sul posto, se ne vadano senza pagare. Altri riportano casi di italiani cui era stata affidata un posizione di responsabilità (capocuoco, ufficio informazione per lavoratori, ecc.) che se la sono svignata con dei denari. Nel primo caso può talvolta dipendere da effettivo. bisogno e potrebbe essere superato con un servizio sociale ben organizzato — con aiuto per trovare lavoro ed eventuali prestiti in situazioni di emergenza. Altre azioni delittuose (assalti a persone per derubarle e simili) sono possibili non come comportamento normale ma probabilmente so[...]

[...] spinta della fame e delle difficoltà, in certi periodi, di trovare lavoro e di avere il permesso di soggiorno. E infatti molto probabile che un certo numero di italiani restino qui anche con permesso di soggiorno scaduto trovandosi nell'impossibilità di prendere un lavoro legalmente riconosciuto.
Uno studioso da me intervistato, professore di sociologia all'Università locale, si è detto molto preoccupato del continuo aggravarsi del problema. « Gli italiani stanno diventando per noi — mi ha detto pressapoco — un po' quello che i negri e i nord africani sono rispettivamente per l'America del Nord e per la Francia. Persone della cui forzalavoro abbiamo bisogno ma che vorremmo avessero meno diritti possibile. Ciò che rende ancor più grave il problema è il fatto che i pregiudizi contro gli italiani, molte volte completamente infondati o almeno molto esagerati, vanno ogni giorno aumentando tra la popolazione svizzera ed anche tra gli operai ». (A proposito di pregiudizi non è infrequente vedere sui giornali ginevrini avvisi come questo: `affittasi camera — italiani esclusi'. Oppure se avviene in città un furto o una rapina i primi a essere sospettati sono molto spesso degli italiani che poi, molte volte, si scopre non c'entrano per niente).
Queste tre biografie non sono scelte a caso né sono particolarmente tipiche. Sono soltanto le tre persone, tra le tante intervistate, che avevano più da raccontare e con le quali mi sono inteso meglio. Mi sembrano significative per comprendere meglio lo stato d'animo di certi emigrati italiani all'estero. Per evitare che i colloqui fossero meno spontanei non ho preso mai appunti durante di essi. Appena a casa dovevo perciò fare notevoli sforzi di memoria per ricordare, con la massima esattezza possibile, i dialoghi svoltisi. Molte sfumature, purtroppo, sono andate perse e la vivacità del discorso molte volte è svanita. Tutte e tre le biografie sono state riviste e corrette dagli.. interessati.
ALBERTO L'ABATE
166 ALBERTO L'ABATE
I
Quando avevo diciotto mesi mori mia madre. Allora cominciò la mia vita di sacrifici: orfano di madre e, posso dire, anche di padre perché questi ci trattava male e ci disprezzava. Eravamo sei tra fratelli e sorelle. Dopo qualche anno mio padre si risposò con una donna che aveva pure lei sei figli. Fu triste tutta la mia fanciullezza: fame, pidocchi e bastonate in quantità. Mio padre aveva molti soldi, era un impresario boschivo, aveva tante proprietà e case, ma a noi ci lasciava quasi morire di fame e non ci fece neppure andare a scuola. E ci portò alla rovina. Litigava sempre con tutti e non andava d'accordo in famiglia. Beveva anche. Un giorno ebbe una questione con un vicino e gli sparò una schioppettata. Fu imprigionato ma riuscì a pagare 30.000 lire, che, a quei tempi, era una somma enorme, e dopo un mese fu rilasciato. Ma, a poco a poco, tra liti, avvocati ed il resto, si riempi di debiti e, quando mori, per una caduta da cavallo, di tutti i suoi beni non restava più niente.
Io ero andato a scuola fino alla seconda; appena mio padre vide che sapevo scrivere i nomi e contare mi fece smettere perché disse che aveva bisogno di me per i boschi. Dovevo marcare le giornate di lavoro ad una ventina di operai, stavo sempre nei boschi e non ho potuto studiare più.
Ho lavor[...]

[...]guerra di Spagna e mi dissero che dovevano dare la preferenza ad un reduce di guerra e che io potevo andare a combattere. Così non mi restò altro da fare che partire come « volontario ». Altro che idea! Quasi tutti eravamo li per i soldi. Io ero giovane e, la prima notte, mentre mi riparavo, dietro un albero, dalle schegge e dalle pallottole che passavano tutto intorno, mi venne da piangere a pensare cosa mi toccava fare per mantenere la mia famiglia. Mi venne in mente che stavamo combattendo contro altri operai, come me. Alcuni volontari disertarono ed andarono dall'altra parte. Io continuai perché volevo mettere da parte
TRE STORIE DI EMIGRATI 167
un po' di soldi; la paga era discreta; ma cosa non dovevamo fare per guadagnarla: due anni di combattimenti ed ogni giorno col rischio della morte!
Al mio ritorno avevo messo da parte 15.000 lire. Allora era una ricchezza. Ma dopo un poco scoppiò l'altra guerra e fui richiamato. Invece di comprare del terreno, ne avrei potuto prendere un bel pezzetto!, li misi in banca. Quando li ho ripres[...]

[...]lire. Allora era una ricchezza. Ma dopo un poco scoppiò l'altra guerra e fui richiamato. Invece di comprare del terreno, ne avrei potuto prendere un bel pezzetto!, li misi in banca. Quando li ho ripresi non ci ho potuto comprare nemmeno un agnello! La guerra me li aveva dati, la guerra me li ha ritolti.
Dopo la guerra ho voluto fare il contadino. Abbiam preso in affitto un terreno incolto ed abbiamo incominciato a lavorare. Quanto lavoro, mia moglie ed io, per dissodare quella terra! Dalla mattina alla sera, sempre sui campi; ci si fermava a malapena per mangiare. Piantammo patate, ma il tempo fu secco ed il raccolto scarso. L'anno dopo mettemmo grano. Era una gioia vedere il campo tutto carico al tempo del raccolto. Avevamo sudato, ma, finalmente, se ne vedevano i frutti. Avremmo potuto mettere da parte un poco di soldi e magari comprarci un po' di terreno. Ma venne la grandine, all'improvviso, e rovinò tutto. Non ci rimase più niente (t stemmo una giornata intera a piangere tutti e due, aggiunge la moglie, e mi viene quasi da piangere[...]

[...]e. Piantammo patate, ma il tempo fu secco ed il raccolto scarso. L'anno dopo mettemmo grano. Era una gioia vedere il campo tutto carico al tempo del raccolto. Avevamo sudato, ma, finalmente, se ne vedevano i frutti. Avremmo potuto mettere da parte un poco di soldi e magari comprarci un po' di terreno. Ma venne la grandine, all'improvviso, e rovinò tutto. Non ci rimase più niente (t stemmo una giornata intera a piangere tutti e due, aggiunge la moglie, e mi viene quasi da piangere quando ci ripenso. Avevamo fatti tanti progetti! »).
Cosi smisi di fare il contadino. Dopo un poco presi ùn cottimo per fare il carbone. Il comune dava a cottimo una parte di bosco in montagna. Io ne presi una fetta, mio fratello una fetta accanto alla mia, ci facemmo una baracca nel mezzo, dove dormivamo insieme. Era un lavoro duro: si facevano mucchi di legna, si dava fuoco, si spengevano con l'acqua finché la legna non era carbonizzata. Si lavorava il giorno e la notte, senza quasi interruzione. Anche mia moglie veniva ogni giorno lassù (era molto alto e c'e[...]

[...] fare il contadino. Dopo un poco presi ùn cottimo per fare il carbone. Il comune dava a cottimo una parte di bosco in montagna. Io ne presi una fetta, mio fratello una fetta accanto alla mia, ci facemmo una baracca nel mezzo, dove dormivamo insieme. Era un lavoro duro: si facevano mucchi di legna, si dava fuoco, si spengevano con l'acqua finché la legna non era carbonizzata. Si lavorava il giorno e la notte, senza quasi interruzione. Anche mia moglie veniva ogni giorno lassù (era molto alto e c'era freddo e neve) per portarmi l'acqua per spengere il fuoco. Doveva lasciare soli a casa i due bambini e un giorno per poco non bruciarono vivi: avevano messo una sedia vicino al fuoco e questa si incendiò; il bimbo era piccolissimo, la bimba aveva sei anni. Avevo anche altri uomini che lavoravano per me, alcuni tagliavano la legna, altri la trasportavano, ma il grosso del lavoro toccava farlo a me. Lavorai tanto che una notte mi prese una febbre fortissima, avevo i dolori reumatici e non potetti alzarmi per spengere il fuoco. Ci dovette andare mio fratello.
Quell'anno guadagnai molto, ma mi ero rovinato la salute. Dovetti stare due mesi, senza far niente, coperto dalla sabbia del fiume ed al sole, perché i dolori cominciassero a passare. Ma ne ho sentito anche dopo le conseguenze.
L'inverno seguente si presentò una occasione simile. Mio fratello voleva fare come l'anno precedente: prendere due cottimi u[...]

[...] C'era un maestro, pensi, un maestro!, che andava in giro dicendo che ci poteva far emigrare in Brasile. Prese
168 ALBERTO L'ABATE
soldi da varie persone. Anche io lo avevo pagato. Tutte le volte che lo incontravo mi diceva: « Tra poco arriva la chiamata, tra poco arriva » ed io stavo li senza far niente in attesa di questa benedetta chiamata che non arrivava mai. Così persi l'occasione per fare ancora del carbone, ed il maestro, coi soldi che gli avevamo dato, in Brasile ci fece andare sua madre, poi non lo vedemmo più.
Nel '50 decisi di emigrare in Francia. Avevo fatto domanda attraverso l'ufficio collocamento: volevano dei contadini che si trasferissero con tutta la loro famiglia. Il contratto era buono: vitto, alloggio e 17.000 franchi al mese tra stipendio ed allocazioni familiari. Appena in Francia ci portarono ad Auxerre, in una specie di campo di smistamento. Li si aspettava la chiamata da parte dei padroni, ma, quando venne, ci dissero che lo stipendio era di soli 6000 franchi al mese più 4000 per mia moglie se lavorava mezza giornata. E che poi al mangiare dovevamo pensare noi. E come potevo vivere con quella miseria con tutta la famiglia! Lo avessi saputo prima non ci sarei nemmeno andato. Così, dopo circa quaranta giorni di campo di smistamento, ce ne tornammo a casa.
Qualche anno dopo emigrai in Svizzera, nei Grigioni. Avevo addirittura due contratti di lavoro: uno, come contadino l'avevo avuto pagando 5000 lire ad uno svizzero, almeno così diceva di essere, che andava in giro vendendo contratti di lavoro per l'agricoltura persino a 20.000 lire. Tanto che dopo l'hanno arrestato. L'altro, nell'edilizia, attraverso un conoscente che era andato a lavorare in Svizzera già da qualche anno. Scelsi quest'ultimo lavoro perché si [...]

[...]i accompagnò persino con la sua macchina, per due giorni interi, per aiutarmi a trovare un lavoro. Ed infine riuscimmo a trovare il posto dove sono ancora, in una ditta asfal tatrice di strade. Sono manovale, la paga è buona ed il padrone mi rispetta. L'unico guaio è che si lavora sempre all'aria aperta, anche quando piove, ed ogni tanto mi riprendono i reumatismi. Inoltre, ogni anno, devo tornare in Italia per i mesi d'inverno, con tutta la famiglia, e non si è mai sicuri di poter rientrare in Svizzera. Se, per qualche ragione, non vogliono rinnovare
TRE STORIE DI EMIGRATI 169
il contratto, ci tocca restare in Italia. Mio figlio va a scuola qui, nella scuola svizzera, e va anche bene. Il maestro ne è molto contento, e deve studiare in francese! Ma ogni inverno gli tocca perdere due o tre mesi di scuola, non lo posso mica lasciare solo, ha appena 12 anni. Lui ci ha passione per lo studio e mi ha detto che vuole continuare. E io non voglio fare come mio padre che mi fece smettere alla seconda, non voglio che poi possa rimproverarmi di averlo rovinato. Se ne ha la capacità è giusto che vada avanti a studiare ed impari un mestiere migliore, più qualificato, e che non sia costretto a fare il manovale, come me. C'è la scuola di arti e mestieri, per esempio, che è molto buona. E per fortuna qui gli studi sono tutti gratis. Non è come in Italia che tocca sempre comprare il quaderno, i libri, le matite, eccetera, eccetera. Qui danno tutto loro.
Io resto per questo, per permettergli di studiare, perché abbia una vita migliore della mia. E poi mi ci trovo bene in Svizzera. Sono gente onesta. Si può lasciare la roba per la strada e nessuno la ruba. Da noi, invece, appena si pianta qualche cavolo e qualche altra cosa qualcuno viene di notte e se li porta via. Noi, per esempio, coi soldi guadagnati con il carbone, ci facemmo un bel fienile, non una cosa di lusso, lo facemmo noi stessi, ma finalmente avevamo qualcosa di nostro. Ci portavamo le bestie durante il giorno. Mia moglie aveva una mucca e qualche agnello, dormivano con noi, in paese, nella stanza di sotto, altrimenti le avrebbero rubate. Scassinarono due vo[...]

[...]la mia. E poi mi ci trovo bene in Svizzera. Sono gente onesta. Si può lasciare la roba per la strada e nessuno la ruba. Da noi, invece, appena si pianta qualche cavolo e qualche altra cosa qualcuno viene di notte e se li porta via. Noi, per esempio, coi soldi guadagnati con il carbone, ci facemmo un bel fienile, non una cosa di lusso, lo facemmo noi stessi, ma finalmente avevamo qualcosa di nostro. Ci portavamo le bestie durante il giorno. Mia moglie aveva una mucca e qualche agnello, dormivano con noi, in paese, nella stanza di sotto, altrimenti le avrebbero rubate. Scassinarono due volte il lucchetto del fienile e presero tutto quello che c'era dentro. E sono sicuro che non è stato qualcuno che moriva di fame, probabilmente aveva più mucche di me.
Dopo un poco che trovai lavoro feci venire mia moglie ed i miei figli ed andammo ad abitare in uno chalet vicino Ginevra. Il padrone era un italiano che vive qui da circa 30 anni e che ha un'impresa edile. C'erano tre stanze più cucina, ma senza acqua né gabinetto. Ci faceva 'Pagare 200 franchi al mese compresa la luce ed il carbone. Ma tutte le volte che lo incontravo mi faceva capire che mi faceva un grande favore: « Vede, diceva, ci sono tre stanze: potrei metterci due stagionali italiani per stanza, a 50 franchi al posto, ed avrei 300 franchi al mese. Con lei ci rimetto ». Finché un giorno mi disse di andarmene via, su due piedi. Aveva chiesto un aumento ed[...]

[...]00 franchi al mese compresa la luce ed il carbone. Ma tutte le volte che lo incontravo mi faceva capire che mi faceva un grande favore: « Vede, diceva, ci sono tre stanze: potrei metterci due stagionali italiani per stanza, a 50 franchi al posto, ed avrei 300 franchi al mese. Con lei ci rimetto ». Finché un giorno mi disse di andarmene via, su due piedi. Aveva chiesto un aumento ed io non ce lo avevo voluto dare, così mi mise sulla strada, con moglie, figli e bagagli. Disse che aveva già degli altri inquilini e che, se non volevo pagare di piú, dovevo andarmene subito. Non mi dette nemmeno il tempo di portare via i bagagli. Li preparai e li misi da un lato. Dopo qualche giorno presi un taxi ed andai per prenderli, ma come avevo ormai restituito la chiave dovetti scavalcare la cancellata. Quando il padrone lo seppe mi telefonò furente: « Lo sa che io la posso denunziare, mi fece, io la denunzio » e così via. Ma io avevo la coscienza a posto, gli dissi di telefonare pure alla polizia, se voleva, che io non avevo toccato uno spillo della sua roba. Ma non ne fece di nulla. Però, per l'affitto e per un po' di legna che
170 ALBERTO L'ABATE
gli avevo consumato, pretendeva ancora 200 franchi. In quel momento non li avevo ma, per non aver altre storie, gli dissi che glieli avrei pagati appena li avessi avuti. Ma poi mia moglie si ammalò ed ebbi molte spese e non glieli potetti dare. Un giorno mia figlia, che a quei tempi lavorava nella fabbrica di sigarette con mia moglie, tornò a casa tutta piangente. Quel tipo 11, insieme alla moglie, l'avevano attesa davanti all'uscita della fabbrica ed, in faccia a tutte le sue compagne, si erano messi ad insultarla dicendo: Tuo padre è un farabutto, digli che ci dia i soldi che ci deve » e così via. Aveva già fatto una cosa del genere con me, qualche tempo prima, così decisi di farla finita. Andai alla polizia, spiegai che cosa era successo e dissi che avrei pagato quando avrei potuto ma che, per il momento, non ero in grado di farlo. Ma che intanto dovevano far smettere quelle persone di insultarmi perché non ne avevano alcun diritto. Il capo telefonò a quel tipo. Io non so bene il francese ma qualche cosa riuscii a capire. Gli disse che era molto meglio che stesse zitto perché non aveva alcun diritto di farmi pagare tanto e che, se io volevo[...]

[...]e » e così via. Aveva già fatto una cosa del genere con me, qualche tempo prima, così decisi di farla finita. Andai alla polizia, spiegai che cosa era successo e dissi che avrei pagato quando avrei potuto ma che, per il momento, non ero in grado di farlo. Ma che intanto dovevano far smettere quelle persone di insultarmi perché non ne avevano alcun diritto. Il capo telefonò a quel tipo. Io non so bene il francese ma qualche cosa riuscii a capire. Gli disse che era molto meglio che stesse zitto perché non aveva alcun diritto di farmi pagare tanto e che, se io volevo fargli causa, sarebbe andata a finire male per lui. Infatti aveva dichiarato che pagavamo 100 franchi invece di 200. A sentire così fui contento e non volli insistere; ma i 200 franchi non glieli ho più pagati e lui non ha detto più niente.
Grazie ad un avviso sul giornale trovai subito un bell'appartamento con tutti i servizi. Ma costava 260 franchi al mese. Per pagarli ci toccava fare un sacco di sacrifici e poi, quando di inverno si andava in Italia per la stagione, non avevamo più una lira per mantenerci. Ci stemmo circa sei mesi. Poi un amico ci disse che al Centro Sociale Protestante procuravano degli alloggi a buon mercato. Sono loro che mi hanno trovato questa stanza. E un po' piccola per tutti e quattro ma si paga poco ed è meglio che niente.
E da dieci anni che non metto piede alla messa. Prima ci andavo, ma poi i preti hanno cominciato a fare della politica e non li ho potuti più sopportare. Avrei voluto rispondergli, quando parlavano, ma era proibito. Così ho smesso di andarci. Qui andiamo talvolta al culto nella chiesa protestante. La prima volta che sentii parlare di loro fu da mia sorella, tanti anni fa. Lei aveva lavorato in una loro casa. « Sai, c'è della gente che è differente da noi, come religione, mi disse, si riuniscono, uno parla e poi cantano tutti insieme, é bello, sai ».
Non ne seppi più niente fino a qualche anno dopo: durante il fascismo vennero al mio paese dei protestanti confinati. Credo che il fascismo non gli volesse bene, ma forse anche per ragioni politiche. Non sono mai stato all[...]

[...]amo talvolta al culto nella chiesa protestante. La prima volta che sentii parlare di loro fu da mia sorella, tanti anni fa. Lei aveva lavorato in una loro casa. « Sai, c'è della gente che è differente da noi, come religione, mi disse, si riuniscono, uno parla e poi cantano tutti insieme, é bello, sai ».
Non ne seppi più niente fino a qualche anno dopo: durante il fascismo vennero al mio paese dei protestanti confinati. Credo che il fascismo non gli volesse bene, ma forse anche per ragioni politiche. Non sono mai stato alle loro riunioni, sapevo però che si riunivano in casa di uno di loro e pregavano il Signore. Allora non ne sapevo altro.
Quando andai di leva c'era con me un soldato che era un vero delinquente. Ne combinava di tutti i colori: rubava, diceva bugie, si litigava con tutti, eccetera. Quando fui richiamato quel giovane era di nuovo con me. Ma era diventato un altro, sembrava un santo. Se c'era qualcuno da
TRE STORIE DI EMIGRATI 171
aiutare era sempre il primo e se qualcuno lo picchiava lui non rispondeva, accettava in si[...]

[...]ato protestante.
Questo mi fece molta impressione e cominciai a pensare che nel protestantesimo ci fosse qualcosa che nel cattolicesimo non c'è. Che vuole, al mio paese, il Papa ha speso miliardi per fare delle chiese nuove, che sono sempre quasi vuote, mentre c'è un sacco di gente che è ancora senza tetto.
Dopo un po' di tempo che ero qui sono passato da una piazza ed ho visto un cartello: « Culto in italiano ». Ci sono voluto andare, e mia moglie pure, e da allora ci andiamo quasi tutte le domeniche. I miei figli sono andati qualche volta all'unione giovanile, ma a mia figlia non piace. Preferisce restare cattolica.
Ora lei lavora come sarta. Appena arrivata qui non la volevano far lavorare perché dicevano che prima doveva fare l'apprendista; ma l'aveva già fatto in Italia, avevamo fatto dei sacrifici per farla studiare. La mandavamo da una mastra, per imparare il mestiere, e pagavamo anche. Ma quando la mastra doveva tagliare la stoffa mandava le apprendiste in un'altra stanza perché aveva paura che le rubassero il mestiere. È per questo che le cose non vanno, da noi, c'è troppa gelosia; ce n'è anche qui, ma meno forte. Qui a mia figlia la pagano e le fanno anche vedere come si deve fare, se non lo sa di già. Così le fecero il contratto di apprendistato. Dato che doveva lavorare tutto l'anno e che, essendo minorenne, non la potevamo lasciare sola, feci domanda per poter restare anche io nella stagione invernale. Ma non ne vollero sapere ed annullarono anche il contratto di mia figlia. Ma ora ha compiuto 18 anni e si è potuta impiegare regolarmente.
Tempo fa sono stato ad una riunione del sindacato (F.O.B.B.) (1). C'erano un sacco di italiani, tutti stagionali. Parlò un avvocato in italiano. Ci disse che, se siamo qui, la colpa è del nostro governo che non fa niente per dare lavoro a tutti, in Italia. « Anche se facesse qualcosa, ha detto lui, ci vorrebbero più di 10 anni per eliminare tutta la disoccupazione, ma in realtà non fa niente. Invece qui c'è lavoro anche per tutti voi per almeno altri 10 anni. E se lavorate qui per 10 anni avete diritto, come gli svizzeri, all[...]

[...]. C'erano un sacco di italiani, tutti stagionali. Parlò un avvocato in italiano. Ci disse che, se siamo qui, la colpa è del nostro governo che non fa niente per dare lavoro a tutti, in Italia. « Anche se facesse qualcosa, ha detto lui, ci vorrebbero più di 10 anni per eliminare tutta la disoccupazione, ma in realtà non fa niente. Invece qui c'è lavoro anche per tutti voi per almeno altri 10 anni. E se lavorate qui per 10 anni avete diritto, come gli svizzeri, alla pensione di vecchiaia. Per?) abbiamo ottenuto che, se anche tornate in Italia prima, il lavoro vi venga contato ugualmente, per avere il diritto di averla là. E stiamo vedendo di farvi ottenere pure le allocazioni familiari ».
Io ho intenzione di restare qui fino a quando c'è lavoro e finché i miei figli non si siano fatti la loro strada. Se torno al mio paese, 2500 abitanti, nelle montagne degli Abruzzi, come faccio a fare studiare mio figlio? Invece qui le possibilità ci sono. Ed anche se il lavoro è duro, specie alla mia età, ho 49 anni, sopportiamo, per il loro bene. La vita è dura, bisogna prenderla così.
(1) Sindacato edile aderente alla corrente detta dei sindacati liberi.
172 ALBERTO L'ABATE
II
« È vero che ha lavorato in Sicilia? » mi domanda l'intervistato, un giovane trentatreenne che lavora da vari anni a Ginevra come operaio specializzato. Alla mia risposta affermativa continua: « Io ci sono stato durante la guerra: Terrasini, Misilmeri, Caltanisetta. Quando ero a Terrasini mi ricordo che una o due volte la settim[...]

[...] trentatreenne che lavora da vari anni a Ginevra come operaio specializzato. Alla mia risposta affermativa continua: « Io ci sono stato durante la guerra: Terrasini, Misilmeri, Caltanisetta. Quando ero a Terrasini mi ricordo che una o due volte la settimana prendevamo il treno di notte. Si passava dall'Isola delle Femmine, da Sferracavallo e ci si fermava in un posto che ora non ricordo. Avevamo i sacchi vuoti con noi. Abbiamo saccheggiato tutti gli alberi di arancio della zona. Ma, che vuole, eravamo giovani e non ci davano abbastanza da mangiare. Le bucce ci toccava nasconderle sotto terra perché non si trovava più un arancio in paese e, se ci beccavano, erano guai. Uno che é stato preso a rubare un cavolo ha avuto due mesi di carcere e lo volevano denunciare all'alta corte. Poi, per fortuna, si sono ricordati che era solo un cavolo e l'hann.o lasciato libero. Il nostro comandante, invece, in quel periodo, faceva il contrabbando.
Di mestiere faccio l'alesatore, in una ditta che fabbrica macchine utensili. E da tre anni e mezzo che lav[...]

[...]avoro in Svizzera. Prima lavoravo a Modena, la mia città. Ho fatto fino alla quinta industriale poi sono entrato a lavorare alla FIAT. Ma dopo la guerra di Abissinia il lavoro diminuì, così mi licenziai ed andai a lavorare da un'altra ditta. Poi scoppiò la guerra ed andai militare. Ero in uno dei reparti pompieri dell'esercito e lavoravo nel carro attrezzi, ma non sono mai stato un buon militare. Ho sempre detto a tutti che facevo parte del battaglione « lepre » (o « scappa »). A quei tempi ero giovane, non pensavo che a mangiare, quando avevo la pancia piena ero contento. Mi ricordo che una volta, quando ci si trovava sempre in Sicilia, andammo ad aiutare un proprietario a fare dei lavori. Quando si ebbe finito ci portò un piatto grandissimo di tonno all'olio, del pane e del vino. Spazzolammo tutto, tanto avevamo fame. E facevamo spesso dei piccoli lavori usando gli utensili del carro officina: non chiedevamo soldi ma roba da mangiarsi: riparavamo ferri da stiro, piccoli mulini per macinare il grano, rubinetti, insomma tutti quei piccoli lavori di meccanica o di elettricità che può fare un artigiano in un paesino.
Finita la guerra tornai a Modena, ma ero in incognito, per non essere richiamato dai fascisti, allora c'era la Repubblica di Salò; e così, per un po' di tempo, dovetti arrangiarmi a fare tutti i mestieri, per vivere. Ho pulito mosti, poi sono entrato in una bottega per riparazioni di macchine da scrivere. Siccome non ero dichiarato non avevo t[...]

[...]uerra tornai a Modena, ma ero in incognito, per non essere richiamato dai fascisti, allora c'era la Repubblica di Salò; e così, per un po' di tempo, dovetti arrangiarmi a fare tutti i mestieri, per vivere. Ho pulito mosti, poi sono entrato in una bottega per riparazioni di macchine da scrivere. Siccome non ero dichiarato non avevo tessere per i viveri e non ce la facevo, avevo sempre fame. Alla fine decisi di rientrare alla FIAT dove cercavano degli alesatori; non l'avevo mai fatto, ma, con la mia esperienza di tornitore, non mi ci volle molto ad impararlo. Intanto ero entrato in contatto con il movimento di liberazione ed avevo cominciato a leggere cose serie; mi erano capitati tra le mani due opuscoletti di Giustizia e Libertà
TRE STORIE DI EMIGRATI 173
che mi influenzarono moltissimo: uno di John Stuart Mill sulla libertà, l'altro era l'ultimo discorso di Matteotti alla Camera. Mi piacquero tutti e due ma il primo mi colpì particolarmente. C'era come una unità tra quello che trovavo scritto e quello che sentivo io. Li feci leggere, [...]

[...]rai in un gruppo di « Giustizia e Libertà ».
Non ho partecipato a veri e propri combattimenti, ma andavo sempre in giro a distribuire manifesti di propaganda ed a discutere con la gente. Vede, ho come una avversione interna verso tutto quello che è violenza, come un senso di nausea, una cosa istintiva contro le armi. Forse è anche un poco di paura, chi non ne ha, io ne ho avuta e ne avrò ancora, ma è qualche cosa di più che mi fa aborrire tutti gli strumenti di guerra. Così preferivo fare l'altro lavoro.
Alla fine del '44 lasciai il movimento G.L. e cominciai a lavorare con il P.C.I.: credevo che quest'ultimo lavorasse più in profondità e creasse più che ogni altro le condizioni di un rinnovamento totale dell'Italia. Ero capocellula. Ero molto attivo: quasi tutte le sere facevo qualche riunione. Nel frattempo ero rientrato alla FIAT. Restai nel partito un anno. Ma c'era qualcosa che non mi andava. Si facevano le riunioni, per esempio, e non è che si chiedesse alle persone presenti di discutere su un problema. Ognuno avrebbe potuto port[...]

[...]non mi andava. Si facevano le riunioni, per esempio, e non è che si chiedesse alle persone presenti di discutere su un problema. Ognuno avrebbe potuto portare la sua esperienza e ne sarebbero venute fuori delle cose importanti. Alla fine, semmai, avremmo potuto leggere cosa dicono, su quel problema, i grandi del marxismo. Arrivava invece uno scritto, di una o due pagine, con sopra quello che il partito pensava su quell'argomento. Si leggeva il biglietto alla gente ed alla fine si faceva un sermoncino in cui si diceva che ognuno poteva prendere la parola per dire ciò che pensava sull'argomento, ma, che se c'erano critiche da fare, queste dovevano essere costruttive e non disgregatrici o della vuota accademia. La gente ascoltava e non aveva il coraggio di parlare. Pensava « Dice bene il Partito », « Sono d'accordo » e così via e la vera discussione non c'era. Ed io sentivo sempre più che quella libertà che mi era così cara e di cui parlava Mill, nel partito non c'era. Trovai un anarchico che mi accompagnò ad una loro riunione. Non vi era a[...]

[...]a ci furono i famosi licenziamenti, 200 circa. Dissero che non erano politici ma intanto licenziarono tutte e due le commissioni interne al completo. Io non c'ero più, ne avevo fatto parte qualche anno prima, subito dopo la guerra; ero molto attivo, allora. Ero
174 ALBERTO L'ABATE
stato anche a Torino per una riunione di tutte le commissioni interne. Ne avevo approfittato per visitare anche la FIAT centrale. A quei tempi esisteva anche il consiglio di gestione ma, nella nostra fabbrica, ha sempre avuto poco valore. I dirigenti lo chiamavano ogni tanto, solo per dargli informazioni su qualcosa di secondario, ma non ha mai avuto un valore effettivo. In quel tempo, però, i padroni avevano ancora bisogno degli operai e si dimostravano gentili con loro. Ci dicevano « Noi non siamo nemici, dobbiamo collaborare insieme per ricostruire la fabbrica, abbiamo bisogno l'uno dell'altro » e così via. Ma a poco a poco che la fabbrica era rimessa su hanno incominciato ad essere sempre più duri ed a dire: « Se vi va è così, altrimenti fuori! ». Così si arrivò ai licenziamenti. Noi l'avevamo saputo e, per impedirli, occupammo la fabbrica. Stavamo nei refettori, volevamo impedire che i nostri compagni fossero licenziati. Dopo tre giorni arrivò la polizia; erano le sei del mattino, noi sfollammo ed i licenziamenti[...]

[...]o saputo e, per impedirli, occupammo la fabbrica. Stavamo nei refettori, volevamo impedire che i nostri compagni fossero licenziati. Dopo tre giorni arrivò la polizia; erano le sei del mattino, noi sfollammo ed i licenziamenti furono fatti ugualmente.
Io non fui mandato via, ma dopo un po' me ne venni via da solo perché non mi ci trovavo più bene. Avevo lavorato dodici anni in quella fabbrica. Avevamo lottato e sperato di dar vita ad un mondo migliore. Avevamo fatto gli scioperi del '44 per difendere dei compagni di lavoro che i tedeschi volevano mandare in Germania a lavorare; ricordo bene i comizi con le promesse e le minacce che ci tennero i repubblichini; ma si tenne duro, ed i compagni non andarono in Germania. Nel '55 invece non fummo capaci di difendere le nostre libertà ed il lavoro dei licenziati; avevamo dichiarato sciopero a tempo indeterminato ma è durato pochissimo, ci siamo arresi quasi subito. Avevo perduto così la fiducia nei miei compagni di lavoro e non potevo più restare, vedevo in molti la paura ed in altri un conformismo ed un quieto viv[...]

[...]e che ci tennero i repubblichini; ma si tenne duro, ed i compagni non andarono in Germania. Nel '55 invece non fummo capaci di difendere le nostre libertà ed il lavoro dei licenziati; avevamo dichiarato sciopero a tempo indeterminato ma è durato pochissimo, ci siamo arresi quasi subito. Avevo perduto così la fiducia nei miei compagni di lavoro e non potevo più restare, vedevo in molti la paura ed in altri un conformismo ed un quieto vivere che toglieva loro, agli occhi miei, ogni dignità. Inoltre la sorveglianza .cui eravamo sottoposti era diventata sempre peggiore. Ci controllavano dappertutto. E tutte le volte che si usciva si doveva passare la visita. C'era un vero esercito, per spiarci. E se si doveva andare da un reparto all'altro, anche per lavoro, si doveva essere accompagnati o avere il permesso del caposquadra. Ci sono delle guardie con tanto di berretto. Il loro comandante, un exmaresciallo dei carabinieri, era un tizio che si vantava, almeno così mi hanno detto, di avere trattato duramente i partigiani. E la situazione non è molto cambiata. Sono stato ultimamente a casa ed ho potuto pa[...]

[...]te che si usa per il concime. La copri con uno straccio tutto
TRE STORIE DI EMIGRATI 175
pieno di questa roba, ma non si era accorto che mancava il coperchio e che si vedeva dentro. Ha attraversato tutta una cittadina in quelle condizioni. Fu un vero miracolo se non fu preso. Ci raccontava sempre questo episodio, per questo lo chiamavamo « La resistenza s. Ultimamente l'hanno chiamato da parte in seguito ad un suo litigio con un altro operaio, gli hanno fatto fare una visita dal loro medico ed hanno detto che era inabile al lavoro. Così l'hanno licenziato dopo 17 anni di lavoro nella fabbrica. Probabilmente gli dava noia, per le sue idee politiche. Lui si è fatto visitare da un altro medico e sta facendo causa. Forse riuscirà solo ad ottenere qualcosa di più, come liquidazione.
Visto quel clima decisi di partire. Avevo già pensato di emigrare in Svezia, qualche anno prima, poi ci avevo rinunciato per non lasciare soli i miei vecchi. Nel frattempo, però, erano morti. Un mio amico che era venuto a lavorare qui mi scrisse che si trovava bene e che cercavano operai. Anzi, un giorno mi fece sapere che la ditta dove lavoro attualmente cercava degli alesatori e che avrebbe mandato un suo rappresentante in[...]

[...]cendo causa. Forse riuscirà solo ad ottenere qualcosa di più, come liquidazione.
Visto quel clima decisi di partire. Avevo già pensato di emigrare in Svezia, qualche anno prima, poi ci avevo rinunciato per non lasciare soli i miei vecchi. Nel frattempo, però, erano morti. Un mio amico che era venuto a lavorare qui mi scrisse che si trovava bene e che cercavano operai. Anzi, un giorno mi fece sapere che la ditta dove lavoro attualmente cercava degli alesatori e che avrebbe mandato un suo rappresentante in un albergo a Varese per intervistare i candidati. Mi presentai e fui accettato.
Da allora lavoro in questa ditta. È una delle più grandi di questo genere e molto conosciuta, anche all'estero. Ci trattano bene. Siamo quasi il 10% circa di italiani, da Modena, Varese, dal Trentino e da altre zone. Qui non è come da noi che tengono sempre le vecchie macchine e sfruttano l'operaio più che possono. Qui ci sono tutti macchinari moderni ed anche la paga è buona: 4 franchi l'ora, ma lavoro a cottimo e posso prendere anche di più. E ci consider[...]

[...]dal Trentino e da altre zone. Qui non è come da noi che tengono sempre le vecchie macchine e sfruttano l'operaio più che possono. Qui ci sono tutti macchinari moderni ed anche la paga è buona: 4 franchi l'ora, ma lavoro a cottimo e posso prendere anche di più. E ci considerano molto più che da noi. Per esempio quando si lavora mi portano un disegno di un nuovo pezzo. Io lo guardo e dico « Io lo farei così ». Loro ascoltano e mi dicono solo se sbaglio o se c'è un metodo migliore per farlo, ma in caso contrario mi fanno fare a modo mio. Da noi invece ci portavano un disegno e ci dicevano: «Devi fare così e così ». Ed avevi voglia a dire che, magari, in un altro modo sarebbe venuto meglio! Non volevano intendere ragione; ci toccava fare a modo loro.
Poi, per quanto riguarda il macchinario, in Italia cercano sempre di utilizzare quello vecchio, che tante volte non funziona più e col quale é molto più difficile lavorare. Vede, per esempio, se devo fare un foro di una certa grandezza, qui ci sono tutti i ferri delle varie misure, e messi in ordine. Prendo quello segnato per la misura che mi occorre e sono sicuro che va bene, perché ogni tanto fanno il controllo e se è consumato lo cambiano. In Italia invece li lasciano sempre 11 e sempre tutti in disordine. Così, per fare lo st[...]

[...] concludere niente. Inoltre molto spesso i dirigenti non sono capaci di organizzare bene il lavoro; per questo talvolta le nostre ditte vanno male e devono fare tutti quei licenziamenti. Dovrebbero venire qui ad imparare!
Perd, per quanto riguarda le assicurazioni sociali, la Svizzera é il paese
176 ALBERTO L'ABATE
dove ce n'è di meno. Per la Cassa Malattie, per esempio, ogni ditta ha la sua solo per l'operaio. Se si ammala qualcuno della famiglia non c'è niente. Oppure bisogna fare una assicurazione privata, come ce n'è moltissime, `ma che si ingrassano sugli operai. Io ho le stesse assicurazioni degli svizzeri, tranne quella contro la disoccupazione. Se resto senza lavoro e non ne trovo un altro entro quindici giorni, mi fanno rientrare in Italia. Ed il contratto scade ogni anno e non si è mai sicuri se sarà rinnovato o meno. E pago anche molte tasse, perché non sono sposato. Ho a carico una sorella vedova che ha un figlio che sta ancora studiando. Gliel'ho dimostrato con le ricevute dei soldi che mando, all'ufficio tasse, ma non ne hanno tenuto quasi conto; le hanno solo diminuite un pochino.
Al sindacato non sono iscritto. Volevo farlo, ma poi successero i fatti di Ungheria e mandarono fuori dai posti dirigenti tutti i comunisti. Ed io in un sindacato dove non c'è libertà non ci voglio entrare. Inoltre il sindacato non fa quasi nulla, non può neppure fare scioperi. Firmò un patto con i padroni, qualche anno fa, dove si impegnavano a non farli. La chiamano « pace sindacale », la chiamano.
Io, una volta al giorno, mangio in un ristorante di fronte a casa mia. I padroni sono italiani ed hanno una buona cucina. L'altro pasto lo prendo invece alla mensa della fabbrica, é cucinato alla svizzera, non è molto buono, ma meglio che niente.
Per la camera ho avuto fortuna: pago solo 55 franchi al mese. Per una camera cosí chiedono, di solito, 100 franchi ed anche piú. Ma c'è il cimitero, qui davanti, per questo il prezzo è basso. Ma a me i morti non danno noia, stanno sempre zitti. Sembra che ci sia seppellito anche Calvino, che era protestante. Io però non l'ho sentito protestare mai!
Ogni tanto, nelle ore libere, mi metto a disegnare. Che vuole, è un passatempo! Tempo fa mi sono anche comprato un giradischi. Di dischi ne ho pochi ma spero di farmene di più. L'altro giorno, per caso, ho comprato la quinta di Betho[...]

[...]noia, stanno sempre zitti. Sembra che ci sia seppellito anche Calvino, che era protestante. Io però non l'ho sentito protestare mai!
Ogni tanto, nelle ore libere, mi metto a disegnare. Che vuole, è un passatempo! Tempo fa mi sono anche comprato un giradischi. Di dischi ne ho pochi ma spero di farmene di più. L'altro giorno, per caso, ho comprato la quinta di Bethoven. Cercavo il disco di una musica che avevo sentito in un film: il «Crepuscolo degli dei » di Wagner. Non ce l'avevano e mi hanno dato questo. Non l'avevo mai ascoltato, prima: è magnifico, così forte, mi prende tutto. E stata una vera rivelazione per me. Appena posso mi voglio comprare anche le altre sinfonie.
Mi piace molto anche il cinema. Sono iscritto al cine club universitario. Ultimamente hanno dato « La terra trema », di Visconti. Che film! L'ho rivisto tre volte e mi piace sempre di piú. È difficile capire il dialogo, con quel dialetto, ma come film è stupendo.
Leggo anche molto. Ora sto leggendo Proust: « Un amore di Swann »; scrive molto bene. Compro libri usati sulle bancherelle, oppure me li faccio prestare da amici che hanno delle buone biblioteche. Ora mi piacerebbe leggere « Inchiesta alla Fiat », che hanno pubblicato su Nuovi Argomenti. Ma qui no[...]

[...]ndustriale, ho fatto la conoscenza di un operaio italiano. E un tipo di circa 35 anni, basso, un poco calvo. Lavora come meccanico in una grande fabbrica, da circa 8 anni. Viene da una cittadina del Nord Italia, dove lavorava alla Breda. Ecco il suo racconto:
« Durante la guerra, la Breda della nostra città è stata completamente distrutta. Fu il Comitato di liberazione che decise di ricostruirla e convertirla in produzione di pace. Creò un consiglio di gestione che era incaricato della direzione: era formato pariteticamente dai reppresentanti degli operai e da quella della direzione. Ne ho fatto parte per tre anni. Siccome i locali erano tutti distrutti occupammo una vecchia caserma. Si misero i primi macchinari che riuscimmo a trovare e iniziammo il lavoro. Allora al governo c'erano anche i socialcomunisti e l'ordine era di rimettere in piedi le fabbriche distrutte. E così facemmo. Il consiglio di gestione studiò varie possibilità di produzione e, dopo aver visto il pro e il contro, si decise per alcune di esse. Facemmo una motobicicletta che è stata la prima sul mercato del suo genere ed è andata piuttosto bene. Un telaio per calze, dei calibri ed altre cose. Eravamo 6000 operai e riuscimmo a mantenere il lavoro per tutti, anche se a quei tempi, secondo la legge, se non c'era lavoro per lui, l'operaio aveva diritto ugualmente a buona parte della paga. Ma c'era l'entusiasmo e tutti lavoravamo alla ricostruzione. Lo stesso è successo nelle altre fabbriche Breda ».
« Anche alle Regg[...]

[...]oro per tutti, anche se a quei tempi, secondo la legge, se non c'era lavoro per lui, l'operaio aveva diritto ugualmente a buona parte della paga. Ma c'era l'entusiasmo e tutti lavoravamo alla ricostruzione. Lo stesso è successo nelle altre fabbriche Breda ».
« Anche alle Reggiane, dove lavoravo io — aggiunge un altro italiano presente all'intervista — è successa esattamente la stessa cosa, siamo noi che le abbiamo rimesse su ».
« C'era un consiglio di gestione centrale — riprende il primo operaio — ed a questo erano collegati tutti gli altri delle diverse fabbriche della stessa ditta. C'era un poco di caos, ma in complesso abbiamo fatto delle buone cose. Abbiamo potuto mantenere il lavoro a tutti gli operai, la produzione è andata avanti e la conversione in prodotti di pace, prima la Breda faceva soltanto materiale bellico, è avvenuta. C'erano delle riunioni periodiche per discutere sull'andamento della produzione e sul bilancio; in queste si decidevano tutte le questioni della fabbrica. Ed ogni anno c'erano le elezioni per rinnovare il consiglio. Io, nei tre anni che ha funzionato, sono sempre stato rieletto. Nell'idea di Gramsci il consiglio di gestione era uno strumento di educazione della classe operaia che, studiando i problemi della produzione e dell'industrializzazione, si preparava al momento in cui queste leve sarebbero state completamente nelle sue mani. Con questo spirito c'eravamo gettati li dentro e l'abbiamo sempre fatto con impegno. Oltre il consiglio di gestione c'era anche la commissione interna. Lavoravano spesso insieme, ma qualche volta si trovavano in contrasto. Se c'era, per esempio, da discu
178 ALBERTO L'ABATE
tere su dei licenziamenti, la commissione interna ci si opponeva per principio; noi, del consiglio di gestione, dovevamo invece studiare se il licenziamento di un certo numero di persone non avrebbe potuto migliorare le condizioni della fabbrica per poi permetterci, dopo qualche mese, di riassumere i licenziati.
Le cose sono andate avanti tosi fino a dopo il '48. Con la venuta di De Gasperi dell'America e la cacciata dal governo dei comunisti e dei socialisti, tutto è cambiato completamente. I consigli di gestione sono stati eliminati in tutte le industrie e, dopo poco, sono cominciati i licenziamenti e le riconversioni di molte industrie in produzioni di guerra. Così è successo pure da noi. Nel '49 ci sono stati i primi licenziamenti. Millecinquecento persone, tra cui tutti i partecipanti dei consigli di gestione e tutte le persone che più o meno erano state attive nella vita interna della fabbrica. Tra i licenziati c'erano 500 comunisti e 250 socialisti: una vera e propria epurazione politica. Noi decidemmo l'occupazione della fabbrica, continuammo pure a mandare avanti la produzione, finché c'era materiale all'interno, e solo un mese dopo circa ci decidemmo allo sgombero. Era venuto un intero reparto dell'Esercito e Polizia, con carri armati, cannoni, e tutto il resto. Non potevamo resistere: o fare la guerra civile o cedere. E abbiamo ceduto v.
Da noi — riprende l'altro operaio — l'occ[...]

[...] a cercarci. Fummo in cento assunti dalla mia ditta. Ci fecero la morale, ci dissero che ci davano del lavoro ma che ci si sarebbe dovuti comportare bene, che potevamo parlare di politica a casa nostra, ma che dentro la fabbrica era proibito, e così via. E venimmo a Ginevra. Prima del nostro arrivo c'era stata una questione per il nostro contratto. L'abbiamo saputo dopo. Qui la paga è fissata insieme dai rappresentanti del sindacato con quelli degli imprenditori, e con l'arbitraggio di un ufficio speciale dello Stato. Gli imprenditori volevano darci 20 centesimi l'ora meno del minimo sindacale, ma il sindacato si è opposto ed è riuscito a spuntarla. Così siamo entrati col minimo. Quando l'abbiamo saputo abbiamo pensato che era giusto partecipare anche noi alle lotte del sindacato e ci siamo iscritti.
Nei primi tempi il salario era buono, avevamo un cottimo discreto. Ma poi è stato cambiato e ora non si riesce più a restare nei tempi. Bisogna dire che è anche colpa degli operai; per guadagnare di più si sforzavano di fare 50 invece di 30 in un'ora. Visto questo la Ditta ha pensato di approfittarne. Ha ridotto [...]

[...]enditori volevano darci 20 centesimi l'ora meno del minimo sindacale, ma il sindacato si è opposto ed è riuscito a spuntarla. Così siamo entrati col minimo. Quando l'abbiamo saputo abbiamo pensato che era giusto partecipare anche noi alle lotte del sindacato e ci siamo iscritti.
Nei primi tempi il salario era buono, avevamo un cottimo discreto. Ma poi è stato cambiato e ora non si riesce più a restare nei tempi. Bisogna dire che è anche colpa degli operai; per guadagnare di più si sforzavano di fare 50 invece di 30 in un'ora. Visto questo la Ditta ha pensato di approfittarne. Ha ridotto i tempi e ora ci tocca fare 50 con la stessa paga con cui prima si faceva 30. E non ce la facciamo quasi piú.
Anche qui si costruisce materiale bellico come alla Breda. Fa parte, più
TRE STORIE DI EMIGRATI 179
o meno, dello stesso cartello. Io sono amico di quello che rappresenta gli italiani in seno al sindacato, ma non lo lasciano parlare; solo una volta, per una questione importante, ha potuto parlare per quasi mezz'ora. Ma è raro; molti italiani, perché hanno alzato troppo la voce, sono stati rimandati in Italia con la scusa che facevano della politica. Il nostro sindacato, la FOMH, fa parte dei sindacati liberi. Qualche anno fa firmò, con i padroni, la cosiddetta «pace del lavoro». Si impegnava a non fare piú scioperi. Ma ebbe anche dei vantaggi, per). Per esempio fu allora che furono riconosciute legalmente le Commissioni interne. Gli italiani non ne possono far par[...]

[...] parlare per quasi mezz'ora. Ma è raro; molti italiani, perché hanno alzato troppo la voce, sono stati rimandati in Italia con la scusa che facevano della politica. Il nostro sindacato, la FOMH, fa parte dei sindacati liberi. Qualche anno fa firmò, con i padroni, la cosiddetta «pace del lavoro». Si impegnava a non fare piú scioperi. Ma ebbe anche dei vantaggi, per). Per esempio fu allora che furono riconosciute legalmente le Commissioni interne. Gli italiani non ne possono far parte ma ci sono dei loro rappresentanti che sono consultati dalla commissione interna per questioni che li riguardano. Prima, nel nostro sindacato, c'erano anche dei membri del partito del lavoro. Ma dopo i fatti di Ungheria sono stati buttati fuori.
Sono sposato ma non ho bambini. Mia moglie vive qui con me. Ma queste sono questioni personali, non hanno importanza.
Uno dei problemi principali, per gli italiani che lavorano a Ginevra, è quello degli alloggi. Quando entriamo in Svizzera mettono sul permesso di soggiorno un timbro con scritto sopra: « non può affittare un appartamento ». Cosi siamo costretti a prenderli in subaffitto e si paga molto più caro. Oppure si prende una camera in qualche famiglia, ma spesso non vogliono i bambini e tosi molti italiani non possono richiamare i loro familiari. Nella mia ditta si sta un poco meglio perché lo Stato ha dato dei sussidi alle fabbriche per degli appartamenti a buon mercato per operai. A noi non li danno, non ne abbiamo diritto, ma spesso gli svizzeri che ci vanno ci lasciano le loro vecchie case. Ma altri italiani vivono ancora in baracche o in condizioni orribili.
Inoltre non possiamo cambiare lavoro. Anche questo è scritto sul permesso di soggiorno. Perciò, anche se non ci si trova bene in una fabbrica, non si può andare in un'altra sotto pena di essere rispediti in Italia. In teoria, sarebbe possibile, se il padrone desse il permesso; ma in realtà non lo danno, perché hanno bisogno di noi, e se non ci fossimo noi a fare certi lavori, non troverebbero nessuno. E molte volte abbiamo insegnato a lavorare anche agli svizzeri. Qui[...]

[...]re non possiamo cambiare lavoro. Anche questo è scritto sul permesso di soggiorno. Perciò, anche se non ci si trova bene in una fabbrica, non si può andare in un'altra sotto pena di essere rispediti in Italia. In teoria, sarebbe possibile, se il padrone desse il permesso; ma in realtà non lo danno, perché hanno bisogno di noi, e se non ci fossimo noi a fare certi lavori, non troverebbero nessuno. E molte volte abbiamo insegnato a lavorare anche agli svizzeri. Qui sono meglio di noi come macchinari, hanno roba più moderna, ma come lavoro spesse volte i migliori siamo noi. Hanno voglia a dirci che ci fanno un favore a tenerci qui: in realtà si dà più di quello che abbiamo. Se uno della nostra ditta vuole cambiare, il nostro capo, che è nella commissione che decide i cambiamenti, scancella il suo nome e lui è costretto a restare li. Ma se la ditta resta senza lavoro ci può licenziare e non abbiamo nemmeno un sussidio. Eppure, coi soldi che mandiamo a casa, il nostro governo si arricchisce. Potrebbe pure pensare a darci un sussidio quando torniamo a casa, senza lavoro. Oh non abbiamo lavorato anche noi! La ditta fa contratti ogni tre mesi, per prova, e poi per sei mesi, e se[...]

[...]e ditte — c'è un ufficio apposito collegato al Ministero del lavoro — ci hanno dato ragione e hanno impedito una buona parte dei licenziamenti.
L'altro fatto che non va, per noi italiani, è quello della visita medica. Quando ci fanno entrare, ci fanno tanto di visita, per vedere se siamo sani. Ma quando si esce non fanno niente, e se ci siamo presi una malattia e cadiamo ammalati in Italia, la cassa malattie di qui non paga una lira. Specie per gli stagionali: muratori, manovali, minatori, che ogni anno devono rientrare in Italia per qualche mese, questo fatto è gravissimo. Se prendono qualche malattia professionale, la silicosi, per esempio, per i minatori, e cadono ammalati in Italia, sono rovinati.
Quelli che lavorano nelle costruzioni, inoltre, se hanno famiglia in Italia, non hanno assegni familiari. E se hanno a carico i genitori o i fratelli gli tolgono pochissimo dalle tasse. Ma questo anche per le altre categorie.
Inoltre c'èé la questione della difesa militare. Perché a noi italiani ci tocca pagare per la difesa nazionale svizzera? I francesi hanno ottenuto di non farlo. Tempo fa, alla Cappella italiana, è venuto a parlare un nostro ministro. Quando ha finito, ho chiesto il contraddittorio e gli ho domandato perché il governo non facesse niente per farci togliere questa tassa. Ha cominciato a rispondere un sacco di belle cose, dicendo che, per amor della patria, era giusto che si pagasse per la difesa delle altre patrie contro l'aggressione. Io non ci ho visto più ed ho gridato: « Ma che patria e patria, il portafoglio! ». E diventato livido e bianco come un cencio, ma intanto il governo si ingrassa alle nostre spalle. Sono miliardi che ogni anno entrano in Italia con le rimesse degli emigrati, e i consolati, per ogni operaio italiano, prendono un tanto. Ma se si va da loro a chiedere qualcosa, non muovono un dito. L'unica cosa che ci hanno data, quella del passaporto gratis per tre anni, l'abbiamo ottenuta con le nostre lotte. Quante petizioni non abbiamo fatte?!!
Nella mia ditta gli italiani sono 54 su 700. Una buona parte di loro, il 3035%, ha la malattia dell'oro. Non pensano che al denaro. Non lavorano che per accumulare un po' di soldi per comprarsi la casetta in Italia e poi poter tornare li, anche se saranno pagati di meno, tanto non avranno da pagare l'affitto. Sono loro che, quando i dirigenti dicono qualcosa, sono i più servili. Non pensano che a guadagnare di più e non gliene importa niente delle condizioni degli altri operai. Gli altri no, hanno invece una dignità. Ma quasi tutti noi pensiamo di ritornare in Italia. Siamo ancora italiani e speriamo che tra qualche anno le condizioni saranno cambiate e ci sarà lavoro anche per noi. Ci prepariamo per quel momento, non può mica continuare sempre così! ».



da Quinto Martini, Memorie in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: MEMORIE
Erano i primi tumulti di quella che poi prese il nome di «Rivoluzione fascista ». Ero ragazzetto, ma tutto quello che vidi mi é rimasto inchiodato nella mente e mai lo dimenticherò.
Fu una notte del mese di aprile, che mio fratello lasciò la casa, dopo aver nascosto sotto gli embrici del tetto della stalla i numeri del 1'« Avanti! ».
Dal paese vicino erano scesi giù degli uomini con i loro camions, la forza pubblica e i soldati dell'esercito davano loro man forte con le loro mitragliatrici. Quella stessa notte entrarono in molte case, presero gli uomini che erano stati segnalati come comunisti da alcuni individui del paese, e a suon di bastonate furono caricati come bestie sopra al camion e portati alla caserma dei carabinieri. Lassù c'erano i cosidetti « domatori » che rinforzavano la dose. So di "un povero uomo che, in seguito a queste bastonate, pochi giorni dopo ci rimise la pelle.
Ma il fatto piú pietoso e più inumano fu l'uccisione di un povero vecchio. Alcuni fascisti bussarono alla porta della sua casa sparando dei colpi di fucile per intimorire e chiedendo di suo figlio. Il vecchio rispose facendosi vicino alla finestra chiu[...]

[...]i bastonate furono caricati come bestie sopra al camion e portati alla caserma dei carabinieri. Lassù c'erano i cosidetti « domatori » che rinforzavano la dose. So di "un povero uomo che, in seguito a queste bastonate, pochi giorni dopo ci rimise la pelle.
Ma il fatto piú pietoso e più inumano fu l'uccisione di un povero vecchio. Alcuni fascisti bussarono alla porta della sua casa sparando dei colpi di fucile per intimorire e chiedendo di suo figlio. Il vecchio rispose facendosi vicino alla finestra chiusa che suo figlio non c'era, e che era solo in casa. Il figlio, saputo cosa stava succedendo, s'era guardato bene dal rientrare. Quelli della strada insistevano perché si mostrasse alla finestra con la promessa che nessuno gli avrebbe tolto un capello. Il vecchio credé alla parola: acri, si affacciò, e una scarica infernale gli crivellò la testa e il petto. Cadde riverso vicino al suo letto, in una pozza di sangue e subito mori. Appena si fece giorno, delle donne che abitavano di fronte a lui misero una scala alla finestra aperta, salirono in camera, pensarono a sistemare il cadavere e a fargli il funerale. C'era il terrore nell'aria in quei paesi: ad accompagnare il poveretto al cimitero andarono poche donne, qualche vecchio, dei ragazzi e il suo piccolo cane.
Quella stessa notte un'altra squadra andò a cercare di mio fratello.

mrmvxin ILS
Era gente imbestialita; non trovando Aldo, volevano ucciderci tutti. Restarono pochi minuti, perché uno di loro che era rimasto fuori cominciò a gridare:
« Venite giù subito! Correte! ».
La casa si vuotò in un attimo. Si senti correre intorno alla casa e sparare all'impazzata. Nessuno di noi ebbe il coraggio di guardare da una finestra.
L[...]

[...]
Andrea rispose: « Non sarà per Aldo. Avranno visto qualcuno ne' campi. Ci sono altri uomini in queste case vicine, e quando hanno sentito il camion avranno cercato di nascondersi ».
Quella notte nessuno di noi dormi. Tutti non si vedeva l'ora che venisse il giorno. Al mattino verso le dieci, dopo aver dato alle fiamme, distrutto o caricato sul camion tutto quanto si trovava nel circolo socialista, salirono su fino alla nostra casa. Era un miscuglio di uomini eccitati, che sparavano come forsennati al solo volare d'una mosca. Nessun uomo quella mattina, dopo l'accaduto, si trovava in paese o nelle case dei' contadini. Ognuno aveva pensato a rimpiattarsi nel modo più sicuro. _ Aiutai il babbo a nascondersi nel fienile. Gli altri due fratelli tagliarono la corda andando in fondo al podere. Io e mia madre restammo a casa ad attendere gli uomini armati e imbestialiti.
Mentre si facevano avanti verso l'aia davanti a casa, preso dalla curiosità uscii fuori, mangiando una fetta di pane con olio e sale.
Un uomo in divisa mi venne vicino, mi puntò la rivoltella al petto e, con voce talmente bestiale che ancora ricordo, mi disse:
« Ragazzo, o tu dici dove si trovano i comunisti o t'ammazzo ».
Non risposi, corsi in casa da mia madre, essi mi seguirono. Entrarono nella stanza capitanati da un marchese del paese vicino. Questo marchese poi è diventato ministro. Io stavo accanto alla mamma. Si fece vicino un uomo giovane in divisa, [...]

[...], mi disse:
« Ragazzo, o tu dici dove si trovano i comunisti o t'ammazzo ».
Non risposi, corsi in casa da mia madre, essi mi seguirono. Entrarono nella stanza capitanati da un marchese del paese vicino. Questo marchese poi è diventato ministro. Io stavo accanto alla mamma. Si fece vicino un uomo giovane in divisa, era grasso, dalla faccia butterata, capelli rossastri, puntò la rivoltella al petto della mamma gridando:
« Ditemi .dov'è vostro figlio, quello che fa il muratore! ».
« Mio figlio non è in casa, se non ci credete cercate pure ».
124 QUINTO MARTINI
«Dite dov'è nascosto, dov'è scappato! ».
Io ammirai mia madre per la sua calma e coraggio: mi sentii fiero di lei e da quel giorno il mio affetto è stato sempre più forte. Il maresciallo, rosso in viso e guardando i suoi uomini, gridò:
« Avanti, perquisite tutta la casa, guardate dappertutto, nelle stalle, nel fienile e fuori nei pagliai ».
Quando disse « nel fienile » mi sentii girare la testa. Credevo di svenirmi, istintivamente mi misi a sedere sul primo gradino della scala e non capii più nulla. Quando mi alzai vidi la mamma che stava a parlare col marchese.
Egli aveva un bastone con un grosso pomo di metallo lucido; lo teneva su in alto di fronte a lei come una terribile minaccia gridando:
« Se non ci direte dov'è vostro figlio, sarà tutto distrutto ». Fece iI gesto di picchiare sopra i vetri della credenza. La mamma si mise di fronte e gridò:
« Lasciate stare la roba, è mia e mi costa quattrini. Cercate pure mio figlio, ma non rompete la roba, lasciate stare i piatti e i bicchieri ».
II bastone restò fermo in alto un istante e poi fu abbassato con indecisa lentezza. Il nobile uomo, toccandosi il cinturone che aveva affibbiato sopra alla giacchetta borghese, . e al quale teneva appesa la rivoltella, aggrottando le sopracciglia e facendo lo sguardo truce, disse:
« Va bene per la roba, per questi quattro piatti » e portando il suo muso vicino al volto della mamma « vostro figlio la pagherà cara ».
Mia madre con la sua calma di sempre ma con voce più decisa di prima, rispose:
« Mio figlio non ha nulla da pagare. Mio figlio non ha fatto nulla di male e non capisco il perché di tutto quello che sta succedendo ».
« Non capite, vero? Capirete, capirete... ».
« Mio figlio non ha fatto nulla di male, ecco cosa capisco io ».
« Vostro figlio è un delinquente, . è un comunista! ».
« No, mio figlio non è un delinquente, mio figlio non ha fatto del male a nessuno, di questo ne sono certa. Una madre certe cose le sente, specialmente una madre che ama i propri figli ». Le ultime parole le disse con più lentezza come per sottolineare la frase. Un uomo scese le scale accompagnato dai suoi fidi, carabinieri e borghesi. Il Marchese, facendoglisi incontro, disse:

MEMORIE 125

«Ebbene, nulla? ».
« Nulla. Abbiamo frugato in tutti i buchi ».
«Andiamo, non c'é tempo da perdere ». E rivolto alla mamma: « Ci rivedremo presto ».
Mi feci sulla porta; la mamma mi venne vicino e passandomi la mano sul viso, mi disse:
« Stai calmo, se ne andranno ».
Si riunirono tutti nell'aia, e agli ordini del marchese partirono. Dopo un po' corsi a rimettere la scala al fienile, come un gatto salii
a togliere il fieno che avevo messo sopra al babbo quando s'era disteso
vicino ad un finestrone con la testa accanto ad un foro dei mattoni. «Cosa hanno fatto?» mi disse appena l'ebbi scoperto.
« Nulla, babbo, se ne sono andati ».
Stringendomi a sé mi disse:
Sai, io vedevo delle persone aggirarsi tra le viti nella vigna del Gacidella. Avevano il fucile e alcuni la rivoltella in mano. Ho riconosciuto il figlio di Olinto che sta su al Comune ». E togliendosi il fieno di dentro il colletto della camicia, sputò e aggiunse:
« Brutta carogna, figlio d'un cane! » e portandosi vicino al finestrone scoperto che dl a mezzogiorno disse:
« Vedi, Aldo dovrebbe essere lassù, su quel monte, nella capanna del pastore, e se qualcuno non farà la spia non lo troveranno subito. Dopo mezzogiorno tu devi prendere un sacco, ci metteremo dentro della roba da vestirsi e da mangiare: un salame e del formaggio ». Guardò bene e tornò ad indicarmi il monte. « Tu dovrai andare lassù, in un'ora di cammino ci arriverai. Ma prima di partire bisogna esser sicuri che non ci sia nessuno in giro da queste parti che abbia l'aria sospetta. Senti: dovrai passare il[...]

[...]ino ci arriverai. Ma prima di partire bisogna esser sicuri che non ci sia nessuno in giro da queste parti che abbia l'aria sospetta. Senti: dovrai passare il fiume di sopra al mulino, passare attraverso i campi, salire fino ai quattro cipressi, poi scendere giù nel bosco dei pini, fino alla fontana. Ricordi quando siamo stati a trovare lä zia e ci siamo fermati a bere? ».
« Si, si, ricordo babbo, lo so, lo so, dov'è la fontana » risposi orgoglioso di questa missione segreta.
« Ebbene, quando sarai alla fontana prenderai la strada che entra fra i castagni e andrai diritto a quel leccio grande dove siamo stati quest'inverno a cercare le ghiande per il maiale. Prendi il viottolo che c'é
r,


126 QUINTO MARTINI
vicino a quel masso e tutto diritto arriverai alla capanna. Ricordati di non domandare a nessuno là strada per salire sù in vetta al monte. Se qualcuno ti chiedesse dove vai, tu scherzando rispondi che vai a cercar cenci ».
Scendemmo dal fienile. La mamma stava rimettendo a posto la casa. Era stato buttat[...]

[...]
126 QUINTO MARTINI
vicino a quel masso e tutto diritto arriverai alla capanna. Ricordati di non domandare a nessuno là strada per salire sù in vetta al monte. Se qualcuno ti chiedesse dove vai, tu scherzando rispondi che vai a cercar cenci ».
Scendemmo dal fienile. La mamma stava rimettendo a posto la casa. Era stato buttato tutto sopra il letto e in mezzo alle stanze. Nel granaio avevano anche rovesciato i sacchi del frumento. Presi un foglio, tracciai con un lapis la strada che dovevo fare e me lo nascosi in dosso sorretto dalla cinghia dei pantaloni. Poi aiutammo la mamma a ravversare le stanze. Nessuno di noi si indugiò a parlare molto a lungo di quello che era successo. Verso mezzogiorno anche i due fratelli che erano andati in fondo al podere ritornarono.
Remo mi disse:
« Si sentivano fischiare sopra alle nostre teste le pallottole. Erano a quelle case vicino a Macario. Sparavano come serpenti ».
Andrea aveva la faccia pallida e l'espressione assente; disse: « Hanno rotto nulla mamma? ».
«No, ma hanno messo tutto a soqqu[...]

[...]o a soqquadro ».
«E nella casa dello zio ci sono stati? ».
« Si, sono saliti nelle camere, hanno dato un'occhiata alla scappa e fuggi e sono scesi ».
« C'erano i nostri cugini in casa? ».
« No, c'erano solo le donne ».
Venne l'ora di mangiare. A tavola fu parlato delle cose de' campi e della stalla. Il babbo diceva:
« Ci vorrebbe del sole, é già piovuto abbastanza. Se non viene il sole, il raccolto non sarà buono. `Maggio ortolano, molta paglia e poco grano'. Quest'acqua fa venir bello lo strame ma per seccarlo ci vuole il sole, sole, sole ».
Bevve un bicchiere di vino e rivolto a me, visto che l'ascoltavo con aria pensierosa:
«Non credo che andrà male; ce la siamo sempre cavata bene. Anche quando sono state di quelle annate da contarsi sulle dita della mano é andata meglio di quello che si credeva. Non bisogna mai disperare. E poi noi contadini in questi casi si vede sempre brutto ».
La mamma portava la roba in tavola, si sedeva un momento per
MEMORIE 127
mangiare a battisuola e poi scappava di nuovo in cucina ai fornelli.
Alcuni colpi di bastone alla porta ci fecero sussultare, ci guardammo tutti negli occhi per un attimo, poi andai ad aprire col cuore galoppante. C'era un povero che chiedeva l'elemosina, era il solito mendicante che passava due volte la settimana. Lo feci passare in casa, si mise a sedere, vicino alla tavola, la mamma gli portò un piatto con la minestra, babbo gli parti una fetta di pane e Andrea gli porse un bicchiere pieno di vino. Mia madre gli disse:
« Da dove venite, Geppo? ».
« Stamane non ho girato molto. Con tutto quello che é successo e che c'è nell'aria preferisco andare a bussare alle case dei contadini per la campagna; nei paesi c'é un'aria poco respirabile ».
«Ma cosa volete aver paura, Geppo, siete vecchio e non avete mai fatto né male né bene a nessuno e così siete sempre a posto, voi ». Rispose Remo con aria ironica:
ei Si, é vero quello che dici. Stamani lassù alle case del Baranti ho visto picchiare un vecchio a sangue. L'hanno bastonato come fosse una ciuca carogna. Poi l'hanno lasciato li a lamentarsi fra il san[...]

[...]carogna. Poi l'hanno lasciato li a lamentarsi fra il sangue e la terra. Sembra che sia morto. Così ho sentito dire ma non c'é da credere a tutto quello che si dice; sentono dire: `il tale l'hanno cazzottato'; un altro lo racconta e dice: `poveretto, sta male'. Un altro ancora dirà: `Sai, Tizio é morto' ». E scuotendo la testa prese le ultime cucchiaiate di minestra alzando con la sinistra il piatto da un lato.
« Cosa aveva fatto quel vecchio? » gli chiese il babbo.
« Nulla ».
«Come nulla? E per nulla...».
« Una donna mi ha detto: c'era un giovane nei campi che scappava tra le viti, passando vicino al vecchio, un gruppetto di uomini si sono avvicinati e tutti insieme gli hanno chiesto:
«Chi era quello che scappava? Dov'è andato? ».
« Io non ho visto nulla ».
«Dov'è andato? ».
« Non so nulla io ».
Uno del gruppo alzando un bastone ha gridato:
« Vecchio maligno, ti faremo parlar noi », e giù a bastonarlo.
128 QUINTO MARTINI
« Povero vecchio » disse la mamma chinando la testa e infilandosi le dita fra le dita. Io chiesi al mendicante:
« Chi era quel vecchio? ».
«Nessuno lo sa, doveva essere un uomo di là dai monti. Qualcuno dice di averlo visto passare altre volte, sempre nei giorni che c'è i1 mercato in città ».
Dopo aver mangiato si alzò, prese il s[...]

[...]essere un uomo di là dai monti. Qualcuno dice di averlo visto passare altre volte, sempre nei giorni che c'è i1 mercato in città ».
Dopo aver mangiato si alzò, prese il suo bastone avviandosi verso la porta disse le parole di sempre:
« Dio sia con vai. Dio ve ne renda merito in questa e nell'altra vita ».
Quando non si senti più il suo passo strascicante, Remo disse:
« Io non darei mai nulla a questa gente. Sono dei vagabondi che non hanno voglia di lavorare. Se volessero mangiare dovrebbero venire con me ne' campi con la zappa e la vanga. Di giorno vanno in giro a chiedere il pane, si fermano sempre a parlare con le donne, fanno complimenti ai ragazzi. Dicono sempre, nmilï come frati `Dio sia con voi' e intanto guardano dov'è il pollaio, la stalla, lo stalluccio del maiale... E la notte vengono a rubare. Questi mendicanti fanno tutti parte di bande di ladri ».
E la mamma:
« Ricordati figlio che è sempre bene dare da mangiare a chi ha fame se si fa del bene non ci troveremo mai pentiti ».
« Si, a quelli che lavorano. A chi non lav[...]

[...]i lavorare. Se volessero mangiare dovrebbero venire con me ne' campi con la zappa e la vanga. Di giorno vanno in giro a chiedere il pane, si fermano sempre a parlare con le donne, fanno complimenti ai ragazzi. Dicono sempre, nmilï come frati `Dio sia con voi' e intanto guardano dov'è il pollaio, la stalla, lo stalluccio del maiale... E la notte vengono a rubare. Questi mendicanti fanno tutti parte di bande di ladri ».
E la mamma:
« Ricordati figlio che è sempre bene dare da mangiare a chi ha fame se si fa del bene non ci troveremo mai pentiti ».
« Si, a quelli che lavorano. A chi non lavora, pure essendo sano, nulla... » .
Io non potevo pensare come lui che gli uomini fossero tutti dei farabutti. Lui non si fidava di nessuno, sbrigava tutto da sé. Ricordo che una volta ordinò un paio di scarpe al calzolaio del paese. Era d'inverno, lui stava sempre vicino al bischetto perché non ci mettesse del cartone nella suola. Quando portò le scarpe a casa diceva da uomo sicuro del fatto suo:
« Qui non c'è cartone. L'ho visto io quando lo Zoppo me le fa ceva! » e battendo la suola insieme: «Tutto cuoio, perdio! ».
Finito di mangiare, il babbo mi preparò il sacco e partii.
Com'era bello camminare lungo il fiume, fra i campi e per la strada del bosco. Ero pien[...]

[...]o perché non ci mettesse del cartone nella suola. Quando portò le scarpe a casa diceva da uomo sicuro del fatto suo:
« Qui non c'è cartone. L'ho visto io quando lo Zoppo me le fa ceva! » e battendo la suola insieme: «Tutto cuoio, perdio! ».
Finito di mangiare, il babbo mi preparò il sacco e partii.
Com'era bello camminare lungo il fiume, fra i campi e per la strada del bosco. Ero pieno di forza, non vedevo l'ora di farmi vedere da Aldo per dirgli: « Vedi, t'ho portato da mangiare e da vestire », e
MEMORIE 129
raccontargli tutto quello che era accaduto la mattina, quello che aveva
saputo fare la mamma, che era stata uccisa una vecchietta mentre racco
glieva nell'orto le foglie di cavolo per i conigli...
Non faceva molto caldo, ma prima di arrivare alla fonte mi sentii
la gola asciutta, appena giunto bevvi a lungo, e ripresi a camminare
lesto lesto per la strada del bosco.
Prima di arrivare al leccio incontrai mio fratello. Sono tanto sor
preso di trovarlo per la strada che non sono capace di far parola. Lui
invece, mi abbraccia e dice:
«Bravo Libero, sei veramente un uomo» e prendendo il sacco:
« Cosa c'è qui dentro? » Mi guardai attorno e dissi:
«Entriamo nel bosco...» Lui sorrise, mi prese per mano, ci inerpi
cammo in mezzo al castagneto e ai quercioli. Quando fummo abba
stan[...]

[...]a di arrivare al leccio incontrai mio fratello. Sono tanto sor
preso di trovarlo per la strada che non sono capace di far parola. Lui
invece, mi abbraccia e dice:
«Bravo Libero, sei veramente un uomo» e prendendo il sacco:
« Cosa c'è qui dentro? » Mi guardai attorno e dissi:
«Entriamo nel bosco...» Lui sorrise, mi prese per mano, ci inerpi
cammo in mezzo al castagneto e ai quercioli. Quando fummo abba
stanza dentro e lontano dalla strada, gli dissi piano piano:
«Sai, Aldo, nel sacco c'è da mangiare e vestire. E babbo che mi
manda ».
Sciolse il sacco e mentre lui frugava con le mani, io dissi ancora:
« Se tu resterai quassù, verrò spesso a portarti pane, carne e da
vestire... ».
Mi prese con le mani alla vita e alzandomi come se fossi stato una
piuma mi disse:
«Bravo Libero» e subito mi mise a sedere vicino al gambo di
un castagno. Anche lui si sedette vicino a me, e stringendomi fra le
braccia e guardandomi negli occhi, mi domande):
«Saprai serbare il segreto? ».
« Non dirò nulla nemmeno all'aria! ».
« Allora, sempre [...]

[...]sacco c'è da mangiare e vestire. E babbo che mi
manda ».
Sciolse il sacco e mentre lui frugava con le mani, io dissi ancora:
« Se tu resterai quassù, verrò spesso a portarti pane, carne e da
vestire... ».
Mi prese con le mani alla vita e alzandomi come se fossi stato una
piuma mi disse:
«Bravo Libero» e subito mi mise a sedere vicino al gambo di
un castagno. Anche lui si sedette vicino a me, e stringendomi fra le
braccia e guardandomi negli occhi, mi domande):
«Saprai serbare il segreto? ».
« Non dirò nulla nemmeno all'aria! ».
« Allora, sempre acqua in bocca? ».
« Si, sempre acqua in bocca... ».
«Neppure al prete, se andrai a confessarti? ».
« Io non vado a confessarmi, tu lo sai ».
« Lo so. Ma ho detto così per dirti che nessuno deve saperlo ».
« Stai tranquillo. Mi farei ammazzare, ma non direi nulla ».
« Bene così. Sei un vero uomo. Ora raccontami cos'è successo giù
in paese stamani. Ho visto del fumo; penso avranno incendiato cir
colo dei lavoratori ». Il suo sguardo si fece triste, cercando qualcosa
giù nella p[...]

[...]NTO MARTINI
Raccontai tutto, quello che avevo visto coi miei occhi, e udito con i miei orecchi. Finito il racconto mi mise sulle sue ginocchia, mi strinse forte, sentii male ma non gridai, e ridendo mi disse:
« Bravo, sono fiero di te... » e me lo disse con quel suo modo scherzoso che aveva anche quando parlava di cose serie.
« Mi vuoi a dormire con te questa notte? Posso farti anche la guardia, ad un ragazzo nessuno spara ». Lo pregai molto, gli dissi che sarei restato con lui la notte e alle prime luci dell'alba sarei ritornato a casa. Ma lui mi guardò scuro e disse:
«Devi andare subito a casa: sarebbe pericoloso se ti vedessero tornare quassù. E poi... andrò via presto di qui. Non bisogna restare molto in un posto, verrebbero a saperlo e allora... ».
« Allora fammi restare con te fino a buio ».
«Non é possibile; pensa cosa si metterebbe in testa la mamma se non ti vedesse tornare appena si fa scuro, e poi guarda lassù ». E con l'indice m'indicò delle grosse nuvole color piombo che salivano dietro alla collina di fronte. Io guard[...]

[...]indietro mi incamminai per la strada che avevo fatto poco prima. Non ero felice come all'andata, mi sentivo triste soprattutto perché non mi era stato possibile vedere la capanna. Arrivai nell'aia che il sole doveva ancora tramontare dietro il Monte Albano. Le poche nuvole erano sparite .e il cielo era tornato tutto pulito. Davanti alla porta di casa la mamma ed altre donne stavano chi facendo la treccia, chi cucendo cappelli di pa
MEMORIE 131
glia. Mia madre vedendomi arrivare si alzò e passò in cucina, io la seguii; entrato che fui chiuse la porta e disse:
« Com'è andata? L'hai trovato? ».
« Sì, l'ho incontrato nel bosco mentre salivo per la strada tra i castagni ».
« Cosa ti ha detto? Ti ha chiesto cos'era successo stamani ? ».
« Si, si, gli ho raccontato tutto. Tutto quello che ho vista ed ho sentito. Mi ha detto che siete stata veramente ammirevole. Non vede l'ora di riabbracciarvi per quello che ;vete fatto ».
« Resterà ancora molto lassù? ».
« Non mi ha detto nulla ».
« Nulla? ».
« Mi ha detto solo che non conviene restare molto tempo sempre nello stesso posto; può esser pericoloso ».
« È vero, questo. Qualcuno potrebbe vedere e poi fare la spia ».
« Ha detto di stare tranquilli. Quando cambierà 'albergo', ci manderà un biglietto per Diego, lo scalpellino. Di lui ci si può fidare, è uno dei loro ».
« Dio sia lodato... [...]

[...]ho sentito. Mi ha detto che siete stata veramente ammirevole. Non vede l'ora di riabbracciarvi per quello che ;vete fatto ».
« Resterà ancora molto lassù? ».
« Non mi ha detto nulla ».
« Nulla? ».
« Mi ha detto solo che non conviene restare molto tempo sempre nello stesso posto; può esser pericoloso ».
« È vero, questo. Qualcuno potrebbe vedere e poi fare la spia ».
« Ha detto di stare tranquilli. Quando cambierà 'albergo', ci manderà un biglietto per Diego, lo scalpellino. Di lui ci si può fidare, è uno dei loro ».
« Dio sia lodato... » disse volgendo gli occhi verso l'immagine del Sacro Cuore che stava inchiodata sulla porta. Era una stampa tutta annerita dal fumo della cucina, e così nera dava l'impressione di un cristo molto duro. La mamma si avvicinò alla madia, aprì il cassetto, prese il coltello grosso, poi un pane intero, partì un bel cantuccio, ci mise sopra dell'olio, sale e pepe, allungò il braccio dicendo:
« Tieni, prendilo, è ben condito, avrai fame dopo tutta questa camminata che hai fatto ».
« Davvero, ora che mi fai vedere il pane con l'olio mi sento fame e anche sete ».
« Prendi il fiasco, li sopra all'acquaio », si voltò in[...]

[...]atto ».
« Davvero, ora che mi fai vedere il pane con l'olio mi sento fame e anche sete ».
« Prendi il fiasco, li sopra all'acquaio », si voltò indicandomelo con la mano tutta aperta.
Dopo aver bevuto un bicchiere di vino annacquato mi misi a sedere fra la madia e la tavola a mangiare. La mamma tornò dalle altre donne. Io dopo mangiato andai nei campi a cercare i miei fratelli e il babbo.
Nel mezzo della notte eravamo tutti a letto e fummo svegliati da
132 QUINTO MARTINI
piú colpi battuti con furia e violenza sulla porta e gridare: «Aprite.
Presto, aprite! È la forza pubblica ».
Andrea disse alzandosi sul letto:
« Ci siamo. Sono i carabinieri. Aldo non c'è e se la prenderanno
con noi ».
La mamma si mise il vestito e mentre scendeva le scale disse:
«Vado io ad aprire: state a letto voi ».
«Già, disse Beppe, è bene farsi trovare a letto, se no... ».
Sentii i carabinieri che salivano la scala a due gradini alla volta
ed uno gridare:
« Sorbetti, con i tuoi uomini, fate la guardia a tutte le finestre e
se vedete aprire, sparat[...]

[...]non so nulla io ».
« E chi è che lo sa? ».
« Nessuno lo sa ».
«Dimmi la verità; dov'è tuo fratello? ».
« Non lo so dov'è ».
«Dimmi dov'è tuo fratello, se no ti porto via con me, pensaci
bene ».
« Non lo so anche se ci penso ».
Allora il carabiniere, visto che non c'era nulla da sapere, mi lasciò
il braccio spingendomi sulla sponda del letto, mi guardò male e grignò
come un cane. Mi colpirono i suoi denti bianchi sotto i baffetti neri.
Gli altri erano nelle altre stanze, nel granaio, muovevano tutto quello
che potevano facendo grande rumore. Si sentirono delle bestemmie,
mamma, che stava sulla porta del pianerottolo si fece il segno della
croce, un borghese la vide e le sputò in faccia dicendo:
Prendi, per te e la tua croce...! ».
Lei si fece di nuovo il segno della croce, l'uomo la guardò senza
sputare, le passò davanti e scese la scala.
MEMORIE 133
Altri carabinieri interrogarono i miei fratelli e il babbo. Io pensavo ad Aldo. Mentre scendevano tutti insieme le scale, sentii uno che disse:
« Qui per venire a capo di [...]

[...] le passò davanti e scese la scala.
MEMORIE 133
Altri carabinieri interrogarono i miei fratelli e il babbo. Io pensavo ad Aldo. Mentre scendevano tutti insieme le scale, sentii uno che disse:
« Qui per venire a capo di qualche cosa bisognerebbe arrestar tutti, portarli in caserma e bastonarli a sangue; stetti con le orecchie tese e il cuore sospeso finché non sentii mia madre chiudere la porta e risalire le scale. Sentii mio padre parlare con gli altri figli e il passo pesante e sordo dei carabinieri che si allontanavano nell'aia. Poi un fischio, ancora un fischio più lontano dalla parte del cimitero. Il cane seguitò ad abbaiare ancora un po'. Parlammo dell'accaduto, poi tornò il silenzio fuori e nella nostra casa. Più tardi sentivo uno dei miei fratelli russare e la mamma nell'altra camera che pregava a bassa voce. Mi misi in ascolto: udivo i grossi chicchi di legno della corona fregarsi tra loro, e mi vidi davanti agli occhi le sue lunghe dita che si passavano da una mano all'altra le « ave Maria ».
Non riuscivo a prender sonno. Sentivo batter[...]

[...] e sordo dei carabinieri che si allontanavano nell'aia. Poi un fischio, ancora un fischio più lontano dalla parte del cimitero. Il cane seguitò ad abbaiare ancora un po'. Parlammo dell'accaduto, poi tornò il silenzio fuori e nella nostra casa. Più tardi sentivo uno dei miei fratelli russare e la mamma nell'altra camera che pregava a bassa voce. Mi misi in ascolto: udivo i grossi chicchi di legno della corona fregarsi tra loro, e mi vidi davanti agli occhi le sue lunghe dita che si passavano da una mano all'altra le « ave Maria ».
Non riuscivo a prender sonno. Sentivo batter l'ore come mai avevo sentito. L'orologio della torre del campano mi sembrava sulla mia casa e in certi momenti credevo di sentire anche il tic tac dei secondi.
Dopo qualche ora udii dei tuoni, il vento che soffiava dentro il camino e poi uno scroscio di pioggia che batteva sul tetto con violenza. La mamma che si era addormentata da poco si svegliò. Io scesi il letto piano piano, andai dal babbo. Anche lui s'era svegliato. Quando mi sentì avvicinare al suo capezzale,[...]

[...] che si passavano da una mano all'altra le « ave Maria ».
Non riuscivo a prender sonno. Sentivo batter l'ore come mai avevo sentito. L'orologio della torre del campano mi sembrava sulla mia casa e in certi momenti credevo di sentire anche il tic tac dei secondi.
Dopo qualche ora udii dei tuoni, il vento che soffiava dentro il camino e poi uno scroscio di pioggia che batteva sul tetto con violenza. La mamma che si era addormentata da poco si svegliò. Io scesi il letto piano piano, andai dal babbo. Anche lui s'era svegliato. Quando mi sentì avvicinare al suo capezzale, accese la luce e mi disse:
« Cosa fai? Che c'è? ».
« Nulla, nulla babbo ».
« Ma... come nulla? ».
Si alzò seduto sul letto e allungando un braccio mi prese per il collo tirandomi a sé e disse:
« Hai paura della pioggia? ».
« No. Non ho paura. Ma... ».
« Ma cosa? ».
« Vorrei sapere `se nella capanna ove c'é Aldo ci pioverà ».
Stai tranquillo, é coperta con tegole ed embrici, i muri son fatti di sassi e calcina come una casa. Non é una capanna come quella di Cecchino, fatta con paglia e pali ».
« È vero quello che mi dici? ».
« Certo c[...]

[...]e c'è? ».
« Nulla, nulla babbo ».
« Ma... come nulla? ».
Si alzò seduto sul letto e allungando un braccio mi prese per il collo tirandomi a sé e disse:
« Hai paura della pioggia? ».
« No. Non ho paura. Ma... ».
« Ma cosa? ».
« Vorrei sapere `se nella capanna ove c'é Aldo ci pioverà ».
Stai tranquillo, é coperta con tegole ed embrici, i muri son fatti di sassi e calcina come una casa. Non é una capanna come quella di Cecchino, fatta con paglia e pali ».
« È vero quello che mi dici? ».
« Certo che é vero ».
134 QUINTO MARTINI
«Non dici così perché io stia tranquillo? ».
« No, no, è vero quello che ti dico, vai a dormire e stai tranquillo ».
Tornai a letto, la pioggia seguitava a cadere a catinelle, il vento anche soffiava sempre forte. Il cane si lamentava. Sentii battere le quattro, poi mi addormentai. La mattina, andando a scuola, passai dalla discesa dove c'è il frantoio. Voltai a sinistra per andare in paese pas sando di fronte al Circolo Socialista. Mobilio bruciacchiato era ancora nel mezzo della strada; le porte e le f[...]

[...]a sempre forte. Il cane si lamentava. Sentii battere le quattro, poi mi addormentai. La mattina, andando a scuola, passai dalla discesa dove c'è il frantoio. Voltai a sinistra per andare in paese pas sando di fronte al Circolo Socialista. Mobilio bruciacchiato era ancora nel mezzo della strada; le porte e le finestre non esistevano piú. Entrai dentro con altri ragazzi. Tutto era fracassato per terra. Nella stanza del bar fiaschi frantumati, bottiglie rotte, il pavimento bagnato. C'era odor di vino e liquori, un odore forte che dava alla testa. Sù, nella stanza della segreteria, piena di fogli e sedie spezzate, al muro non c'era più attaccato né il ritratto di Lenin né quello di Marx: nella toppa del muro, più colorita e che aveva preso la forma delle fotografie, c'era stato disegnato con un pezzetto di carbone un teschio ed un pugnale. Un mio compagno mi disse:
Non mi piacciono quei disegni ».
Prendendo della carta per terra ne fece una specie di palla, e facendosi vicino a me disse sottovoce:
« Libero, tu che sei più forte, fammi montare sulle tue spalle, voglio cancellare la morte ».
Non feci parola, mi chinai tenendo le mani sopra i ginocchi, lui mi monto sulla schiena, poi[...]

[...]n c'era più attaccato né il ritratto di Lenin né quello di Marx: nella toppa del muro, più colorita e che aveva preso la forma delle fotografie, c'era stato disegnato con un pezzetto di carbone un teschio ed un pugnale. Un mio compagno mi disse:
Non mi piacciono quei disegni ».
Prendendo della carta per terra ne fece una specie di palla, e facendosi vicino a me disse sottovoce:
« Libero, tu che sei più forte, fammi montare sulle tue spalle, voglio cancellare la morte ».
Non feci parola, mi chinai tenendo le mani sopra i ginocchi, lui mi monto sulla schiena, poi a cavalluccio sulle spalle, io mi alzai tenendo la testa bassa.
Sentivo la carta strofinare sul muro e della polvere cader giù.
« Ecco, questa é fatta; portami ora dall'altra parete, voglio cancellare anche quella morte là ».
Fece lo stesso lavoro con più sveltezza, poi lo sentii scivolare giù per la schiena, e appena messi i piedi a terra mi disse:
« Andiamo a scuola ».
Gli altri compagni erano già scesi nella strada. Noi guardammo le due morti cancellate ma ancora visibili, in quelle macchie grigio sporco. C'era sopra come un velo che a me dava la sensazione più angosciosa, Scendemmo le scale. Il mio amico mi disse:
« Non lo dire a nessuno, se vengono a saperlo i fascisti, arrestano il mio babbo ».
«Stai tranquillo, nessuno saprà nulla ». Ci unimmo agli altri ragazzi e corremmo a scuola.
In classe tutti raccontavano qualcosa di quello che avevan visto. Io ascoltavo sempre in silenzio e durante tutta la mattina non feci nessun accenno a quanto era accaduto alla mia famiglia e cosa avevo . visto. Un ragazzo raccontò com'era avvenuto l'arresto di suo padre.
« Si, Signora Maestra, sono venuti di notte a prenderlo, erano molti e tutti con armi e bastoni. L'hanno picchiato in presenza mia e della mamma. Quando la mamma vide il sangue venir fuori dalla testa del babbo svenne e cadde sul divano. Il babbo gridava: «Non mi picchiate così in presenza della moglie e del ragazzo, portatemi via... ». Uno di loro gli rispose: «Stai zitto, figlio d'un cane! E bene che tua moglie e tuo figlio vedano ». Poi lo caricarono sul camion insieme a molti altri. Stamani presto li hanno portati tutti alle carceri della città ».
Altri ragazzi raccontarono fatti più o meno bestiali. La maggior parte delle persone del paese era stata colpita dalla furia della « rivoluzione ». Si incontravano facce contratte in un mutismo pieno d'angoscia. Non tutti erano tristi. Quando uno piange c'è sempre chi ride perché lui piange! diceva un vecchietto che si vantava di non aver mai pianto.
All'uscita della scuola mi fermai davanti alla grande croce al bivio delle due strade. C'era un capannello di perso[...]

[...] sempre chi ride perché lui piange! diceva un vecchietto che si vantava di non aver mai pianto.
All'uscita della scuola mi fermai davanti alla grande croce al bivio delle due strade. C'era un capannello di persone che parlavano. Erano uomini e donne di età matura, parlavano a voce bassa delle cose accadute. La maggior parte detestava senza riserva malgrado che nell'aria ci fosse ancora puzzo di botte. Ma c'era una donna grossa e ben pasciuta, moglie di un commerciante, si tingeva sempre le labbra di un rosso viola facendosele più grosse e dandosi molta cipria alle gote e scuro agli occhi. Mi ricordo che tutti la chiamavano la « grassa metresse ». Agitava la mano sinistra con l'indice teso e diceva:
« Hanno fatto bene a prenderli, dovrebbero tenerli in prigione per tutta la vita. E tutta gente pericolosa. Volevano dare i poderi ai contadini e prendere la roba ai signori. Non dovrebbero lasciarli uscire più diprigione... ». Una donna magra, la nonna di Duilio, le disse: « Eppure tu sei cristiana, vai sempre in chiesa. Se tu credi nella chiesa, perché ti rallegri per il male che vien fatto agli altri.? ».
«Che c'entra la chiesa in queste faccende? Lascia stare da parte
[...]

[...]gitava la mano sinistra con l'indice teso e diceva:
« Hanno fatto bene a prenderli, dovrebbero tenerli in prigione per tutta la vita. E tutta gente pericolosa. Volevano dare i poderi ai contadini e prendere la roba ai signori. Non dovrebbero lasciarli uscire più diprigione... ». Una donna magra, la nonna di Duilio, le disse: « Eppure tu sei cristiana, vai sempre in chiesa. Se tu credi nella chiesa, perché ti rallegri per il male che vien fatto agli altri.? ».
«Che c'entra la chiesa in queste faccende? Lascia stare da parte
136 QUINTO MARTINI
la religione. E poi c'era. Arturo, quello che ammazza i gatti per farci la pastasciutta. L'ho sentito dire `Nella chiesa ci faremo il teatro, Pambulatorio per i malati...!' e poi io non posso vederli quelli che ammazzano le bestie ».
«E di tuo marito che va sempre a caccia che ne pensi? ». « Mio marito non ammazza i gatti.. ».
«Quando ha ammazzato senza ragione il cane di Palle non ti sei commossa? ». Un vecchietto dall'aria ironica disse: «Che cuore di miele ha la Giulia! Chi l'avrebbe mai pen[...]

[...]di il podere e i quattrini che hai alla banca. Quando sarai nella cassa da morto anche il podere sari messo dentro e sepolto insieme a te. Allora sarai contenta, nessuno te lo prenderà ».
Un giovanotto che s'era fermato da poco a sentire restando con un piede a terra e seduto sopra il sellino della bicicletta da corsa, le spiattellò sul muso:
« Sei un budello di vacca pregna » e scappò via pedalando rizzandosi sui pedali. E lei di rimando:
«Figlio di troia, hanno bastonato tuo fratello e han fatto bene. Lo lasciassero marcire in prigione... ».
Ebbi la forza di stare a sentire senza dire qualche parolaccia. Quando tornai a casa presi il vocabolario della zia e cercai la parola « metresse » non c'era scritta e pensai che doveva essere una parola molto brutta. Piú tardi me ne feci spiegare il significato dal figlio del cappellaio che andava a studiare in città. Mi disse che era una parola francese e che si chiamano così le padrone dei casini dove ci sono le donne che pagando si danno a tutti gli uomini. «E sono grasse?» domandai.
« Quella che conosco io é grassa ».
« E si tingono le labbra? ».
« Si, si tingono. Ma perché mi fai queste domande? »
« Sai la Giulia la chiamano la `metresse'; trovi che assomiglia a quella che conosci te? ».
Lui fece una bella risata e mi disse:
Quando avrai diciotto anni ti porterò in città e te la farò vedere. Va bene? ».
« Nono dire a nessuno quello che ti ho chiesto » risposi.
MEMORIE 137
Quei giorni erano interminabili, in casa mia si viveva con l'animo sospeso e il cuore che ci diventava tutti i giorni più vizzo. La nostra casa dal crepuscolo al mattino era sempre circondata dai carabinieri. Una settimana durò quell'assedio notturno. Erano delle notti bellissime e la luna era piena. Durante la notte, a luce spenta, mi alzavo per vedere attraverso lo spiragl[...]

[...].
« Nono dire a nessuno quello che ti ho chiesto » risposi.
MEMORIE 137
Quei giorni erano interminabili, in casa mia si viveva con l'animo sospeso e il cuore che ci diventava tutti i giorni più vizzo. La nostra casa dal crepuscolo al mattino era sempre circondata dai carabinieri. Una settimana durò quell'assedio notturno. Erano delle notti bellissime e la luna era piena. Durante la notte, a luce spenta, mi alzavo per vedere attraverso lo spiraglio delle imposte socchiuse, i carabinieri passeggiare nell'orto vicino al fico grande.
Mio fratello cambiò alloggio. Un giovane che io non conoscevo veniva spesso da noi, e fu lui a portarci la notizia che Aldo aveva lasciato la capanna per andarsene altrove. Egli ci disse:
«Non era più il caso di starsene li. C'era qualcuno che passava. troppo spesso dal bosco. Lui vedeva ma non era visto ».
Mia madre faceva la stessa vita di prima. Al mattino scendeva giù in paese per la spesa facendo prima una visitina in chiesa. Non aveva molta simpatia per il prete, e diceva sempre:
« Io non guardo all'uomo, ma vado a pregare in chiesa perché é la casa di Dio. Se il prete non è come si deve, lui dovrà rispondere un giorno davanti al giudice al quale io stessa risponderò delle mie colpe ».
Una mattina scesi con lei in paese. Di fronte alla casa del Brulli, sopr[...]

[...] molto. Quando uscii dalla capanna il sole era molto alto. Giù dal fondo del bosco salivano lo sbattere delle ruote e il suono dei bubboli. Questo segno di vita in tanto silenzio mi rianimò. Mi lavai la faccia a una fontanella che versava acqua fra due massi, guardai la porta della piccola casa con tristezza e ridiscesi il bosco.
Passai a prendere la cartella dove l'avevo nascosta, ritornando a casa un po' più tardi del solito. Mangiai a mala voglia e con fatica. Non facevo che guardare le facce di tutti per indovinare il loro segreto. Ero disperato, non riuscivo a saper nulla e non mi sentivo il coraggio di chiedere ancora. Quando qualcuno parlava in un'altra stanza, cercavo di origliare alla porta. Ero inquieto ed anche a scuola non riuscivo a combinar nulla. La maestra scrisse un biglietto alla mamma che diceva:
« Vostro figlio é distratto, non ha voglia di studiare, se va avanti così, boccerà ».
La mamma mi porse il biglietto dicendo:
« Leggilo tutte le sere. Cerca di studiare; presto ci saranno gli esami e sarebbe vergognoso bocciare proprio quest'anno. Proprio ora che Aldo é fuggiasco. Se bocci darai un grande dolore a tuo fratello... ».
Promisi che da quel giorno mi sarei messo a studiare con grande volontà, e così feci. Sapevo quali sacrifici faceva per potermi mandare a scuola. Quando c'era la luna, cuciva i cappelli di paglia al suo chiarore per non consumare la luce. Cuciva sempre, tutte le sere fino a tarda notte. Con tutto questo, qualche volta rubavo dei soldi che lei metteva in un piatto nella credenza. Spesso diceva: «Mi mancano quaranta centesimi, mi mancano quattro soldi; forse li avrò spesi e non me ne ricordo; ho tante cose a cui pensare! ». Credevo facendo così di darle la sensazione di un sacrificio meno grande. Con i soldi rubati mi compravo l'occorrente per la scuola o qualche matita colorata per disegnare. Avevo una scrittura molto grande, consumavo il doppio dei
MEMORIE 139
quaderni degli altri [...]

[...]di che lei metteva in un piatto nella credenza. Spesso diceva: «Mi mancano quaranta centesimi, mi mancano quattro soldi; forse li avrò spesi e non me ne ricordo; ho tante cose a cui pensare! ». Credevo facendo così di darle la sensazione di un sacrificio meno grande. Con i soldi rubati mi compravo l'occorrente per la scuola o qualche matita colorata per disegnare. Avevo una scrittura molto grande, consumavo il doppio dei
MEMORIE 139
quaderni degli altri compagni, e dover star troppo spesso a chiedere soldi alla mamma non ne avevo il coraggio, e allora rubavo. La maestra spesso mi diceva: «Scrivi più piccolo, per te ci vorrebbe una cartoleria; manderai i tuoi genitori in miseria ».
Una sera mentre stavamo cenando con la porta mezz'aperta entrò mio fratello e con la calma abituale disse: « Buona sera » e si mise a sedere vicino alla mamma. Andrea usci fuori a far la guardia. Aldo non ci fece nessuna domanda e noi nessun accenno alla cosa. Fu parlato un po' di tutto quello che riguardava la casa e il podere e che gli ultimi giorni di sol[...]

[...]spesso mi diceva: «Scrivi più piccolo, per te ci vorrebbe una cartoleria; manderai i tuoi genitori in miseria ».
Una sera mentre stavamo cenando con la porta mezz'aperta entrò mio fratello e con la calma abituale disse: « Buona sera » e si mise a sedere vicino alla mamma. Andrea usci fuori a far la guardia. Aldo non ci fece nessuna domanda e noi nessun accenno alla cosa. Fu parlato un po' di tutto quello che riguardava la casa e il podere e che gli ultimi giorni di sole erano una manna per la campagna. La mamma non toglieva gli occhi di dosso a suo figlio. Ogni occhiata era una domanda, io guardavo Aldo per indovinarne la risposta. Guardandoci tutti, con un'occhiata piena di sottintesi, disse:
« Questa notte resterò a dormire qui. Non credo ci sarà pericolo, già molte notti che non vengono, e sarebbe scarogna se proprio questa notte mi beccassero ». Voltandosi verso me, disse:
« Libero, tu vieni con me ». Si alzò, spostò la sedia, io lo imitai nel gesto.
Lui sali le scale, e io lo seguii fino nella stanza del granaio. Poi mi disse:
« Vedi, bisogna levare questi sacchi, e fare una buca nel pavimento. Bisogna levare delle mattonelle senza r[...]

[...]mba; ci siamo intesi ».
Finito il lavoro, mi buttò il suo braccio sulle spalle e disse:
Ora a letto. Dormirai con me. Però non parlare e non domandarmi nulla ».
« Si, dormirò, non parlerò ».
Dopo pochi minuti che fummo a letto, lo sentii russare. Dormiva
140
QUINTO MARTINI
i
come un masso. Io mi addormentai molto più tardi. Stavo sempre con le orecchie ritte come una lepre. Avevo paura che venissero i carabinieri. La mattina quando mi svegliai Aldo non c'era piú. Un fremito agghiacciante mi corse per tutto il corpo. Chiamai la mamma e le dissi:
« Dov'è Aldo? Sono venuti a prenderlo i carabinieri?»
«È partito, s'é alzato prima del sole, appena s'é fatto chiaro ».
« Dov'é andato? ».
«A lavorare. Alle otto doveva essere sul lavoro ».
« Ma dove lavora? ».
« Non lo so preciso. Credo verso Montemurlo ».
« Dov'è Montemurlo? ».
Prendendo il lenzuolo e la coperta che tenevo fino alle spalle, e buttandola sopra il ferro a pie' del letto disse:
« Su, su alzati, e non fare altre domande ».
Mi alzai, e andai a sedermi sul muro dell'[...]

[...]zato prima del sole, appena s'é fatto chiaro ».
« Dov'é andato? ».
«A lavorare. Alle otto doveva essere sul lavoro ».
« Ma dove lavora? ».
« Non lo so preciso. Credo verso Montemurlo ».
« Dov'è Montemurlo? ».
Prendendo il lenzuolo e la coperta che tenevo fino alle spalle, e buttandola sopra il ferro a pie' del letto disse:
« Su, su alzati, e non fare altre domande ».
Mi alzai, e andai a sedermi sul muro dell'aia, il cane mi venne vicino, gli passavo la mano sulla schiena, lui rizzava la coda e la muoveva in segno di amicizia. Era l'unica cosa che in quella mattina mi desse piacere e non mi facesse sentire tanto solo.
Era di giugno. Nelle nostre camere basse e coperte col solo tetto, entrava presto il caldo. Anche durante le prime ore della ,natte c'era caldo. La mamma stava come sempre a pregare alla finestra. Non c'era la luna; il cielo mi ricordava quegli scenari che mettono di sfondo ai presepi. Il cane fece l'abbaio del lupo: quando i cani abbaiano così c'è chi crede portino disgrazia. lo non ho mai sentito nulla di più straziante, nessun lamento umano é più spaventoso di questo ululato. E una cosa che intristisce l'animo e risecchisce il cuore in un attimo. C'è da supporre che sia veramente l'annuncio di una forte sciagura. Mia madre si voltò verso di me e disse:
«Domani ci sari una brutta notizia ». Si appoggiò con i gomiti sul davanzale della finestra e aggiunse:
« Il cane continua a far l'abbaio del lupo ».
« Ma perché credete che por[...]

[...]baio del lupo ».
« Ma perché credete che porti disgrazia? Non bisogna credere a tutto quello che si dice ».
«Si, é. vero, Libero, non bisogna credere a tutto quello che si dice;
MEMORIE 141
ricordi quando mia sorella, tua zia Elvira, s'impiccò al trave della sua camera? quella mattina il cane abbaiò nello stesso modo ».
Ci fu un breve silenzio. Io stavo in piedi, seguivo i lumi delle automobili e delle biciclette che correvano fra il nero degli alberi. Sospirò, e si ripeté lentamente:
«SI, il cane abbaiò nello stesso modo; proprio come stasera ».
Drago seguitava a lacerare l'aria e la mia anima col suo lungo lamento. A me, quella notte così calma non fece che aumentare la mia ansia per quello che mamma prevedeva.
Un mio fratello dall'altra camera gridò:
«Libero! Vai a farlo tacere. Non si pue' dormire così ».
E mia madre:
« Vai giù, portagli un po' di pane con l'olio. Però non lo picchiare ». Si scostò, socchiuse la finestra e accese la luce.
Scesi gib. in cucina, andai alla madia, partii una fetta di pane e ci misi sopra dell'olio. Arrivato sotto il portico, a un passo dalla colonna dov'era legato a catena, urtai in una vanga cadendogli vicino. Drago mi si fece appresso leccandomi la faccia. Mi alzai scostando con un gomito la bestia. Non mi ero fatto nulla di male. Così al buio gli diedi il pane e restai ad accarezzarlo un po'. Mentre mangiava mandava un flebile lamento, simile a quello di poco prima. Non ebbi il coraggio di sgridarlo. Prima di lasciarlo gli ordinai di andare nella sua cuccia e dormire. Avvicinai il mio viso al suo muso e mi leccò ancora. Tornai in camera e andai a letto. Non fece più l'abbaio del lupo, ma io non riuscivo a dormire. Pensavo a mia zia, al trave della camera, vedevo il suo corpo appeso e una fune che ciondolava.
Era vestita di nero, le mani aveva scarne e la faccia bianca. Mi passavo continuamente la mano sugli occhi, ma quella macabra visione non spariva. Il corpo di mia zia, era li, che ciondolava dalla trave nel mezzo della camera, in fondo al mio letto.
Se è vero — pensavo — che Drago quella stessa mattina fece l'abbaio del lupo, non potrebbe essere stato un caso? e quel lamento così terribile causato da dei dolori? un mal di pancia? Non volevo essere superstizioso, ma non riuscivo a togliermi da dosso quel malessere che proviamo quando si teme una sciagura. Divenivo sempre piú inquieto, tutto cercavo di analizzare come mai avevo fatto, e temevo da un mi
142 QUINTO MARTINI
nuto all'altro che il cane tornasse a fare udire il suo ululato. La mattina, quando mi alzai, vidi la mamma più pallida del solito. Mi avvicinai a lei mentre stava scaldando il caffè e le dissi:
«Avete dormito, mamma? ».
Lei senza scomporsi, rispose:
« Non sono stata capace di chiudere occhio. Ho pregato tutta la notte. Ora sento un nodo alla gola e come se avessi delle spine nel cuore ».
Io, per rassic[...]

[...]i: « Qualcuno è venuto a portare una brutta notizia ».
Andai nella stalla, posai l'erba e passai in casa. Un giovane tutto bianco di polvere era seduto vicino alla tavola al posto dove sedeva sempre mio padre. La mamma sedeva dall'altra parte e i miei fratelli stavano in piedi. Il giovane aveva nella mano destra il bicchiere di vino, nell'altra il fazzoletto e continuava a passarselo sulla fronte, sulla testa e dietro al collo.
Mia madre aveva gli occhi pieni di lacrime e i miei fratelli mi guardavano senza far parola. L'uomo seduto mi salute) con un:
«Oh? come va ragazzo? ». Io non risposi, e lui si mise a parlare del suo lavoro di muratore. Pensai all'abbaio del lupo e mi dissi: «Si, quando il cane abbaia in quel modo, accade una disgrazia a qualche componente della famiglia che tiene la bestia ».
A cena mia madre raccontò com'era accaduto l'arresto. Aldo fu preso la sera del giorno prima, verso le dieci, mentre tornava per andare a dormire in casa di quell'operaio che poche ore prima era venuto
MEMORIE 143
a portare la notizia. Il giovane muratore aveva detto che al suo paese c'erano molte spie e aveva consigliato a mio fratello di cambiare aria. Ci rassicurava che non era stato picchiato e che fu portato quella sera stessa alle prigioni della città vicina. Un po' di calma stava ritornando, e nei paesi non accadevano piú cose bestiali come nei primi tempi, al sorgere del fascismo.
«Quando si accorgeranno che non ha fatto nulla di male lo rilasceranno in libertà » diceva mia madre mentre ad ognuno di noi versava la minestra col rimaiolo bianco e bleu nei nostri piatti. Remo, sempre diffidente e taciturno, disse:
« Si, va bene, non ha fatto nulla di male. Ma la cosa migliore era quella di non farsi [...]

[...]e prigioni della città vicina. Un po' di calma stava ritornando, e nei paesi non accadevano piú cose bestiali come nei primi tempi, al sorgere del fascismo.
«Quando si accorgeranno che non ha fatto nulla di male lo rilasceranno in libertà » diceva mia madre mentre ad ognuno di noi versava la minestra col rimaiolo bianco e bleu nei nostri piatti. Remo, sempre diffidente e taciturno, disse:
« Si, va bene, non ha fatto nulla di male. Ma la cosa migliore era quella di non farsi prendere. Quando uno é in prigione...».
« Ma in prigione ci tengono chi ha commesso qualcosa contro la legge, e non si può rovinare la vita di un uomo giovane come Aldo per nulla ».
Mentre parlavo tutti mi guardavano. Remo rispose:
« Tu sei troppg giovane e vivi con la testa nelle nuvole. Quando uno l'hanno messo dentro, chi va a levarlo? ».
I1 babbo interruppe dicendo:
« Ci sarà una giustizia; se uno é innocente, perché punirlo? ».
« È la politica che c'é di mezzo e chi comanda ha sempre ragione; quello che tiene il mestolo in mano, razzola come vuole ».
La [...]

[...]o giovane come Aldo per nulla ».
Mentre parlavo tutti mi guardavano. Remo rispose:
« Tu sei troppg giovane e vivi con la testa nelle nuvole. Quando uno l'hanno messo dentro, chi va a levarlo? ».
I1 babbo interruppe dicendo:
« Ci sarà una giustizia; se uno é innocente, perché punirlo? ».
« È la politica che c'é di mezzo e chi comanda ha sempre ragione; quello che tiene il mestolo in mano, razzola come vuole ».
La mamma sedendosi:
« $ vero, gli uomini non sono sempre giusti con gli uomini. La vera giustizia é quella divina. Solo Dio é giusto e grande di misericordia. Gli uomini non sanno perdonare, Dio sa perdonare ».
« Si, sono tutte belle cose disse Remo — ed é bello avere la
vostra fede. Ma la vostra fede, mamma, non darà mai la libertà ad Aldo. Questo é un mondo di farabutti e bisogna tenere sempre gli occhi ben aperti per vedere chi si ha vicino ».
Il padre guardando il figlio dai capelli ricciuti, disse con un tona di rimprovero:
«Tu esageri sempre, per te tutti ladri e farabutti. Non ti fidi neppure di tua madre né di tuo padre. Io credo che nel mondo ci siano sempre delle persone come si deve ».
« Si, sarà vero quello che tu dici ma io non mi fido, conosco un
i ~9 144 QUINTO MARTINI
proverbio che dice: "Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io". Io cerco di guardarmi da tutti e due ».
Andrea che aveva assistito alla nostra conversazione sempre in silenzio, disse:
« Se io fossi nei piedi di Aldo, al mio ritorno saprei corne fare. Vorrei ritornare in prigione, ma dopo essermi vendicato verso qualcuno che so io».
«Ricordati Andrea "chi di spada ferisce, di spada perisce", questa una frase di Gesù, il figlio di Dio ».
«Si, ma intanto tutti quelli che hanno adoprato la spada, ora sono liberi e tranquilli ».
«Non si può dire. Nella vita di un uomo possono succedere tante cose. Chi fa del male non avrà che del male ».
« Io sono del parere, spada o non spada, quello che perde non é più libero. I fascisti hanno vinto ed ora fanno tutto quello che a loro pare e piace. Possono venire qui, prenderci e bastonarci come ciuchi tutti quanti e nessuno gli farà mai nulla ».
Mia madre prese un'espressione dolorosa e non rispose. Ci fu un momento di silenzio. Andrea stesso ruppe questo silenzio piuttosto penoso dicendo:
« Babbo, domattina devo cominciare a segare l'orzo nella piaggia a confine con Cencio? ».
« Si, si può cominciare a segare. Dopo che avrò finito nella stalla verrò anch'io. Prendi due falci e porta del vino ».
La mamma, molto triste, sparecchiava. Le cadde un piatto e si ruppe, nessuno fece parola.
Passarono alcuni giorni prima di avere notizie di Aldo. Ci scrisse una lettera. La censura del carcere aveva cancellato alcune ri[...]

[...]n Cencio? ».
« Si, si può cominciare a segare. Dopo che avrò finito nella stalla verrò anch'io. Prendi due falci e porta del vino ».
La mamma, molto triste, sparecchiava. Le cadde un piatto e si ruppe, nessuno fece parola.
Passarono alcuni giorni prima di avere notizie di Aldo. Ci scrisse una lettera. La censura del carcere aveva cancellato alcune righe con delle larghe strisce d'inchiostro nero. Queste righe nere davano un senso funebre ai fogli di carta. Non scriveva gran che; chiedeva che gli si mandasse un paio di volte alla settimana della roba da mangiare per aggiungerla a quella che passava il carcere, e della biancheria pulita, cjhe lui avrebbe rimandata quella sporca. Scriveva di farci coraggio e che presto tutto sarebbe finito. Queste notizie rianimarono un po' tutti. Ma quelle righe nere nascondevano delle parole che avremmo
MEMORIE 145
voluto sapere cosa dicevano. Si cercò di leggerla contro luce ma non fu possibile capire una sillaba. Remo, prendendomi la lettera, disse: «Brutti maiali, non vogliono neppure che uno scriva quello che gli pare...! ».
Più tardi un'altra [...]

[...]ggiungerla a quella che passava il carcere, e della biancheria pulita, cjhe lui avrebbe rimandata quella sporca. Scriveva di farci coraggio e che presto tutto sarebbe finito. Queste notizie rianimarono un po' tutti. Ma quelle righe nere nascondevano delle parole che avremmo
MEMORIE 145
voluto sapere cosa dicevano. Si cercò di leggerla contro luce ma non fu possibile capire una sillaba. Remo, prendendomi la lettera, disse: «Brutti maiali, non vogliono neppure che uno scriva quello che gli pare...! ».
Più tardi un'altra lettera ci informava che si poteva andare a trovarlo. I primi ad andare al parlatorio furono il babbo e la mamma. Trovarono che stava bene ed era molto tranquillo e di buon umore com'era stato sempre. La nostra vita divenne meno grigia. Il fatto di recarsi tutte le settimane a fargli visita era come si sentisse ancora far parte materialmente della nostra famiglia. Quando mamma preparava, la sera, il cibo e la biancheria da mandargli la toccavo leggermente. Una volta volevo fare un nodo ad un fazzoletto; la mamma mi disse:
« Nan lo fare, potrebbero crederlo un segnale speciale ed Aldo verrebbe punito ».
Io non comprendevo cosa ci potesse essere di tanto brutto e misterioso in un nodo di un fazzoletto. Più tardi ho capito che anche con un fazzoletto annodato si possono dire malte cose e soprattutto a un carcerato.
Finita la battitura fui mandato a passare qualche mese dallo zio in un paese del comune di Vinci. Andai con un mio cugino che . si recava a prender le fastella di scope in un bosco vicino alla sua casa. Fui ac[...]

[...]ere di tanto brutto e misterioso in un nodo di un fazzoletto. Più tardi ho capito che anche con un fazzoletto annodato si possono dire malte cose e soprattutto a un carcerato.
Finita la battitura fui mandato a passare qualche mese dallo zio in un paese del comune di Vinci. Andai con un mio cugino che . si recava a prender le fastella di scope in un bosco vicino alla sua casa. Fui accolto con gran festa dai miei zii come se fossi stato un loro figlio che da molto tempo non vedevano. Aiutavo lo zio nelle sue faccende e mi piaceva star con lui. Mi declamava interi canti dell'Orlando Furioso. Ad uno dei suoi figli aveva messo nome Orlando, ad un altro Ruggero e alla figlia Bradamante. Strano uomo questo mio zio. Aveva una bottega dove si vendeva il necessario per le poche case del paese. Dal pane ai fiammiferi c'era un po' di tutto. In una stanza vicino al forno si giuocava a carte e si beveva in allegra compagnia fino al tocco dopo mezzanotte. Erano sempre gli stessi. C'erano dei vecchi e giovani, ma quando giocavano notavo che si trattavano tutti alla pari. Non c'era sera che mio zio non cantasse qualche passo dei suoi poeti preferiti.
Non conosceva altro che quei poeti e bevendo diceva:
«Questi si che sono grandi! Alla salute, ragazzi, dei grandi poeti! ». E poi mettendo il bicchiere sopra il tavolino faceva dei commenti
vol
146 QUINTO MARTINI
alquanto insinuanti su certi passi amorosi. E ripetendoli lentamente ac
compagnava la voce con gesti della mano e sbirciate degli occhi. In
certi casi cantava delle strofe prese in canti diversi:
«C[...]

[...]ttavano tutti alla pari. Non c'era sera che mio zio non cantasse qualche passo dei suoi poeti preferiti.
Non conosceva altro che quei poeti e bevendo diceva:
«Questi si che sono grandi! Alla salute, ragazzi, dei grandi poeti! ». E poi mettendo il bicchiere sopra il tavolino faceva dei commenti
vol
146 QUINTO MARTINI
alquanto insinuanti su certi passi amorosi. E ripetendoli lentamente ac
compagnava la voce con gesti della mano e sbirciate degli occhi. In
certi casi cantava delle strofe prese in canti diversi:
«Come di lei s'accorse Orlando stolto,
per ritenerla si levò di botto;
cosí gli piacque il delicato volto
così ne venne immantinente ghiotto
d'averla amata...»
eppoi :
«Questa condizion contiene il bando:
Chi la figlia d'Amon per moglie vuole, star con lei debba a paragon del Brando
dall'apparire al tramonto del sole:
e fino a questo termine durando
e non sia vinto senz'altre parole
la donna da lui vinta esser s'intenda:
né si possa negar ch'essa lo prenda ».
Alcuni dei suoi clienti avevano imparato qualche verso e spesso gli chiedevano di cantare i passi più grassocci. Questo avveniva quando in bottega non c'era sua moglie. Una sera un uomo molto giovane si fece cantare una strofa delle più piccanti per poi ripeterla alla giovane sposa. Quando lo zio poteva cantare liberamente in compagnia di uomini era preso da una specie di insolita frenesia. Un giorno dopo pranzo sentii la zia gridare:
« Canti sempre le stesse cose, ci farai una pazzia ».
«Fai la treccia e rigoverna i piatti, tu. Cosa vuoi sapere di poesia, non é roba per i tuoi denti bacati ».
« Si, va bene; ma potresti cambiare musica qualche volta. Canti ancora le stesse storie di quando venivi a fare all'amore a casa mia ».
« Quando le cose sono bel[...]

[...]verna i piatti, tu. Cosa vuoi sapere di poesia, non é roba per i tuoi denti bacati ».
« Si, va bene; ma potresti cambiare musica qualche volta. Canti ancora le stesse storie di quando venivi a fare all'amore a casa mia ».
« Quando le cose sono belle si possono cantare anche tutta la vita. Saranno sempre belle! ».
« Convinciti che stai invecchiando e che non sei più giovanetto ».
« Perdio! ti dico fin da questo momento che se muoio prima io voglio che tu stessa mi metta nella cassa, sul mio petto « L'Orlando Furioso », e che anche nell'altra vita io possa cantare. Le donne, i cavalier, l'arme; gli amori, le cortesie... ».
n.w
MEMORIE 147
« Non scherzare con la morte, e con l'altra vita ».
« No, no, non scherzo: alla mia morte voglio nella bara l'Orlando Furioso. Lo lascerò scritto nel mio testamento ».
E avvicinandosi a me:
«Non faccio bene, Libero? ».
« Si, fai bene, zio ».
Mi prese per un braccio e mi portò con sé verso il bosco. Strada facendo mi diceva:
«Se io non canto mi viene la malinconia, anche tu devi imparare a cantare! Anche la storia di Ulisse é bella, anche la Gerusalemme Liberata, anche la Divina Commedia » é bella, Paolo e Francesca, il canto del Conte Ugolino... Ma il più bello é l'Orlando Furioso ». E battendomi la mano sulla spalla, come se fossi stato un suo coetaneo: «Anche tu devi imparare a m[...]

[...]iù grande poeta ».
Lui, preso dall'entusiasmo mi abbracciò, si scostò qualche passo e cominciò a cantare:
« Or se mi mostra la mia carta il vero, Non é lontano a discoprirsi il porto Odo di squille...»
Seguitando a cantare, con una mano mi prese per i capelli e mi portò sotto un albero dove ci mettemmo a sedere. Io guardavo la pianura mentre lo ascoltavo. Il sole stava per tramontare, quando alzandosi e con un largo gesto verso il sole, cantò gli ultimi versi:
«Bestemmiando fuggi l'alma sdegnosa Che fu si altera al mondo e si orgogliosa».
« Andiamo Libero, questa sera c'è da fare il pane. Strada facendo facciamo dell'erba, così é una scusa... Se no tu senti tua zia... ».
Nessun ricordo della mia vita é cos? bello. Devo a lui la conoscenza della poesia e dei maggiori poeti. E fu anche in quella permanenza che mi appassionai ancora più al disegno e alla pittura. Feci molti acquarelli di paesaggi e boscaioli. Mio zio mi diceva spesso con molta serietà:
148 QUINTO MARTINI
«Tu diverrai un pittore, come il nostro Leonardo da Vinci ». E indicandomi delle case sotto il bosco, mi diceva:
« Vedi, Leonardo da Vinci é nato laggi[...]

[...]ete che ha fatto il busto del nostro Leonardo con barba e capelli lunghi ». E cosí dicendo faceva il gesto con la mano di toccarsi la barba e ravviarsi i capelli.
Vicino a mio zio ero riuscito a distrarmi un po' soprattutto durante la giornata che era sempre varia per i clienti che venivano e i passanti che si fermavano a bere e a mangiare. La notte però, cadevo spesso in una tristezza amarissima. Al mattino andavo per il bosco e stavo subito meglio. Spesso per qualcuno mi mandavano da casa mia notizie di Aldo. Ma la gioia più grande per me fu quando ricevei una cartolina postale. Non so quante volte la rilessi. La leggevo di giorno e di notte, come si legge una delle prime lettere d'amore. Mi diceva che a Natale sarebbe tornato. Io credevo a quello che scriveva e contavo i giorni e mi ripetevo quand'ero solo:
« A Natale ritornerà.., presto ritornerà... ».
Un pomeriggio afoso degli ultimi giorni d'agosto, stavamo seduti sotto il noce dell'orto di fronte alla porta della bottega. Davanti a noi la strada bianca che scendeva giù a Vinci piena di riverbero si nascondeva a tratti, fra il verde e gli ulivi argentati della campagna. Lo zio fumava la pipa e coi suoi occhi chiari guardava lontano.
Io osservavo le sue gote che si risecchivano quando tirava il fumo e tornavano normali quando lo lasciava venir fuori dalla bocca. Si voltò a guardare il monte dietro le nostre spalle, guardò giù nella pianura, socchiuse gli occhi, si tolse la pipa di bocca e cominciò a cantare:
«Era a quel tempo ivi una selva antica D'ombrose piante spessa e di virgulti, Che, come laberinto, entro s'intrica Di stretti calli e sol da bestie culti. Speran d'averla i due Pagan sl amica Ch'abbi a tenerli entro a' suoi rami occulti. Ma chi del canto mio piglia diletto, Un'altra volta ad ascoltarmi aspetto ».
MEMORIE 149
E battendomi una mano su `una spalla e con un sorriso da vecchio satiro, disse:
«Porco diavolo, come sarebbe bello con questo caldo vedere correre cavalieri nel bosco con le loro donne a cavallo... ».
Spesso diceva, quando c'era gente in bottega, e sua moglie non poteva udire:
« Come mi sarebbe piaciuto vivere ai tempi dell'Orlando Furioso, 'avere un bel cavallo e...».
Così parlava quando aveva un po' bevuto. Era un uomo verso la sessantina ma di una fibra come un querciolo. Spesso diceva: « Io non ho mai visto un medico e mai mi sono purgato, e con l'acqua mi son sempre lavato mani, piedi e coglioni. Se mi si proibisse di cantare, fumare e bere vino sarei un uomo finito. Morirei in tre giorni: io sono nato per cantare ».
Era fiero della sua salute e quando vedeva qualcuno pallido e con poca vita negli occhi gli diceva:
« Ragazzo mio, tu semini i frasconi. Se seguiti così presto ti porteranno al camposanto ».
Questi rispondevano sorridendo:
« Tu sei sempre allegro, e hai sempre voglia di scherzare... ».
« Non bisogna mai farsi cattivo sangue, chi se la piglia more prima di vent'anni, studia l'Ariosto se vuoi sentirti tranquillo ».
Tutti gli volevano bene e stavano volentieri in sua compagnia a parlare di quello che si diceva nel mondo. Un giorno dal modo come guardò una donna giovane che venne a bottega ebbi la sensazione che gli piacessero le avventure. Questa mia impressione mi fu confermata un pomeriggio nell'ora che la zia si buttava sul letto per dormire. Passeggiavo lungo il viottolo che sale dalla strada su nel bosco. Faceva caldo, le cicale cantavano e nessun altro rumore era percettibile. Camminavo lento guardando ora il monte ora la pianura. Arrivato vicino ai castagni sentii sfrascare e il suono di una leggera voce di donna che diceva:
« Non fare così... ».
Mi voltai dalla parte della voce e fra le felci e scope vidi mio zio chinato, sotto di lui un vestito rosa e gambe nude di donna. Era la prima volta c[...]

[...]mminavo lento guardando ora il monte ora la pianura. Arrivato vicino ai castagni sentii sfrascare e il suono di una leggera voce di donna che diceva:
« Non fare così... ».
Mi voltai dalla parte della voce e fra le felci e scope vidi mio zio chinato, sotto di lui un vestito rosa e gambe nude di donna. Era la prima volta che vedevo un uomo e una donna insieme. Mi chinai,
150 QUINTO :MARTINI
piano piano, con le mani mi scostai le scope davanti agli occhi, per osservare la scena. La faccia della donna restava dietro il gambo del castagno, vedevo le sue mani che si tenevano alle scope con una certa forza. Lo zio stava sopra al suo corpo e le gambe nude della donna che si muovevano in un modo molto strano. A un certo punto non volli più vedere, mi misi seduto e aspettai. Sentivo il respiro dello zio farsi più affannoso e la donna che miagolava come un piccolo gatto. Poi sentii i loro corpi alzarsi e lei dire:
«Speriamo che nessuno ci abbia visti. Credo sia meglio vedersi dove sempre. Qui é un po' pericoloso ».
Io mi alzai, vidi la donna [...]

[...]il gambo del castagno, vedevo le sue mani che si tenevano alle scope con una certa forza. Lo zio stava sopra al suo corpo e le gambe nude della donna che si muovevano in un modo molto strano. A un certo punto non volli più vedere, mi misi seduto e aspettai. Sentivo il respiro dello zio farsi più affannoso e la donna che miagolava come un piccolo gatto. Poi sentii i loro corpi alzarsi e lei dire:
«Speriamo che nessuno ci abbia visti. Credo sia meglio vedersi dove sempre. Qui é un po' pericoloso ».
Io mi alzai, vidi la donna voltata verso di me che stava aggiustandosi le mutande. Lo zio mi voltava la schiena e vidi che cercava di affibbiarsi la cinghia dei pantaloni. La donna, finito di vestirsi, alza la testa e fu davvero una sorpresa riconoscendo la serva del prete. Una donna ancora giovane e molto in carne. La serva sali su per il bosco e lo zio scese nella strada sotto la vigna cantando:
«Che dolce più, e che più giocondo stato
Saria di quel d'un amoroso core?
Che vive più felice e più beato
Che ritrovarsi in servitù d'Amore?
Se[...]

[...]ulato
Da quel sospetto rio, da quel timore,
Da quel martir, da quelta frenesia,
Da quella rabbia detta gelosia».
Sorrisi di questa sua avventura in pieno meriggio. Mentre scendevo per tornare a casa ripensavo alla scena e mi sentivo turbato. Non ne ho mai parlato a nessuno e con lo zio cercavo sempre che nei nostri discorsi fosse evitato di fare il nome della serva del prete. La sera lo zio canta, come mai aveva cantata, rosso in volto e con gli occhi che saettavano bagliori di fuoco; io lo guardavo e rivedevo la scena del bosco. Credo che se anche la zia fosse venuta a saperlo gli avrebbe perdonato. Giulia non era più giovane e da anni ormai vivevano soli. Orlando s'era sposato con una maestra ed era andato a stare nella Lucchesia. Ruggero viveva con la famiglia nel Casentino, entrambi facevano il muratore. Bradamante, una bella ragazza con occhi e capelli neri, era andata a marito ad un maresciallo di cavalleria a Firenze.
MEMORIE 151
Ricardo di aver visto una volta suo marito in divisa e con la spada e sentii subito una forte antipatia. La zia considerava suo marito un po' come un ragazzo che ha delle manie e col quale non bisogna esser troppo severi. Una mattina fece uno scherzo un po' azzardato ad una donna li in bottega alla presenza di altre persone. Un vecchietto disse a Giulia che stava a banco a servire i clienti:
«Avete visto, eh, cosa [...]

[...]IE 151
Ricardo di aver visto una volta suo marito in divisa e con la spada e sentii subito una forte antipatia. La zia considerava suo marito un po' come un ragazzo che ha delle manie e col quale non bisogna esser troppo severi. Una mattina fece uno scherzo un po' azzardato ad una donna li in bottega alla presenza di altre persone. Un vecchietto disse a Giulia che stava a banco a servire i clienti:
«Avete visto, eh, cosa fa Marco? ».
E lei, tagliando il pane e senza scomporsi:
« Raba da vecchi, faccia pure quello che vuole, basta che non me le porti in casa. Se lo trovo con qualche donna in queste stanze, bastono lui e lei ».
Lo zio stava travasando i fagioli da una bigoncia all'altra. La donna che prima era stata oggetto dello scherzo disse:
« Attenzione Marco, vostra moglie ha delle brutte idee ».
« Già, ho sentito, starò con l'occhio alla penna per non farmi pescare. Se no, addio schiena... ».
La zia, porgendo l'involto del pane:
« Se fossi stato un uomo, avrei saputo anch'io come fare. Ci sono tante donne che basta vedano un paio di pantaloni diversi da quelli del loro uomo, si alzano subito la sottana ».
Lo zio, sempre occupato dal suo lavoro, voltandosi verso le persone, sorridendo, disse:
« Se fossi stato una donna avrei tenuto la mia casa aperta a tutti quelli che mi fossero piaciuti ».
Malgrado questi discorsi fatti un po' sul serio e un po' per sc[...]

[...]a, ma non ebbi coraggio. Una donna entrò in casa e chiamò:
« Giulia, venite in bottega ».
La zia si asciugò le mani al suo grembiale grigio e uscendo mi disse:
«Stai attento al gatto che non mangi la carne ».
Guardai fuori dalla finestra; le cime del monte erano piene di sole, la vetta dei cipressi era rossastra e la pianura già in ombra. Un vecchio passò di sotto alla finestra con un fascio di legna sulle spalle. Lo zio che non cantava piú, gli disse:
«Come va, Arduino? ».
« Va da vecchi, caro Marco ».
« Macché da vecchi, finché non siamo nella fossa va sempre bene ». « Gli anni pesano più delle fastella, vedrai anche tu quando avrai la mia età ».
Sentivo la voce del vecchio che si allontanava e lo zio gridare:
« In gamba, Arduino. Uno di questi giorni verrò a trovarti. Prepara un fiasco di quello vecchio. Io ti porterò le spuntature per la pipa e canterò per te ».
Non sentii più la voce dell'uomo che portava il fastello. Lo zio riprese a cantare mentre zappettava. In quell'ora non c'era lavoro in bottega e lui passava il tempo a fare altre cose intorno a casa. La zia tornò in'\cucina a preparare la cena, io uscii fuori e mi misi sotto il noce a guardare il [...]

[...]za poter reagire.
Un giorno, prima di mezzogiorno, me ne stavo seduto nel bosco vicino alla chiesa, ero tutto preso dal canto del Conte Ugolino. Uno sfrusclo dietro di me mi fece voltare di scatto e fui sorpreso nel vedere il mio cane che si faceva largo dimenandosi fra le frasche e festante mi veniva incontro. Mi saltò addosso e non cessava di dimostrarmi col suo mugolio e scodinzolando, la gioia di rivedermi. Pensai che qualcuno della mia famiglia sarebbe stato per la strada del bosco. Mi alzai, e lassù in alto, vidi mia madre che scendeva giù piano piano. Aveva una pezzuola in testa per pararsi il sole e sotto il braccio destro un grosso fagotto bianco. Le andai incontro, il cane avanti camminava serpeggiando la strada sassosa, e spesso si voltava indietro movendo la coda coperta di pelo.
Ero felice, appena fu possibile vederci ci facemmo dei cenni alzando una mano, quando le fui più vicino, mi disse:
« Com'é che mi sei venuto incontro? ».
« Stavo seduto in fondo al bosco, vicino alla chiesa, quando mi son visto arrivare Drago, al[...]

[...]RTINI
«Aldo come sta? ».
«Sta bene. Anche lui é ingrassato ».
« Quando ritornerà? ».
«Speriamo presto ».
« Mi ha scritto che tornerà a Natale ».
«Speriamo ».
«Lunedì, quando sono stata a trovarlo, mi ha detto che vuoi ve
derti,».
Passando di fronte alla chiesa la mamma salutò il parroco che stava
leggendo il breviario seduto sotto la loggetta. Anche lui sapeva di mii,
fratello e ne parlarono un po'.
«Bisogna aver fede e pregare Dio. Egli é pieno di misericordia
per tutti ».
Prima di salutare il prete la mamma gli chiese a che ora la mattina
c'era la messa. Quando fummo un po' distante mi disse:
« Sai, quello é Don Masino. Conosce molto bene Aldo. E tu, sei
mai stato a messa?
Io non risposi. Lei, con una voce molto dolce, prosegui:
«Non posso costringerti ad andare in chiesa se non lo fai con fede.
Un giorno, sono certa, tu sentirai questo bisogno ».
Giunti dagli zii fu gran festa. Un pollo venne ammazzato e fatto
fritto per il desinare. Si parlò molto di Aldo. Fu allora che mio zio
disse che Orlando e Ruggero erano stati bastonati ma che poi non
avevano avuto più noie. Ero contento di ritrovarmi con mia madre in
una casa che non fosse la nostra. Quando le fu chiesto dalla zia quanto
tempo sarebbe rimasta, rispose:
Non molto, tre o quattro giorni al massimo ».
«Libero lo lasci ancora da noi? ».
«Non é possibile ».
« Anch'io — dissi partirò quando partirà la mamma ».
Lo zio soprattutto era dispiacente per questa mia decisione e ri
spose :
[...]

[...]simo ».
«Libero lo lasci ancora da noi? ».
«Non é possibile ».
« Anch'io — dissi partirò quando partirà la mamma ».
Lo zio soprattutto era dispiacente per questa mia decisione e ri
spose :
«Resta ancora, così potrai imparare a memoria qualche canto del
l'Orlando Furioso. Ti dirò io quali sono i piú belli e come si fa a can
tare di poesia », e poi riprese:
« Ormai hai finito la scuola e in città non andrai a studiare. Ci
MEMORIE 155
vogliono troppi quattrini. I figli dei ricchi vanno in città a studiare. Com'è ingiusto questo mondo. Resta da me... Canteremo insieme. Quest'inverno, vicino al fuoco, t'insegnerò a cantare, resta da me, Libero ».
Mia madre lo guardò e disse:
«Non invitare la lepre a correre ».
Anche la zia pregò la mamma di farmi restare.
«Sai, Marta, comincio a considerarlo un mio figliolo, e tu ora me lo porti via».
« Grazie, Giulia, ma non può rimanere. Deve lavorare nei campi e Andrea dovrà cercarsi un lavoro in città ».
«Cosa vuoi che faccia in .città? ».
« Ci sono altri che vanno in città a lavorare: vanno nelle fabbriche e alla ferrovia come sterratori. Prima c'era Aldo che guadagnava, ma ora? ».
Lo zio disse a sua sorella:
« Cosa pensi di fargli fare a Libero? ».
«Non lo sappiamo ancora, bisogna vedere come andrà a finire l'affare di Aldo ».
« Cara sorella, quello che deve fare tuo figlio, mio nipote, é segnato dal destino. Lui sarà pittore, un artista. Capisci? Un artista; un grande artista ».
E rivoltosi a me:
« Com'è bello fare il pittore, dipingere un uomo a cavallo lungo una strada in mezzo ai boschi, con in sella una donna e le vesti al vento!...» e fece il gesto con la mano per disegnare il vestito della donna. Mia madre e la zia lo guardavano compiaciute.
«Prima che tu parta voglio che tu mi dipinga un quadro: la scena di Sacripante che si porta via Angelica ».
«Non so se sarò capace ».
« Ti dirò io come devi fare. Ti canterò piano piano il canto mentre tu disegni ».
Dipinsi il quadro secondo i suoi consigli. Mi fece copiare il suo cavallo, un bosco pieno di lecci e una strada serpeggiante fra i gambi degli alberi. Egli fu molto contento; lo mostrò a tutti e ordinò vetro
156 QUINTO MARTINI
e cornice. Venne il giorno della partenza, e prima di lasciarmi volle cantare:
«Ma come i cigni che cantando lieti
Rendono salve le medaglie al tempio
Così gli uomini degni da' poeti
La zia venne ad accompagnarci fino alla chiesa, ci salutammo di fronte alla canonica e poi ci incamminammo su per la salita. C'era ancora più d'un'ora di sole. Il cane correva avanti, poi si metteva seduto nel mezzo della strada ad aspettarci. Io e mia madre carichi di fagotti (lo zio ci aveva dato un po' di tutto quanto aveva in bottega) si camminava in silenzio. Arrivati in cima, dove la strada che percorre la cresta del monte taglia la nostra che lo attraversa facendo una grande croce, ci mettemmo seduti sopra dei grandi massi. Mia madre accarezzava Drago dandogli c[...]

[...]gni da' poeti
La zia venne ad accompagnarci fino alla chiesa, ci salutammo di fronte alla canonica e poi ci incamminammo su per la salita. C'era ancora più d'un'ora di sole. Il cane correva avanti, poi si metteva seduto nel mezzo della strada ad aspettarci. Io e mia madre carichi di fagotti (lo zio ci aveva dato un po' di tutto quanto aveva in bottega) si camminava in silenzio. Arrivati in cima, dove la strada che percorre la cresta del monte taglia la nostra che lo attraversa facendo una grande croce, ci mettemmo seduti sopra dei grandi massi. Mia madre accarezzava Drago dandogli con l'altra mano del pane. Io guardavo giù nella valle, cercando di seguire il corso del fiume. Osservavo il sole che si avvicinava. ai monti lontani, più si avvicinava e più diventava grande.
Chiesi a mia madre il perché' e mi rispose:
« Forse perché é più vicino . a noi ».
«Non ho mai pensato di chiederlo allo zio. Credo che lui me l'avrebbe detto ».
«Già, lo zio sa molte cose, verb? ».
« Ho imparato tante cose stando con lui ».
« Si sta bene quassù a quest'ora, fa fresco... ».
Dalla strada che viene dalla torre scendeva giù il vecchio guardia
boschi. Portava il fucile in spalla e c[...]

[...]rato tante cose stando con lui ».
« Si sta bene quassù a quest'ora, fa fresco... ».
Dalla strada che viene dalla torre scendeva giù il vecchio guardia
boschi. Portava il fucile in spalla e camminava curvo. L'avevo visto altre volte, quando venivo quassù a prender le fastella con mio cugino. Abitava su nella torre fin dalla nascita. Mamma lo conosceva fin da bambina, da quando veniva nel bosco a far legna, a cercar funghi e castagne. Si alzò e gli andò incontro, dicendo:
« Come va Egisto? Era un bel pezzo che non ci si vedeva... ».
«Oh! guarda chi si vede! La Marta. Come va, come va, Marta? E quello là é tuo figlio? L'ho visto più d'una volta quassù con suo cugino Corinto a prender le fastella col barroccio ». E avvicinandosi a me: «Per) ti sei fatto un uomo ».
Io sorrisi e mi sentii fiero di non sembrare più un ragazzino.
« Dimmi, come sta il tuo babbo? Siamo vecchi amici io e Gre
MEMORIE 157
Borio » e guardando mia madre — «Vero che siamo vecchi amici
con tuo marito? ».
«Lo so, lo so, Egisto. Mio marito vi ricorda spesso e dice sempre: `Egisto è una quercia, non morirà mai' ».
«E Cecchino come va? E sempre malato? ».
« Si, é sempre malato » disse mia madre prendendo un'espressione piuttosto d[...]

[...]babbo? Siamo vecchi amici io e Gre
MEMORIE 157
Borio » e guardando mia madre — «Vero che siamo vecchi amici
con tuo marito? ».
«Lo so, lo so, Egisto. Mio marito vi ricorda spesso e dice sempre: `Egisto è una quercia, non morirà mai' ».
«E Cecchino come va? E sempre malato? ».
« Si, é sempre malato » disse mia madre prendendo un'espressione piuttosto dolorosa. «Non c'è nessuna speranza di guarire, quella è una malattia che non perdona ».
Togliendosi il fucile dalla spalla e il vecchio cappello con la penna di fagiano, disse:
Che mondaccio! Sono malacci quelli. Un anno fa è morto un mio vecchio amico di quel male. Sono vecchio anch'io: un giorno o l'altro mi metterò a letto e non mi alzerò piú. Son vecchio, son vecchio e la sera sento le gambe che mi fanno diego ».
La mamma sorridendolo e toccandolo su una spalla: « Ma che vecchio; voi camperete quanto Noé, e sarete sempre arzillo come siete ora ». Egisto la guardò, sorrise in maniera incredula e domandò:
«E quel matto di tuo fratello canta sempre? ».
Io scattai e risposi:
« Si[...]

[...]mi metterò a letto e non mi alzerò piú. Son vecchio, son vecchio e la sera sento le gambe che mi fanno diego ».
La mamma sorridendolo e toccandolo su una spalla: « Ma che vecchio; voi camperete quanto Noé, e sarete sempre arzillo come siete ora ». Egisto la guardò, sorrise in maniera incredula e domandò:
«E quel matto di tuo fratello canta sempre? ».
Io scattai e risposi:
« Si, si, canta sempre e guai a chi non l'approva. Sarebbe capace di togliergli il saluto per tutta la vita ». E rimettendosi il fucile in' spalla:
« Lo conosco bene, tuo zio. E' un brav'uomo. E' tanto tempo che non lo vedo. Quest'autunno scenderò a fargli una visita e a bere un buon bicchiere di vino.
« Tutte le domeniche, per mia nipote che va alla messa, mi manda da fumare per tutta la settimana. Lui dice che il fumo e il vino allontanano le malattie, e la poesia rende la vita felice ».
Infilandosi il cappello e lisciandosi la piuma con due dita disse ironicamente :
« Beh, io mi accontenterò di viver sano perché non so di poesia ».
Il vecchio cominciava a star li con le spine ne' piedi, mia madre se ne accorse e ci salutammo. Dopo esserci un po' allontanati, il guardiaboschi gridò:
« Marta, Marta, ma come va Aldo? C'è nulla di nuovo? » [...]

[...] Marta, Marta, ma come va Aldo? C'è nulla di nuovo? » e venendoci incontro:
158 QUINTO MARTINI
« Mi sembrava di aver qualcosa da domandarti, e... ».
Mia madre lo mise al corrente di tutto, e riprendemmo il cammino per ridiscendere 'il monte. Drago ci precedeva a breve distanza, ormai conosceva la strada. Si scendeva all'ombra dei castagni e dei pini. Nell'aria c'era quell'odore che mandano le piante dei boschi di sera nei giorni del solleone. Gli uccelli si chiamavano da un albero all'altro; davanti ai nostri occhi la pianura si faceva sempre più grigia, si vedevano ancora le strade bianche di polvere e lungo i fiumi l'azzurrognolo delle canne. In certi punti del bosco si faceva più scuro ed era in quei momenti che la mamma diceva:
«Libero, bisogna allungare il passo, vedi sta facendosi già buio ».
Allungammo il passo; il cane andava sempre avanti: spesso si fermava per aspettarci e giunti vicino si rimetteva a camminare come prima. Arrivati in Sambusceta, ci fermammo a bere alla fonte. Anche Drago bevve nella fossetta piena d'acqua[...]

[...]rimetteva a camminare come prima. Arrivati in Sambusceta, ci fermammo a bere alla fonte. Anche Drago bevve nella fossetta piena d'acqua. Ormai la strada peggiore era fatta, fra breve si sarebbe lasciato il bosco per prendere quella fiancheggiata da ulivi. Laggiù dietro l'Appennino si faceva l'aria rossastra e poi un disco di fuoco si alzava piano piano diminuendo di grandezza. Mia madre guardò e fermandosi disse:
a La mia mamma diceva che assomigliava a una polenta di granturCO D.
Non risposi: mi sentivo stanco e triste. Lungo il cammino si incon trovano persone che ci salutavano, io chiedevo alla mamma:
«Chi sono queste persone che ci salutano? ».
« Non lo so, non li conosco».
«E perché allora ci salutano? ».
«Quassù, quando incontrano qualcuno sconosciuto che ha l'aria di andare lontano lo salutano. È come un buon augurio per il suo viaggio »..
Arrivati vicino al paese abbandonammo la strada bianca di polvere sulla quale la luna proiettava l'ombra delle cose e degli alberi, per prenderec la viottola fra i. campi che passa davant[...]

[...]l cammino si incon trovano persone che ci salutavano, io chiedevo alla mamma:
«Chi sono queste persone che ci salutano? ».
« Non lo so, non li conosco».
«E perché allora ci salutano? ».
«Quassù, quando incontrano qualcuno sconosciuto che ha l'aria di andare lontano lo salutano. È come un buon augurio per il suo viaggio »..
Arrivati vicino al paese abbandonammo la strada bianca di polvere sulla quale la luna proiettava l'ombra delle cose e degli alberi, per prenderec la viottola fra i. campi che passa davanti al cancello del cimitero.. Arrivati dietro alla piccola fornace la mamma disse:
«Non passiamo davanti al cimitero. Di notte fa sempre un certo effetto ».
Si fece il segno della croce e si incamminò per il viottolo che ci portava dietro la nostra casa. Drago era arrivato prima: di noi e le.
MEMORIE 159
trovammo sotto la tavola a rosicchiare degli ossi. Tutti mi fecero grande festa; erano contenti di rivedermi e io mi sentivo felice di essere di nuovo fra loro. A tavola mi furon fatte molte domande alle quali quasi sempre rispondeva la mamma.
Ero stanco e non vedevo l'ora di andarmene a dormire. Babbo se ne acccorse e disse:
« Vai a letto, Libero, sei stracco, si vede dalla tua faccia », e prosegui: «Domani, domani ci racconterai come hai passato il tuo tempo dallo zio ».
Mi alzai, diedi la buonanotte a tutti, salii le scale a fatica e entrai in camera. Mi infilai sotto le lenzuola, mi coprii la testa, chiusi gli occhi e subito mi t[...]

[...]i furon fatte molte domande alle quali quasi sempre rispondeva la mamma.
Ero stanco e non vedevo l'ora di andarmene a dormire. Babbo se ne acccorse e disse:
« Vai a letto, Libero, sei stracco, si vede dalla tua faccia », e prosegui: «Domani, domani ci racconterai come hai passato il tuo tempo dallo zio ».
Mi alzai, diedi la buonanotte a tutti, salii le scale a fatica e entrai in camera. Mi infilai sotto le lenzuola, mi coprii la testa, chiusi gli occhi e subito mi trovai davanti allo zio che cantava e con questa visione mi addormentai.
QUINTO MARTINI



da [Gli interventi] Valentino Gerratana in Studi gramsciani

Brano: Valentino Gerratana

Nella sua relazione Togliatti ha accennato, parlando della metafora gramsciana relativa alla distinzione tra guerra manovrata e guerra di posizione, all'identità che si può vedere, anche su questo problema, tra Ja concezione di Gramsci e quella di Lenin. Su questo stesso tema vorrei fermarmi nel mio breve intervento, non solo perché la concezione di Gramsci della « guerra di posizione» ha grande importanza nello sviluppo del suo pensiero, ma anche perché proprio su questo problema sono state recentemente tentate delle false e tendenziose interpretazioni che sì sforzano di opporre le posizioni di Gramsci a quelle di Le[...]

[...]in. Su questo stesso tema vorrei fermarmi nel mio breve intervento, non solo perché la concezione di Gramsci della « guerra di posizione» ha grande importanza nello sviluppo del suo pensiero, ma anche perché proprio su questo problema sono state recentemente tentate delle false e tendenziose interpretazioni che sì sforzano di opporre le posizioni di Gramsci a quelle di Lenin.

Il tema è strettamente connesso, come del resto ha rilevato anche Togliatti, alTelaborazione di Gramsci della teoria dell’egemonia e alla sua critica della teoria troschista della rivoluzione permanente. Conviene quindi rifarsi, per chiarire meglio la cosa, al saggio sulla Quistione meridionale, dove Gramsci a un certo punto, usando per la prima volta, — mi pare — il termine di « egemonia del proletariato », afferma che i comunisti torinesi, prima ancora che sul piano teorico si erano posti concretamente il problema dell’egemonia del proletariato affrontando la questione delle alleanze della classe operaia. È da qui, io credo, che bisogna partire: dal nesso pratico tra il problema dell’egemonia e la questione politica delle alleanze.

Non ogni alleanza, però, implica il concetto di egemonia. Non lo implica un’alleanza contingente, pr[...]

[...]rima ancora che sul piano teorico si erano posti concretamente il problema dell’egemonia del proletariato affrontando la questione delle alleanze della classe operaia. È da qui, io credo, che bisogna partire: dal nesso pratico tra il problema dell’egemonia e la questione politica delle alleanze.

Non ogni alleanza, però, implica il concetto di egemonia. Non lo implica un’alleanza contingente, provvisoria, puramente strumentale, destinata a sciogliersi appena siano raggiunti gli scopi immediati per cui si è formata. Era di questo tipo infatti l’alleanza tra operai e contadini quale era visto da Trotzki nella sua teoria della « rivoluzione perma
38*,586

Gli interventi

nente ». Secondo questa teoria, nel passaggio delk rivoluzione dalla fase democraticoborghese alla fase socialista, l’avanguardia operaia avrebbe dovuto rompere ogni alleanza, ed entrare in conflitto, non soltanto con tutti i gruppi delk borghesia che l’avevano sostenuta nei primi tempi della sua lotta rivoluzionaria, ma anche con le grandi masse contadine, con l’aiuto delle quali era giunta al potere. Abbkmo cosi qui una concezione delle alleanze delk classe operaia che prevede la loro dissoluzione appena vengano in primo piano e si pongano direttamente gli obiettivi delk trasf[...]

[...]sta, l’avanguardia operaia avrebbe dovuto rompere ogni alleanza, ed entrare in conflitto, non soltanto con tutti i gruppi delk borghesia che l’avevano sostenuta nei primi tempi della sua lotta rivoluzionaria, ma anche con le grandi masse contadine, con l’aiuto delle quali era giunta al potere. Abbkmo cosi qui una concezione delle alleanze delk classe operaia che prevede la loro dissoluzione appena vengano in primo piano e si pongano direttamente gli obiettivi delk trasformazione socialista delk società. Ne deriva una concezione della dittatura del proletariato che esclude la possibilità per la classe operaia di dirigere ancora i suoi alleati appena sono raggiunti i compiti della rivoluzione democraticoborghese, che esclude quindi l’egemonia della classe operaia in un’alleanza con altri ceti sociali per la costruzione di una società socialista.

Questa impostazione del problema ha grande importanza per le conseguenze che necessariamente se ne ricavano nella strategia delk rivoluzione socialista, anche sul piano internazionale. Ad esempi[...]

[...]ta, anche sul piano internazionale. Ad esempio, dalla sua teoria delk rivoluzione permanente, con la concezione che abbiamo già ricordato dell’inevitabile dissoluzione delle alleanze che hanno permesso alla classe operaia di conquistare il potere, Trotzki traeva la conseguenza dell’impossibilità della costruzione del socialismo in un solo paese e vedeva quindi l’unica salvezza dello Stato sovietico nella possibilità di suscitare la rivoluzione negli altri paesi. « Le contraddizioni — scriveva Trotzki — nella situazione del governo operaio di un paese arretrato, con una maggioranza schiacciante di popolazione contadina, potranno trovare la loro soluzione soltanto su scala internazionale, suH’afena delk rivoluzione mondiale del proletariato ».

Per Lenin, invece, come per Gramsci, la soluzione di queste contraddizioni può essere trovata soltanto nella funzione egemonica della classe operaia, nella sua capacità di dirigere questa maggioranza non proletaria delk popolazione. Lenin si rendeva conto che questo compito del proletariato non er[...]

[...]sci comunque conserva tutta la sua validità, indipendentemente dal paragone, del resto occasionale, e che non deve essere preso alla lettera, come avverte lo stesso Gramsci, con la strategia militare.

È bene però chiarire che non si tratta di una scelta definitiva tra guerra manovrata e guerra di posizione, tra conquista violenta del potere e conquista graduale, più o meno pacifica. Chi, per contrapporre Gramsci

1 M. S., pp. 201202.588

Gli interventi

a Lenin, interpreta in tal modo queste pagine di Gramsci distorce tendenziosamente il suo pensiero. « La verità è — scrive Gramsci esplicitamente — che non si può scegliere la forma di guerra che si vuole ». Non si tratta quindi di scegliere una volta per sempre una forma o l’altra di lotta politica, ma di vedere quale è la più importante in un dato momento storico. « Gli stessi tecnici militari — scrive ancora Gramsci — che ormai si sono fissati sulla guerra di posizione come prima lo erano su quella manovrata, non sostengono certo che il tipo precedente debba essere considerato come espunto dalla scienza; ma che, nella guerre tra gli Stati più avanzati industrialmente e civilmente, esso deve considerarsi ridotto a funzione tattica più che strategica, deve considerarsi nella stessa posizione in cui era prima la guerra d’assedio in confronto a quella manovrata» \

Su questa base Gramsci critica la 'teoria di Trotzki della « rivoluzione permanente », che, sottovalutando e negando la funzione egemonica della classe operaia, indicava a tuto il movimento operaio internazionale la sola prospettiva dell’assalto rivoluzionario. È da vedere, scrive Gramsci a questo proposito, se la teoria di Trotzki della « rivoluzione permanente[...]

[...]aso si potrebbe dire che Bronstein, che lappare come un “ occidentalista ”, era invece un cosmopolita, cioè superficialmente nazionale e superficialmente occidentalista o europeo. Invece Ilici era profondamente nazionale e profondamente europeo » 2.

Gramsci vede dunque in Lenin, proprio in questo suo contrasto con le posizioni di Trotzki, il teorizzatore di una nuova strategia rivoluzionaria, sulle basi del principio di egemonia. « Mi pare — egli scrive poco dopo nella stessa pagina citata — che Ilici aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente [cioèin Russia} nel ’17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente... » 3.

1 Mach., p. 66.

2 Mach., p. 67.

3 Mach., p. 68.Valentino Gerratana

589

Se si pensa alle condizioni in cui Gramsci era costretto a lavorare, all’impossibilità in cui egli si trovava di poter consultare la documentazione necessaria, non può sorprendere la forma cauta delle sue affermazioni. «Mi pare», egli scrive, ma non ricordava male; il suo richiamo a Lenin anche in questo punto è del tutto giustificato e possiamo ora controllarlo sui testi stessi di Lenin.

Nel passo citato vi è in realtà un solo termine di riferimento, alla formula — scrive Gramsci — del « fronte unico ». Togliatti nella sua relazione ha chiarito come tale riferimento vada riportato ai dibattiti e alle 'tesi del III Congresso deFIntefnazionale, che è del 1921. Il richiamo è effettivamente illuminante e particolarmente utile oggi, di fronte ai tentativi di presentare la Rivoluzione d’Ottobre come una rivoluzione di minoranza, fatta dall’alto, rispetto al metodo della conquista democratica della maggioranza che sarebbe esclusivo delle società capitalisticamente evolute. Il III Congresso deH’Internazionale rifiuta questa assurda contrapposizione, non perché la seconda tesi non sia vera, ma perché è fal[...]

[...]a tattica del fronte unico, come necessaria in quel momento, nei paesi occidentali, per la conquista della maggioranza, e giustamente in questa tattica Gramsci vede un esempio di passaggio dalla guerra manovrata alla guerra di posizione.

È possibile però, mi pare, trovare altri riferimenti, per questo richiamo di Gramsci alte posizioni di Lenin, in documenti anteriori al 1921.

1 L’Internazionale comunista, Roma, 1950, pp. 324 e 327.590

Gli interventi

Già infatti in un discorso del 7 marzo 1918, il rapporto sulla guerra e sulla pace al VII Congresso del Partito, Lenin si rendeva conto di questa necessità di passare dalla guerra di movimento alla guerra di posizione, sia in Russia dove si era fatta la rivoluzione, sia nei paesi europei dove la rivoluzione non era incominciata. « Quanto più è arretrato — diceva allora Lenin — il paese nel quale in virtù degli zigzag della storia, 'ha dovuto incominciare la rivoluzione socialista, tanto più è per esso difficile passare dai vecchi rapporti capitalistici a rapporti socialisti. Ai compiti della distruzione si aggiungono qui nuovi compiti, di una difficoltà inaudita, i compiti di organizzazione ». Questi nuovi compiti, aggiunge Lenin, non potevano essere assolti con un « attacco alla baionetta », cosi come si era riusciti, a fare per i compiti della guerra civile.

«Per tutti coloro — continua Lenin — che avevano meditato sulle condizioni economiche di una rivoluzione socialista in Europa non poteva [...]

[...]nciata in Russia, paese di Nicola e di Rasputin, dove per un’immensa parte della popolazione era indifferente sapere quali popoli abitassero la periferia e che cosa colà avvenisse. In un paese simile era cosa facile incominciare la rivoluzione, facile come sollevare una piuma. Ma cominciare senza preparazione la rivoluzione in un paese dove si è sviluppato il capitalismo, che ha dato una cultura e il senso dell’organizzazione democratica a tutti gli uomini, sino all’ultimo, sarebbe un errore, un’assurdità » 1.

Si capisce meglio, mi sembra, tenendo presenti queste pagine di Lenin, il senso esatto delle considerazioni di Gramsci, e si può valutare meglio l’importanza delle sue conclusioni. « In Oriente — scrive Gramsci, cioè in Russia — lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; neirOccidente, tra Stato e società civile cera un giusto rapporto,

1 Opere scelte, Mosca, II, 1948, p. 283Valentino Gerratana

591

e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazio[...]

[...]
e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale » \

Nello stesso punto Gramsci aveva anche notato che Lenin « non ebbe il tempo di approfondire la sua formula, pur tenendo conto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno e una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagli elementi della società civile, ecc. » 2.

Abbiamo qui, come si vede, la linea teorica di quella prospettiva politica e strategica che sarà poi nota come la linea delle vie nazionali al socialismo.

In gran parte però anche a Gramsci non fu concesso che l'approfondimento teorico del problema, che contemporaneamente veniva affrontato e risolto con successo sul piano politico, nonostante incertezze ed errori, dal movimento operaio internazionale. D’altra parte la stessa struttura del terreno, sia in Italia che sull’arena mondiale è mutata profondamente dai tempi in cui Gramsci scriveva, e qu[...]

[...]empi in cui Gramsci scriveva, e quindi l’accurata « ricognizione del terreno », di cui Gramsci indicava la necessità, dev’essere fatta di nuovo, tenendo conto dei nuovi elementi emersi nella situazione e dei mutamenti relativi.

Per questo è assurdo isolare, come mi sembra abbia fatto Caracciolo nel suo intervento, un istituto particolare sorto storicamente iin un momento determinato della lotta del movimento operaio italiano, qual è il « Consiglio di fabbrica » nel movimento àélYOrdine Nuovo, e fare di esso il centro del pensiero di Gramsci, la sola ed unica giustificazione del suo leninismo.

Certo non è affatto escluso che forme analoghe ai Consigli di fabbrica sorgano e si sviluppino in altre situazioni storiche, ma sarebbe astratta qualsiasi analisi che si fermasse soltanto alle analogie formali senza approfondire la concreta funziona storica alla quale queste istituzioni

1 Mach., p. 68.

2 Mach., p. 68.592

Gli interventi

rispondono di volta in volta. Solo in questo modo, ad esempio, si possono mettere a confronto, tenendo conto della profonda diversità delle situazioni — come è stato fatto in un recente Convegno indetto a Roma dall’Istituto Gramsci — esperienze cosi diverse e lontane nel tempo come quella dei Consigli operai della moderna Jugoslavia e quella dei Consigli di fabbrica del movimento operaio torinese nel primo dopoguerra.

Situando storicamente questa esperienza dei Consigli di fabbrica, e inquadrando storicamente la sua idea ispiratrice nel pensiero e nell’azione rivoluzionaria di Gramsci, Togliatti ha ricondotto la funzione positiva dei Consigli ial loro valore educativo, suscitatore di capacità rivoluzionarie. Nello stesso senso esistono riconoscimenti precisi dello stesso Gramsci, che Caracciolo ha creduto di poter ignorare, trascurando cosi il legame tra l’esperienza rivoluzionaria nel ’ 1920 con gli sviluppi successivi del pensiero e dell’azione di Gramsci. Ma è solo con questo procedimento vizioso che egli ha potuto sostenere la tesi antistoricistica di una funzione permanente dei Consigli come organismi di potere.. Si tratta in fondo dello stesso procedimento seguito da chi fa della democrazia parlamentare l’unica forma di democrazia, e di chi, al contrario, escludendo ogni utilizzazione dell’istituto parlamentare, assume come modello obbligatorio un determinato modo storico con cui la classe operaia è arrivata al potere.

Ben diverso appare invece, mi sembra, il presupposto fondamentale chiarito dal dibattito di questo Convegno, per scorgere l’attualità, la concretezza e l’importanza deU’insegnamento gramsciano. Affermando l’impossibilità di isolare questo o quell momento d[...]



da Andrea Binazzi, Raffaele Pettazzoni in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: RITRATTI CRITICI DI CONTEMPORANEI

RAFFAELE PETTAZZONI

Nel 1952, quando, nei « Libri del tempo » di Laterza, usci Yltalia religiosa di Raffaele Pettazzoni furono in molti, tra i laici progressisti, a recensire e a citare il libro come un momento alto della battaglia contro il confessionalismo della Chiesa cattolica e contro l’affermarsi nella vita sociale e politica di un modo di concepire la religione che non lasciava spazi per la storia, ma tutto tendeva a risolvere in termini di autorità. Ernesto De Martino, sul « Mondo » del 14 marzo 1953, dedicò al libro un lungo articolo dove le forti riserve metodologiche e teoriche lasciavano immediatamente il campo all’apprezzamento dell’opera come « documento significativo dello sforzo compiuto da questo studioso per legare le ricerche storicoreligiose alla problematica del mondo moderno » 1. Secondo il De Mar[...]

[...]spazi per la storia, ma tutto tendeva a risolvere in termini di autorità. Ernesto De Martino, sul « Mondo » del 14 marzo 1953, dedicò al libro un lungo articolo dove le forti riserve metodologiche e teoriche lasciavano immediatamente il campo all’apprezzamento dell’opera come « documento significativo dello sforzo compiuto da questo studioso per legare le ricerche storicoreligiose alla problematica del mondo moderno » 1. Secondo il De Martino, dagli scritti raccolti nel volume traspare la preoccupazione « che si stiano preparando giorni duri per le sorti dell’idea laica in Italia, e che quindi anche i frutti della sua [del Pettazzoni] fatica di storico delle religioni rischino di andar dispersi, o quanto meno la loro maturazione ritardata ».

Altri, come Piero Calamandrei, da una diversa angolatura, ma per linee convergenti, nel compiacersi di aver trovato nel libro del Pettazzoni la Resistenza collocata tra i momenti della storia religiosa d’Italia e nell’insistere sul carattere di « insurrezione morale » di quel moto popolare, afferm[...]

[...]imonie liturgiche »2.

Questo libro, insieme ai primi volumi, pressoché contemporanei, di Miti e leggende, fece conoscere il Pettazzoni anche tra il largo pubblico e

1 E. De Martino, Italia religiosa, in « Il Mondo », 14 marzo 1953, p. 4.

2 P. Calamandrei, Passato e avvenire della Resistenza, ora in Scritti e discorsi politici, voi. I, Storia di dodici anni, Firenze 1966, tomo n, p. 51.176

ANDREA BINAZZI

lo collocò decisamente tra gli intellettuali italiani impegnati a contrastare l’egemonia del clericalismo. In questo schieramento, del resto, egli si era già venuto a trovare quando, tra le famose Lettere scarlatte, fu pubblicata una sua lettera al « Mondo » scritta per chiarire pubblicamente la vicenda delPvm Congresso internazionale di storia delle religioni che la presidenza del Consiglio non giudicava opportuno si svolgesse a Roma. In quella lettera il Pettazzoni, con la consueta misura e con grande spirito di tolleranza, faceva appello alle ragioni della scienza e della cultura, ma anche a quelle del buon senso secondo le quali era ingiustificato, e perfino esagerato, pensare che un congresso intemazionale di studiosi avrebbe potuto mettere in discussione i rapporti tra Stato e Chiesa stabiliti dal Concordato e chiedeva pubblicamente, riprendendo una richiesta di Benedetto Croce, che gli oppositori esponessero le loro ragioni, se ne avevano di valide3. In quelli e negli ann[...]

[...]ttera il Pettazzoni, con la consueta misura e con grande spirito di tolleranza, faceva appello alle ragioni della scienza e della cultura, ma anche a quelle del buon senso secondo le quali era ingiustificato, e perfino esagerato, pensare che un congresso intemazionale di studiosi avrebbe potuto mettere in discussione i rapporti tra Stato e Chiesa stabiliti dal Concordato e chiedeva pubblicamente, riprendendo una richiesta di Benedetto Croce, che gli oppositori esponessero le loro ragioni, se ne avevano di valide3. In quelli e negli anni successivi, fino alla morte, il Pettazzoni, oltre a proporre con sempre maggiore insistenza, anche se non senza oscillazioni, una visione storica delle religioni, partecipò attivamente alla battaglia civile per la libertà religiosa: nel 1957 fu relatore al sesto convegno degli Amici del Mondo su Stato e Chiesa, nel 1958 parlò a Roma, al Teatro Eliseo, insieme ad Arturo Carlo Jemolo, individuando nella « carenza del principio della libertà religiosa » « un segno dell’arretratezza » dell’Italia e invitando i partiti « laici di massa », sensibili « ai riflessi politici della situazione religiosa italiana», a non preoccuparsi «dei frutti senza occuparsi della radice »4. Riprendeva, in quell’intervento, il problema delle minoranze religiose non cattoliche, di fatto discriminate e private dei diritti garantiti loro dalla Costituzione, che già aveva affrontato nell’ultimo[...]

[...]ssa », sensibili « ai riflessi politici della situazione religiosa italiana», a non preoccuparsi «dei frutti senza occuparsi della radice »4. Riprendeva, in quell’intervento, il problema delle minoranze religiose non cattoliche, di fatto discriminate e private dei diritti garantiti loro dalla Costituzione, che già aveva affrontato nell’ultimo saggio delYItalia religiosa, chiuso da un’amara riflessione: « La libertà religiosa esiste ed esisterà negli Stati Uniti finché i cattolici vi sono e vi saranno in minoranza. Il giorno in cui... i cattolici saranno diventati maggioranza, allora essi, in nome delle prerogative spettanti all’unica Chiesa vera, reclameranno per sé soli il diritto alla libertà »5.

Mentre VItalia religiosa suscitò grande consenso come momento della battaglia anticlericale, come opera storica subi l’attacco dei crociani, soprattutto per il modo in cui vi era affrontata la storia religiosa dell’Italia, dominata, secondo il Pettazzoni, dal contrasto tra la « religione dell’uomo » e la « religione dello Stato » o « religione civica ».

3 Un congresso « non opportuno », in « Il Mondo », 19 gennaio 1952, poi in Religione e società, a cura di M. Gandini, Bologna 1966, pp. 157159.

4 Ver la libertà religiosa in Italia, poi in Religione e società, cit., p. 211.

5 Italia religiosa, Bari 1952, p. 154.RAFFAELE PETTAZZONI

177

Il voler ricondurr[...]

[...]ia antica. Si tratta di una serie di capitoletti intitolata Momenti della storia religiosa d'Italia »6. L’analisi del Cantimori, rapida, ma ricca di sfumature, tende soprattutto a valorizzare, al contrario di quella di De Martino, la quantità di stimoli e di suggestioni che scaturisce dalle pagine di questi capitoli, mette in guardia dal considerarle, lasciandosi magari trarre in inganno dalla semplicità espositiva, schematiche e superficiali. Coglie infine un carattere essenziale del Pettazzoni quando osserva che « la storia delle religioni, rampollante da una vena che ha percorso meandri e stratificazioni di filologia, teologia, etnografia, storia, poesia, filosofia, e di esse è saturata, tende nel Pettazzoni ad acquetarsi in una semplicità e sobrietà di formulazioni che soltanto a chi fosse viziato da complicate terminologie pseudofilosofiche potrebbe apparire come semplicismo » (ivi, p. 797).

Questa immagine di qualcosa che da una vena profonda e tortuosa finalmente esce alla luce, è quanto di più efficace si abbia a disposizione [...]

[...]ni che soltanto a chi fosse viziato da complicate terminologie pseudofilosofiche potrebbe apparire come semplicismo » (ivi, p. 797).

Questa immagine di qualcosa che da una vena profonda e tortuosa finalmente esce alla luce, è quanto di più efficace si abbia a disposizione per caratterizzare, almeno appunto a livello di immagine, l’approdo del Pettazzoni alla storia delle religioni e anche, indirettamente, alcune delle fonti principali da cui egli attinge la materia della sua storia. È vero che spesso si parla di « indirizzo storicista » per designare l’orientamento metodologico del Pettazzoni, ma l’espressione, se non viene adoprata con

6 D. Cantimori, « UItalia religiosa» di R. Pettazzoni, poi in Studi di storia, Torino 1959, p. 793.178

ANDREA BINAZZI

molta cautela e in senso molto generale (per distinguere, per esempio, nettamente il Pettazzoni dalle cosiddette correnti irrazionalistiche) rischia di portare fuori strada e di suggerire la collocazione del Pettazzoni in un’area della quale egli certamente non fece parte.

[...]

[...]mento metodologico del Pettazzoni, ma l’espressione, se non viene adoprata con

6 D. Cantimori, « UItalia religiosa» di R. Pettazzoni, poi in Studi di storia, Torino 1959, p. 793.178

ANDREA BINAZZI

molta cautela e in senso molto generale (per distinguere, per esempio, nettamente il Pettazzoni dalle cosiddette correnti irrazionalistiche) rischia di portare fuori strada e di suggerire la collocazione del Pettazzoni in un’area della quale egli certamente non fece parte.

La sua formazione si svolse lungo linee indipendenti sia dal neoidealismo sia dalle correnti pragmatiste e futuriste che furono all’avanguardia all’inizio del Novecento e dalle quali in vario modo scaturirono gli orientamenti culturali predominanti in tutta la prima metà del secolo in Italia. Dopo gli studi della prima giovinezza compiuti a S. Giovanni in Persiceto, dove era nato nel 1883, si laureò nel 1905 con una tesi sui Misteri cabirici di Samotracia presso la facoltà di lettere dell’Università di Bologna, città « degli studi positivi, dove quello che si presentava come rinnovamento idealistico e addirittura ammodernamento della cultura italiana non aveva fatto gran breccia »7. Potremmo proseguire ricordando le riviste alle quali collaborò prima della fondazione dei suoi « Studi e materiali di storia delle religioni », ma sarà sufficiente, per dare un’idea della sua formazione e dei suoi interessi, tener presente che nel 1909 diventò ispettore del Museo preistorico ed etnografico Pigorini di Roma e che, in quella veste, si recò in Sardegna a seguire un’importante campagna di scavi (ne trasse, nel 191011, alc[...]

[...]ondazione dei suoi « Studi e materiali di storia delle religioni », ma sarà sufficiente, per dare un’idea della sua formazione e dei suoi interessi, tener presente che nel 1909 diventò ispettore del Museo preistorico ed etnografico Pigorini di Roma e che, in quella veste, si recò in Sardegna a seguire un’importante campagna di scavi (ne trasse, nel 191011, alcuni brevi saggi rifusi poi, nel 1912, nel libro su La religione primitiva in Sardegna). Gli articoli e gli scritti pubblicati tra il 1910 e il 1912, con un rallentamento tra il 1915 e il 1918 dovuto alla sua partecipazione alla prima guerra mondiale, spesso preparatori di opere più vaste, testimoniano del fatto che i suoi presupposti rinviano a una tradizione culturale lontana da quella del neoidealismo italiano. Ne è la riprova il capitolo intitolato La storia delle religioni della voce Religione dell’Enciclopedia Italiana. La storia delle religioni nasce quando si manifesta un « interesse per le religioni dei popoli stranieri ». Un criterio certamente assai elementare, ma non privo di capacità e[...]

[...]gioni nasce quando si manifesta un « interesse per le religioni dei popoli stranieri ». Un criterio certamente assai elementare, ma non privo di capacità esplicative e che soprattutto rinvia a una visione tutta mondana della storia delle religioni dove essenziale risulta l’abbandono della distinzione tra religione vera e religioni false (vero il Cristianesimo, false le religioni pagane). Il grande cantiere poi dove fu costruita questa disciplina gli sembra quel secolo xvn durante il quale comparvero le prime descrizioni delle religioni del mondo « tutte fondate sopra descrizioni dei viaggiatori, i giornali di viaggio, le relazioni dei missionari, ecc. »8, anche se poi sarà Vico il vero precursore. Dell’Enciclopedia Italiana il Pettazzoni fu tra i direttori di

7 D. Cantimori, Raffaele Pettazzoni (18831959), in «Nuova Rivista Storica», xliv (1960), p. 179.

8 La storia delle religioni, voce Religione, in Enciclopedia Italiana, voi. xxix, p. 30.RAFFAELE PETTAZZONI

179

sezione, chiamato a questo incarico da Gentile nel 1925 9, e [...]

[...] prima il Pettazzoni era diventato titolare della cattedra di Storia delle religioni dell’Università di Roma voluta da Gentile 10. Quest’ultimo, sempre nel 1925, aveva raccomandato a Ernesto Codignola una collezione di «Testi e documenti di tutte le religioni più importanti» progettata dal Pettazzoni. « Ti raccomando », scriveva Gentile, « questo progetto di una collezioncina di Testi religiosi del Pettazzoni. Io credo che Vallecchi dovrebbe accogliere questa proposta perché la materia, come sai, presenta oggi un interesse larghissimo tra le persone colte non meno che tra gli studiosi; e poi il Pettazzoni dà tutte le garanzie di serietà e di coscienza » n. Vallecchi non pubblicò la collana, che uscì poi, alcuni anni dopo, presso Zanichelli di Bologna.

Ma questo interessamento e questa buona disposizione del Gentile non devono trarre in inganno. Non risulta infatti che il filosofo siciliano abbia mai modificato il giudizio che della storia delle religioni e del Pettazzoni aveva formulato in due recensioni pubblicate sulla « Critica » del 1922, una dedicata a Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. I: L’essere celeste nelle cr[...]

[...]a alla traduzione italiana della Storia delle religioni del Foot Moore. Opera « insigne » quest’ultima « che con poderoso sforzo abbraccia tutte le religioni storiche dei popoli civili, e ne traccia con discreta larghezza e copia di particolari la storia... », ma storia « da erudito... da critico... da spirito indifferente a quell’umanità, che crede di poter studiare soltanto perché se n’è tratto fuori per mettersela innanzi e poterla guardare meglio... Ma rimane sempre inesplorata quella tale sorgente da cui tutti i problemi derivano, e in cui è il principio di tutti questi fatti ». Manca a una storia delle religioni così concepita « quel senso della vita comune ed eterna più che storica, ideale più che reale o contingente, onde si ha propriamente il diritto di congiungere insieme e riconnettere, per quanto è possibile, tutte le religioni in una sola storia » 12. Segue di poco a

9 Cfr. G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna 1980, p. 55.

10 Fu una di quelle cattedre, ricorda il Cantimori, istituite « allo s[...]

[...]lla tale sorgente da cui tutti i problemi derivano, e in cui è il principio di tutti questi fatti ». Manca a una storia delle religioni così concepita « quel senso della vita comune ed eterna più che storica, ideale più che reale o contingente, onde si ha propriamente il diritto di congiungere insieme e riconnettere, per quanto è possibile, tutte le religioni in una sola storia » 12. Segue di poco a

9 Cfr. G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna 1980, p. 55.

10 Fu una di quelle cattedre, ricorda il Cantimori, istituite « allo scopo di procurare una possibilità di lavoro scientifico a uno studioso che si dedichi ad un tipo di ricerca e di indagine fino a quel momento non preveduto nell’ordinamento generale delle Università » (Conversando di storia, Bari 1967, p. 193).

11 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Giovanni Gentile a Ernesto Codignola. Lettera del 20.V.1925. Ringrazio Franca Gazzarri Santagostino, segretaria del Centro, per avermi segnalato questa lettera.

12 G. Gent[...]

[...]tamente agitate dal Pettazzoni sul significato delle credenze fondamentali del genere umano (ivi, p. 301).

Con Svolgimento e carattere della storia delle religioni, questo il titolo della lezione inaugurale tenuta a Roma, il Pettazzoni sembrava voler fare i conti con obiezioni « filosofiche » di questo tipo, proprio nel momento in cui delineava il programma generale del suo insegnamento accademico. Scritti di molto posteriori confermano come egli considerasse sufficiente assumere dal pensiero storicistico l’« idea di svolgimento » che gli permetteva di porre alla base del suo lavoro « il principio che ogni singolo fatto storicoreligioso è una formazione, e come tale lo sbocco — e quindi l’indice di uno svolgimento anteriore e insieme il punto di partenza di un ulteriore sviluppo, e un fatto storico sarà per noi sufficientemente spiegato solo quando sia debitamente inserito nella sua propria linea di sviluppo » 14. Ugo Casalegno, al quale si deve l’unico studio sistematico sul Pettazzoni finora pubblicato 15, vede in questo testo e nelle opere di questo periodo la « svolta storicista » del Pettazzoni, anche se poi si affretta [...]

[...] si affretta a segnalare i limiti di una etichettatura di questo genere: ne rimane fuori, se non altro, proprio quell’autonomia della religione che giustifica l’intento di farne una storia a sé, senza ridurla a storia di qualcos’altro, intento che

il Croce non avrebbe mai considerato legittimo. Il filosofo napoletano, che molti anni prima aveva avuto apprezzamenti decisamente positivi per il giovane storico delle religioni quando quest’ultimo gli aveva mandato un

13 G. Gentile, ree. a R. Pettazzoni, Dio ecc., in « La Critica », xx (1922), p. 298.

14 Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari 1924, p. 23.

15 U. Casalegno, Dio, esseri supremi, monoteismo nell’itinerario scientifico di Raffaele Pettazzoni, Torino [1979].RAFFAELE PETTAZZONI

181

articolo sul mito 16, reagì duramente alla Lezione inaugurale, affermando categoricamente che gli studi storicoreligiosi non nascevano in Italia « per alcun bisogno né speculativo né morale, ma unicamente per bisogno di erudizione » 17. Il giudizio era aspro e definitivo e riecheggiò spesso, successivamente, nelle posizioni dei crociani a proposito della storia delle religioni e del suo fondatore in Italia.

Particolarmente severa, per esempio di una severità sorprendente, quasi inspiegabile , la recensione, ancora nel 1937, delPOmodeo alla Confessione dei peccati, che finiva con un provocatorio accostamento del Pettazzoni al De Maistre, entrambi responsabili, secondo l’affrettata argo[...]

[...]isteri, ecc., la distanza tra lui e i neoidealisti aumentò, proprio con il chiarificarsi nella sua mente di quei concetti che avrebbe poi precisato di non aver appreso a nessuna scuola20. Si trovò quasi sempre da solo a cercare spazio per far conoscere il lavoro suo e della sua scuola romana. Ne troviamo una testimonianza puntuale nelle lettere indirizzate a Ernesto Codignola in qualità di direttore della « Civiltà moderna ». AlPinizio del 1930, gli spedi un estratto delle voci da lui redatte per la seconda edizione della Religion in Geschichte und Gegenwart, insieme a una lettera dove gli proponeva che i suoi scritti fossero recensiti sulla rivista:

... Io sto battagliando da tempo contro studiosi stranieri intorno al concetto di monoteismo e al suo sviluppo nella storia delle religioni. Recentemente ho avuto modo di far conoscere largamente le mie idee in proposito, avendo avuto Pincarico di scrivere Particolo « Monoteismo » e « Monolatria » per la più diffusa enciclopedia tedesca di scienze religiose, di cui ora si pubblica la seconda edizione. Che all’estero certi problemi trovino maggiore interesse che da noi è noto. Ma che proprio debbano restare inosservati in Italia non è giusto. Per ciò le mando Pestratto contenente il mio articolo con la speranza c[...]

[...]25 aveva fondato « Studi e materiali di storia delle religioni », la rivista sua e della sua scuola romana. Sorprende, perciò, che uno studioso come lui, autore di una vasta produzione scientifica, sentisse il bisogno, non soltanto di sollecitare una recensione a una rivista cosa di per se stessa non particolarmente degna di nota ma di farlo lamentandosi dell’indifferenza che circondava i problemi storicoreligiosi in Italia. Il Codignola inviò gli scritti sul monoteismo e poi, Panno successivo, la traduzione

20 L'onniscienza di Dio, Torino 1955, p. x.

21 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Raffaele Pettazzoni a Ernesto Codignola. Lettera del 26.ii.1930.

22 Ivi. Lettera del 29.iu.1934. Il Salvatorelli aveva recensito nel 1933 YAllwissende (cfr. «Civiltà moderna», v (1933), pp. 196198).RAFFAELE PETTAZZONI

183

tedesca del saggio sulla religione nazionale del Giappone ad Antonio Banfi che ne scrisse due recensioni attraverso le quali propose una lettura meno scontata di quelle alle quali si è fa[...]

[...]one nazionale del Giappone ad Antonio Banfi che ne scrisse due recensioni attraverso le quali propose una lettura meno scontata di quelle alle quali si è fatto riferimento prima, da un lato sottolineando « il carattere ben rilevato dal Pettazzoni, di assoluta novità del monoteismo rispetto al politeismo », il suo fondarsi « non sulla tradizione, ma sulFassoluta, radicale originalità di una viva esperienza prettamente religiosa »23 e dall’altro cogliendo felicemente l’originalità del metodo seguito dal Pettazzoni nel ricostruire un aspetto fondamentale della vita religiosa del popolo giapponese.

Lo scritto del Pettazzoni, ricco di dottrina, limpido nel disegno delle linee fondamentali del processo storico, luminoso ed insieme equilibratissimo e prudente nell’uso del metodo di comparazione è un modello di studio della vita religiosa di un popolo il cui processo è riconosciuto nel suo rapporto allo sviluppo generale della cultura e le cui forme, lungi dall’essere definite secondo astratte e indeterminate categorie della religiosità, sono[...]

[...]di un popolo il cui processo è riconosciuto nel suo rapporto allo sviluppo generale della cultura e le cui forme, lungi dall’essere definite secondo astratte e indeterminate categorie della religiosità, sono colte nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi24.

Resta comunque la netta sensazione che il Pettazzoni proceda per conto proprio, in stretta relazione con le grandi fonti della conoscenza dei fatti religiosi, con gli autori classici, con gli storici delle religioni, gli etnologi e gli antropologi stranieri25. Gli interlocutori del suo dialogare furono costantemente il Tylor, il Frazer, lo Schmidt, il LévyBruhl, il Lang, Max Miiller: le loro opere gli offrirono la materia fondamentale delle sue riflessioni sull’evoluzionismo, sul comparativismo, sulla scuola storicoculturale. A questi si aggiunsero più tardi van der Leeuw e Eliade. La ricerca empirica, la raccolta cioè dei documenti e delle testimonianze, gli forniva un prodotto che aveva bisogno di essere analizzato e interpretato, non piegato forzatamente a dimostrare una teoria precostituita. Anzi,

i concetti sono sempre in movimento, il pensiero si arrischia a muoversi con i fatti e perciò in modo non sempre lineare, tanto che, per esempio, non sembra che al Pettazzoni sia apparso strano risolvere il fatto religioso nella storia delle religioni e contemporaneamente mantenere il valore autonomo della religione con una conseguente scienza che sembra affiancarsi alla storia delle religioni.

23 A. Banfi, ree. a R. P., Monotheismus ecc., in «[...]

[...]a prima edizione della Religione nella Grecia antica, si era limitato a segnalare che il suo interesse andava a quei particolari momenti di crisi che avrebbero potuto dare luogo a « un rinnovamento originale della religione », com’era stato quello caratterizzato dal manifestarsi della religiosità dionisiaca26. Trent’anni dopo, nell’introduzione all’edizione del 1953 della stessa opera, il Pettazzoni precisa invece che una delle idee generali che gli si sono venute chiarendo nel tempo è che la religione è « una forma della civiltà, e storicamente non s’intende se non nel quadro di quella particolare civiltà di cui fa parte, e in organica connessione con le altre sue forme, quali la poesia, l’arte, il mito, la filosofia, la struttura economica, sociale e politica: concezione ovvia, che fu già variamente applicata allo studio della civiltà europea e, più recentemente, allo studio delle civiltà primitive » (pp. 910). Certo, si tratta di una enunciazione generalissima, ovvia dice l’autore, insoddisfacente anche, potremmo aggiungere noi, perch[...]

[...]licativo. Ma va tenuto presente da dove si parte, va tenuto conto delle teorie con le quali il Pettazzoni ha dovuto porsi in relazione e anche di un movimento interno che sembra avere caratterizzato sempre il suo pensiero. Evoluzionismo, comparativismo tipologico, teoria del monoteismo originario non consideravano la connessione tra i fatti religiosi e il modo di essere complessivo di una civiltà e delle diverse società. Di qui la sua polemica degli anni Venti verso quelle posizioni teoriche, ma dalla stessa radice nasce anche la critica serrata dell’uomo archetipico di Eliade consegnata agli ultimi suoi appunti (« L’uomo, fin da quando comincia ad essere uomo è insieme archetipico e storico, mitico e razionale, magico e religioso. Non esiste una umanità archetipica, anteriore all’uomo storico »27).

Mi sembra che il Pettazzoni migliore si scopra tentando di seguirlo in alcune analisi attraverso le quali egli cerca di individuare le forme specifiche in cui una religione si connette con la civiltà alla quale appartiene e non dimenticando quel presupposto dal quale egli si fece sempre guidare

nella polemica con lo Schmidt come in quella con il van der Leeuw che cioè l’indagine sui diversi aspetti della vita religiosa di un popolo deve sempre preoccuparsi di organizzare i dati empirici perché essi possano dire

26 La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna 1921, p. vii.

27 Gli ultimi appunti, ora in Religione e società, cit., p. 125.RAFFAELE PETTAZZONI

185

qualcosa sulle concezioni che vi si riflettono e deve rinunciare a pensare che essi debbano essere piegati a supporto di teorie generali.

Significativo, da questo punto di vista, è il saggio sulla lapidazione, da considerarsi lavoro preparatorio della Confessione dei peccati, dove è in questione il rapporto tra « legge sacrale » e « legge morale ». È pericoloso, secondo il Pettazzoni, lasciarsi guidare nella ricostruzione di una pratica di questo tipo, da quanto troviamo codificato nel diritto, perché d[...]

[...]e di una pratica di questo tipo, da quanto troviamo codificato nel diritto, perché da questo saremmo indotti a credere che la lapidazione avesse avuto fin dall’inizio « una particolare connessione » con i reati di furto. « Anzi », aggiunge il Pettazzoni, « è verosimile che nell’opera relativamente tarda di codificazione e sistemazione giuridica facilmente sia stato oscurato o alterato il senso primitivo della lapidazione, quale invece si potrà cogliere soltanto risalendo alle fasi più arcaiche: quelle fasi in cui alla forma primitiva della società corrispondeva anche una religione primitiva, ed anche la lapidazione potè ben avervi un carattere religioso, ma secondo un tipo di religiosità prepoliteistico e direi quasi presacrificale... »28. Primitivamente la lapidazione non è soltanto sacrificio, ma anche catarsi, anzi, scopo del saggio è quello di dimostrare che essa « è tutta catarsi, cioè liberazione, allontanamento, religiosità negativa... ». Ne è un esempio quanto accadeva in tempi più lontani in Arcadia.

Era costume degli Arcadi [...]

[...]itiva, ed anche la lapidazione potè ben avervi un carattere religioso, ma secondo un tipo di religiosità prepoliteistico e direi quasi presacrificale... »28. Primitivamente la lapidazione non è soltanto sacrificio, ma anche catarsi, anzi, scopo del saggio è quello di dimostrare che essa « è tutta catarsi, cioè liberazione, allontanamento, religiosità negativa... ». Ne è un esempio quanto accadeva in tempi più lontani in Arcadia.

Era costume degli Arcadi che chi volontariamente avesse varcato il recinto inviolabile di Zeus Lykàios fosse lapidato, e chi inavvertitamente vi avesse messo piede fosse bandito... Costume, evidentemente, sacrale: legge sacrale, non legge morale: certo non quella legge per cui in Grecia si lapidarono traditori e parricidi e simili, e nemmeno quella onde altrove si lapidarono eretici e scomunicati; e tuttavia legge, e legge religiosa, per cui non l’entrare in un santuario in genere è colpa, eppure è colpa gravissima entrare in quel dato santuario, in quel dato luogo che è l’unico ed eccezionale, che in base a c[...]

[...]mento dell’idea religiosa di peccato. Anzi che distribuita in uno schema tipologico, la materia è lasciata entro i quadri naturali del luogo e del tempo... »29. La storia delle religioni, da parte sua, lungi dall’essere la specificazione storica di idee generali, si configura come un criterio, una « veduta d’insieme » che via via si precisa e nel precisarsi offre anche al materiale empirico, talvolta, la possibilità di diventare significativo. « Gli svolgimenti particolari », scrive infatti il Pettazzoni, « della confessione nelle singole religioni hanno dovuto in gran parte essere costruiti insieme con la teoria generale. Specialisti avrebbero potuto far meglio, ciascuno nel proprio campo. Ma non pochi aspetti, anche particolari, soltanto nella veduta d’insieme hanno potuto venire alla luce, ciò ch’è appunto l’ufficio e la ragion d’essere della * storia delle religioni ’ » (ivi, p. xi). La fecondità di questo punto di vista generale si verifica poi nella interpretazione delle testimonianze sulla confessione presso i popoli primitivi. Lo Schmidt piegava le testimonianze sulla confessione dei peccati alla sua tesi del monoteismo primordiale e si rifiutava perciò di pensare che presso i primitivi questa pratica avesse un carattere essenzialmente magic[...]

[...]eccato sarebbe connotato esclusivamente in senso etico.

29 La confessione dei peccati, voi. i, Bologna 192936, p. ix.RAFFAELE PETTAZZONI

187

Quando scrive, nel 1945, il breve saggio su Monoteismo e « Urmonotheismus » dove riassume con precisione e con chiarezza in quali termini fosse venuta modificandosi Poriginaria impostazione del problema e individua il punto di svolta nelPimportanza crescente che venne assumendo per lui lo studio degli attributi divini (« ... lo studio degli attributi doveva condurmi più lontano »), il Pettazzoni sembra scavare dentro le connessioni della religione con le altre forme della civiltà e con la società riallacciandosi anche al suo primo lavoro sulla religione greca con quella efficace e precorritrice analisi del mito dionisiaco che vi era contenuta. Viene da pensare alle ricchissime descrizioni della Confessione, all’insistenza sulla specificità delle sue diverse forme quando si legge, in Monoteismo e « Urmonotheismus » : « venni persuadendomi sempre più che la identità e l’unicità di natura degli esseri supremi era da abbandonare ...[...]

[...] con le altre forme della civiltà e con la società riallacciandosi anche al suo primo lavoro sulla religione greca con quella efficace e precorritrice analisi del mito dionisiaco che vi era contenuta. Viene da pensare alle ricchissime descrizioni della Confessione, all’insistenza sulla specificità delle sue diverse forme quando si legge, in Monoteismo e « Urmonotheismus » : « venni persuadendomi sempre più che la identità e l’unicità di natura degli esseri supremi era da abbandonare ... e che non tutti gli attributi appartenevano necessariamente a ciascun essere supremo, ma quale all’uno e quale all’altro secondo la sua natura. Né questa natura, con i suoi propri attributi è casuale e fortuita, ma condizionata essa stessa dall’ambiente culturale in cui ciascun essere supremo si è formato »30. L’etnologia31, parente stretta della storia delle religioni, dovrà assumersi il compito di « verificare e determinare » gli ambienti e le culture da cui si originano gli attributi.

L’opera dove questo punto di vista trova la sua espressione più esauriente è senz’altro L’onniscienza di Dio che vide la luce nel 1955 nella Collana di studi religiosi, etnologici e psicologici dell’editore Einaudi, forse uno di quei « tre titoli in cinque anni » a cui accenna sbrigativamente Pavese nel 1949 in una lettera a Ernesto De Martino, il « padre putativo » della collana (« Con Pettazzoni, saprai che ci siamo intesi. Tre titoli in cinque anni »32). In questo testo l’autore è come se facesse i conti con il suo lavoro precedente e anche con le principali posizioni del sec[...]

[...]l campo della storia delle religioni, in particolare con quella corrente del

30 Monoteismo e « Urmonotheismus », in « Studi e materiali di storia delle religioni », xixxx (194346), p. 175.

31 II Pettazzoni tenne, dal 1936 al 1938, Pincarico di etnologia a Roma. Venne interessandosi in misura crescente a questo campo di studi in relazione con la storia delle religioni. Nel 1938, su proposta sua, Pvm Convegno Volta fu dedicato all’Africa ed egli vi presentò una relazione sugli Orientamenti attuali dell’africanistica (cfr. Acc. d’Italia, Atti deU’VHI Convegno Volta, Roma 1939, pp. 5360): sarebbe interessante approfondire il significato della partecipazione del Pettazzoni al convegno, non riducibile a puro e semplice momento del consenso degli intellettuali al fascismo, come sembrano invece pensare M. Lospinoso e A. M. Rivera nei loro interventi pubblicati in aa.w., Matrici culturali del fascismo, Bari 1977, pp. 225256.

32 C. Pavese, Lettere. 19261950, a cura di L. Mondo e I. Calvino, voi. n, Torino 1966, p. 667.188

ANDREA BINAZZI

comparativismo che rappresentava quanto di più fecondo e suggestivo fosse stato prodotto in tanti anni di lavoro. Suggestivo, perché, per quanto ci si sforzi di assumere un punto di vista relativistico, sembra insopprimibile, nel campo dell’indagine antropologica ed etnologica, questa tentazione[...]

[...]uesta tentazione del mettere a confronto le culture e le religioni e le società in modo tanto più appassionato quanto più esse sono lontane tra loro, quasi per un bisogno di sintesi, o forse di possedere una chiave di lettura unica.

La « mitologia comparata » sorta a seguito della rivoluzione copernicana prodotta dall’applicazione, nel 1800, della linguistica allo studio della mitologia, approdava alla conclusione che tutti i popoli della famiglia indoeuropea possiedono un dio del cielo che assume la forma greca, quella indiana, ecc. Di fronte ad essa si eleva l’altrettanto suggestivo universalismo della comparazione estesa a tutti i popoli, indipendentemente dalla famiglia linguistica alla quale appartengono. « Fra queste due posizioni antitetiche, cioè fra il particolarismo della “mitologia comparata”, applicata soltanto a ciò che è linguisticamente comparabile e l’universalismo indiscriminato della comparazione antropologica, estesa a tutto ciò che è formalmente ed esteriormente comparabile, c’è posto per una terza via che, badando alle differenze non meno che alle somiglianze, eserciti la comparazione su tutto e soltanto ciò che è comparabile storicamente, perché appartiene a civiltà omogenee »33. Il Pettazzoni esprime in questi termini quella che chiama « rivalutazione storicistica del comparativismo » e precisa più analiticamente, tornando al motivo degli attributi: « L’attributo dell’onniscienza è una nota costante che accompagna l’idea di Dio nel suo svolgimento: non l’idea astratta di Dio in un teorico svolgimento uniforme (secondo lo schema evoluzionistico dei tre gradi, animismo, politeismo, monoteismo), bensì una particolare idea di dio, culturalmente condizionata nella sua formazione e storicamente differenziata nel suo sviluppo » (ivi, p. 635). E più avanti, sempre più nettamente: « L’idea primitiva dell’Essere supremo non è un assoluto a priori. Essa sorge nel pensiero umano dalle condizioni stesse dell’esistenza umana, e poiché le co[...]

[...]nziata nel suo sviluppo » (ivi, p. 635). E più avanti, sempre più nettamente: « L’idea primitiva dell’Essere supremo non è un assoluto a priori. Essa sorge nel pensiero umano dalle condizioni stesse dell’esistenza umana, e poiché le condizioni variano nelle diverse fasi e forme della civiltà primitiva, varia anche in seno a queste la forma dell’Essere supremo » (ivi, pp. 648649).

Aveva dunque ragione il Pettazzoni ad affermare che lo studio degli attributi divini lo aveva portato lontano e aveva ben visto, moltissimi anni prima, il Banfi quando gli aveva riconosciuto il merito di aver colto le forme della vita religiosa di un popolo « nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi » guardandosi da definirle « secondo

33 Vonniscienza di Dio, cit., pp. 632633.RAFFAELE PETTAZZONI

189

astratte e indeterminate categorie della religiosità » M. Perché il problema, alla fine, si riduce a questo, di vedere se e come è possibile mantenere contemporaneamente l’esigenza di ricostruire la genesi storicoculturale dei diversi aspetti della vita religiosa di un popolo o dei diversi attributi del divino e quella della compa[...]

[...]di ricostruire la genesi storicoculturale dei diversi aspetti della vita religiosa di un popolo o dei diversi attributi del divino e quella della comparazione tra le religioni e le culture. Il Pettazzoni lo risolve sottolineando il fatto che la religione è una forma della civiltà e che perciò la comparabilità non è fra le religioni, come se ci fosse una universale religiosità di cui ognuna sarebbe specificazione particolare, ma tra le civiltà. Dagli eventuali tratti comuni a queste, discende la comparabilità di quelle. La polemica verso il padre Schmidt acquista un respiro molto ampio proprio nel momento in cui si sostanzia di riferimenti precisi al materiale empirico raccolto. Nell’epoca più remota la civiltà umana ha attraversato, dice il Pettazzoni, la fase della caccia e aggiunge:

Il complesso del Signore degli animali è uno degli elementi caratteristici di questa primitiva civiltà e della sua religione. Il Signore degli animali non è il riflesso di un trascendente Essere supremo. Il Signore degli animali, che assiste l’uomo nella aleatoria impresa della caccia, piena d’incognite e di rischi, che gli fa scoprire la pista della selvaggina (Boscimani), che gliela spinge dentro alle trappole (Algonkini settentrionali), che gli apre gli occhi per vederla (Damara), che lo fa mirar dritto per colpirla (Pigmei), questo è il suo Essere supremo, perché da lui dipende giorno per giorno la sua esistenza, perché egli ha in mano la sua vita e la sua morte (L’onniscienza cit., p. 648).

« Zeus », scrive il Pettazzoni nell’introduzione alla nuova edizione (1953) della Religione nella Grecia antica, « porta scritto in fronte il suo trasparente indoeuropeismo. Ma Zeus non è più per noi, come era per la ‘ mitologia comparata soltanto la forma greca dell’essere supremo celeste comune a molti popoli nomadi ed allevatori » (p. 15). Ma in questa introduzione il discorso va oltre, e il quadro d’insieme dell’interpretazione delle divinità greche viene riplasmato, anche se il Pettazzoni sembra preoccupato di present[...]

[...]economiche e di rapporti sociali... Se è vero che la religione è una forma della civiltà, organicamente solidale con le altre forme, è ovvio che ci sia un rapporto anche tra la vita religiosa e la vita sociale, anche tra le religioni e la struttura economica della società » (ivi, pp. 1617).

34 A. Banfi, ree. cit., p. 806.190

ANDREA BINAZZI

Si tratta di riflessioni e di considerazioni chiaramente riconducibili alla presenza ormai, in quegli anni, in Italia e non soltanto in Italia di quello che potremmo chiamare il marxismo delle sovrastrutture con tutte le connesse banalizzazioni. Mentre il Pettazzoni dichiara di essersi fermato al « rapporto organico » religionestruttura economica della società, altri sono andati « molto più in là », fino a tentare, come George Thomson, « una interpretazione marxistica di tutta la storia greca con particolare riguardo alla religione ». « Con ciò s’introduce », commenta il Pettazzoni, « un pensiero diverso, e alla organica interdipendenza tra la religione e le altre forme della civiltà, compres[...]

[...]om’è chiaro, in queste considerazioni più che la polemica contro il Marx del l'ideologia tedesca, opera di certo non identificabile attraverso quei termini, c’è il rifiuto, sul piano generale, di una spiegazione dell’origine della religione e dell’origine delle classi sociali a partire dall’economia intesa come « valore fondamentale » e il desiderio di riprendere immediatamente a dimostrare che l’origine di tutte le forme di differenziazione tra gli uomini e tra le classi è storicoculturale. Tornando infatti a Demetra e Dioniso, Pettazzoni precisa che in realtà sono dei che appartengono a una religione « diversa dall’olimpica, ricca di esperienze e spiriti suoi propri, intimamente connessa con la vita agricola e con le vicende della vegetazione, legata ad una particolare condizione economico sociale e radicata [sottolineatura nostra] nella tradizione culturale di un substrato etnico che sopravvive in una classe inferiore mentre la classe superiore è erede di tutt’altra tradizione religiosa, portata da un diverso fattore etnico, cultural[...]

[...]pi lontani, sia il completamento e perfezionamento di linee di ricerca avviate decenni prima, sia il concepimento di nuove prospettive di indagine, sono la testimonianza che, pur nel permanere di una linea fondamentale di continuità, il pensiero del Pettazzoni fu sempre caratterizzato da un notevole movimento. Un esempio molto chiaro è rintracciabile nella struttura dell’O/zniscienza di Dio dove è sensibilmente modificato il progetto concepito negli anni Venti. Si passa dallo studio del monoteismo (la sua « formazione » e il suo « sviluppo ») al progressivo concentrarsi dell’attenzione sugli attributi divini e soprattutto su quello dell’onniscienza con uno spostamento che, se non impedisce di considerare questo lavoro come il « coronamento » della ricerca prima pianificata, tuttavia la concentra « definitivamente... su l’attributo dell’onniscienza divina come complesso ideologico e come esperienza religiosa ».

Come riprova della fecondità di questa direzione assunta dalla ricerca,RAFFAELE PETTAZZONI

191

ma anche per spiegare una diffidenza molto accentuata verso posizioni di tipo speculativo (quelle che conducono a respingere come sterile un certo metodo non perché tale[...]

[...]e secondo la quale, com’è noto, Giano sarebbe il nume della ianua e il suo bifrontismo non sarebbe che un riflesso delle due facce della porta. Da qui discenderebbe anche il carattere di Giano come Dio dell’inizio, del cominciamento: nei miti spesso Giano è primo re del Lazio, fondatore di templi, coniatore di monete, ecc. Il Pettazzoni vuol invece dimostrare che questi attributi non sono quelli originari di Giano e che, come farà vedere anche meglio qualche anno dopo occupandosi in modo specifico della iconografia di questa divinità, l’averglieli attribuiti è il risultato di un’operazione del tutto ideologica, sovrapposta al concreto, storico svolgersi del culto di questo dio. Era infatti molto diffusa una teoria generale riguardo alla religione romana « secondo la quale le divinità romane sarebbero state originariamente sentite come vaghe manifestazioni di una numinosità diffusa nella natura o concentrata su certi determinati oggetti materiali, e solo in processo di tempo, al contatto e per influenza della religione greca e dell’arte greca, quei primitivi numi avrebbero cominciato ad assumere contorni precisi, secondo i tipi icono[...]

[...]reca, quei primitivi numi avrebbero cominciato ad assumere contorni precisi, secondo i tipi iconografici delle divinità greche assimilate »35. Giano come Terminus, Fons e Vesta, insomma.

Il Pettazzoni non vuol discutere questa teoria, si limita a portare le ragioni per le quali, almeno in un caso, quello appunto di Giano, essa può essere smentita. Chiarita l’etimologia del nome, il Pettazzoni segnala che, per quanto riguarda il cominciamento, gli autori classici gli attribuiscono una posizione di costante precedenza nella liturgia, e che nel calendario « era sacra a Giano la prima festa dell’anno ». Com’è possibile, allora, ammettere che tutte queste « norme e consuetudini » possano essere « entrate nella tradizione religiosa, nel diritto sacro, nella prassi liturgica, semplicemente in virtù di un dato ideologico, cioè della concezione di Giano come dio di ogni cominciamento, ricavata ecc. ecc. »? È necessaria senz’altro qualche correzione. Intanto la « priorità temporale di Giano, difficilmente riconducibile ad un complesso spaziale puntualizzato nel ia[...]

[...]56), p. 89.192

ANDREA BINAZZI

o nella ianua, ci appare in una luce nuova se riferita a Giano come Dio del tempo ». In alcune monete poi del m secolo a.C. la testa di Giano è sostituita da una ruota a raggi (simbolo solare), mentre sull’altra faccia compaiono simboli astrali, « per lo più la mezzaluna accompagnata da una stella, cioè dal pianeta Venere come stella della sera »36. Se poi a tutto questo si aggiunge che presso altre religioni gli esseri solari sono bicefali o tricefali e come tali vedenti davanti e di dietro, cioè da ogni parte, allora si capisce, secondo il Pettazzoni, come il bifrontismo e l’inizialità « risultano radicati nella originaria natura solare del dio, anziché dipendenti dal suo svolgimento secondario in dio della ianua » (ivi, p. 256).

Ma tutta YOnniscienza riporta anche in primo piano la questione del comparativismo e della scienza delle religioni. Il modo stesso in cui, con il consueto tono dimesso, il Pettazzoni riassume, nella prefazione al volume, il metodo del lavoro, mantiene aperto il problema [...]

[...]oria religiosa, intese come momenti complementari e indissolubili della scienza delle religioni nella sua essenziale unità... La interpretazione fenomenologica, fondata su la tipologia formale, è integrata con l’assegnazione dell’attributo dell’onniscienza a un determinato ambiente storicoculturale » (ivi, pp. xixn).

Sorprende, dopo la perentorietà di queste righe, dove il problema sembra quello di integrare la fenomenologia, leggere in uno degli ultimi scritti pubblicati lui vivente, dedicato interamente al comparativismo, che, se è vero che « l’interpretazione fenomenologica, per esplicita ammissione del van der Leeuw, ‘ diventa pura arte e vana fantasticheria appena essa si sottrae al controllo della ermeneutica filologicoarcheologica ’ », tuttavia « questo programmatico appello alla storia non garantisce, a quanto pare, la comparazione fenomenologica dal rischio di cadere in un morfologismo puramente estrinseco e formale, senza consistenza storiografica. E la ragione... la ragione vera, è che la fenomenologia riconosce bensì il va[...]

[...]o a vicenda, ma che possano rivelare la loro complementarità entro « una comparazione che, superando il momento descrittivo e classificatorio, valga a stimolare il pensiero alla scoperta di nuovi rapporti e all’approfondimento della coscienza storica ».

Se la consistenza teorica di questa conclusione non è del tutto soddisfacente, è tuttavia fuori discussione l’efficacia esplicativa del punto di vista del Pettazzoni ed il rigore con il quale egli respinge la distinzione del Toynbee tra civiltà dinamiche e civiltà statiche, come sarebbero quelle primitive. Scrive con vigore polemico e con forza persuasiva, tornando a sottolineare energicamente la connessione tra le diverse forme della civiltà con una interessante sfumatura che sembra suggerire un rapporto genetico tra di esse che andrebbe oltre il generico connettersi delle une alle altre.

Fatto è che le civiltà ‘ statiche ’ primitive, prima di esser tali (se pur lo furono mai realmente), furono anch’esse in pieno movimento. E questo dinamismo investe anche le forme elementari della[...]

[...]accia, della pastorizia e dell’agricoltura , le quali non sono schemi astratti, anzi mondi concreti... tutte solidalmente connesse, corrispondendo alla diversa struttura economica una diversa struttura sociale, nonché una diversa ideologia ed anche una diversa religione, compresa una diversa nozione dell’Essere supremo (ivi, p. 109).

Viene in mente, leggendo queste righe, la rivendicazione appassionata del valore della storia contro Eliade, negli ultimi appunti, e, sempre di questi fogli, la decisa negazione che l’uomo primitivo possa appartenere a una specie diversa dall’uomo moderno. Il mondo degli archetipi « è il mondo mitico delle origini, nel quale l’uomo si rifugia nei momenti critici, quando è in gioco la sua esistenza, e vi si rifugia per superare la crisi, per assicurarsi un nuovo periodo di esistenza tranquilla, normale »38. Non si dimentichi che proprio i miti e le leggende avevano occupato moltissimi anni della sua vita di ricercatore e che a contatto di essi gli si era venuta chiarendo quella idea della « verità » del mito (« verità che non è di ordine logico, bensì di ordine sacrale, magico, religioso »39) che è un’altra di quelle scoperte feconde che il Pettazzoni consegnò a chi avrebbe continuato a lavorare nel campo di studi che aveva occupato tutta la sua esistenza.

Andrea Binazzi

38 Gli ultimi appunti, cit., p. 126.

39 forma e verità del mito, cit., p. 52.194

ANDREA BINAZZI

NOTA BIBLIOGRAFICA

La presente sintesi bibliografica è stata desunta dal lavoro di Mario Gandini, II contributo di Raffaele Pettazzoni agli studi storicoreligiosi: appunti per una bibliografia, in Raffaele Pettazzoni e gli studi storicoreligiosi in Italia, scritti di E. De Martino, A. Donini, M. Gandini, Bologna 1969, pp. 145. Del Gandini vedi anche II punto sugli studi pettazzoniani, in idoc internazionale [mensile di documenti e studi in una prospettiva internazionale], xiv (1983), pp. 5458. A questo appassionato studioso del Pettazzoni va il mio ringraziamento per il molto materiale che mi ha generosamente fornito e che ha agevolato il mio lavoro.

Per la bibliografia, ci si deve riferire anche a quella che completa il libro di Ugo Casalegno citato nel testo.

La religione primitiva in Sardegna, Piacenza 1912; La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran, Bologna 1920; La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna [...]

[...]e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. i: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, Roma 1922; I misteri: saggi di una teoria storicoreligiosa, Bologna 1924; Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari 1924; La confessione dei peccati, Bologna 192936; Religione e politica religiosa nel Giappone moderno, Roma 1934; Saggi di storia delle religioni e di mitologia, Roma 1946; Divinità del paganesimo degli antichi popoli europei. Le scritture sacre, Roma 194546; hliti e leggende, Torino 19481963; Nozioni di mitologia, a cura di E. Cerulli e A. Becattini, Roma 194849; Mitologia e monoteismo, a cura di studenti universitari, Roma 195051; Italia religiosa, Bari 1952; Le religioni misteriche nel mondo antico, a cura dell’assistente, Roma 195253; Essays on thè History of Religions, Leiden 1954; L’onniscienza dì Dio, Torino 1955; L’essere supremo nelle religioni primitive (L’onniscienza di Dio), Torino 1957; Letture religiose, Firenze 1959; Religione e società, a cura di M. Gandini, prefazione di V. [...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Gli, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---siano <---italiano <---comunista <---italiana <---Diritto <---socialista <---Ciò <---Pratica <---comunisti <---fascismo <---ideologia <---ideologica <---ideologico <---socialismo <---Così <---Dialettica <---Filosofia <---Gramsci <---Perché <---Più <---Stato <---ideologiche <---Basta <---Francia <---Lenin <---Quale <---abbiano <---gramsciano <---lasciano <---marxismo <---marxista <---metodologica <---Dio <---Ecco <---Fenomenologia <---Già <---Logica <---Marx <--- <---Scienze <---Sociologia <---Spagna <---Sulla <---Voglio <---artigiani <---fanatismo <---fenomenologia <---gramsciana <---italiane <---italiani <---mangiano <---materialismo <---socialisti <---sociologia <---Andiamo <---Certo <---Dei <---Del resto <---Dico <---Dinamica <---Etica <---Giustizia <---Il lavoro <---La Critica <---La lotta <---La notte <---La sera <---Noi <---Nuovi Argomenti <---Però <---Risorgimento <---Scienze naturali <---Sei <---Storia moderna <---Tua <---Va bene <---arrischiano <---autista <---biologica <---capitalismo <---comunismo <---cristiana <---d'Italia <---dogmatismo <---fascista <---fascisti <---idealismo <---ideologici <---ideologie <---metodologiche <---metodologico <---mitologica <---moderatismo <---ostracismo <---realismo <---storicista <---testimoniano <---Altri <---Anche <---Antonio Labriola <---Asti <---Auto <---Avviamento <---Beide <---Belfagor <---Benedetto Croce <---Besinnung <---Bibliografia <---Biologia <---Borutin <---Buona <---Capriotti di Roma <---Caratteri <---Carlo Marx <---Chiesi <---Come <---Cosa <---Dal <---Davanti <---Del <---Diecine <---Divina Commedia <---Economia politica <---Elias Canetti <---Engels <---Entrò <---Ernesto De Martino <---Estetica <---Etnologia <---Farli <---Felice Bauer <---Feuerbach <---Filosofia della natura <---Finita <---Franz Kafka <---Gegenwart <---Giudice Istruttore <---Giù <---Grave <---Grecia <---Grundlagen <---Guardò <---Hai <---Historismus <---Husserl <---Iconografia <---Il Mondo <---Infine <---Inghilterra <---Kafka <---Karl Kraus <---Kien <---Labriola <---Lasciatelo <---Lehren <---Linguistica <---Ludovico Geymonat <---Macché <---Meccanica <---Metafisica <---Methode <---Methoden <---NATO <---Nell'Altro <---Non voglio <---Oltre <---Ottobre <---Perchè <---Pochi <---Povera <---Proudhon nella Miseria <---Psicologia <---Qui <---Repubblica <---Ritornato <---Rochefoucault <---Russia <---Sardegna <---Scienze umane <---Secondo Gramsci <---Sidonie Nádhermy <---Società <---Sowohl <---Storia sociale <---Storiografia <---Tecnologia <---Tenuto <---Trigonometria <---Trotzki <---Trovandosi <---URSS <---Umberto Calosso <---Vai <---Viene <---Weltweisheit <---Wissenschaft <---Wissenschaften <---antagonista <---archeologica <---artigiano <---biologia <---biologiche <---biologico <---bolscevismo <---cambiano <---campeggiano <---capitalisti <---centesimi <---conformismo <---cristianesimo <---cristiano <---crocianesimo <---dell'Italia <---dell'Oder <---dilaniano <---dinamismo <---empirismo <---eroismo <---esistenzialismo <---etimologia <---etnologia <---gnoseologica <---gnoseologico <---gobettiani <---gramsciani <---hegelismo <---husserliana <---idealisti <---illuminismo <---imperialismo <---indiana <---individualismo <---leniniana <---leninismo <---leninista <---metodologia <---metodologici <---naturalismo <---nazista <---neohegelianesimo <---neorazionalista <---opportunismo <---particolarismo <---professionisti <---progressisti <---psicologia <---psicologico <---reumatismi <---riformismo <---sappiano <---scolasticismo <---sperimentalismo <---stiano <---storicismo <---tagliano <---tecnologia <---teologico <---trascendentalismo <---umanesimi <---umanismo <---ACLI <---Abbandonò <---Abbatterla <---Abbkmo <---Abissinia <---Accademia Nazionale <---Acciaieria di Hennigsdorf <---Accidenti <---Ad Enzo <---Ad Halle <---Adamo Calabrese <---Ademprivio <---Adenauer <---Adesso <---Aereo <---Affari Esteri <---Affen <---Agli <---Agraria <---Agricoltura <---Ah <---Ahi <---Air Command <---Aiutai <---Aiutante <---Aiutante-Generale <---Akkord <---Aktiv <---Al CONFINI <---Alasennora <---Alastair Buchan <---Albanesi <---Alberto Carocci Iscrizione <---Alberto Episcopi <---Alberto Goddi <---Alberto Predieri <---Alberto Rollo <---Alice nel paese delle meraviglie <---Aliprandi <---Allargò <---Allentò <---Allocutiones <---Allontanatisi <---Allontanatosi <---Allontanò <---Allora <---Alma Ata <---Alma-Ata <---Alto Com <---Alto Commissario <---Altro <---Alzatosi <---Alzi <---Amelia Tempo <---Amici del Mondo <---Amomme <---Amsterdam <---Anchiano <---Andat <---Andiamo Libero <---Andrea Binazzi <---André Fontaine <---Angela Chiaravalle <---Angelo Chiarenza <---Angelo Saba <---Angelo Spurio <---Angius <---Anguria <---Anno V <---Antico Testamento <---Antiduhring <---Antonio Banfi <---Antonio Spataro <---Anzelu <---Anzi <---Anzi Quattro Témpora <---Aosta <---Appare <---Approvvigionamenl <---Aprì <---Aragona <---Arborea <---Archeologia <---Archeologia industriale <---Archivio di Stato <---Arciprete <---Arcocho <---Armamenti <---Armando Romeo <---Armi <---Armoni <---Arnoul <---Arturo Calabrese <---Arturo Carlo Jemolo <---Asciugati <---Aspettò <---Astarotte <---Atlantic Treaty <---Attaccati <---Attenzione Marco <---Attesa a Guatambu <---Attilio Glarey <---Attraversandola <---Audino <---Audino Pasquale <---Auguri vivissimi <---Augustae <---Australia <---Austriae <---Autorità <---Auxerre <---Avaro <---Avendole <---Avevi <---Avrigue <---Avvedutosi <---B.V. <---Babbo <---Babilonia <---Badu <---Balcani <---Baleari <---Ballistic Missiles <---Bambin Gesù <---Bambino Gesù <---Banfi <---Bannedda <---Baonei <---Baranti <---Barbagia <---Barbaira <---Baretti Giuseppe <---Baronia <---Basi NATO <---Bassu <---Basterà <---Baunei <---Bazlen <---Becattini <---Beduini <---Bel <---Belfront <---Belfront Augusto <---Benedicti <---Berlino <---Berlino-Est <---Berlino-Ovest <---Bertolt Brecht <---Besta <---Bethoven <---Biamonti <---Biblioteca Adelphi <---Bicyman <---Biduni <---Biella <---Bilan <---Bilancio <---Bisogna <---Biteneio <---Bitterfeld <---Bobi Bazlen <---Bodusò <---Boghe <---Boja <---Bologna <---Bordeaux <---Borgne <---Bornemann <---Bovini <---Bradamante <---Bratsk <---Bravo Libero <---Breda <---Bresciani <---Bresciani-Borsa <---Bronstein <---Bruhl <---Brulli <---Brumaio di Luigi Bonaparte <---Bruno Baum <---Bruno Zito <---Brunod <---Brunssum <---Brutta <---Bruxelles <---Bucaneve <---Buchan a Henry Kissinger <---Buenos Aires <---Buffoni <---Bukhara <---Bulgaria <---Bullpup <---Buro <---Burzio su Giolitti <---Busstimmung <---Bynmana <---CED <---Cagliari <---Cagliari-Arbatax <---Calabrese <---Calabria <---Calbe <---Calmati <---Calmucchi <---Calogero La Malfa <---Calosso <---Calvino di Se <---Cambia <---Campidano <---Cananei <---Canetti <---Cantu <---Capirai <---Capito <---Capitolari <---Capodanno <---Cappelline <---Cappellino <---Carlo Clausen <---Carlo Goldoni <---Carta <---Carta de Logu <---Carte Ernesto <---Cartographica <---Casalis <---Casentino <---Cassa Malattie <---Castagna <---Casteao <---Castiglia <---Catgiu <---Catuzzella <---Caucaso <---Cavalleggeri <---Cecchino <---Cecoslovacchia <---Centrale Sovietica <---Centro Europa <---Centro Sociale Protestante <---Centro Studi <---Cercherò <---Cercò <---Cetti <---Cevolo <---Che César Borgne <---Che Dio <---Chemnitz <---Chenoz <---Chez <---Chiacchiera <---Chiacchierò <---Chiamatela <---Chiaritasi <---Chirio <---Chissa <---Chissà <---Christu <---Chénor <---Chénoz <---Cincafmed <---Cinquantanni <---Circolo Socialista <---Citato da Der Monat <---Civiltà <---Claude Julien <---Clementis <---Cleveland <---Coblenza <---Codex <---Codice <---Codignola <---Cogne <---Collana <---Colloca <---Comando di Zona Territoriale <---Comdata <---Comdata Politico <---Comdata Sci <---Come Manfredi <---Cominciò <---Commandant <---Compi <---Compito <---Comunali <---Comune <---Comunità <---Con Claretta <---Con César <---Con Pettazzoni <---Concilio di Trento <---Conclusosi <---Conobbi Gobetti <---Consiglio Atlantieo <---Consiglio Confederale <---Consiglio dei Ministri <---Constitutiones <---Consustanziato <---Conte Ugolino <---Contemporaneamente <---Contò <---Corea <---Corniesto <---Cornine <---Corno <---Coronelli <---Corraine <---Corraine Nicolò <---Corridore <---Corriere della sera <---Corsi <---Cosi <---Cosi Gramsci <---Cosi Ulbricht <---Così Gramsci <---Council <---Cova <---Crepuscolo degli dei <---Creò <---Crinvellas <---Critica Marxista <---Critica marxista <---Croux <---Cuba <---Curatoria <---Cyprien Berthod <---César <---César Borgne <---César a Salomone <---D'Annunzio <---Dal Magdeburgo <---Datosi <---De Candia <---De Carlo <---De Gasperi <---De Gaulle <---De Maistre <---De Martino <---De Sanctis <---De Vincenzo <---Dean Rusk <---Dedurrò <---Del Gandini <---Del Giudice <---Del Re <---Delàcana <---Demetra <---Der Monat <---Desbruissons <---Deutschland <---Devilla <---Di Bazlen <---Di Claretta <---Di César <---Di Gobetti <---Di Lenin <---Di Luigino Brunod <---Dichiarazione Programmatica <---Diciotto Brumaio <---Diego Carpitella <---Dielt <---Dietro Salomone <---Difesa Aerea <---Diritto agrario <---Diritto privato <---Diritto sindacale <---Dirk U <---Dirk U Stikker <---Diteglielo <---Ditemi <---Ditta <---Divina Sapienza <---Domani ci sari una brutta notizia <---Domenichino <---Domus <---Don Cesare <---Don Cesare Armoni <---Don Masino <---Don Pistola <---Donianìcaru <---Donna Maria <---Donori <---Dorgali <---Dorè <---Dossier NATO <---Dottrina Eisenhower <---Dottrina McNamara <---Dottrina Truman <---Dovilinò <---Dubrovnik <---Due Sicilie <---Duli <---Dulles <---Dulles-Adenauer <---Dushanbe <---Duynster <---E César Borgne <---E Quattro Témpora <---E Rudolf Kirchner <---ELIAS CANETTI <---Eam <---Ebrei <---Eccola <---Edward C <---Egitto <---Egnazio <---Ehirg <---Ehrig <---Einaudi <---Eleonora Giudichessa di Arborea <---Elettronica <---Eliade <---Eliseo Chénoz <---Elkin <---Emilio Sereni <---Enciclopedia Italiana <---Entro <---Enzo Collotti <---Epistolas <---Ermeneutica <---Esteri Nenni <---Etnografia <---Eufrosine <---Eugenio Garin <---Eugenio Vittarelli <---Europa ACE <---Europdische Philosophie <---Evaristo Grange <---Ex-Fabrizi <---F.D.G.B. <---F.O.B.B. <---F.O.G.B. <---FIAT <---Fabrizi <---Facciamo un bel corteo <---Facoltà Operaia <---Fagioli <---Fai <---Faltognano <---Fammi <---Far-West <---Fattosi <---Fechner <---Federico Artesio <---Federico Artusio <---Fedone <---Femmine <---Ferdinando Berthod <---Fermala <---Ferrari <---Ferrerò <---Feudo <---Fiato <---Fidatissimi <---Filihaì <---Filippo Frassati <---Filippo Giusti <---Filologia <---Filosofia politica <---Fiocco <---Firmò <---Fisica <---Fitti <---Floris Carlo <---Folklore <---Foot Moore <---Foreign <---Foreign Affairs <---Foreign Relations <---Forni <---Forze <---Fossas <---Fosse <---Foster Dulles <---Frade <---Franca Gazzarri <---Francesco Biamonti <---Francesco Flora <---Francesco Polichemi <---Francke <---Franco Cagnetta <---Frankfurterallee <---Fratelli <---Frazer <---Fred Oelssner <---Freiheit di Halle <---Freud <---Fundales <---Funtana <---Funtana Bona <---Fuori <---Furio Jesi <---Furioso <---G.L. <---Gacidella <---Galamòli <---Galanòli <---Gallizzi <---Galloniu <---Gallura <---Gangas <---Gargano <---Garipa <---Gengis Khan <---Gennaro Grandi <---Gentile a Ernesto Codignola <---Geografico <---George Grosz <---George Kennan <---George Thomson <---Geppo <---Gerhard Ziller <---Gerhardsen <---Germania Occidentale <---Germania Orientale <---Germania di Bonn <---Germiania <---Gerratana <---Gerusalemme Liberata <---Geschichte <---Gesualdo Bufalino <---Gewerkschafts <---Gfr <---Gherla <---Ghirztauru <---Giacomello <---Giacomo Armoni <---Giacomo Noventa <---Giacomo Tavella <---Giancarlo Bergami <---Gianfranco Manfredi <---Giappone <---Gigantes <---Ginestra <---Giogiò <---Giolitti <---Giorgio Cordopatre <---Giosafat <---Giovanni Cecchetti <---Giovanni Gentile <---Giovanni Mollica <---Giovanni in Persiceto <---Gioventù Libera <---Giudicato di Arborea <---Giugno <---Giulio Armoni <---Giulio Castagna <---Giulio Sacerdote <---Giulio Trevisani <---Giunti <---Giuoca <---Giuseppe Di Vittorio <---Giuseppe Larussa <---Giuseppe Levantino <---Giuseppe Lovicu di Orgosolo <---Giuseppe Panetta <---Gli Armoni <---Gli Stati Uniti <---Gli USA <---Gobetti <---Gobetti Alfieri <---Gobetti fra Gramsci <---Gobetti tra Gramsci <---Goldoni <---Golfo <---Gonàri <---Gorropu <---Gorthine <---Gortòthihe <---Gossu <---Gran <---Grande Guerra <---Grappa <---Grazia Marina <---Grazietta Mo <---Gregorio I <---Greuter <---Gridò <---Grigioni <---Grignanu <---Grotewohl <---Gruppo Strategico <---Guazzotti <---Guspine <---Halle <---Harriman <---Harvard <---Heinrich Rau <---Hennigsdorf <---Henry R Luce <---Hermann Broch <---Herrnstadt <---Herzen <---Hilde Benjamin <---Hiroshima <---Horst Wessel Lied <---Hotel Royal <---Idrografia <---Iginio Milano <---Iil <---Ijanno <---Il Baretti <---Il Consiglio <---Il III <---Il IV <---Il Mulino <---Il Piemonte <---Il pomeriggio <---Ile I <---Ilic <---Ilici <---Ilie <---Ilodèi <---Ilole <---Iltit <---Imperocché <---Impiccala <---In Abissinia <---In Oriente <---In Roma <---Incontrada <---Indicherò <---Indocina <---Inferno <---Innamoratosi <---Iolai <---Ionghe <---Irkutsk <---Isaak Babel <---Isteòne <---Italiae <---Italianu <---Itinéraire <---Iuxemburgismo <---Iza <---James Warburg <---Jean Pierre <---Jenseits <---John Stuart Mill <---Judicato <---Junge Welt <---Kalsaas <---Kiev <---Kiliman <---Kongresses <---La Chiesa <---La Civiltà Moderna <---La Europa <---La Francia <---La Giustizia <---La Iva <---La Lingua <---La Marta <---La Miami <---La NATO <---La Neues Deutschland <---La Pavana <---La Rivoluzione <---La Siberia <---La Stalinallee <---La Volkstimme <---La banda <---La casa <---La guerra <---Lafra <---Lamarmora <---Lanusei <---Larthiò <---Lasciaron <---Lascio <---Lasciò <---Laurent Pascal <---Lavorate <---Le Chapelier <---Le Monde <---Leeuw <---Leggilo <---Lei-Spano <---Leistungslohn <---Lemnitzer <---Lenardeddu <---Lenin Gramsci <---Leningrado <---Lentini <---Leonardo da Vinci <---Leonis <---Les Questions <---Leuna <---Libera Tedesca <---Liberatosi <---Libri <---Lino Guichardaz <---Lino Guicherdaz <---Lipsia <---Lisogòni <---Litteras <---Lo Spettatore <---Lo vendevi si <---Locoe <---Lodouicu <---Logu <---Lollòine <---Lontani <---Lopàna <---Lospinoso <---Lucania <---Lucchesia <---Luigi Bonaparte <---Luigi Russo <---Luiliè <---Luisa Calogero <---Làeutenant <---Léninisme <---Lévy <---Lévy-Bruhl <--- <---MEC <---Ma Amelia <---Ma Attilio <---Ma Bucaneve <---Ma Calosso <---Ma Canetti <---Ma Giolitti <---Ma Libertario <---Ma Zeus <---Ma mi <---Mac Namara <---Macht <---Magdala <---Magdeburgo <---Magini <---Maiale <---Majore <---Malosa <---Malta <---Maltoni <---Mamaia <---Mamojada <---Mandò <---Mangione <---Manifesto del Partito <---Mansfeld <---Manualia <---Manurriè <---Marano <---Marano Luigi <---Marchesato <---Marconi <---Marina di Pietrasanta <---Mario Sarmati <---Mariuzza <---Marocco <---Marrosu Antonio <---Martires <---Martis <---Maspero <---Masse <---Mathiez <---Mattern <---Max Leopold Wagner <---Max Miiller <---Me Phan <---Medicina <---Medio Oriente <---Mediterranela <---Meglio <---Menderes <---Menghin <---Merce <---Merguis <---Mesina <---Messieurs <---Mettetela <---Mezzo <---Mi pare <---Miche Pannunzio <---Michele Pannunzio <---Michele Tempo <---Mico Spezzano <---Milano-Napoli <---Millecinquecento <---Ministero <---Ministro Selbmann <---Misilmeri <---Miti <---Mnxx <---Modena <---Molta <---Mon djeu me <---Monniana <---Monotheismus <---Monsénori <---Montandon <---Monte Albano <---Monte Pertusu <---Montecarlo <---Montemurlo <---Monumenta <---Morirà <---Moscou <---Muoio <---Muovetevi <---Muratore <---Muravera <---Murgugliai <---Musei <---Musil <---Mòdlig <---N.B. <---Nascita di uomini democratici <---Natalino Sapegno <---National Security Council <---Nationalreligion <---Negli USA <---Negus Neghesti <---Neisse <---Nenni <---Neuau <---Neues Deutschland <---New York <---New York Times <---Niccodemi <---Niccodemi Gobetti <---Nicola Fabrizi <---Nicolaus <---Nina Nasarova <---Noi in Russia <---Non invitare la lepre a correre <---Non lo so <---Nono <---Nord <---Nord Europa <---Nord Italia <---Nord e Sud <---Nord-Atlantico <---Normenschaukelei <---Nota <---Note sul Machiavelli <---Notizie NATO <---Nuoro <---Nuoro-Galtelly <---Nuova Rivista Storica <---Nuraghi <---Ogliastra <---Ogni <---Oguitto <---Oh Dio <---Ohi <---Oliena <---Oliéna <---Olzai <---Olài <---Onorato Succu <---Orani <---Ordine Nuovo <---Ordine nuovo <---Oreharva <---Organisml <---Orghe <---Orgolasi <---Orgosolo <---Orgozzolo <---Orgurui <---Orgòsa <---Orosei <---Ortobene <---Orulu <---Orùlu <---Oscheri <---Oslo <---Ostiachi <---P.C.I. <---PCI <---PCUS <---Pacqtia <---Padre Bresciani <---Paese <---Pais-Sera <---Pais-Serra <---Panetta <---Panno <---Pannoni <---Panr <---Pantaleone Nicodemo <---Paolo Canale <---Papa <---Papalia <---Papalia Francesco <---Papam Lou <---Parco <---Pardini <---Parendogli <---Parlò <---Parmamento <---Parola di César Borgne <---Parrochianas <---Parroco <---Parteikonferenz <---Partenza <---Particolo <---Partito <---Passò <---Patria <---Patrizio Antonio <---Patto Atlantico <---Patto di Varsavia <---Pauledda <---Paurosa <---Pausania <---Pavana <---Payt <---Pecos Bill <---Peggio <---Pelasgi <---Pelemosina <---Perdas <---Peretrazione <---Perisi <---Persiceto <---Persone <---Però Giacomo <---Pession Eliseo <---Pestratto <---Pesurtosa <---Pettazzoni <---Pettazzoni a Ernesto Codignola <---Petto <---Phànomenologie <---Piacenza <---Piagnucolò <---Piano <---Piano Marshall <---Piano Radford <---Piano di aiuti <---Piattoli <---Piemonte <---Pier Vittorio <---Pierino Lombardia <---Piero Gobetti <---Pietrasanta <---Pietro Sorrentino <---Pigorini di Roma <---Pihisòne <---Pii <---Piisacane <---Pincarico <---Pippina <---Pirandello <---Pisacane <---Pisanu <---Più Attilio <---Plania <---Podestà <---Politique <---Pontificum <---Porci <---Porgendomi <---Poriginaria <---Portavo un paragone <---Portogallo <---Portò <---Posadal <---Poste <---Potete <---Povera Claretta <---Povero Eliseo <---Pradu <---Pratiche <---Pregar <---Presentatasi <---Presidente <---Presidente del Consiglio <---Presiding <---Presso <---Presto <---Presèttu <---Problemi <---Produzlone <---Protokoll <---Prova <---Prozess <---Puglia <---Puntò <---Pure <---Purg <---Pvm Convegno Volta <---Quaderni di Giustizia <---Quando sei sbronzo sei intelligente <---Quattro Tèmpora <---Quattro Témpora <---Queste dice che non contano <---R.D.A. <---Raba <---Raffaele Pettazzoni <---Ragazzo <---Range Ballistic <---Rasputin <---Reagì <---Recatosi <---Refa <---Refa-Mann <---Regm <---Regne <---Regne de Sardeyna <---Reineri <---Religion in Geschichte <---Religione nella Grecia <---René Albrecht <---Repubblica Democratica <---Repubblica Democratica Tedesca <---Repubblica Italiana <---Repubblica di Salò <---Repubblica federale <---Resterà <---Retorica <---Rettore <---Revocatio <---Reykjavik <---Riccardo Lombardi <---Riconosciutosi <---Ricontali <---Riesa <---Rinascimento <---Rinascita <---Ritiratolo <---Ritiratosi <---Rivoluzione di Lenin <---Rivoluzione fascista <---Rivoluzione liberale <---Rizzoli <---Romano Ledda <---Ronald Steel <---Rosa Luxembourg <---Royale <---Royaume <---Ruhr <---S.E.D. <---S.J. <---S.M. <---SAC <---SEATO <---SED <---Sabbie <---Saceur <---Sacra Famiglia <---Sacremon <---Sacrenom <---Salomone Croux <---Saltò <---Salvatorelli <---Salò <---Samarkand <---Sambusceta <---Samojedi <---Samotracia <---San Giovanni <---San Marino <---San Pietro <---San Wuilliermo <---Sanmore <---Sanna Maria <---Santa Chiesa <---Santa Sede <---Santamaura <---Santas <---Santoli <---Sarai <---Sardaigne <---Sardeyna <---Sardi <---Sardiniae <---Sardinna <---Sardu <---Sarmazia <---Sarò <---Sassari <---Saverio Attila <---Saverio Montalto <---Scambiò <---Scano <---Scelsi <---Scese <---Scevola Mariotti <---Schmidt <---Scienze di Torino <---Sciti <---Scolò <---Scoppiò <---Scrive Marx nel Capitale <---Scuola di Servizio Sociale <---Scuole <---Se Alfieri <---Se Gramsci <---Se in Italia <---Secondo Rosario Romeo <---Secondo Walter Maturi <---Segretanato <---Semm <---Senato <---Senato degli Stati Uniti <---Serafino Cambareri <---Serenissima <---Sergio Antonielli <---Sergio Moravia <---Serra-Sanna <---Servitosi <---Servizio Sociale <---Sessanta <---Sessantacinque <---Settantacinque <---Sferracavallo <---Sgir <---Si Iegge <---Sia Episcopi <---Siepwri <---Signor Giudice <---Signora Maestra <---Signore <---Siniscola <---Siotto <---Sirilò <---Sisini <---Sistematica <---Slesia <---Smettetela <---Smettila <---Sollevò <---Sonne <---Soràsi <---Sos proprietarios <---Sospirò <---Sottosta <---Spataro <---Speriamo presto <---Spesse <---Spezzano <---Sposatela <---Stadio di Wimbledon <---Stai attento al gatto che non mangi la carne <---Stalinallee <---Standovi <---Statica <---Statistica <---Stato a Stato <---Stato di Orgosolo <---Stato di Roma <---Stato in Italia <---Steel <---Stilistica <---Stirner <---Storia antica <---Storia medioevale <---Storia moderna e contemporanea <---Storia religiosa <---Strausberger Platz <---Studi <---Studi Etruschi <---Succu Giovanni Antonio <---Sud Europa <---Suelli <---Sulittu <---Sull'Alfieri <---Summorum <---Suni <---Superiores <---Supramonte <---Susùni <---Svizzera <---Sénateur <---Sònnoro <---Tagliata <---Talasuniai <---Talché <---Taramelli <---Tarquinio Andò <---Tashkent <---Tentò <---Teologia <---Tepica <---Terrasini <---Testi <---Testimonianze <---Tewodros <---Theodore Draper <---Tho <---Tiberio Spada <---Tirrenide <---Tizio <---Tntli <---Togliatti Gobetti <---Togliendosi <---Tola <---Tommaso Aliprandi <---Tomus <---Torino <---Torniamo pure al bicchiere <---Tornò <---Tortoli <---Tribunale Supremo <---Triei <---Trimalcioni <---Trotskisti <---Tu Attilio <---Turchia <---Twonsend Hoopes su Foreign Affairs <---Typo <---Typographia <---USA <---Ufficio Militare <---Ugo Casalegno <---Uha <---Ulbricht <---Ulliastro <---Una Pavana <---Ungheria <---Uniti E <---Uno di noi <---Urghench <---Urmono <---Urmonotheismus <---Urtò <---Urulu <---Urzulei <---Usi <---Vacci <---Vada <---Vaddes <---Vado <---Valacchia <---Valtournanche <---Vandenberg <---Varrone <---Varsavia <---Vasco Pratolini <---Vatdés <---Vecchio <---Vedi Nuovi Argomenti <---Vedutolo <---Venti Settembre <---Vescovo <---Via Cairoli <---Via F <---Via IV <---Via M <---Vienna di Freud <---Villagrande <---Villagrande Strisaili <---Vincenzino Sofia <---Vincenzo Gioberti <---Vincenzo Pardini <---Vinci <---Virgines <---Viros <---Vittarelli <---Vittorio Alfieri <---Vittorio Cian <---Vittorio Tondelli <---Vivai <---Vorresti <---Vorwerk <---Voyage <---Vuota <---Walt Rostow <---Walter Binni <---Walter Rostow <---Walter Ulbricht <---Wart <---Weberwiese <---Wehrmacht <---Weisheit <---Weltanschauung <---Weltansehauung <---Wieland Herzfelde <---Wilhelm Pieck <---Wimbledon <---Wohlstetter <---Yepos <---Yltalia <---Yogurth <---Zaiser <---Zannoni <---Zarathustra <---Zeiser <---Zeiss <---Zeus <---Zeus Lykàios <---Zock <---Zoli <---Zona Territoriale di Palermo <---Zoppo <---Zudeu <---abbaiano <---abbracciano <---affacciano <---affarista <---alfieriana <---alfieriani <---alfieriano <---alfierismo <---altopiano <---analfabetismo <---anarchismo <---animismo <---antagoniste <---antiatlantismo <---anticomunismo <---anticomunista <---antifascisti <---antogoniste <---antropologica <---apprendista <---apprendiste <---arcaismi <---archeologia <---archeologiche <---archeologici <---archeologico <---atlantismo <---attivismo <---attivisti <---autoesorcismo <---banditismo <---barettiana <---bifrontismo <---cattolicesimo <---cattolicismo <---cavouriano <---chismo <---churchilliana <---cinismo <---cismo <---classiste <---clericalismo <---colonialismo <---cominciano <---commercialista <---comparativismo <---confessionalismo <---confuciana <---consumismo <---cosmopolitismo <---cristiani <---crociani <---crocismo <---cronometrista <---cronometristi <---d'Africa <---d'America <---d'Amon <---d'Amore <---d'Aragona <---d'Attilio <---d'Ivrea <---damigiane <---danubiana <---deirimperialismo <---dell'Alfieri <---dell'Alleanza <---dell'America <---dell'Antiduhring <---dell'Asia <---dell'Atlantleg <---dell'Economia <---dell'Elba <---dell'Enrico <---dell'Esercito <---dell'Est <---dell'Europa <---dell'Iran <---dell'Orlando <---democraticismo <---democristiano <---desanctisiano <---deviazionismi <---differenziano <---dossismo <---dottrinarismo <---dullesiana <---economista <---egiziani <---egoismi <---einaudiani <---einaudiano <---emiliano <---enciclopedismo <---etnologica <---etnologici <---eufemismo <---europeismo <---evoluzionismo <---facciano <---fagiani <---fagoriana <---federalismo <---fenomenologica <---feticismo <---feticista <---feudalesimo <---filisteismo <---filologia <---filologico <---filosofismo <---frecciano <---funambolismi <---futuriste <---gentiliana <---gentilianesimo <---gentiliano <---geologica <---giacobinismo <---giobertiana <---giobertiano <---globalismo <---gobettiana <---gobettiane <---gobettiano <---gollista <---gonfiano <---gramsciane <---grossista <---guelfismo <---hitleriana <---idealista <---ideologismo <---illusionismo <---imperialista <---incominciano <---indoeuropeismo <---iniziano <---interirnperialista <---isolazionismo <---joyciana <---kennediano <---latinismi <---liane <---liberalismo <---libertarismo <---licismo <---liste <---liticismo <---luxemburgismo <---macheriana <---machiavelliano <---manniana <---manzoniano <---marxiana <---marxiani <---mazziniana <---mazziniano <---minacciano <---missiroliano <---mitologia <---monoteismo <---moralismo <---moralista <---morfologismo <---motocicliste <---motociclisti <---mutismo <---nazionalismo <---nazionalista <---nazionalisti <---nazisti <---nell'Alfieri <---nell'Alleanza <---nell'Artico <---nell'Asia <---nell'Europa <---nell'Opera <---nell'Ordine <---neocolonialismo <---neoidealismo <---neoidealisti <---nismi <---occidentalista <---oculista <---odiano <---oltranzista <---oltranzisti <---ordinovista <---oscurantismo <---ottimismo <---paganesimo <---partisti <---paternalismo <---perativisti <---persiste <---pettazzoniani <---piemontesismo <---piemontesisti <---pigliano <---pirandelliano <---polemista <---politeismo <---populista <---populisti <---pragmatiste <---prezzoliniana <---prezzoliniano <---problemismo <---professionismo <---professionista <---protestantesimo <---proustiana <---psicologiche <---psicologici <---puritanismo <---radicalismo <---regionalista <---revanchista <---revanchisti <---revancitisti <---revanscismo <---revisionismo <---revisioniste <---ridanciano <---rifugiano <---rinviano <---rischiano <---roliana <---ruffiano <---russoiana <---saggiano <---sahariana <---salveminiana <---salveminiano <---sbagliano <---scarseggiano <---schumacheriano <---sciana <---semifascisti <---semplicismo <---sgraffiano <---siciliana <---siciliano <---simbologia <---sindacalismo <---sinistrismo <---sionisti <---socialiste <---soreliane <---speciallista <---squadrismo <---stacanovista <---stacanovisti <---stakanovisti <---staliniano <---stiani <---sull'Alfieri <---sull'Alleanza <---sull'Euratom <---sull'Europa <---sull'Italia <---taoista <---taylorismo <---tecnicismo <---tecnologica <---tecnologico <---teologia <---teologici <---tiano <---tipologico <---tisiano <---trionfalismo <---troschista <---trotskismo <---trotskista <---umanesimo <---universalismo <---variano <---veneziana <---ventiduesimo <---viaggiano <---virtuosismo <---vogliano <---volteggiano <---zoologica <---zoologiche <---zoologici <---zoologico <---È Tunica <---Ìntimo <---Ìsolario