Brano: [...]a i compagni era quello del pastore coraggioso che cammina di natte sfidando le oscurità e le intemperie del tempo, va a cavallo portando il latte e l'agnello, ripetendo la cantilena antica che le donne dicono per distrarre i bambini:
Torna Pappae dae Baronia
a che leare custos pizzineddos.
Hana a tentare tantos anzoneddos
dorminde in forasa in ghiddighia (1).
Frequentai cosí senza imparare niente la seconda elementare e, dopo che fui pochi giorni in terza, un mio zio si offerse di prendermi a su sartu (il salto, territorio comunale e demaniale) come anzoneddaru cioè pastore di agnelli. Non so descrivere quale fu la gioia nel partire a cavallo con un vestitino di velluto e un paio di gambaletti.
Una delle virtù del pastore é quella di conoscere le pecore. Per i bambini era consuetudine metterli alla prova con sinzolandeli s'anzone, insegnandogli l'agnello. L'indomani che arrivammo mio zio mi condusse agli agnelli: erano oltre cento. E mi disse: — Guarda quell'agnello, se lo conosci te lo dò a te. Lo guardai e tra quei cento lo conobbi[...]
[...]nale. Nel riflettere che si trattava del
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prodotto di tanti duri anni di sacrificio, costituenti il principio del mio capitale « ideale », continuai intanto quella dura vita di schiavo pastore, tra l'un padrone e l'altro, fino al marzo del '45, che fui avvisato di partire soldato.
Eravamo la prima classe che si presentava a riabilitare l'Esercito italiano logorato dal famigerato ventennio fascista. Siamo rimasti pochi giorni nel distretto di Oristano, dove ci passarono la visita, e ci destinarono il Corpo. Venni assegnato alla fanteria e destinato a Trani, provincia di Bari. A Napoli abbiamo visto il disastro apportato da quel regime che ci avevano detto e si sentiva ripetere dal prete e dalle bigotte «Provvidenziale », ed esaltavano Mussolini che fu distrutto per avere distrutto l'Italia, come « Uomo della Provvidenza ». A Trani ci lasciarono un paio di mesi accampati nei pidocchi e nella fame, e ci imparavano l'un dué con la stupida disciplina del « signorsì » , « Ottimo per la truppa ». Eravamo circa duemila s[...]
[...]el « signorsì » , « Ottimo per la truppa ». Eravamo circa duemila sardi, ed eravamo tutti d'accordo nell'abborrire quella vita. Nutrivamo tutti un odio profondo contro quegli ufficiali che si presentavano fanatici ed ancor nostalgici del risorgere di un Esercito servito solo in passato a proteggere la Corona Reale ed il « fascio » del Mostro. Nel mese di giugno ci partirono in traduzione per Trevignano, provincia di Roma, che vi arrivammo dopo 3 giorni di viaggio. Ci accamparono vicino al lago di Bracciano, in un bosco di ciliegie, e i Caporali credettero che fosse giunto il momento di imporre quella stupida dottrina — dato che ci trovavamo ormai separati, noi « sardi malandrini » — come ci chiamavano loro. Difatti, da Trani ci avevano spediti pochi per parte, ma noi, quanto più aumentava la loro arroganza, tanto più sentivamo il dispregio e cercavamo di disertare. Eravamo una diecina di Orgosolo ed oltre un centinaio del Nuorese. Ogni tanto qualche Caporale e qualche sergentino rientravano con gli occhi gonfi dai pugni che assestavamo in r[...]
[...] per sfuggire a quella vita di sfaccendati, riflettendo al distacco dalla famiglia, dal paese, dal bestiame che molti avevano abbandonato, e dal mestiere che ci permetteva di venir incontro alle esigenze famigliari, molti cominciarono ad accusare delle malattie. Stavano senza mangiare, fumavano molto, mangiavano delle cose indiscrete per farsi venir la febbre, ed un mio cugino, dopo aver fatto
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questa vita per una diecina di giorni, ottenne la convalescenza perché, pur essendo di corporatura normale, non pesava allora nemmeno cinquanta chili. Uno accuse, la malattia dell'orina e passarono una quindicina di giorni prima che fosse preso all'ospedale orinandosi addosso e camminando con un bastone come un uomo di ottant'anni. Uno accusò dolori reumatici facendosi gonfiare il ginocchio a pugni e camminando zoppo per oltre un mese, cioè finché non ottenne la convalescenza. Io ero contrario alla vita militare, ma lo ero ancor più a fare anche la minima cosa che potesse dannare la salute. E dopo tre mesi di cosi detto ammaestramento con le armi, siamo stati scelti tutti i Nuoresi a fare una compagnia dimostrativa in Cesano di Roma. I signori ufficiali credevano che noi, perché ignoranti,' avremmo dimostrato b[...]
[...]otesse dannare la salute. E dopo tre mesi di cosi detto ammaestramento con le armi, siamo stati scelti tutti i Nuoresi a fare una compagnia dimostrativa in Cesano di Roma. I signori ufficiali credevano che noi, perché ignoranti,' avremmo dimostrato bene alle Eminenti visite degli Ufficiali Americani di essere degli ottimi servi, di sentirci soddisfatti di rifare un Esercito con le loro armi ed i loro metodi. Ma avveniva il contrario e dopo 3 o 4 giorni abbiamo fatto sciopero per il rancio, dato che ci davano sempre peperoni e cavoli in brodo, avevamo stabilito che nessuno si doveva presentare a prendere il rancio. Ma quando venne a conoscenza il signor Capitano, un vecchio fascista, fece l'adunata e ci portò inquadrati a prendere i peperoni: e lui si piazze. di fronte alla marmitta, mentre noi si doveva passare in fila per tre. Nella mia fila c'erano tre paesani: quando abbiamo preso i peperoni li abbiamo rovesciati di fronte al Capitano. Fu uno scandalo, il Capitano fu sorpreso e divenne lui come un peperone, cercò di fermarci con minaccie[...]
[...]irgli che si era meritato lo schiaffo, e, in molti, andarono a dire la falsa accusa del sergente che voleva vendicarsi per la meschina figura fatta nella istruzione. Insomma, vennero messi in discredito quei due infamoni, ed io, con grande entusiasmo di tutti, fui messo in libertà.
Pure, malgrado le proteste dei compagni, il sergente riuscì, con carte false, a farmi trasferire in una Compagnia provvisoria che doveva partire in Piemonte. I primi giorni non potevo sopportare l'idea della separazione dai miei compagni e amici Nuoresi. Provai anche a fare il lavativo, pur di non essere abbandonato, chiedevo visita ogni giorno. Ma, 15 giorni dopo, mi misero in traduzione: per destinazione ignota.
Il giorno dellla mia partenza fu un giorno di lutto per i miei paesani e amici della compagnia dimostrativa, tutti si astennero dal presentarsi all'adunata e, come poi seppi dall'avermi scritto in seguito, quel giorno stava per essere fatale a un maresciallo. Ad una delegazione presentatasi al Capitano per protestare contro il mio allontanamento, quel maresciallo, non richiesto, diceva che io ero un tipo nervoso, che tutti gli orgolesi, in genere, non sanno controllare i nervi, ecc. ecc. Per il momento fu risparmiato ma la sera, rientra[...]
[...]lo e i pochi abitanti scampati alla morte che si aggiravano nelle fermate del treno, dove prima c'era la stazione, e ora nient'altro che fosse di bombe, pezzi di fabbricato, locomotive deragliate. Vidi donne scheletrite, fasciate di stracci, con bambini sfigurati dal panico e dal poco vitto, che ci venivano incontro nelle carrozze del treno con qualche pacchetto di sigarette o qualche frutta dicendo: « Acquistate! », come invocando pieta. Dopo 3 giorni di lungo viaggio arrivammo a Borgo Manero, provincia di Alessandria, un'incantevole cittadina vicina al lago di Como,
e fui assegnato alla IV Compagnia, 1° Battaglione, Divisione Cremona. Vi erano due soli sardi della provincia di Cagliari, ed i primi giorni sentivo la nostalgia dei paesani. Ma presto riuscii ad ambientarmi
e farmi buoni amici. Il secondo giorno la feci a cazzotti con due o tre Toscani che, nel sentire che ero della provincia di Nuoro, volevano deridermi ingiuriandomi: « Pecoraio », « terra bruciata ». Il più importuno era un tipo alto e robusto, una vera figura di « polentone » — come noi osavamo chiamare per difenderci dalla accusa di pecorai e simili —, e gli assestai una pedata alla vita, un colpo di testa sul muso,
e lo feci cadere. Fu questa lezione che indusse i curiosi ad usare un diverso linguaggio per i Sardi e per la[...]
[...]e spesso ora, se io parlavo così, cioè giusto, mi mandavano in prigione e mi facevano trasferimento. Per gli uflicialetti fascisti ed i camorristi ero diventato lo Spettro. Ovunque, anche dai meno curiosi, ero distinto ora non come « il sardo beduino », « il pecoraio », ma come « il comunista ». E, come parola, mi piaceva. Quando mi arriva il congedo alla caserma Cavour di Torino, dove mi trovavo, dovetti stare un mese ancora per scontare trenta giorni di consegna, pur avendo finito il mio servizio, che si era chiuso con trenta giorni di cella di rigore, per uno sciopero fatto contro lo sfruttamento sul rancio.
Rientrai a casa i primi di febbraio del '47. In casa mi accolsero con gran gioia e festa. Giorni e giorni, qualche ora dopo, parlavo delle condizioni della famiglia: erano tristi. Che cosa dovevo fare?
Un giorno stavo con mia madre e chiedo se esiste in paese un Partito Comunista, come, infatti, esisteva. La mamma mi interrompe con disprezzo e mi dice che quelli sono pochi e mal voluti dai ricchi perché parlano male di loro e della religione. «Proverei il pia grande dispia
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cere — diceva — se ti ascoltassi a fare propaganda comunista. Perché, anche se hanno ragione i poveri, vengono soffocati dalla potenza dei ricchi. E tutto questo funziona male al mondo » . Preferii [...]
[...] nei boschi, dove cerca le ghiande, d'estate deve scendere in pianura, in quelle terre seminate a grano, fave e cereali. E spesso viene colpito da polmonite per il freddo o febbre malarica per il caldo.
Io presi la malaria l'anno prima, in territorio di Ottana e ne soffrii a lungo.
Ma la peste suina ora, in quell'agosto, seminava la morte di tutti i maiali. Noi, per poterli scampare, li avevamo divisi col padrone. Ma, in tempo di tre o quattro giorni, ci morirono tutti con giramento di testa, vomito. Perdevamo il lavoro di tre anni, con quella perdita di maiali, e salute, soldi. Per me, con due anni che avevo passati sotto le
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armi, erano 5 ora gli anni di inutile lavoro. Nel paese, da. altre due anni, erano in corso lavori per la strada di Locoe e, saltuariamente, occupava 200 operai. Senza attendere ed esser disoccupato, avevo la fortuna, non tutti i giorni tuttavia, di potere lavorare. Qual manovale. Era un lavnro pesante, assai faticoso. Ma, dopo la giornata lavorativa, rientravamo in paese cantando, e tutto sembrava festa, senza un'ombra di discordia.
La sezione Comunista durante questo periodo godeva la massima fiducia dei lavoratori: vi erano oltre 300 iscritti. Ed io ero iscritto.
Nel 1949 morirono ancora maiali, che causarono gran danno alla economia del paese, e vi furono pastori declassati, avviliti per i debiti; stanchi di quella vita bestiale, di essere scorticati dal fisco e dagli agrari, erano andati per la strada. Finirono i lavo[...]
[...]cominci la paura del confino come ai tempi di Mussolini, quando si vociferava di una grande lista di giovani da deportare, ossia confinare, fatta dal maresciallo dei carabinieri, d'accordo col sindaco e tutti i proprietari del paese.
Dopo la morte dei maiali io mi ero dedicato a. un orto e vigna di
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proprietà della famiglia. Dedicavo anche attività al Comunismo, così che ero stato eletto Segretario dei Giovani.
Pochi giorni dopo l'elezione, che fu il 1948, venni arrestato. Mentre innaffiavo l'orto vengono i carabinieri in numero di 5, 3 della stazione di Orgosolo, 2 da Nuoro, e furono sorpresi al vedere l'orto per come era grande e coltivato bene. Mi vollero incoraggiare dicendo che non c'era niente di male e che mi desiderava il colonnello soltanto per un interrogo. Risposi che, essendo un lavoratore onesto, come mi potevano vedere, mi dispiaceva il condurmi arrestato quale un delinquente; che bastavano pochi giorni di prigione per rovinare tutto l'orto, unica speranza di cavare qualche cosa dopo la perdita dei[...]
[...]to. Mentre innaffiavo l'orto vengono i carabinieri in numero di 5, 3 della stazione di Orgosolo, 2 da Nuoro, e furono sorpresi al vedere l'orto per come era grande e coltivato bene. Mi vollero incoraggiare dicendo che non c'era niente di male e che mi desiderava il colonnello soltanto per un interrogo. Risposi che, essendo un lavoratore onesto, come mi potevano vedere, mi dispiaceva il condurmi arrestato quale un delinquente; che bastavano pochi giorni di prigione per rovinare tutto l'orto, unica speranza di cavare qualche cosa dopo la perdita dei maiali. Li convinsi a togliermi le manette e condurmi slegato. Abbiamo percorso tutta la strada, per più di un'ora, e prima di arrivare al paese l'appuntato mi diceva di essere Saragattiano, finendo per dare a me ragione e suggerendo all'orecchio che a lui dispiaceva portarmi in caserma, che, per conto suo, era propenso di lasciarmi fuggire. Risposi: « Io non faccio il latitante », e trovandomi con la coscienza pulita, non avevo nessuna paura di un raffronto con la giustizia. Appena giunti in case[...]
[...]: « Chi ha messo queste manette? ». Scattando come una burba il capo scorta disse: « Io, signor capitana ». Il capitano, sghignazzando, con uno strillo disse: « Sono troppo larghe P. Per questa volta ti dò 5 più 3. Di rigore ». Lo interruppi dicendo che mi avevano preso dal lavoro, che ero un cittadino onesto.
La sera stessa fui condotto al carcere mandamentale di Sorgono (quello di Nuoro era troppo pieno), e mi chiusero in una cella e vi fui 3 giorni senza interrogato, che non mi davano acqua o pane, al terzo giorno, quasi sfinito dalla fame, dalla sete, cominciai a gridare, finché non mi hanno tirato fuori. Mi condussero in ufficio dal mare
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sciallo, che mi interrogò su una rapina avvenuta tempo prima nella foresta di Urzulei, e disse che il giorno ero stato visto nel Sopramonte con la banda di Liandru, latitante. Risposi che Sopramonte era più di un anno che non passavo, e che se sosteneva di avermi visto con la banda Liandru, un latitante che non conoscevo, questa era un pretesto infame: volevano colpirmi perché co[...]
[...]che il giorno ero stato visto nel Sopramonte con la banda di Liandru, latitante. Risposi che Sopramonte era più di un anno che non passavo, e che se sosteneva di avermi visto con la banda Liandru, un latitante che non conoscevo, questa era un pretesto infame: volevano colpirmi perché comunista. « Intanto — dicevo — avete oltraggiato già il mio fisico, e questo è un sopruso, in quanto non avete il diritto di torturare un individuo lasciandolo tre giorni senza mangiare, ancor prima di interrogarlo. Per quel giorno che dite io ci ho prove buone, alibi, e intanto mi rifiuto di rispondere prima che non mi avete fatto mangiare e bere ».
E per ogni altra domanda rispondevo: « Viva il Comunismo! ».
Il maresciallo non tardò a farsi sostituire da un altro in abiti civili, e costui, con aria lusinghiera, fingendo di non saper nulla', mi chiese: « Perché ti hanno portato? ». « Perché stavo lavorando ». Incalzò ripetendo: « Vuoi rispondere bene e dirmi perché ti hanno arrestato? ». « Ho già detto la verità, ed ora aggiungo che sono 3 giorni che non mi[...]
[...]e prima che non mi avete fatto mangiare e bere ».
E per ogni altra domanda rispondevo: « Viva il Comunismo! ».
Il maresciallo non tardò a farsi sostituire da un altro in abiti civili, e costui, con aria lusinghiera, fingendo di non saper nulla', mi chiese: « Perché ti hanno portato? ». « Perché stavo lavorando ». Incalzò ripetendo: « Vuoi rispondere bene e dirmi perché ti hanno arrestato? ». « Ho già detto la verità, ed ora aggiungo che sono 3 giorni che non mi davano pane, nemmeno acqua ». E che volevo sapere se mi avevano portato per motivi di giustizia o per farmi morire di fame. Ordinò che mi fosse dato subito da mangiare e, dopo mangiato, mi tradusse in una camionetta; e siam partiti con il tenente e due marescialli per riportarmi a Nuoro. Le varie domande rivoltemi in viaggio per i banditi e per le rapine finivano in argomento politico. « Tu sei un comunista » dicevano. « Evviva il Comunismo! » dicevo io.
La sera mi lasciano a Nuoro e il giorno dopo ripartono per Urzulei. Diceva il tenente: « C'é uno che ti dirà di averti visto il [...]
[...]sarono di venire alla caserma; ma la moglie — allarmata come tutto il paese dell'arrivo di un borghese sconosciuto, con la macchina dei carabinieri, che pensavano trattarsi di qualche spia in
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cerca di accusare qualcuno, chi sa perché (come spesso fanno i carabinieri) — disse che ìl marito non era in paese. Lasciarono l'ordine, appena rientrato, di andare in caserma, ma costui si dette alla macchia e rimase più di 15 giorni senza rientrare in paese. La sera venne un capitano e, con finzioni di gentilezza, dicendosi da poco ospite della Sardegna, e trovandosi molto seccato per lo stato primitivo e l'arretratezza delle campagne sarde — massime i contadini che non conoscevano ancora la trebbia — mi osservò con rammarico che il male peggiore della Sardegna erano i banditi: rapinatori di strada che erano ragazzi di Orgosolo: ed io dovevo ben conoscerli. Risposi che ero un lavoratore onesto, che per la peste suina avevo perso i maiali e perso i1 lavoro per tre anni, che mi trovavo disoccupato. Ma che per nessuna cosa [...]
[...]iustizia — dissi — dovete arrestare i responsabili di quelle rapine, non me ». Il capitano, che prima era venuto con il sorriso gentile, si é arrabbiato ed ha richiesto subito un tenente. E venuto e gli chiede: «Come si è comportato il `compagno' » ? . Risponde: cc I compagni ti trattano col sorriso sulle labbra. Hanna imparato bene a sapere chi siamo, e ci trattano proprio bene ». Infatti io gli avevo risposto subito al sorriso.
Dopo due o tre giorni venni messo in libertà senza che il Capra si presentasse per giustificare il mio arresto.
In famiglia furono disperati: non sapevano neanche dove mi avevano portato; non avevano saputo fare più niente, dato che nessuno della nostra famiglia aveva avuto a che fare con la giustizia. Mi accolsero con gran gioia, e quasi tutti in paese furono solidali con me. I compagni mi portarono in trionfo e, in segno di festa, fecero echeggiare i cori sos tenores.
Intanto aveva fatto giorni di intenso calore e l'orto più di tutti venne colpito per la mia assenza. Mi fece impietosire e mi costò molto per fa[...]
[...]nza che il Capra si presentasse per giustificare il mio arresto.
In famiglia furono disperati: non sapevano neanche dove mi avevano portato; non avevano saputo fare più niente, dato che nessuno della nostra famiglia aveva avuto a che fare con la giustizia. Mi accolsero con gran gioia, e quasi tutti in paese furono solidali con me. I compagni mi portarono in trionfo e, in segno di festa, fecero echeggiare i cori sos tenores.
Intanto aveva fatto giorni di intenso calore e l'orto più di tutti venne colpito per la mia assenza. Mi fece impietosire e mi costò molto per farlo sorridere, annunziandosi l'innaffiatura al mio ritorno. La disoccupazione si faceva sempre più sentire. I lavoratori disperati andavano in cerca di qualsiasi lavoro. Molti cercarono di emigrare (ed una
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volta fui tentato anch'io), ma poi decisi di andare servo pastore con un proprietario di Nuoro, che mi dava 11 mila lire al mese. Rimasi due mesi laghinzazzu, cioè pastore di quelle pecore che non davano figli, sempre solo, senza avere la possibilità nea[...]
[...]va già spedito il rapporto, e così furono tradotti al carcere di Nuoro. Rilasciati poi, per inconsistenza di reato, una settimana dopo.
La reazione popolare contro il Sindaco e il Maresciallo divenne paurosa, mentre la simpatia per noi si aumentava ed i proprietari del paese, cioè i nemici del Progresso e della Pace, divenivano furibondi.
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D'accordo col maresciallo decisero di sospendere i lavori, e lavorava mo appena da 10 giorni quando ci venne annunciata la sospensione con la scusa che finiti i fondi. Rispondemmo che del milione di lire non si erano spese neanche duecentomila lire e che noi avevamo bisogno di lavorare, di fare la strada. Che malgrado l'ordine del Sindaco non smettevamo di lavorare. E abbiamo cosi continuato per venti giorni ancora, senza ricevere un solo soldo ma contenti, perché facevamo una strada che era stato il sogno, irrealizzato, di tutti i nostri antenati. Io facevo il caposquadra e un giorno mi feci sostituire perché dovevo andare alla vigna. Ed il giorno vennero una diecina di macchine ed arrestarono tutti gli operai. Nel paese ciò suscitò indignazione ed il Sindaco chiese, anch'egli, le dimissioni. Io, quando venni dalla vigna e appresi la notizia, mi mordevo le dita per non essermi trovato, e la sera, dalla rabbia, mi venne pure la febbre. L'indomani tornai al lavoro con altri due — aspettavo che mi [...]
[...]suscitò indignazione ed il Sindaco chiese, anch'egli, le dimissioni. Io, quando venni dalla vigna e appresi la notizia, mi mordevo le dita per non essermi trovato, e la sera, dalla rabbia, mi venne pure la febbre. L'indomani tornai al lavoro con altri due — aspettavo che mi arrestassero — e invece, no, verso le 10 vennero i carabinieri e mi chiesero le generalità. Dissero che questa era una buona opera, e non mi arrestarono.
Dopo una diecina di giorni i lavoratori furono rilasciati: ma ne uscirono disperati per le condizioni di miseria ed oppressione a cui volevano sottometterci. Gli attrezzi di lavoro non ci furono mai restituiti, malgrado le continue richieste, e si può dire cioè, rubati. Io fui denunziato per ammutinamento.
La situazione in paese diventava sempre piú allarmante. Intanto furono portate le Forze Repressione Banditismo. I marescialli dei carabinieri che avevano il mandato di arrestare disoccupati in cerca di lavoro, ed i fuori legge che ora fermavano corriere, con pressioni ricattatorie incitavano i miei paesani più fragi[...]
[...]ppena alzando, quando vidi ' entrare, e pallidi in volto, col mitra spianato, una ventina di carabinieri. Venni subito ammanettato e la mia madre, nel vedermi rapire in modo si
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brutale, cadette nelle scale con un dolore aI cuore, e non si rialzò più. Dopo due mesi é morta, scomparsa per sempre, senza più rivedere quel figlio che gli era tanto caro. Me la hanno fatta morire per vederla soffrire.
Dopo una quindicina di giorni mi passarono in commissione di confino, dove, dopo avermi letto un verbale calunnioso ed infamante, senza darmi possibilità di difesa, mi assegnarono 4 anni di confino da scontare ad Ustica, dopo qualche mese di carcere. Abbiamo potuto assistere, atterriti, ad una serie di confronti falsi organizzati tramite i confidenti che impunemente operavano nel Nuorese.
Siamo partiti in traduzione per Ustica in quattro — tre eravamo di Orgosolo ed uno di Lollove — e siamo giunti dopo una quarantina di giorni, facendo il transito Nuoro, Sassari, Civitavecchia, Roma, Napoli, Reggio Calabria, Palermo. In [...]
[...]opo avermi letto un verbale calunnioso ed infamante, senza darmi possibilità di difesa, mi assegnarono 4 anni di confino da scontare ad Ustica, dopo qualche mese di carcere. Abbiamo potuto assistere, atterriti, ad una serie di confronti falsi organizzati tramite i confidenti che impunemente operavano nel Nuorese.
Siamo partiti in traduzione per Ustica in quattro — tre eravamo di Orgosolo ed uno di Lollove — e siamo giunti dopo una quarantina di giorni, facendo il transito Nuoro, Sassari, Civitavecchia, Roma, Napoli, Reggio Calabria, Palermo. In ogni carcere di dette città ci facevano stare almeno una settimana, dormendo per terra, nelle peggiori celle, senza ricevere posta dalle famiglie, sottoposti a una serie continua di abusi da parte dei secondini. Quando siamo arrivati ad Ustica, dopo 40 giorni, eravamo più morti che vivi, e la stessa sorte veniva e viene riservata tutt'ora ai poveri confinati, e di tale orrore mai nessuno ebbe a protestare. A nessuno dei confinati riesce ad indovinare il perché di un viaggio così storto, se non con l'unico scopo di massacrare il confinato, dato che facendo CagliariPalermo si potrebbe arrivare con 34 giorni di viaggio.
' Ad Ustica trovammo già un buon numero di paesani — una trentina di sardi, e quasi tutti Orgolesi — una trentina di Siciliani, ed altrettanti, o forse una ventina fra calabresi e altro resto d'Italia. Noi orgolesi eravamo quasi tutti giovani incensurati e, come tali, ci sentivamo uniti come uno solo, aiutandoci a vicenda per affrontare tale ingiustizia, ed altrettanto si può dire, in altri gruppi, di tutti i sardi, quasi tutti di provincia di Nuoro, come noi giovani pastori venuti da ambiente quasi al nostro comune, generoso e sicuro. I calabresi, una diecina, erano lo stesso uo[...]
[...]li, frosci, che dominavano l'ambiente della « scuderia. ». Facevano bordello, fumo e porcherie. Inoltre vi erano 4 o 5 siciliani scimuniti dalla galera: che l'uno diceva di essere più malandrino dell'altro, e ogni tanto si sfidavano a coltellate. I poliziotti dalle 6 di sera facevano l'appello e chiudevano il gabinetto fino all'indomani. Insomma, l'ambiente di scuderia, per chi era dotato di un pò di sensi, era insopportabile. Ed allora, dopo 10 giorni di buona condotta uno poteva inoltrare domanda al Signor Direttore per il passaggio in casa privata, che il confinato po
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teva cercarsi dietro pagamento. E conce fare per vivere e pagare la stanza con 4500 lire al mese? Bisognava arrangiarsi, diceva la Questura: lavoro non ce n'era; se qualcuno lo prendevano a zappare ed a custodire le mucche, lavorava dalla mattina alla sera e gli davano 50 o 100 lire al giorno, quando il Signor Direttore gli concedeva il permesso: dato che questo era un privilegio non tutti lo potevano ottenere.
Questo é il confino di Pubblica S[...]
[...] le poche case coloniche che i pastori avevano costruito ed affidarle a carabinieri e poliziotti per effettuare meglio i rastrellamenti. Pubblicamente avevo protestato.
Il 22 di maggio come nel settembre 1950 — vennero ad arrestarmi. Ma essendomi accorto della mossa, riuscii a squagliarmela mentre veniva arrestato il Segretario della Sezione, il compagno Murgia, un uomo di 50 anni da oltre 6 mesi malato che era stato confinato nel 1950 dopo 15 giorni di carcere. Ed altre volte prima.
Io, per oltre tre mesi fui fuoriuscito. I carabinieri, forse istigati dagli infami signorotti del paese — che sentono la coscienza poco pulita nei confronti del popolo — sapendomi affezionato alla causa degli afflitti, cercavano di braccarmi, come fossi un orribile assassino. Ora perché amo la pace e non il banditismo mi affido ai miei carnefici: so che a lungo subiremo ancora ingiustizie ma chi crede nella pace, nella vera giustizia, al fine trionferà...
Nessuno che voglia giudicare onestamente, di quanti mi conoscono, potranno mai credere che Peppino Maio[...]