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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Già è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1143Analitici , di cui in selezione 44 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte seconda: Orgosolo e lo stato in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]to meno oggi, un mondo veramente isolato: é un errore pensarlo chiuso soltanto in sé, non compromesso con il mondo che lo circonda. Sin dai primordi Orgosolo é stato in continuo rapporto con uomini e popoli, con società ed organizzazioni più complesse: con lo Stato. E questo rapporto condiziona la sua fisionomia dalle più profonde radici. La storia di Orgosolo é un capitolo della nostra civiltà. È un capitolo della storia di una regione, la Barbagia, di cui conserva, quasi caso limite, tutte le contraddizioni, i contrasti, l'oppressione, la schiavitù della conquista subita da parte di civiltà da lei diverse, di Stati. E la storia della Barbagia, che quasi nessun italiano conosce, é, per questo aspetto, una storia di grandissima importanza, direi quasi esemplare, per comprendere la più profonda e tragica formazione della nostra società contemporanea.
Il paese di Orgosolo ha un destino singolare, unico, probabilmente, tra tutti i paesi d'Europa: da tremila anni è in stato permanente di assedio militare e poliziesco. Cartaginesi, Romani, Bizantini, Spagnoli, Piemontesi, Italiani, di fronte alla sua radicale interna turbolenza, non sono riusciti mai a conquistarlo stabilmente, a penetrarlo: si sono limitati dapprima ad attaccarlo, cost[...]

[...] e lo Stato sono fondamentalmente gli stessi: conflitti, guerre, tensione, ostilità.
Questo assedio militare e poliziesco ha un'importanza decisiva per la storia del paese: da un lato ne assicura, ne conserva la vita antichissima come in un paradossale museo; dall'altro ne rende permanente, ne stabilizza la turbolenza.
Se la turbolenza di Orgosolo ha radici nella struttura economica e sociale odierna comune a tutto il mondo dei pastori di Barbagia e si manifesta in forme proprie e gravi per la sopravvivenza di residui di
146 FRANCO CAGNETTA
una struttura economica e sociale più antica, di un mondo di « cacciatori », proprio l'assedio militare e poliziesco — questo anello che impe
disce apertura, scambio, trasformazione è il fattore decisivo che
consente quella sopravvivenza e fa si che il paese rimanga oggi una eccezione rispetto a quelli consimili e vicini che, finito un analogo assedio, si vanno trasformando.
Il lungo assedio militare e poliziesco contro Orgosolo, ancor oggi presente, non è un problema secondario, soltanto polit[...]

[...]ra, di polizia. E un insieme di sistemi e di meodi di guerra, di polizia è il solo quadro della storia «statale» del paese.
Per l'epoca antica si tratta di vere e proprie guerre contro tutta la regione che lo circonda, tentativi di conquista. Le più antiche notizie, per il periodo cartaginese (VIIV sec. a. C.) ce le forniscono Pausania e Diodoro. Scrive Pausania che di fronte ai cartaginesi molti sardi: « si salvarono tra i monti dell'isola rifugiandosi in montagne, difesi da spelonche e da crepacci » (1). i< Rifugiatisi tra le montagne e nascosti in dimore sotterranee — aggiunge Diodoro —, spesso attaccati, essi restarono liberi per difficoltà ed intrichi di caverne sotterranee » (2).
Per il periodo romano (378 a. C. V sec. d. C.) scrive Zonara che nel 231 a. C. « Manio Pomponio, il quale inseguiva i sardi, poiché non riusciva a perseguire molti di essi nascosti tra i monti pieni di spelonche, aveva fatto venire dall'Italia cani poliziotti e, per mezzo loro battendo i nascondigli degli uomini e delle bestie, molti era riuscito a catturarne » (3). Una importante campagna militare e di polizia fu condott[...]

[...] parte provvedono ed in parte negligono anche perché non si può tenere a lungo le truppe in si infette terre. Resta la stagione calda per condurre le spedizioni. Aspettano allora quando i barbari, come é loro costume, si riuniscono in banchetti, ed assalitili con questo stratagemma, molti ne conducono in cattività » (5). Una successiva spedizione militare e di polizia é indicata da Tacito nel 19 d. C. quando parla di 4000 Ebrei deportati in Barbagia per distruggere « briganti s> (6). Giustiniano, il 435, tra le sue leggi, stabilisce che il territorio sia circondato da una cintura militare permanente (7).
Per il periodo bizantino (VVI sec. d. C.) il papa Gregorio I Magno ci informa che una campagna militare e di polizia fu quivi condotta dal generale Zabarda dal 594 al 599 d. C. (8).
Si tratta, sino a qui, di azioni contro tutto un territorio, contro popoli stranieri.
Per il periodo dell'autonomia sarda o del regno dei Giudici di Sardegna (IV sec. 1410) sappiamo che in questo periodo Orgosolo entra a far parte per la prima volta di un [...]

[...]Berlino, Weidmann, 1877, I, 27, 2, pp. 7779.
(8) Monumenta Germaniae historia ecc. Graegori 1 Papae Registrum Epistolarum a cura di Paul Ewald, Berlino, Weidmann 1887, Liber I, p. 260261.
(9) cfr. p. 83.
(10) cfr. p. 52, n. 8.
148 FRANCO CAGNETTA
« Juratos » che lo aiutavano. Sappiamo, sempre dalla « Carta de Logu » quali fossero i compiti specifici di questo corpo: perseguitare, catturare e condannare omicidi, grassatori, uccisori e danneggiatori di bestiame, ladri di campagna e di abitazioni, incendiari; perquisire come misura preventiva contro i furti tutte le case, una volta al mese quelle di semplici cittadini, due volte al mese quelle di sospetti; ed, infine, assicurare qualche riscossione di tributi. La situazione della criminalità locale, molto grave, può desumersi, indirettamente, dalla gravità delle pene cornminate dalla « Carta de Logu »: per l'omicidio la decapitazione; per le ferite taglione e pene pecuniarie; per la grassazione la forca; per il furto pene pecuniarie, l'estrazione di un occhio, l'accecamento, la forca;[...]

[...]ci cittadini, due volte al mese quelle di sospetti; ed, infine, assicurare qualche riscossione di tributi. La situazione della criminalità locale, molto grave, può desumersi, indirettamente, dalla gravità delle pene cornminate dalla « Carta de Logu »: per l'omicidio la decapitazione; per le ferite taglione e pene pecuniarie; per la grassazione la forca; per il furto pene pecuniarie, l'estrazione di un occhio, l'accecamento, la forca; per i danneggiamenti di bestiame e di campagna taglione e pene pecuniarie; per gli incendi taglio della mano, rogo, pene pecuniarie ecc.
I paragrafi 6 e 7 della « Carta de Logu » ci fanno intendere come, in quel momento, altrettanto, il rapporto tra lo Stato ed il paese si configura per la prima volta come problema del «banditismo ». Il banditismo, infatti, non é un fenomeno che si generi immediatamente, direttamente dalla struttura economica e sociale locale in sé isolata come la « vendetta » e la «bardana », ma è solo un prodotto dell'incontro, dell'attrito tra l'antica struttura economica e sociale indig[...]

[...]r la prima volta compare la definizione giuridica statale di bandito (« isbandidu »). Era tenuto per tale ogni accusato di reato che si sottraesse a giudizio o, catturato, evadesse. Si imponeva a tutto il paese, insieme al corpo di polizia, l'obbligo di catturare il
bandito entro un mese, pena, altrimenti, una multa di 100 lire sarde per la collettività, 10 per il Majore e 5 per ogni Juratu. I beni del ban
dito venivano confiscati. Ogni favoreggiatore, eccetto la moglie ed i figli,
era punito con multa di 100 lire sarde o, non potendo pagare, con la prigione a discrezione del Giudice. Non conosciamo il numero dei ban
diti di Orgosolo ma, tenute presenti le notizie di altri paesi di Sardegna, si deve ritenere altissimo e, in certi momenti, quasi vicino alla totalità del paese.
Ma é nel periodo di dominio spagnolo (14101721) che i rapporti tra Orgosolo e lo Stato si configurano in linee che, fortemente, esistono. tutt'oggi.
Con l'introduzione del sistema feudale spagnolo e l'inclusione di Orgosolo nei feudi della Curadoria Dore dappr[...]

[...]nsava si sottraesse a giudizio o, se condannato, pur non sapendolo si sottraesse, o, se catturato, evadesse. I suoi beni andavano al signore, al Delegato, agli sgherri (Prammatica 26, 1). Tali «banditi », insieme a loro compagni considerati fuoriusciti (« foragits ») imperversavano in tutte le campagne. « Son le terre inquiete e tormentate da uomini facinorosi che vanno in squadriglie uccidendo, rubando senza fine » (Prammatica 26, 2). Il favoreggiamento di « tali banditi » era — come conferma la stessa Prammatica (26, 2) — « da parte di tutta la popolazione ». Era punito con 1000 ducati e 10 anni di galera, con l'esenzione dei soli parenti pros
(11) cfr. p. 8384.
150 FRANCO CAGNETTA
simi (Prammatica 26, 5). Innumerevoli «grida» proibivano di portare armi, di andare a volto coperto, con barbe lunghe. Due istituti parti colari : la « taglia » ed il « guidatico » sono i più importanti del periodo spagnolo. I « banditi » ritenuti tali erano proposti a pubblica punizione: tutti potevano colpirli impunemente e, portandoli vivi o morti, per[...]

[...]ustriale, t 26 febbraio 1954.
22) Tessoni Antonio Luigi, guardia comunale, t 3 aprile 1954.
23) Tolu Antonia, casalinga, t 17 giugno 1954.
24) Puligheddu Antonio, esattore, t 9 agosto 1954.
25) Branchidda Antonio, pastore, 1 25 agosto 1954.
26) Garippa Giuseppe, pastore, 1' 27 agosto 1954.
27) Catgiu Francesco, pastore, t 30 agosto 1954.
A questi si possono aggiungere per i due anni precedenti, di cui non ho i dati completi :
28) Corrias Giacobbe, pastore.
29) Soro Vincenzo, pastore.
156 FRANCo CAGNETTA
30) Corraine Nicolò, pastore.
31) Sales Giovanni, pastore.
32) Grissantu Giovanni, pastore.
33) Podda Luigi, contadino.
34) Podda Egidio, pastore.
35) Corrias Pasquale, pastore.
36) Corrias Maddalena, casalinga.
F.i.FNCO DEI REATI PIÙ GRAVI ATTRIBUITI
AD ORGOLESI NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI (195054)
Un elenco dei reati gravi, esclusi i sopraindicati omicidi, e che comprendono ferimenti, rapina a mano armata, grassazione, sequestro di persona, uccisioni e danneggiamenti di bestiame, distruzione e danneggiamento di campag[...]

[...]store.
31) Sales Giovanni, pastore.
32) Grissantu Giovanni, pastore.
33) Podda Luigi, contadino.
34) Podda Egidio, pastore.
35) Corrias Pasquale, pastore.
36) Corrias Maddalena, casalinga.
F.i.FNCO DEI REATI PIÙ GRAVI ATTRIBUITI
AD ORGOLESI NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI (195054)
Un elenco dei reati gravi, esclusi i sopraindicati omicidi, e che comprendono ferimenti, rapina a mano armata, grassazione, sequestro di persona, uccisioni e danneggiamenti di bestiame, distruzione e danneggiamento di campagne, incendi di boschi, furti, abigeati ecc. ecc., cornporterebbe un elenco chilometrico e, ben intesi, limitato ai reati denunciati.
I più gravi, attribuiti a torto o a ragione ad orgolesì sono, restrittivamente, i seguenti:
1) Il 13 agosto 1949 in loc. Monte Maore (Villagrande) viene fermata ed aggredita da fuorilegge un'auto dell'Ente per la lotta contro la malaria in Sardegna (Erlas) e svaligiata di 2 sacchi di banconote per 9 milioni, che costituivano le bustepaga degli operai. Sopravvenuto un autocarro con 10 carabinieri ed ingaggiato conflitto rimanevano uccisi i carabinieri:
I) Celestino Lanfisio
2) Salvatore di Pietro
3) Giovanni Gallittu
ed acciecato il carabiniere:
Giuseppe del Proposto.
Restavano feriti, altresì, gli altri carabinieri ed altri uomini di scorta per un totale di 28.
2) II 25 settembre 1949 viene sequestrato in Orotelli il proprietario Gavino Congiu, con ricatto per 2 milioni, e viene ritrovato ucciso, successivamente nell'ottobre 1949.
3) Il 9 settembre 1950 in loc. «Sa verula (Nuoro) viene fermato ed aggredito da fuori legge un autocarro dell'Erlas ancora e svaligiato di 2 milioni che costit[...]

[...]ciecato il carabiniere:
Giuseppe del Proposto.
Restavano feriti, altresì, gli altri carabinieri ed altri uomini di scorta per un totale di 28.
2) II 25 settembre 1949 viene sequestrato in Orotelli il proprietario Gavino Congiu, con ricatto per 2 milioni, e viene ritrovato ucciso, successivamente nell'ottobre 1949.
3) Il 9 settembre 1950 in loc. «Sa verula (Nuoro) viene fermato ed aggredito da fuori legge un autocarro dell'Erlas ancora e svaligiato di 2 milioni che costituivano le bustepaga degli operai. Sopravvenuta una geep con 4 carabinieri ed ingaggiato conflitto rimanevano uccisi i carabinieri:
1) Salvatore Tilocca
2) Giovanni Manunta
3) Francesco Gennaro.
Rimaneva ferito anche l'autista.
4) II 9 maggio 1951 in loc. « Gianna 'e pelta » (Urzulei) viene fermata ed aggredita da fuorilegge una corriera della ditta Selas e svaligiati i 20 passeggeri. Sopravvenuta una geeps con 6 carabinieri ed ingaggiato conflitto rimangono uccisi i carabinieri:
INCHIESTA.. su oatcosoto 157
1) Antonio Sanna
2) Bruno Caielli
e ferito:
Vittorio Guida.
5) Il 28 gennaio 1953 in loc. « Docana » (Orgosolo) viene ucciso il carabiniere Efisio Lorigas.
6) I1 6 novembre 1953 in loc. « Sos furores » (Dorgali) viene fermato ed aggredito un autocarro della ditta Davide Capra con 20 operai ed il titolare viene sequestrato. Il 6 novembre 1953 in loc. «Meninfili» (Orgosolo), i carabinieri, ingaggiato conflitto con fuorilegge durante una battuta, ritrovano il cadavere. del Capra unitamente a quello del sequestratario[...]

[...]si i carabinieri:
INCHIESTA.. su oatcosoto 157
1) Antonio Sanna
2) Bruno Caielli
e ferito:
Vittorio Guida.
5) Il 28 gennaio 1953 in loc. « Docana » (Orgosolo) viene ucciso il carabiniere Efisio Lorigas.
6) I1 6 novembre 1953 in loc. « Sos furores » (Dorgali) viene fermato ed aggredito un autocarro della ditta Davide Capra con 20 operai ed il titolare viene sequestrato. Il 6 novembre 1953 in loc. «Meninfili» (Orgosolo), i carabinieri, ingaggiato conflitto con fuorilegge durante una battuta, ritrovano il cadavere. del Capra unitamente a quello del sequestratario Emiliano Succu.
PROCFSSI E CONDANNE INFLITTE
AD ORGOLESI NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI (195054)
I processi relativi a quasi tutti i sopracitati reati comporterebbero, altrettanto, un elenco chilometrico e, complessivamente, molti secoli di condanne al carcere.
Il più famoso é quello svoltosi per le due cit. stragi di Monte Maore « Villagrande » e « Sa verula » (Nuoro), svoltasi dal 10 marzo al 2 luglio 1953 alla Corte di Assisi di Cagliari e conclusosi con 13 ergastoli, 2 co[...]

[...]L'ERGASTOLO DI ORGOSOLO
1) Tanteddu Pasquale, pastore, latitante, 2 ergastoli.
2) Tanteddu Giovanni, pastore.
3) Sanna Antonio Nicolò, pastore, 2 ergastoli.
4) Bassu Antonio, pastore.
5) Podda Luigi, contadino.
6) Sini Francesco, pastore.
7) Muscau Antonio Fedele, pastore.
8) Bataccone Luigi, pastore.
9) Liandru Giovanni Battista, pastore.
10) Dettori Giuseppe, pastore.
11) Mesina Francesco, pastore.
12) Sio Antonio, pastore.
13) Satgia Antioco, pastore.
14) Valurta Giovanni, pastore.
15) Moro Domenico, contadino.
ELENCO DEI CONDANNATI DI ORGOSOLO A PENE GRAVI
1) Rama Pasquale, pastore, ad anni 30.
2) Dettori Giuseppe, pastore, ad anni 30.
158 FRANCO CAGNETTA
3) Piras Antonio, contadino, ad anni 17.
4) Catgiu Salvatore, bracciante, ad anni 19.
5) Lereu Giovanni Andrea, pastore, ad anni 20.
6) Moro Pasquale, pastore, ad anni 26.
E altri.
ET.FNCO DEI LATITANTI DI ORGOSOLO NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI
(195054)
Gli orgolesi alla macchia, di volta in volta, devono considerarsi quasi tutti gli uomini di Orgosolo o come [...]

[...]ile si rende impossibile.
Tra i latitanti veri e propri hanno avuto fama negli ultimi anni :
1) Liandru Giovanni Battista, pastore, arrestato.
2) Dettori Giuseppe detto Liandreddu, pastore, arrestato.
3) Floris Antonio Maria, pastore.
4) Floris Raffaele, pastore.
5) Tanteddu Pietro, pastore, deceduto.
6) Tanteddu Pasquale, pastore.
Attualmente sono latitanti ed hanno fama :
I) Tanteddu Pasquale.
2) Floris Raffaele, dogau.
Per « favoreggiamento » di banditi si possono considerare, di volta in volta, colpiti da arresto, confino o ammonizione, quasi tutti gli uomini di Orgosolo e alcune donne. Ecco, per es., lo :
ELENCO DEI CONFINATI DI ORGOSOLO
1) Tanteddu Antonia, di anni 20, condannata ad 1 anno a Terraferma.
2) Tanteddu Antonio, di anni 65, pastore, 3 anni a ...
3) Tanteddu Francesco, di anni 24, pastore, 2 anni ad Ustica.
4) Devaddis Francesco, fidanzato di Ant. Tanteddu, di anni 34, contadino, 2 anni ad Ustica.
5) De Muru Francesco, di anni 30, pastore, 4 anni ad Ustica.
6) Filindeu Giovanni, di anni 24, bracciante, [...]

[...]ncesco, di anni 24, pastore, 3 anni ad Ustica.
9) Menneas Giuseppe, di anni 27, pastore, 3 anni ad Ustica.
10) Menneas Domenico, di anni 25, pastore, 1 anno a Terraferma.
11) Bataccone Marco, di anni 34, pastore, 1 anno ad Ustica.
12) Sini Bachisio, di anni 34, disoccupato, 2 anni ad Ustica.
13) Succu Luigi, di anni 21, pastore, 3 anni ad Ustica.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 159
14) Musina Giuseppe, di anni 27, pastore, 2 anni ad Ustica.
15) Murgia Francesco, di anni 50, bracciante, 8 anni ad Ustica.
16) Monni Salvatore, di anni 23, pastore, 1 anno ad Ustica.
17) Menneas Egidio, di anni 34, pastore, 1 anno ad Ustica.
18) Succu Carlo, di anni 34, pastore, 1 anno ad Ustica.
19) Succu Carmine, di anni 28, contadino, 3 anni ad Ustica.
20) Rubanu Pasquale, di anni 64, pastore, 3 anni ad Ustica.
21) Sorighe Raimondo, di anni 24, pastore, 1 anno ad Ustica.
22) Mesina Vincenzo, di anni 26, pastore, 1 anno a ...
23) Grissantu Carlo, di anni 24, pastore, 2 anni ad Ustica.
24) Muscau Antonio Fedele, di anni 25, pastore, 3 anni a ...
25) [...]

[...] discriminazione contro i poveri, le classi sociali cosiddette inferiori, contro i paesi poveri e regioni cosiddette inferiori. Tali ceti e territori ben intesi, tali a volte da millenni, sono così rimasti anche perché il processo di formazione della nostra borghesia è avve
162 FRANCO CAGNETTA
nuto a loro danno, con ulteriore loro spogliazione. Ma questo processo nella fase imperialista odierna della borghesia che difende e consolida un potere già acquisito, comincia ora a farsi piú acuto, a imputridirsi: fa dimenticare e rinnegare ad essa le sue maggiori conquiste.
Una delle forme più gravi di questa « dimenticanza » progressiva consiste nel fatto che ora, e dall'inizio, or é 50 anni, di questo processo, si comincia ad abbandonare, nell'ambito del territorio nazionale, il principio borghese e moderno che « la responsabilità penale é individuale » per ricadere nel principio barbarico e incivile che la responsabilità é collettiva : di un intero paese.
E, secondo il metodo proprio della borghesia, si opera in generale, anche con una pa[...]

[...]ndo il metodo proprio della borghesia, si opera in generale, anche con una parvenza di legalità nell'ambito della nostra stessa legislazione, col richiamo ad articoli (per altre ragioni formulati) che si definiscono u di urgenza », « di eccezione ».
Ma vediamo le manifestazioni piú evidenti di questa progressiva dimenticanza » nell'ambito della pratica usata contro Orgosolo: il quadro che ne risulta non é meno grave della pratica peggiore usata già da noi contro la Libia, l'Abissinia ecc.
La situazione criminale di Orgosolo per le ragioni più profonde e cioè, come abbiamo visto, per ragioni di struttura economica e sociale, è indublmente, molto grave: i delitti sono continui. Trascurando il problema dell'origine della criminalità, del suo nascere dalla struttura economica e sociale, lo Stato italiano si preoccupa invece e soltanto del locale « banditismo », dei « banditi » che esistono in Orgosolo: del fenomeno piú appariscente della situazione cioè, e del piú apparentemente comprensibile, poiché si verifica anche in altre regioni, ma [...]

[...] con profonda ignoranza, di conoscere la particolare situazione locale, esso impiega metodi e sistemi giudiziari — piú esattamente, direi, militari — che possono valere (se pure), in altre regioni d'Italia, per es. in Sicilia, contro un banditismo che è di delinquenti abituali, di bande.
Sorprenderà molti sapere, invece, che in Orgosolo di banditi veri e propri, di banditi «legali », attualmente ve ne è uno solo — Pasquale Tanteddu —, latitante già condannato a due ergastoli. Volendo, si pos
INCHIESTA Su ORGOSOLO 163
sono contare in piú, di volta in volta, altri occasionali (una diecina, forse, in tutta la provincia di Nuoro), imputati per lo più di reati di poco conto. Questi banditi, nei delitti che vengono loro attribuiti, non sono legati, abitualmente, tra di loro; non costituiscono banda (e non ne é mai esistita una vera e propria in Orgosolo); sono spesso rivali, divisi tra di loro, nemici.
Per lo Stato questi banditi costituiscono un solo problema veramente grave: essi non sono odiati dalla popolazione ma, direi, amati: ricevo[...]

[...]er lo Stato questi banditi costituiscono un solo problema veramente grave: essi non sono odiati dalla popolazione ma, direi, amati: ricevono protezione, aiuto, quasi da tutti. E questo, certamente, il solo problema veramente grave per lo Stato.
Il suo compito principale che consiste (o dovrebbe consistere) nell'isolare dalle popolazioni quei banditi, nel conquistare l'appoggio della popolazione contro i banditi, si cerca oggi di ottenere — come già ieri nell'Africa italiana — con i seguenti sistemi:
Stato d'assedio periodico e rastrellamenti generali
E misura che, di tanto in tanto, è presa in Orgosolo in occasione di delitti che colpiscono i « bianchi », cioè continentali, rappresentanti di forze di polizia, o, secondariamente, amici dei «bianchi »; confidenti di polizia. L'elencazione di questa misura dal 1880 ad oggi comprenderebbe troppe pagine. Mi limito qui ad indicare gli esempi ultimi e più gravi:
1) I1 20 dicembre 1949, in occasione di un omicidio di un proprietario di Orotelli, 150 carabinieri armati di mitra e di fucili in[...]

[...]no rilasciati e
12 inviati a confino, senza avere commesso il fatto, come poi risultò da sentenza della Corte di Assisi di Sassari.
3) 1 gennaio 1954. 500 carabinieri ed agenti di polizia, in occasione dell'omicidio dell'ing. Capra, armati di mitra e fucili, circondano il paese di notte. Sono perquisite tutte le case, compresa quella del sindaco. Centinaia di uomini, condotti a mano in alto sotto la minaccia delle armi vengono stipati nel caseggiato scolastico. Gravissimi maltrattamenti avvengono durante il rastrellamento, come dalle accluse testimonianze nn. 1624.
Le donne sono tenute in casa sotto la minaccia delle armi. Dopo controlli sommari sono fermati, si vedrà, un 14enne, un deficiente ecc. Il racconto di questo avvenimento si ricostruisce dalle testimonianze da me raccolte.
Battute periodiche e perquisizioni in campagna
Le battute e le perquisizioni in campagna sono all'o.d.g.: a scopo « preventivo » o « repressivo ». Quello che può avvenire é, per es., dichiarato nelle testimonianze n. 1624. Si svolgono con una periodicità[...]

[...]ono assai frequenti. Esse
166 FRANCO CAGNETTA
avvengono quasi tutte non in base agli art. 322336 C.P.P. (delle perquisizioni), che richiedono un ordine del giudice che ne limita tempo e luogo, ma in base all'art. 224 C.P.P. (« di polizia giudiziaria ») che definendole « eccezionali » le consente senza ordine del giudice né limiti di luògo (e di tempo), ove le autorità di polizia abbiano motivo « di ritenere che l'indiziato o l'evaso si sia rifugiato o che si trovino cose da sottoporre a sequestro o tracce che possano essere cancellate o disperse », e cioè in Orgosolo, fin che vi sia un solo latitante, sempre.
Alle 3 del mattino i carabinieri a colpi di calcio di mitra cominciano a bussare e quasi abbattono la porta. «Chi è? Chi è? ». «Aprite o vi arrestiamo tutti! ». Entrano: Qui c'è il latitante! Vi mandiamo in galera tutti ». « Questo solo sapete dire agli orgolesi ». Cominciano a perquisire e trovano una borraccia: « Questa è la prova della presenza del latitante ». « Ma una borraccia può averla chiunque! ». I carabinieri stessi ri[...]

[...]stenza all'autorità ecc.; per il confino gli stessi (secondo l'art. 165), oltre la trasgressione all'Ammonizione (art. 181,1) e un reato chiaramente politico che consiste nel: « proposito di svolgere una attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti dallo Stato o a contrastare o a ostacolare l'azione dei poteri dello Stato », (art. 182,3). Oggi si interpreta questo ultimo passo come « favoreggiamento di banditismo », benché, tra i numerosissimi reati citati nel testo non ve ne sia mai la menzione; e, per la elasticità della formula, come scrive Mario Berlinguer, «qualunque irriverenza, qualunque molestia anche verso il più umile tra i pubblici ufficiali dovrebbe portare nientemeno che il confino di polizia » (14).
Ma vediamo, ora, le mostruosità giuridiche di questo Tribunale:
Innanzitutto esso non è composto da giudici naturali, magistrati, ma da membri della polizia: il, Questore, il Comandante dei Carabinieri, il Prefetto; un privato cittadino; cui si aggiungono due magistrati. [...]

[...]e nuove circostanze che non sono state vagliate dalla commissione di primo grado, senza naturalmente indicarne le fonti e spesso in contrasto con gli stessi accertamenti della polizia e dei carabinieri » (15). Istituto cioè tipicamente fascista. Non per niente il solo difensore di esso alla Camera e con aperta motivazione fascista è stato, appunto, il fascista on. Angioy del M. S. I. Con esso si può considerare imputato chi si vuole per « favoreggiamento di banditismo ». E, si noti, fa osservare ancora Mario Berlinguer che: « se taluno è chiamato in giudizio per rispondere di favoreggiamento non come sospetto ma sulla base di prove precise, lo si condanna a pochi mesi; la legge penale autorizberebbe un giudice inesorabile a giungere fino al limite massimo della pena : 4 anni. (art. 378 C. P.). Se invece è soltanto investito da un sospetto di favoreggiamento gli si irrogano 5 anni di confino » (16).
L'uso, anzi l'abuso smoderato che dell'Ammonizione e del Confino si fanno per il paese di Orgosolo è testimoniato ampiamente dagli elenchi premessi dei confinati ed ammoniti (17) e dalle accluse testimonianze n.18, 14, per es. che denunciano le gravi conseguenze nel paese. È la rovina economica per il pastore di Orgosolo che per presentarsi agli uffici di p.s. in paese, come prescritto, se è ammonito deve abbandonare il lavoro in campagna : il mestiere; e, ancora piú, se confinato deve abbandonare per anni le sue pecore, e senza sapere a volte, [...]

[...] orgolesi. Certamente molti di essi, come tutti sanno in Sardegna, sono innocenti: auguriamo che l'Appello saprà riparare a questi torti. Questo ha denunziato anche l'on. Velio Spano al Senato il 13 dicembre 1953.
Ostaggi
Da qualche tempo la polizia in Orgosolo ha iniziato una misura gravissima. I famigliari di un latitante, genitori, coniugi, figli (e senza distinzione di sesso e di età) vengono arrestati e deportati col. confino per « favoreggiamento ». Neppure nel medioevo la legislazione normale prevedeva per i famigliari prossimi un simile « reato », e tanto meno lo prevede il nostro Codice penale. La estensione di questa misura é testimoniata ad es. dalle dichiarazioni accluse nn. 13 ecc.
La famiglia del latitante Tanteddu é stata così integralmente colpita. E un latitante, perdendo la famiglia, non ha veramente piú niente
INCHIESTA SU ORGOSOLO 171
da perdere e nulla lo arresta nel delitto. Lo si irrita, lo si vuole un « cinghiale ».
La grave situazione ed il pericolo grave di questa pericolosa misura é stata denunciata larga[...]

[...]n é forte ma impotente, e quando si trova in territorio nemico, specialmente nelle colonie: i confidenti prezzolati dalla polizia. È un metodo che nei secoli scorsi in Orgosolo ha sempre dato pessimi risultati e gravi conseguenze: si pensi al « guidatico » spagnolo e piemontese.
I confidenti in Orgosolo é possibile trovarli solo tra pregiudicati che sono mossi dalla speranza di impunità o tra uomini moralmente miserabili che sono mossi da cupidigia di denaro. E questo genere di confidenti è oggi una delle più gravi cause, se non la più grave, dei delitti e del banditismo di Orgosolo.
Negli ultimi anni si è assistito nei tribunali (e per es. nel grande processo di Cagliari del '53) a gravi rivelazioni di carabinieri, di poliziotti, secondo le quali alcuni confidenti organizzavano rapine, istigando e attirando qualche orgolese, per poi poterne trarre guadagno col denunciarlo e farlo cogliere in flagrante. Per denuncie di confidenti, íl più delle volte dovute solo a calunnia, molti orgolesi, innocenti, sono condannati al confino o alla ga[...]

[...]cclusa testimonianza n. 9.
Oggi lo Stato per mantenere confidenti in Orgosolo spende forse la somma più alta che si impieghi per il paese: questo denaro, che potrebbe servire a migliorare la situazione di miseria, non si riduce ad altro che ad un involontario finanziamento di nuovi delitti.
Taglie sui banditi
Oltre ai confidenti non vi é probabilmente sistema più pericoloso, nella particolare situazione di Orgosolo, che le taglie sui banditi. Già usate dagli spagnoli, dai piemontesi, esse, se pur hanno per effetto la cattura di un bandito, quasi sempre danno luogo a 1,5,10 omicidi per la loro spartizione, per vendetta ecc.; e ne vengono fuori, ancora, 1,5,10 nuovi banditi. Se pur hanno il risultato della cattura di qualche bandito senza sanguinose conseguenze, esse si risolvono in una grave beffa allo Stato che le paga, poiché la cattura — o meglio consegna — del bandito avviene quasi sempre con il suo accordo, ed è lui, la famiglia, gli amici che intascano le taglie : si riducono cosí ad un invito alla latitanza.
« Fraternizzazione [...]

[...]ampagna le loro tristi giornate. La frequenza e l'estensione del fenomeno é cosí vasta che esiste a Orgosolo persino un termine speciale per indicare un semilatitante: su dogau. E si può dire che, almeno una volta nella vita, ogni orgolese, o quasi, sia passato per questo stato.
174
FRANCO CAGNETTA
Dal dogau generalmente viene fuori il vero e proprio bandito. Uno sguardo alla storia dei banditi del paese (e, si potrebbe dire, di tutta la Barbagia) ci dimostra che all'origine di un bandito sta un'ingiustizia iniziale ed il dogau.
Così dogau fu per es. in passato Onorato Succu per vendetta, e dogau nel presente fu Pasquale Tanteddu per sfuggire alla commissione di confino. Per quanto la latitanza del dogau non sia reato, e non può essere neppure considerata prova di colpevolezza, una volta alla macchia, al dogau si presentano cento circostanze che lo spingono a farsi bandito.
Una volta alla macchia, la polizia gli imputa spesso ogni sorta di delitti; vi concorrono i paesani : i nemici personali, i confidenti, e i delinquenti minori ch[...]

[...]to.
Di fronte alle persecuzioni, ai mali enormi che vengono dallo Stato, persino il ricatto é considerato un male minore: una sorta di « tassa u che non si paga allo Stato ma si paga al bandito, e più volentieri poiché domani su di lui, si può, eventualmente, contare, mentre sullo Stato non si può contare purtroppo, né per protezione, né per la propria pace.
I rapporti tra la popolazione e il bandito in Orgosolo (e in generale in tutta la Barbagia) sono profondamente diversi da quelli tra la
INCHIESTA SU ORGOSOLO 175
popolazione ed il bandito di città. « Voi pensate probabilmente a un bandito della Barbagia nei termini in cui concepite un qualunque delinquente di città », ha detto Renzo Laconi. « Un delinquente in città non é riconosciuto come proprio dalla società che lo circonda, é isolato nella vita di un paese civile; ma per il bandito in Barbagia é un'altra cosa. La società lo riconosce come suo : non lo teme. Qui si parla dell'omertà che vi è intorno ai banditi e si pensa che tra questa società che circonda i banditi e i banditi stessi non vi é rottura morale. Ogni pastore sa che si potrà trovare nella situazione in cui dovrà diventare un bandito, e ogni bandito sa di non essere altro se non un pastore « sfortunato » che ha avuto una disavventura » (19) Ed il bandito nei lineamenti essenziali della tradizione di Orgosolo (e della Barbagia) non é un rinnegato del suo mondo. Diviene latitante per sfuggire solo alla legge dello Stato, m[...]

[...] : non lo teme. Qui si parla dell'omertà che vi è intorno ai banditi e si pensa che tra questa società che circonda i banditi e i banditi stessi non vi é rottura morale. Ogni pastore sa che si potrà trovare nella situazione in cui dovrà diventare un bandito, e ogni bandito sa di non essere altro se non un pastore « sfortunato » che ha avuto una disavventura » (19) Ed il bandito nei lineamenti essenziali della tradizione di Orgosolo (e della Barbagia) non é un rinnegato del suo mondo. Diviene latitante per sfuggire solo alla legge dello Stato, ma si sente impegnato a rispettare la legge del paese. Egli si studia di non rendersi colpevole di delitti ingiusti, inumani, che gli taglierebbero la possibilità di conservare i rapporti. Entro questi limiti l'orgolese aiuta il latitante libero e compiange il latitante catturato.
Il latitante catturato, in questa tradizione, é solo uno « sfortunato ». Liberato dal carcere, magari dopo anni di carcere che ha fatto innocente, egli viene accolto festosamente: ognuno gli augura «a chent'annos» (fra ce[...]

[...]ampagna vi va solo, di solito, per ragioni di emergenza.
È singolare studiare per questo aspetto, per es., la architettura del paese: essa denota una tradizione secolare profondissima. Ogni stanza in Orgosolo, per es., ha generalmente, due, tre quattro porte che danno sulle strade; corridoi, tortuosi; meandri; interrati e soffitti; botole ecc., costruiti di proposito. La protezione al bandito é tale, che egli pub, con qualcne precauzione, passeggiare persino per le vie del paese, sotto il naso di carabinieri e di poliziotti. E molto raro che il bandito sia denunziato, e, se questo avviene, avviene per beghe personali, non per timore od amore dello Stato.
Il silenzio di fronte alla polizia é legge generale, rispettata e fatta rispettare, come il « codice locale ». Non esiste probabilmente altro paese in Italia in cui il silenzio popolare — la omertà, per usare un termine statale — é tanto vasto. È il prodotto di una storia secolare, profondissima. « La verità — dichiarava per es. l'anno scorso il comandante dei carabinieri della provinc[...]

[...]postano » la propria linea difensiva con tanto accorgimento da rendere quasi superflua l'opera dei difensori. Talvolta essi si recano dall'avvocato dopo esser passati tra le sapienti mani di singolari « organizzatori di cause », adusati a tutte le scaltrezze, temprati a tutti gli espedienti, che sanno prospettare e correggere la trama del processo modificandone con grande avvedutezza i rapporti e le prospettive, senza svisarne la realtà di fatto già precisata dall'istruttoria, ma collocando questa realtà nello scorcio particolare che con nuovi artifizi di prove può guidare alla salvezza del reo » (21).
Gli orgolesi in questo eccellono, probabilmente, su tutti i sardi.
Quasi sempre gli alibi sono preparati sempre prima del delitto. Esistono, generalmente due forme di alibi che consistono nella organizzazione di falsi testimoni (esiste una vera e propria scuola, con istruttori e apprendisti); e nella costruzione di prove false che possono valere a far cadere il sospetto su un terzo, generalmente un nemico. In Orgosolo esiste persino un t[...]

[...]osta, benché non vi fosse nessuna prova contro di lui, questi era stato condannato. L'avvocato difensore, di fronte a quell'insano comportamento, era disperato. Il condannato sta due anni in carcere, poi scrive al Procuratore: ricorda, finalmente, dove si trovava il giorno della rapina : era andato a Macomer in treno, conservava il biglietto ferroviario, anzi era stato multato, aveva un testimone che lo poteva riconoscere, un prete che aveva viaggiato con lui. L'avvocato difensore, sia pur irritato contro lo stesso imputato, fa riaprire il processo: si constata che la multa, intestata al nome dell'imputato, corrisponde al giorno della rapina, il prete lo riconosce e viene assolto. In camera charitatis l'avvocato difensore ora chiede all'orgolese : « Come è possibile che tu avevi dimenticato un alibi così formidabile? ». « Eccellenza — risponde l'orgolese — io ho partecipato a quella rapina di cui ero imputato. Mio cugino, quello stesso che mi ha accusato, é partito per conto mio quel giorno in treno a Macomer, si é fatto multare dando il[...]



da Alessandro Pizzorno, Alienazione e relazione umana nel lavoro industriale (note) in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA
NEL LAVORO INDUSTRIALE
(Note)
IL LAVORO ALIENATO. C'è alienazione quando l'uomo non é più in rapporto con il prodotto del suo lavoro. Quando il gesto di lavoro si spezza al di qua della forma finita, né « s'informa » nell'oggetto, né é informato da consapevolezza della sua riuscita, del suo uso, del suo destino sociale.
Il gesto dell'artigiano si muove ancora in rapporto a una forma finita. La moralità professionale, «far bene il proprio mestiere », é la coscienza di tale rapporto. L'artigiano « vede » il destino del proprio lavoro, è in percepibile contatto con l'uso sociale dell'oggetto che ha prodotto, « far bene quel lavoro » ha per lui un senso. La divisione del lavoro é allora al livello della società, quindi il lavoro dà un senso al suo rapporto con la società.
Quando la divisione del lavoro passa al livello industriale, l'operaio non é piú in rapporto con una forma finita, con un oggetto socialmente reale. Egli non « vede » più il risultato del suo lavoro, non lo giudica (altri lo giudicano, strumenti « giudici » lo controllano); questo staccarsi del « vedere » dal « far[...]

[...]oggetto estraneo » (secondo quanto dice Marx); ma l'atto stesso del lavoro è messo come in penosa illimitata parentesi, che non lo percorra alcun fine dell'uomo. « Far bene il proprio lavoro » allora non pub dar senso a una vita, può significar solo, invece, aderire a un'immagine del proprio atto, quale è richiesta da altri, da un ordine.
Non solo quindi il produttore lavora per soddisfare bisogni di altri (e questa è ancora condizione dell'artigiano e di ogni lavoro diviso); non solo produce qualcosa di cui altri controllerà il destino tecnico e il destinó sociale; ma il suo gesto stesso non è deciso da lui : come non gli appartiene il prodotto del suo lavoro, così non gli appartiene il suo proprio atto. Non gli è dato di « pensare il suo lavoro ». Questa è la condizione industriale.
L'AUTOMATISMO OPERAIO. Essa sembra fissarsi nel fenomeno dell'automatismo. Il lavoro standard, ripetuto esattamente e monotonamente, in « catena » o in « linea » o davanti a una macchina della quale le braccia o le gambe dell'operaio non sono che prolunga[...]

[...]te, i? complesso piú rilevante di attività sociale consiste in compiti di organizzazione e di sorveglianza; e d'altra parte, alla base stessa del processo produttivo, il limite è la riduzione di ogni compito a sorveglianza o ad incoscienza, e nessun contatto più con la materia? Mentre il lavoro di ognuno tende a coincidere con un'« attesa di comportamento », cioè con l'identificazione ad un ruolo. « Work role » è la nozione principe della sociologia industriale americana, definita : la parte che il lavoratore recita (« plays ») nel suo gruppo di lavoro. Ecco la nuova destinazione del gesto di lavoro, non più nella materia da trasformare, ma nell'occhio che lo sorveglia (pur solo in metafora). Ecco la nuova moralità professionale: norma di relazione umana, «esser ben visto », « farsi degli amici », « essere in buoni rapporti con l'ambiente di lavoro ». E questi rapporti si attuano come se ognuno, dirigenti e dipendenti, recitasse una parte: si realizzano cioè in una dimensione di « personaggi ». Moreno e la sociometria hanno trovato
ALIE[...]

[...]ori, per adattarsi all'ambiente, alla « normalità » che esso impone, e non per trasformarlo, come pure è proprio dell'uomo col lavoro. Alle frontiere di tale universo operano le macchine. Si, le macchine trasformano la materia, ne escono prodotti perfetti, ma ecco anch'essi, analogamente, subiscono un patinato travestimento. Anche i prodotti si acconciano, attraverso la pubblicità, in personaggi. E come alle ' « Human Relations » é affidata la regia dei rapporti fra gli uomini al di qua delle macchine, le « Public Relations » organizzano il prestigio al di là. Esse si fondano sulla nozione di « servizio » : il cliente é padrone; così il lavoratore viene « aufgehebt », dialetticamente superato, nell'entità di cui pur egli deve far parte: il Pubblico, personaggio finale a chiudere il circolo. Dal quale il capitale sembra restare assente.
LE « HUMAN RELATIONS ». Su questo terreno é allora nata la dottrina delle « relazioni umane », che ha rovesciato, almeno parzialmente, l'atteggiamento tayloristico nella politica industriale. Le date d'in[...]

[...]no il prestigio al di là. Esse si fondano sulla nozione di « servizio » : il cliente é padrone; così il lavoratore viene « aufgehebt », dialetticamente superato, nell'entità di cui pur egli deve far parte: il Pubblico, personaggio finale a chiudere il circolo. Dal quale il capitale sembra restare assente.
LE « HUMAN RELATIONS ». Su questo terreno é allora nata la dottrina delle « relazioni umane », che ha rovesciato, almeno parzialmente, l'atteggiamento tayloristico nella politica industriale. Le date d'inizio che si danno sono quelle dei clamorosi esperimenti della. « Western Electric » ad Hawthorne (iniziati nel '24 e durati in diverse riprese fino al '39); dell'opera di Elton Mayo e della scuola di Harvard di « Business Administration »; dell'inserirsi delle preoccupazioni per il « fattore umano » nell'organizzazione scientifica del lavoro. In realtà c'è stato anche altro, tutt'attorno all'industria: la crisi del '29 e il crollo del messianismo produttivistico; Roosevelt con il suo « New Deal » e il suo sorriso, quel sorriso che poi [...]

[...]istica che entrambi presuppongono e quella specie di messianismo finale, che abbiamo trovato, anche se solo marginalmente, nel taylorismo, e che é caratteristico dello stacanovismo in quanto metodo per realizzare la società comunista. Ma mentre il taylorismo é un sistema scientifico di organizzazione, lo stacanovismo è un'iniziativa di operai per distribuir meglio fra di loro il loro lavoro e le loro macchine (iniziativa in un primo momento osteggiata da molti tecnici e ingegneri); e se Taylor é il nome di un capotecnico e ingegnere, Stacanov è il nome di un operaio. Se per Taylor l'operaio deve esser liberato da ogni preoccupazione e quindi responsabilità e iniziativa di organizzazione, e l'operaio ottimo é quindi quello che può venir calcolato sul piano di passività assoluta; per lo stacanovismo l'operaio deve indirizzare il suo sforzo « non più soltanto ad effettuare correttamente il suo lavoro secondo le direttive che riceve dai suoi superiori, ma anche sul miglioramento del suo metodo di lavoro» (come é stato osservato dall'ingegner[...]

[...]icamente, poneva ancora sullo stesso piano dirigenti e dipendenti: la massima in nome della quale si doveva regolare la condotta di ognuno era la stessa: realizzare il proprio interesse. Inoltre, certo senza
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE 143
proporselo, esso creava uno stato di fatto, per cui all'operaio era reso possibile (almeno teoricamente, ed entro limiti, come abbiamo visto, di ordine fisiologico) un eventuale atteggiamento di distacco, e in conseguenza, di giudizio, o almeno di rifiuto, della propria condizione. Era ciò che Gramsci avvertiva. Era anche ciò che molto tempo prima Sorel, senza porsi sul piano tecnico, si augurava : i padroni facciano il loro mestiere, e gli operai il loro; proprio così verrà determinato ed accelerato il moto inevitabile verso la rivoluzione ed il socialismo.
Le nuove « relazioni umane » nell'industria, invece, tendono ad assorbire totalmente la condizione del lavoratore, impegnando positivamente tutte le sue facoltà (e non soltanto quelle funzionali al suo lavoro). Infatti e[...]

[...]ando positivamente tutte le sue facoltà (e non soltanto quelle funzionali al suo lavoro). Infatti esse mirano a ristabilire il nesso psicologico dell'uomo con il proprio lavoro : è la personalità intera dell'operaio che esse chiamano in questione.
Ma il nesso che stringono è appunto « psicologico », cioè di consapevolezza soggettiva (« sentirsi importante »). Il rapporto del lavoratore con la forma finita del prodotto, proprio dell'economia artigianale, si è spezzato per l'introduzione delle macchine. Il rapporto tecnico con lo strumento di lavoro, quale poteva ancora sussistere ai primi passi dell'industria, è stato spazzato via dall'organizzazione scientifica,. Ciò che si vuole allora fondare e rendere soddisfacente non è più un rapporto obbiettivo con il prodotto del lavoro ma la relazione soggettiva con l'ambiente dove si lavora, cioè praticamente con i dirigenti; o d'altra parte con il cliente.
Ecco questi due movimenti nell'esempio di un tentativo un po' alla Menenio Agrippa, di riaffermare il rapporto con il prodotto (da una pub[...]

[...]to B, e allora sarà considerato un po' di più — fino a quando, avvicinandosi al posto Z, potrà ritenere di accedere a una vera e propria aristocrazia operaia; pur compiendo esattamente lo stesso lavoro di quando era in A.
Non son tutte qui, certo, le «Human Relations »; né nelle manate amichevoli agli operai; né nelle visite alla fabbrica delle famiglie dei dipendenti (che costoro possano dire: «ecco, questa é la macchina che io maneggio »...). Già molto più utile è tutto ciò che serve a far conoscere a tutti, il congegnarsi dell'organizzazione amministrativa e produttiva, per esempio. E mille altre trovate ed espedienti, che servono a rendere più sopportabile ed umana la condizione operaia; che ne ha bisogno. Il loro senso positivo é nel comporsi e formularsi di un atteggiamento, di un costume, di un galateo. Ma che non diventi sistema, che non voglia impostare i rapporti di lavoro su di un piano psicologico, sul mito della « presa di coscienza », mentre questi si effettuano ancora su di un piano di potenza.
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE 145
Che un'abile politica industriale riesca a convincere l'operaio dell'importanza del suo lavoro, non muterà la semplice realtà del fatto che il lavoro del singolo operaio non é importante. Qualunque sia la coscienza che se ne possa assumere. Il taylorismo, pur con i suoi eccessi e le sue astrazioni, r[...]

[...]a.
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE 145
Che un'abile politica industriale riesca a convincere l'operaio dell'importanza del suo lavoro, non muterà la semplice realtà del fatto che il lavoro del singolo operaio non é importante. Qualunque sia la coscienza che se ne possa assumere. Il taylorismo, pur con i suoi eccessi e le sue astrazioni, rispecchiava fondamentalmente una situazione reale. Convalidava in formule e sistema la già avanzata abolizione di ogni iniziativa e responsabilità dell'operaio, chiuso nell'organizzazione industriale. Ed é probabile che lo stesso stacanovismo, per quegli aspetti che attribuiscono un'iniziativa organizzativa all'operaio, sia relativo solo a uno stadio giovanile dello sviluppo industriale. Col grado attuale di divisione del lavoro é illusorio tentar di ristabilire un rapporto diretto del singolo operaio con il prodotto del suo lavoro. Non é per tali vie, di consapevolezze o persuasioni o informazioni, che si riscatta l'alienazione e ripropone un equilibrio. L'economia contemporanea n[...]

[...] che invece le « Human Relations » spoliticizzano la posizione del lavoratore: si, tornato a casa, nessuno potrà impedire al lavoratore di far della politica, di votare per il partito che gli pare e piace. Ma in tal modo, trasferita fuori dell'ambiente di lavoro, cioè del solo luogo dove l'individuo possa verificare la propria realtà sociale, l'opzione politica viene privata del suo mordente, isolata nei limiti dell'« opinione », cioè di un atteggiamento astratto, irresponsabilizzato, soggetto ad influenze di facili propagande, di valori costituiti; scalzato dai problemi e dalle lotte di una situazione precisa, ben conosciuta dal lavoratore.
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ALESSANDRO PIZZORNO
A questo punto l'analisi della situazione industriale si deve connettere alla situazione politica complessiva, per esserne chiarita e per chiarirla a sua volta. Né, nel nostro caso, é senz'altro dato di definire tutta questa recita ideologica come un mascheramento, o una mascherata: mentre il taylorismo corrispondeva all'assestamento della borghesia capitalista e alla org[...]

[...]va, per esserne chiarita e per chiarirla a sua volta. Né, nel nostro caso, é senz'altro dato di definire tutta questa recita ideologica come un mascheramento, o una mascherata: mentre il taylorismo corrispondeva all'assestamento della borghesia capitalista e alla organizzazione delle sue conquiste interne, le « Human Relations » corrisponderebbero al ritrarsi e al difendersi di essa borghesia, che si copre ed elude il problema grazie ad un'ideologia psicologistica. Siamo sicuri che dietro a questa scena esistano veramente delle onnipotenti « coulisses »? O che non si versi tutta in questo gioco di rapporti sociali, la realtà del sistema economico ? Ma già il porre questi interrogativi deve significare un superamento delle concezioni implicite nella sociologia industriale delle « relazioni umane ». La quale ritiene che i problemi del lavoro si riducano esclusivamente a problemi di rapporti fra le persone che lavorano; e ricompone cosí quel circolo che avevamo scoperto implicito nell'atteggiamento industriale : di persone che restano al di qua di un ambiente, senza che il loro lavoro intenda esserne la trasformazione e il superamento. Ma non é fatta di uomini che « stanno insieme », una società, bensì di uomini che lavorano insieme a trasformare la natura, l'ambiente (e a comporlo in «mondo »).
ALESSANDRO PIZZORNO



da Ariodante Marianni, Modelli arabi e joyciani di Ungaretti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...] nel testo ungarettiano con grande naturalezza; i versi « da restituire » a Palazzeschi, nascevano semplicemente, insieme al paesaggio evocato, da un moto affettuoso della memoria. La letteratura non c'entra, o c'entra in altro modo. E a me sembra che tutta la poesia, letta in questa luce, acquisti ben altro rilievo; le parole crude del canto arabo, anziché interrompere — come a ironizzarlo — il flusso nostalgico, si sciolgono anch'esse in nostalgia, « attimo di gioia trattenuto » come le gocciole che « brillano sulla verdura rasserenata ».
appena da aggiungere che l'indicazione del De Robertis, proprio in virtú della sua autorità, ha non poco influenzato l'indagine successiva, da Rebay a Barberi Squarotti ad Aldo Rossi, il quale ultimo, in un saggio pubblicato sul1'« Approdo Letterario » (n. 57 del 1972; ma vedilo ora in La critica e Ungaretti, Bologna, Cappelli, 1977), pur contestandola, afferma: « Invero non si vede perché si dovrebbero restituire a Palazzeschi alcuni passi di Il paesaggio d'Alessandria d'Egitto apparsi su « Lacerba [...]

[...] premessi orecchio
D'indovina: « Da dove — mi
[domanderesti —
Si fa strada quel chiasso
Che, tra voci incantevoli,
D'un tremito improvviso agghiaccia
[il cuore? »
Se tu quella paura,
Se tu la scruti bene,
Mia timorosa amata,
Narreresti soffrendo
D'un amore demente
Ormai solo evocabile
Nell'ora degli spettri.
Soffriresti di piú
Se al pensiero ti dovesse apparire Oracolo, quel soffio di conchiglia, Che annunzia il rammemorarsi di me Già divenuto spettro
In un non lontano futuro.
La filiazione dal testo joyciano, come si vede, è palesissima. Ma il confronto tra la poesia di Joyce e l'elaborato ungarettiano mostra l'enorme differenza di tensione esistente tra i due testi; mentre nel primo tutta l'impalcatura è retta dai due ultimi versi (« E tutto per qualche strano nome che lesse / In Purchas o in Holinshed »), con un risultato globale di ironica levità, nella poesia di Ungaretti sono colti e potenziati i soli aspetti drammatici. Ogni immagine distraente (i rivers rushing forth, i grey deserts of the north) è drasticamente [...]

[...]Pluck forth your heart, saltblood, a fruit of tears. / Pluck and devour! » (Orrida fame ha la sua ora. / Stràppati il cuore, sangue salato, frutto di lacrime. / Stràppa e divora!). La poesia di Ungaretti:
E' ora famelica, l'ora tua, matto. Lo fanno, tanti pianti,
Strappati il cuore. Sempre di piú saporito, il tuo cuore.
Sa il suo sangue di sale Frutto di tanti pianti, quel tuo cuore,
E sa d'agro, è dolciastro, essendo sangue. Strappatelo, mangiatelo, saziati.
ARIODANTE MARIANNI
CONCETTO MARCHESI, AMICO DI CASA VALGIMIGLI
Limitare il discorso all'aneddoto? Mi sembrerebbe di diminuire una figura come quella. Ma di Concetto Marchesi maestro di scuola, studioso, scrittore, politico, altri, ben altri, hanno parlato e scritto. Sarà dunque necessario, in occasione di una conversazione come questa qui a Messina, collegare ricordi minimi a fatti grandi, senza aver la pretesa di far storia ma di parlare semplicemente dell'affetto che ci ha legato per tanti anni e che non è mai venuto meno.
Entro, ogni giorno e piú volte al giorno, nel mio [...]

[...]oi due, cosí, nel fondo dell'anima nostra » (L. novembre '27); quella che lo faceva soffrire con lui la perdita della Erse (L. 2442); quella che non fini con la sua morte per restare nel cuore del babbo ed anche nel mio.
Amicizia e consuetudine familiare. Marchesi era spesso alla nostra tavola
e lodava l'arrosto della signora Emilia (mia madre). I suoi gusti erano ben noti
e non mancava mai, se c'era lui, il piatto di barbe amare, che egli mangiava senza condimento, e quello del formaggio. Uno dei ricordi piú allegri che io ho di Marchesi commensale è quello legato alle pillole. Egli aveva, come tutti noi abbiamo, qualche mania ed una di queste era rappresentata da certe pillole lassative che si chiamavano di Maldifassi e che erano contenute in un tubetto di cartone immerse in una bianca polvere inerte. (Piú tardi, cessata la produzione
o comunque non piú trovate, furono sostituite da quelle che gli preparava la farmacia al Duomo di Padova, che non gliele faceva mai mancare neppure a



da I /"Cattolica/" 1951. Poesie di altri poeti segnalati in KBD-Periodici: Calendario del Popolo 1952 - numero 89 - febbraio

Brano: CULTURA
I "CATTOLICtI„ 1951
POESIE DI ALTRI POETI SEGNALATI
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Cumpagnu au Regimentu
di Cesare Vivaldi
Già due volte premiato per poesie in lingua, Cesare Vivaldi è un giovane giornalista che vive a Roma. I suoi primi approcci al dialetto sono dello scorso anno : nella collana Quaderni di poesia popolare ha pubblicato Otto poesie nel dialetto ligure di Imperia, una delle quali che qui pubblichiamo — premiata a Cattolica.
U gh'ea in me cumpagnu au regimentu
che u piangeva de longu a a sò ca:
l'eleva fame e u nu u l'ea cuntentu,
nu u l'ajeva de roba da scangià.
Va di, ch'aù ho savüo che u l'è in prejun
che u l'ha . piccau ad in carabinè
che u ghe dava in t'ina dimostrasiun;
e a l'ho lezio s[...]

[...] premiato per poesie in lingua, Cesare Vivaldi è un giovane giornalista che vive a Roma. I suoi primi approcci al dialetto sono dello scorso anno : nella collana Quaderni di poesia popolare ha pubblicato Otto poesie nel dialetto ligure di Imperia, una delle quali che qui pubblichiamo — premiata a Cattolica.
U gh'ea in me cumpagnu au regimentu
che u piangeva de longu a a sò ca:
l'eleva fame e u nu u l'ea cuntentu,
nu u l'ajeva de roba da scangià.
Va di, ch'aù ho savüo che u l'è in prejun
che u l'ha . piccau ad in carabinè
che u ghe dava in t'ina dimostrasiun;
e a l'ho lezio sc'in toccu de pappi
che u l'ha mandau a cà: « Mi stagu ben. Viva la Pace. Finirà dappöi ».
Ven u giurnu che tutta u ne va ben,, ven u giurnu che tutti a semu eroi.
COMPAGNO AL REGGIMENTO
TRADUZIONE: C'era un mio compagno al reggimento, che piagnucolava sempre a casa sua: aveva fame e non era contento, non aveva roba da cambiarsi. Vuol dire, che ora ho saputo che è in prigione, che ha picchiato un carabiniere, che gli menava in una dimostrazione; ed ho let[...]

[...]pra all'orto, sembrava una formica, per il tratturo. Avanti e indietro, .mattina e sera: scendere la mattina, risalire la sera, sudato e stanco, la zappa sulle spalle, e piede innanzi piede, lemme lemme.
Zi Minche. è caldo. Fresco è il fiume. Zi Minche, è freddo. Zappo e mi scaldo. D'estate e d'inverno, sempre la stessa vita, lui, la zappa e la fatica.
Una volta all'anno, sulle spalle, un sacchetto di graffio: il tozzo di pane. La zuppa per mangiare, il pane per zappare.
Poi una bella mattina, zì Minche sbagliò strada. prese quella del cimitero, portato a quattro.
U Vrazzale
di Rocco Scotellaro
Studente universitario, Rocco Scotellaro è nato a Tricarico (Matera) nel 1923. Ha pubblicato poesie su varie riviste letterarie ed è stato tra i vincitori del Premio Unità 1947 e del Premio Roma 1949. Eletto due volte sindaco del suo paese, è oggi consigliere comunale e presidente del Consiglio di amministrazione dell'Ospedale civile locale. Ha collaborato col prof. Ernesto De Martino alle ricerche sul folclore lucano.
Chesta ià a fatia ri [...]

[...]o del suo paese, è oggi consigliere comunale e presidente del Consiglio di amministrazione dell'Ospedale civile locale. Ha collaborato col prof. Ernesto De Martino alle ricerche sul folclore lucano.
Chesta ià a fatia ri Nicola Pallotta:
u matine ri notte,
u lurne a trotto,
a sera a notte,
u paamente a cazzotte.
IL BRACCIANTE
TRADUZIONE: Questa è la fatica di Nicola Pallotta: il mattina (ancora) a notte, il giorno a trotto, la sera a notte già fatta, quando è il pagamento, a cazzotti.



da Recensione di Rossella Regni su Pier Paolo Pasolini, Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi, Torino, Einaudi, 1979, pp. 481 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]atti; i libri li descrivono: ma in quanto libri sono anch'essi dei fatti: e quindi possono essere anch'essi descritti: dalla critica. [...] S'intende che chi descrive, descrive dal suo angolo visuale. Che non vuol sempre rigidamente dire soggettivo: esso è il punto di incontro di una infinità vorticosa di elementi, che in realtà appartengono ad universi distinti (esistenza e cultura, preistoria e storia, professionismo e dilettantismo, fenomenologia e psicologia: e altre simili coppie piú o meno antitetiche, all'infinito) » (pp. 457458). Nell'ultimo intervento su « Tempo », commiato molto intenso, significativamente dedicato a Todo modo di Sciascia, Pasolini ci offre una conclusione sulla sua attività di « recensore ». Si era svolta dalla fine del '72 agli inizi del '75 ed aveva quindi coperto piú o meno il periodo in cui uscirono gli Scritti corsari. Dato forse non del tutto trascurabile se non si rifiuta di leggere in questa contemporaneità un procedere parallelo, nella quantità superiore delle « descrizioni » l'impronta di una intrinseca, naturale[...]

[...]be potuta auspicare una condizione piú felice per un tale autore e per i destinatari. Il pregio comune a tutti gli articoli, a prescindere dai contenuti, è che sollecitano a leggere ciò che non si conosce, a ripensare criticamente su opere che si credeva di aver definito per sempre. Sono introduzioni ricche di stimoli, comunicative ma tutt'altro che semplicistiche o convenzionali; questa invidiabile compresenza si concretizza in pagine che hanno già scandalizzato per la loro spregiudicata devianza (come tutta l'opera di Pasolini) lontanissime come sono dalla piú remota velleità di « captatio benevolentiae ». Il lettore avverte questo procedere autonomo, viene attratto dal recensore che sembra scrivere per se stesso, magari attento a sfrondare il testo di ricercatezze per essere comunicativo ed espressivo, raffinato e semplice. L'autenticità e l'originalità delle letture corrispondono al rifiuto del linguaggiotipo del critico di mestiere e del giornalista; ne deriva una prosa che non ha niente da invidiare a quelle precedenti o contempora[...]

[...]in cui egli si addentra tanto da rasentare spesso la tentazione di riscrivere l'opera



RECENSIONI 493
altrui (e in non pochi casi sarebbe stato auspicabile!). Emergono quelle coppie antitetiche che lui stesso ci ha ricordato come elementi che intervengono nella critica, a volte con la prevalenza di una categoria sulle altre, producendo un discorso sempre libero da schemi. Nell'originalità dei contenuti ritroviamo un Pasolini già noto, che, come in Passione e ideologia, piú ancora in Empirismo eretico e negli Scritti corsari, rifiuta le mode culturali e lotta per impedire il danno del loro « terrorismo ». Contro le idee dominanti degli intellettuali di sinistra ci viene a ricordare proprio al momento giusto che il neoluogo comune sulla dissociazione tra arte e ideologia può essere pericoloso e per lui inaccettabile quando analizza, per esempio, lo stile di Céline, « mimesi » del buon senso borghese. È questa una delle tante stroncature « scandalose » dalle motivazioni sempre ben chiare, anche se non sempre accettabili, che assolvono alla funzione di arginare intelligentemente, a volte genialmente, solo con l'intuito, il dilagante confuso falso anticonformismo degli intellettuali « aperti ». Accade cosi di leggere una feroce demolizione della Bibbia del Decadentismo, Controcorrente, ridotta a Manuale, in cui l'enfasi e la banalità di un linguaggio referenzial[...]

[...]imono un gusto ridicolo e superato. Pasolini non risparmia nemmeno Manzoni, Anticristo per il suo umorismo antievangelico, creatore di alcuni personaggi « pronti per un technicolor americano degli anni Cinquanta », in una delle pagine piú dissacranti, logiche conseguenze delle sue analisi improvvisate, « a braccio ». Tuttavia piú frequentemente la motivazione di fondo è rigorosamente circoscritta all'interno del fatto artistico, di come un'ideologia vive nella forma dell'opera: lo possiamo verificare nella stroncatura quasi totale de La Storia, dell'opera di Fenoglio, di Pavese, di Cassola, fino ad Amarcord o alla sceneggiatura di Berto, Oh Serafina, che lo indigna. Ritroviamo d'altra parte anche una benevolenza eccessiva, clamorosa per opere decisamente mediocri, valutate piú per un suo modo particolare di percepirle, in cui ritornano le categorie famose già indicate. L'effetto immediato è il disorientamento in cui si trova il lettore, per l'abolizione degli abissi che Pasolini cerca di realizzare, riducendo quello che il nostro gusto ha canonizzato come capolavoro e viceversa impreziosendo opere trascurabili. È un limite non piccolo, come d'altra parte lo è azzardare analisi freudiane approssimative e tendenziose (anche troppo rimproverate) che lo spingono a vedere omosessuali piú o meno falliti in molti autori. Non è il caso però di indugiare troppo su queste « carenze », se cosí si possono definire, non per ignorare un aspetto imprescindibile [...]

[...]ientamento in cui si trova il lettore, per l'abolizione degli abissi che Pasolini cerca di realizzare, riducendo quello che il nostro gusto ha canonizzato come capolavoro e viceversa impreziosendo opere trascurabili. È un limite non piccolo, come d'altra parte lo è azzardare analisi freudiane approssimative e tendenziose (anche troppo rimproverate) che lo spingono a vedere omosessuali piú o meno falliti in molti autori. Non è il caso però di indugiare troppo su queste « carenze », se cosí si possono definire, non per ignorare un aspetto imprescindibile della personalità di Pasolini e quindi del suo particolarissimo, inimitabile modo di fare le « descrizioni », ma per privilegiare nell'insieme i suoi procedimenti e valutare quanto ci sia da imparare, quanto egli riesca a vivificare il lettore, a liberarlo da schematismi inibenti.
Questi articoli d'occasione hanno certo un valore scientifico minore rispetto ai saggi, ma non è del tutto esatto scindere in Pasolini questo tipo di avvicinamento alla letteratura dalla ricerca della verità: in lui anzi c'è la compresenza di entrambe, e quando inveisce contro chi snatura la letteratura, contro i « terroristi », avvertiamo la sua ricerca della verità. La cultura umiliata ha una grande presenza in questi scritti e in tal sen[...]

[...]sa dell'identità culturale del mondo contadino per opera della civiltà industriale, del Potere. Non a caso lui, scandalizzato dal disprezzo piccoloborghese per la cultura, dall'inciviltà del nostro paese che fa piombare nel vuoto assoluto un autentico avvenimento culturale, la pubblicazione degli scritti del venerato Longhi, avverte la correità della neoavanguardia e del neogauchismo sessantottesco col Potere, a cui la letteratura non interessa. Già conoscevamo le sue posizioni nei confronti dei grandi eventi che hanno caratterizzato
494 RECENSIONI
gli ultimi vent'anni: in queste pagine ritorna anche piú motivato il suo grande rifiuto all'omologazione, la scelta di una solitudine intellettuale senza scampo, la condanna ad avere molti denigratori e rari veri interlocutori (prima e dopo la morte). La neoavanguardia torna in questi articoli appena l'argomento lo rende possibile: « terroristica », « neocapitalistica », è oggetto di un'ostilità che ha perduto le forti punte polemiche personalistiche e tutto sommato si può affermare che Paso[...]

[...]pitalistica », è oggetto di un'ostilità che ha perduto le forti punte polemiche personalistiche e tutto sommato si può affermare che Pasolini nobiliti le sue argomentazioni: trasferisce la questione sul piano culturale, carica di responsabilità il « nemico », lo incasella e lo data come un « fenomeno » ormai concluso, che sembra star 11 solo per confermare che lui aveva avuto da tempo ragione.
Il tema a cui Pasolini rivolge un'attenzione privilegiata nel già privilegiato contesto letterario è la produzione poetica, ragione intima, passione inconsumabile, che lo spinge a dedicare molte pagine a molto materiale, con un rigore ed una sicurezza di lettura che riscattano tutto quello che di viscerale si ritrova nei confronti della letteratura in prosa. Marianne Moore, Mandel'stam a Bellezza, Leonetti, Zanzotto, Kavafis e poi magari Giorgio Baffo: egli riafferma la volontà di una valutazione della poesia come valore finale assoluto, che non tollera di essere utile a qualcosa, che è innanzitutto ricerca formale, espressiva. Per questo non accetta il basso livello [...]



da Franco Lucentini, La porta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: LA PORTA
I.
Quando ebbe finito con me, mia madre se la prese con Adriana.
« E digli a tua sorella » disse, « che finché resterà a casa mia, l'America se la può pure scordare, e la notte deve dormire qui. Qui, hai capito? E i due o tre giorni fuori con l'amica, il viaggetto di dieci giorni a Napoli, il viaggetto a Genova, é finito, basta! Già che non é più figlia mia da un pezzo, ma se vuole stare qui, qui ha da stare e qui deve dormire, e deve aiutare a casa. Va bene? E degli americani, qui, non si deve sentire la puzza. Va bene? I viaggetti, eh? Brutta maledetta impunita! ».
Quello che a mia madre gli scocciava di piú, di tutta la faccenda di Adriana, erano i viaggetti, specialmente per il fatto che quando la figlia stava fuori lei si doveva sfogare da sola. Inoltre sospettava, con fondamento, che da questi viaggetti mia sorella ci ricavasse parecchio, e non si dava pace che a casa non si fosse mai visto un soldo.
«Insomma si [...]

[...]parlare » dissi. «Non m'ha dato il tempo ».
« Vado via» disse mia sorella. «Forse torno, tra... tra qualche anno;
forse non torno. Qui ci stanno un po' di soldi. La roba mia che ho
lasciato qui te la puoi vendere ».
Uscimmo prima che riprendesse fiato. Dalle scale la sentimmo che
strillava:
«Non ti crederai di avermi fatto l'elemosina, eh? Non ti credere
che ci ho bisogno dei soldi tuoi! Se me lo dicevi prima, che te ne an
davi, io avevo già trovato da affittare lo stanzino, avevo trovato! Ci
posso fare quattromila lire con lo stanzino... ».
Per strada pioveva. Camminavamo rasente al muro. Mia sorella
avanti, con la valigia piccola, io dietro.
« Almeno sei guarita bene? » dissi. « Se ti si complica, mentre stai
chiusa là dentro, come fai? ».
« No, ho fatto l'analisi » disse seguitando a camminare. « Dice che
sono guarita bene ».
Camminava svelta sui tacchi alti, saltando le pozzanghere. Ogni
tanto rallentava davanti a una vetrina.
« Penso se mi sono scordata di comprare niente » disse.
« Possiamo vedere quando stiamo là » dissi. « Caso mai te lo vado
a comprare io ».
« A proposito » dissi, « ti volevo comprare qualche cosa, ma questi
giorni ci ho avuto delle spese... così non ho potuto ».
« Qualche c[...]

[...]ito » dissi, « ti volevo comprare qualche cosa, ma questi
giorni ci ho avuto delle spese... così non ho potuto ».
« Qualche cosa? » disse Adriana. « Che cosa? Un regalo? ».
« Beh, si » dissi. « Ma sai, le spese... ».
« Che spese? » disse. « Mi pare che é da parecchio che stai senza
soldi ».
« Beh, come ti pare » dissi. « Comunque bene o male tiro avanti,
non ti preoccupare ».
«Franco» disse.
Le caddi quasi addosso, inciampando nella valigia, perché s'era fer
mata all'improvviso.
« Ci prendiamo un caffè? » disse. « Aspettiamo dentro che spiove ».
Entrammo in una latteria vicino al Pantheon. Dentro c'erano un
82 FRANCO LUCENTINI
altro paio di coppie; gli uomini guardarono Adriana, mentre si toglieva l'impermeabile. Era bionda e portava un bel vestito elegante. Ordinai due cappuccini.
« Senti » disse mia sorella, « non ti potrei aiutare? Soldi non ce n'ho, lo sai, ma tutta quella roba che ho messo da parte ne ' potrei vendere un po'. Vuol dire che invece di durare tre anni durerà due, oppure me la faccio bastare lo stesso per[...]

[...]e anni durerà due, oppure me la faccio bastare lo stesso per tre, insomma si pub vedere. Di? ».
« No » dissi, « te l'ho detto. Io, questo progetto tuo dei tre anni là dentro, non so se sia buono e nemmeno l'ho capito bene; ma se ci hai penato tanto per metterlo su è meglio che lo fai come hai deciso, oppure( cambialo e stacci dieci anni, stacci un anno solo, non ci stare per niente, ma io non ti voglio levare niente. Io poi mi posso sempre arrangiare magnificamente, una che mi mantiene la trovo sempre, senza che devo venirti a levare la roba a te ».
Non avevo pensato che lei avrebbe tirato fuori quell'altro argomento, ma mi accorsi subito, dalla faccia, che stava per farlo.
« Ha spiovuto » dissi in fretta, « vogliamo andare? ».
« Aspetta » disse. « Senti ».
« Sento » dissi scocciato.
Senti » disse. «Quando devi fare il mantenuto di una di quelle vecchie... Dico, quando ti devi mettere con una cafona di quel tipo, magari piú impestata di me, allora... non é che io ti stia a fare ancora delle proposte, delle dichiarazioni... ma allor[...]

[...]i me, allora... non é che io ti stia a fare ancora delle proposte, delle dichiarazioni... ma allora il mantenuto mio non lo potresti fare? A te che ti costa? Di, non lo potresti fare? ».
Quando lei ricominciava con quella faccenda io non ci avevo altro argomento che quello, fondamentale, che non mi andava. Ma era difficile starglielo a sbattere in faccia ogni volta.
«E il progetto? » dissi goffo. «La vita in cantina? Volevi comin
ciare oggi e già ti sei stufata? ».
« Ah, quella é una scemenza » disse. « E una scemenza ».
« Sarà una scemenza » dissi, « ma ci sei stata appresso tanto tempo!
Ci tenevi tanto. Poi, pub essere pure che non sia una scemenza, che
ne so? In ogni modo...».
« In ogni modo » disse mia sorella, « lo sai che per averti a te pian
terei tutto, in qualunque momento ».
LA PORTA 83
Si accorse di avere detto male e si morse le labbra. Batté il bicchiere col cucchiaino per chiamare il cameriere, page,.
« Franco, sei scocciato? » disse.
«Non sono scocciato» dissi, «ma non ne parliamo più. Non è meglio? ».
« Va[...]

[...]gusto? Stai attenta! ».
« Va bene » dissi, « ma se per esempio le gambe le stirassi io, prima di potere avvertire qualcuno? Se una di quelle vecchie un giorno gli gira male, mi fa la festa? Sono cose che possono succedere. Uno può sempre crepare all'improvviso. Oppure ti può succedere qualche cosa a te, ti puoi sentire male, qui, senza nessuno. E vorresti crepare qua dentro, vuoi che io ti lascio crepare qua dentro? ».
Stette ad aggiustarsi le giarrettiere, guardando in terra.
« Senti » disse, « se crepo qui a te non ti deve importare; sarò crepata bene. Fuori della... Fuori... Insomma fuori. Se crepi tu... Questo è un affare mio, tu non c'entri, non te lo dico per fare una scena... Ma se crepi tu, voglio crepare pure io. Va bene? Almeno questo lo posso fare, senza che ti dò fastidio? Ci hai qualche cosa da dire? ».
Io non ci avevo niente da dire, ma tutta la faccenda mi cominciava a scocciare forte. Dietro a tutti quei discorsi ci cominciavo a sentire una cosa falsa, per niente pulita. Ci avevo esperienza di donne isteriche, no?
« [...]

[...]uardavo continuamente. Sapevo che se ne sarebbe accorta, ma le tenni lo stesso gli occhi sulle mani, attento a tutto quello che faceva.
« Puoi guardare sotto il cuscino » disse sconsolata. « Non c'é nessuna rivoltella ».
« Tu lo sai la vita che faccio » dissi. « Lo sai di che cos 'é che ho sempre paura. Mi dovresti capire ».
YU' FRANCO LUCENTINI
« Ti capisco » disse.
Restammo zitti per un pezzo, pensando ognuno per conto suo. Io stavo appoggiato. all'orlo del. tavolo, di fronte a lei.
Lei adesso pareva molto stanca. Si aggiustò il cuscino dietro la testa e si sdraiò.
« Prendimi le sigarette, nella borsa » disse.
Le presi le sigarette, tornai ad appoggiarmi al tavolo.
Fumò senza parlare. Restò a guardare il soffitto.
« Tu lo sai il sentimento che ci ho per .te » disse.
« Si » dissi. « Non é una cosa nuova ».
E non è solo_ quello » disse. c< Ci sono altre cose, che sento. Un mucchio di cose, non ti saprei dire precisamente. Se fosse diverso, se fosse una vita diversa, sono cose che si potrebbero ordinare... ci potremmo fare una figura decente, pulita. Ma c'é andata male. Così come stiamo, tutte queste cose... fanno solo un vomitò, in gola. Così come stiamo, tutto sarebbe megliq di questo vomito, di questo disordine. Se ci fosse una cosa so[...]

[...]ul letto.
« Così la grande passione era questa? » dissi. « La paura? Quello
che deve spazzare via tutto, ripulire tutto, é la paura? ».
« Non ho trovato altro » disse. « Io non ho saputo trovare altro ».
Mi prese una mano e la carezzava, poi la lasciò.
«Non credi che ce ne sia abbastanza di sopra, di paura? » dissi.
« Ma é sporca » disse. « È diversa. Quella che aspetto qui é un'altra ».
Lei aspettava la paura bianca, assoluta. Ce l'aveva già sulla pelle.
«Non so che dire » dissi. « Per il gusto mio é un po' forte. Mi sem
bra pure un po' inutile. Non capisco che cosa speri».
« Spero una cosa » disse. « Aspetto qualche cosa ».
« Ma che cosa? » dissi.
« Qualcuno » disse.
« Come? ».
« Aspetto qualcuno » disse.
« Ma tu mi vuoi fare diventare scemo » dissi. « Che é adesso que
sta novità? Chi aspetti? ».
« Oddìo » si lamentò, « non ti posso spiegare, non te lo so spiegare.
Sono così stanca. Stanotte non ho dormito per niente. Vorrei dormire ».
«Oh! e dormi! » dissi. «Mettiti a letto e fatti una bella dormita.
Dopo discorria[...]

[...]Dopo discorriamo ».
« Perché vedi» disse, « io credo che lá sotto... ».
(( Niente, niente» dissi, «adesso non voglio sapere niente. Mettiti
a letto e dormi. Ci abbiamo tutto il tempo per discorrere dopo. Va be
ne? Ti metti a letto? ».
«Va bene» sorrise, sollevandosi sui gomiti. «Mi fai alzare? ».
Mi tolsi dal letto perché potesse mettere giù le gambe, l'aiutai ad
alzarsi.
« Come sono stanca! » disse, cominciando a spogliarsi. Sistemò la
giacca e la camicetta sulla sedia, con cura. La sottana e le calze le mise
ripiegate sulla spalliera del letto.
« Mi dài la camicia? » disse. « Sta nell'armadio, in basso ».
Stava per togliersi la biancheria, poi mi guardò. Prese la camicia e
andò dietro la tenda.
92 FRANCO LUCENTINI
La sentivo muovere i barattoli della cipria, della crema per la notte.
Mise fuori un braccio perché le dessi un asciugamano, che stava nell'ar
madio. Poi volle il pettine, che stava nella borsa.
Mi sedetti sul tavolo, aspettando.
« Ah! » strillò. « Lo sapevo che m'ero scordata qualche cosa! ».
« Lo spazzol[...]

[...]i scema» dissi. « Mettiti a letto. Torno tra un quarto
d'ora, tu vedi di dormire subito ».
« Comprane dieci » disse.
« Come dieci? ».
«Eh...! ».
« Ah » dissi.
Si infilò sotto le coperte, con la faccia verso il muro.
« Ciao » dissi carezzandola. « Dormi ».
« Ciao ».
Per la scala mi accorsi di avere finito i fiammiferi. Tornai indietro
e cercai di ritrovare la cassetta dei « Safety Matches » che avevo visto
prima. Mia sorella pareva che giá dormisse. Presi i fiammiferi e tornai
su, aprii la porta. Attaccata alla chiave della porta c'era un'altra chiave,
che doveva essere quella del portone. La provai nel portone prima di
uscire, perché era chiuso. Andava bene.
« Che, sa una farmacia notturna qui vicino? » chiesi a un tizio.
« A piazza San Silvestro » disse. « Non credo che ce ne sia una più
vicino ».
«Sa che or'è?» dissi.
« Le tre ».
LA PORTA 93
A San Silvestro, quando chiesi gli spazzolini, il farmacista mi guardò strano. Lo sentii parlare piano con la cassiera, mentre uscivo. Presi per il Tritone e arrivai al Caffè N[...]

[...] occhi spalancati e la bocca aperta. Poi chiuse gli occhi, li riaprì.
« Oddio » disse, « m'ero sognata... ».
Mi misi seduto sul letto e la sollevai per le spalle, cercando un altro cuscino da metterle dietro la testa.
« Aspetta » dissi, « ti prendo un altro cuscino, ti porto qualche cosa da bere ».
«No» disse, «stai qui. Stai qui ».
« Sto qui » dissi. « Non avere paura ».
La tenevo stretta contro il petto e la sentivo che tremava.
« Appòggiati così » dissi, sistemandola con la testa e le spalle appoggiate a me. «Non avere paura ».
Seguitava a tremare. Ogni tanto pareva che si calmasse, poi all'improvviso tremava più forte.
«Mi sono sognata...» disse.
«Non parlare» dissi, «stai calma. Adesso stai calma, tesoro, non parlare».
La camicia le era scesa dalle spalle, la ricoprii. .Le carezzavo le braccia, i capelli, il viso. Masse una mano sulla coperta, cercando la mia. Prendendole la mano pensai a tutta la vita che aveva fatto, alla vita che avevo fatto io. Alla vita che facevamo tutti. Le tenni la mano stretta, senza parlare, mentre lei tremava sempre più piano.
Alla fine si calmò, girò la[...]

[...] ma si calmò subito.
« Ho sognato uno » disse. « Che entrava uno ».
« Ma chi? » dissi.
« Uno...» disse. « Quello che... T'ho detto, prima, che aspettavo
qualcuno... Qualcuno che deve entrare...».
« Qualcuno che deve entrare da quella porta? » dissi.
(' Si » disse.
« Ma se là sotto è chiuso » dissi, « se è tutto chiuso. Non l'hai detto
tu che é chiuso? ».
« Si » disse.
« E allora, se é chiuso, chi deve venire! O forse credi che ci sia
già? È qualcuno che ci sta già, là sotto? ».
« Non so » disse. « Non credo che ci sia già ».
« Ma allora chi è? Come può venire? E un mostro? ».
« Si » disse. « Così. Più o meno. Sai, in tre anni, credo che mi
verrà una paura così grande... aspetterò così forte... che qualcuno dovrà
venire, anche se non c'è nessuno, adesso ».
« Uh » dissi baciandola, « scema! ».
« Cosi » dissi, « quando torno, ti trovo a letto con un orribile mo
stro, e magari madre di qualche mostricciattolo ».
Mi guardò ridendo.
96
FRANCO LUCENTINI

« Tu sei sempre cosh » rise. « Con te non si pub parlare. Perché poi dovrebbe essere orribile? Potrebbe essere un bellissimo giovane! ». Giusto » d[...]

[...]r me, allora qualche cosa, forse, si sarebbe potuta davvero rompere... Io l'avrei potuta spaccare, per lei e per me. Ma per un'altra pieta non c'era posto. Ci fu solo un momento, all'ultimo, mentre stava per richiudere la porta. Pensai a tutto il tempo di paura che l'aspettava, fino a quando sarebbe scesa per la scala di legno, per riprendere la chiave... E poi a quando sarebbe risalita, a quando si sarebbe ritrovata un'altra volta nella luce grigia di sopra, come adesso mi trovavo io... Volevo prenderla per la mano, dire, ma non mi mossi. Davanti alla porta richiusa, restai a sentire i passi . che scendevano.
Tornai al Caffè Notturno. Ma anche gli altri caffè, ormai, stavano aprendo.
« Mi fa un caffè doppio » dissi.
a Corretto? »..
LA PORTA
99

« Si » dissi. « Mistrá ».
C'era un tizio, all'altro capo del banco, che mi guardava. Mi venne
vicino, mettendosi tra me e la porta.
«A te non ti avevamo detto di sgombrare?» disse.
Ci avevo talmente sonno che non capii subito.
« A me? » dissi. « Ma tu chi sei, che vai cercando? [...]

[...]di » disse. « Dunque, di quello di sta
notte tu ne dovresti sapere qualche cosa, lo dovresti almeno conoscere,
perché era un pederasta conosciuto ».
«Perché? » dissi. «Adesso sto pure sulla lista dei pederasti? ».
«Sulla lista delle persone per bene...» disse alzandosi dalla sedia
e allungadomi due schiaffi, « certo che non ci stai », disse rimettendosi
a sedere.
too FRANCO LUCENTINI
Doveva essere uno scherzo in voga, perché me l'avevano già fatto
altre due volte.
Dopo volle sapere che cosa avevo fatto io quella notte, e natural
mente ci ebbi delle altre difficoltà. Alla fine, sebbene m'era riuscito di
inventare una storia verosimile, ci avevo la faccia gonfia.
« Tu, o ne sai qualche cosa di questo » disse in conclusione, prima
di telefonare all'ufficio accettazione del carcere, « o ne sai qualche cosa
di qualche cos'altro ».
Questo significava che sarei rimasto dentro fino a che lui non
trovava chi aveva maltrattato il pederasta. Almeno.
Nel carrettone eravamo cinque.
« Voi, non dite una parola » dissero i poliziotti.[...]

[...]taccare i panni. Disse che l'avevo staccato dal muro per tirarglielo. Io l'avevo staccato per romperci certo pane secco che m'era rimasto dei giorni prima.
Alla punizione ci restai una decina di giorni e poi mi dovettero passare all'infermeria. Quando tornai al Braccio i due politici non c'erano piú; forse Sua Maestà s'era interessata. C'era uno per truffa e un altro per accertamenti. Quello per truffa ci aveva i parenti che gli portavano da mangiare e ci aveva pure parecchi soldi sul libretto. Quando veniva lo spesino, la mattina, ordinava una quantità di roba, ma non ci dette mai niente. Quell'altro mi faceva un mucchio di domande e dopo qualche giorno andò via. Credo che gli accertamenti non li dovevano fare a lui, ma che lui era venuto a farli a me.
Io ci avevo ancora la febbre di quando era stato alla punizione, ma in infermeria non mi ci vollero più rimandare. Tutto il giorno stavo steso sulla branda e guardavo l'ombra dell'inferriata che camminava sulla parete di sinistra, poi verso le tre passava sulla porta e la sera piano pia[...]

[...]vecchia, qualcuna meno vecchia, ma meno fessa no; qualche altro borghese, militare o prete; qualche amico e parente da farci qualche bella conversazione, tanto da riaggiustarsi i coglioni un momento; qualcuno che sarebbe entrato contento di trovare un amico, ma che poi non avrebbe saputo che dire, nemmeno lui. Alla fine, poi, non sarebbe entrato più nessuno. Ma io non ci avrei avuto la soddisfazione di vederlo.
Dalla porta che guardava Adriana, già adesso nessuno ci entrava più.
« Cara Adriana » scrissi, « ti scrivo a casa nel caso che fossi tornata. Se sei tornata credo che hai fatto male, credo che ci avevi avuta una buona idea, anche senza la paura, anche senza la speranza di qualcuno che doveva venire e di tutta quella faccenda della crepa, della cosa che si poteva rompere. Non mi pare che ci sia un'altra rottura possibile, oltre a quella dei... Pere) non sono più tanto sicuro. Credo che ci avevi
104 FRANCO LUCENTINI
ragione quando dicevi del coraggio, che nessuno ce l'ha. Credo che tu ce l'hai avuto, e pure se sei tornata ce l'h[...]

[...] una mezz'ora, con l'orecchio alla porta, ma non si senti nessun rumore. Cercavo di ricordarmi la lunghezza della scala, della cantina, per capire se lei avrebbe potuto sentire o no. Poi ricominciai a bussare ogni tanto, più forte, approfittando del rumore di qualche camion, delle saracinesche che si chiudevano, nella strada. Prima che chiudessero il portone me ne andai. Tornai a casa e mi rimisi a letto.
Due sere dopo stavo un'altra volta appoggiato al portone di quella casa. Pioveva. M'ero portato delle vecchie chiavi, del filo di ferro, per vedere se mi riusciva dì aprire, ma non s'era aperto. Avevo bussato ancora, ma nessuno aveva risposto. Poi ero andato girando un po' per le strade finché non aveva cominciato a piovere. Adesso stavo riparato sotto il portone e guardavo il selciato bagnato, la gente che passava con gli ombrelli. Di fronte al portone c'era una macelleria, si vedevano i manzi appesi, la segatura per terra, una che stava alla cassa e ogni tanto rispondeva al telefono. Più in lá c'era una latteria, usci una ragazza in [...]

[...]segatura per terra, una che stava alla cassa e ogni tanto rispondeva al telefono. Più in lá c'era una latteria, usci una ragazza in grembiule, senza ombrello e corse rasente al muro fino alla macelleria. Aveva cominciato a piovere così forte che le gocce rimbalzavano dentro al portone; mi tirai più indietro. Attraverso l'acqua, il negozio di fronte non si vedeva quasi piú, la ragazza stava sulla porta
106 FRANCO LUCENTINI
aspettando che la pioggia rallentasse. Poi traversò la strada di corsa, infilò a testa bassa il portone, si fermò di colpo.
« Sei tu! » disse.
Restai a guardarla nel buio del portone, senza potere parlare. Pareva dimagrita e ci aveva tutti i capelli bagnati, incollati alla faccia.
« Sei tu » disse. « Come stai? Franco. Che... Come stai, tu? Franco? Eh... Bene. Io... Franco ».
Portava un grembiule bianco legato sul davanti, macchiato, con una blusetta stinta. Teneva in mano un pacchetto involtato in carta di giornale.
«Franco, Franco » diceva. « Franco ».
Mi prese un braccio e lo stringeva forte, tirando la manic[...]

[...]Non stai più sempre lá sotto? ».
« Ero andata a comprare qualche ovo » disse. « Quelle fresche sono meglio di quelle in polvere che ci ho giù ».
« Io ero venuto l'altro ieri » dissi. « Ho bussato ma non hai sentito ». « Ma andiamo giù » dissi. « Non prendere freddo ».
« È che giù... » disse.
LA PORTA 107
Girava nelle mani il pacchetto delle uova, pareva imbarazzata.
« È che giù ci ho gente » disse. « Non so... Se vuoi venire... ».
Mi appoggiai al muro.
« Chi ci hai? Uno? » dissi.
« No » disse. « Sai, qualcuno, delle conoscenze. È venuto un ame
ricano... No, non per quello che pensi tu... Non lo faccio più, adesso.
Ma poi ci ho una donna che fa la pulizia, mi lava un po' di roba, e c'è
qualche altra persona, si sta un po' a parlare... ».
« Per me » dissi, « anche se ci hai un americano... posso venire giù
un momenta... Stiamo un po' a sedere... ».
Si avviò per la scala della cantina, dove adesso ci avevano messo un
lume. Io scesi dietro a lei.
« Così la porta... » dissi. « Quello che doveva entrare...? ».
« Ah..., ah, ni[...]

[...]mento mi interessa profondamente ».
« Il dottor Micheli » disse Don Aldo rivolto a me, « é giornalista. E da buon giornalista vuole andare a fondo di ogni questione. E fa bene! Lo spirito del giornalismo é un po' come quello della religiosità, quando sia illuminato dalla 'fede ».
Il discorso non pareva molto chiaro, ma sembrò che il dottor Micheli lo apprezzasse e anche il sergente italiano annui con la testa. La ragazza col pettone s'era appoggiata coi gomiti sul tavolino per sentire meglio. Guardai Adriana, ma non pareva che ci trovasse niente di straordinario, anzi entrò pure lei nella conversazione.
« Anche mio... il mio amico, qui, ha lavorato in un giornale » disse. «Ah, un collega! » disse il dottor Micheli, ma non pareva molto convinto. Però si alzò e mi dette la mano.
« Permette? » disse. « Dottor Micheli ».
« Piacere » dissi.
Adriana » dissi, « io devo andare via, mi accompagni? ».
«Non prenda freddo, signorina » disse il dottor Micheli. « Si metta almeno qualcosa sulle spalle ».
«No, lo accompagno solo fino alla porta [...]

[...]utta la scala. Poi fini e sentii la porta che si richiuse.
Per la strada faceva freddo, tutti i negozi erano chiusi. Camminai un pezzo per le strade intorno al Pantheon, poi mi pare che voltai per l'Argentina e andai verso il fiume. Poi tornai indietro e non so dove
110 FRANCO LUCENTINI
andai, fino quasi alla mattina. Al primo caffè che trovai aperto entrai, chiesi un caffè doppio.
Mi accorsi che era il Caffè Notturno quando vidi quello appoggiato al banco che si alzava e mi veniva incontro.
« A questo, il caffè glie lo diamo noi » disse.
Quella notte non pare che avessero ammazzato nessuno, perché al carcere non ci restai nemmeno due mesi. Dopo però mi dovettero mettere all'ospedale per un altro po' di tempo e ci ebbi maniera di mandare avanti la domanda per la residenza, con certi soldi che m'aveva trovato mia madre.
Quando tornai da Adriana la cantina era piena di gente. Stavano seduti sulle casse svuotate o per terra, appoggiati al muro. Il prete e il dottor Micheli, con altri due, stavano al tavolino e pareva che ci avessero [...]

[...]o.
« A questo, il caffè glie lo diamo noi » disse.
Quella notte non pare che avessero ammazzato nessuno, perché al carcere non ci restai nemmeno due mesi. Dopo però mi dovettero mettere all'ospedale per un altro po' di tempo e ci ebbi maniera di mandare avanti la domanda per la residenza, con certi soldi che m'aveva trovato mia madre.
Quando tornai da Adriana la cantina era piena di gente. Stavano seduti sulle casse svuotate o per terra, appoggiati al muro. Il prete e il dottor Micheli, con altri due, stavano al tavolino e pareva che ci avessero fatto una specie di ufficio. Mia sorella stava seduta pure lei sopra una cassa, con due americani. La strappai dalla cassa e andai dritto dal prete, tenendola per un braccio.
« Che le avete fatto? » dissi.
Agguantai il prete pel collo e li scrollavo tutti e due, lei e il prete. Il dottor Micheli s'alzò e se ne voleva andare.
« Stai li » dissi. « T'ammazzo ».
Le lasciai il braccio e la presi per una mano.
« Che t'hanno fatto? » dissi. « Questo bagarozzo che ci ha fatto, qui sotto? La missi[...]

[...]col suo grembiule macchiato e con una scatoletta vuota e la galletta in mano.
Volevo andarle vicino, ma gli altri non mi fecero muovere finché iI sergente con un vecchio ché portava il bidone del latte non fu passato e il latte non fu distribuito a tutti. Era latte concentrato allungato con l'acqua e un po' di caffè. Lo passai, con la galletta, a un bassetto che mi stava vicino.
« Tieni » dissi, « strozzati ».
Corsi da Adriana, che s'era appoggiata alla porta della scala e stava inzuppando la galletta nel latte.
« Vieni » dissi. « Facciamo presto. La porta di sopra era aperta, quando sono venuto. Non l'hanno mica richiusa? ».
« Non vengo » disse. « Sai, qui o là é uguale... qui mi dànno da mangiare, da dormire... Non vengo ».
« Ah, ti dànno da mangiare!» dissi.
« Si » disse. « Certo che... Beh, loro lo sai come sono... Prima mangiavo a tavola, fino a poco tempo fa. Adesso mi devo mettere in fila pure io, per il latte. Ma tanto che gli fa, no? ».
« Si» dissi. « Adesso però senti, amore, vieni un momento su. Vieni, tesoro, andiamo un momento da... Stai così magra, sbattuta... Ti
LA PORTA 113
vorrei portare da un medico, uno che conosco... Ti vorrei fare vedere... ». « No » disse. « Non importa... Non m'importa... Non m'importa più di niente... Ci avevo sperato, sai?... Adesso é finito, tutto... Ci avevo sperato sul serio, tanto tempo, che di .là sotto... ».
Restò con la galletta inzuppata che le sgocciolava sul grembi[...]

[...]re, vieni un momento su. Vieni, tesoro, andiamo un momento da... Stai così magra, sbattuta... Ti
LA PORTA 113
vorrei portare da un medico, uno che conosco... Ti vorrei fare vedere... ». « No » disse. « Non importa... Non m'importa... Non m'importa più di niente... Ci avevo sperato, sai?... Adesso é finito, tutto... Ci avevo sperato sul serio, tanto tempo, che di .là sotto... ».
Restò con la galletta inzuppata che le sgocciolava sul grembiule, già pieno di macchie, a guardare fisso un punto dietro a me. Mi voltai e vidi che guardava la porta del pozzo, in mezzo alla parete di fronte.
« Adriana » dissi, « amore mio, vieni via. Adesso non pensare più a... Non pensare a quello che avevi sperato. Non c'era niente da sperare, lo sapevi anche tu. Lo sapevamo già tutti che da quella porta non ci sarebbe entrato nessuno, mai ».
Con la bocca aperta, bagnata di latte agli angoli, mi stette a guardare fisso, un minuto.
« Ma tutti questi... » disse, « tutti questi... DA DOVE CREDI... TU... CHE SONO ENTRATI ? ».
Da un angolo della bocca il latte le rotolò sul mento, cadde sul grembiule macchiato.
FRANCO LUCENTINI



da Angus Wilson, Totentanz in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]nza alla buona, tradizionalmente ospitale con larghezza, i professori e le loro signore formavano una falange abbastanza nemica del buonumore spontaneo da far contento John Knox in persona. Ma, benché tanto rare, le giornate di sole trasformavano completamente la città, quasi fosse stata una di quelle figure che si vedono negli album dei bambini, sulle quali basta spruzzare un po' d'acqua per farne risaltare più vivaci i colori. I praticelli del giardino del Preside, satolli di pioggia e di nebbia, sfoggiavano un verde insolente sotto l'azzurro uniforme del cielo di luglio. I qua drati nitidi delle case borghesi settecentesche e le forme contorte delle grige, massicce ravine sulla sponda del lago ricuperavano i contorni che le nebbie rendevano indistinti. I ciuffi di violaL.ciocche oro e rame, che riempivano i crepacci dei muri, sembravano schernire la solennità delle cornacchie assembrate, che gracchiavano aspre rampogne sopra le loro teste. Le toghe degli studiosi, di quella famosa seta cilestrina, brillavano come aerostati argentei contro l'azzurro più fondo del cielo. In una giornata come q[...]

[...]ausa, l'occhio fisso di sotto le folte sopracciglia bianche, lo sguardo d'aquila dello studioso che conosce gli
uomini cc tanto che ci siamo scordati quanto rivoluzionarie sieri alcune di esse D. Per la verità, la sua nozione di ciò che pensavano i suoi subordinati era estremamente vaga, un dirigente deve tenersi al di sopra di certi particolari.itSenza dubbio, saranno fuochi d'artificio, ma non escludo che l'età giovanile di Capper, la sua energia, gli assicureranno il successo. Non trova anche lei, Todhurst? »
La bianca faccia lustra e paffuta di Todhurst, cosparsa di peli rossicci, rimase impassibile. Era molto più giovane di Capper, e ancora deciso a non dimenticare che si trovava in una morta gara. Con pronuncia ostentamente Yorkshire, rispose: o Capper non é poi tanto giovane; può darsi che abbian sentito altre volte tutto quello che lui dirà, e non é escluso che glielo facciano capire ».
Il Preside riuscì abilmente ad ignorare questa risposta perché si avvicinava il viso rosso di Sir George, l'uomo d'affari più ricco e influent[...]

[...]ovava in una morta gara. Con pronuncia ostentamente Yorkshire, rispose: o Capper non é poi tanto giovane; può darsi che abbian sentito altre volte tutto quello che lui dirà, e non é escluso che glielo facciano capire ».
Il Preside riuscì abilmente ad ignorare questa risposta perché si avvicinava il viso rosso di Sir George, l'uomo d'affari più ricco e influente del Consiglio Universitario. Quell'omaccione rozzo e tutto cuore, dall'accento Glaswegian e l'alita fortemente impregnato di whisky, era colpito dall'entità del legato:
«Cinquecento mila sterline!» e dette un fischio. «Però! Non é una bazzecola! Benché, badi bene, questo Governo di ladri gliene porterà via una buona parte con le tasse. Però, sono proprio contento per la signora ». Chissà, pensava, che la signora Capper non darà una mano per far presentare Margaret a Corte. Come conosceva poco Isabella Capper; sua moglie non sarebbe caduta in un simile errore.
« E quella magnifica nomina che gli é piovuta addosso contemporaneamente! » osservò il Preside.
« Già » fece Sir George[...]

[...]. «Però! Non é una bazzecola! Benché, badi bene, questo Governo di ladri gliene porterà via una buona parte con le tasse. Però, sono proprio contento per la signora ». Chissà, pensava, che la signora Capper non darà una mano per far presentare Margaret a Corte. Come conosceva poco Isabella Capper; sua moglie non sarebbe caduta in un simile errore.
« E quella magnifica nomina che gli é piovuta addosso contemporaneamente! » osservò il Preside.
« Già » fece Sir George. Non aveva capito bene di che si trattava. «Non c'è dubbio, Cappel é proprio un giovane di valore ». Forse, pensò, il Consiglio era stato un po' lento, il Preside si fa ceva vecchio, avrebbero potuto aver bisogno d'un giovane intelligente, con la testa sulle spalle.
ct Eccoli qua! » gridò la signorina Thurkill, tutta eccitata.
«Devo dire che Isabella sembra proprio...» ma non riuscì
TOTENTANZ 163
a trovar parole atte a descrivere l'aspetto di Isabella, tanto essa appariva sgargiante.
Il suo vestito raffinatissimo ultima moda, tipo vestaglia, il frivolo cappellino fiorit[...]

[...]attava. «Non c'è dubbio, Cappel é proprio un giovane di valore ». Forse, pensò, il Consiglio era stato un po' lento, il Preside si fa ceva vecchio, avrebbero potuto aver bisogno d'un giovane intelligente, con la testa sulle spalle.
ct Eccoli qua! » gridò la signorina Thurkill, tutta eccitata.
«Devo dire che Isabella sembra proprio...» ma non riuscì
TOTENTANZ 163
a trovar parole atte a descrivere l'aspetto di Isabella, tanto essa appariva sgargiante.
Il suo vestito raffinatissimo ultima moda, tipo vestaglia, il frivolo cappellino fiorito librato sulla testa, si addicevano come nessun altro a quel miscuglio di finezza e di ricercatezza Liberty che era Isabella Capper. Avanzava a passi ancora più lunghi per l'eccitazione, dal viso bianco e affilato era scomparsa ogni tensione e gli occhi color ambra brillavano di trionfo. Sul fondo a larghe strisce rosa e nero del suo vestito elaborato e frusciante, strideva il rosso fuoco dei capelli. Era un poco impaziente di fronte allo strascico finale d'un episodio che era ben lieta di chiudere, l[...]

[...]riso, dal qua le dipendeva tutto il suo fascino, era diventato troppo meccanico, ed una contrazione delle gengive lo faceva somigliare ad un cavallo. La soddisfazione di sé, che una volta lo rendeva amichevole con tutti, persone utili o no, aveva cominciato a parere grossolana indifferenza. Ai primi tempi del suo soggiorno nel nord, scivolava da un gruppo all'altro leggero come un peso piuma, inebriando i potenti con la lode, offrendo agli amareggiati il conforto d'una piccola adulazione, senza impegnarsi mai: avvincendo tutti
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cuori con la sua fede giovanile nell'Utopia, tanto più accettabile perché egli era così fondamentalmente concreto. Ma, con gli anni, la sua sorridente franchezza aveva cominciato a diventare dogmatismo; si permetteva di sostenere le proprie opinioni, e, spesso, erano tutt'altro che interessanti, anzi, a volte proprio stupide. I colleghi più giovani lo seccavano, sentiva che lo consideravano sorpassato, e, benché mirasse tuttora a piacere, era rimasto «un giovane » troppo tempo per possedere la tecni[...]

[...]rismo giovanile di Brian ormai stavano diventando un pi stanchi e sorpassati, mentre la generazione del dopoguerra era in un certo senso troppo assoluta nelle sue prospettive, troppo sicura delle sue opinioni per riuscire in quella duttilità che è necessariamente richiesta da un carattere camaleon tico. Brian sarebbe passato inosservato nel 1935, ma nel 1949 faceva l'effetto d'un venticello ristoratore dal settentrione barbarico. Il suo nome era già quello di un'autorità alle tavole del « All Souls» e del «Kings» — un uomo da tener d'occhio. Parlava al Terzo Programma e nel Convegno dei Cinque — Isabel aveva i suoi dubbi su questo tasto — scriveva articoli su settimanali e mensili di lusso ed aveva il contratto per scrivere un libro, edizione Pellican.
Isabel era molto soddisfatta di tutto questo, ma mirava a qualche cosa di più che l'ambiente accademico, per elegante che fosse — era una romantica incorreggibile e dietro alle spalle di Brian vedeva una lunga teoria di mistici soldati di ritorno dalla Persia, di esploratori introvertiti,[...]

[...] vigilava e imparava, riceveva con molta larghezza, era gentile con tutti e sceglieva accuratamente i pochi importanti destinati a portarla allo stadio successivo — le persone più influenti del loro ambiente attuale, ma non — e qui si moveva con cautela estrema — quelle che erano troppi gradini più in sù; questi sarebbero venuti in seguito. Per quando fosse omologata definitivamente quella clausola ridicola, insensata, del testamento, ella aveva già scelto le quattro persone che andavano coltivate.
Primo di tutti, e più appariscente, il Professor Cadaver, un vecchio lungo e allampanato inguainato in un busto, i baffi militareschi e gli abiti persino troppo belli; capo in testa degli archeologi, autore di «Disseppellire i morti », « La Tomba é la mia Tesoreria » e «Dov'è, O Sepolcro, la Tua Vittoria? ». Egli rappresentava un'autorità indiscussa e non solo nel campo delle tombe del mondo antico, perché, negli intervalli tra le sue spedizioni in Oriente e nell'Africa: settentrionale, s'era familiarizzato anche con tutti i cimiteri più impo[...]

[...]non solo nel campo delle tombe del mondo antico, perché, negli intervalli tra le sue spedizioni in Oriente e nell'Africa: settentrionale, s'era familiarizzato anche con tutti i cimiteri più importanti delle Isole Britanniche, ed aveva raccolto una collezione importante di fotografie di tombe insolite.
Il suo entusiasmo per le costruzioni adorne del diciannovesimo secolo gli avevano attirato le simpatie dei devoti all'arte vit toriana. Egli appoggiava le opinioni di Brian sull'importanza sociologica dei costumi in fatto di sepolture, ma spesso irritava il suo giovane collega per l'importanza che pareva attribuire allo stato di conservazione dei cadaveri. Riguardo all'imbalsamazione poi, andava addirittura in visibilio: cc Le fattezze, le membra sono conservate in tutta la bellezza che avevano durante la vita » soleva dire «eppure, permane tutto l'odore dello sfacimento, la dolce immobilità della morte! ». Strano vecchio! Inoltre, pareva nutrisse per Isabella un'ammirazione sconfinata, la guardava ore ed ore con i suoi vecchi occhi da ret[...]

[...]« Che meravigliosa ossatura!» diceva « si possono quasi vedere le ossa delle guance ». « Se ne vedono pochi, al giorno d'oggi, signora Capper, con un pallore perfetto come il suo! A volte si direbbe quasi livido».
170 ANGUS WILSON
Isabella esitò più a lungo riguardo a Lady Maude: di donne anziane, ricche e dotate di parentele, che s'interessassero di storia dell'arte, ce n'era a josa, e di queste Lady Maude era certo fisicamente la mena incoraggiante. Con quegli occhietti miopi da majale, gli ampi cappelli precariamente appuntati su viluppi malsicuri di chiome color henné, il corpo immenso avviluppato di lontra, sarebbe sfuggita a qualsiasi occhio meno acuto di quelli di Isabella. Ma Lady Maude era stata dappertutto, aveva visto tutto. A lei erano stati rivelati tesori che la segretezza sovietica o la religiosità mussulmana avevan celato a qualsiasi altro sguardo occii dentale, milionari americani le avevano mostrato capolavori di provenienza talmente dubbia che non si potevano esporre pubblicamente senza complicazioni internazionali. [...]

[...]aveva visto tutto. A lei erano stati rivelati tesori che la segretezza sovietica o la religiosità mussulmana avevan celato a qualsiasi altro sguardo occii dentale, milionari americani le avevano mostrato capolavori di provenienza talmente dubbia che non si potevano esporre pubblicamente senza complicazioni internazionali. Aveva passato ore ed ore a guardare i migliori falsificatori contemporanei all'opera. Aveva una memoria precisa e particolareggiata, e, benché le andasse calando la vista, le sue spesse lenti registravano ancora tutto quello che vedeva come se fosse stato fotografato da una macchina. All'infuori delle sue conoscenze d'arte, era intensamente cretina, e pensava solo a mangiare. Cercava di nascondere questa avidità furio sa, ma Isabella non tardò a scoprirla, e si propose di conquistarla mediante tutte le leccornie che il mercato nero poteva procurarle.
Assicuratisi cosí gusto e dottrina, Isabella cominciò a cercar di scovare un appoggio all'infuor del mondo accademico alla moda, un palo profondamente conficcato nella società. Le spine che circondavano l'eredità cominciavano a pungere. Si rifiutava ancora di credere che quella clausola grottesca e perversa potesse davvero esser valida, ed aveva messo tutti gli avvocati di Londra a confutarla. Ma, anche così, gli [...]

[...] rispettata. Persino Brian fu strappato a forza dalla sua vita di conferenze, conversazioni, e pranzi, per ammettere che la crisi era seria. Isabella era alla disperazione. Guardava al salotto ancora sguernito — avevano deciso per Louis Treize — e pensava agli orrori che dovevano esservi perpretati. Si trattava d'una faccenda troppo seria per poterla affrontare da sola, bisognava chia mare a consiglio gli alleati.
Mentre parlava, Isabella passeggiava a gran passi avanti e indietro di fronte al fuoco, togliendosi la sigaretta dalla bocca contratta e mandando fuori rapidi, furiosi sbuffi di fuma Ora guardava il frate di Zurbaran con il bue e il gufo, ora i cacciatori azzurri dell'arazzo, che cavalcavano in mezzo a Roride ninfe ed a satiri, di tanto in tanto gettava un'occhiata a Guy il quale giaceva disteso sul pavimento, tormentando una rosa, ma mai a Brian, né a Lady Maude, alla signora Mule o al professore che sedevano tutti impettiti nelle sedie a piccolo punto dallo schienale alto:
174 ANGUS WILSON
u Avevo sperato di non dovervelo dire mai » disse « naturalmente, é di tutta evidenza che lo zio Giuseppe e la zia Gladys erano corn
pletainente fuor di senno quando scrissero il testamento, ma pare che la legge non se ne curi. Oh! è caratteristico d'un paese dove íI sentimentalismo regna sovrano, senza riguardo per l'autorità di Dio o nemmeno per le leggi di natura. Una coppia di [...]

[...]rtuno di raccogliere la mia cara moglie e me a sé mentre ci troviamo in alto mare o in qualsiasi altro modo che impedisca ai nostri resti mortali di venir raccolti per una acconcia sepoltura cristiana in luoghi ove i nostri cari nipoti o altri eredi possano decorosamente intrattenersi con noi e in altri modi comunemente approvati dimostrare l'affetto e la devozione che provano per noi, in questo caso dispongo che due monumenti sepolcrali, che ho già fatti fare, siano collocati nella nostra casa di Portman Square nella stanza ove essi riceveranno i loro amici, si che noi possiamo in qualche modo prender parte, assistere e partecipare ai loro giocondi passatempi. Questo sarà eseguito assolutamente, e se essi non dovessero acconsentire, tutti i nostri averi passeranno alle istituzioni benefiche appresso elencate ». u E così » esclamò Isabella «la legge afferma che così va fatto!». Tacque, agitando drammaticamente il documento in aria. u Bé» interloquì Guy u io non ho un debole particolare per i monumenti, ma può anche darsi che siano carini[...]

[...] salotto. Il piccolo gruppo la segui solennemente.
Effettivamente, era esatto: quei monumenti non potevano dirsi carini. In primo luogo, erano alti più di due metri ciascuno. Poi, erano di marmo bianco, non di un solido stile vittoriano, che avrebbe potuto servire a qualche cosa, nemmeno barocco con angeli e trombe dorate, che avrebbe potuto essere ancora meglio,
TOTENTANZ 175
no: erano del gusto moderno più esageratamente semplice che un artigiano dilettante, secondo Eric Gill, potesse fare.
« Cara » disse Guy « sono due orrori » e Lady Maude osservò che proprio non erano quel tipo di cose che si ha mai voglia di aver sottocchio. Gli epitaffi, inoltre, erano vistosi, moderni, e molto artificiosi: su uno c'era scritto: « Giuseppe Briggs. Pronto all'appello »; sull'altro: «Gladys Briggs. Sincero come l'acciaio, retto come una lama, il Grande Artefice fece il mio compagno ».
Il professor Cadaver era desolato: « Ma come, nulla! nemmeno le ceneri. Un vero peccato! ». Pareva sentisse che era andata perduta una grande occasione. Nessuno a[...]

[...] persino di un imprenditore criminale, ma non pareva che questo facesse parte delle loro_ competenze. Lady,Maude tra sé pensava che sino a che sala da pranzo e cucina potevano funzionare ugualmente, non c'era motivo di prendersela tanto. Erano tutti. li immersi nello sconforto, quando improvvisamente Guy esclamò: « Come avete detto che si chiamano gli avvocati? ».
(( Robertson, Naismith e White» rispose Isabella «ma non serve a niente, ci siamo già passati ». « Fidati del piccolo Guy, cara» le disse l'amica e dopo poco si udì la sua voce che discuteva concitatamente al telefono. Vi restò più di venti minuti, e gli altri riuscirono a . sentire ben poco di quel che andava dicendo, salvo una volta quando si mise a parlare piuttosto infuriato: «Non dite mai che l'ho detto io, l'ho detto io, l'ho detto io! » e almeno un paio di volte emise petulanti interiezioni di sprezzo. Quando tornò, mise la mano sulla spalla di Isabella:
cc Tutto a posto, tesoro» le disse «ho sistemato tutto io. Ora possiamo esser tutti contenti ed è carino così, vero [...]

[...]di Isabel, ma, ahimé, l'ultimo. L'ampia sala fu parata in bianco e violetto, e contro quei paramenti spiccavano in forte rilievo gli immensi monumenti bianchi ed altre piccole lapidi sepolcrali espressamente preparate. Camerieri e barmen erano vestiti come scheletri bianchi o come complicati becchini vittoriani ornati di piume di struzzo nere. Il caminetto fu adattato a forno crematoria, sedie e tavolini erano bare di legnami vani. Furono saccheggiati gli archivi musicali per scovare musiche funebri di ogni epoca e di ogni paese. Una famosa contralto ebrea gemeva come si fa nel ghetto, un africano picchiava sul tam tam come si suona per i sacrifici umani, un tenore irlandese fece piangere tutti con le sue canzoni da veglia. Fu annunciata la cena dall'Ultimo Messaggero con la tromba e furono approntati carri funebri per riportare a casa gli ospiti.
Molti dei costumi erano veramente originali. La Signora Mule si presentò — banale ma molto appropriato — vestita da Vampiro. Lady Maude, con i capelli raccolti in un fazzoletto ed un abito inf[...]

[...]annunciata la cena dall'Ultimo Messaggero con la tromba e furono approntati carri funebri per riportare a casa gli ospiti.
Molti dei costumi erano veramente originali. La Signora Mule si presentò — banale ma molto appropriato — vestita da Vampiro. Lady Maude, con i capelli raccolti in un fazzoletto ed un abito informe, ebbe un successo prodigioso rappresentando Maria An tonietta pronta per la ghigliottina. Il Professor Cadaver, mascherato da Mangiatore di Cadaveri, fu efficace quando Boris Karloff ; era evidente che si diverti un mondo tutta la serata, e i suoi occhi da rettile lanciavano occhiate in ogni direzione alle belle donne vestite da salme; al momento di andarsene, le sue maniere divennero così incoerenti ed eccitate che Isabella era seriamente preoccupata a lasciarlo andare a casa da solo. Guy in principio aveva pensato di venire mascherato da Ophelia di Millais, poi, ricordando il danno procurato alla salute del modello originale, cambiò idea; però, con capelli fluenti e fattezze marmoree, fu un riuscitissimo « Suicidio di Ch[...]

[...]nali misera la cosa a tacere, ed un giornale domenicale, in un articolo intitolato « La Scienza ha diritto? » non fece che confondere le cose designandolo professore di anatomia e alludendo oscuramente a Burke
e Hare.
Così crollarono le speranze di Isabella. In verità, le restava ancora la signora Mule a fare il vampiro, ma senza gli altri non serviva a niente. Anzi, la posizione di Isabella era peggiore di quando era appena arrivata a Londra, giacché ce ne sarebbe voluto del tempo perché si dimenticasse la sua intimità con il Professore
e con Guy. Brian sulle prime rimase un po' imbarazzato, ma c'era tanto da fare all'università, che gli restava ben poco tempo per pensare a quel che avrebbe potuto accadere. Ora, egli formava il centro di una cerchia di studenti e conferenzieri che gli pendevano dalle labbra. Man mano che i piani mondani di Isabella sfumavano, cominciò a riempir la casa dei suoi amici, e, a volte, lo trovava dritto in piedi di faccia al quadro di Zurbaran intento a indicare con la pipa ad un gruppo di giovani fervidi,[...]

[...]dro di Zurbaran intento a indicare con la pipa ad un gruppo di giovani fervidi, impettiti sulle sedie a piccolo punto. « Ah! » diceva tutto allegro «ma voi. non mi avete ancora dimostrato che quel famoso uomo medio non sia altro che un'invenzione» oppure «Guardate qui, Wotherspoon: non potete buttar giù alla leggera parole come `il bello'
o `disegno formale'. Bisogna definire i termini ». Una volta, ella trovò una borsa di tabacco ed un romanzo giallo di Dorothy Sayer su una delle sedie tubolari del « caro vecchio bucatalo D. Ma, se Brian aveva trasformato la casa in un centro di conferenze, ormai Isabella non protestava più. Rimaneva seduta tutto il giorno nel vasto salotto vuoto, ove i due immensi monumenti le proiettavano addosso la loro ombra gigantesca. Fumava una sigaretta dietro
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l'altra e beveva the su casse da imballaggio chiuse. Di, tanto in tanto, guardava gli epitaffi con uno sguardo di muto appello, ma pareva non trovare mai úna risposta. Sempre meno finse di leggere ed ascoltare buona musica, anzi per mes[...]

[...]ta dietro
180 ANGUS WILSON
l'altra e beveva the su casse da imballaggio chiuse. Di, tanto in tanto, guardava gli epitaffi con uno sguardo di muto appello, ma pareva non trovare mai úna risposta. Sempre meno finse di leggere ed ascoltare buona musica, anzi per mesi e mesi a malapena metteva il naso fuori di casa.
Un pallido sole di aprile brillava sul selciato umido di High Street, gettando una luce tenue e malinconica sulle pozzanghere di pioggia che s'erano formate qua e lá tra i ciottoli. Raggio ingannevole, però, poiché il vento soffiava gelido. Miss Thurkill si strinse addosso la toga professorale sull'esile persona, mentre usciva dalla sala di conferenze, e si affrettò verso il Caffè Erica. Voltando l'angolo, presso la libreria Strachan, scorse la moglie del Preside che avanzava verso di lei. Malgrado la temperatura gelida, la vecchia signora si moveva lentamente, perché l'amara messe invernale di influenza e bronchite le aveva indebolito il cuore; ora, pareva grassa e vacillante come i suoi bulldogs.
« Ha avuto la nomina a Lond[...]



da Pietro Citati, Ideologia e verità in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: IDEOLOGIA E VERI TA
« En cette grande ville où je suis, n'y ayant aucun homme, excepté moi, qui n'exerce la marchandise, chacun y est tellement attentif à son profit, que j'y pourrais demeurer toute ma vie sans être jamais vu de personne. Je vais me promener tous les jours parmi la confusion d'un grand peuple, avec autant de liberté et de repos que vous sauriez faire dans vos allées... Le bruit même de leur tracas n'interrompt pas plus mes rêveries que celui de quelque ruisseau... »
Descartes a Balzac, Amsterdam, 5 maggio 1631
O vous tous, oubliez une croyance sombre. Le splendide génie éternel n'a[...]

[...]Toast funèbre
Ci sembra, ogni tanto, che il grande meccanismo della storia proceda a vuoto, con improvvisi e insensati sobbalzi. Invece di svolgersi secondo un ritmo sicuro e spontaneo, fedeli alla lenta progressione dei loro sviluppi, gli avvenimenti si susseguono senza ragione, come fossero improvvisamente impazziti. Ora vengono travolti da una nevrastenica eccitazione, che non permette né pazienza né soste; ora, invece, precipitano in una grigia e indifferente atonia che li eguaglia, li annulla, li spegne. Anche in chi li patisce, gli scatti dell'isterismo si alternano con gli abbandoni della noia. Il filo naturale e continuo dei fatti pare spezzato. La vita diviene ogni giorno piú confusa ed irriconoscibile, finché perdiamo persino la speranza di intendere e di renderci conto.
Ma, ad un tratto, il mondo é cambiato. Davanti ai nostri occhi si apre un nuovo capitolo di storia, nel quale ci muoviamo sicuri, con i piedi a terra, capaci di pensare e di agire, infine compresi in un quadro che svela in ogni parte la coerenza di una intenz[...]

[...] voglio far concorrenza anzitempo ai manualisti futuri, stabilendo quando questo trapasso sarebbe avvenuto. Da un secolo a questa parte, gli ideologi, gli scrittori, gli uomini di cultura lo andavano immaginando, anche se di solito nella direzione sbagliata. La società intellettuale inglese ed americana inaugurò la nuova epoca con vent'anni di anticipo su di noi. E, in Italia, quelle che chiamiamo, con una mescolanza ormai convenzionale di nostalgia e di ironia, le generose illusioni del 1945, parevano annunciare, é vero, i tempi nuovi; ma non facevano invece che prolungare quelli antichi, esaltandone gli aspetti più generosamente utopistici. Il socialismo come ideale eticopolitico, l'avanguardia come condizione permanente delle lettere: i miti che accomunarono i gruppetti di Politecnico sparsi in tutto il mondo, erano ancora i medesimi che avevano ispirato il diciannovesimo secolo.
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Successe, come ognuno sa, proprio il contrario di quello che i rivoluzionarii di allora avevano sperato. Con la morte di Stalin, quando il[...]

[...]ca della prosa. L'utopia cedeva alla ordinaria amministrazione. Senza peccare in alcun modo di fantasia, Cesare Brandi proclamò, alcuni anni or sono, La fine dell'avanguardia. E, a conti fatti, chi potrebbe dargli torto? E quasi banale ripetere che anche le novità narrative pittoriche, teatrali, cinematografiche specialmente francesi annunciano questa morte, mentre sembrano mascherarla. Condotta alla perfezione liscia ed ambigua del prodotto artigianale, la grande avanguardia europea del nostro secolo trova, in questi tentativi, l'ultimo riassunto e riepilogo eclettico.
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Prima ancora di nascere, la nuova epoca ha cominciato a proclamare il suo atto di nascita. L'età borghese ha atteso dei secoli prima di riconoscersi in un'immagine, accontentandosi di condurre a lungo una vita sotterranea e nascosta. Ma la nostra epoca si è già data un nome: civiltà di massa. Stipendia ogni giorno convegni, giornalisti, intellettuali, filosofi, letterati, che la studiino, la analizzino, la rappresentino. Riflette su di sé, inventa le formule e i modi per descriversi e criticarsi, con un tale entusiasmo giovanile, con una compiacenza ed una baldanza così amabili e frivole, come se avesse bisogno di dimostrare, innanzi tutto a se stessa, di essere nata. Quando parla di sé, é insieme querula e provocatoria, troppo umile e troppo superba. Non si riesce mai a capire se si ami troppo o troppo poco. La sua massima astuzia é, probabilmente,[...]

[...]e provocatoria, troppo umile e troppo superba. Non si riesce mai a capire se si ami troppo o troppo poco. La sua massima astuzia é, probabilmente, quella di trovarsi francamente ripulsiva. O invece non le importa di suscitare consensi: accetta con animo egualmente grato gli amici e i nemici, i critici e gli apologeti, purché ammettano la sua esistenza, parlino continuamente di lei, la interpretino senza posa, e soprattutto le forniscano un'ideologia.
Parrebbe di vivere in un'età animata da uno straordinario fervore di idee, da una intelligenza inventiva e creativa, se le
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stesse cose aspirano alla luce della ragione. Ed é vero, invece, il contrario. Codesto lusso ideologico, codesta ricchezza interpretativa trionfano proprio in un tempo che ignora la vera novità ed intensità del pensiero. I sistemi e le ideologie di oggi riprendono
e riutilizzano, con una eleganza sovente pari soltanto alla loro debolezza speculativa, i relitti della cultura di quarant'anni or sono. L'epoca scorsa ha provveduto a pensare anche per noi.
Un tempo ogni pensatore affondava, con una tranquilla e matura persuasione, una ingenuità assoluta e a suo modo paradossale, ent[...]

[...]dea precedente, attenti solo al ritmo pacato del proprio pensiero. Invece che speculativa, essa é naturalmente combinatoria. Non ha piú bisogno di quelli che un tempo chiamavamo filosofi; ma soltanto di interpreti del tempo, di saggisti, di chiosatori.
Codesta condizione può raggiungere, come nel caso di Theodor W. Adorno, uno dei cervelli più intelligenti e tentatori del nostro tempo, un fascino ambiguo e inquietante. Gelido fumista dell'ideologia, pasticheur virtuosissimo, stridula e acuto cancer tista di idee, Adorno impasta insieme senza fine Lukàcs e Freud, Nietzsche e Mann, Benn e La Rochefoucauld, Hegel e la sociologia. Dell'intelligenza non conosce né l'amore né la pazienza, ma soltanto la meravigliosa e penetrante forza dell'arbitrio. Tra le sue mani il morto eclettismo diventa stile; e la combinazione stri
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dente e grottesco pastiche intellettuale. Quello che lo salva alla fine, e lo rende di tanto superiore agli ideologhi del nostro tempo, non é la ricchezza delle idee; ma proprio la sua natura di artista, la estrema e disperatamente gelata violenza del suo temperamento, che raccoglie insieme tutte le possibili suggestioni intellettuali.
Cosa manca dunque agli intelligenti, acuti e br[...]

[...]tta, ideologica. Ci avviamo, lentamente, a morire.
Queste conclusioni sono ormai divenute banali, tanto siamo abituati a vedercele presentare ogni giorno, con la più sicura convinzione e la più terribile tranquillità. Se fossero vere, non vedo per quale ragione dovremmo ancora sforzarci di vivere. Potremmo lasciare per sempre questa infernale e noiosa scena del mondo ad una umanità meno indifesa e nevrotica della nostra, che compaia sulla terra già protetta da qualsiasi ferita possibile, catafratta nella propria disumana efficienza, abituata a vivere e a prosperare nella morte come se fosse vita. Ma é possibile, io credo, avanzare una ipotesi meno spaventosa.
Nessuno poteva immaginare, cinquant'anni or sono, che nella civiltà di massa il pensiero avrebbe dimostrato di possedere una forza di penetrazione e di attuazione fino allora sconosciute. In
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vece di perdersi davanti alla violenza meccanica dei fatti, come prevedevano gli spiriti idillici ed utopisti, ora li domina, invece, li attrae a sé, o si adatta, si piega, ma per trasformarli e modificarli continuamente. Fragile, un tempo, lento a trasmettersi e ad agire, oggi si risolve e si incarna nelle cose con una straordinaria ed eccessiva facilità, sino a costituire la crosta apparente del nostro tempo. Lui che si nascondeva nel profondo, ora risplende e luccica in superficie: agisce senza posa, sotto gli occhi insensibili di tutti. Intanto la realtà sembra avere perduto [...]

[...]lende e luccica in superficie: agisce senza posa, sotto gli occhi insensibili di tutti. Intanto la realtà sembra avere perduto la testarda e cocciuta forza di resistenza che la distingueva: é divenuta infinitamente recettiva e plasmabile, cede e si trasforma docilmente sotto gli impulsi continui della mente organizzata.
Con la medesima facilità con cui le idee si incarnano nelle cose, i fatti non hanno nemmeno avuto il tempo di manifestarsi che già trovano la loro esatta trascrizione ideologica. Mai un'epoca é stata capace di rappresentarsi con una simile perfezione. Qualsiasi cosa accada: qualsiasi fenomeno appaia all'orizzonte — lo sport o la televisione, la letteratura commerciale o l'avanguardia — e sembri modificare la nostra vita associata, ecco che subito schiere di interpreti sono pronti a descriverli, a qualificarli, a storicizzarli. E di rado queste interpretazioni riescono arbitrarie, e mancano il segno. Sono, se mai, troppo vere, come se la stessa realtà quotidiana si offrisse spontaneamente in esame, e venisse fedelmente re[...]

[...]elevisione, la letteratura commerciale o l'avanguardia — e sembri modificare la nostra vita associata, ecco che subito schiere di interpreti sono pronti a descriverli, a qualificarli, a storicizzarli. E di rado queste interpretazioni riescono arbitrarie, e mancano il segno. Sono, se mai, troppo vere, come se la stessa realtà quotidiana si offrisse spontaneamente in esame, e venisse fedelmente registrata e ricalcata nei grandi quaderni dell'ideologia. Questi neutri e fedeli negativi di idee, queste perfette e sbiadite decalcomanie non hanno mai, intorno, la ricca distanza, la generosa libertà e lo spazio inventivo che sono stati sempre necessarii alla vita del vero pensiero. Potrebbero pensarsi e svilupparsi da sé, senza conoscere autori. Non siamo ancora giunti a questa ultima perfezione: l'ideologia automatica, spontaneo e trasparente cellophane delle cose. Ma gli infiniti ideologi, dovunque diffusi, all'opera sui giornali, sulle riviste tecniche, negli uffici studio, che dedicano le loro fatiche a studiare i fenomeni del nostro tempo, sono già degli interpreti autorizzati e qualificati dalla stessa civiltà di massa. Non parlano mai a proprio
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nome. Sono la voce delle cose: le prime, superficiali lacrimati rerum.
Troppo plasmabili, troppo plastici, capaci come mai di adattarsi e di combinarsi a vicenda, la realtà ed il pensiero sembrano sul punto di incorrere nella sclerosi. Proprio questo mutamento ininterrotto, l'eccesso di storicità, la prontezza a diventare diversi, la continua successione di incarnazioni, la facilità apparente di capire e di ricevere, proprio questo vorticoso movimento si rapprende e si ragge[...]

[...]mai di adattarsi e di combinarsi a vicenda, la realtà ed il pensiero sembrano sul punto di incorrere nella sclerosi. Proprio questo mutamento ininterrotto, l'eccesso di storicità, la prontezza a diventare diversi, la continua successione di incarnazioni, la facilità apparente di capire e di ricevere, proprio questo vorticoso movimento si rapprende e si raggela, alla fine, nell'immutabile ripetizione. Continuamente sottoposte ad un bagno di ideologia, le case sono ricoperte di un lieve ma fermo sfrata trasparente di gela intellettuale. Intanto il pensiero si isterilisce, perde fantasia, naturalezza, rilievo. Tuttavia la sclerosi non è nella natura profonda della realtà quotidiana; ma, invece, nello sguardo che vede e non sa capire, nella proliferazione, nella sovrastruttura mostruosa di idee e di interpretazioni che si depositano sulla realtà. E, in una parola, nell'ideologia.
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La fine dell'ideologia l'ha decretata la civiltà di massa, che sembrerebbe invece favorirla. Nel momenta che ne produce una quantità straordinaria, quasi fosse un oggetto di consumo, e se ne serve come armatura del suo evanescente ed irreale edificio, ecco che la distrugge come strumento di verità. A che scopo gli scrittori e gli intellettuali dovrebbero fornire altre dosi di cultura ideologica al nostro tempo, quando essa nasconde ed ottenebra, invece di illuminare? Si dice che, abbandonato a se stesso, senza questo continuo .controllo intellettuale e morale, il nostro tempo perderebbe ogni freno, precipitando nel[...]

[...] meccanica. Sa badare così bene, invece, alla propria coscienza. Conosce i pericoli e le crisi che lo minacciano. Si confessa continuamente, mosso a suo modo da un sincero amore di bene. E pronto, con la massima buona volontà, a correre ai ripari, a cercar garanzie, a trovar compensi ed equilibrii. Non c'è davvero — lo dico senza alcuna ironia — da preoccuparsi per la sua salute.
Potesse almeno servire a qualcuno questa nobile e continua
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azione di polizia pedagogica. Ma dopo mezzo secolo che gli intellettuali puntano gli occhi vigili ed acuti sulla realtà meccanica che avanza, e le disputano qualsiasi angolo o frammento di terreno, nemmeno un'anima, io credo, è stata strappata alle noiose tentazioni del mostro. E, come si poteva immaginare, é accaduto esattamente il contrario. Il mostro ha assorbito i suoi critici. Ossessionati, logorati, limitati dalla lotta che stavano conducendo, codesti scrittori ed intellettuali sono divenuti prigionieri del loro amato nemico, presi in quei perfetti ingranaggi, dominati e sv[...]

[...] la vita. Vedono soltanto, ormai, il volto morto e sterile delle cose, e le formule con cui le hanno definite. Se la civiltà di massa, obbedendo alla sua natura fantomatica ed irreale, dovesse scomparire di colpo dalla scena del mondo, si troverebbero disoccupati, incapaci di pensare e di scrivere. Secondo una vecchia ma sempre vera osservazione, la critica alla civiltà di massa é la forma più velenosa che la civiltà di massa possa mai assumere, giacché il peccatore riesce, in questo modo, a peccare e insieme a soddisfare immediatamente gli assilli della coscienza.
C'é chi, invece, non si propane fini pedagogici; e non vuol salvare l'anima di nessuno, ma soltanto difendere la propria. Intenta all'uomomassa, come Elémire Zolla nell'Eclissi dell'intellettuale, un processo meticoloso e feroce, condanna, disprezza, non concede requie, vive in un'aria continua da apocalissi. E chi vuol negare che « bisogna saper disprezzare per poter amare, rifiutare per potersi aprire, condannare per poter assolvere? ». Ma a colui che voglia comporre la vit[...]

[...]uno. Solamente un grande scrittore racchiude in sé tanto coraggio, una tale fantasia e ricchezza vitale. una così enorme comprensione, un disprezzo e un dominio di sé così assoluti, da poter ricominciare ogni mattina quest'esercizio di ironica ed ascetica finzione. Il grande scrittore é capace di sospendere, per un momento, il lavoro della propria intelligenza: si rifiuta di coordinare ed illuminare i rapporti che corrono fra le cose; per
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capire, rinuncia a capire. Si costringe a non guardare più lontano del proprio naso, tuffa i propri occhi da talpa nell'indifferente groviglio umano, rifiutando di andar oltre, di trarre conclusioni, di affermare verità. Seconda lo spirito di identificazione che lo spinge ad esplorare profondamente la realtà, non esistono mai due cose, al mondo, assolutamente simili fra di loro.
« Cosa è l'immaginazione — scriveva Berenson — se non il senso vivo e spontaneo di tutto se stesso al posto di un altro ? L'immaginazione non é altro che la facoltà di sentire in se stessi quello che l'o[...]

[...]ofondamente la realtà, non esistono mai due cose, al mondo, assolutamente simili fra di loro.
« Cosa è l'immaginazione — scriveva Berenson — se non il senso vivo e spontaneo di tutto se stesso al posto di un altro ? L'immaginazione non é altro che la facoltà di sentire in se stessi quello che l'oggetto rappresentato si suppone che debba sentire, non solo coscientemente, ma anche incoscientemente; fisicamente sentire come quello respira, come poggia sul terreno quando è in piedi, come pesa quando é seduto, come le sue braccia, le sue mani, i suoi piedi si rilassano. Tutto rientra nel mettiti tu al suo posto in ogni circostanza, in ogni incontro, in ogni esperienza ». Ma a forza di mettersi al posto degli altri: di pazientemente, oscuramente capire; di raccogliere minute verità particolari, le relazioni si stabiliscono, e una idea delle cose investe questi spessi e meticolosi sguardi da miope. Le conclusioni, le somme non saranno certo edificanti: anzi forse più tragiche e disperate; ma non convenzionali, ma non sclerotiche, ma non mortua[...]

[...]l'unico pessimismo serio é quello che non uccide mai la speranza, si conserva lo sguardo libero, rifiuta i paraventi utipici o catastrofici, e continua a dar credito, qualsiasi cosa accada, agli uomini e ai fatti. Ignoro quale volto stia per assumere il nostro futuro. Tuttavia, se il mondo futuro si é per la prima volta incarnato nelle nuove città americane o svedesi,. con le periferie disseminate di discrete e convenzionali villette col piccolo giardino erboso, gremite di elettrodomestici e di utilitarie,
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lo scrittore moderno potrà, io credo, accoglierlo con la medesima naturalezza che spingeva i contemporanei di Elisabetta o di Luigi XIV ad accettare i loro tempi. Purché la civiltà moderna resti un fatto: una pura realtà. Purché i giardini erbosi, gli elettrodomestici e le utilitarie non pretendano di possedere un significato, e si limitino ad essere quello che sono: frammenti, strumenti destituiti di valore. Gli scrittori potranno allora continuare ad aggirarsi, fra l'enorme frastuono delle nostre città, la dispersione, la confusione, la perdita di tempo e di calma, con la stessa libertà e la stessa quiete che accompagnavano il giovane Cartesio fra i grandi traffici e le strade popolose di Amsterdam secentesca.
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Soccorsa dalle sue agili, brillanti ed acute antenne interpretative, l'ideologia pretende di raccontarci l[...]

[...]ello che sono: frammenti, strumenti destituiti di valore. Gli scrittori potranno allora continuare ad aggirarsi, fra l'enorme frastuono delle nostre città, la dispersione, la confusione, la perdita di tempo e di calma, con la stessa libertà e la stessa quiete che accompagnavano il giovane Cartesio fra i grandi traffici e le strade popolose di Amsterdam secentesca.
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Soccorsa dalle sue agili, brillanti ed acute antenne interpretative, l'ideologia pretende di raccontarci la storia dei progressivi mutamenti, delle lente o violente alterazioni, che hanno trasformato l'uomo moderno in una creatura senza paragone possibile con quelle che lo precedettero sulla terra. Proviamoci per un momenta a darle ascolto. Proviamo ad accettarne le conclusioni, anche se ci troveremo naturalmente fra le mani un fantoccio simbolico, uno schema umano, invece che una figura viva, vera e reale.
La forza violenta e tumultuosa della vitalità ha abbandonato, secondo l'ideologia, l'uomo moderno. O, per meglio dire, non é più sua, non é più privata: si é trasferi[...]

[...]delle lente o violente alterazioni, che hanno trasformato l'uomo moderno in una creatura senza paragone possibile con quelle che lo precedettero sulla terra. Proviamoci per un momenta a darle ascolto. Proviamo ad accettarne le conclusioni, anche se ci troveremo naturalmente fra le mani un fantoccio simbolico, uno schema umano, invece che una figura viva, vera e reale.
La forza violenta e tumultuosa della vitalità ha abbandonato, secondo l'ideologia, l'uomo moderno. O, per meglio dire, non é più sua, non é più privata: si é trasferita, impersonalmente e astrattamente, nei grandi schemi collettivi, fra le folle delle officine, fra le masse organizzate dai partiti, nei riti sportivi, nelle manipolazioni della tecnica pubblicitaria. Il fatto individuale del vivere ha finito per perdere il suo contenuto quotidiano ed oggettivo: significa, ormai, essere, od esistere. Pensiamo invece al personaggio di un narratore dell'Ottocento, che viveva cosí oggettivamente e concretamente, da possedere la propria vita. Era, senza riserve, quello che faceva[...]

[...]istere. Pensiamo invece al personaggio di un narratore dell'Ottocento, che viveva cosí oggettivamente e concretamente, da possedere la propria vita. Era, senza riserve, quello che faceva. Possedeva il proprio corpo, i propri sentimenti, i propri gesti, il cibo di cui si nutriva, i paesaggi o i quadri che ammirava, le parole che scriveva o stava pronunciando. Per i propri beni nutriva l'attaccamento incondizionato ed esclusivo che si prova
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per una realtà assolutamente personale. La casa, la terra, i marenghi d'oro non sono, per Goriot o il vecchio Karamazov, delle cose, ma dei brandelli dolorosi e sanguinanti di carne. In quegli oggetti essi hanno furiosamente trasferito, scaricato e consolidato la loro vitalità, trasformandoli in vivi prolungamenti di energia fisica. Essi diventano quello che possiedono. Ad ogni marengo che Goriot mette da parte, o che Karamazov dilapida, la loro figura psicologica cresce di volume, acquista statura e rilievo. Oggi, invece, tra il proprietario e la proprietà regna l'indifferenza, l'assoluta mancanza di rapporti. Le cose restano cose: pure funzioni, che a poco a poco si sono svuotate di ogni energia e di ogni significato personale. Libero da qualsiasi definizione o vincolo oggettivo, l'uomo moderno é finalmente diventato colui che non possiede.
Quando si trovavano di fronte a sentimenti ed istinti che i tc classici » mantenevano separati — i nervi, il sesso, la bile, la cupidigia, l'amore, l'orgoglio, l'isterica esibizione di sé —, Balzac o Dostojevskij spezzavano qualsiasi barriera divisoria, aggrovigliando ed impastando in un unico ed enorme intrico tutte le emozioni, affondando sino al collo in una materia così stupendamente infetta. Lo scrittore e il lettore di oggi, come l'uomo che ogni giorno incontriamo per la strada, sono stati tutti — anche senza saperlo — educati a questa scuola. Ma siamo così abituati, ormai, a vivere in un mondo mescolato, confuso ed impuro: siamo talmente allenati a considerare insieme fisiologia e psicologia, che codesto mostruoso grovig[...]

[...]a divisoria, aggrovigliando ed impastando in un unico ed enorme intrico tutte le emozioni, affondando sino al collo in una materia così stupendamente infetta. Lo scrittore e il lettore di oggi, come l'uomo che ogni giorno incontriamo per la strada, sono stati tutti — anche senza saperlo — educati a questa scuola. Ma siamo così abituati, ormai, a vivere in un mondo mescolato, confuso ed impuro: siamo talmente allenati a considerare insieme fisiologia e psicologia, che codesto mostruoso groviglio di pensieri, sensazioni e sentimenti, dal quale i nostri padri erano ancora così cupamente affascinati, ha perso per noi gran parte del suo incanto. Sicuro ed impartecipe, il nostro sguardo analizza le zone di confine e distingue ogni volta in quale misura il corpo e lo spirito oscillino e si confondano nelle nostre emozioni.
Educato da Freud, abituato a sottomettere allo spettroscopio qualsiasi emozione, l'uomo moderno ha subito una curiosa esperienza. Dopo un secolo di psicologia « totale », gli capita ormai di seguire il comportamento del proprio corpo qua[...]

[...]ti, dal quale i nostri padri erano ancora così cupamente affascinati, ha perso per noi gran parte del suo incanto. Sicuro ed impartecipe, il nostro sguardo analizza le zone di confine e distingue ogni volta in quale misura il corpo e lo spirito oscillino e si confondano nelle nostre emozioni.
Educato da Freud, abituato a sottomettere allo spettroscopio qualsiasi emozione, l'uomo moderno ha subito una curiosa esperienza. Dopo un secolo di psicologia « totale », gli capita ormai di seguire il comportamento del proprio corpo quasi con la medesima astratta sicurezza con la quale può tracciare linee o cerchi sulla lavagna. Il suo corpo non gli appartiene: é di nuovo fuori
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di lui. Come un tempo, la psicologia può tornare a liberarsi dalla fisiologia, che affida alle cure dello scienziato o del tecnico. E l'ambizione, l'orgoglio, la coscienza di sé, quei sentimenti attorno ai quali la moralistica classica edificò la sua nozione dell'anima? Basterebbe ritrascrivere i Caratteri di La Bruyère nel linguaggio del ventesimo secolo, per comprendere quanti sentimenti stiano perdendo la loro antica forza propulsiva. Possiamo dunque anticipare le ovvie conclusioni della nostra ipotetica inchiesta. La figura umana ha ristretto e concentrato i propri confini, perdendo molti dei suoi contenuti tradizionali. Ha, soprattutto, perduto in realtà.
Supponi[...]

[...]o immergeranno in una atmosfera di incubo. Sarà certo la sua diminuita e impoverita umanità a non tollerare quelle eroiche dismisure. Ma sul nostro immaginario uomo moderno non vorrei incrudelire. Come non accorgersi, alla fine, quanto poetici possano essere anche i nostri civili e poco vitali contemporanei. Sensibili, modestamente infelici, grigi, intelligenti, delicati, ansiosi, essi hanno innanzitutto bisogno, per essere intesi, di una psicologia che sappia cogliere il valore delle nuances.
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Con quali strumenti psicologici, con quali disposizioni analitiche ci avvicineremo al mitico abitante delle villette? La psicologia moderna ha asató l'inosabile, ha accolto tutti i contenuti, ha tentato .tutte le tecniche, e sembrerebbe che nessunsentimento debba mai riuscirle difficile o alieno. Quanto alle nuances, poi,
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è nata con loro; e ha talmente sacrificato al loro valore conoscitivo, da dissolversi nell'indistinto. Dopo due secoli di analisi infinitesimali, di furibonda investigazione attorno alle gradazioni e ai passaggi impercettibili, di scavi in zone fino allora proibite, il narratore moderno si trova immerso in una immensa ricchezza di reazioni psicologiche pure, in un infinito conglomerato di sfumature. Chi vorrebbe negarlo? Ma dimentichiamo di aggiungere che i creatori della psicologia moderna lavoravano d'après nature, descrivevano acutamente le sfumature, abbondavano nelle mezzeti[...]

[...]rificato al loro valore conoscitivo, da dissolversi nell'indistinto. Dopo due secoli di analisi infinitesimali, di furibonda investigazione attorno alle gradazioni e ai passaggi impercettibili, di scavi in zone fino allora proibite, il narratore moderno si trova immerso in una immensa ricchezza di reazioni psicologiche pure, in un infinito conglomerato di sfumature. Chi vorrebbe negarlo? Ma dimentichiamo di aggiungere che i creatori della psicologia moderna lavoravano d'après nature, descrivevano acutamente le sfumature, abbondavano nelle mezzetinte e nei mezzitoni, nelle evanescenze e nell'indefinibile, soltanto, come avrebbe detto Van Gogh, per dipingere des fleurs trop grandes.
Alla psicologia gli inventori della psicologia moderna, gli autori di quelle farse dilatate e sublimi che si chiamano la Comédie Humaine e la Recherche, I Fratelli Karamazov e l'Ulysses e Der Mann ohne Eigenschaften, non ebbero mai alcuna intenzione di fermarsi. La consideravano appena un ingrediente di una tela che mirava ad abbracciare tutto l'universo, deformandolo e travolgendolo nelle più aggrovigliate contraddizioni grottesche. Mescolavano insieme Dio e l'inferno, l'eccelso e l'informe, impastando le più diverse note linguistiche usufruivano ad ogni passo dei salti di tono; si abbandonavano al lirismo per ricorrere subito dopo alle [...]

[...] disporre di un materiale umano arcaico, colorito e violento come quello del Palazzo dei Pescicani o degli Ori, a via Merulana. E Pasolini continua a cercare i suoi contenuti ai margini condannati dalla storia, rovesciando le lenti ossessive e meticolose del proprio cannocchiale sugli opposti idillii peccaminosi del Friuli e delle informi borgate romane.
La civilta del ventesimo secolo é tuttavia così livellata ed uniforme come pretende l'ideologia ? È proprio questa ipotesi che uno scrittore di temperamento grottesco od espressionistico non vorrà mai accettare. L'uomo delle villette, l'irreale e sensibile, grazioso e delicato possessore di elettrodomestici non é per lui che una ipotesi inesistente e soprattutto noiosa; o nasconde invece le più folli possibilità di ironiche contraddizioni. L'idea della realtà moderna alla quale egli obbedisce è, difatti, completamente diversa. Mai come oggi il mondo avrebbe esaltato l'antitesi, sottolineato gli estremi, enfatizzato i contrasti, proprio perché avvicina e confonde insieme costumi e gusti [...]

[...]di elettrodomestici non é per lui che una ipotesi inesistente e soprattutto noiosa; o nasconde invece le più folli possibilità di ironiche contraddizioni. L'idea della realtà moderna alla quale egli obbedisce è, difatti, completamente diversa. Mai come oggi il mondo avrebbe esaltato l'antitesi, sottolineato gli estremi, enfatizzato i contrasti, proprio perché avvicina e confonde insieme costumi e gusti affatto dissimili, imponendo a tutti
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le medesime vesti. Che i ragazzacci di Pietralata indossino gli stessi bluejeans degli amabili ragazzetti americani: che le stesse canzonette e i medesimi films trionfino a Londra e a Bagdad, mentre i cuori e le menti rimangono ancora talmente diversi — questa assurda e paradossale compresenza dovrà per forza suscitare le tensioni più violente, stridenti e grottesche. Viviamo in un mosaico, in un coacervo di sentimenti e di culture, nella mescolanza continua dei più estremi contrasti. Il barocco sembra la vocazione spontanea del nostro secolo. A codesta ipotesi affascinante e ric[...]

[...]ie naturali.
Non so se queste contraddizioni rappresentino tuttavia qualcosa di più di un fiorito e spettacoloso caleidoscopio. La verità essenziale, il fuoco umano e doloroso non starà forse di là da queste apparenze, le quali intanto cadranno via via, mentre insieme ai bluejeans anche i cuori e le menti diventano simili in tutto il mondo? E codesta ricchezza di contrasti superficiali non costituisce propriamente il regno prediletto dell'ideologia? È presumibile, difatti, che col passare degli anni la parte del falsetto, l'amore ironico ed acre per la contraddizione verrà sovente riservato, come già sta accadendo, agli scrittori più legati al costume e, in una pa rola, alla letteratura di consumo.
Certo Vladimir Nabokov, e il suo romanzo Lolita, sembrerebbero star li a dimostrare proprio il contrario, che invece la civiltà delle villette a due piani, dei motels e dei campeggi, della psicanalisi e della letteratura cosmopolita, continua a provocare, in scrittori fumisti e poliglotti, egualmente devoti a Fiodor Dostojevskij, a Marcel Proust e a James Joyce, le furie della deformazione grottesca. Ma è proprio vero? O invece il caso, sia pure straordinario, di Lolita svela con quale diffico[...]

[...]storia d'amore sarebbe altrimenti rimasta senza spunto. Ma le droghe non sono permesse in letteratura. Nonostante tutto, Lolita é piuttosto un grande avvenimento letterario che un capolavoro. Provocato artificialmente, il grottesco rischia di rimanere ad ogni passo sospeso nel vuoto, senza materia, meravigliosamente trascritto e lavorato di seconda mano.
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Continuiamo ad assumere per buono il figurino simbolico dell'uomo di oggi, che l'ideologia ha così brillantemente ritagliato e descritto. La gamma dei suoi sentimenti e delle sue emozioni é dunque divenuta più povera e più ristretta: intere zone del suo animo stanno cedendo ad una esperienza che si raccoglie, via via, attorno al proprio nucleo. Sembra che la stessa vita si sia assunta il compito a cui un tempo adempivano gli scrittori: lascia cadere tutti i sentimenti secondari, abolisce il corpo, le circostanze, i tempi, esige l'essenziale, illumina soltanto il nascosto centro del cuore. Ma la psicologia non ha bisogno, per svilupparsi e fiorire, di un campo vastissimo e contraddi[...]

[...]timenti e delle sue emozioni é dunque divenuta più povera e più ristretta: intere zone del suo animo stanno cedendo ad una esperienza che si raccoglie, via via, attorno al proprio nucleo. Sembra che la stessa vita si sia assunta il compito a cui un tempo adempivano gli scrittori: lascia cadere tutti i sentimenti secondari, abolisce il corpo, le circostanze, i tempi, esige l'essenziale, illumina soltanto il nascosto centro del cuore. Ma la psicologia non ha bisogno, per svilupparsi e fiorire, di un campo vastissimo e contraddittorio di esperienze. Prima che Balzac affondasse la propria sonda a tutti i livelli della persona, e Dostojevskij raffigurasse gli sconvolgimenti dell'isterismo e della dispersione nervosa, i grandi poeti ed interpreti dell'animo umano sapevano concentrare il fuoco della propria attenzione su di un solo punto, trascurando ogni possibile e curiosa deviazione, ma illuminando di una luce spietata quell'unico centro sentimentale.
L'uomo moderno probabilmente richiede, per essere rappresentato, una attitudine psicologic[...]

[...]entrare il fuoco della propria attenzione su di un solo punto, trascurando ogni possibile e curiosa deviazione, ma illuminando di una luce spietata quell'unico centro sentimentale.
L'uomo moderno probabilmente richiede, per essere rappresentato, una attitudine psicologica infinitamente più antica di quella che ci ha suggerito il secolo scorso. Invece di sottolineare gli estremi, invece di tendere all'enorme o al violentemente realistico,
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l'artista moderno dovrà piuttosto disporre di quella magica intuizione, di quel tocco fuso e vellutato, di quella scienza sicura e spontanea delle sfumature alla quale i classici davano il nome di natura. I nostri paesaggi urbani e suburbani potranno sembrare, a qualcuno, senza cime e senza sorprese. Ma chi muova su quelle superfici uno sguardo acuto ed attento, robusto e discreto, scostando a poco a poco le apparenze, utilizzando volta a volta la loupe grandissante e la tenue ombreggiatura, alternando senza parere la pazienza inflessibile della esagerazione e la umana violenza d[...]

[...]orre di quella magica intuizione, di quel tocco fuso e vellutato, di quella scienza sicura e spontanea delle sfumature alla quale i classici davano il nome di natura. I nostri paesaggi urbani e suburbani potranno sembrare, a qualcuno, senza cime e senza sorprese. Ma chi muova su quelle superfici uno sguardo acuto ed attento, robusto e discreto, scostando a poco a poco le apparenze, utilizzando volta a volta la loupe grandissante e la tenue ombreggiatura, alternando senza parere la pazienza inflessibile della esagerazione e la umana violenza della misura, tornerà a scoprire in quei paesaggi che crediamo monotoni la linea drammatica delle montagne, l'ombra profonda degli avvallamenti e delle depressioni, la traccia nascosta dei sentieri.
Con la stessa orribile e intricata profondità, le passioni di Fedra e di Berenice continuano a vivere, ancora oggi, persino nei cuori che sembrerebbero più grigi ed avviliti fra i detriti della realtà quotidiana. Forse l'abitante delle moderne villette di periferia : il fantoccio simbolico che abbiamo sin[...]

[...]assai meno a Virgilio e a Racine, che a Balzac e a Dostojevskij.
Non vorrei indulgere a dei dubbii giochi di prestigio, tirando fuori di nascosto, sotto il logoro e banale mantello dell'« uomo moderno », i nobili fantasmi di Virgilio e di Racine. E tantomeno vorrei ripetere una nuova e noiosa professione di classicismo. Sarebbe del resto una inutile resurrezione, perché il classicismo moderno — se questa parola ha ancora un significato — esiste già ed è ben vivo, sotto le insegne di Flaubert e di Cechov. Non é davvero il caso di riscoprire la « attualità » della Education sentimentale o de Il duello. O di ricordare che non esiste, nella narrativa moderna, una tradizione più completa e conseguente di questa, che si svolge con la fedeltà e la perfezione di un teorema, quasi dovesse assumere una funzione di simbolo, pressapoco come la pittura filava imperterrita la sua parte, necessaria fino allo spavento, da Cézanne a Mondrian.
In quel simbolo concentrato del mondo moderno che é la Francia dopo il 1848, quale é riflessa nella Education s[...]

[...]al loro posto, un enorme vuoto, una muta ossessione visiva; o corrodono appena le cose, scrostano la vernice di un muro, allungano un'ombra fredda sulle pareti. Nemmeno le cose esistono piú. Soltanto la loro astratta impronta geometrica, o la loro ombra, continua ad incidersi nello spazio, come la macchia irregolare che segna per sempre, sulla parete, l'impronta del grosso millepiedi schiacciato dal tovagliolo di Frank. Non si é molto lon
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tani dal tentativo di Joyce, nei racconti piú scarni ed impartecipi dei Dublinars. Di suo RobbeGrillet ci ha aggiunto specialmente l'abilità diabolica del congegno, e quella specie di folle ascetismo avanguardistico, per cui la poesia viene a coincidere interamente con le trovate tecniche, con le formule che si vengono man mano inventando. Ma quanto a fare di questa formula quella stessa della narrativa moderna, l'unica arte possibile in un mondo dove la psicologia sarebbe scomparsa, non é nemmeno il caso di parlarne. Sono quei discorsi che passano gli anni, la vita continua e mu[...]

[...]vo di Joyce, nei racconti piú scarni ed impartecipi dei Dublinars. Di suo RobbeGrillet ci ha aggiunto specialmente l'abilità diabolica del congegno, e quella specie di folle ascetismo avanguardistico, per cui la poesia viene a coincidere interamente con le trovate tecniche, con le formule che si vengono man mano inventando. Ma quanto a fare di questa formula quella stessa della narrativa moderna, l'unica arte possibile in un mondo dove la psicologia sarebbe scomparsa, non é nemmeno il caso di parlarne. Sono quei discorsi che passano gli anni, la vita continua e muta, l'avanguardia si copre di rughe, e uno si vergogna persino di averli non dico fatti ma pensati.
In un recente articolo, Italo Calvino, raccogliendo insieme alcuni sintomi e tendenze recentissime, vede la letteratura e l'arte di oggi sepolte sotto Il mare dell'oggettività. Non riesco per conto mio a condividere la sua tesi, che uno spartiacque senza rimedio divida le tendenze oggettivistiche dei RobbeGrillet e dei Pollock dall'arte, per cosí dire soggettivistica, della prima[...]

[...]e dinamico. Alla società letteraria consente di vivere, ma a patto che rimanga ai suoi servizi, e infiori di trovate i suoi brutali procedimenti.
Stiamo andando incontro ad una progressiva e violenta diminuzione, per non dire ad una scomparsa, degli uomini di cultura e dei letterati. Il moderno amante delle lettere, il curioso, il « lettore », come Valery Larbaud definiva se stesso, subirà forse le sconfitte più gravi. Molta della odierna ideologia é condannata al medesimo destino; o verrà, come dicevamo, fornita
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fisicamente dalla società stessa, secondo una specie di autoproduzione, alla quale, col tempo, le macchine elettroniche sapranno certamente bastare. Gli scrittori finiranno di esistere come scrittori, perdendo quella funzione politicosociale, tra di vati, interpreti del tempo ed utopisti, della quale li aveva investiti la società letteraria del Settecento e dell'Ottocento. Non c'è bisogno, a questo proposito, di avanzar profezie. Già oggi gli intellettuali come gruppo non contano piú nulla; ed é perfettamente inutile tentar di protestare o di ribellarsi contro questa evidente sentenza dei tempi.
Della prossima scomparsa della categoria sociale alla quale appartengo non riesco veramente a dolermi. Di fronte alle cose che stanno morendo il comportamento migliore e più morale rimane sempre, io credo, quello di aiutarle a morire. Questa scomparsa sembrerà dolorosa e penosa; certo brutale. Ma per tanti indugi, compiacenze, mezzi termini, luci indirette, che invece di aiutare intrigano e complicano la nostra vita, non vedo mot[...]

[...]i.
Della prossima scomparsa della categoria sociale alla quale appartengo non riesco veramente a dolermi. Di fronte alle cose che stanno morendo il comportamento migliore e più morale rimane sempre, io credo, quello di aiutarle a morire. Questa scomparsa sembrerà dolorosa e penosa; certo brutale. Ma per tanti indugi, compiacenze, mezzi termini, luci indirette, che invece di aiutare intrigano e complicano la nostra vita, non vedo motivi di nostalgia. Il lavoro di mediazione di una società letteraria sopravvissuta a se stessa non serve, ormai, più a nessuno. Fra la società letteraria, com'è oggi, e la futura stirpe di robot commercializzati che ne hanno ereditato o ne erediteranno i compiti sui giornali o nelle case editrici, forse i più morali sono proprio que sti ultimi. Sanno di obbedire solamente alle leggi della produzione. Di solito non ostentano intenzioni o presunzioni letterarie. Sappiamo finalmente con chi trattare. Il mondo industriale sarà quanta si vuole brutale e impaziente, ma ammette di essere quello che è e non pretende g[...]

[...] dai tempi: isolati e abbandonati come si sentivano, incapaci di stabilire rapporti con una società indifferente o nemica. E invece non avevano mai avuto a disposizione un così perfezionato, intrecciato e capillare sistema di relazioni con le cose. Una società letteraria raffinatissima badava a fornire
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motivi, tentando una prima elaborazione della vita, provvedendo ad assimilarla e a filtrarla; l'esistenza di una classe privilegiata in decadimento, di un côté de Guermantes, poteva rappresentare ancora un appiglio suggestivo; la nascita e lo sviluppo del proleletariato si prestava alla coscienza di una missione, o ad accrescere almeno la riserva di preziosismi letterari; persino la durezza delle condizioni di vita, l'atteggiamento orgoglioso di solitudine e di protesta — quanti elementi, quanti sostegni contribuirono a costituire agli scrittori dell'Ottocento un piedistallo invidiabile. I puristi del nostro secolo hanno obbiettato che proprio una simile abbondanza di miti e di mediazioni rese impura la loro poesia. Qualche volta sarà certamente accaduto così; anche se ha suscitato per contraccolpo, spesso nei medesimi scrittori, il più assoluto delirio di purezza. Si stabiliva comunque una rete ricchissima, fine, continua, di relazioni vitali.
Adrian Leverkühn, nel Doktor Faustus, poteva confidare nel demonio, sp[...]

[...]erando che vincesse con l'ironia e l'intelligenza diabolica la inibizione dell'artista moderno a produrre un'arte naturale ed ingenua. L'artista di oggi, di fronte al quale Levekühn sembra quasi un remoto antenato, non può credere nemmeno nel diavolo; e non ha ispirazioni e rimedii, non conosce droghe ed eccitazioni fuori di sé. Gli espedienti che il demonio di Mann aveva consigliato a Leverkühn sono entrati, uno per uno, a far parte della ideologia, la quale é per l'appunto ironica, intellettualistica ed ambigua, capace di orchestrare pastiches e mistificazioni quasi con la medesima sapienza con la quale Mann aveva trascritto, da uno spartito vuoto, la musica dell'Apocalypsis cum figuris. Ma é una sapienza convenzionale: prodotta in serie. Oggi il demonio non rende: continua come prima a richiedere l'anima, ma non ha nulla da concedere in cambio. Meno che mai l'ispirazione. In fondo é un povero tentatore, con la mentalità e i mezzi intellettuali di un agente letterario. Mentre il vero tentatore, il demonio salutare e benefico, colui che[...]

[...]a da concedere in cambio. Meno che mai l'ispirazione. In fondo é un povero tentatore, con la mentalità e i mezzi intellettuali di un agente letterario. Mentre il vero tentatore, il demonio salutare e benefico, colui che sa creare per fede o per ironia, è di nuovo il poeta con la sua sapienza ricca e complicata, che non ha bisogno di espedienti e di trovate, né di provocare l'odore di zolfo. Lo scrittore ha cominciato a riprendere e a rias
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sumere in sé la parte che per tanto tempo aveva gestito il demonio, tornando una figura completa ed intera, sanando la vecchia lacerazione romantica. Non vorrei affermare che questo processo sia ormai veramente compiuto. $ la società stessa, dal momento che ha ingoiato ed assimilato il diavolo, ad imporla ad ogni scrittore.
Mai la fatica degli scrittori è stata, come oggi, disumana e quasi impossibile. Ricoperta dai rottami convenzionali delle ideologie, la realtà sembra, a prima vista, senza rilievo, senza appigli, liscia, uniforme, tendenzialmente nemica di chi vuole esprimerl[...]

[...]elle mediazioni. Non hanno fretta, non attendono nulla dal futuro. Procedono con la calma, la delicatezza, la miracolosa attenzione che non si può non avere per un organismo naturale che cresce, matura e trova le proprie leggi, lentamente, in noi stessi.
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Codesta pazienza disumana il mondo aveva quasi dimenticato di chiederla agli uomini. Vivere nel proprio tempo come se fosse, semplicemente, il Tempo. Scrivere come se si fosse già morti. Meno che mai l'artista può oggi ricorrere alle sue doti di immediato osservatore, o giovarsi delle annotazioni di costume c delle lievi incisioni ironiche. Per restituire vita e profilo al mondo deve guardarlo con uno sguardo tosi distante, così assente, che provenga da lontananze così stellari (telescopico, diceva Proust), con un amore e un odio talmente violenti e completi ma disincarnati da sé, da renderlo in primo luogo inesistente. Forse soltanto da questa originaria ed immane inesistenza, il mondo moderno può tornare a ricevere l'intera ricchezza dei suoi significati.
PIETRO CIT[...]



da Natalia Ginzburg, Le piccole virtù in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]abita per mesi e mesi nella stanza dei nostri figli ed essi si abituano alla sua presenza; s'abituano al piacere di introdurre, giorno per giorno, il denaro nella fessura; s'abituano al denaro custodito là dentro, che là, nel segreto e nel buio, cresce come un seme nel grembo della terra; s'affezionano al denaro, dapprima con innocenza, come ci s'affeziona a tutte le cose che crescono grazie al nostro zelo, pianticelle o bestiole; e sempre vagheggiando quel costoso oggetto visto in una vetrina, e che sarà possibile comperare, come noi gli abbiamo detto, col denaro così risparmiato. Quando infine il salvadanaio viene infranto e il danaro speso, i ra
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gazzi si sentono soli e delusi: non c'è più il denaro nella stanza, custodito nel ventre della mela, e non c'è più nemmeno la rossa mela: c'è invece un oggetto a lungo vagheggiato in vetrina, e di cui noi gli abbiamo vantato l'importanza e il pregio: ma che ora, nella stanza, sembra grigio e disadorno, appassito dopo tanta attesa e dopo tanto denaro. Di questa delusione i ragazzi non incolperanno il denaro, ma l'oggetto stesso: perché il denaro perduto conserva, nella memoria, tutte le sue lusinghiere promesse. I ragazzi chiederanno un nuovo salvadanaio e nuovo denaro da custodire; e rivolgeranno al denaro dei pensieri e un'attenzione che è male gli siano rivolti. Preferiamo il denaro alle cose. Non è male che abbiano sofferto una delusione; è male che si sentano sol[...]

[...]e ed esiste pesantemente, acqua plumbea e stagnante che esala fermenti e odori. Presto i ragazzi avvertono la presenza in famiglia di questo denaro, potenza nascosta, di cui non si parla mai in termini chiari ma alla quale i genitori alludono, discorrendo fra loro, con nomi complicati e misteriosi, con una plumbea fissità negli occhi, con una piega amara sulle labbra; denaro che non è semplicemente riposto nel cassetto dello scrittoio, ma grandeggia chissà dove, e potrebbe da un momento all'altro essere risucchiato dalla terra, sparire senza rimedio per sempre. inghiottendo la famiglia e la casa. In simili famiglie, i ragazzi vengono di continuo ammoniti a spendere con parsimonia, ogni giorno la madre li invita all'attenzione e al risparmio, nel consegnargli pochi spiccioli per il tram; e c'è nello sguar
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do della madre quella plumbea preoccupazione, sulla sua fronte quella ruga profonda, che sempre vi appare quando entra in argomento il denaro; c'è l'oscuro spavento che tutto il denaro si dissolva nel nulla, e che[...]

[...]essuno un oggetto così di lusso, e che é costato tanto denaro. I richiami all'economia, in casa, sono perenni e insistenti: c'è l'ordine di comprare i libri di scuola usati, i quaderni allo Standard. Questo avviene in parte perché i ricchi spesso sono avari, e perché si credono poveri; ma soprattutto perché le madri, nelle famiglie ricche, piú o meno inconsapevolmente, hanno timore delle conseguenze del denaro e cercano di proteggerne i figli foggiandogli attorno una finzione di abitudini semplici, perfino avvezzandoli a piccole privazioni. Ma non c'é sbaglio peggiore che far vivere un ragazzo in una simile contraddizione: il denaro parla ovunque, nella casa, il suo linguaggio inconfondibile: é presente nelle porcellane, nelle mobilia, nella pesante argenteria, é presente nei comodi viaggi, nelle sfarzose villeggiature, nei saluti del portinaio, nelle cerimonie dei servi; è presente nei discorsi dei genitori, è la ruga sulla fronte del padre, la plumbea perplessità dello sguardo materno; il denaro ç ovunque, intoccabile perché forse spaventosamente fragile, è qualcosa su cui non é consentito scherzare, un funebre dio a cui non ci si può rivolgere che con un sussurro; e per onorare questo dio, per non molestare la sua luttuosa immobilità, bisogna portare il cappotto dell'anno prima diventato stretto, studiar la lezione su libri sfasciati e cenciosi, divertirsi con la bicicletta del contadino.
Se vogliam[...]

[...]i, essendo ricchi, ad abitudini semplici, dev'essere però ben chiaro che tutto il denaro risparmiato usando simili abitudini viene speso senza parsimonia per altra
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gente. Simili abitudini hanno un senso soltanto se non sono avarizia o timore, ma libera scelta, in mezzo alla ricchezza, della semplicità. Un ragazzo di famiglia ricca non impara la sobrietà perché gli si fanno portare dei vestiti vecchi, o perché gli si fanno mangiare a merenda delle mele verdi, o perché lo si priva d'una bicicletta che desidera da lungo tempo: quella sobrietà in mezzo alla ricchezza é una pura finzione, e le finzioni sono sempre diseducative. In questo modo imparerà soltanto l'avarizia e la paura del denaro. Privandolo d'una bicicletta che desidera e che potremmo comprargli, non faremo che frustrarlo d'una cosa legittima per un ragazzo, non faremo che render meno lieta la sua infanzia in nome d'un principio astratto, senza giustificazione nella realtà. E tacitamente verremo ad affermare di fronte a lui che il denaro é migliore d'una bic[...]

[...]iano delle soddisfazioni al nostro orgoglio. Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la barriera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta una offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle
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loro proteste contra i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d'un'ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni. In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello é un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e irrisorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, é necessario lasciargli intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d'essere continuamente incompresi e misconosciuti, e di esser vit[...]

[...]sticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio é in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti. Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati su un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell'energia e dell'ingegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito. Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell'insuc
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cesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidirne la limpidità e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mo[...]

[...] Esso può prendere diverse forme, e a volte un ragazzo svogliato, solitario e schivo non é senza amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato di attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos'è la vocazione d'un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita? Noi dobbiamo allora aspettare, accanto a lui, che la sua vocazione si svegli, e prenda corpo. Il suo atteggiamento può assomigliare a quello della talpa o della lucertola, che se ne sta immobile, fingendosi morta: ma in realtà fiuta e spia la traccia dell'insetto, sul quale si getterà con un balzo. Accanto a lui, ma in silenzio e un poco in disparte, noi dobbiamo aspettare lo scatto del suo spirito. Non dobbiamo pretendere nulla: non dobbiamo chiedere o sperare che sia un genio, un artista, un eroe o un santo; eppure dobbiamo essere disposti a tutto; la nostra attesa e la nostra pazienza deve contenere la possibilità del più alto e del più modesto destino.
Una vocazione, una passione ardente ed escl[...]

[...]al denaro, di essere libero di fronte al denaro: di non sentire, fra gli altri, né l'orgoglio della ricchezza né la sua vergogna. Egli non s'accorgerà neppure degli abiti che porta, dei costumi che lo circondano, e domani sarà capace di qualunque privazione, perché l'unica fame e l'unica sete
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sarà in lui la sua passione stessa, che avrà divorato tutto quanto é futile e provvisorio, l'avrà spogliato di ogni abitudine o atteggiamento contratto nell'infanzia, e regnerà sola sul suo spirito. Una vocazione é l'unica vera salute e ricchezza dell'uomo.
Quali possibilità abbiamo noi di svegliare e stimolare, nei nostri figli, la nascita e lo sviluppo d'una vocazione ? Non ne abbiamo molte: e tuttavia ne abbiamo forse qualcuna. La nascita e lo sviluppo d'una vocazione richiede spazio: spazio e silenzio: il libero silenzio dello spazio. Il rapporto che intercorre fra noi e i nostri figli, dev'essere uno scambio vivo di pensieri e di sentimenti e tuttavia deve comprendere anche profonde zone di silenzio; dev'essere un rappor[...]

[...]reale possibilità che abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l'amore alla vita genera amore alla vita.
NATALIA GINZBURG
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO
Non è che stessi male in casa mia con mia madre, fino a quattro mesi fa, quando ho dovuto andarmene. Spesso, nel piccolo appartamento di via Lanciani dove adesso vivo solo, la nostalgia mi prende; e insieme a mia madre e alla casa mi torna in mente anche mio padre, che pure é morto tanti anni fa. E l'immagine di lui che mi ritorna é sempre la stessa, e mi porta di tanto indietro nel.tempo: é mio padre che stappa champagne e brinda con gli occhi pieni di lacrime quando io ho appena vinto il concorso per la polizia. (Lui é seduto accanto a me sul divano del salotto, ha riempito le coppe, piange e mi stringe un poco il collo; mia madre è seduta in un angolo, taciturna, e mi guarda; Giuseppina, che si è tolta il grembiule e la crestina, è in piedi, é. commossa e non riesce a ber[...]

[...]ni di lacrime quando io ho appena vinto il concorso per la polizia. (Lui é seduto accanto a me sul divano del salotto, ha riempito le coppe, piange e mi stringe un poco il collo; mia madre è seduta in un angolo, taciturna, e mi guarda; Giuseppina, che si è tolta il grembiule e la crestina, è in piedi, é. commossa e non riesce a bere).
Tutto procedeva tranquillamente in casa con mia madre, fra i piatti succulenti che lei mi preparava e i romanzi gialli inglesi che mi compravo, le telefonate ai parenti del povero papà che avrebbero voluto abbracciarmi più spesso, e le serate che passavo nei cinema eleganti, gratis per i biglietti che mi mandavano.
Anche al commissariato dove lavoravo, che è lo stesso nel quale lavoro presentemente, mi trovavo bene; né mi mancavano le lodi dei superiori, i quali avevano capito che mi applicavo con diligenza e che non pensavo a granché d'altro. Qualche volta i sottufficiali zotici mi facevano arrabbiare, ma mi bastava fargli il viso duro per impaurirli: era brava gente.
Avrei potuto essere un uomo content[...]

[...]ia madre intraprendeva i
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discorsi matrimoniali, riuscivo a districarmi senza contraddirla: col farli cadere con garbo, o col fingere un appuntamento imminente, o una telefonata irrimandabile.
Ma questa diplomazia non mi giovò: mia madre cominciò ad invitare a casa una ragazza ogni settimana.
Si trattava di figlie di amici di famiglia, solitamente di origine meridionale. Erano quasi sempre brutte e senza vita, giacché mia madre aveva tagliato fuori tutte quelle che secondo lei s'erano buttate via. Alcune erano casalinghe protette con ostinazione, alcune altre studiavano all'università; ma la maggior parte era all'inizio di professioni liberali. Queste, si assomigliavano tutte. Se ne incontra sempre qualcuna, negli uffici statali e parastatali. Sono ragazze che appena toccano i vent'anni si mettono su un piede d'ambizione, forti della posizione del padre, che per solito é un alto funzionario o un magistrato. Sono costanti nell'attività e a loro modo battagliere, con cappotti colorati salgono scale di en[...]

[...]argomenti; ma finivo sempre, balbettando un po', col parlare di cinematografo. La ragazza trinciava qualche giudizio su questa o quella attrice; poi passava a parlare del suo lavoro, o a farmi domande sul mio, eventualmente sugli omicidi che avessi risolto. Io dicevo che il mio é un mestieraccio, che dovevo sempre sporcarmi con la gentaccia, e che per di più guadagnavo poco. Poi, se mia madre non tornava presto in salotto, con un pretesto mi rifugiavo nella mia stanza; e in questo caso rivedevo la ragazza un attimo nell'ingresso, per salutarla quando se ne andava. Se invece mia madre tornava prima del tempo minimo che dovevo rispettare, mi toccava ballare. Perché mia madre mi diceva « met
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ti un disco », e poi ordinava « suvvia, ballate ». Io ero impacciato, e spesso il mio corpo pesante sbagliava il ritmo; ma la ragazza m'incoraggiava. Qualche volta poggiava la sua guancia alla mia e mi si addossava. Mamma fingeva di non vedere.
La sera, poi, mi domandava le mie impressioni. Io tacevo, o rispondevo con rade parole, ad abbandonare l'argomento. Giuseppina origliava, nascosta dietro la porta.
In due anni saranno sfilate in casa mia trenta ragazze: alcune una sola volta, altre — quelle che mia madre riteneva le più idonee — più volte. Ma ad un certo punto la ribellione s'è fatta strada in me, e non sono riuscito a reprimerla: sicché vivevo nel timore continuo che la stizza crescente mi facesse esplodere contro mia madre. Il sangue, infatti, adess[...]

[...] me, e so pensare da solo alla mia vita » l'ho interrotto.
« La fregatura tua è stata quella di essere figlio unico » ha ribattuto. « Questo è il fatto ».
Ci siamo messi a strillare tutti e due. Non ho un ricordo preciso perché ero in preda all'agitazione, ma devo essere stato violento e forse anche volgare, perché ad un certo momento lo zio ha detto « quand'è così... », ed è andato in cucina da mia madre. Io mi sono messo a leggere un romanzo giallo, ma una nebbia davanti agli occhi mi ha impedito di capire.
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Poco dopo zio Alfonso è tornato da me. « Ti saluto » ha detto. « Ti dico una cosa soltanto: non dimenticare il tuo nome ».
L'ho accompagnato alla porta. Nel corridoio ha battuto l'ombrello in terra ad ogni passo. Per salutarmi mi ha abbracciato, e mi ha baciato sulle guance. Poi quando è stato sul pianerottolo si è voltato, mi ha puntato l'ombrello sul petto, a farmi male un poco, e m'ha detto « addio, degenere ». Mi ha sorriso a lungo. È andato per le scale lentamente, scarno, asciutto, col soprabito nero[...]

[...] implicavano l'amore; oppure mi raccontava delle ore che a quella cassa non le passavano mai; o dei soldi dello stipendio che le finivano subito; o delle manovre dei tanti. uomini maturi che le ronzavano intorno, e l'aspettavano per la strada quando per il turno finiva a mezzanotte. Io annuivo, sorridevo, qualche volta replicavo; era contento che fosse lei a parlare.
Finalmente una sera mi ha detto : « Ancora non mi ha invitato a fare una passeggiata »._
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« Possiamo farla stasera » ho risposto. « A che ora finisce qui? ». « Alle nove ».
« Allora l'aspetto di fuori ».
Ho telefonato a mia madre e le ho detto che avrei cenato fuori con un collega di Bari. « Come si chiama?» ha detto mia madre. Io ho finto di aver capito se avevo le chiavi, e ho detto « sì, le ho in tasca, sta' tranquilla ». Poi ho interrotto la comunicazione.
Mi sono messo a passeggiare per via Po e ho sentito molto freddo. Alle nove Wanda è uscita. Siamo subito saliti in macchina e mi sono diretto verso Ponte Milvio. Passato il ponte ho imboccato la Cassia, poi ho preso una strada che mena alla Flaminia e mi sono fermato in un anfratto. Durante il tragitto siamo stati in silenzio.
Appena ho spento il motore Wanda mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato. Io mi sono sentito avvampare in faccia, e ho cercato di ordinare le idee; ma Wanda mi ha costretto contro l'angolo dello schienale e mi ha baciato più forte, addossandomisi tutta e comprimendo con la sua faccia la mia n[...]

[...] stretto e mi ha baciato. Io mi sono sentito avvampare in faccia, e ho cercato di ordinare le idee; ma Wanda mi ha costretto contro l'angolo dello schienale e mi ha baciato più forte, addossandomisi tutta e comprimendo con la sua faccia la mia nuca contro il finestrino. Allora l'ho respinta fino a ricollocarla al suo posto, l'ho baciata anch'io con forza e l'ho toccata un po' dappertutto.
Poco dopo siamo andati in una trattoria della Cassia. Mangiando di lena i ravioli grassi, o giocando con le posate, Wanda mi ha detto che si sentiva tanto sola: il padre era morto, la madre s'era messa a vivere con un rigattiere, e lei viveva in una stanza ammobiliata. Adesso poi aveva perso anche il fidanzato, per la rissa. Costui, che si chiamava Lucio, sosteneva che lei s'era accorta di quei toccamenti e aveva lasciato correre. « Ho capito che donna sei » le aveva detto appena erano scesi dal tram, poco prima che lo arrestassero; le aveva dato due schiaffi e le aveva strillato « non ti voglio più vedere ». « Io invece non me n'ero accorta » ha conti[...]

[...]na erano scesi dal tram, poco prima che lo arrestassero; le aveva dato due schiaffi e le aveva strillato « non ti voglio più vedere ». « Io invece non me n'ero accorta » ha continuato Wanda; «credevo che quello non lo facesse apposta, il tram era pieno e stavamo stretti ». Lei gli voleva bene ma era stanca. Lui faceva una brutta vita e non dava affidamento: una condanna a tre mesi per un'altra rissa, una condanna a sei mesi per atti osceni in un giardino pubblico, un'assoluzione per insufficienza di prove in un processo per truffa. Faceva il commesso in un negozio di pezzi di ricambio per automobili.
L'ho interrotta per chiederle perché non avesse detto la veritá al maresciallo.
« Non riesco a volergli male dopo quattro anni, non me la sono sentita di andargli contro » ha risposto. Ha bevuto un po' di vino,
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e poi « ci credi che mi ha sverginata lui? » mi ha detto con malizia. Io ho notato che mi aveva dato del tu, mi sono tolto gli occhiali e le ho preso una mano. Non ho risposto alla domanda e ho chia[...]

[...]macchina, e Wanda era più che mai abbandonata per tutto il sedile, obliqua e distorta, il suo corpo da statua mi ha emozionato. Aveva la bocca piú rossa del solito, la lingua smagliante spesso si affacciava tra le labbra per inumidirle, i tratti del viso le si erano induriti. Le ho detto: « Scendiamo, allontaniamoci un po' ».
« Tu sei matto » ha ribattuto lei, fra incredula e canzonatoria. « Con questo tempo! ».
Siamo andati qualche volta a mangiare nelle trattorie fuori mano, una volta siamo andati a Rieti. Non siamo potuti andare nella sua stanza perché a Wanda non era permesso portarci uomini: mi aveva già detto, i primi giorni, che la padrona su quel punto era irremovibile. Io mi sforzavo di trovare soluzioni, ma le possibilità che mi passavano per la testa urtavano contro la necessità di salvaguardare la mia posizione: negli alberghi avrei dovuto esibire un documento, delle stanze che affittano clandestinamente diffidavo.
Sicché, un pomeriggio che mia madre doveva andare con Giuseppina a trovare una cugina ammalata, ho fatto venire Wanda a casa mia. Siamo andati subito nella mia stanza. Wanda diceva «ho freddo »; poi nel buttarmisi contro mi ha rotto una lente degli occhiali. Mi ha spaventat[...]

[...]uesta volta per offrirle una tazza di té in salotto con tutte le regole. Ho subito chiamato mia madre, e l'ho avvertita. Lei ha capito che si trattava di una donna che non mi sarebbe stato leggero presentarle, e anche che ne ero preso; mi ha detto: « Non disperderti, guarda che i cinquant'anni sono alle porte ».
Quando Wanda ha suonato_ Giuseppina é andata ad aprire, e l'ha fatta aspettare nell'ingresso. Io avevo il respiro affannato e tremavo, già da mezz'ora. Mia madre é andata subito, e mi ha gridato: « Nicola, c'è la tua camiciaia, o qualcosa del genere ». Wanda é scappata via. Io sono andato per le scale a chiamarla, ma lei non mi ha risposto. Allora per la prima volta nella mia vita ho ingiuriato mia madre. Le vene del collo mi si sono gonfiate, le parole grosse mi sono fluite in gran numero, anche una parola oscena mi é uscita. Mia madre ha pianto, e mi é sembrata pentita. Ma ad un tratto é corsa al telefono, e ha chiesto un'« urgentissima » con Napoli per parlare con zio Alfonso. Io le ho strappato di mano il microfono, e l'ho s[...]

[...]so. Io le ho strappato di mano il microfono, e l'ho sbattuto in terra proprio mentre lo zio rispondeva; dal pavimento losentivo che. strillava « pronto ». Poi ho pestato con rabbia il microfono che s'è frantumato, e la voce dello zio ha taciuto. Mia madre s'è messa a piangere più forte. Giuseppina é arrivata con la valeriana e s'è messa a piangere anche lei. Le ho strillato « vattene, serva scema », e lei è corsa di là. Poi mi sono messo a passeggiare per il corridoio. Frattanto s'era fatta notte, nessuno aveva acceso le luci, e il duplice pianto risuonava per tutta la casa. Ho pensato che la cosa migliore era uscire, prendere aria. Ma quando sono arrivato al portone ho capito che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar[...]

[...]renotato una stanza. Poi ho mandato un agente a casa a prendere la mia roba. Gli ho ordinato di portarmi le valigie ad un bar prossimo all'ufficio, per evitare che mia madre potesse strappargli il mio indirizzo. Alle nove sono andato in albergo. Quella sera non ho avuto voglia di vedere Wanda, e sono andato al cinema.
Nei giorni successivi ho continuato a vederla, ma non ho potuto portarla in albergo: anche a voler vincere la prevenzione, avevo già mostrato la mia tessera di funzionario quando c'ero andato, giacché non avevo altri documenti addosso.
Wanda è venuta spesso a prendermi in ufficio, in quei giorni. Una volta l'ho trovata che chiacchierava con Porzio, nell'anticamera. Lei era addossata al muro, Porzio le stava assai vicino e le parlava in una maniera ad un tempo ammiccante e languida, da corridoio di treno. Appena mi ha visto si é fatto serio e si é scostato.
Quelle visite mi seccavano, perché non mi pareva conveniente che in un commissariato venissero donne come Wanda a prendere i funzionari. Sicché un giorno l'ho pregata di non venire più; lei mi ha sorriso e mi ha detto « va bene ». [...]

[...]me diversi appartamenti ammobiliati, ma presto ho capito che era impossibile fare quelle ricerche con Wanda. Per la verità alcuni di questi appartamenti ci erano mostrati da vecchie oscene, altri da gente svergognata; ma i modi di Wanda m'irritavano. Faceva gesti da strada contro i portieri non solleciti nell'aprirci l'ascensore, difendeva il mio denaro strillando, trattando i proprietari con acredine, come se fossero stati senz'altro dei ladri. Già entrando atteggiava la faccia a sopportazione, a disgusto.
Così ho deciso di girare da solo; e finalmente ho trovato questo appartamentino di via Lanciani, tranquillo e ridente, che è composto da una camera da letto matrimoniale e da una stanza per il soggiorno. Wanda ha disdetto subito la stanza di via Famagosta; e quando ha portato la sua roba nell'appartamento ha pianto. Ha spiegato che quella per lei era una gioia nuova. Quando poi le ho detto che avrebbe fatto la donna di casa, e che poteva lasciare il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. Mi ha abbracciato a lungo appoggiandomisi, mi ha bagnato tutta[...]

[...]ino di via Lanciani, tranquillo e ridente, che è composto da una camera da letto matrimoniale e da una stanza per il soggiorno. Wanda ha disdetto subito la stanza di via Famagosta; e quando ha portato la sua roba nell'appartamento ha pianto. Ha spiegato che quella per lei era una gioia nuova. Quando poi le ho detto che avrebbe fatto la donna di casa, e che poteva lasciare il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. Mi ha abbracciato a lungo appoggiandomisi, mi ha bagnato tutta la faccia e mi ha appannato gli occhiali.
Mi sentivo adesso più libero e pieno, più affondato nella vita; mi pareva di esistere come una persona nuova. Quando la mattina mi alzavo Wanda dormiva ancora, Giuseppina era lontana ed io dovevo badarmi da me. Mi alzavo in una maniera svelta, quasi sportiva. Durante la toilette non pensavo; i particolari impiccianti del corso della vita non mi pungevano piú. Anche le parole che dicevo erano diverse, come se avessi buttato via tutto il vecchio repertorio. In ufficio ero allegro, e tutto dell'ambiente mi pareva accettabile:[...]

[...]to giorno si ballava in un locale prossimo alla Stazione del quale conosco il proprietario, e — inoltre — perché non volevo andare nei locali la notte. Siamo entrati nel dancing presto, insieme a quelli dell'orchestra. Siccome Wanda ballava con movenze insistite, mi sono limitato ad un tango.
Com'era diversa dalle ragazze che mía madre mi cacciava in casa! Si dondolava sulle sedie, si grattava dappertutto senza pudore, al telefono strillava. Mangiando sbatteva le labbra; un giorno le ho detto « fa' piano, mi sembri un cane », e lei ha riso.
Una volta mi ha detto che era nata alla Garbatella. Quando aveva dodici anni lavava le teste da un parrucchiere del Corso, e aveva imparato a fatica le strade del centro, in ispecie i vicoli la confondevano. Mi ha detto anche che allora c'erano gli Americani, e il Corso sembrava un campo di battaglia. Una sera un negro le aveva tirato le trecce con forza, aveva aspettato che piangesse ed era scappato. Il padre e la madre in quel periodo non si curavano affatto di lei. Il padre era disoccupato, e ven[...]

[...]ricani, e il Corso sembrava un campo di battaglia. Una sera un negro le aveva tirato le trecce con forza, aveva aspettato che piangesse ed era scappato. Il padre e la madre in quel periodo non si curavano affatto di lei. Il padre era disoccupato, e vendeva pane e sigarette al mercato nero di Tor di Nona; la madre procurava ragazze ai soldati stranieri, e trafficava nelle cucine dei campi militari. Sicché lei la sera si comprava qualche cosa e mangiava sola. Poi cadeva sul letto, abbattuta dalla stanchezza. La mattina, quando si alzava, il padre e la madre erano usciti; qualche volta non li vedeva per una settimana.
Spesso ci aiutavamo a farci la doccia, e lei mi vezzeggiava. Dopo di avermi asciugato mi cospargeva tutto il corpo di talco; « come ai bam
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bini » diceva. Quando non uscivamo, la sera mi sdraiavo sul divano del soggiorno, lei attendeva alla cucina o rassettava la stanza da letto (era molto meticolosa nel pulire e lucidare). Ogni tanto veniva a sedermi accanto, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove an[...]

[...] un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso al cinema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le pizze; ma talaltra volta mi guardava storto, chiaramente indignata per quella curiosità. Che non era, malsana, giacché quelle domande erano mosse da un sentimento di affetto, ed erano dirette ad inquadrarla, a capirla meglio.
Una volta prese lei l'iniziativa: come per scolpare Lucio, mi disse che non era stato lui a cominciarla all'amore; la scusassi, la sera della nostra prima uscita mi aveva detto una bugia. Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi dal passato mio. Ne risultava una grande libertà: sempre di più si dileguava la paura di vivere. Non avevo più il gusto affannato di scandagl[...]

[...]i, e me ne alimentassi per rabbonirmi. Adesso i racconti sereni che Wanda mi faceva, di stenti e di brutture, mi cancellavano ogni residuo di una giovinezza solitaria, e mi rendevano l'ansia passata accettabile come una cronaca.
Inoltre, se è vero che a sentirmi senza mia madre, così solo con Wanda di fronte alla vita, provavo qualche brivido di disperazione, tuttavia la voce di Wanda, o il suo lavarsi veloce, o il suo farsi scattare addosso le giarrettiere, o il suo girare discinta nello stesso spazio dove an
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ch'io vivevo, se appena vi badavo, mi ridavano subito la fede nella giornata, nella gente.
Ho continuato a giovarmi di questa vita; ed anche Wanda. Due mesi dopo l'inizio della convivenza, lei mi pareva parecchio mutata : aveva migliorato nell'educazione, nell'abbigliamento, s'era raffinata nel corpo, nel passo. Mi si sottometteva volentieri, e non c'erano screzi fra noi.
Ma abbiamo litigato una sera che Porzio è venuto a casa (avevo dovuto comunicare in ufficio il mio nuovo indirizzo). Era il g[...]

[...]intanto accavallato le gambe e le stava muovendo, in maniera che la veste le salisse. Mi sono messo gli occhiali per seguire bene la moina, e ho guardato Wanda malamente. Porzio, continuando a parlare con la voce fattaglisi adesso fessa, ha fatto una faccia tragica: cercava di non guardare le cosce di Wanda ma non ci riusciva. Io ho portato il discorso ad una conclusione, e l'ho congedato.
Subito dopo avergli chiuso dietro la porta, ho schiaffeggiato Wanda con violenza. Lei s'è riparata la faccia, e ha negato di aver voluto mostrare alcunché. « Troia » le ho detto. « Sarai sempre una troia ». Lei si è messa a piangere. Ho guardato le lacrime che le percorrevano la faccia, ho alzato di più la voce e l'ho ingiuriata ancora. Poi un pensiero preciso mi ha attraversato il cervello: « Col maresciallo... » ho detto, e le ho tirato un altro schiaffo. Lei ha minacciato di lasciarmi; ma poi s'è messa
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a piangere più forte, e mi ha chiesto perdono. Io ho taciuto. Lei mi è venuta vicino e mi ha voluto in fretta, sul divano.
Do[...]

[...]e aver insistito per trattenerlo, perché Porzio ha detto .« abbia pazienza, signora, la devo proprio salutare ». Detto « signora » mi ha guardato con timore evidente, forse simultaneo al pentimento di aver pronunziato la parola superflua; poi rapido ha collocato il microfono al suo posto. Io dovevo parlargli dei lavori murari da farsi, ma il sospetto mi ha assalito, e gli ho detto « vieni da me più tardi ».
Sono tornato nella mia stanza. L'atteggiamento di Porzio mi faceva certo che chi parlava al telefono con lui era mia madre, o era Wanda. Ho fatto spazio sul tavolo perché le carte non mi distraessero.
Una tresca di Porzio con Wanda era nell'ordine del possibile, ma mi sembrava poco probabile: Porzio, se scoperto, si sarebbe rovinato; Wanda avrebbe perso cose preziose, difficili per lei a raggiungersi al di fuori di me. Era più probabile che ci fosse mia madre, all'altro capo del filo. Forse si era messa in contatto con Porzio, e da lui si aspettava notizie sul mio conto, suggerimenti sul da farsi. (Porzio conosceva bene il mondo, e [...]

[...]e casuale e non logico: in ispecie quando dalle sue parole traspariva una sorta di scienza sofferta ed incisiva, o quando con garbo mi moderava nell'intransigenza, e mi pareva assai più adulto di me, nonostante i soli cinque anni che fra noi passavano). Si, era più probabile che la donna fosse mia madre; per quanto, se c'erano contatti fra lei e Porzio, era strano che lui il giorno prima si fosse tanto meravigliato di vedere Wanda vivere con me: giacché mia madre sapeva ormai di questa convivenza. Certo, Wan
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da aveva mostrato le cosce a Porzio con intenzione, quel giorno, e una telefonata non sarebbe stata poi tanto strana; ma era da stabilire, in questo caso, quale convenienza Wanda potesse trovare nella tresca: Porzio, sposato e con tre figli, non poteva offrirle niente; quindi bisognava ammettere che Wanda rischiasse tutto quanto per un capriccio. Ora, per quanto Porzio fosse prestante, aveva pur sempre quarantasette anni, e l'ipotesi si reggeva male. Perciò, forse era stata mia madre a parla[...]

[...] scuola interroga il ragazzo che giudica malvagio, e si sforza di essere imparziale, e magari gli alza il voto perché non si sospetti prevenzione.
In uno dei giorni successivi ho ricevuto in ufficio una lettera di mia madre. Riconoscendo sulla busta la sua calligrafia, ho pensato ad una possibile conferma dell'ipotesi del suo complotto con Porzio. Ma il tenore della lettera non era cos' liberatorio. Su un foglio abbondantemente bordato di nero (giacché frattanto sua cugina era morta) era scritto: «Quanti anni credi che possa vivere ancora tua madre? Lo sai come vivi? Pensa a tuo padre che é morto, e torna ». Non c'era firma.
Mi sono messo a pensare. Certo, regalando un po' di soldi a Wanda e tornando da mia madre, potevo liberarmi dall'impiccio che mi aveva fatto passare un'intera serata ad analizzare le mosse possibili di Porzio. Del resto, avevo ormai capito che quella specie di gioia continuata era stata da me decisa, piú che raggiunta. Era infatti bastata quella telefonata per farmi ricadere nel pozzo. Ma il ritorno avrebbe dovuto [...]

[...]a, ma sono riuscito a prendere l'uomo per la camicia, e l'ho scosso ripetutamente. Wanda s' alzata ed è scoppiata in pianto. Ho sbattuto l'uomo contro il muro, lo sopravanzavo di tutta la testa, lui aveva gli occhi languidi e non reagiva. II tonfo della sua testa che batteva contro la parete ha fatto disperato il pianto di Wanda. « È Lucio » è riuscita a dire. Poi s'è tirata i capelli. Ho lasciato la presa dell'uomo, ho tolto da una sedia la sua giacca e gliel'ho cacciata nelle mani. « Esci subito » ho balbettato. L'ho sospinto verso la porta e gli ho sferrato un calcio. Lui s'è voltato e m'ha guardato sott'occhi, per vedere se stessi per fargli più male. Aveva un profilo viscido, bruno. Sul pianerottolo gli ho dato un altro calcio, e una
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spinta. È stato per cadere a faccia avanti sugli scalini, ma ha ripreso equilibrio ed è scappato.
Sono tornato in casa avendo già deciso, nell'attimo in cui Lucio si riprendeva per fuggire, di spezzare a Wanda tutt'e due le braccia. Nel soggiorno una nebbia fitta mi ha offuscato la vista: vedevo Wanda come una lunga macchia scura. L'ho raggiunta. Si era rimessa il vestito e non piangeva piú. L'ho afferrata ai polsi. Lei s'è divincolata, s'è voltata e rapida ha aperto la finestra. Con uno strattone l'ho allontanata, e sono riuscito a chiudere la finestra prima che lei strillasse. Poi mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti d[...]

[...]ia scura. L'ho raggiunta. Si era rimessa il vestito e non piangeva piú. L'ho afferrata ai polsi. Lei s'è divincolata, s'è voltata e rapida ha aperto la finestra. Con uno strattone l'ho allontanata, e sono riuscito a chiudere la finestra prima che lei strillasse. Poi mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti dò un quarto d'ora di tempo per farti la valigia e andartene ». Poi sono uscito.
Con un tassi ho raggiunto l'ufficio. Ne ho guardato le finestre, ma nessuno vi era affacciato. Ho preso la mia macchina e sono andato poco lontano, in una strada solitaria. Mi sono fermato all'ombra di un albero. Il cervello era come coperto dall'ovatta: la grande tensione partiva dal corpo, a lunghe linee, e si propagava per tutta la strada. La concatenazione possibile dei fatti mi pareva di averla nello stomaco. Mia madre aveva fatto sorvegliare Wanda e la casa, era chiaro. Era sapiente, lei. S'era informata su Wanda e aveva dedotto che non avrebbe potuto no[...]

[...]bravo. Così, tutti mi avevano giocato poche settimane dopo la mia ribellione. La ribellione non mi era congeniale. Non aveva senso dire « mi sono mosso tardi ». Per le mie mosse doveva essere così: o troppo tardi o troppo presto, sempre. Ho sputato nella strada. Poi sono sceso dalla macchina, e ho raggiunto il bar più vicino. Ho bevuto un aperitivo, e subito dopo un cognac. Ho telefonato a casa mia, ma non mi ha risposto nessuno. Wanda aveva sloggiato, oppure preferiva non rispondere. Sono tornato alla macchina, e ho fatto un paio di giri in quei pressi. Se quelli della questura centrale fossero venuti a conoscenza del fatto, lo avrebbero deformato, ingigantito.
Sono andato in un restaurant di via Frattina. Alla frutta il cameriere, che mi conosceva, mi ha chiesto se potevo interessarmi presso la prefettura per il ricovero di un bambino suo nipote. Gli ho detto di si, e lui mi ha dato un foglio con gli estremi. Poi sono uscito, e sono andato in ufficio.
Non ho trovato nessuno. Mi sono addormentato al mio tavolo, con la testa fra le bra[...]

[...]... Due volte ho aspettato a vuoto, e stamattina... ».
« E stamattina hai avvertito mia madre... Quando hai visto salire quel giovanotto, le hai telefonato ».
« Sissignore, secondo gli accordi ». S'è inchinato e ha fatto per andarsene.
« Aspetta un momento » l'ho fermato. « Lo sai com'è finita la cosa? ».
« Lo immagino... Ho visto prima uscire quel giovinastro, conciato male... Poi lei, e poi la signorina, che è salita su un tassi con la valigia ».
« E ti rendi conto di quello che hai fatto?... Quel giovanotto può andare a dire... ».
« Non si preoccupi... Quello lo schiaccio come un verme quando voglio... Dottore, mi prendo io tutta la responsabilità... Non volevo, ho resistito per tanti giorni... Poi sa com'è quando le vecchie piangono... Oh, scusi, volevo dire le signore anziane... Sua madre ha insistito, ha parlato con mia moglie... Ci ha invitati anche a pranzo, una volta... C'era un suo parente di Napoli.. ».
«Zio Alfonso » l'ho interrotto.
« Il nome non lo so... Era un signore distinto, magro; un fratello di suo padre, mi p[...]

[...]nvitati anche a pranzo, una volta... C'era un suo parente di Napoli.. ».
«Zio Alfonso » l'ho interrotto.
« Il nome non lo so... Era un signore distinto, magro; un fratello di suo padre, mi pare... Il piano l'ha fatto lui ».
« Quindi mia madre ti telefonava spesso, qui ».
« Sissignore ».
« E la signorina, non ti ha telefonato mai? ».
«No... Ma scusi, perché mi avrebbe dovuto telefonare? ».
È un mese che vivo solo. Non ne ho motivi fondati, giacché sono certo che se tornassi a casa mia madre verrebbe ormai a patti: la persuaderei a non ostinarsi a volermi vedere sposato. In più, questa condizione di scapolo solitario mi pare ingiustificata, per qualche verso eccessiva.
430 RAFFAELE CRIVARO
Qualche volta mi prende un'ansia carezzevole di tornare da mia madre (che non mi ha più cercato), di ricomparire di sorpresa davanti a Giuseppina. Ma poi succede che debbo correre in ufficio, o che ho sonno, o che debbo lamentarmi con la serva perché le camicie sono stirate male.
Adesso, mi trattengo in ufficio più del solito e cerco di allarga[...]

[...]esso, mi trattengo in ufficio più del solito e cerco di allargare i miei interessi, perché se ne giovi la carriera. Pare che nessuno sia venuto a conoscenza dei miei casi, e questo è assai importante. Con Porzio, corrono i rapporti di sempre; sebbene, una tal quale maggiore rigidità, da parte mia, stia agevolando lo svolgimento del lavoro.
La sera, vado spesso al cinema. Se non esco, mi faccio cocktails di frutta col frullatore, e leggo romanzi gialli. Ho anche comprato un fonografo, e alcuni dischi di canzoni. Ogni tanto li ascolto, mi prende uno struggimento breve e penso a Wanda, che fa all'amore chissà con chi.
RAFFAELE CRIVARO



da Vittorio Lanternari, Discorso sul messianismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]ra di un futuro salvatore, non nasce dal nulla, né é frutto d'improvvisa, miracolosa intuizione ad opera di questo o quel profeta: esso bensì rivela radici profonde e lontane, che affondano certamente fino allo strato mosaico, e assai presumibilmente piú indietro: poiché lo stesso Mosaismo é sintesi nuova, (1) di elementi in gran parte piú antichi. Comunque, i profeti ebraici posteriori, a lor volta si riallacciano ad un tema d'attesa messianica già contenuto nell'arcaico messaggio mosaico (Deut. XVIII, 1522), rielaborandolo in forme adatte alle nuove esigenze di liberazione: o che il messia si denomini « Servo di Dio » (Isaia, XXXV, XLII), « Signore di giustizia » (Geremia, XXIII, 58), o « Figlio dell'uomo » (Ezechiele, XX, 33, 42, XXXIII), o « Capo dell'esercito » (Daniele, IX, 2327), ecc.
Come ipotesi di lavoro ci sembra dunque che per « messia » debba intendersi ogni ente — singolare o plurale, piú o meno antropomorfo — atteso da una collettività, nel quadro della vita religiosa, come futuro apportatore di salvezza.
Ora, nel quadro[...]

[...]XXIII, 58), o « Figlio dell'uomo » (Ezechiele, XX, 33, 42, XXXIII), o « Capo dell'esercito » (Daniele, IX, 2327), ecc.
Come ipotesi di lavoro ci sembra dunque che per « messia » debba intendersi ogni ente — singolare o plurale, piú o meno antropomorfo — atteso da una collettività, nel quadro della vita religiosa, come futuro apportatore di salvezza.
Ora, nel quadro generale della storia religiosa, ci pare legittimo porre il problema, se l'atteggiamento messianico sia connaturato, peculiare, esclusivo del filone giudaicocristianoislamico (in ordine: Mosé e profeti, Apocalisse, Mahdismo): o se esso piuttosto trovi corrispondenza in religioni eterogenee d'ambiente primitivo, indipendentemente da influenze occidentali.
Già un altro grande filone messianico ricorre nel campo di certe religioni storiche fra le maggiormente progredite, Zoroastri
(:) Per il Mosaismo, come sintesi religiosa di componenti arcaiche, d'origine in parte pastorale e in parte agricola, v. LANTERNARI, La grande festa, Milano, 1959, pp. 44851.
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smo e Buddismo. Nel Zoroastrismo si attendeva la venuta del Saosyant, futuro Salvatore, per la decisiva lotta contro il dio del male Angramaniu e il finale trionfo del bene. Da questa concezione, intrecciata con le teorie indoiraniche del progressivo corrompimento degli [...]

[...]raico dell'esilio, Cristianesimo: e che tali movimenti sorsero a volta a volta in ottemperanza di bisogni reali di rinnovamento e catarsi, per effetto di uno stato di oppressione, angoscia, conflitto a livello collettivo e sociale (3).
Ma converrà meglio, per avvicinarci al problema di fondo, chiederci ancora: quali sono le forme concrete, fuori dalle « grandi religioni storiche », in cui si manifesta un corrispondente, o almeno embrionale atteggiamento messianico; e ancora: su quale terreno culturalesociale il messianismo alligna in misura tanto evidente da costituire veri e propri movimenti di attesa di salvezza?
Sarà bene brevemente riandare, in proposito, ad uno dei più
(2) E. ABEGG, Der Messiasglarnben ìn Indien und Iran, BerlinLeipzig 1928.
(3) Per quanto riguarda la nascita del Zoroastrismo in rapporto al conflitto di due correnti culturali eterogenee e contrapposte, cfr. il mio volume La grande festa, Milano, 1959, p. 448. Quanto alla nascita del Buddismo e del Cristianesimo in rapporto al conflitto fra sacerdotalismostatalis[...]

[...]e struttura nelle differenti ed eterogenee componenti storicoreligiose, identificare gli elementi della tradizione arcaica che vi sono conservati, quelli acquisiti dalle religioni superiori (Cristianesimo), e infine il significato, la funzione della nuova sintesi religiosa in ciascuno effettuata.
In relazione a quest'ultima esigenza, sarà importante stabilire il preciso rapporto esistente fra il messianismo in quanto fenomeno storico e la mitologia precristiana tradizione. Generalmente i profeti annunciano l'avvento o il ritorno di alcuni esseri mitici, che si configurano come i demiurghi dell'auspicato rinnovamento del mondo. L'avvento o il ritorno messianico di tali figure si presenta come sviluppo e rielaborazione di altrettanti temi mitici tradizio
(4) II materiale utilizzato in questo saggio, tranne nei casi differentemente indicati. è desunto dal mio volume.
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nali. Vediamo dunque, in primo luogo, di delineare in sintesi i principali di questi temi nelle rispettive rielaborazioni moderne.
Uno dei temi[...]

[...] é inteso come rifondazione del medesimo, ed esso finisce con il costituire un'unica esperienza religiosa con quella delle origini mitiche.
Il tempo dell'escaton e del rinnovamento viene a identificarsi con l'età delle origini. Tale identificazione caratterizza generalmente tutti i movimenti sincretistici di salvezza. Se ne hanno molteplici, convergenti manifestazioni.
I bianchi stessi sono identificati con gli eroi culturali dell'antica mitologia. P. es. nelle isole Banks, quando sbarcò il vescovo Patteson per la sua missione evangelica, egli ed i suoi compagni di spedizione furono identificati con Qat, l'eroe trickster tradizionale, e i di lui fratelli: dei quali il mito annunciava un futuro ritorno (6). Gli Europei sono sovente identificati con i morti che tornano. È questo il tema dominante dei numerosissimi CargoCults melanesiani: il viaggio marino dei morti, proprio dell'escatologia tradizionale, si fonde in un'unica esperienza con il viaggio dei bianchi giunti per mare da Occidente. Ed i morti fungono, a loro modo, da restauratori e demiurghi della palingenesi cosmica. In un caso differente, fra gli Indiani delle praterie, il nuovo profeta annunciatore del rinnovamento del mondo fu identificato — egli in
(5) G. J. HELD, The Papuas of Waropen, The Hague 1957, pp. 3201.
(6) R. H. CODRINGTON, The Melanesians, rist. 1957, New Haven, pp. 1667. Per i summenzionati movimenti Koren, e brasiliani, cfr. LANTERNARI, Movimenti religiosi di libertà e di salvezza, op. cit., pp. 184[...]

[...]va John Rave (9).
Dunque, nei movimenti sincretistici ii mito dell'eroe culturale si rinnova caso per caso in guise variabili: l'eroe fondatore ritorna fra gli uomini come rinnovatore del mondo (= messia, salvatore); ovvero sono gli uomini che si danno a perseguire le tracce dell'eroe culturale migrando verso il suo mitico paese_ ; infine l'eroe culturale rivive nella visione ispirata del profeta.
È stato detto da alcuni (Bastide) che la mitologia dell'eroe
(7) Sui miti di Nanabhozo, cfr. Handbook of American Indians, part 2, New York 1959, pp. 1922.
(8) J. J. WILLIAMS, Africa's God, 1X, South Africa, Chestnut Hill 1938, p. 307.
(9) Per il mito di Hare, primo uomo, eroe culturale, fondatore dell'ordine cosmico. cfr. P. RA0IN, The of life and death, New York, 1953, pp. 3019, 3234, passim. Per la visione di John Rave, cfr. Radin, Eranos Jahrbuch 18. 1950, pp. 24990. Per il movimento del profeta Nörame, cfr. LANTERNARI, Movimenti religiosi di libertà e di salvezza, cit., pp. 1702.
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culturale non é solamente[...]

[...]1950, pp. 24990. Per il movimento del profeta Nörame, cfr. LANTERNARI, Movimenti religiosi di libertà e di salvezza, cit., pp. 1702.
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culturale non é solamente importante, ma addirittura insostituibile e insomma é una conditio sine qua non per la genesi degli stessi movimenti profetici. Secondo il Bastide l'assenza di profetismi fra
i negri brasiliani si giustificherebbe appunto con la mancanza di una adeguata mitologia di eroi culturali (10). In realtà, ogni movimento profetico, pur riallacciandosi a miti tradizionali, rielabora nei modi più vari e imprevedibili quei miti stessi, rinnovandoli, trasformandoli nel contenuto e nella funzione — in vista di nuove esigenze religiose —, fuori di ogni rigido schema. Si ha una grande varietà di casi, di combinazioni, di sincretismi, nelle rielaborazioni moderne del mitico eroe culturale: quest'ultimo può essere identificato coi bianchi, col profeta indigeno, con Gesù. Egli può tornare fra gli uomini, oppure possono gli uomini muoversi verso lui. Può trattarsi di un [...]

[...]tentrionale. Ivi egli avrebbe dovuto permanere, senza porre piede di nuovo in terra: quando egli fosse tornato fra gli uomini, una repentina conflagrazione avrebbe consumato e distrutto il mondo intero (13). Abbiamo detto testé, che Nanabhozo veniva identificato col profeta Tenkswatawa. Il mito apocalittico originario pagano si rielaborava e si maturava in un moderno mito di rinnovamento.
Ma gli eroi mitici o storici che nei movimenti profetici giavanesi rivissero reduci da un regno oltremondano, non erano destinati originariamente a rinascere. Dunque ogni volta che una rielaborazione recente annuncia il ritorno di eroi di cui il mito originario denunciava semplicemente la scomparsa o la morte, si attua uno svolgimento nuovo e spontaneo di un tema embrionale proprio della tradizione. Il messianismo moderno può si sviluppare eventuali germi più antichi di una religione di attesa e salvezza: ma esso é un prodotto nuovo, inconfondibile. Il messianismo moderno risponde, con la sua attesa di rinnovamento globale, una tantum, ad una irrepetib[...]

[...] e salvezza: ma esso é un prodotto nuovo, inconfondibile. Il messianismo moderno risponde, con la sua attesa di rinnovamento globale, una tantum, ad una irrepetibile situazione di rischio: l'urto coi bianchi con le sue drastiche conseguenze.
Le identificazioni operate nei messianismi moderni sono varie nei modi: i sincretismi sono pur essi vari, eterogenei, spontanei. Inoltre, numerose altre figure o enti mitici, oltre all'eroe culturale, primeggiano nelle nuove formazioni profetiche. I protagonisti del ritorno alle origini e i demiurghi del rinnovamento messianico possono di gran lunga variare.
(12) P. LOUPIAS, « Anthropos » 3, pp. 912: cit., in E. ANDERSSON, Messianic popular movements in the Lower Congo, Uppsala 1958, p. 262.
(13) Handbook of Amer. Indians, loc. cit., p. 21.
DISCORSO SUL MESSIANISMO 21
Frequenti nelle mitologie dei popoli a livello etnologico, sono le figure di esseri supremi. L'essere supremo é fra i modelli mitici più frequentemente riplasmati nelle nuove formazioni profetiche. Seconda innumerevoli reinterpreta[...]

[...]to dell'arrivo dei bianchi, si atten
(14) C. M. DOKE, The Lambas of Northern Rhodesia, London, 1931, pp. 301, 226.
(15) H. VON SICARD, Ngoma Lungundu, Uppsala, 1952, p. 132.
(16) SICARD, op. cit., pp. 567.
(17) R. H. NASSAU, Fetishism in west Africa, London, 1904, p. 41.
22 VITTORIO LANTERNARI
deva che essi facessero ritorno alla terra nativa, e con loro sarebbero tornati tutti i morti, apportatori dell'età di beatitudine (18). Nella mitologia delle Hawaji si narra che Lono, divinità dell'agricoltura, dopo aver fondato la festa Matahiki (il Capodanno), parti per mare su una canoa e scomparve, promettendo tuttavia che sarebbe tornato per portare prodotti e ricchezze agli indigeni. La stessa festa annua Matahiki ricelebra, col rito della « canoa di Lono », la dipartita del dio, di cui si attende successivamente il ritorno (19).
Come si vede, la mitologia tradizionale dei popoli incolti contiene, avanti al contatto coi bianchi, il tema del ritorno di esseri supremi, divinità, eroi culturali e altri enti mitici previamente scomparsi. Nell'urto culturale seguito all'avvento dei bianchi questo tema ben si prestava, nelle varie sue formulazioni, a venire riplasmato come espressione delle nuove esperienze ed esigenze messianiche indotte dall'urto stesso. Un esempio di questo processo di riplasmazione religiosa ci sembra significativo, anche al di fuori di veri e propri movimenti profetici. Fra i Babemba (Rhodesia sett.) v'è un essere supremo, Lesa [...]

[...]culturale scompar
(21) J. MOONEY, Ann. Rep. Bur. Amer. Ethn. 1896, pp. 7014.
24 VITTORIO LANTERNARI
so, e dell'essere supremo che torna fra gli uomini agiscono come altrettanti germi originali del messianismo moderno fra i popoli incolti. Anche gli spiriti dei morti, nel quadro delle nuove formazioni profetiche, rivestono la funzione di rigeneratori del mondo, e a loro modo di messia e salvatori, seppure in maniera meno personale che nei casi già sopra elencati. Infatti essi agiscono collettivamente e in modo anonimo. L'attesa dei morti che tornano, nei movimenti profetici, é sperimentata come attesa di una palingenesi cosmica. Il ritorno collettivo dei morti, corredo tradizionale della religione indigena, assume un ruolo equivalente a quello del messia individuale, ed é veicolo fra i più significativi e frequenti del nuovo sincretismo messianico. E' eloquente, fra gli altri, il caso degli Indiani delle praterie seguaci della Ghost Dance e dei Californiani Pomo, Wintun, Achomawi seguaci del culto della Casa Sotterranea. Verso il 1870 [...]

[...]a Ghost Dance e dei Californiani Pomo, Wintun, Achomawi seguaci del culto della Casa Sotterranea. Verso il 1870 masse di proseliti si mossero in cammino verso una direzione assegnata dal mito, caso per caso variabile secondo i miti locali, da cui si attendeva, conformemente all'annuncio profetico, che i morti tornassero (22). Il caso equivale a quello delle migrazioni dei Tupiguarani verso la sede dell'eroe culturale. Nei CargoCults melanesiani, già menzionati, più volte
i nativi cosparsero di vessilli le spiagge e apprestarono idonei sentieri per gli spiriti, in attesa dei morti che col loro vascello avrebbero sbarcato nell'isola infinite ricchezze. A volte addirittura eressero speciali aeroporti, per accogliere i morti che sarebbero scesi dagli aeroplani messianicamente attesi (23). L'intero complesso del Cargo Cult si fonda proprio sull'attesa di un imminente rovesciamento delle condizioni attuali del vivere, di una rinascita del mondo indotta dai morti apportatori di merci e ricchezze. L'attesa dei morti come rinnovatori del mondo é[...]

[...]ra i tratti più diffusi dei culti profetici anche d'Africa e America: dal Kimbangismo (Congo) alla Ghost Dance, ecc. I morti, più e oltre che autori della catastrofe cosmica, sono parte attiva nel processo di palingenesi. Essi volta a volta apporteranno infatti merci e ricchezze, riporteranno i
(22) C. Du Bars, The Ghost Dance of 1870, Univ. Calif. Records, 311939, p. 13.
(23) LANTERNARI, op. ct., cap. IV.
DISCORSO SUL MESSIANISMO 25
bisonti già distrutti (Ghost Dance), attueranno l'era di libertà e di salvezza, e porranno fine alla situazione di rischio dal cui emergere i movimenti stessi sono stati promossi. Ciò che qui interessa notare è che il germe degli sviluppi messianici assunti dalla religione dei morti entro i culti profetici, già esisteva nella tradizione precristiana. I morti hanno in generale, nelle religioni tradizionali « primitive », una funzione ambivalente, poiché essi sono apportatori di bene e di male; e ciò in rapporto al più o meno scrupoloso adempimento degli obblighi rituali loro dovuti. L'attesa dei morti che tornano è uno dei lineamenti essenziali di cerimonie religiose tradizionali, soprattutto della festa di Capodanno (fra popoli coltivatori). e dei riti iniziatici (24). La stessa mitologia tradizionale indica i morti come fondatori della civiltà e di feste (25). L'attesa per il ritorno dei morti è du[...]

[...]tiana. I morti hanno in generale, nelle religioni tradizionali « primitive », una funzione ambivalente, poiché essi sono apportatori di bene e di male; e ciò in rapporto al più o meno scrupoloso adempimento degli obblighi rituali loro dovuti. L'attesa dei morti che tornano è uno dei lineamenti essenziali di cerimonie religiose tradizionali, soprattutto della festa di Capodanno (fra popoli coltivatori). e dei riti iniziatici (24). La stessa mitologia tradizionale indica i morti come fondatori della civiltà e di feste (25). L'attesa per il ritorno dei morti è dunque un elemento di religione messianica, alla stregua del ritorno dell'eroe culturale o dell'essere supremo. Insomma, non si può limitare la possibilità di formazioni messianiche alla presenza di un certo, unico tema mitico come l'eroe culturale.
Germi di messianismo pagano si ritrovano nell'eroe culturale, nell'essere supremo, negli spiriti dei morti: ma solamente la situazione di crisi che nei nuovi culti trova espressione e riscatto, doveva fornire a tali germi un ampio e auton[...]

[...]oè il ripristino d'una determinata condizione storica antica, attualmente scaduta. Senza attendere l'avvento di enti mitici quali che siano, si attende il ritorno di un'epoca storica lontana nel tempo e nell'esperienza collettiva, mitizzata e proiettata nell'immediato futuro. Essa costituirà l'epoca paradisiaca della liberazione e della salvezza.
Fra le altre manifestazioni di questo genere v'è il recente movimento di Ras Tafari, tra i Negri di Giamaica. Il suo nucleo profetico si fonda sull'attesa di un « ritorno » in massa dei Negri in Africa, cioè alla lontana terra d'origine onde secoli avanti i propri antenati furono strappati dai negrieri europei. Ras Tafari, negus d'Etiopia, è mitizzato come eroe liberatore, difensore esemplare dell'indipendenza negra contro l'oppressione dei bianchi. Ras Tafari sarà, secondo i tafaristi, l'autore della liberazione e fondatore dell'era messianicamente attesa dai Negri. Come si vede, l'idea messianica di un « ritorno all'Africa » si fonda su esperienze storiche concrete, benché a loro volta pur es[...]

[...]h'essi ritornino in terra, apportatori dell'ambita salvezza, redentori dei mali. Tale è il caso di André Matsua, capo rivoluzionario congolese: il quale precisamente dopo che fu morto divenne esponente mitico di una millenaristica attesa. E' anche il caso dell'eroe nazionale dell'indipendenza di Haiti, Macandal: il cui spirito secondo le credenze popolari si sarebbe salvato dalle fiamme del rogo sul quale venne arso vivo. Nei movimenti profetici giavanesi si attendeva messianicamente il ritorno del « Principe Giusto » (Ratu adil); mentre fino ad epoca recentissima (sec. XX) è rimasta popolarmente diffusa fra gli Indonesiani l'attesa per il ritorno dell'eroe giavanese, principe Diponegoro (29). Anche Alexander Bedward, fondatore del Bedwardismo a Giamaica (1920), è un altro esponente di questa « religione del ritorno » fondata sulla mitica attesa di personaggi reali. Egli stesso infatti dava l'annuncio di una sua prossima ascesa in cielo, e di un successivo ritorno come redentore dei Negri. Nella religione popolare brasiliana moderna si ha il caso del profeta Joao Maria e di Padre Cicero: di costoro, i quali fondarono i movimenti profetici già menzionati, si attende tuttora vivamente il ritorno: essi ripristineranno il regno di pace e giustizia. Anche il grande filone dei movimenti mahdisti, in Africa ed Asia, esprime con periodicità ricorrente l'identica attesa di un ripristino di condizioni più antiche. In generale, lo stesso Cristo Negro così diffuso nelle religioni profetiche dell'Africa nera, rappresenta la reincarnazione messianica, proiettata in futuro,
(29) Op. cit., Cap. VI.
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di altrettante, attuali figure di profeti nativi, dei quali si attende dunque il ritorno come liberatori. Alla morte di[...]

[...]torno » si articola dunque intorno a due poli dialetticamente congiunti: mito e storia. La storia si trasfonde nel mito; il mito dà senso alla storia.
Retrospettivamente la religione del ritorno reinterpreta i miti delle origini. D'altra parte essa prospetticamente proietta verso il futuro il ritorno alle origini, come realizzazione dell'escaton o rinnovamento del mondo. I vari programmi di libertà e di salvezza enunciati dai singoli profeti poggiano indubbiamente sul modello del mito, e si configurano come un ritorno alle origini. Ma nella realtà concreta, la nascita del messianismo stesso, e insomma del mitico « ritorno alle origini » é determinata da fattori di civiltà e di ambiente, dall'urto culturale, sociale, politico, con potenze o istituzioni oppressive.
Quale è il significato funzionale e storico di questa « religione del ritorno » ?
Il ritorno alle origini é la denuncia di un bisogno di evadere dalla situazione presente, che è in ogni caso una situazione di rischio e crisi. Fatto sta che, sul piano religioso, l'abolizione d[...]

[...]nel futuro escatologico, risulta mitizzata l'evasione da un presente penoso. E in tali forme mitiche si esprime un programma religioso di riordinamento del mondo secondo principi soddisfacenti.
In effetti, il programma dei movimenti profetici è sempre un programma rivoluzionario, rinnovatore e riformatore: insomma un programma anticosmico, o volto contro l'ordine stabilito. Ma esso non esprime un bisogno puramente mistico, n6 una semplice nostalgia di epoche mitiche e di condizioni trascorse (33). V'è una dinamica storica, nei movimenti profetici, che non va dimenticata. Tale dinamica è volta energicamente al futuro. I modelli dell'età delle origini e della perfezione, proposti nei miti messianici, in tanto hanno valore, in quanto essi costituiscono altrettanti programmi di trasformazione: in quanto possono alimentare speranze di rinnovamento, e anzi rappresentano essi stessi l'inizio della rinascita. In definitiva, ciò che più conta nei movimenti profetici, al di là e contro il loro conservatorismo apparente, é l'avvio, che in essi si [...]

[...]mi di trasformazione: in quanto possono alimentare speranze di rinnovamento, e anzi rappresentano essi stessi l'inizio della rinascita. In definitiva, ciò che più conta nei movimenti profetici, al di là e contro il loro conservatorismo apparente, é l'avvio, che in essi si pone, al rinnovamento della vita religiosa, ed anche culturale, socia
(33) Mircea Eliade, il grande storico delle religioni, è fautore di un'interpretazione del tutto misticheggiante e conservatrice, di tali movimenti religiosi. Secondo l'E. la reintegrazione dello stato paradisiaco, che si esprime nei movimenti messianici (e così pure ugualmente nelle cerimonie religiose tradizionali, feste di Capodanno, Iniziazioni) ha un senso ed una funzione assolutamene autonoma; anzi essa darebbe senso all'intera storia, anche politica, delle civiltà religiose. Nei culti messianici, l'uomo agirebbe, secondo l'E., conformemente a un bisogno interiore di coerenza rispetto al cosmo, e non sotto la stretta di prementi esigenze esistenziali (M. ELIADE, Dimensions religieuses du renouv[...]

[...]enomenologica » — sui movimenti profetici a livello etnologico, sui loro miti millenaristici, sull'attesa di salvezza e sul bisogno di rigenerazione che in essi si esprimono, vale indubbiamente in pari grado per i movimenti profetici delle grandi religioni storiche, e particolarmente il Mosaismo, il profetismo ebraico dell'esilio, il Cristianesimo stesso. Sotto tale profilo, essi hanno dato via via nuova vita a un nucleo religioso embrionalmente già vivo nel « paganesimo », cioè a miti e riti di attesa di salvezza (34). Infatti, al di là delle peculiarità legate ai differenti contesti storici e culturali da cui sorge ciascun movimento, in tutti può riconoscersi un nucleo genetico, comune ad essi anche nelle religioni più arretrate. In tal senso esiste a nostro avviso, e conviene sia qui ribadita, una ininterrotta continuità di sviluppo fra le religioni cosiddette primitive e le grandi religioni storiche, compreso il Cristianesimo: talché ad un attento e spregiudicato esame, in queste ultime possono riconoscersi ï vari complessi mitici e [...]

[...]versi sviluppi storicoculturali, e alle differenti, sempre rinnovate esigenze culturali e religiose.
In realtà, se si ripensa all'obiezione mossa dallo studioso cattolico di cui sopra dicevasi, contro il tentativo da noi operato di unificare — in senso fenomenologico e comparativo — sotto un comune denominatore « messianico » fenomeni desunti da livelli culturali i più disparati, anche dal campo etnologico, si comprende che la preoccupazione soggiacente a quella significativa obiezione é di
(34) Il primo autore che riconosce metodicamente l'attesa di salvezza come nucleo centrale dei movimenti profetici C G. GUARIGLIA, op. cit., 1959.
DISCORSO SUL MESSIANISMO 33
natura soggettiva, fideistica e confessionale, non propriamente scientifica. Tale preoccupazione rivela, secondo noi, una pericolosa, sottintesa tendenza antistorica. In sostanza, per chi pieghi la propria ragione, pur nello studio scientifico, a influssi di provenienza dottrinale, fideistica e confessionale quali che siano, non é lecito unire, a titolo di una comparazione ch[...]

[...]nze » grandi esistono, fra messianismo di religioni prepoliteistiche, e politeistiche, e infine monoteistiche: ma tali differenze debbono riportarsi non ad « alterità » congenita dei « veri » o « inautentici » messianismi: sebbene al differente sviluppo religioso e culturale, in genere, delle varie civiltà.
Quanto poi alla « storicità » della persona del messia (il G. ritiene che il messia debba essere una persona « storica », ib., p. 26), si è già detto come storia e mito s'intreccino continuamente nei movimenti di salvezza, cosicché personaggi mitici vengono pensati e attesi come coloro che discenderanno « storicamente », cioè attualmente, fra gli uomini, e viceversa personaggi storici vengono mitizzati come persone che risusciteranno e apporteranno l'atteso paradiso.
34 VITTORIO LANTERNARI
vimenti messianici stessi: sia che in essi si annunci un ritorno di anonimi morti, o di un eroe culturale, o altro ancora, o infine di una figura d'uomo divino. Un secondo problema sarà di distinguere, secondo uno sviluppo storico progressivo, i [...]

[...] ben individuata nella forma, differenziata nella funzione: è il caso dei Polinesiani, con la figura di Lono, dio di carattere agrario, che scompare ed è atteso come colui che dovrà torna
DISCORSO SUL MESSIANISMO 35
re portando il benessere. Le civiltà politeistiche hanno struttura agricola, con società nettamente gerarchicizzata. Dalle civiltà politeistiche in avanti si può parlare di un « messia » individuato in senso antropomorfo, e insieme già come figura divina. Uno sviluppo ulteriore si avvera nel messianismo giudaico (Mosaismo), ove l'esigenza di affermare un puro monoteismo sopra la tendenza politeistica popolare d'origine cananea (agricola) porta ad una rivalutazione e reinterpretazione teologica della « storia » ebraica, come praeparratio di un escaton (tempo finale), nel quale si avvererà il regno di Dio. Il messia assume la veste di demiurgo di tale regno, nel quale una perfetta armonia dominerà nei rapporti fra uomini e Dio: pace, concordia, giustizia per quelli, piena e sincera venerazione per quello, al di sopra ormai d'[...]

[...]erpretazione teologica della « storia » ebraica, come praeparratio di un escaton (tempo finale), nel quale si avvererà il regno di Dio. Il messia assume la veste di demiurgo di tale regno, nel quale una perfetta armonia dominerà nei rapporti fra uomini e Dio: pace, concordia, giustizia per quelli, piena e sincera venerazione per quello, al di sopra ormai d'ogni polemica antipoliteista. Pertanto la peculiarità del primo messianismo giudaico non é già nella figura d'uomodio assunta dal messia, quanto invece nella sua componente monoteistica, nonché nella reinterpretazione teologica e messianica della storia: la quale tuttavia resta una storia sostanzialmente « nazionale ». Infatti soltanto nei profeti dell'esilio si avvera l'ulteriore sviluppo del messianismo, in un senso decisamente universalistico. Ma non bisogna dimenticare che tale sviluppo universalistico dell'intera religione giudaica — foriero dell'universalismo cristiano — era il prodotto storico delle drammatiche esperienze subite dal popolo ebraico deportato in massa, dietro l'ur[...]

[...]vo ordine: la crisi morale,
36 VITTORIO LANTT;RNARI
intellettuale, individuale di una cultura autocosciente e in declino, posta di fronte al problema dell'esistenza: e sanciva una via di salvezza ormai trascendentale.
Tali in sintesi gli sviluppi storici concreti del messianismo, dai suoi germi embrionali nelle religioni a livello etnologico, fino alle manifestazioni più avanzate e complesse. Ma qui importa anche rispondere all'altra domanda già postaci: su quale terreno storicosocialeculturale il messianismo alligna così da dar luogo a nuovi, autentici movimenti di salvezza? Si pub affermare, sulla base di una documentazione amplissima, che l'annuncio di un c salvatore » imminente, o di un complesso di enti ed eventi attesi come apportatori di bene, accompagna e segue altrettante situazioni di alta tensione, crisi, precarietà esistenziale. Tali situazioni sono dovute via via ad eventi calamitosi come detribalizzazione, occupazione di terre, deculturazione (da parte dei bianchi), deportazioni e catastrofi collettive, a conflitti cont[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Già, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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