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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Già è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1143Analitici , di cui in selezione 44 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Federico Engels, lettera a Giuseppe Bloch del 21 settembre del 1890 "In ultima istanza" in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 3 - agosto

Brano: [...]vi sono limiti alla volontà umana e alla iniziativa creatrice delle masse. Questa volontà e questa iniziativa esistano nei nostri combattenti e comandanti. Perciò passeremo.
E così avvenne. I ponti furono costruiti letteralmente con nulla; ma il fiume fu passato e il nemico sconfitto.
La quarta offensiva hitleriana contro l'Esercito popolare jugoslavo si proponeva obiettivi molto ampi. Essa tendeva ad accerchiare e distruggere questo Esercito. Già eravamo accerchiati, — come, del resto, noi siamo sempre, —e il nemico iniziò la sua offensiva. Il piano di Tito fu semplice ed eccellente. Egli cercò dove era il punto debole del cerchio nemico, ed ivi lo spezzò. Quindi ordinò di far saltare i ponti attraverso la Neretva, attraverso i quali avremmo dovuto ritirarci, per far credere ai tedeschi che ci trovassimo ancora entro il cerchio.
In pari tempo cambiò il fronte delle sue truppe, attaccò i tedeschi e passò la Neretva in un altro punto, su ponti di legno improvvisati, portando con sè persino quattromila feriti. I tedeschi avevano prepara[...]



da [Gli interventi] Albert Schreiner in Studi gramsciani

Brano: [...]è stata sufficientemente studiata, né sono state sufficientemente divulgate le sue idee creative. Siamo venuti a Roma soprattutto in veste di « ricercatori », soprattutto per renderci esattamente conto del modo col quale vengono approfondite le idee di Gramsci e da ciò trarre quell’indispensabile impulso ed aiuto che ci permetta di far tesoro nella nostra lotta ideale di tutto quanto di positivo è stato lasciato da Antonio Gramsci.

Qualcosa è già stato fatto nella R.D.T. per far conoscere il pensiero di Gramsci. Già da alcuni anni abbiamo infatti pubblicato il suo studio sulla « quistione meridionale ». Ed è comprensibile la precedenza data a quest opera se si considera quanto la questione dell’alleanza fra gli operai e i contadini sia importante nel nostro Stato, tenendo anche conto che tale questione per lungo tempo è stata da noi sottovalutata anche da parte della avanguardia della classe operaia. Due anni fa sono state tradotte le Lettere dal carcere e cinque conferenze di Paimiro Togliatti che sono state raccolte in opuscolo col titolo Antonio Gramsci — una vita per la classe operaia italiana. È pro[...]

[...]sono sorti nelle condizioni oggettive della lotta delle classi nell’epoca dell’imperialismo e delle rivoluzioni proletarie allorché le vecchie forme di organizzazione della classe operaia si rivelarono insufficienti a inserire nella lotta tutta la classe operaia. Sono certo che la pubblicazione degliAlbert Schreiner

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scritti di Gramsci dedicati a questo argomento costituirà un arricchimento prezioso della discussione sui Consigli che è già in corso nella R. D. T. e si svilupperà in vista del quarantesimo anniversario della nostra Rivoluzione di novembre.

Accogliete a nome mio e a nome del compagno Zamis il nostro vivo ringraziamento per averci dato la possibilità di partecipare ai lavori di questo Convegno.



da [Gli interventi] Drahomir Barta in Studi gramsciani

Brano: Drahomir Barta

Cari amici, in Cecoslovacchia sono stati già compiuti i primi modesti passii petr conoscere meglio e più a fondo l’opera di Gramsci. Già da alcuni anni sono state tradotte e pubblicate le Lettere dal carcere, e la biografia di Gramsci. Nelle riviste e nei giornali specializzati appaiono con sempre maggiore frequenza articoli e saggi sull’azione e sul pensiero di Gramsci, la cui operla è studiata, in attesa di avere una nostra traduzione, sull’edizione italiana, artìcoli e saggi che sono spesso accompagnati dalla traduzione di alcuni suoi scritti.

Da quello che già conosciamo ci appare in tutta evidenza e con profonda suggestione la grandezza della sua figura, per la chiarezza cristallina della sua vita 'morale, per la importanza determinante che ha avuto in Italia la sua lòtta politica, per la intransigenza scientifica e teorica dispiegata contro i travisamenti dogmatici e revisionistici dei principi del marxismoleninismo, e per il modo creativo e vivificatore con il quale ha saputo, alla luce di quei principi, interpretare la realtà economica, politica e sociale italiana, cogliere le linee di sviluppo storico del processo rivoluzionario di essa e diri[...]



da [Gli interventi] Boris Ziherl in Studi gramsciani

Brano: [...]ione pubblica jugoslava e sono state largamente diffuse non solo tra i comunisti. È significativo che la personalità di Gramsci è stata presentata in Jugoslavia attraverso una prefazione scritta per l’edizione slovena delle Lettere da Ivan Reggent, un vecchio rivoluzionario ben noto tra i comunisti italiani e jugoslavi. È con vivo rammarico che dobbiamo riconoscere che in Jugoslavia sono state pubblicate fino ad ora solo le Lettere di Gramsci ma già si è al lavoro per la traduzione degli altri suoi scritti.

Non sfugge a noi il profondo legame che unisce Gramsci alla vita del suo paese; non si può essere un dirigente rivoluzionario del movimento operaio se questo legame non è profondo. Solo questo legame, per esprimerci con parole di Lenin, può fare di un individuo un dirigente autorevole. In Gramsci questo legame si manifestò nella capacità di interpretare e di assimilare creativamente, alla luce del marxismo, la storia578

Gli interventi

italiana, i suoi sommovimenti. Già dalle Lettere noi abbiamo colto la capacità di Gramsci d[...]

[...]o legame che unisce Gramsci alla vita del suo paese; non si può essere un dirigente rivoluzionario del movimento operaio se questo legame non è profondo. Solo questo legame, per esprimerci con parole di Lenin, può fare di un individuo un dirigente autorevole. In Gramsci questo legame si manifestò nella capacità di interpretare e di assimilare creativamente, alla luce del marxismo, la storia578

Gli interventi

italiana, i suoi sommovimenti. Già dalle Lettere noi abbiamo colto la capacità di Gramsci di penetrare al fondo dei fenomeni politici, economici e culturali della storia presente d’Italia. Abbiamo colto in Gramsci, nella sua battaglia ideale, il rigetto della superficiale negazione delle posizioni altrui, il suo modo di penetrare il pensiero dell’avversario e di coglierne dall’interno le radici degli errori. Procedimento proprio di una mente non dogmatica, ma dialettica.

Né meno sensibilmente ci colpisce, nelle Lettere di Gramsci, il suo profondo umanesimo che tanta suggestione esercita anche verso coloro che sono su posizi[...]

[...]eciproca tra il movimento operaio dei diversi paesi, le loro idee, le loro 'esperienze, le loro tradizioni rivoluzionare, è quello di studiare a fondo la loro storia politica e ideale. A maggior ragione ciò è vero per il movimento operaio di due paesi vicini quali l’Italia e la Jugoslavia, i quali hanno interessi tanto comuni, nella lotta per il progresso e la prosperità dei loro popoli. Siamo certi che questo Convegno contribuirà a rafforzare i già solidi legami di amicizia tra i movimenti operai dell’Italia e della Jugoslavia.



da Massimo Mila, L'antico e il progresso nel carteggio tra Verdi e Boito in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]l Carteggio VerdiBoito, a cura di Mario Medici e di Marcello Conati, fu resa possibile da una catena generosa d’atti di mecenatismo. Ci fu anzitutto la donazione delle lettere di Verdi a Boito, che quest’ultimo aveva piamente conservato e poi, morendo senza eredi diretti, affidato al proprio esecutore testamentario Luigi Albertini, ultimo direttore del « Corriere della Sera » prima del fascismo. Questi aveva sposato la seconda figlia di Giuseppe Giacosa, legato a Boito da lunga amicizia, e tra la giovane coppia e il vecchio poeta e musico s’era stretto un legame d’affetto che durò fino alla scomparsa del maestro, nel 1918. Fu il 4 novembre 1973 che i figli di Luigi Albertini, Leonardo ed Elena, consegnarono il prezioso lascito all’istituto di studi verdiani nella sua sede di palazzo Marchi a Parma. Si trattava di 141 lettere.

Altre lettere di Verdi a Boito, precisamente trentuno, vennero all’istituto dal lascito del musicologo inglese Frank Walker, molto legato all’istituto stesso, tanto che dopo la sua morte il fratello consegnò all’[...]

[...]accio, 23 anni, esponente della « giovane scuola » lombarda. In un banchetto per celebrare il successo, contrastato, dell’opera, Arrigo Boito, giovane, scapigliato fautore di quello che allora si diceva l’avvenirismo, avrebbe improvvisato seduta stante la Ode saffica col bicchiere alla mano, dove si brinda « Alla salute dell’Arte italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / Dalla cerchia del vecchio e del cretino ». E si aggiungeva: « Forse già nacque chi sovra l’altare / Rizzerà Parte, verecondo e puro, / .Su quell’altar bruttato come un muro / Di lupanare ». Con riferimento al festeggiato Faccio, ma fors’anche con un segreto pensierino a se stesso e all’embrionale progetto del Mefistofele.

Purtroppo la cosa non si fermò 11, nell’allegria un po’ goliardica d’un banchetto fra giovani artisti. L’Ode venne pubblicata, il 22 novembre, nel « Museo di famiglia » dell’editore Treves. Verdi la lesse e incassò. In una lettera a Tito Ricordi commentò asciutto asciutto: « Se anch’io, tra gli altri, ho sporcato l’altare egli lo netti ed io sarò il primo a venire ad accendere un moccolo » (citato in: Giuseppe Verdi, Autobiografia dalle lettere, a cura di Carlo Graziosi [ma: Aldo Oberdo[...]

[...]stro di avere chiuso col teatro, mal si rassegnava a perdere i prodotti di quella gallina dalle uova d’oro. Come abbia agito piano piano per ristabilire un contatto tra Verdi sdegnato e Boito, che nel frattempo aveva versato alquanto acqua fresca nel vino dei suoi entusiasmi avanguardistici, lo ricostruisce assai bene Mario Medici nella prefazione.

Il 26 gennaio 1871 (Boito lavorava alla revisione del Mefistofele dopo il fiasco alla Scala, ma già aveva adocchiato quel soggetto del Nerone che gli fu poi croce di tutta la vita) Ricordi scrive a Verdi:

Le spedii un libretto dell’Amleto\ ed a proposito entro di botto in un Gran progettoW... eh'Ella sa ch’io rumino peggio di un bue!!... Dunque Ella mi fece motto due o tre volte del Nerone... e vidi che questo soggetto non le spiaceva.

Ieri Boito fu da me, ed io pumfl sparai la cannonata: Boito mi domandò una notte di riflessione, e stamane fu qui, e si trattenne lungamente meco di questo affare. La conclusione si è che Boito si riputerebbe l’uomo il più felice.154

MASSIMO MILA
[...]

[...]un’altro et. et...

Ora, venendo qui con Boito, io mi trovo obbligato necessariamente a leggere il libretto che Egli porterà finito.

Se trovo il libretto completamente buono io mi trovo in certo modo impegnato.

Se trovandolo buono, suggerisco delle modificazioni che Boito accetta, io mi trovo anche maggiormente impegnato.

Se poi, anche bellissimo, non mi piace, sarebbe troppo duro dirgli in faccia quest’opinione!

Nò nò... Voi siete già andato troppo oltre, e bisogna fermarsi prima che nascano pettegolezzi e disgusti. A mio avviso, il miglior partito, (se lo credete e conviene a Boito) è quello di mandarmi il Poema finito, affinché io lo possa leggere, e manifestare con calma la mia opinione senza che questa impegni nissuna delle parti.

Una volta appianate queste difficoltà alquanto spinose sarò felicissimo di vedervi arrivare qui con Boito (prefazione, pag. xxvii).

Che la lettera sia da riportare a ottobre, piuttosto che a settembre, pare convalidarlo anche una lunga lettera di Ricordi a Verdi, il 5 settembre, che ri[...]

[...]ia opinione senza che questa impegni nissuna delle parti.

Una volta appianate queste difficoltà alquanto spinose sarò felicissimo di vedervi arrivare qui con Boito (prefazione, pag. xxvii).

Che la lettera sia da riportare a ottobre, piuttosto che a settembre, pare convalidarlo anche una lunga lettera di Ricordi a Verdi, il 5 settembre, che rispecchia uno stadio non ancora cosi avanzato delle trattative. Con molti salamelecchi l’editore indugia ancora a persuadere il maestro dei sentimenti di devozione che quei giovani scapestrati Boito e Faccio

nutrono per lui. « So, se la memoria non mi falla, che Boito ebbe qualche torto verso di lei; ma carattere nervoso, bizzarro, scommetto che non seppe di commetterlo, o non trovò mai modo di rimediarvi ». Adesso, assicura Ricordi, è tutto diverso: « Nei frequenti nostri ritrovi Boito parlò sempre di Verdi con venerazione ed entusiasmo; se altrimenti, non mi sarebbe amico ». Non solo, ma quando vengono i due compagnoni, Boito e Faccio, nel suo ufficio dove campeggia un grande ritratto di [...]

[...]. « So, se la memoria non mi falla, che Boito ebbe qualche torto verso di lei; ma carattere nervoso, bizzarro, scommetto che non seppe di commetterlo, o non trovò mai modo di rimediarvi ». Adesso, assicura Ricordi, è tutto diverso: « Nei frequenti nostri ritrovi Boito parlò sempre di Verdi con venerazione ed entusiasmo; se altrimenti, non mi sarebbe amico ». Non solo, ma quando vengono i due compagnoni, Boito e Faccio, nel suo ufficio dove campeggia un grande ritratto di Verdi, lo sogguardano esclamando: « Ma e quello li, proprio non scriverà più? » (prefazione, pag. xxvm).

Le fatiche, un poco untuose, di Ricordi andarono a buon porto:156

MASSIMO MILA

Questa camicia di Nesso dell’editore mi mette sempre in una ambigua posizione!!... poiché per un sentimento di delicatezza temo sempre ch’Ella possa credere che sia Vaffarista che parla!!... e ciò mi ripugna. Certo sarebbe soverchia ingenuità il dirle che un’opera di Verdi non sia una vera fortuna materialmente parlando!!... ma questa idea è cento volte sorpassata e per così dire [...]

[...]a col bicchiere dell’allegria alla mano ». Può darsi che sia una sopravvivenza inconscia. Ma Giuseppina era abbastanza donna e abbastanza malignetta per non ricordarsi che il famigerato brindisi di Boito s’intitolava: Ode saffica col bicchiere alla mano).

In realtà, e sebbene Giuseppina esorti a « lasciare, almeno pel momento, le cose come sono, facendo intorno al Moro il più gran silenzio possibile », la prima lettera del carteggio introduce già in medias res. La progettazione del dramma occupa interamente lo spirito del compositore,l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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la cui attenzione si appunta sul finale dell’Atto ni, vero punctum dolens dell’opera, come Boito aveva riconosciuto in una lettera a Ricordi, e da questi poi riferita, l’8 novembre 1879, alla moglie di Verdi: « C’è ancora il terzetto dell’Atto 3, pezzo capitale, che mi fa disperare. Di tanto in tanto lo abbandono per mandare avanti qualche altra scena, poi ritorno al terzetto e lo ritrovo più arcigno che mai! » (prefazione, pag. xxix).

[...]

[...]li è perché ho sentito scrivendo quei versi ciò ch’ella avrebbe sentito illustrandoli con quell’altro linguaggio mille volte più intimo e più possente, il suono ». Per convincere Verdi con la sua appassionata protesta Boito non esita a rilasciare una commovente confessione della propria impotenza creativa.158

MASSIMO MILA

Maestro, ciò che Lei non può sospettare è l’ironia che per me pareva contenuta in quell’offerta senza sua colpa. Veda: già da sette od otto anni forse lavoro al Nerone (metta il forse dove vuol Lei, attaccato alla parola anni o alla parola lavoro) vivo sotto quell’incubo; nei giorni che non lavoro passo le giornate a darmi del pigro, nei giorni che lavoro mi dò dell’asino e così scorre la vita e continuo a campare, lentamente asfisiato [sic] da un Ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) e ne sono terribilmente innamorato e nessun altro soggetto al mondo, neanche l’Otello di Schakespeare [sic], potrebbe distogliermi dal mio tema (...). Giudichi [...]

[...]siato [sic] da un Ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) e ne sono terribilmente innamorato e nessun altro soggetto al mondo, neanche l’Otello di Schakespeare [sic], potrebbe distogliermi dal mio tema (...). Giudichi ora Lei se con questa ostinazione potevo accettare l’offerta sua. Ma per carità Lei non abbandoni l’Otello, non lo abbandoni, le è predestinato, lo faccia, aveva già incominciato a lavorare ed io ero già tutto confortato e speravo già di vederlo, in un giorno non lontano, finito.

Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquilla e serena, ripigli la penna e mi scriva presto: Caro Boito fatemi il piacere di mutare questi versi ecc. ecc. ed io li muterò subito con gioja e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nella vita vera e reale dell’Arte io nel mondo delle allucinazioni (Lettera 46).

Verdi accettò le scuse, con una certa degnazione.

Lietissimo di questa nostra spiegazione, che era però meglio fosse a[...]

[...]stanchezza fisica connessa con la vecchiaia. Verdi eXYOtello non lavora a spizzico, né a piccole dosi, come lui stesso amava dare ad intendere e come in effetti avverrà per il Falstaff. S’interrompe talvolta, a lungo, per cause esterne. Quando lavora, la sua applicazione è feroce, tale quale come negli « anni di galera ». Boito nel’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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era impressionato: « Giulio mi disse che Lei aveva già quasi terminato lo strumentale del i Atto!! Badi di non affaticarsi troppo. Il tempo non le manca » (Lettera 79).

Il disgelo avvenne verso la fine dell’anno. Il 9 dicembre, da Genova, Verdi annuncia: « Pare impossibile, ma pure è vero!!! Mah!!!! M’occupo, e scrivo!!... senza pensare al poi... anzi con decisa avversione al poi. Sentite dunque (...) avrei bisogno di quattro versi per ciascuno a parte » (Lettera 53).

Ci fu ancora un’interruzione nell’estate seguente. Verdi si era trasferito a Sant’Agata verso la fine d’aprile, e il 10 settembre 1885 scriveva: «Da che sono qui (ho rossore a[...]

[...] 1886. Le lettere ne accompagnano il progresso, con le lacune, ovviamente, delle visite di Boito, da Nervi a Genova nella stagione invernale, e da Milano a Sant’Agata nel resto dell’anno. Qualche volta accadeva pure che Verdi dovesse recarsi a Milano, ed allora s’intratteneva col suo eccezionale librettista.

Comincia con la Lettera 118 la storia del Falstaff. Una lettera scritta da Montecatini il 16 luglio 1889, che presuppone anch’essa, come già era avvenuto per YOtello, qualche antefatto. Boito doveva aver mandato al maestro uno schizzo dell’opera, quello che ai tempi del Piave Verdi chiamava la « selva », e questo schizzo si è perduto. A Sant’Agata non c’è. Il primo proposito era recentissimo, perché Verdi chiude questa lettera dicendo: « Questo Falstaff o Comari che era due giorni fà nel mondo dei sogni, ora va prendendo corpo, e può diventare una realtà? Quando? Come?... Chi sa! » (Lettera 118). Secondo un articolo di Giulio Ricordi nella « Gazzetta Musicale di Milano » del 30 novembre 1890, il progetto era nato « nell’estate del[...]

[...] « nell’estate dello scorso anno 1889 », durante una presenza di Verdi a Milano. « Parlando con Arrigo Boito appunto dell’opera comica, questi afferrò la palla al balzo e propose a Verdi un soggetto, e non solo propose, ma con rapidità meravigliosa si può dire che in poche ore abbozzò e presentò al maestro una tela: Falstaff» (note alla Lettera 118).

Questa volta Verdi, a cui l’intenzione di scrivere un Falstaff su libretto di Ghislanzoni era già stata affibbiata più di vent’anni prima, tra il Don160

MASSIMO MILA

Carlo e il rifacimento della Forza del destino, e lui aveva smentito all’amico Arrivabene: « Non scrivo Falstaff », questa volta Verdi si accostò al lavoro con entusiasmo quasi impaziente, basti dire che il giorno dopo ritornava già sull’argomento con una nuova lettera destinata ad esaurire formalmente le solite perplessità, i soliti se e ma, « Voi nel tracciare Falstaff avete mai pensato alla cifra enorme dei miei anni? », e poi lo scrupolo che magari Boito, scrivendo Falstaff, dovesse « distrarre la mente » dal suo ormai mitico Nerone.

Ora come superare questi ostacoli?... Avete Voi una buona ragione da opporre alle mie? Lo desidero, ma non lo credo. Pure pensiamoci (e badate di non far nulla che possa nuocere alla vostra carriera) e se voi ne trovaste una per una parte, ed io la maniera di levarmi dalle spalle una [...]

[...]? Lo desidero, ma non lo credo. Pure pensiamoci (e badate di non far nulla che possa nuocere alla vostra carriera) e se voi ne trovaste una per una parte, ed io la maniera di levarmi dalle spalle una diecina d’anni, allora... Che gioja! Poter dire al Pubblico: «Siamo qui ancora!! A noi!!» (Lettera 119).

Era chiaro che non chiedeva di meglio che d’essere contraddetto, e Boito lo intese a meraviglia. Due giorni dopo (a quei tempi le lettere viaggiavano con una prontezza incredibile) gli rispondeva tutto quello che lui desiderava sentire:

Non penso mai alla sua età né quando le parlo, né quando le scrivo, né quando lavoro per Lei.

Lo scrivere un’opera comica non credo che la affaticherebbe.

La tragedia fa realmente soffrire chi la scrive, il pensiero subisce una suggestione dolorosa che esalta morbosamente i nervi.

Ma lo scherzo e il riso della commedia esilarano la mente e il corpo.

Lei ha una gran voglia di lavorare, questa è una prova indubbia di salute e di potenza. Le Ave Marie non le bastano, ci vuol dell’altro.

L[...]

[...]rteggio tra verdi e boito

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quando Verdi, tra l’altro, aveva dovuto accompagnare la moglie a Milano perché si sottoponesse alle cure del prof. Todeschini. L’8 settembre 1891 Boito scrive tutto allegro: « Ho sentito dire che il Falstaff è terminato. Evviva!! » (Lettera 180), e Verdi è costretto a smentire: «Non è vero che io abbia finito il Falstaff » (Lettera 181). Una lettera dell’11 maggio 1892, quando l’opera è davvero quasi finita, e già si pensa all’esecuzione, ai cantanti, alle scene, ai costumi, denuncia una umanissima crisi nell’artista che si avvicinava all’ottantina: « E poi... Finirò io quello che mi resta a fare?... In questo momento mi sento così stanco, così svogliato che mi pare impossibile che si possa arrivare a finire il lavoro che resta a fare! (...) Un poco di riposo, per ora, poi vedremo » (Lettera 194).

Nelle ultime lettere del carteggio Verdi si diffonde a lungo sulla composizione dei Pezzi sacri, per i quali Boito gli fornisce una stimolante consulenza culturale, e più tardi un’assistenza di persona per[...]

[...]era 271).

Il ricordo del grande lavoro compiuto stava alle spalle d’entrambi come un paradiso perduto. « Caro Maestro », sta scritto nell’ultima lettera di Boito, « era meglio quando si lavorava insieme, Lei col vecchio Shakespeare e me; andavamo così d’accordo tutti due anzi tutti tre! » (Lettera 289). Era l’ottobre 1900. Boito aveva imparato a scrivere Shakespeare correttamente. A Verdi non restavano che tre mesi di vita.

Si potrebbe indugiare lungamente a rintracciare, attraverso le lettere, la pittoresca storia esterna dei rapporti culturali ed umani tra i due amici, e dei capolavori nati dalla loro collaborazione. Ma da un punto di vista più propriamente critico, quali prospettive apre questa pubblicazione?

Si tenga presente che non si tratta, per lo più, di inediti. Su 301 lettere sono totalmente inedite 81, e non delle più importanti, salvo una mezza dozzina. Spesso sono biglietti brevi degli ultimi anni, qualche volta162

MASSIMO MILA

dispacci telegrafici. Le altre, quelle più significative, sono note in tutto o in[...]

[...] il magistero intellettuale del suo librettista, ci corre un abisso. È chiaro che con un uomo dell’intelligenza di Boito, letterato e musicista ad un tempo, operista egli stesso, Verdi non aveva bisogno di condurlo per mano come faceva con Francesco Maria Piave. Tanto più che non c’era in Boito (tutto il Carteggio lo prova) la minima pretesa di sopraffazione estetica o intellettuale nei riguardi del venerato maestro, ma al contrario come abbiam già visto una lucida volontà d’immedesimazione nel suo modus operandi drammatico, fino al totale autoannientamento. «Ora Lei riconosce nell’opera delle mie mani » scriveva a Verdi il 18 ottobre 1880, proprio ai primi passi del lavoro per Otello « il pensiero che Ella mi ha dettato e che io ho trascritto senza lasciarmi turbare da nessun dubbio, neanche dai dubbij che Lei stesso accampava » (Lettera 4). Ed ancor prima, a Giuseppina Verdi, in una lettera finora inedita: « Oggi ho ricevuto una interessantissima lettera del Maestro e l’ho già letta e riletta dieci volte e meditata; non avrò pace co[...]

[...]ale autoannientamento. «Ora Lei riconosce nell’opera delle mie mani » scriveva a Verdi il 18 ottobre 1880, proprio ai primi passi del lavoro per Otello « il pensiero che Ella mi ha dettato e che io ho trascritto senza lasciarmi turbare da nessun dubbio, neanche dai dubbij che Lei stesso accampava » (Lettera 4). Ed ancor prima, a Giuseppina Verdi, in una lettera finora inedita: « Oggi ho ricevuto una interessantissima lettera del Maestro e l’ho già letta e riletta dieci volte e meditata; non avrò pace con me medesimo finché non avrò realizzato il concetto di quello scritto (...). Mi riservo a rispondergli quando potrò presentargli il frutto dei germi ch’egli seminò nel mio pensiero » (note alla Lettera 2).

Altro che sopraffazione di Boito su Verdi! Tra l’altro, si badi, tutte le discussioni, proposte, soppesamenti, battono solo sul versante drammaturgico dell’operazione. Mai che Boito metta bocca sull’aspetto specifico della creazione musicale. Verdi fa, disfà, innova, conserva, tutto per conto suo. Anzi, a volte Boito era costretto [...]

[...]ori di Shakspeare [sic] » (Lettera 1). La trovata che lui almanaccava, pur essendo il primo a sospettarne l’incongruenza e a ritenere che su di essa « il critico avrebbe molte osservazioni a fare », era un’assurda invasione di Turchi (sconfitti e disfatti poc’anzi nel primo Atto) con Otello che « si scuote e si drizza come un Leone » e « brandisce la spada ». Secondo il critico inglese Frank Walker che aveva ripubblicato parte di questa lettera, già presentata per intero dal Nardi nella sua biografia di Boito, il librettista rimase « sconcertato dal suggerimento di Verdi che egli non poteva approvare». Lo credo bene! Siamo al Corsaro, un’opera per la quale Verdi non aveva mai avuto nessuna considerazione.

In una risposta del 18 ottobre Boito ha Paria d’accettare la « trovata » di Verdi. Ma, spiegava sottilmente, così facendo essi avrebbero distrutto « tutto il sinistro incanto creato da Schakspeare [sic] ». Nell’originale, « Otello è come un uomo che si aggira sotto un incubo e sotto la fatale e crescente dominazione di questo incùbo [...]

[...]e intimo di morte creato da Schakespeare [sic] è d’un tratto svanito. L’aria vitale ricircola nella nostra tragedia, e Otello e Desdemona sono salvi. Per fare che essi ripiglino la via della morte dobbiamo poi rinchiuderli da capo nella camera letale, ricostruire l’incubo, ricondurre pazientemente Jago sulle sue prede e non ci resta più che un atto solo per rifare tutta questa tragedia da capo » (Lettera 4).

Una lezione magistrale di drammaturgia che Verdi si legò al dito, anche se Boito aveva poi l’aria di consentire tutto: « Un melodramma non è un dramma, la nostra arte vive d’elementi ignoti alla tragedia parlata. L’ambiente distrutto si può crearlo da capo, otto battute bastano a far rivivere un sentimento, un ritmo può ricomporre un carattere: la musica è la più onnipossente delle arti, ha una logica sua propria, più rapida più libera della logica del pensiero parlato e più eloquente assai ».

In realtà, nulla della « trovata » verdiana passò nel libretto. Da Shakespeare si accoglie la bellissima espressione dello stupore di Lu[...]

[...] di Cassio. Tacciono Otello e Jago, ai quali resterà la fine dell’Atto, tutta inventata, quando la scena si sarà svuotata: furia e svenimento di Otello, bieco trionfo di Jago. « Ecco il Leone! ».

Il 2 dicembre 1880 Verdi applaudiva: « Ben trovato il Finale Terzo! Lo svenimento d’Otello mi piace più in questo Finale che nel posto dov’era prima ». Strano che aggiungesse: « Solo non trovo né sento il Pezzo d’insieme » (Lettera 5). Pure ci doveva già essere il concertato, cui Boito darà gli ultimi ritocchi dopo la parentesi del Boccanegra, mentre Verdi s’occupava a escogitare ingegnose soluzioni tipografiche per farlo stare tutto insieme nella stampa con tre colonne « in mezzo del libretto con le cuciture », in maniera che il pubblico « voltanto il foglio si troverebbe in faccia a tutta la Baraonda del Concertato » e potrebbe cosi « con un colpo d’occhio vedere e capir tutto » (Lettera 78).

Si potrebbe continuare a lungo a segnare i punti che l’uno o l’altro dei due giocatori mette a proprio vantaggio nel corso dell’ideazione drammatic[...]

[...]farlo stare tutto insieme nella stampa con tre colonne « in mezzo del libretto con le cuciture », in maniera che il pubblico « voltanto il foglio si troverebbe in faccia a tutta la Baraonda del Concertato » e potrebbe cosi « con un colpo d’occhio vedere e capir tutto » (Lettera 78).

Si potrebbe continuare a lungo a segnare i punti che l’uno o l’altro dei due giocatori mette a proprio vantaggio nel corso dell’ideazione drammatica, e la musicologia dovrà farlo col tempo, sistematicamente, dico la musicologia vera, quella capace di pensare, quella attenta ai fatti concreti dell’arte.

È noto che fu interamente di Verdi l’idea dello straordinario finale nel primo Atto del Simon Boccanegra, con la seduta del Gran Consiglio genovese, la lettera del Petrarca, le dispute tra i patrizi e la parte popolana. Verdi ne esponeva il programma in una lettera a Ricordi, del 20 novembre 1880. Boito perfezionò la scena coronandola con la tremenda maledizione su Paolo Albiani, e l’impreziosì d’una frase scultorea, di shakespeariana altezza drammatica, quando il Doge si rivolge al mentitore: « Paolo! (...) In te [...]

[...]ispute tra i patrizi e la parte popolana. Verdi ne esponeva il programma in una lettera a Ricordi, del 20 novembre 1880. Boito perfezionò la scena coronandola con la tremenda maledizione su Paolo Albiani, e l’impreziosì d’una frase scultorea, di shakespeariana altezza drammatica, quando il Doge si rivolge al mentitore: « Paolo! (...) In te risiede / L’austero dritto popolar (...) / V’è in queste mura / Un vii che m’ode e impallidisce in volto, / Già la mia man l’afferra per le chiome. / Io so il suo nome... È nella sua paura».

Né è da meno il sarcasmo di Gabriele Adorno quando sospetta nel Doge l’« uom possente » ch’era stato mandante del ratto di Amelia: «T’acqueta! il reo si spense / Pria di svelarlo (...) Pel cielo! / Uom possente tu se’! ». Siamo già all’altezza e allo stile di Otello.

Per contro Verdi boccia gentilmente, con molti elogi, un’idea abba166

MASSIMO MILA

stanza strampalata di Boito, quella d’un penultimo atto nella chiesa di S. Siro piena d’armati col Boccanegra alla testa, irruzione del Fiesco, zuffa, Boccanegra ferito a un braccio, Paolo che lo fascia con una benda avvelenata! « L’atto da Lei ideato nella chiesa di S. Siro è stupendo sotto ogni rapporto. Bello per novità bello per colore storico bello dal lato scenico musicale; ma mi impegnerebbe troppo, e non potrei sobbarcarmi a tanto lavoro » (Lettera 7). For[...]

[...]condo per la rima » (Lettera 22). La stesura del libretto è interamente governata e determinata dall’invenzione musicale. Nel Finale primo, scrive Verdi, « l’orchestra rugge, ma rugge piano. È necessario, però, che alla fine anche l’orchestra faccia sentire la sua formidabile voce (...). Avrei quindi bisogno di due versi, per far gridare tutto il mondo. Che in questi versi non manchi la parola Vendetta! » (Lettera 23).

Di Boito è invece la saggia esortazione a « evitare il cambiamento di scena » nel primo Atto (dopo il Prologo) per il dialogo dell’agnizione tra Amelia e Boccanegra. Primo, perché « tre scene in un atto mi pajono troppe, distruggono quell’impressione di unità così necessaria alla vita bene organizzata dell’atto ». Ma soprattutto: « Pensi che di tutto il dramma questo giardino è la sola scena ridente. Tutte le altre sono gravi, solenni o cupe. Vi abbondano troppo gli interni: Sala del Consiglio, Camera del Doge, aula Ducale. Poiché in questo principio del prim’atto siamo all’aria aperta, restiamoci più che possiamo » (Lettera 16). È un’accorta riflessione teatrale, che va alla radice dei difetti da lui impietosamente segnalati nel vecchio libretto di Piave, con la lunga lettera dell’8 dicembre 1880: « Il nostro compito, Maestro mio, è arduo. Il dramma che ci occupa è storto, pare un tavolo che tentenna (...). Non trovo in questo dramma nessun carattere di quel[...]

[...] arduo. Il dramma che ci occupa è storto, pare un tavolo che tentenna (...). Non trovo in questo dramma nessun carattere di quelli che vi fanno esclamare: è scolpito!L’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO

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Nessun fatto che sia realmente fatale cioè indispensabile e potente, generato dalla ineluttabilità tragica » (Lettera 6).

Ma d’altra parte per restare ancora un momento al duetto AmeliaBoccanegra da mantenere nel giardino dei Grimaldi fuori di Genova Boito sbagliava per comprensibili ragioni d’opportunità pratica. La natura di quel dialogo, e di conseguenza anche la musica che Verdi ci ha messo su, postula il raccoglimento d’una camera chiusa, e non si assisterà mai senza un certo imbarazzo a tutte quelle spiegazioni e rievocazioni e ricostruzioni d’un passato intimo e familiare, a cielo aperto.

Quando i due artisti riprendono il lavoro per Otello, l’indispensabile mediazione di Boito tra Shakespeare e Verdi non lo colloca affatto in posizione di superiorità. È sempre Verdi che tiene il coltello per il[...]

[...]endone in margine.

Si scopre con stupore che la spettacolosa entrata di Otello nel primo Atto fu inventata da Verdi solo nel 1886, quando l’opera era praticamente finita, chiedendo a Boito di eliminare quattro versi ingombranti (« vi sono troppi versi nel solo d’Otello »), sì che si potesse trasportare l’entrata del protagonista sugli altri tre versi superstiti (Lettera 76). « Potrei fare allora per Tamagno una frase, forse d’effetto: anzi, è già fatta... così ». La « frase, forse d’effetto » era semplicemente l’« Esultate! ». Senza averla ancora sentita Boito ne comprendeva al volo la genialità di soluzione teatrale ed applaudiva con entusiasmo (Lettera 77). «Bravo!!! approvo pienissimamente quel taglio dei quattro versi (...). Ora, l’entrata che non ci accontentava, è trovata, ed è splendida. Una possente esclamazione di vittoria che finisce in uno scoppio d’uragano e in un grido del popolo! Bravo, bravo! eccellente anche l’idea di fare dire quella frase su d’un punto alto della scena! ».168

MASSIMO MILA

La risposta di Boito [...]

[...]ore ed è l’origine di tutti i malintesi che ancora si perpetuano anzi, presentemente si ravvivano sulle ultime due opere di Verdi.

La fine del lavoro ad Otello fu sentita dai due artisti con « la tristezza che segue l’opera compiuta », come dice Boito (Lettera 89), facendo eco alla malinconia di Verdi: « Povero Otello, Non tornerà più qui!! » (Lettera 88). Ancora due anni dopo sentivano quel gran vuoto. « Basta », scriveva Boito dalla villeggiatura canavesana di San Giuseppe, il 9 ottobre 1888, « Vorrei che ritornasse quel tempo quando ogni nostra lettera aveva per tema lo studio d’una grande opera d’arte » (Lettera 107). Verdi si baloccava con la scala enigmatica d’un’Ave Maria, e Boito quasi lo prendeva in giro: « Molte Ave Maria ci vogliono perché Lei possa farsi perdonare da S. S. il Credo di Jago » (Lettera 115). Salta fuori perfino (nota alla Lettera 117) la notizia sorprendente del progetto verdiano d’un poema sinfonico su La notte dell’innominato, ne parlò in un articolo su Manzoni e Verdi ne « La Lettura » nel giugno 1923, [...]

[...]lo aveva potuto onestamente smentire questa ipotesi, ma aveva anche avuto la faccia tosta di non dire una parola sul Falstaff a cui stava lavorando: « Je vous affirme qu’Otello est ma dernière oeuvre » (note alla lettera 147).172

MASSIMO MILA

Chissà come s’era divertito a dire sostanzialmente la verità, perché certo, finché il Falstaff non fosse finito, VOtello era la sua ultima opera!

Subentrano poi problemi di scene, di costumi, di regìa e di cantanti. Verdi spedisce Boito di qua e di là, ad ascoltare soprani e contralti (la parte del protagonista era da sempre destinata a Maurel, anche se Verdi gliela faceva cader dalPalto). Come Quickly, Boito avrebbe visto bene la giovane Guerrina Fabbri, che infatti lo diventerà, ma assai più tardi, con Mugnone e poi con Toscanini. Per la « prima » Verdi preferì la più esperta Giuseppina Pasqua. In un Don Pasquale al Teatro Manzoni pareva a Boito « d’aver riconosciuto un buon Ford e una buona gaja comare » (Lettera 146). « La voce del basso è bella, è giusta e sana e giovane. L’individuo [...]

[...]iusa, magari rossiniana. Ecco un caso in cui Verdi aveva imparato bene la lezione boitiana.l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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Difatti l’opera, andata in scena alla Scala il 9 febbraio, lasciò molti ascoltatori perplessi, anche se un mese dopo Boito si affannava ad assicurare il maestro del contrario. « I nostri buoni Milanesi sono diventati oramai tutti cittadini di Windsor e passano la loro vita all’albergo della Giarrettiera (...). Io non ricordo e credo che non si sia visto mai, un’opera la quale abbia saputo penetrare come questa nello spirito e nel sangue d’una popolazione » (Lettera 203).

In realtà, invece, Boito doveva rendersi conto ch’era penetrata ben poco e che s’era trattato d’un successo di stima, soprattutto di ammirazione per la tarda età del maestro. Di qui la sua insistenza, nella medesima lettera, perché Verdi presenzi alla rappresentazione di Roma (per Otello non ci era andato). « Una forma d’arte novissima com’è questa del Falstaff non deve essere abbandonata dall’autore dopo un prim[...]

[...] compreso. Scriveva al Bellaigue, forse nel gennaio 1894: « Comme Vous avez raison d’aimer ce chef d’oeuvre! et quel bienfait pour l’art quand tous arriveront à le comprendre! » (note alla Lettera 203). Il « bienfait pour l’art » ci fu, ma non subito, e non, per il momento, in patria né in Francia. Fu in Germania che il Falstaff fece drizzar le orecchie a qualcuno: il primo « bienfait pour l’art » si chiamò Der Rosenkavalier. E poi da noi arrivò Gianni Schicchi.

Verdi predicava male e razzolava bene. Era sempre 11 a intonare le sue geremiadi: « Torniamo all’antico e sarà un progresso ». Di fatto, poi, a ottant’anni dava una tale spinta alla musica italiana, e la scagliava così avanti, che ci volle l’opera di tutta una generazione per raggiungerla, e c’è da dubitare a quel che spesso càpita di leggere ancor oggi che tutti ci siano veramente arrivati.

Massimo Mila



da Roberto Longhi, Proposte per una critica d'arte in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...]nno a sforbiciare, ad amputare le facoltà più immediate e sensibili; tanto che i critici più diretti han preferito quasi sempre tenersi a buona distanza da quelle ‘nevi eterne del pensiero’ come le chiamava, con uno dei suoi motti più brillanti, il Thibaudet. E sarà vero che la critica dovrà pure sboccare al kantiano ‘giudizio subbiettivo con pretesa di validità universale’; purché si soggiunga, però, che vi sbocca per superfluità logica; quando già il suo percorso si è rivelato piuttosto illuminazione acerrima, terebrante, che non giudizio di esistenza: ove non sia quello soluto nella stessa bontà del discorso e presunto già nella scelta dell’opera da illuminare.

Così quella storia della critica d’arte, a rifarla sincera, potrebbe alla fine convertirsi in una storia di evasioni, riuscite o no, dalle chiuse dottrinali. E come non sarebbe se l’arte stessa ha dovuto faticare per sopravvivere ai principi che, lungo tanti secoli, ricusarono alla creazione figurativa una pur discreta autonomia? C’è bisogno di rifar la storia delle arti ‘servili’? Chi dice che anche Socrate non ne abbia qualche colpa con l’accenno al vasaio? Sopprimer l’arte è certo più difficile, tanto essa adorna6

ROBERTO LONGHI

ed accarezza[...]

[...]er più di due millenni fino alla ra pina di Lord Elgin, che fu finalmente un atto critico rilevante dopo il più antico tentativo del nostro Morosini. E se vi fu anche un solo capraio greco che, in quel lungo tratto, lamentasse l’agonia di quei marmi, quel capraio fu certamente ‘in nuce5 un buon critico d’arte. Ma c’è stato? Fuor d’episodio, vi ha una parte di colpa anche quell’antica condanna platonica che, ove mai si fosse tradotta in sanzione, già ai garzoni di Fidia non restava che chiuder bottega ed attendere ad altro. E ci furono tempi anche più severi, chi pensi alle leggi che nella teocrazia bizantina ordinarono lo spezzamento delle immagini libere e non concessero che le più legate. Lotta per le immagini che divampò più volte anche in Occidente, con o senza editti visibili. Il congedo illimitato, anzi definitivo, proposto da Hegel per l’arte figurativa nella conclusione di una Estetica troppo ideale, ne è uno degli aspetti più noti; altri ne abbiamo avuto sotto gli occhi anche ieri, altri ne abbiamo oggi e preferiamo non rammenta[...]

[...]i progresso nella eterna ‘mimesi’. Su tutto spicca la famosa definizione ‘de lineis’ tratta certo, e di presenza sensibile, da qualche opera di Parrasio: ‘Ambire enim se ipsa debet extremitas et sic desinere ut promittat alia post se ostendatque etiam quae occultat’. Definizione tanto aderente che la moderna storia della critica credette di scoprirla soltanto nell’Aretino che si era limitato a trascriverla letteralmente; per dirla schietta, a plagiarla.

Da quel passo superstite, uscito sicuramente dalla lingua viva degli studi greci, mi par che cominci quell’antologia della buona critica d’arte, di cui si vorrà dare qui una traccia sommaria, velocissima ; per trarne, potendo, un abbozzo di conclusione.

Crolla il mondo antico; tutti morti, i raffinati conoscitori grecoromani. Alla trascendenza del Medioevo non resta che umiliare ogni dottrina mondana e ridursi, per l’arte, a un’umile precettistica di laboratorio. Ma è tanto meglio per la critica diretta, perchè al momento buono le descrizioni dei ‘prati marmorei’ di Santa Sofia in Paolo Silenziario e i ‘tituli’ di tanti anonimi poeti sotto i mosaici romani, ci rivelano interpretazioni ineffabilmente libe[...]

[...] cuore del suo poema, la nostra critica d’arte. Lasciamo stare il peso sociale del passo, dove, per la prima volta, nomi di artisti figurativi son citati alla pari accanto a nomi di grandi poeti. Conta di più l’astrazione intensa dai soggetti di quelle carte ch’erano, c’è da presumerlo, scene atroci di torture legali, eppure le carte ‘ridono’ nella rosa dei colori. Conta altrettanto il rapporto posto, per dissimiglianza, tra Franco e Oderisi che già afferma il nesso storico fra opere diverse, nega cioè l’isolamento metafisico e romantico dell’ ‘unicum’, distrugge il mito del capolavoro incomunicante e imparagonabile. Conta, più di tutto, che Dante abbia subito qualificato quei colori con un sentimento di gioia ridente. Sebbene all’estremo sentimentale opposto, siamo già sul piano di Baudelaire quando conclude l’elenco dei colori nella ‘Caccia al tigre’ di Delacroix con la tetra esclamazione: ‘bouquet sinistre!5

Dopo l’ingresso supremamente autorevole di Dante nel museo immaginario della critica d’arte, è triste ma vero che Petrarca non vi ha luogo. Le ‘carte5 del ritratto di Laura dipinto da Simone non ridono nè piangono (nè danzano al rallentatore come ci aspetteremmo) ; restano mute per il grande poeta che non intendeva quella lingua e non glie ne vogliamo far carico. Anche la citazione della Madonna di Giotto che aveva in casa, non mostra che deferenza[...]

[...]iflettono che opinioni degli studi sul peso civile della pittura circostante. Semplici dichiarazioni di voto favorevole, e non più. Alla fine del secolo, Villani vorrebbe fare qualcosa di meglio, ma finisce per modellare i caratteri dei grandi pittori trecentisti sulla falsariga di Plinio. Comincia la parte meno brillante dell’umanismo.

Così, dopo il supremo accenno di Dante, in tutta la critica del Trecento non trovo di schietto, per l’antologia, che il nome di Bruno Datini, figlio di un mercante pratese. Si era alla fine del secolo quando Niccolò di Pietro Gerini, pittore di Firenze, gli andava vantando un suo Crocefisso ‘che, se venisse Giotto, non potrebbe megliorarlo’. Secco secco gli risponde Bruno: ‘Tu di’ vero? A me sembra di legno’. E perchè anche oggi, conoscendo bene il Gerini, sappiamo che Bruno aveva ragioni da venPROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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dere stroncandolo a quel modo, ma salvando in pari tempo Giotto dal sembrar di legno (come purtroppo sembra invece a tanti, segretamente, anche oggi) iscriviamo il nome d[...]

[...] Crocefisso ‘che, se venisse Giotto, non potrebbe megliorarlo’. Secco secco gli risponde Bruno: ‘Tu di’ vero? A me sembra di legno’. E perchè anche oggi, conoscendo bene il Gerini, sappiamo che Bruno aveva ragioni da venPROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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dere stroncandolo a quel modo, ma salvando in pari tempo Giotto dal sembrar di legno (come purtroppo sembra invece a tanti, segretamente, anche oggi) iscriviamo il nome di Bruno nell’antologia, quasi a maggior diritto del tenero Cennini che incanta per la lingua ove si trasmette qualche parola viva degli studi, ma poco veramente risuona di critica immediata.

Con quel che avvenne nell’arte subito dopo, sorprenderà sentirmi dire che la scelta antologica del Quattrocento non sarà di molto più ampia. Pure il riflesso diretto, parlato ’, dell’opera d’arte, è più scarso di quel che si dice. Ve n’è spesso il riflesso morale autorevolissimo, perchè, ad esempio, il peso del compianto del Brunelleschi per la morte di Masaccio (‘abbiamo fatto una gran perdita’) è immenso per cagione di chi[...]

[...] dopo, sorprenderà sentirmi dire che la scelta antologica del Quattrocento non sarà di molto più ampia. Pure il riflesso diretto, parlato ’, dell’opera d’arte, è più scarso di quel che si dice. Ve n’è spesso il riflesso morale autorevolissimo, perchè, ad esempio, il peso del compianto del Brunelleschi per la morte di Masaccio (‘abbiamo fatto una gran perdita’) è immenso per cagione di chi lo esprime; e non sarebbe se la stessa frase fosse riecheggiata, per sentito dire, dalle labbra di qualche togato umanista. Ma persino l’Alberti, che è l’Alberti, parlando dei ‘nuovi uomini’ dell’arte non sa far di meglio che pareggiarli agli antichi. Nuovi ed antichi? Sia pure. Ma si desiderava di più. Cresce, per altro, il nuovo mito della pitturascienza, il mito geometrico, neoeuclideo, la deificazione delle norme, delle proporzioni, degli ordini. E tutto perciò finisce in trattato, non in critica accostante. Gran cosa se, dalla serqua degli enunciati albertiani, si cava il tratto calzante sull’ ‘ amistà dei colori5 o quest’altro più delicato : ‘ Sarà circolo forma di superficie quale un’intera linea quasi come una ghirlanda l’advolge.’ L’‘esprit de finesse’ vince qui sulT ‘esprit de géométrie’, e il circolo astratto si[...]

[...]an cosa se, dalla serqua degli enunciati albertiani, si cava il tratto calzante sull’ ‘ amistà dei colori5 o quest’altro più delicato : ‘ Sarà circolo forma di superficie quale un’intera linea quasi come una ghirlanda l’advolge.’ L’‘esprit de finesse’ vince qui sulT ‘esprit de géométrie’, e il circolo astratto si rianima quasi in un serto di Luca della Robbia. Ma son luoghi rari.

Con più grave scandalo, soggiungo che non avrà luogo nell’antologia neppure la celebre descrizione ghibertiana del ‘Temporale’ di Ambrogio Lorenzetti, che non è la descrizione di un dipinto fatto da mano d’uomo, ma solo di un accidente meteorologico esterno. Per la stessa ragione non vi accoglierò neppure le molte descrizioni premature di Leonardo per quadri che nessuno, neppure lui, potrà mai dipingere. Qui si vaga nella selva spessa dei temperamenti, in piena psicologia preartistica. La mira è ambiziosa, ma troppo lontana e perciò, criticamente, non potrebbe far centro.

In questa scarsezza di testi, bisognerà tornare a riflessi più esterni ma pur significativi. Perchè non aggiungere almeno l’episodio dei confratelli di Arezzo che, poco dopoIO

ROBERTO LONGHI

la metà del secolo, salgono tutti a Borgo per collaudare lo stendardo di Piero della Francesca e, dopo che ‘commendaronolo essere bello5, se lo portan sul carretto in città? Questa è la formula ideale del ‘giudizio subbiettivo con pretesa di validità universale5. Ma, conoscendo Piero, e il suo s[...]

[...]cesca e, dopo che ‘commendaronolo essere bello5, se lo portan sul carretto in città? Questa è la formula ideale del ‘giudizio subbiettivo con pretesa di validità universale5. Ma, conoscendo Piero, e il suo stile grave, difficile, arcano, l’accettazione effettiva del suo quadro (i confratelli potevano infatti rifiutarlo) si colora di qualche riflesso critico.

Nel Cinquecento, e ad onta dei dinieghi dei nostri professori di dottrine, nell5antologia avrà un bel posto il Vasari nonostante i molti pregiudizi, anzi proprio per la forza con cui li sa scavalcare al punto giusto. Non era affar di nulla che uno dei principali attori del manierismo, com5era il Vasari, riescisse a ricuperare il senso vicino di certo grande Trecento, a risentirne perfino gli aspetti più diversi: da quello ‘difficile e nuovo5 di Giotto, alle ‘cose dolci e delicate5 dei senesi e persino al misterioso modo di ‘dipingere unito5 e fuso ch5era stato quello di Stefano e di Giottino. Maggior merito ancora quello di avere inteso, accanto a sè, una certa pittura ch’egli avr[...]

[...]e ‘usava di cacciarsi avanti le cose vive e naturali, e di contraffarle quanto sapeva il meglio con i colori, e macchiarle con le tinte crude e dolci, secondo che il vivo mostrava senza far disegno5, ci si accorge che basta stralciare il giudizio di condanna che vien subito dopo e conservare soltanto quel primo stupendo riflesso, per esser certi che il Vasari aveva bene inteso anche l’odiatissima pittura veneziana.

Qui pertanto tocca alPantologia anche il nome dell5 Aretino; e cioè non dove si prova nella innocua dialettica di comporre assieme pittura e scultura sotto Castrazione misticoplatonica del ‘disegno5 ‘da quando esso apparve in tavola o in sassi5 ; ma dove, fingendo di descrivere un drammatico tramonto sulla laguna, rende da grande prosatore (e perchè non anche da critico?) il caos coloratissimo della pittura di Tiziano.

Venuti al Seicento e a veder che strazio anche maggiore qui si faccia della verità, verrebbe voglia di rovesciare il tavolo e parlare addirittura dalla parte del cuore, che sta a sinistra. Così! Il Bellori[...]

[...]a dove, fingendo di descrivere un drammatico tramonto sulla laguna, rende da grande prosatore (e perchè non anche da critico?) il caos coloratissimo della pittura di Tiziano.

Venuti al Seicento e a veder che strazio anche maggiore qui si faccia della verità, verrebbe voglia di rovesciare il tavolo e parlare addirittura dalla parte del cuore, che sta a sinistra. Così! Il Bellori, il Félibien e i loro adepti, gli uomini che hanno oppresso e spregiato tutti i grandi rivoluzionari fondatori della pittura moderna, Caravaggio, Rembrandt, Velazquez e, poco manca, anche Rubens,PROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

Bernini, Cortona e Borromini, son questi su cui ha da fondarsi la storia della buona critica ? Perchè hanno principi ? Gran principi i sacchi sfiatati della vecchia idea platonica, ora alleatasi al razionalismo cartesiano, i sacchi del decoro, deirinvenzione che porta alla pittura a programma letterario, della composizione in astratto, e simili! Braccio secolare, c5è da rispondere, imprimatur e quel che segue. Ma, anche a rileggerli s[...]

[...]he porta alla pittura a programma letterario, della composizione in astratto, e simili! Braccio secolare, c5è da rispondere, imprimatur e quel che segue. Ma, anche a rileggerli senz’astio, si trova di peggio e cioè che costoro non intesero neppure i pittori che si volevano glorificare. Perchè nè i Caracci nè Poussin hanno mai pensato di anticipare Mengs e David, Canova e l’avello neoclassico; ma la critica di costoro vi ci porta difilato; è anzi già, per esteso, tutto il programma del neoclassicismo*

E così, dove cercare? Fra i collezionisti e mercanti, di Caravaggio, di Rembrandt e Velazquez? Anche lì certamente. Nel gesto di Rubens che libera i frati della Scala dal grave incomodo della ‘Morte della Vergine’ del Caravaggio, acquistandola per il Duca di Mantova, c’è più critica che in tutto il Bellori. Ma v’è anche la lingua degli studi che cresce ad ogni costo. Non soltanto la parola ‘naturalisti’ che si pronuncia su tutti i toni, dal deprecativo all’elogiastico, ma tante altre, immaginose, come ‘macchia, tocco, impasto, sprezzatura[...]

[...]ercare? Fra i collezionisti e mercanti, di Caravaggio, di Rembrandt e Velazquez? Anche lì certamente. Nel gesto di Rubens che libera i frati della Scala dal grave incomodo della ‘Morte della Vergine’ del Caravaggio, acquistandola per il Duca di Mantova, c’è più critica che in tutto il Bellori. Ma v’è anche la lingua degli studi che cresce ad ogni costo. Non soltanto la parola ‘naturalisti’ che si pronuncia su tutti i toni, dal deprecativo all’elogiastico, ma tante altre, immaginose, come ‘macchia, tocco, impasto, sprezzatura, lumi, fierezza’, che circolano dappertutto. O le immagini create alPimprovviso e magari per ischerno di fronte all’opera. Chi è infatti miglior critico fra il Passeri che condanna la ‘Veronica’ del Mochi perchè, avventandosi fuor della nicchia a San Pietro, contravviene al sacro principio di ‘statua’; e l’anonimo che, chiamando scherzosamente ‘canneto’ una facciata di Martino Lunghi, mostra almeno di intendere l’aspirazione direi quasi paesistica dell’architettura barocca?.

A quel tempo infatti, anche nel pensier[...]

[...]; e l’anonimo che, chiamando scherzosamente ‘canneto’ una facciata di Martino Lunghi, mostra almeno di intendere l’aspirazione direi quasi paesistica dell’architettura barocca?.

A quel tempo infatti, anche nel pensiero del secentista veneziano Boschini, ‘se vede caminar V architetura’ (nell’aria, naturalmente) ; e il Boschini è il più grande fra i critici del Seicento. Manco a dirlo scrive in dialetto e ne fa una lingua. Critica e storia sono già una cosa per lui se, nel pieno della decadenza circostante, egli riesce a un recupero meraviglioso della grande pittura veneziana di un secolo innanzi; e se vi riesce, non per forza di teorie, che anzi ha debolissime, ma per via immediata, sempre accanto all’opera.

‘Là in alto quella niola batimenta’ è il primo dei versi delicati che ci danno la perfetta trasposizione della pala di Tiziano alla Salute. Tanti altri bellissimi, e sempre in strenua polemica col disegno di Toscana, chiariscono i12

ROBERTO LONG HI

vibrati cromatismi della pittura di Jacopo Bassano: ‘tuta de colpi e tuta [...]

[...]ie e quele bote che stimo preciose piere fine3; o, ancora, il formidabile distico, grave come in un inno sacro del Manzoni, che chiude il passo sul ‘San Pietro Martire5 di Tiziano: ‘Gloria, divinità, teror, delito e in sito naturai chi fuze e teme5. Tratti da girare agli storici della poesia.

Il Boschini è, del resto, l'ultimo gran segno della buona critica italiana. E che maggior posto occorra, di qui in poi, fare alla Francia, è intuibile già dalla maggior libertà, dal ‘libertinaggio5, per parlare in quel gusto, con cui tutte le nuove idee circolano fra loro più che da noi. I nostri migliori nel Settecento ne sono, del resto, già un riflesso. E non voglio far torto agli inglesi più brillanti, dal Richardson al Hogarth, ma i francesi, sian classicisti o sensisti,o compongan le due cose, sono ancora i più penetranti, i più liberi.

Caylus, archeologo per la pelle ma amico di Watteau, addita esplicitamente, ai letterati che s5impaccian di pittura s enza previa preparazione, la lingua artistica degli studi : ‘ Cette langue plus vivante qu5aucune autre et qui se ressent toujours du feu qui l5a fait naitre5.

Il Falconet, polemizzando agilmente in favore della scultura ‘pittorica5, mette nel sacco nientemeno che il tede[...]

[...]mo giustifica criticamente tutto il migliore barocco dal Bernini in poi.

Persino una teoria falsa come quella delPornato, serve, chi lo crederebbe?, al Fénélon per concludere che c5è un mezzo per far buona architettura, quello cioè di voltare in ornamento proprio le parti costruttive delPedificio. Un aforismo così geniale, come annotava cinquantanni fa, riscoprendolo, Rémy de Gourmont, da sconvolgere tutte la dottrine classicistiche e, soggiungiamo, da riammettere stabilmente l5architettura in seno alla ‘figurazione5. Questo era saper maneggiare idee che servano alla buona critica.

Non senza merito del xvm&ne cresce infatti la gloria dell5Ottocento francese. Perchè, sùbito dopo il congedo offerto severamente da Hegel a tutta Parte figurativa, scoppia egualmente la grande pittura romantica e accanto le combatte la grande critica romantica.

SainteBeuve trovava miracoli di aderenza nelle tante descrizioni di dipinti stese da Théophile Gautier che oggi ci sembrano così smorte; ma allo scrittore che ha saputo colpire talora nel segno, come quando definiva le presuntePROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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caricature di Leonardo:[...]

[...]plicativa, che tutti rammentano. Ed oggi si potrà limitare la validità poetica della quartina e quella critica del commento, ma resta che, nella forma più ingenua, primitiva, qui è il programma di tutto un discorso critico che sia insieme di contatto diretto con l’opera e di evocazione di un gusto circolante attorno ad essa. E si può anche domandarsi se, sulla pittura di Delacroix, sia stato mai scritto di più illuminante che quella quartina.

Già previsto dallo stesso Baudelaire, e non tanto nella deboluccia ‘Lola de Valence’ quanto nelle ‘beautés météorologiques’ avvertite inBoudin, ecco l’impressionismo: ed è significante che, chi ne voglia trovar riflessi naturali e tuttavia invincibilmente critici (come altrimenti chiamarli?), li debba, piuttosto che nei critici ‘attitrés ’, ancora poeticamente impreparati, cercare e trovare nei poeti veri lì come Verlaine e il primissimo Rimbaud; ma queste cose le ha già mostrate, or ora, un giovane critico italiano.

Resto più incerto se a quel fine riuscisse altrettanto il ‘parnassismo ermeti[...]

[...]sso Baudelaire, e non tanto nella deboluccia ‘Lola de Valence’ quanto nelle ‘beautés météorologiques’ avvertite inBoudin, ecco l’impressionismo: ed è significante che, chi ne voglia trovar riflessi naturali e tuttavia invincibilmente critici (come altrimenti chiamarli?), li debba, piuttosto che nei critici ‘attitrés ’, ancora poeticamente impreparati, cercare e trovare nei poeti veri lì come Verlaine e il primissimo Rimbaud; ma queste cose le ha già mostrate, or ora, un giovane critico italiano.

Resto più incerto se a quel fine riuscisse altrettanto il ‘parnassismo ermetico’ di Mallarmé. I suoi foglietti su Manet e la Morisot rendono poco e la sua interpretazione più calzante, in queste nostre parti, è purtroppo quella di un mediocre vaso inglese dell’epoca : c Surgi de la croupe et du bond*4

ROBERTO LONGHI

d’une verrerie éphémère sans fleurir la veilleé amère le col ignoré s’interrompt5. Per verità, troppo fragile.

Ed è vero che* sùbito dopo, appare un critico specialmente addetto ai movimenti figurativi moderni, anzi, a [...]

[...]ensi té angoisse’.

E, senza che si voglia seguire in ogni particolare fino ad oggi tutti i benefici portati nella critica d’arte dalla letteratura di Francia, almeno un nome sarebbe duro tacere, ed è ancora il nome di un poeta, Valéry. Ma quel che è più significativo per noi, ad onta dei tanti suoi limiti di estetismo tecnico classicizzante, è ch’egli non si è mai spinto più in alto in critica d’arte che quando, ad un tempo, saliva in poesia. Giacché le osservazioni dell’ ‘Eupalinos’ possono ancora trovare un arresto nella soverchia agghindatura, ma questa cede e si scioglie affatto in quel c Cantico delle colonne ’ che resta, alla fine, la interpretazione più eccelsa che della carne viva, spirante, (‘chair mate et belles ombres’) di certa architettura greca si sia mai data in poesia.

Meglio tacere del séguito. I troppi riflessi pratici dei fatti d’arte moderna in Francia, mercati, profezie premature dei nuovi valori ed altro, hanno portato a una deviazione in forma di oratoria pubblicistica, che non ha mancato di agganciarsi per v[...]

[...]na deviazione in forma di oratoria pubblicistica, che non ha mancato di agganciarsi per vie traverse all’eloquenza di cattedra universitaria (ove se ne salvino le pagine più illuminanti del Focillon) ed oggi si trascina nelle perorazioni spesso indiscriminate delle ‘gens du Louvre’. E, anche passando

lPROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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all’altro estremo, non mi sentirei di riporre in una classe diversa (e perciò di accogliere nelPantologia) nè le spiegazioni accomodate di un pur vero poeta come Apollinaire nel libro sui suoi cubistici amici, nè le c poesie di servizio 5 dedicate ai pittori surrealisti, e in primis a Picasso, da Paul Eluard. Sulla buona linea citerei invece, nell’ultimo ventennio, soltanto gli apologhi di Jean Paulhan su Braque e le trascrizioni intime, allucinanti, da Gerolamo Bosch negli ‘Insectes’ di Henri Michaux, e cioè ancora un vero poeta ma fuori dei programmi e dei manifesti.

Qui finiscono ad oggi le mie proposte per un’antologia della critica d’arte immediata, dove, come s’è visto, i nomi dei poeti [...]

[...]bro sui suoi cubistici amici, nè le c poesie di servizio 5 dedicate ai pittori surrealisti, e in primis a Picasso, da Paul Eluard. Sulla buona linea citerei invece, nell’ultimo ventennio, soltanto gli apologhi di Jean Paulhan su Braque e le trascrizioni intime, allucinanti, da Gerolamo Bosch negli ‘Insectes’ di Henri Michaux, e cioè ancora un vero poeta ma fuori dei programmi e dei manifesti.

Qui finiscono ad oggi le mie proposte per un’antologia della critica d’arte immediata, dove, come s’è visto, i nomi dei poeti e dei prosatori (e qui occorrerebbe aggiungere Ruskin giustamente tenuto dagli inglesi per uno scrittore classico) hanno tanto e più spazio che quelli dei critici ‘attitrés ’ e degli storici più creduti, ma non per questo più efficienti. E non parliamo degli estetici puri. Come va questa storia? Perchè bisognerebbe ora tirar brevemente le fila.

Obiezioni principalissime, facili a prevedere. Prima: di che legittimità sia il trasporre un’opera d’arte figurativa in altra di mezzi e limiti tanto diversi come la letteraria; [...]

[...]s ’ e degli storici più creduti, ma non per questo più efficienti. E non parliamo degli estetici puri. Come va questa storia? Perchè bisognerebbe ora tirar brevemente le fila.

Obiezioni principalissime, facili a prevedere. Prima: di che legittimità sia il trasporre un’opera d’arte figurativa in altra di mezzi e limiti tanto diversi come la letteraria; e qui sembrerei il meno adatto a rispondere per essere sempre stato uno dei più strenui partigiani della distinzione. Ma chi me la rimproverava (ed era il Croce), non sembrò intendere che l’esigenza era soltanto storicistica, quella cioè di affermare la continuità (non dico l’eternità, perchè la critica non arrischia profezie), la continuità di una ostinatamente diversa condizione umana tra arte e letteratura. Ma, per la necessità di una critica parlata nel nostro campo, già serviva la confessione, anch’essa storicizzante, del Croce stesso: ‘chè, se non tutti disegniamo o dipingiamo, tutti parliamo’. Era già un appoggio serio; e si può ancora rinforzarlo con un passo, che sembra commentarlo, di Valéry prosatore: ‘tous les àrts vivent de paroles. Tout oeuvre exige qu’on lui réponde et une littérature écrite ou non, immédiate ou méditée est indivisible de ce qui pousse l’homme à produire \ Necessità dunque anche per noi di servirci di questa via di grande comunicazione.

Seconda obiezione. Dato, e non concesso, che la migliore critica d’arte sia la diretta e riuscita espressione (e irx quanto tale anch’essa inevitabilmente ‘letteraria’) dei sentimenti sollecitati da un dipinto, dove trovare il pu[...]

[...]dipinto, dove trovare il punto di consenso possibile sul nuovo risultato così ottei6

ROBERTO LONGHI

nuto? Ma se Parte stessa è storicamente condizionata, come non lo sarebbe la critica che la specchia, la specula ? E di questo le si dovrebbe far carico ? Qtliì è anzi il punto per battere in breccia quegli ultimi relitti metafisici che sono i principi del capolavoro assoluto e del suo splendido isolamento. L’opera d’arte, dal vaso dell’artigiano greco alla Volta Sistina, è sempre un capolavoro squisitamente ‘relativo’. L’opera non sta mai da sola, è sempre un rapporto. Per cominciare: almeno un rapporto con un’altra opera d’arte. Un’opera sola al mondo, non sarebbe neppure intesa come produzione umana, ma guardata con reverenza o con orrore, come magia, come tabù, come opera di Dio o dello stregone, non dell’uomo. E s’è già troppo sofferto del mito degli artisti divini, e divinissimi; invece che semplicemente umani.

È dunque il senso dell’apertura di rapporto che dà necessità alla risposta critica. Risposta che non involge soltanto il nesso tra opera e opere, ma tra opera e mondo, socialità, economia, religione, politica e quant’altro occorra. Qjui è il fondo sodo di un nuovo antiromanticismo illuminato, semantico, terebrante, analitico, empirico o quel che volete, purché non voglia svagare. L’opera d’arte è una liberazione, ma perchè è una lacerazione di tessuti propri ed alieni. Strappandosi, non sale in ci[...]

[...] come chiamarli). Per un esempio: la costruzione quasi molecolare del destino terrestre del pittore Elstir nel poema (o romanzo storico) di Proust può servire di eccellente modello al critico (dunque allo storico) dell’arte permeglio intrecciare ad infinitum le cosiddette ‘biografie spirituali5 dei suoi protagonisti, in una vera e propria ‘rePROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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cherche du temps perdu’. E chi dice che quell’esempio non abbia già fruttificato?

Per citare pochi esempi: la mediocre eleganza di un J.Emile Bianche come pittore non è, io credo, ragion sufficiente per dimenticare la sua eccellenza di memorialista, di evocatore di atmosfere per l’arte francese del tardo Ottocento. Ricordate il suo brano su Lautrec? 6Degas... et puis enfin, Lautrec vint! Il apparut avec les « Girls » maigres aux triples jupons que relèvent et bousculent des jambes roses dans un nuage mousseux de linge blanc. Il venait à l’heure où la chanson anglaise, la skirtdance, le comique en chapeau mélon, pantalon écossais, enseignerait le chahut lon[...]

[...]s robes de « baby », leur ferònt visàvis, coiffées de la capeline Kate Greenaway’. O le schede rianimate su Raffaelli, su Vuillard, su Roussel;

o il passo quasi divinante su Gustave Moreau: ‘C’est chez lui, croiraiton, dans son atmosphère, qu’à l’amour de la nature, aux sentiments simples qui inspirèrent Gorot et les impressionnistes, se substitue la spéculation esthétique comme condition de l’oeuvre picturale congue en vase clos’. E non sono già, codesti, riflessi del ‘metodo’ proustiano?

O, mi si consenta, vagando in una zona più antica e in apparenza meno ricuperabile, di rileggere questa atmosfera del gotico morente in Lombardia: CI1 gusto più antico, eppur duro a morire, la singolare poetica « che i Melanesi accampa » ancora verso il 1460 ed oltre, sembrano il trionfo di una lussuosa follia profana. « Qua se sfogia et triumpha cum recami de perle ». Si fanno perfino ritratti ai cani delle mute ducali (« retrato d’un cane giamato Bareta »). Tutto il cosmo pare volersi ridurre, depresso, entro la breve doga dorata di una carta da tarocco. Negli affreschi dei castelli la sollecitudine dell’ordinatore è che « si vegga la sua Signoria mangia in oro ». Sulle pareti, duchi e famigli, addobbati nei capolavori di moda degli « zibelari » lombardi, cavalcano in un sogno di profanità fulgida e assurda. Ai loro piedi i prati si tramutano per incanto in bordi di alto liccio : i boschi dei feudi lontani si decalcano in un firmamento ormai tutto percorso dalle peripezie geroglifiche delle costellazioni araldiche famigliari; al di là delle Prealpi, brune come di cuoio impresso, coronate da manieri in pastiglia, il cielo a rombi bianchi e morelli scricchiola come le vetrate dell’oratorio di Corte nell’ossatura di peltro. Ogni veduta, ogni att[...]

[...]ello, anch’esso ‘critico’, del romanzo storico: metodo evocativo, polisenso, ‘trame tenue de tremblants préparatifs’. L’impegno assunto /dal Manzoni nel 1822 : ‘ Io faccio quel che posso per penetrarmi dello spirito del tempo che debbo descrivere, per vivere in esso’, è buono anche per noi e ci stringe a concludere che nella ripresa parlata del fatto più profondo e in apparenza meno motivatile dell’uomo com’è il produrre artistico, composto, non già di azioni e reazioni palmari, ma di sempre diverse ‘condizioni libere’, di occasioni imprevedibili e velate, non è alla fine da pretendere più che a una verisimiglianza non contradicevole, mai ad una certezza spietata e documentata che, del resto, è dubbio se abbia veramente luogo in alcuna storia e persino in quella della scienza.

Questi i pregi di una critica d’arte che voglia, ‘ de ipso iure’, convertirsi in istoria. Altro non ci è dato richiedere. Opere ‘storicamente condizionate’ e critica ‘storicamente condizionata’ chiedono e rispondono perennemente come specchi successivi che, di t[...]



da Voce enciclopedica di G.Pr [Giovanni Primavera], Siria in Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S)

Brano: [...] dirigenti siriani a convogliare gran parte del bilancio dello Stato nelle spese militari, con grave pregiudizio per lo sviluppo economico complessivo del paese.
Cenni storici
Sede di antiche civiltà e bene amministrata dagli occupanti arabi tra il VII e il XV secolo, dal 1516 la Siria venne occupata dai turchi, subendo da allora un processo di decadenza protrattosi fino al dissolvimento dell'Impero Ottomano seguito alla Prima guerra mondiale. Già da alcuni decenni i nazionalisti arabi lottavano per l'indipendenza del paese e il 30.9.1918 i guerriglieri beduini, capeggiati da Faisal (figlio del re dell'Arabia) e dall'agente britannico D.H. Lawrence, a fianco delle truppe inglesi comandate dal maresciallo E. Hinman Allenby (futuro alto commissario per l'Egitto e il Sudan), entrarono a Damasco. Nel luglio 1919 il Congresso nazionale siriano, riunito nella Capitale, rivendicò l'indipendenza politica per uno Stato comprendente i territori degli attuali Siria, Libano, Giordania e Israele, da erigersi In unica monarchia costituzionale sotto Faisal, ma tale progetto fu respinto dalle potenze colonialiste che si contendevano il dominio dell'intero settore. In effetti[...]

[...] Giordania e Israele, da erigersi In unica monarchia costituzionale sotto Faisal, ma tale progetto fu respinto dalle potenze colonialiste che si contendevano il dominio dell'intero settore. In effetti fin dal 1916 (accordo segreto SykesPicot) i governi di Francia e Gran Bretagna avevano deciso di spartirsi tra loro tutta la vasta regione, tradendo le promesse fatte ai nazionalisti arabi per indurli a combattere i turchi: in base al piano segreto già previsto, Iraq, Palestina e Transgiordania passarono così sotto tutela britannica, mentre Siria e Libano furono affidati a un "mandato" francese che praticamente riduceva entrambi i paesi a uno stato di soggezione coloniale.
Nella nuova situazione, il Congresso nazionale siriano proclamò l'indipendenza della SiriaPalestina, ri
conoscendo il diritto del Libano a una certa autonomia, ma tale decisione non venne accettata dalla Francia e, nel luglio dello stesso anno, un corpo di spedizione francese occupò Damasco. Faisal, evidentemente convinto dagli inglesi, si diede alla fuga e nel 1921 div[...]

[...]el marzo 1943 venne ripristinata la costituzione e, nelle elezioni del luglio, il Blocco nazionale conquistò la maggioranza, eleggendo alla presidenza della repubblica Shukri Al Quwali. Le truppe francesi abbandonarono il paese nel 1946.
Secondo dopoguerra
La sconfitta dei paesi arabi nella guerra araboisraeliana del 1948 (v. Israele), cui la Siria aveva partecipato a fianco dell'Egitto, della Transgiordania, dell'Iraq e del Libano, aggravò la già difficile situazione economica e sociale del paese. Oltre alla eterogeneità etnica e religiosa (tra musulmani sunniti, alauiti, drusi e varie confessioni cristiane), in Siria erano infatti presenti gravi sperequazioni sociali ed economiche fra abitanti dei centri urbani da una parte, contadini e nomadi dall'altra, tali da rendere esplosiva la situazione. Notabili e latifondisti (per la massima parte sunniti), che avevano guidato la lotta per l'indipendenza, si dimostrarono incapaci di gestire lo Stato unitario uscito dal mandato. All'interno della classe media e tra le minoranze (drusi e alau[...]

[...]e interne, rifiutava ogni concessione sul piano sociale. D'altra parte la repubblica siriana aveva strutture più democratiche rispetto alle monarchie arabe confinanti, non aveva quella pressante necessità di mantenere un equilibrio di rapporti interni fra cristiani e musulmani (come era il caso del Libano) e godeva della presenza di un ceto intellettuale che, fin dal secolo scorso, aveva dato un contributo fondamentale alla formazione dell'ideologia del nazionalismo arabo.
Al Blocco nazionale che reggeva il governo (diviso in un partito filosaudita e in uno filoirakeno) si contrapponevano i socialisti e il Ba'th (un piccolo movimento fondato nel 1943 da Michel Aflaq) che raccoglievano adesioni fra studenti, gruppi di ufficiali dell'esercito e fra le minoranze.
Colpi di stato
Nel dicembre 1948, quando scoppiarono sommosse contro il governo, il presidente della repubblica Shukri Al Quwatli, con l'appoggio dell'esercito, ricorse alla forza. Si ebbe così il primo di una lunga serie di colpi di stato (29.3.1949), guidato dal colonnello Hos[...]

[...]e scoperte tendenze filoirakene di Hinnawi provocarono tuttavia in dicembre un terzo colpo di stato, messo in atto dai colonnelli Fawzi Salu e Adib Shishakli; quest'ultimo, nel novembre 1951, con un quarto colpo di stato assunse infine tutti i poteri. Nessuno dei colonnelli succedutisi al governo del paese in tre anni aveva però seguito una politica di rinnovamento, limitandosi essi sostanzialmente a mantenere lo status quo, in qualche modo appoggiati dai funzionari del precedente governo civile.
II 10.7.1953 Shishakli, consolidatosi al potere, fece approvare una costituzione che reintroduceva la repubblica presidenziale, e dopo aver indetto per l'ottobre dello stesso anno nuove elezioni, autorizzò in settembre la ricostituzione dei disciolti partiti politici. Le opposizioni boicottarono la farsa elettorale e le elezioni furono vinte dal Movimento di liberazione arabo, il partito che Shishakli stesso aveva appositamente fondato nel 1952. Alle proteste dell'opposizione il dittatore rispose arrestandone i leader (novembre 1953), ma pochi [...]

[...]sso anno nuove elezioni, autorizzò in settembre la ricostituzione dei disciolti partiti politici. Le opposizioni boicottarono la farsa elettorale e le elezioni furono vinte dal Movimento di liberazione arabo, il partito che Shishakli stesso aveva appositamente fondato nel 1952. Alle proteste dell'opposizione il dittatore rispose arrestandone i leader (novembre 1953), ma pochi mesi dopo egli stesso venne destituito da un nuovo colpo di stato capeggiato dal colonnello Feisal Al Atassi (febbraio 1954).
Intanto, dal 1949 al 1954, era cresciuta l'influenza del Ba'th e del Partito comunista siriano che, fondato nel 1924 e guidato (dal 1935) dal curdo Khaled Begdash, si era battuto fin dal 1944 per una politica di liberazione nazionale e per una rivoluzione nazionaldemocratica, da realizzarsi sulla base di un ampio schieramento politico.
L'intrusione americana
Quegli stessi anni Cinquanta videro la massiccia entrata in scena de
gli U.S.A. nel Medio Oriente. II programma enunciato nel 1949 dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman, da un[...]

[...]che abolì la nazionalizzazioni imposte dalla R.A.U., corresse drasticamente la riforma agraria e ricercò l'alleanza irakena. Ma, di fronte a questa involuzione, i giovani ufficiali del Ba'th costituirono un'organizzazione clandestina e, 1'8.3.1963, fecero il loro colpo di stato, costituendosi in Consiglio nazionale del comando della rivoluzione (C.N.C.R.).
La politica del Ba'th
Il Ba'th (che significa letteralmente "Rinascita") aveva una ideologia radicalborghese e laica elaborata da Michel Aflaq, secondo il quale il nazionalismo e non la fede religiosa doveva costituire la principale forza di unificazione del mondo arabo. Grazie al suo laicismo il Ba'th era quindi in grado di superare le profonde divisioni sussistenti in Siria tra le varie minoranze religiose che non potevano unirsi sotto la bandiera dell'Islam sunnita. Sorto come si è detto nel 1943, dopo un decennio di vita stentata questo movimento aveva avuto una svolta decisiva nel 1953, grazie alla sua fusione con il Partito socialista arabo guidato da Akram Awrani. Era sorto co[...]

[...]mpadronirsi completamente del potere, furono sconfitti
e il loro fallimento rinforzò il Ba'th, che portò alla presidenza del C.N. C.R. Amin Al Hafiz. Nell'aprile 1964 fu promulgata una nuova costituzione (provvisoria) che assegnava il potere legislativo al C.N.C.R. e vennero al tempo stesso avviate misure di nazionalizzazione e di ri, forma agraria di tipo socialista. Queste misure provocarono in diverse parti del paese (soprattutto fra gli artigiani e i commercianti della città, per lo più sunniti) disordini antigovernativi capeggiati dai filonasseriani e dalla setta islamica dei Fratelli musulmani, disordini motivati dal fatto che il Ba'th e l'esercito reclutavano molti dei loro quadri tra le minoranze etniche, in particolare fra gli alauiti.
L'esercito represse duramente le proteste e, dopo un breve interregno di Bitar, Hafiz tornò a presiedere il C.N.C.R. accelerando il programma di nazionalizzazione delle grandi imprese commerciali e indu striali, nonostante l'opposizione di vasti strati della borghesia. Agli oppositori, il nuovo regime fece fronte istituendo un tribunale militare speciale.
D'altra parte, i conflit[...]

[...]ssad riuscì a guadagnarsi l'adesione di buona parte della borghesia mercadora che si era rapidamente sostituita all'aristocrazia fondiaria, formando un nuovo strato sociale urbano strettamente le gato allo Stato e ai militari. Bloccate le nazionalizzazioni e acquistato un certo seguito anche fra i sunniti (nonostante che il Ba'th si identifichi, in Siria, con il partito degli alauiti, cioè di una minoranza numericamente insignificante), e fronteggiando l'opposizione interna dei Fratelli musulmani con i Servizi di sicurezza, il regime di Assad si è posto il compito di realizzare gli obiettivi strategici dei governi che l'hanno preceduto: stabilire la supremazia siriana nella "mezzaluna fertile" attraverso il controllo del Libano, della Giordania e della Palestina (ossia dell'O.L.P.) , cercando di tener fuori da questa zona, attraverso vari sistemi di alleanza, Iraq ed Egitto. In tale quadro sono da considerare l'intervento del 1976 ire Libano (cioè, in giugno, l'occupazione militare della valle della Beqaa e, nell'ottobre, il riconoscimen[...]



da Arnaldo Pizzorusso, Lahontan e gli argomenti del selvaggio in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]ur et de sagesse parmi eux. Il y a six ans que je ne fais que penser à leur état » (DL, 199). Il suo pensiero e le sue tesi sono, agli occhi del lettore, le tesi stesse del buon senso.
2. Nella tradizione secolare delle concezioni e dei miti relativi alla bontà e alla felicità naturale, quale sarà l'apporto di un singolo autore? Un apporto limitato, certo, nella prospettiva della storia delle idee. Ma si offrono a Lahontan, come a non pochi viaggiatori prima di lui, elementi o frammenti di realtà che sembrano confermare la tradizione ideale. Esistono luoghi dove la felicità primitiva è ancora in atto. Esistono uomini che trovano la piú completa soddisfazione nella sorte e nei beni offerti dalla natura. Secondo il detto di Alain de Lille: Exiguum natura desiderat, opinio immensum 4. Ora il concetto di natura, pur nella molteplicità delle sue accezioni 5, implica il riferimento a una condizione dell'uomo conforme (o ritenuta conforme) alla sua essenza.
Non credo che si possa indicare nell'opera di Lahontan un'analisi e una distinzione te[...]

[...]notazione positiva: verrà un giorno, dichiara Adario, in cui chiamerete selvaggi « tous les François qui seront assez sages pour suivre exactement les véritables règles de la justice et de la raison » (DL, 231). L'autore rivendica del resto apertamente, e non solo per bocca di Adario, la sua opzione: chi vede in lui un apologista dei selvaggi e (quindi) uno di loro, gli fa, senza saperlo, un grande onore (MM, 81).
Come è stato osservato', i viaggiatori del Seicento non si sono limitati a riesporre l'antica teoria della bontà naturale e primitiva, ma hanno cercato di suffragare la teoria con fatti e testimonianze. Tuttavia la tesi di fondo rimane l'idea o il presupposto che, per consenso universale, il male sia contro natura. Cosí Adario: « Y atil un seul homme au monde qui ne conoisse, que le mal est contre nature, et qu'il n'a pas été créé pour le faire? » (DL, 210). Le osservazioni degli Europei sulla bontà dei selvaggi recano la conferma di questo principio. Tale è, per Adario, la definizione dell'uomo: « J'appelle un homme celui qui[...]

[...]es en général. Nous les pratiquons naturellement dans nos Villages [ ... ] » (DL, 181). Ciò che il grande Spirito esige da tutti gli uomini non è forse una morale universale? Il selvaggio che la mette in pratica non può forse configurarsi come un modello? È possibile limitare la sua libertà morale, la sua anima esente dalle passioni? Ma per questo l'Europeo, che ha conosciuto e conosce il morso delle passioni, dovrebbe domarle e sopprimerle (non già tentare di soddisfarle). Adario gli suggerisce: « E...] si tu veux devenir le Roi de tout le monde, tu n'auras qu'à t'imaginer de l'estre, et tu le seras » (DL, 206).
3. La società dei selvaggi è una società anarchica, in primo luogo, nel senso classico di dvapxfa: condizione di un popolo senza capo. Come scrive il contemporaneo Nicolas Perrot, che visse a lungo nella Nouvelle France, quei popoli non conoscono l'obbedienza: « Le père n'oseroit user d'authorité envers son fils, ny le chef, de commandement sur son soldat [ ... ] »8. Ma Lahontan pensa all'Europa: introdotta in Europa, l'anarchi[...]

[...]aggi nel paese colonizzatore, affinché potessero vedere « a better condition than their own, and commend it when they return » 11. Non aveva previsto, a quanto sembra, la possibilità che il confronto producesse un esito opposto. « Vivere senza leggi » è la divisa dei selvaggi: Adario, che ha visitato Parigi, insinua che una riforma degli abusi introdotti dall'interesse potrebbe portare anche i Francesi, un giorno, a vivere senza leggi 12. L'apologia delle leggi, affidata al Lahontan dialogante, è dogmatica e tuttavia inefficace. Adario incalza: come difendere l'uso del danaro, ignoto ai selvaggi, e il prestigio che ne deriva?
9 Histoire de Juliette ou les prospérités du vice, in SADE, Oeuvres complètes, Paris, t. xxii, 1967, p. 224.
10 H. L'ESTRANGE, Americans no Lewes, or Improbabilities that the Americans are of that Race, London, 1652 [1651], p. 72, cit. da G. GLIozzI, Adamo e il Nuovo Mondo, p. 435.
" F. BACON, Essays, LondonNew York, 1955, p. 106.
12 DL, 196. Come nota S. LANDUCCI, I filosofi e i selvaggi (15801780), Bari, 1972[...]

[...]oient souffrir une telle injustice, qu'ils ne prinsent les autres à la gorge, ou missent le feu à leurs maisons (Essais, i, xxxi)
L'immagine del mendicante, che reca sul volto i segni strazianti dell'inedia, è del tutto estranea al quadro esemplare dell'umanità primitiva. La nudità del mendicante non è quella del selvaggio! Ma Adario non si è lasciato ingannare dalle apparenze, dalle conoscenze, dai lumi. Non ha creduto alla felicità dei privilegiati. Ha visto, e può testimoniare sulla condizione di chi è privo di ogni risorsa. Non è cristiano, ma la sua filosofia di selvaggio lo porta a chiedersi: « Comment verroisje languir les Nécessiteux, sans leur donner tout ce qui seroit à moy? » (DL, 208). Un tale dono sarebbe non solo un soccorso pietoso, ma anche, e soprattutto, un atto condizionato dalle abitudini di Adario, dai costumi del popolo a cui appartiene. Già riferiva Lescarbot: « Il n'y a point de pauvres, ny de mendians entre eux. Tous
13 MM, 96. M. ROELENS, Lahontan dans l'Encyclopédie'..., cit., pp. 189 ss., indica un rapporto fra questa pagina e un passo della Histoire des Deux Indes, dove è sottolineata la condanna, da parte dei selvaggi, della « ineguaglianza delle condizioni ».
132 ARNALDO PIZZORUSSO
sont riches, en tant que tous travaillent et vivent » 14. A questa condizione di elementare giustizia si contrapponeva la condizione delle società europee, dove (sempre secondo Lescarbot) la metà e piú della popolazione viveva del lavoro al[...]

[...]o: una rivolta dei soldati contro i loro capi sarebbe come una rivolta degli animali contro gli uomini; né i soldati né gli animali debbono informarsi sul perché della loro morte... Al soldato non spetta filosofare (DL, 240).
4. A questi neri colori si contrappone l'idillica pittura della società degli Uroni. Tale pittura tende a mostrare che l'eguaglianza non deve comprendersi come un principio astratto, ma come un modo di vita di cui ogni viaggiatore o colono può essere testimone. E tuttavia le particolarità dei costumi sono descritte senza perdere di vista il principio: Tout est égal entre eux (MM, 116). L'eguaglianza implica l'assenza di ogni genere di subordinazione: i capi proclamati dai guerrieri danno non ordini ma consigli (anche se, di fatto, i loro consigli sono seguiti come ordini). Adario è fiero della libertà del suo popolo, il che lo induce, nei confronti del suo interlocutore, a un mite proselitismo: Croimoy, fais toy Huron 19. Farsi Urone significherebbe principalmente questo: accettare il principio dell'eguaglianza, e [...]

[...]
Rifiutano di lasciarsi istruire in materia di religione, sebbene, in base agli articoli di fede professati da Adario, il lettore debba essere indotto a pensare che le concezioni religiose degli Uroni non si discostino di molto dalle concezioni cristiane. Sono, come scriverà uno studioso ottocentesco, Peter D. Clarke, the laws of nature and of nature's God 22? O non piuttosto concezioni molto (forse troppo) vicine a quelle dei Philosophes, come già insinuava Antoinejoseph Pernety?
Le Baron de Lahontan prête aux Indiens du Canada, et beaucoup d'Auteurs rapportent des autres Peuples du nouveau Monde, des raisonnemens si justes et si abstraits sur l'Etre souverain, sous le nom du grand Esprit, qu'on les diroit puisés dans les écrits des Philosophes.
Lo stesso Pernety aggiungeva però:
Mais enfin quoiqu'ils n'ayent ni culte, ni religion, ils disent que ce grand esprit contient tout, qu'il agit en tout, que tout ce qu'on voit, tout ce qu'on connoît est lui, qu'il subsiste sans bornes, sans limites, sans figures; ce qui fait qu'ils le trouv[...]

[...]s écrits des Philosophes.
Lo stesso Pernety aggiungeva però:
Mais enfin quoiqu'ils n'ayent ni culte, ni religion, ils disent que ce grand esprit contient tout, qu'il agit en tout, que tout ce qu'on voit, tout ce qu'on connoît est lui, qu'il subsiste sans bornes, sans limites, sans figures; ce qui fait qu'ils le trouvent en tout, et lui rendent hommage en tout 23.
Certo il giudizio di Lahontan non trova riscontro nella tradizione dei primi viaggiatori, da Cartier (« Cedict peuple n'a aucune créance de Dieu qui vaille ») a Champlain (« [Ils] ne sçavent que c'est d'adorer et prier Dieu, vivans comme bestes bruttes »), fino a Nicolas Perrot, cronologicamente assai vicino a Lahontan (« Il est constant qu'ils ne suivent pour ainsy dire aucune religion ») 24. Ma questa stessa ignoranza di ogni cerimonia e culto monoteistico, già notata da Champlain (« Chacun le [Dieu] prioit en son coeur, comme il vouloit ») e deplorata nelle relazioni dei Gesuiti 25, era presentata ora nella prospettiva positiva di un pluralismo o di un universalismo religioso. Quali che siano state in realtà la forma e i limiti in cui
22 Origin and Traditional History of the Wyandotts, Toronto, 1870, cit. da H. P. Biggar nel commento della sua ediz. di J. CARTIER, The Voyages ..., Ottawa, 1924, p. 179.
23 A. J. PERNETY, Dissertation sur l'Amérique et les Américains, in C. DE PAUW, Recherches philosophiques sur les Américains, Berlin, m, 1770, p. [...]

[...]143), chi potrebbe impedire loro di distruggere gli uomini? Se gli uomini, inversamente, non avessero la facoltà di pensare, di ragionare e di parlare, certo non potrebbero recare la guerra ad altri uomini. Ciò che Adario contesta è la cultura della ragione, le « mille belle scienze » degli Europei, le scienze che sono il vanto del suo interlocutore n. Egli ne nega l'utilità, con la sola eccezione dell'aritmetica; nega l'utilità della scrittura (giacché ai selvaggi, per le necessità della guerra e della caccia, bastano i loro segni pittografici): « Ha! maudite Ecriture! pernicieuse invention des Européans, qui tremblent à la veue des propres chimères qu'ils se représentent euxmêmes par l'arrangement de vint et trois petites figures, plus propres à troubler le repos des hommes qu'à l'entretenir » (DL, 227). Questo è forse il supremo argomento di Adario (e del Lahontan autore); come se la scrittura, che è simbolo di chimere, fosse nello stesso tempo il simbolo di quella sfera ostile (la società), di cui si avverte la pressione e la persecu[...]



da Luigi Salvatorelli, L'azione cattolica in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]cattolico militante attraverso una vita cristiana integrale. Occorre formare, disse il secondo, non una massa rigidamente inquadrata, ma cellule vitali di vita cristiana; occorre rendere inquieti gli uomini per il regno di Dio, incitandoli sempre più all'amore di Cristo che tende a comunicarsi agli altri. L'ultima vittoria sarà quella della verità, della giustizia, dell'amore.
Affermazioni particolarmente importanti furono fatte dal cardinal Caggiano, vescovo di Rosario (Argentina), circa le relazioni fra Azione cattolica e società civile. Egli ricordò che i cattolici, oltreché membri della Chiesa, sono cittadini della città terrena, entro la quale debbono dare la loro collaborazione al bene comune temporale che é il fine della società civile. Questo non é più il campo dell'Azione cattolica, ma dell'azione « dei cattolici », disposti — e qui citò parole di Pio XII del 1945 — ad innestare nel campo sociale, economico, giuridico, il vero spirito cristiano, e a salvaguardare con l'azione civica e politica gli interessi religiosi. Quindi, p[...]

[...]ebbono dare la loro collaborazione al bene comune temporale che é il fine della società civile. Questo non é più il campo dell'Azione cattolica, ma dell'azione « dei cattolici », disposti — e qui citò parole di Pio XII del 1945 — ad innestare nel campo sociale, economico, giuridico, il vero spirito cristiano, e a salvaguardare con l'azione civica e politica gli interessi religiosi. Quindi, precisando il punto di vista teorico, l'Eminentissimo Caggiano concluse che l'oggetto dell'Azione cattolica é essenzialmente soprannaturale, e pertanto non si inserisce direttamente ed exprof esso nel temporale, ma ha su di esso le ripercussioni piú felici; ed é per questo che si può parlare di influenza sociale dell'Azione cattolica nel campo economicösociale, e persino in quello politico.
Nello stesso ordine di idee si mosse Charles Flory, presidente delle « Settimane sociali » di Francia: un « attivista » laico, dunque, particolarmente portato (si doveva credere) a metter l'accento sull'attività «temporale» dell'Azione cattolica. Egli disse che l'a[...]

[...]a metter l'accento sull'attività «temporale» dell'Azione cattolica. Egli disse che l'apostolato laico postula la instaurazione di un ordine sociale rispondente alle esigenze cristiane. Questo nuovo ordine tanto più si sarebbe potuto dire cristiano quanto maggiormente riuscisse a promuovere, nella giustizia, il bene degli individui e della collettività.
Credo, dunque, di non essere stato interprete infedele di queste affermazioni del cardinal Caggiano e del signor Flory — e più in generale dello spirito dominante nel congresso allorquando, nella Stampa del 14 ottobre 1951, scrissi che da queste affermazioni l'ordine sociale cristiano appariva tt non come costruzione,
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dal di fuori e dall'alto, di forze confessionali, ma come il prodotto organico di una società penetrata dello spirito cristiano ». Seguitavo: «Una concezione simile non richiede, anzi esclude, politiche confessionali, privilegi ecclesiastici, invocazioni o aspirazioni verso un «braccio secolare» interveniente a mantenere l'unità della fede, manifesta[...]

[...]"» data, secondo il Vangelo, a chi cerca il regno di Dio — subentra qui l'azione diretta, il proposito preventivo, 1'« interventismo» politicosociale; anche se, prudentemente, il pontefice aggiunge che «é difficile formulare su questo punto una regala uniforme per tutti ».
Questi ammonimenti del pontefice sui pericoli di ogni concezione (( puramente religiosa » dell'Azione cattolica, non erano sulla
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sua bocca cosa nuova. Già quattro anni innnanzi, per due volte nel corso di otto mesi, Pio XII aveva manifestato la stessa preoccupazione. Parlando il 22 gennaio 1947 ad alcune centinaia di signore e signorine aderenti ai gruppi di « rinascita cristiana» — un movimento o una organizzazione cattolica italiana di cui non ci é accaduto in seguito di sentir menzione — egli aveva affermato risolutamente che «il voler tirare una netta linea di separazione tra religione e vita, tra soprannaturale e naturale, tra Chiesa e mondo, come se non avessero nulla a che fare tra loro, come se i diritti di Dio non avessero valore in tu[...]

[...]antigiu ridico Discorso della Montagna ».
Abbiamo inteso Pio XII ricollegare l'Azione cattolica al Regno di Cristo. In ciò egli continuava direttamente Pio XI, il quale precisamente aveva concepito l'Azione cattolica, da lui riorganizzata, come lo strumento di attuazione della regalità di Cristo e del supremo governo della Chiesa sulla società cristiana. La «regalità di Cristo» é stata una delle iniziative più caratteristiche di papa Ratti: non già ch'egli inventasse l'idea, ma fu lui a trarla in luce — alla ribalta, se così é permesso esprimersi — dall'oscurità e dalla dimenticanza delle «riserve» ecclesiastiche. Istituendo la festa di Cristo Re con l'enciclica Quas primas datata 11 dicembre 1925 (cioè pochi giorni avanti la chiusura dell'Anno Santo), egli precisò che a CristoUomo si doveva rivendicare il nome e il potere di re nel vero senso della parola, con la triplice potestà legislativa, giudiziaria, esecutiva, e il relativo potere su tutte le cose temporali, secondo il diritto assoluto concessogli dal Padre sulle
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[...], e il relativo potere su tutte le cose temporali, secondo il diritto assoluto concessogli dal Padre sulle
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cose create, di cui Egli permette l'uso ai possessori. Il principato del Redentore abbraccia tutti gli uomini, non i soli cattolici o cri
stiani; e non solo gli individui singoli, ma anche gli uomini con
giunti in società. Perciò i governi debbono prestargli riverenza e obbedienza, mentre dal riconoscimento della regia potestà di Cristo essi trarranno la consacrazione della loro autorità esercitata per mandato del re divino. Con questo riconoscimento della rega
lità di Cristo tutto il genere umano sarà affratellato e regnerà la pace fra i popoli. L'istituzione di una festa particolare per celebrare la regalità di Cristo servirà da antidoto a o la peste dell'età nostra, il laicismo ». Questo incominciò col negare l'impero di Cristo su tutte le genti; si negò quindi alla Chiesa il diritto — che scaturisce da quello stesso di Cristo — di ammaestrare il genere umano, dar leggi, governare i popoli per condurli [...]

[...]o sviluppo grandioso da lui dato alla politica concordataria. L'offensiva, pertanto, del fascismo giunto al potere contro il P.P. lo lasciò indifferente; e D. Sturzo fu pregato a un certo momento — anzi, in due momenti consecutivi — di trarsi di mezzo, per non recare danno alla religione e imbarazzi alla Santa Sede.
Dopo la soppressione delle libertà pubbliche, a cui il pontefice aveva assistito (per quanto possiamo giudicare da certi suoi atteggiamenti) con neutralità benevola, per non dire con qualche compiacenza, Papa Ratti giunse a concludere — in un triennio di approcci e di trattative iniziate, sospese e riprese — i Patti del Laterano; e la conclusione gli ispirò, insieme a qualche parola cruda all'indirizzo del prostrato liberalismo, il saluto all'uomo tc che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare D. L'art. 1 dello Statuto, riesumato e incluso nel Trattato, le trasformazioni cattoliche in certi istituti statali, anche fondamentali, e — last not least, davvero — la libertà e protezione legale assicurata all'Azione Cattolica gli par[...]

[...] commistione di ortodossia religiosa e di conformismo politico, rievocante i tempi di «Trono e Altare », ma senza il fondamento morale su cui aveva riposato quella antica associazione.
Negli ultimi anni di Pia XI tornò a manifestarsi un distacco fra la Chiesa o meglio, il pontefice personalmente — e il regime, distacco proveniente sostanzialmente dall'aver fatto il fascismo causa comune con il nazismo. Pio XI riaffermò l'opposizione di massima già formulata più volte contra i totalitarismi statali, ma adesso con aderenza assai più efficace alla situazione concreta. Rinacquero contrasti tra fascismo e A.C.
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Questi contrasti rimasero lontani dalla gravita del conflitto del 1931: e a soffocarli contribuì la successione a papa Ratti di papa Pacelli, il quale desiderava vivamente la buona armonia col regime; e l'avrebbe desiderata anche con quello nazista, solo che Hitler ci avesse messo un po' di buona volontà (e non avesse scatenato la guerra).
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All'inizio, pertanto, del pontificato di Pio XII non ci furono no[...]

[...]la Commissione cardinalizia — il cui segretario (ecclesiastico) assumeva il nome di direttore nazionale dell'A.C. —, essa si limitava alla nomina di certe cariche e all'emanazione eventuale di norme generali. Particolare caratteristico: alla «tessera» era sostituita la «pagella d'iscrizione », e gli «ascritti» prendevano íl posto dei « tesserati ». Se si legge con qualche attenzione il discorso del papa, il 4 settembre 1940 (l'Italia era entrata già in guerra), alle rappresentanze dell'Azione cattolica italiana, si avverte il carattere accentuatamente religioso, spirituale, trascendente della rappresentazione fatta dal pontefice dell'A.C.; nonché il vivo incitamento agli ascritti perché «rendano il debito rispetto e pre stino la leale e coscienziosa obbedienza alle Autorità civili e alle loro legittime prescrizioni », mentre di un'azione non diciamo politica, ma sociale (nel senso tecnico della parola), non é cenno.
Terminata la guerra, avviata e impiantata la riorganizzazione del paese, la scena cambia. Nel gennaio '46 una commissione [...]

[...]e, formano la materia di questi postulati. E alla fine si avverte che nella gara dei program
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mi politici «é doveroso dare la preferenza alla corrente che per il contenuto del suo programma e per le persone che lo sostengono offre le migliori garanzie di attuare una costituzione coerente con i principi cattolici ». Era con ciò stabilito il rapporto di appoggio e di controllo fra A.C. e D.C.
Il 12 ottobre 1946 — istituita già la repubblica, eletta ed entrata in funzione la Costituente — Pio XII nominò le cariche direttive dell'Azione cattolica italiana. Avv. Vittorino Veronese, Presidente Generale (con due vicepresidenti generali, maschile e femminile); prof. Luigi Gedda, Presidente centrale dell'Unione Uomini di A. C.; dott. Maria Rimoldi, Presidente centrale dell'Unione Donne di A.C.; prof. Carlo Carretto, Presidente centrale della Gioventù maschile di A.C.; prof. Carmela Rossi, presidente centrale della Gioventù femminile di A.C.; sig. Carlo Moro, Presidente centrale degli Universitari di A.C.; sig.na Piera Lad[...]

[...]le della Gioventù femminile di A.C.; sig. Carlo Moro, Presidente centrale degli Universitari di A.C.; sig.na Piera Lado, Presidente centrale delle Universitarie di A.C.; prof. Giov. Batt. Scaglia, Presidente centrale del Movimento Laureati di A.C.; sig. Corrado Corghi, Presidente centrale del Movimento Maestri di A.C.
Questa enumerazione servirà a spiegare la struttura «orizzontale» dell'A.C. italiana, mentre quella verticale l'abbiamo indicata già: centrale, diocesana, parrocchiale. E qui sia accennato brevemente come la struttura più organica e unificata dell'A.C. é appunto quella italiana. Negli altri paesi l'aspirazione della S. Sede era di arrivare a una organizzazione unitaria pienamente equivalente; ma questa aspirazione si é realizzata in modo e misura assai diversi da un paese all'altro, e perfettamente forse in nessuno. I più distanti ne rimangono, crediamo, Francia e Germania, ove la molteplicità e l'autonomia delle precedenti organizzazioni hanno radici più salde. A voler dare maggiori particolari, occorrerebbe poco meno di [...]

[...]ratti
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non contrastanti (come' potrebbe sembrare a prima vista), ma concorrenti.
Le diverse associazioni nazionali — Uomini cattolici, Giovani cattolici, etc. — formanti tutte insieme il corpo unitario dell'A.C. italiana, mantennero anche sotto Pio XII (se non andiamo errati), e anche dopo la riorganizzazione ultima del 1946, un grado notevole di autonomia (ciò vale ancora di p,iù per la A.C. degli altri paesi, come si è già accennato). La Presidenza Generale,. cioè, sotto il Veronese, si poteva ancora considerare un organo di collegamento e coordinamento superiori, piuttosto che di suprema direzione autoritaria. Questo stato di cose appare notevolmente cambiato da quando al Veronese è successo, al principio del 1952, il Gedda. Il cambiamento avvenne, come si vede, appena qualche mese dopo il Congresso internazionale dell'Apostolato laico su cui ci siamo fermati al principio di quello studio. Mostrammo già una certa differenza di orientamento fra il Congresso medesimo (o almeno la sua maggioranza) e il discorso d[...]

[...]cioè, sotto il Veronese, si poteva ancora considerare un organo di collegamento e coordinamento superiori, piuttosto che di suprema direzione autoritaria. Questo stato di cose appare notevolmente cambiato da quando al Veronese è successo, al principio del 1952, il Gedda. Il cambiamento avvenne, come si vede, appena qualche mese dopo il Congresso internazionale dell'Apostolato laico su cui ci siamo fermati al principio di quello studio. Mostrammo già una certa differenza di orientamento fra il Congresso medesimo (o almeno la sua maggioranza) e il discorso del Pontefice nell'udienza finale ai congressisti. Il Gedda dovette esser giudicato dal pontefice più vicino del Veronese alla sua propria concezione, più adatto di lui ad incarnarla: e probabilmente tale giudizio, se arrive. alla conclusione decisiva dopo il Congresso, era già andato maturando prima.
Le espressioni congetturali sono ragionevoli in quanto che è ben poco quello che si sa con precisione e sicurezza di ciò che si svolge nelle alte e altissime sfere ecclesiastiche. Ci sono i fatti pubblici; la preparazione rimane segreta, e l'interpretazione incerta, almeno fin quando gli svolgimenti ulteriori non l'abbiano chiarita.
In questo caso, chiarimenti ulteriori ci sono stati in quanto, dall'avvento del Gedda in poi, l'ingerenza nella vita politica ita liana dell'Azione cattolica, o di taluni organi e istituti connessi di fatto con essa (e di cui adesso direm[...]



da Alessandro Cardulli, incipit «Dopo Avola Viareggio» in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1969 - - gennaio - 2

Brano: [...] professionale Suo padre 6 un operaio della Piaggio
dì Pisa e proviene da uno dei più miseri comuni della Valdera
Dal nostro iri, iato
VIAHEGGiO. I.
Dopo Avola, Viareggio. Ld due braccianti morti ucctsi dalia patina, fucilati in mezzo ad una strada mentre si battevano per i loro diritti. Qua un ragazzo di sedici anni. Soriano Ceccanti, colpito da una pallottola che gli si è ficcata nella colonna vertebrate. La sua vita è ancora in pericolo. Già è certo che non potrà più camr,~fnore, rimarrà paralizzato per il resto dei suor giorni perché la pallottola ha leso organi vitali, sezionando il midollo spinale all' altezza delta settima vertebra. dorsale.
Sedici anni, studente della seconda classe di una scuota professionale a Pisa, Soriano Ceccanti ha pagato duramente, vittima della represalone poliziesca.
Dopo Avala, mentre fl governo tace sul problema del disarmo della polizia, evidente c'è chi si sente autorizzato a sparare. E non si venga a dire, come fa la TV. che i colpi di arma da fuoco non sono slitti sparati dai carabinieri. Pr[...]

[...] Albertina Butteri. giunta assieme al resto della famiglia. ha detto poche parole ai giornalisti. Affranta dal dolore, ripeteva che sun figlio era un ragazzo serio e valeva studiare. Ed è quello che ci hanno detto in un colloquia avuto con alcuni compagni di l.ajotico il paese di provenienza della famiglia.
Sui fatti c'è discussione, ria tutti bonari chiaro un punto fermo: che la polizia. cioè, deve essere disarmata. ll►, ragazzo di sedici anni giace in un letto d'ospedale, il referto dei poliziotti afferma in sette righe dattiloscritte che è stato ferito durante una c manifestaziotie sediziosa s. It solito modo sbrigativo con cui si è sempre cercato di liquidare Datti simili, da venti anni a questa parte. Ma te città toscane hanno già detto e no s. 1 giovani, gli operai, i democratici inizieranno questo nuovo anno portando aranti e rafforzando in lotta per le libertci nelle fabbriche e nelle scuole. contro la repressione. chiedendo a gran voce tin printer, urgente prorredimento: il disarmo della polizia.
Alessandro Cardulli


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Già, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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