Brano: [...]broncio di fronte a ciò che doveva allietarlo, ed effettivamente lo allietava. Aveva paura della gioia che pure confessò con umile gratitudine in alcuni soliloqui lirici ? Quella commedia ingenua del fastidio, dell'insofferenza, quasi della rivolta e dell'ira per le buone fortune era probabilmente una forma di scongiuro da parte di chi per costituzione temeva dalla vita il male e l'offesa. Un gesto inconsapevolmente ereditato dai suoi vecchi del Ghetto, che si lamentavano gemevano piangevano miseria e disdetta, nel momento che avevano combinato l'affare lucroso. Qualcosa, del resto, che Saba fini col confessare nei giorni della liberazione 1945:
Avevo Roma e la felicita.
Una godevo apertamente, e l'altra
tacevo per scaramanzia.
In un uomo così dedito alle scaramanzie, nel quale la componente del tremore era sempre così all'erta, tutto si sarebbe potuto prevedere fuorché la grazia e il talento di trasformare il mestiere di vivere nella buona canzone di Saba. Un'impresa, per di più, che si presentava difficile poeticamente oltre che umana[...]
[...] una ortodossia passatista di forme: due grandi spinte per il viaggio contro corrente. Fin qui abbiamo visto come gli siano venute da Trieste, che gli aveva messo a disposizione un verismo ancora tutto utilizzabile.
***
Guardiamo adesso come abbiano lavorato gli impulsi provenienti dal suo interno. Ci sono artisti che non capiremmo mai del tutto, se non sapessimo donde sono usciti. Kafka, per esempio, o Chagall non si possono spiegare senza il Ghetto, o i residui del Ghetto. Negli anni che Saba chiama « meravigliosi », prima delle due guerre, girarono per l'Europa due tipi messi in circolazione dal romanziere Zangwill: i figli del Ghetto e i sognatori del Ghetto. Saba fu per lo meno un nipote del Ghetto. Al Ghetto triestino, che per() era aperto da molti decenni, lo ricondusse la madre, abbandonata dal marito e costretta a vivere a carico della famiglia (« Per me, per lei, che il dolore struggeva trafficavano i suoi cari nel Ghetto »). Quella madre espiò la colpa, certamente rinfacciatale, di un matrimonio « misto » e subito fallito, con una dignità orgogliosa che dovette irrigidirsi in una specie di rigorismo. Nella sua casa i sorrisi, gli abbandoni espansivi parvero probabilmente trasgressioni a una meritata penitenza, qualcosa di vietato perché peccaminoso. Una specie di
MI
ULTIME COSE SU SABA 11
ulteriore clausura nel relativo senso di clausura rimasto appiccicato ai muri del Ghetto. (« Sono essi stessi le porte dei loro Ghetti », diceva Zangwill degli ebrei rimasti in quei loro borghi, dopo che gli statuti liber[...]
[...] madre espiò la colpa, certamente rinfacciatale, di un matrimonio « misto » e subito fallito, con una dignità orgogliosa che dovette irrigidirsi in una specie di rigorismo. Nella sua casa i sorrisi, gli abbandoni espansivi parvero probabilmente trasgressioni a una meritata penitenza, qualcosa di vietato perché peccaminoso. Una specie di
MI
ULTIME COSE SU SABA 11
ulteriore clausura nel relativo senso di clausura rimasto appiccicato ai muri del Ghetto. (« Sono essi stessi le porte dei loro Ghetti », diceva Zangwill degli ebrei rimasti in quei loro borghi, dopo che gli statuti liberali avevano dato la libera uscita). Non facciamo però il quadro troppo nero: quella cittadella ebraica, ormai chiusa soltanto da recinti immaginari, era una rocca di teneri e soccorrevoli affetti; era un benevolo, protettivo riparo dopo i confronti col mondo, per gli ebrei ancora abbastanza nuovo, in cui vigeva più aperta, quindi più minacciosa, la libera concorrenza umana.
Vale la pena di perdere il filo del discorso per ricordare un piccolo fatto che mostra qu[...]
[...] troppo nero: quella cittadella ebraica, ormai chiusa soltanto da recinti immaginari, era una rocca di teneri e soccorrevoli affetti; era un benevolo, protettivo riparo dopo i confronti col mondo, per gli ebrei ancora abbastanza nuovo, in cui vigeva più aperta, quindi più minacciosa, la libera concorrenza umana.
Vale la pena di perdere il filo del discorso per ricordare un piccolo fatto che mostra quanto Saba serbasse viva in sé quella idea del Ghetto come asilo. Al tempo delle cosiddette leggi razziali, egli aveva preso un treno per Parigi, che era ancora mondo libero. Ma arrivato a Torino, fece una sosta: andà nella casa di una signora ebrea, dove anni prima gli era parso di riconoscere abitudini, gerghi, usanze, che erano stati anche della sua gente, nelle loro case di Trieste. Sperò, appunto, di ritrovare per un attimo il rifugio del Ghetto, quelle sere che rimettevano il cuore in pace. Quanto gli occorreva, almeno, per riprendere forza e rimettersi in cammino. Visto che abbiamo perduto il filo, approfittiamone per osservare che la condizione di Saba era, allora, di quelle in cui uno ha bisogno di calarsi nel fondo di se stesso, per capire il senso apparentemente assurdo del proprio destino: deve scendere, come si dice, a interrogare le Madri. E caratteristico di Saba, caratteristico anche della sua poesia, che lui andò invece a conversare con la madre personale, con una signora che in quel momento, per una proiezione abbastanza[...]
[...]: deve scendere, come si dice, a interrogare le Madri. E caratteristico di Saba, caratteristico anche della sua poesia, che lui andò invece a conversare con la madre personale, con una signora che in quel momento, per una proiezione abbastanza spiegabile, valeva a simboleggiargli la madre, o la zia Regina « benefica ed amata quanto la madre ».
Per tornare al ragazzo Saba, si indovina come, nelle condizioni che abbiamo accennate, dal nipote del Ghetto si sia subito sviluppato il sognatore del Ghetto, e come per tempo egli abbia messo in moto la fabbrica dei sogni. Solo una grande riuscita poteva rimediare a tutta la tristezza che aveva d'intorno: e
12 GIACOMO DEBENEDETI`r
i suoi furono sogni di successo, di ricchezza, di gloria. Tornare a Trieste con una nave carica di tesori da Mille e una Notte, e farne dono ad amici e parenti: una fantasia che trapela ancora dai suoi versi giovanili. 0 emulare l'esempio citato da tutti, l'uomo che aveva fatto fortuna nell'Inghilterra della Regina Vittoria e che bastava, col solo suo nome, a fornirgli un perfetto endecasillabo:
Baronetto Sir Moses M[...]