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da Angelo Muscetta, Memorie del cavaliere Angelo Muscetta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...] in campagna a Benevento, mio padre apprendendo la notizia della distruzione dei depositi, si ammalò dal dispiacere, ed accoppiato ai disagi della campagna, sopravvenne bronchite — polmonite — pleurite. Dopo trentacinque giorni si guarì dei primi due mali, rimanendo la sola pleurite, per oltre sei mesi molto malandato —. Mia madre pur di salvarlo, e nulla curando del disastro, cercò fargli cambiare aria. Si ricordò che a Lìveri (Nola) vi era un frate, fratello (1) di suo cognato, al santuario di S. Maria a Parete, e con una vettura chiusa lo portò a tale santuario, dove rimase in permanenza. quattro mesi, rimanendo lei al capezzale, dove finalmente si guarì. Intanto per non chiudere il negozio di vendita a minuta e il caffettuccio, fece venire due sorelle sue da Saviano, (e da questo proposito ricordo a tutti che i migliori nemici sono i parenti) ed insieme alla serva e [al] garzone,. fecero man bassa di quello che era rimasto, così fu completato quasi la distruzione della casa, che il mio povero padre, e perché no? anche. mia madre, con sudor[...]

[...]entare e Basta — niente più scuola —. Ad Avellino trasferimmo con due carrette una piena di mobilia e che, ricordo, era bellissima, s'intende di quei. tempi, e l'altro carretto ben carico di merce, cioè terraglie e cristalli.
Ad Avellino fittammo la casa Via Umberto 1°, e precisamente dove è ora il negozio di scarpe di Arturo Petracca: avanti la vendita e dietro l'abitazione. Ma gli affari scemavano giorno per giorno. Stando
(2) Nel ms. : « un fratello frate u.
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così le cose, a mia madre oltre la mania di cambiar casa, gli sopravvenne la nostalgia del paese suo natio (Saviano) e quella delle sorelle (molto affettuose per il saccheggio fatto) e nell'anno 1887 ci trasferimmo a Saviano. Tale trasferimento era contrario a mio padre, ma mia madre 10 convinse con uno stratagemma: quella casa era piena di spiriti, spiriti che, neanche farlo apposta, apparivano durante l'assenza di mio padre. A questo proposito, chiedo perdono alla mia povera mamma, di queste accuse necessarie per la narrazione esatta, e non vorrei mi maledicesse, d[...]

[...]e dell'epoca, e cioè 1 soldo quattro
(1) Di pomeriggio
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giarrette di neve zuccherato, con colori variopinti, anche se non nocivi (I), e dalla sera, specie d'inverno, al Teatro dell'Opera ossia l'Opera dei pupi. Quando avevamo il borsellino pieno, prendevamo i primi posti, 2 soldi. Ero felice.
Le cose andavano maluccio, il capitale di mio padre andava assottigliandosi, e ricordandosi che a Marsiglia vi era un fratello di zio Sabino (che in seguito conoscerete), scrisse mio padre a lui, se emigrando a Marsiglia, potesse trovare lavoro. La risposta fu favorevole, e se non erro, verso la fine dell'anno, pare nell'agosto 1888 (sono in questo momento un poco smemorato), mio padre partí per Marsiglia, ove fu accolto da questo zio, fratello di Sabino suo cognato, molto fraternamente; scrisse a noi che aveva fatto buon viaggio, e che aveva trovato lavoro presso una raffineria di zucchero, situata Gran Chaimen d'Aix (2) guadagnando lire 2,60 al giorno, portando da un punto all'altro molti sacchi sulle spalle (lavoro che non aveva mai fatto) e spesso faceva dello straordinario, e cosí la sua mercede si arrotondava a lire 3 e anche 3,30 al giorno. Pagava 1,20 di pensione presso una buona famiglia sarda, il di cui titolare era chef (ossia capo del reparto in cui lavorava) che prese tanto a ben volere il mio povero padre, che gli cambiò adibendolo ad un lavoro piú le[...]

[...]iunto da noi: non poteva restare piú solo, era troppo preso dalla nostalgia della famiglia. Ed infatti dopo pochi mesi, e precisamente l'11 novembre 1888 (ricordo questa data perché S. Martino, onomastico di un parente che ci accompagnò a Napoli all'Immacolatella Vecchia) e dopo di aver provveduto tutte le carte necessarie e i biglietti (tre interi, lire 12 cadauno, e lire 6 mezzo biglietto per mia sorella Carolina), c'imbarcammo su un vaporetto francese della Compagnia Fraissinet. La prima impressione fu di mia sorella Maria, che appena messo piede nella barca, credendo di affondare lanciò un forte grido, poveretta non aveva mai visto il mare. Ci installammo sul vapore in la classe (senza gabine, e cioè sopra coverta, per terra). Mia madre aveva provveduto di tutto: pane, vino, salame, formaggio, frittate di maccheroni, uova sode, frutta della stagione, limoni, insomma provvista per due giorni, che il vapore per cattivo tempo ne impiegò tre.
Partimmo da Napoli alle ore diciassette, e la prima notte non fu tanto cattiva, tanto piú che avevamo fatto amicizia con[...]

[...]do la modesta luce del gas che illuminava il porto, il povero papà che ad alta voce chiamai, e mi rispose. Credetemi, scrivo e sento il tremito di quella voce di circa cinquantacinque anni or sono. Però data l'ora tarda, non poteva aver luogo la visita sanitaria, ma una commissione di donne si recò dalle autorità, e con l'attenuante di aver fatto un disastroso viaggio, ottennero eccezionalmente, dopo una visita sommaria, di sbarcare.
L'incontro fra noi e il povero papà fu commoventissimo. Un piccolo carretto a mano ci aspettava per caricare le nostre masserizie e i nostri bagagli, consistenti di quattro materassi ottimi che la povera mamma prima di partire ebbe cura di rifare la lana, insieme ai cuscini, e diverse valigie di pura pelle (no, erano sacchi vuoti, puliti però, pieni di tutta la biancheria necessaria). I genitori noleggiarono una carrozza, ed io fedele al posto lasciato in Italia, seguii a piedi il carretto, però senza il mio somarello, che avevamo venduto in Italia. A piedi, seguendo il carretto, e facendo buona guardia all[...]

[...]ticavo raccontarvi la funzione del battesimo di un figlio del Capo reparto. Esso venne celebrato in una piccola chiesetta di campagna, perché noi vivevamo quasi alla periferia, e il nostro rione abbondava, o meglio era una colonia di atripaldesi e salernitani, quest'ultimi ogn'uno possedeva un carretto, e faceva il commercio di frutta e verdura. Uscito dalla chiesa, mio padre ebbe cura (dopo il suggerimento di qualche paesano) cambiare un cinque franchi d'argento in soldini piccoli, e buttarli dietro al corteo di piccoli ragazzi, che rotolando nella polvere facevano a gomiti per raccoglierli. A casa del compare Capo reparto vi fu un pranzo di gala. Debbo confessarlo, fu il primo pranzo di lusso che incominciai a vedere. Non ricordo le portate che furono numerose, ne ricordo solo due, un antipasto assortito, compreso burro (che non avevo mai mangiato), ravanelli, che tante volte avevo mangiato per companatico nelle taverne, quando andavo con mio padre, e polli. Ripeto non ricordo il resto, ricordo solo che fu un pranzo che non finiva mai,[...]

[...]re piedi, e il quarto fu messo da mio padre con un'assicella di legno rubata da me in un attiguo giardino. Eppure eravamo tanto felici. Solamente io non potevo rimanere indifferente, volevo in certo qual modo venire in aiuto al mio povero padre, ma ero piccolo di età, vecchio e procace in esperienza, e pieno di volontà. Un giorno passai per una piazza caratteristica, chiamata Piazza Pantagone, poco distante da noi (che potrei uguagliare a Piazza Francese di Napoli), dove accoppiato alle bancarelle di tutti gli articoli diversi usati, e rubati da vagabondi. vi era un gran commercio di abiti usati. L'occhio fu attratto da una forma di ferro, che appli
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candosi nella scarpa e posato sulle ginocchia, potevo lavorare applicando mezze suole e sopratacchi inchiodati anziché cuciti, e [da] qualche altro arnese utile per un ciabattino. E ricordandomi che a Sa
viano avevo con un ,mio cugino imparato a fare qualche cosa, avrei
potuto sfruttare il vicinato per la riparazione delle scarpe. Mi avvicinai alle diverse bancarelle, e[...]

[...] distante da uno dei tanti ristoranti sul mare, che noi frequentavamo solo di passaggio, ed incominciai a cantare qualche canzonetta napoletana. A questa ne seguirono delle altre, dopo pochi minuti si alzò un signore dal tavolo (che era seduto poco lontano, con la famiglia) e si avvicinò a me, parlando benino l'italiano. Mi accarezzò dicendomi: — Molto bravo —; mi chiese il mio indirizzo, e mi diede il suo. Era un insegnante di scuole elementari francese, seppi poi che il padre era di origine piemontese, mi pregò di andare a casa sua qualche volta, specie la domenica. Mi
(1) L'invalido, il ferito porta chi é valido.
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accorsi che era un patito di Rittardo (I) per le canzoni napoletane, e promisi di andarci la domenica prossima, tantoppiú che abitava alla Caposelle, Boulevard St. André poco distante da noi; e ritirandomi a casa raccontai in famiglia tale incontro.
Le cose mie andavano benino, lo sviluppo cresceva giorno per giorno ma il mestiere scelto di ciabattino non era adatto per me, giovanotto [...]

[...]no per giorno ma il mestiere scelto di ciabattino non era adatto per me, giovanotto svelto, 'e perché rio? di alte vedute, era un mestiere adatto per un vecchio. Una mattina nel recarmi a fare delle compere di certi articoli per il mio lavoro, passando per il corso della strada principale che da Marsiglia portava a Aix, lessi nella vetrina di un grande negozio di scarpe (non potevo uscire dalle scarpe) due cartellini uno in italiano e l'altro in francese: « Cercasi ragazzo, per commissioni dai dieciquindici anni ». Entrai nel negozio, ma di francese non conoscevo che buon giorno, buona sera; grazie, arrivederci. Chiesi del proprietario il quale era oriundo genovese, e capiva e parlava bene l'italiano, perché come ho detto innanzi, quel rione era abitato da migliaia d'Italiani: un simpatico uomo sulla trentina, al quale riuscii molto simpatico. Ma mi fece comprendere che non poteva assumermi in servizio, senza il libretto di lavoro, e che per avere questo era necessario il certificato di terza classe elementare francese, però poteva, in via provvisoria, assumermi in qualità di apprendista, naturalmente senza stipendio. Io accettai pe[...]

[...]on giorno, buona sera; grazie, arrivederci. Chiesi del proprietario il quale era oriundo genovese, e capiva e parlava bene l'italiano, perché come ho detto innanzi, quel rione era abitato da migliaia d'Italiani: un simpatico uomo sulla trentina, al quale riuscii molto simpatico. Ma mi fece comprendere che non poteva assumermi in servizio, senza il libretto di lavoro, e che per avere questo era necessario il certificato di terza classe elementare francese, però poteva, in via provvisoria, assumermi in qualità di apprendista, naturalmente senza stipendio. Io accettai per le sole ore del mattino, e si rimase cosí di accordo, ed il lunedì successivo alle otto del mattino, [andai] a prendere servizio.
La domenica alle ore diciassette ricordo pioveva dirottamente, ed io non avevo ombrello, mi rincresceva sciupare il vestito nuovo e bello che avevo indossato. Aspettai, pochi minuti, smise di piovere e in fretta mi recai in casa del maestro, con un poco di ritardo, e feci le mie scuse. Mi ricevette nel suo studietto piccolo, ma pulito ed elegan[...]

[...] posizione, ed i guai passati della mia famiglia, gli raccontai anche che l'indomani sarei andato core apprendista da quella grande calzoleria, il di cui name era Battista Sassone, che per fortuna il maestro conosceva perché cliente. Dissi che sarebbe stato mio desiderio prendere servizio come commissionario, ma non avevo il libretto di lavoro. Il maestro mi ascoltò benevolmente, e mi promise farmi avere il certificato di terza classe Elementare Francese (necessario per avere questo libretto di lavoro), se io avessi con buona volontà frequentato
(1) Si dicevano cosí gli appassionati dei cantastorie e dell'eroe popolare dei romanzi cavallereschi, Rinaldo.
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.uiti .i giorni alle ore sedici la sua casa, per aver lezione gratis da lui. Lascio immaginare la gioia che provai a questa generosa offerta. Volle che cantassi anche senza accompagnamento qualche canzonetta offrendomi dei dolci (che da molto non mangiavo), dandomi un pacchetto che portai a casa, con gran festa delle mie sorelle.
La mattina successiva presi servizi[...]

[...]enerosa offerta. Volle che cantassi anche senza accompagnamento qualche canzonetta offrendomi dei dolci (che da molto non mangiavo), dandomi un pacchetto che portai a casa, con gran festa delle mie sorelle.
La mattina successiva presi servizio alle otto, facendomi indicare le mie mansioni, cioè spazzare il grande negozio, spolverare, mettere in ordine i diversi scaffali. Dimenticavo dirvi che questo proprietario, era sposato da due anni con una francese e da pochi mesi era padre di una bella bambina, a cui aveva messo nome Luisa, e che i genitori chiamavano « petit'Isa ». Sempre volentieroso ed ossequiente, acquistai la simpatia dei coniugi Sassone, tanto che oltre il compito di apprendista mi era serbato il compito di cameriera, perché tenevo buona parte della mattinata in braccia la piccola Isa che finivo anche per addormentarla, cantandole la strofetta in francese, che dalla madre avevo finito per imparare a memoria:
Dor, dor, bellange d'amour
Jusqua tombò jei te sairè fidele (').
Povera frase francese, ma dopo cinquantaquattro anni è ancora troppo!
La clientela del giovane ciabattino cresceva giorno per giorno, ma dovetti mio malgrado rinunziare. Ero molto occupato la mattina per fare l'apprendista; ma che apprendevo? solo di fare la balia, e cantare la ninnananna, e nel pomeriggio a fare scuola con una passione violenta, e spesse volte il canzonettista di fortuna. Passarono i tre mesi, ed il maestro era molto soddisfatto di me, e dopo pochi giorni ricevetti il certificato di terza classe elementare francese, che conservavo gelosamente ma dopo il bombardamento del 17 settembre 1943 h[...]

[...]la del giovane ciabattino cresceva giorno per giorno, ma dovetti mio malgrado rinunziare. Ero molto occupato la mattina per fare l'apprendista; ma che apprendevo? solo di fare la balia, e cantare la ninnananna, e nel pomeriggio a fare scuola con una passione violenta, e spesse volte il canzonettista di fortuna. Passarono i tre mesi, ed il maestro era molto soddisfatto di me, e dopo pochi giorni ricevetti il certificato di terza classe elementare francese, che conservavo gelosamente ma dopo il bombardamento del 17 settembre 1943 ho trovato e conservo il libretto del lavoro (2). Era tanto felice come se avessi conseguito una Laurea Universitaria. Conversando con i padroni, con i clienti, e cal maestro tatt cui frequentavo spesso la sua casa, in poco tempo imparai a parlare la lingua francese, mista col pattuà, ossia il dialetto marsigliese. Dimenticavo dire che la passione e la pazienza del maestro verso di me era piú che paterna, mi metteva fra le sue ginocchia, e nei primi giorni m'imparava gradatamente le cose piú ele
(1) Dors, dors, bel ange d'amour,
Jusqu'au tombeau je te serai fidèle
(21 Il Certificat d'instruction primaire élémentaire prescritto dall'art. 9 della legge 19
maggio 1874 reca la data del 28 settembre 1890. Il Livret No 20511 reca la data del
giorno successivo.
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mentari per esempio, il viso, gli occhi, il naso, le orecchie, le scarpe, i capelli ecct. ecct.
Lasciai il posto di balia e apprendista, per occupare (sempre da Sassone) il posto di commissionario. Vi furono i prim[...]

[...]ia). Non vi nascondo, che seguitavo a fare qualche riparazione per arrotondare il bilancio domestico.
Alla povera mamma mia non era passata la mania di cambiare casa, però questa volta aveva ragione). Aveva trovato una casa più bella, con un pezzetto di giardino e con un risparmio di qualche liretta mensile in meno, in una strada meno centrale, ma questo non aveva importanza (I). Vi erano in quel palazzetto altri quattro inquilini, due famiglie francesi una famiglia Algerina, e una famiglia Italiana. Sul medesimo pianerottolo, di fronte a noi, vi era la famiglia francese: due figlie, marito e moglie, operaio anche lui come mio padre. Debbo raccontare a questo proposito un episodio curioso.
Una domenica, come sempre, mia madre era tutta intenta a cucinare il rituale ragù, era specialista per questo ragù che emanava un odore meraviglioso, e su di un tavolinetto in cucina vi erano pronti i maccheroni di zita. La signora francese entrò per chiedere a mia madre una qualche cosa che non ricordo, sentendo quella fraganza che dalla pentola veniva fuori, domandò confidenzialmente a mia madre che cosa stava preparando, e mia madre rispose che stava preparando il ragù, ossia la salsa per condire i maccheroni. Ringraziò ed usci. Mia madre, orgogliosa per il complimento, al momento del pranzo, preparò un piatto di maccheroni, e lo portò alla francese vicina di casa. Non
(1) Il domicile indicato sul libretto di lavoro è Traverse des Moulins, 8
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l'avesse mai fatto. Questa francese avrebbe voluto quel piatto tutte le domeniche, anche perché la loro cucina è orribile.
La vita era gaia e felice, nella nostra miseria. Qualche volta si faceva anche qualche scampagnata al mare: mia madre curava portare qualche cosa, e si inaffiava con qualche bichiere di birra. Avevo incontrato altri amici, e qualche domenica andavamo a fare delle passeggiate nel giardino zoologico, molto bello, e ricco di moltissimi animali di tutte le specie. Si era arrivato al 15 agosto del 1889. Detto giorno si festeggiava su una collina, come se fosse il Vamero di Napoli, e vi era un santuario ded[...]

[...]e nel giardino zoologico, molto bello, e ricco di moltissimi animali di tutte le specie. Si era arrivato al 15 agosto del 1889. Detto giorno si festeggiava su una collina, come se fosse il Vamero di Napoli, e vi era un santuario dedicato alla Bonne Mère de la Garde, ed ognuno portava una merenda, e sopra questa montagna si mangiava sull'erba, ed andammo con tutta la famiglia, ci divertimmo tanto.
Mia madre sempre giuliva, aveva imparato bene il francese: « Bon jour » e « Bon soir ». Io con le piccole sorelle si parlava sempre il francese; ma anche per noi il destino volgeva al male. Si era [al]la fine di. ottobre di quell'anno, si ammalò di tifo mia sorella Carolina, e per piú di un mese lottò fra la vita e la morte, e per far fronte alle spese di medico e medicina si dovette vendere quel poco di oro rimasto in casa, e qualche piccolo risparmio accumulato. Verso il 10 dicembre, sempre di quell'anno, si ammalò mio padre di broncopolmonite, e dopo pochi giorni lo stesso male colpi anche mia madre. Intanto per far fronte alle spese di medici e medicina, incominciai a vendere qualche poco di biancheria di tela nuova (che faceva parte del corredo di mia madre), né sapevamo a chi rivolgerci. L'unico parente che avevamo a Marsiglia si era diviso dalla moglie, e l'aveva obbligata imbarcarsi pe[...]

[...]a, incominciai a vendere qualche poco di biancheria di tela nuova (che faceva parte del corredo di mia madre), né sapevamo a chi rivolgerci. L'unico parente che avevamo a Marsiglia si era diviso dalla moglie, e l'aveva obbligata imbarcarsi per l'Italia, e lui con due figlie se ne partì per Nev Jorch. Fu tale lo squallore, le mie piccole sorelle piangevano per i genitori ammalati a cui mancava il necessario. Qualche vicino ci soccorreva, ma non sufragava. Credetemi, non esagero, il 24 dicembre dell'anno 1889, vigilia di Natale, non fu acceso il fuoco. Il 25 dicembre, giorno di Natale, preso dalla disperazione, presi un coltello (non mancando raccomandare le sorelline di vigilare i genitori), presi una cesta ed andai in campagna, tagliando e raccogliendo della cicoria selvatica e altra verdura. Di corsa lo portai a casa, lo feci pulire e lavare dalla sorella Maria piú grande, e lo portai a vendere, ricavando una bella sommetta che comprai qualche cosa di somma urgenza per i genitori ammalati. Avevo avuto cura di portare a vendere tale verd[...]

[...]e con lui, come un figlio, assumendo qualunque responsabilità, ma specie mio padre non ne volle sapere.
Decisi allora di darmi da fare, per le dovute pratiche. Avevo saputo che per le famiglie bisognose vi era una disposizione del console italiano a Marsiglia: concedeva il viaggio gratis, però senza vitto, naturalmente dopo le burocratiche pratiche di accertamento di famiglia povera. Intanto il tempo stringeva, il padrone di casa minacciava lo sfratto. Io conoscevo Marsiglia palmo per palmo, e tutte le mattine alle nove mi recavo al palazzo del console alla Rue Canebière per vede re se la pratica nostra era ultimata. L'usciere capo, un tipo nervoso, non mi dava neanche il tempo di domandare, e mi mandava fuori dalle scatole. A furia di andare, a furia d'insistere tutti i giorni, una mattina non vi era quell'usciere capo, che tanto aveva preso ad odiarmi, e con buoni modi cercai persuadere quello di servizio, perché mi avesse annunziato al Console Generale. Questo si mise a ridere e mi rispose: — Ma siete pazzo, volete essere ricevuto da[...]

[...]entre tutti mi volevano
bene, costui mi odiava. Come mi vide: Ebbene, ragazzaccio sempre
insistente, oggi non potete essere ricevuto —. Però feci presente che ero atteso dal segretario generale del Console, e così finalmente, si degnò introdurmi da lui. Ricordo che fui ricevuto molto benevolmente col sorriso sulle labra, compiacendosi della mia sveltezza, dicendomi che la pratica rispondeva esattamente alla verità, e che avrei potuto ritirare, fra qualche giorno, da un ufficio (che non ricordo) i biglietti d'imbarco, e che la partenza era fissata per il 12 agosto, con una vapore francese. Vi era una sola difficoltà, che questo vapore impiegava cinque giorni, perché vapore misto, e che doveva fermarsi a Genova e Livorno per carico e scarico di merce, e che avrei dovuto provvedere per il cibo, per tutti questi cinque giorni.
Andai a casa tutto contento e ci preparammo ogni cosa. Ricevetti dal mio principale come premio un orologio d'argento, grande, fuori moda, con una chiavetta per dargli la corda, senza catena, e al posto di essa misi un cordoncino colorato, orologio che conservavo come ricordo, ma che poi dopo tanti anni, non trovai piú, e lire 100, che
MEMORIE DEL CA[...]

[...]ti gli amici, non escluso il maestro elementare, a cui esternai tutta la mia riconoscenza, e volle essere cantato per l'ultima volta una canzonetta napoletana a lui tanto cara (peccato che non ricordo il titolo). Mi diede il suo indirizzo, che ricordo benissimo (perché per cinque sei anni gli scrivevo: Doctor Luis Lecouvré, Rue della Paix, 34 Marseille). Non era professore, ma gli piaceva essere chiamato Doctor. Salutai con mia madre la signora francese (dei maccheroni) con grande soddisfazione di mia madre, che se ne era liberata. Dimenticai di dirvi che negli ultimi tempi mi ero fidanzato con una signorina di pari età, Lauretta Marengo, figlia di un italiano della riviera Ligure, allevatore di maiali (molto ricco), maiali che andava a caricare in Algeria, e mi voleva molto bene. Naturalmente il primo amoretto innocuo en passan, ma che la Lauretta nel suo cuore aveva preso ipoteca. Salutammo quella famiglia con cordialità
e la signora mi regalò un salame, dicendomi: Piccolo Angelo, lo
mangerai in viaggio.
Si era agli sgoccioli per l[...]

[...]re del medesimo anno, il compare Fusco consegnò a mio padre 8 coppi da lire 5 cadauno di bronzo, cioè in tutto lire 40 (ed a questo proposito, in cuor mio non è mancata la riconoscenza verso i1 compare Fusco) che furono le prime fondamenta,
e l'inizio basillare del mio lavoro.
Con lire 40, che avevano quel valore a quell'epoca, comprammo un carrettino e un somarello, mezzo malandato, non vispo come il somarello che avevamo prima di emigrare in Francia. Fittammo un basso di due vani, una piccola cucina, il vano di entrata serviva per mettere quel poco di merce, e l'altro vano per dormire; vi era il letto grande, ed un letto ad una piazza e mezza, che dormivo io e le sorelle;
e questa casa è quella dove abita attualmento lo spazzino Erricuccio, di fronte alla casa dove abitava Mariuccia alla ferrovia. Fu pattuito lire 12 mensili, compreso una stalluccia che si accendeva dal portone vicino a Santomauro. Col nostro piccolo carretto facemmo tre viaggi, per portare i letti, materassi, un comò e una colonnetta, residui della mobilia di Benev[...]

[...]ventato un bel giovanotto, mettevo in armonia quella gente di paese che vivevano vegetando, cantavo qualche canzonetta ed avevo in cambio le migliori pietanze, con contorno di qualche bacio. Ero sempre felice, ma qualche volta pensavo anche la vita zingaresca che facevo. La cosa tragica era la sera. Si arrivava in una taverna, quando vi era qualche lettino disponibile, lo riservavo a lui, ed io mi riempivo il sacco pieno di paglia, e lo piazzavo fra le due stanghe del carretto, facendo anche da guardiano alla merce. Quando per la strada eravamo colpiti da una pioggia, e le taverne erano piccole, ci toccava mettere il sacco di paglia sullo sterco degli animali e il mattino quando ci si alzava da quel gia cillo, emanava il fumo dei calore, con profumi poco igienici. E Umberto « 'a Secchia », carrettiere vivente ad Atripalda, e che è stato parecchi anni con noi, potrebbe testimoniare e affermare quanto asserisco. Una volta, tornando da Montella (dove avevamo fatti affaroni, vendendo tutta la merce), digiuni, volevamo ritirarci a casa a mang[...]

[...]i S. Egidio a Montefusco, lavorando come un cane per la contabilità, perché anche questo barese, era analfabeta. Insomma io che avevo frequentato la seconda classe elementare e due mesi della terza, ero un padreterno. Ma solamente alla divisione dei lucri e della merce, incominciarono a sorgere delle dificoltà, ed allora mi convinsi che nessuna società potevamo fare.
Occorre tornare qualche anno indietro, e precisamente nel settembre del 1890.
Frà i moltissimi clienti di mio zio Sabino, vi era il Capotreno Recine di Montefusco, che poi doveva diventare prima cognato e poi suocero mio, ed un giorno raccontò a mio zio che la moglie a Napoli si era partorito di una bellissima ragazza, ed aveva bisogno di una nutrice urgentemente. Mio zio voleva un gran bene a questo Capotreno; e perché assiduo suo cliente, e perché della nostra provincia, gli promise il suo interessamento. Lo zio Sabino aveva una sorella che si chiamava Lena, moglie di un operario di Sarno, Luciano Pappacena, che lavorava a Pianodardine, dove vi era una fabrica inglese di[...]

[...]idità. Spesse volte per riscaldarmi i maccheroni, mi affibiava in braccia questa piccola Amelia, che cresceva bellissima e che io divoravo con baci innocenti. Passato il periodo di allattamento, il padre ritirò questa bambina, con gran dispiacere di mia zia, vuoi per la morte della figlia, vuoi perché gli aveva dato latte, tanto si era affezionata.
I rapporti tra il Capotreno Recine e mio zio Sabino non solo rimasero cordiali, ma si cementarono fraternamente. Si era alla fine di giugno del 1896. Mio zio Sabino, malgrado i miei diciannove anni, voleva che io sposassi, sapendo che questo Capotreno aveva una sorella signorina a Montefusco, e lo sapeva perché la trattoria di mio zio era il punto d'appoggio di lettere e pacchi, sia da Napoli per Montefusco che da Montefusco a Napoli. Un giorno mio zio abbordò questo Capotreno che era in vena, e gli disse queste testuali parole: — Don Carlo, mi è venuta un'Idea. Perché non facciamo sposare Angelino con vostra sorella? — Il Capotreno su due piedi non sapeva che cosa rispondere, e disse: — Poi [...]

[...]fiera, e con un carico di sei carretti grandi trasportammo su quella fiera di campagna della merce di primizia moda e di gusti indovinati, che i migliori negozii di tutta Napoli non possedevano.
Fu un successone. Le migliori famiglie dei paesi viciniori si fermavano ad ammirare tutti gli articoli, aspettando delle ore per essere servite. Il primo a felicitarsi con mio padre e con me, fu l'agrimensore Don Ciccio Bocchino, nonno del povero Dottor Francesco Bocchino, e
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 75
sua moglie la signora Luisella Recine, sorella al padre del Capotreno Recine, donna di rare virtú domestiche. Questa si avvicinò a mia ma
dre, ed all'orecchio gli disse: — Eppure, è cosí abile e simpatico tuo figlio, che gli dobbiamo far sposare una nostra nipote. — Vi era un
gran negoziante di articoli svariati e bene assortiti di merceria, confezioni dell'epoca per signore, signorine e contadine, molto ricco, il quale avanzò con mio padre proposte di matrimonio di una sua figlia. Ed un altra proposta del genere [fu quella] di un fort[...]

[...]mento. Saltavo il pasto di mezzogiorno, rimpiazzandolo con una pizza (calzone) imbottita di ricotta, qualche soldo di frutta, ed alla sera dopo la chiusura della cassa sotto l'orologio esterno della ferrovia, andavamo al pranzo dalla trattoria della Fortuna (tutt'ora esistente) alle spalle della statua di Garibaldi, ove spendevamo 8590 centesimi, massimo 1 lira. I miei compagni, per lo stesso servizio, erano tre: Cioffi Gaetano, calzolaio di Solofra, Fiumara Pietro, esercente una trattoria di Salerno, e Saturno
ANGELO MUSCETTA
Antonio di Cassino. Era la seconda sera che stavo in loro compagnia, dopo di aver mangiato, facemmo una passeggiata a piedi dalla ferrovia alla Galleria. Lessi un manifesto che al S. Carlo si rappresentava La Forza del Destino, con dopo il Ballo Excielsior, e al loggione di quinta fila (non numerato a quei tempi) si pagava lire 1.25 a persona. Proposi ai miei amici di andare: tutti profani di opere liriche. Ma per convincerli, ce ne volle, perché loro preferivano farsi una partita con qualche litro di vino. Io te[...]

[...]a partita con qualche litro di vino. Io tenevo lire 2.40, somma che potevo disporre, loro invece erano diretti padroni e potevano spendere senza parsimonia. Facemmo i biglietti, e salimmo i cinque ordini di posti. Vi garantisco che senza avere inizio ancora il primo atto, ero contento di aver speso 1.25 fosse anche per vedere il solo teatro illuminato che per me rappresentava la prima entrata in paradiso.
Capitai a sedermi vicino ad una signora francese, che, solo oggi concepisco, doveva essere qualche governante, perché era munita di un bellissimo binocolo, che forse doveva appartenere ai suoi padroni, e tra un atto e l'altro, la pregavo di farmelo tenere qualche minuto. Ebbe inizio il primo atto, e solo allora compresi come si vivesse in un grande centro, con tutto quel paradiso terrestre, e con le ricchezze in mostra, della prima e seconda fila dei palchi, dove si ammiravano i gioielli piú fini, accoppiato ai decolté della noblès napoletana. Quei zoticoni dei miei amici caddero in braccia a Morfeo per tutta la durata dello spettacolo[...]

[...] far rimanere per sé (segnandoci Venduto) ancora in esposizione un servizio di piatti che era una meraviglia: però ci teneva, un poco vanitosa, perché le altre famiglie lo vedessero. Il terzo giorno, nel pomeriggio (vi erano pochi clienti) vedo avvicinare una donna anziana ed una signorina, per scegliere un bichiere col manico. La signorina, nel chiedermi il prezzo, s'incontrò col mio sguardo, e siccome aveva un dente avanti piú grande, come suo fratello, gli domandai: — Scusate signorina, siete forse sorella al Capotreno Recine? — E lei mi rispose di sí, chiedendomi il perché di questa domanda, e come conoscessi suo fratello. Dissi che per caso l'avevo conosciuto ad Avellino, e che gli rassomigliava moltissimo, e il nostro discorso fini cosí. Gli dissi il prezzo del bichiere, è lei di rimando mi disse: — Però siete molto carestoso (1). Acquistò lo stesso il bichiere, salutarono e andarono via, chiamai a mia madre (ché essa veniva sempre alla fiera) e gli raccontai questo episodio.
Io non potetti pronunciarmi dippiú, perché ignoravo se il Capotreno ne avesse fatto qualche .accenno alla sorella.
Finí la fiera, sempre con ottimi risultati, e tornammo ad Avellino ed a mio zio raccontai il piccolo episodio, dic[...]

[...]chiere, salutarono e andarono via, chiamai a mia madre (ché essa veniva sempre alla fiera) e gli raccontai questo episodio.
Io non potetti pronunciarmi dippiú, perché ignoravo se il Capotreno ne avesse fatto qualche .accenno alla sorella.
Finí la fiera, sempre con ottimi risultati, e tornammo ad Avellino ed a mio zio raccontai il piccolo episodio, dicendogli che ne avevo ricevuto buona impressione. Pregai mio zio Sabino di parlarne di nuovo al fratello Capotreno perché a sua volta ne avesse parlato a Don Ciccio Bocchino suo tutore, alla zio Canonico e a zio Francischiello, e poi saremmo andati a Montefusco, a parlare di ogni cosa. Passarono due mesi dalla fiera, ed il fratello Capotreno Carlo Recine era stato a Montefusco e ne aveva parlato alla sorella, ed agli zii, e cosí id 15 novembre 1897 nolleggiammo una carrozza chiusa e partimmo alla volta di Montefusco, io, lo zio Sabino, e il compare Fusco — ed eravamo diretti alla casa dello zio Don Ciccio Bocchino. Però il compare Ciro propose di andare prima alla casa della sposa, e cosí facemmo. Per quanto preavvisati della nostra visita, la futura sposa rimase sorpresa, e dopo di averci lo stesso ricevuti ci disse gentilmente che la richiesta doveva essere fatta in casa dello zio Bocchino, giusto come si era rim[...]

[...]ccio Bocchino. Però il compare Ciro propose di andare prima alla casa della sposa, e cosí facemmo. Per quanto preavvisati della nostra visita, la futura sposa rimase sorpresa, e dopo di averci lo stesso ricevuti ci disse gentilmente che la richiesta doveva essere fatta in casa dello zio Bocchino, giusto come si era rimasto stabilito, si parlò del piú e del ;meno, e bastò questo perché i nostri cuori incominciassero a battere all'unisono, e bastò fra noi due .un furtivo sguardo (che è il primo linguaggio dell'amore) per intenderci. Preceduti da un buon tratto, da una strada diversa lei si diresse dallo zio Bocchino suo tutore, e dopo poco anche noi raggiungemmo l palazzo, che era in fondo al paese. Ci presentammo, ed arrivato al mio turno, lo zio Bocchino disse: — Ma
(1) Caro
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io conosco bene Angelino, figlio di Amato — Diventai rosso come un gambero, perché ricordavo che in quella casa, negli anni precedenti, dalla
piazza del mercato portavo dei cesti di roba, che lo zio Bocchino acquistava da mio padre, ed io come [...]

[...]tasche piene di frutta a secondo la stagione, oltre un bel pezzo di pane, con salame o formaggio, e altro ben di Dio. Lascio a voi lettori, figli nuore nipoti, la mia grande umiliazione, entrare in qualità di futuro sposo, in quella casa, che diversi anni prima avevo vergogna e paura di sporcare i pavimenti, con le scarpe piene di chiodi.
S'intavolarono le discussioni, e superate quelle piú essenziali, cioè le simpatie suscitate reciprocamente, fra me e la sposa, si parlò della posizione reciproca, non per farne un mercato, ma perché bisognava dar conto allo zio Canonico, allo zio Francischiello e al fratello Capotreno di residenza a Napoli. Quindi lo zio Bocchino si riservò dare una risposta entro quindiciventi giorni. Ci offrirono del vino perché s'era fatto tardi, per quanto il compare Fusco ripetute volte fece comprendere che eravamo digiuni, e su questo fecero orecchie da mercanti, e per questo fatto rimase un detto, fino alla morte del povero compare Fusco, il quale diceva: — Alla richiesta della mano della signorina Recine a Montefusco, bevetti a digiuno tre bichieri di vino.
Rimasti cosí d'accordo ci salutammo, e verso la fine del paese comprai del pane, prosciutto e vino, e facemmo [...]

[...] zio Bocchino, il quale ci riferí del consiglio di famiglia da lui
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presieduto, in qualità di tutore, e che tutti erano rimasti soddisfatti per le buone informazioni morali sui mio conto, ma non si trovavano d'ac
dordo per la posizione finanziaria. E non avevano tutti i torti: io non
possedevo nulla, la sposa portava in dote circa 6 mila lire, in contanti 3.800 e 2.200 una casa e terra, ancora in comune col fratello Carlo
Capotreno. Però mio zio Sabina e mia zia Angelarosa mi donavano lire 1.000 ciascuno alla rispettiva loro morte, e ,il contante della sposa veniva ipotecata su una loro casa, e quindi .garentita; lo zio Sabino s'impegnava fare tutte le spese del matrimonio, mobilio, vestiti per me e per la sposa, quel poco di oro, ecct. ecct.
I zii della sposa quasi non volevano aderire a questo matrimonio, perché non avevano voluto accettare due .matrimoni, uno di un ricco orefice di Gesualdo, e un altro in quell'epoca esattore di Montefusco, tutti e due ricchi, di buona famiglia, ma di pessimi p[...]

[...] nulla —. A queste parole, tutti si pronunziarono consenzienti, e fu superata ogni cosa.
Lo zio Bocchino volle festeggiare il fidanzamento ufficiale, con un banchetto (che il compare Fusco non l'ha mai dimenticato) con dolci e vino rarissimo, brindando alla salute dei sposi, e che il destino crudele volle spezzarlo (come in seguito vi dirò) dopo solo undici anni di matrimonio.
Dopo il pranzo solenne, ci recammo in casa dello zio Canonico e zio Franceschiello, per salutarli e ringraziarli per il loro autorevole consenso, — e partimmo alla volta di Avellino, riportando indietro il cesto con tutta la roba, dopo di aver fatto mangiare al vetturino Miniello, padre del vetturino attuale Angelo Venezia. A casa con i nostri alla sera finimmo di festeggiare tale evento.
Ebbe inizio il nostro fidanzamento ufficiale, e fu stabilito di andare ogni mese a Montefusco, e trattenermi tre giorni per ogni mese. Il primo viaggio fu da me effettuato il 6 gennaio del 1898, con una sgangherata carrozza postale che partiva tutti i giorni alle quattordici, e[...]

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del danaro, ma rifiutai energicamente, dicendogli: — Non mi serve, perché a Montefusco non mi fanno mancare neanche le sigarette. — Mi vestii in fretta, presi la mia piccola valigetta, presi pasto nella carrozza, facendo le mie scuse ai miei compagni di viaggio, chè per un contrattempo li avevo fatti attendere venti minuti, e partimmo.
Posso assicurarvi che furono tre ore di tortura per me, avrei voluto ritornare in Francia perché ero sempre in corrispondenza col mio antico principale Sassone Battista, odiavo mio zio Sabina, odiavo il mio vicinato e volevo andar via lontano da quella gente malvagia. Erano due le cose che m2 trattenevano, i miei genitori (e debbo confessarlo, piú segnatamente mio padre) e la mia Vincenzina, che amavo piú di me stesso, ed ero riamato ugualmente. Certo era i1 primo amore vero, sentito, ed ingoiai quest'altra pillola abbastanza amara. Questi furono i pensieri che in me stesso fantasticai durante le tre ore idi viaggio, avevo una voglia matta di piangere, ero buono di animo, tene[...]

[...]rivare a Montefusco e cercai dominarmi, svegliandomi dal torpore di amarezze in cui ero innocentemente caduto, e mi avviai .alla casa, dove una creatura umana mi aspettava piena di amore e piena di passione, salutai, lei che sulla soglia della porta mi aspettava, salii in fretta quei sei scalini esterni, tenuti da una inferriata, ed entrai salutando e baciando la mano alla zia Filomena, seconda madre di Vincenzina, poiché rimasta orfana lei e il fratello Carlo. Questa zia di anima buona, mezzo devota, fu per lei una vera seconda madre. Con una forza di volontà cercai dominare il mio turbamento, portando i saluti di tutti i miei, ma a Vincenzina non era sfuggito che io non era il tipo allegro delle altre volte, a cui raccontavo specie alla zia Filomena dente barzellette, che tanto la facevano ridere, e per giustificarmi dicevo di avere un leggiero mal di testa. Ma vi erano delle buone salziccie per cena, e con supremo sforzo feci venire il buon umore.
Passò la serata alquanto allegra, passarono ancora giorni e mesi, l'amore s'ingigantiva[...]

[...] ho conosciuto da che ero piccolo solo il senso del dovere, e poi eventualmente il senso (se pure) del diritto, e in compagnia dell'alba che si schiudeva mi incaminai a piedi (perché in quell'epoca non si aveva neanche lontanamente l'idea dell'automobile) e raggiunsi la stazione di Prata: che dopo pochi minuti arrivò i!1 primo treno da Benevento, e giunsi puntualmente alle sette del mattino, giusto come avevo promesso a mio zio. Ero felice, ogni frainteso era scomparso, lavoravo notte e giorno, e vedevo avvicinare il giorno tanto da me sperato e coronato dopo sacrificii, il mio sogno.
Il 21 novembre 1898 partimmo da Avellino in carrozza, io, lo zio Sabino, il compare Fusco, il Notar Capriolo, e il suo segretario, e ci recammo a Montefusco in casa di Don Cuccio Bocchino zio della sposa, e tutore, nonno del Dort. Francesco Bocchino, per redarre i capitoli matrimoniali, con un cerimoniale molto lussuoso, e irto di malte difficoltà per la sistemazione ipotecaria della dote: ché in quell'epoca lire 6.000 era una dote fastosa. Come Dio voile, fu appianato ogni cosa per il meglio, e per la prima vdlta, debbo confessarlo, ebbi l'onore di sedere a mensa in un banchetto di lusso e signorilità, che mi pareva di sognare qualche pagina del libro di Mille e una notte. Non debbo nascondere la mia emozione, quando in quella stessa casa entravo da ragazzo a portare degli oggetti che mio padre gli vendeva in piazza, e ch[...]

[...]er regalo della frutta e colazione, e quel giorno sedevo a mensa in qualità di futuro sposo al posto d'onore. Credetemi, nella vita ho subito delle umiliazioni, dei sacrifici, delle privazioni, del lavoro snervante, e perché no? della fame, cosa che non auguro al mio piú acerrimo nemico, ma in compenso ho avuto delle poche, ma belle soddisfazioni, che mi sono state di sprono a tutte le difficoltà che nel sentiero della mia vita ho sopportato con francescana rassegnazione.
Con la speranza che il giorno tanto desiato presto si avverasse, si era arrivato al 10 gennaio del 1899, giorno che si fissò la data del matrimonio per .i'1 9 febbraio 1899. Infatti tale giorno, di giovedì, S. Sabino, partimmo da Avellino con quattro. carrozze di gala, alle ore sei del mattino, e andammo a Montefusco, ed in casa sempre di
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Don Ciccio Bocchino alle ore 10 ebbe luogo il matrimonio civile officiato personalmente dal Sindaco, e quello religioso officiato dallo zio della sposa, Canonico Recine. Cerimonia austera, belliss[...]

[...]ustera, bellissima, signorile, a cui intervennero le piú spiccate personalità del paese. Furono distribuiti dolci confetti e liquori, e gli onori di casa furono fatti impeccabilmente dalla signora Donna Mariannina Bocchino, nuora di Don Ciccio Bocchino e madre del Dottor Bocchino. Il cerimoniale sarebbe riuscito superiore ad ogni aspettativa, se non fosse stato funestato da un contrattempo, e cioè il mancato intervento allo sposalizio dell'unico fratello della sposa Carlo, Capotreno a Napoli delle F.F. dello Stato: coincidenza da tener presente. Iil fratello Carlo (unico fratello) non potette intervenire allo sposalizio perché la figlia Amelia (di cui è una protagonista di queste memorie, come rileverete nei primi capitoli, e che poi divenne mia seconda moglie) era in quel periodo in fin di vita, ammalata di tifo, che in seguito fortunatamente superò.
Dopo la cerimonia, si partí alla volta di Avellino, accompagnati da quasi tutti i parenti intimi e fioccava la neve piacevolmente. Ad Avellino nella casa dove abita adesso Siani Vincenzo, ci aspettava un lauto banchetto. A questo proposito debbo precisare una cosa. Mio zio Sabino aveva i suoi gravi difetti, ma avev[...]

[...]uoco e un aiutante, altre le donne di famiglia, lavorarono tre giorni. Fu un elogio di tutti i commensali, e segnatamente della zia Carmela che dimenticavo dirvi intervenne allo sposalizio con zio Sabatino vestito in lungo con redingote, e lei con un cappellino eccentrico (che costava pochissime lire per la sua rimontatura). I regali (per quanto in quell'epoca poco si usassero) pur tuttavia i'l piú di valore era il biglietto di lire 25 dello zio Franceschiello. Però il regala di zia Carmela (non lo posso mai dimenticare) fu di un portabiglietto di seta, costruito, forse, con le sue mani.
Dopo il pranzo, ripartirono alla volta di Montefusco, con due carrozze di gala, i parenti della sposa, ed alla sera grande trattenimento in famiglia, con qualche invitato, il Capo Stazione titolare e qualche impiegato, o amici di famiglia, si ballò fino all'una del mattino, con distribuzioni, di dolci, liquori, spumanti, tutto a profusione.
Dopo tre giorni facemmo il nostro viaggio di nozze. Incredibile ma
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vero, con lire 25, dico v[...]

[...] e con una rivoltella spianata verso di me, pretendeva una mia firma ad una cambiale, che io non volevo mettere. Per fortuna mio zio fu chiamato dal Capo stazione, ché doveva pagare il canone del buffet scaduto da parecchio tempo. Spaventato presi mia moglie, e mia so rella Mariuccia e scappai in casa, col preciso proposito di non tornare mai più al buffet e piansi amaramente il mio destino. Scrissi allo zio
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Francesco Bocchino a Montefusco mettendolo al corrente, pregandolo che mi facesse un prestito di 500 lire, cosa che fece subito, rilasciandogli una cambiale firmata da me e mia moglie.
Intanto mio zio Sabino, per far fronte ai suoi impegni, precipitò la vendita del residuo di merce cristalli e porcellane, gestione tenuta con capitali suoi, e venduta da mio padre.
Intanto col prestito delle 500 lire fattemi improntare dallo zio Bocchino pensai aprire un negozio sempre di cristalli e porcellane, fiatai quel basso, dove tutt'ora esiste la trattoria di Brigida, di fronte alla ferrovia, e mi decisi [...]

[...]evisto. I'l mio capitale iniziale, al netto di interessi e delle spese generali, da lire 500 sali a lire 900, le cambiali con la società RichardGinori furono pagate con puntualità, a questo fece seguito il secondo e terzo vagone, i miei due figli Amato e Sabina crescevano un amore, ed eravamo felici e invidiati. Lo zio Bocchino di Montefusco (che Iddio lo abbia in gloria), alle rimostranze e richiami da parte dello zio Canonico e di un'altro zio Franceschiello, per questo matrimonio fatto, dopo quanto era successo rispondeva: — Aspettate, e vedrete che quel giovane, (si alludeva a me) per la sua abilità nella vita, farà progresso e non gli mancherà mai nulla. Passarono 7 mesi, e già i preliminari di pace da parte di zio Sabino (segnatamente l'amico suo intimo Compare Fusco) si avvicinarono a me per persuadermi a fare la pace, toccando il mio debole, la moglie di zio Sabino, la buona zia Angelarosa, sorella di mio padre. Ma io non volevo più saperne. Avevo saputo che il lavoro del buffet era fortemente aumentato, e malgrado avessero preso[...]

[...]rto qual modo pareggiare il bilancio molto passivo. Quanti sacrificii, quante privazioni, è inutile descriverlo, eppure ringraziavo sempre la provvidenza. Eravamo arrivati a1 gennaio del 1903 e sembrava che le cose
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si appianavano per il meglio, ma il lato finanziario era sempre ristretto. Il 20 aprile 1903 un'altra tegola mi doveva ancora cadere sul capo. Mia moglie Vincenzina si ammalò di tifo, dibattendosi fra la vita e la morte per tre mesi. Fui costretto far venire sua zia Filomena da Montefusco, colei che per tanti anni gli aveva fatto da madre, e dovetti allontanare i bambini Amato e Sabino, inviandoli a casa di mia madre, perché il medico curante aveva proibito in modo assoluto che fossero rimasti nella medesima casa, anzi proibirono anche a me di coricarmi nel medesimo letto. Ma questo era assurdo, perché non avevo la forza di allontanarmi, anche a costo di morire insieme a lei, tanto più che il suo desiderio era quello di essere fatto ogni cosa da me, iniezioni, disinfezioni, somministrazion[...]

[...] preghiere, ed una forza occulta mi fu di sprone: diventai dinamico, instancabile, e con il lavoro enorme che si era venuto a creare si aveva bisogno di aiuto, di altro personale, e naturalmente mio zio Sabino cercò utilizzare i suoi parenti, che tornati dal Brasile erano diventati tanti parassiti, non sapevano e non volevano far niente. Mio zio Sabino, col suo occhio clinico, guardava la situazione, e lui stesso vedeva la differenza che cassava fra me e loro: io che abbracciavo con passione tutti i disagi, il lavoro, i sagrificii, e loro, apatici, pensavano a mangiare, bere e dormire. E naturalmente, col mio lavoro, con le mie privazioni di sonno, di divertimento, di riposo, e con lo sprone di mia zia Angelarosa verso il marito (con questo vi è un antico detto, che bisogna essere sempre il parente della Regina e non _del Re), feci breccia nell'animo di zio Sabino, diventando il suo beniamino, e non ebbe lui né il coraggio, né la malvagità di cambiare quell'affetto sincero verso di me.
Intanto però mio zio Sahino cercava una soluzione p[...]

[...]e nel 1907 fece il testamento a mio favore, mercè sempre l'interessamento del compare Ciro Fusco.
Lascio a voi descrivere la mia gioia e quella di Vincenzina mia moglie, che vedevamo sicuro coronato il premio dei nostri sacrificii, del nostro lavoro, e perché no? delle nostre privazioni. E dico privazioni, perché non ho voluto descrivere minuziosamente qualche difetto di mio zio Sabino, difetto sopportato da me e dalla povera mia Vincenzina con francescana rassegnazione, poiché mentre ai clienti che non pagavano gli si dava da mangiare, bere, dormire, sigarette e servitù, a noi veniva lesinato un poco di caffè nél latte per i bambini, Amato e Sabino, e che la madre doveva mandare a comprare 4 soldi per volta, dal padre di Esterina, Nicola Magliaro, che aveva negozio ad Atripalda. E quanti pianti a tavola, perché i piccoli Amato e Sabina non gli piaceva il formaggio (mentre oggi ne vogliono una grattugia) e dovevano mangiarselo per forza. La carne la mia povera zia ce lo doveva dare di nascosto, e tante e tante altre cose, che non vale l[...]

[...]o i clienti morosi. Chi non pagava alla fine del mese, non aveva più niente, le cose andavano normalizzandosi poco per volta, lavoravo molto dippiù, ma ero tanto felice, perché incominciavo a sentirmi un poco più sicuro del mio avvenire, o meglio dell'avvenire dei miei due figli. Avevo trent'uno anno, con tanto lavoro di vent'anni e con figli grandicelli, non ero ancora proprietario di un pacchetto di sigarette. Avevo estinto il debito dello zio Francesco Bocchino, il residua del mio commercio delle terraglie lo avevo dato al mio povero padre, per farlo continuare a vivere, eppure ero tanto tanto felice. Ricevevo solo dei rimproveri dalla mia povera Vincenzina
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mia moglie, perché lavoravo troppo e tutte le sere mi ritiravo pieno di sudore, anche nei mesi freddi. Pensavo tra me e dicevo a me stesso: — Con questa vita che faccio, morirò presto —. Invece il destino, la Provvidenza non mi abbandonava: al momento che scrivo ho sessantasette anni, seguito a lavorare, seguito a vivere.
Intanto la salute di [...]

[...]rivo non si può comprare neanche un paio di scarpe modeste. Eravamo tanto felici, che abbracciavamo il lavoro a piene mani.
L'anno 1910, e precisamente nel mese di maggio, si ammalò il mio povero padre con un forte dolore nelle costale che non gli dava tregua. Fu giuocoforza trasferirlo nella casa nuova al n. 5, per non dare l'impressione che i medici per visitarlo dovevano entrare in quel basso umido, ed intanto diversi medici non sapevano decifrare la natura di quel male. Finalmente dovetti decidermi far venire da Napoli uno specialista che si decise fare qualche puntura, e pare che il 20 giugno migliorava leggermente, e che mi lasciasse intravedere qualche speranza. Come se non bastasse la mia preoccupazione per lui, si ammalò la mia povera Vincenzina. Dopo visitata mia moglie, mi disse queste testuali parole: — Per vostro padre uniformatevi che non vi è speranza: la sua miglioria è fittizia. Per vostra moglie, è cosa da nulla: fra pochi giorni lascierà il letto —. Però a questa proposito, con mio sommo rincrescimento, debbo incolpar[...]

[...]ti decidermi far venire da Napoli uno specialista che si decise fare qualche puntura, e pare che il 20 giugno migliorava leggermente, e che mi lasciasse intravedere qualche speranza. Come se non bastasse la mia preoccupazione per lui, si ammalò la mia povera Vincenzina. Dopo visitata mia moglie, mi disse queste testuali parole: — Per vostro padre uniformatevi che non vi è speranza: la sua miglioria è fittizia. Per vostra moglie, è cosa da nulla: fra pochi giorni lascierà il letto —. Però a questa proposito, con mio sommo rincrescimento, debbo incolpare mia moglie per certe sue stranezze (e credo che dall'altro mondo voglia perdonarmi). Per economia di poche lire volle chiamare il Dottore Alvino di Atripalda, in luogo del Dottore Festa di Avellino, nostro medico curante. E pare che questo Dottore Alvino gli abbia somministrato delle cartine astringenti credendo fosse diarrea, mentre era un emoraggia interna. Certo, o il destino crudele, o la fatalità di un errore, la mia povera Vincenzina alle ore 22 del 1° luglio volò la sua anima al cie[...]

[...]dre, povera moglie! Chi può descrivervi il dolore, che cosa può essere una disgrazia simile? Perdere in ventotto giorni di distanza i due esseri più cari, la moglie di un primo amore a 38 anni, e il padre
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bello, roseo più giovane di me a 63 anni. Che anno, 1910, non l'auguro a nessun mortale nemico!
Cercai allontanare i miei figli inviandoli a Montefusco, ma dopo pochi giorni ritornarono, volevano almeno rinfrancarsi dell'affetto paterno dopo di aver perduto quello materno. Sabino si lasciò convincere andare a Solofra da un nostro compare, che eravamo legati come fratelli, ma dopo pochi giorni si ammalò di scarlattina, dibattendosi fra la vita e la morte, tenendomi nascosto ogni cosa. Una domenica volli andare a trovarlo, e quale fu la mia sorpresa vederlo seguire scalzo, con un cero acceso, ad una processione, perché era una festa e la commare di Solofra gli aveva fatto fare un voto se si sarebbe salvato, e came infatti si salvò.
Così si chiuse il primo episodio della mia vita travagliata che non conobbe altro che lavoro sacrificii, privazioni, e che avrebbe dovuto godere qualche poco di felicità. Rimanere privo di un padre che mi coadiuvava, e la moglie che mi seguiva nel lavoro fino all'eroismo! E giuro che al momento che scrivo questi tristi ricordi, e che son passati 36 anni, mi si chiude la gola come se volessi strozzarmi per un rimorso (che mi rimarrà eternamente), se rimorso si può chiamare, per non avere avuto la possibilità, di far [...]

[...]ll'albergo, molte responsabilità si aggravarono su di me. Tirai avanti alla meglio per tredici mesi lavorando con maggior lena, sia materialmente, sia moralmente, ritirandomi a notte alta, cercando riposare due tre ore. Ma era un riposo, senza conforto, senza una persona cara che mi comprendesse, aumentando così il mio morale abbattuto, che non trovava pace. Ed un giorno del mese di agosto di quell'anno venne per quattro giorni da Montefusco zio Franceschiello, il quale voleva molto bene a me ed alla buonanima di Vincenzina sua nipote carnale. E nel trattenersi con me, un giorno mi chiamò in disparte e mi disse: Caro Angiolino, tu sei giovane, dato la tua azienda, con due piccoli figli, difficilmente potrai rimanere solo, e al solo pensiero che un giorno i miei nipoti dovrebbero
98 ANGELO MUSCETTA
passare sotto la guida di un matrigna, e questa dovesse maltrattarli, io ne morrei di dolore. Tu devi sposare mia nipote Amelia, se lei acconsente, e se il padre Cariuccio non trovasse difficoltà. — Infatti ne parlò a lei ed al padre, e dopo[...]

[...] a una strada. Mi diedi da fare, chiamai Raffaele Petrillo, padre di Orlando, e feci fare i scaffali alla meglio, per iniziare alla meglio la vendita di coloniali, liquori, riso, pasta e olio. Possedevo un capitale liquido di circa 10 mila lire, somma colossale per quell'epoca, e il mio programma fu quello della pasta alimentare: vendere tale articolo quasi a prezzo di costo, come specchio per le allodole. Mi portai a Gragnano e mi presentai dai fratelli Parlato, uno dei primi pastificii di Gragnano, famoso per esportatore in America in quell'epoca, ed ottenni l'esclusività per Avellino e provincia ordinando q.li 20 per volta, ed ottenendo non solo la medesima qualità per esportazione che Avellino non aveva mai mangiato, ma anche delle piccole cassettine per famiglie assortite di kg. 10. Mi portai a Napoli e feci la prima grande commissione e cioè di kg. 5 di caffè per ogni qualità al prezzo di lire 2.40, a 2.70 il chilo, zucchero a 68 centesimi, riso a 22 centesimi, e altri articoli.
Iniziai la vendita della pasta esportazione di Gragn[...]

[...]i acquisti. Come tutte le iniziative mie, anche questa fu coronata con molto successo, e gli affari andavano a gonfie vele. Il lavoro intenso era la pasta, e quasi tutte le sere si dovevano vuotare e selezionare quindiciventi casse, ed i tre artefici ero io, la mia povera Amelia e mio figlio Sabino, il quale fin da piccolo aveva una passione per il commercio, e di scuola era poco appassionato; figlio che in questo momento benedico e lo addito ai fratelli tutti, ai figli, ai nipoti, come esempio di lavoratore, onesto ed obbediente, mai un dispiacere, mai un rifiuto ai suoi doveri. Con questo non voglio menomare l'affetto
r
loo ANGELO MUSCETTA
per gli altri figli, che per un buon padre rimane sempre uguale per tutti, anche se in momento di narrazione se ne voglia tessere qualche elogio.
Dal principio del secondo matrimonio non fu il solo negozio che fu causa della mia ascesa a gradazione, ma furono molti i sagrificii: due sole camere per dormire, una per noi ed un'altra piccola (che fu adibita dopo per salotto) per la zia Angelarosa, e[...]

[...]to aumentati, volle concedermi il credito di lire 750 con cambiali a 306090 giorni. E quello fu l'inizio di iniziare la vendita all'ingrosso, per modo di dire, cioè qualche chilo per ogni articolo, ai piccoli dettaglianti.
Ero molto soddisfatto, avevo l'aria già di un grande grossista: dall'acquisto di kg. 5 cioccolato, incominciavo a ritirare dalla Svizzera (Compagnie Suisse di Lugano) i primi kg. 50 di cioccolato speciale a lire 2.60 il chilo franco Avellino con pagamento a 60 giorni tratta, e così per lo zucchero, caffè, pepe ecct. Durante questo periodo, la mia povera Amelia, zia Angelarosa si occupavano per la vendita a minuto perché erano diventate molto provette, ed io mi incaricavo per la vendita all'ingrosso, e per gli acquisti. La mia casa si allietò del primo figlio Carlo, poi Vincenzina che insieme a Umberto, e Mario venuti dopo, furono cresciuti su sacchi di pasta, farina, e persino nei tiretti del caffè, senza tante sottigliezze, né bambace, né
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paramenti di seta, merletti ecct., ma so[...]

[...]e a mia disposizione fondi e personale. Ero soddisfatto, sia per l'esonero, che mi dava l'agio di guardare la mia azienda. La notte per me non esisteva, la passavo in treno, sui carretti, e pur di fare bella figura e in parentesi anche redditizia.
Come se non bastassero tutte le occupazioni, non tralasciavo coltivare le altre che si presentavano.
Una sera fioccava la neve a. larghe falde, si presentò un signore sulla cinquantina chiedendomi in francese una camera, e fu molto soddisfatto quando gli risposi anche in francese che potevo ospitarlo. Presi le sue generalità, e gli domandai che cosa fosse venuto a fare,
e con tutta la franchezza mi disse che doveva acquistare 45 mila q.li di vino. Allora gli risposi che ero mediatore di vino (cosa che non avevo mai esercitato) e lui tutto contento di essersi imbattuto in me che gli faceva da mediatore, e da interprete, perché non conosceva neanche una parola di italiano. Dal suo vestire dimesso non gli si attribuiva l'aria di un milionario quale effettivamente era, e mi raccontò tutta una storia. Nativo di un paese di confino con la Germania (Epinal) dove aveva due stabilimenti vinicoli, e un altro in Svizzera era stato espulso dalla Francia per tre anni (non gli domandai per [...]

[...]cosa che non avevo mai esercitato) e lui tutto contento di essersi imbattuto in me che gli faceva da mediatore, e da interprete, perché non conosceva neanche una parola di italiano. Dal suo vestire dimesso non gli si attribuiva l'aria di un milionario quale effettivamente era, e mi raccontò tutta una storia. Nativo di un paese di confino con la Germania (Epinal) dove aveva due stabilimenti vinicoli, e un altro in Svizzera era stato espulso dalla Francia per tre anni (non gli domandai per delicatezza il motivo) e durante la guerra '14'18 Epinal fu occupato dalla Barbaria Tedesca, che invase i due stabilimenti, saccheggiando centinaia di migliaia bottiglie di champagne, e centinaia di migliaia [di] ettolitri di vino. Due figli in guerra, e una sola signorina figlia, che ebbe l'astuzia di murare in uno scantinato denaro gioie
e titoli che possedeva. Volle condurmi a cena nel buffet, e mi accorsi che aveva per me già una simpatia. Il mattino seguente ci mettemmo in viaggio per i possibili acquisti di vino. Dimenticavo dire che lui si era di[...]

[...]l prezzo di lire 12.50 per q.le, messo in una stazione della Campania in serbatoi
104 ANGELO MUSCETTA
del compratore. Feci inserire nel contratto la mia spettanza e la gioia di aver guadagnato in tre giorni lire 5.000 mi fece dimenticare di far inserire nel contratto che tale mediazione mi doveva essere corrisposto per tutta la merce . che oltre i 5 mila quintali avrebbe caricato. Seppi dal capostazione di Nola amico mio, che in 19 mesi questo francese aveva caricato circa 70 mila q.li di vino. Certo per tre giorni di lavoro, per aver messo in contatto due persone guadagnando lire 5.000 (che sarebbero 100 mila di oggi) é una bella somma.
Sempre in quel periodo '14'18, un mio amico da Roma mi scrisse se volevo interessarmi per la fornitura all'annona di Roma, diverse migliaia di quintali di patate, e diversi vagoni di fagioli, corrispondendomi lire due a quintale netto, segnalando telegraficamente il prezzo di acquisto, e spedire dietro conferma, vagoni valuta e sacchi a soddisfazione. Naturalmente col mio saper fare verso i comprator[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Frà, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Acone <---Acquistò <---Ad Avellino <---Aix <---Albergo Wachinton <---Amedeo Fontana di Brescia <---Angelo Muscetta <---Angelo Venezia <---Angiolillo <---Antonio Spaccamon <---Arturo Petracca <---Aspettate <---Atripalda <---Autonomo <---Avellino-Napoli-Saviano <---Ballo Escelsior <---Ballo Excielsior <---Barbaria Tedesca <---Basta <---Battista Sassone <---Beneventana <---Bocchino di Montefusco <---Bon <---Bonne Mère <---Boulevard St <---Caiazzo <---Canonico Recine <---Capitano <---Capo <---Capo Stazione <---Caporetto <---Caposelle <---Capotreno <---Capotreno Carlo Recine <---Capotreno Recine <---Capotreno Recine di Montefusco <---Cappadonna di Partici <---Cariuccio <---Caro Angiolino <---Cartocci <---Casamicciola <---Caserta <---Cercasi <---Certificat <---Chaimin <---Chianti <---Chiesi <---Ciaburri <---Ciaburri di Napoli <---Cioffi Gaetano <---Ciro Alvino <---Ciro Fusco <---Codogno <---Come Dio <---Compagnia Fraissinet <---Compare Fusco <---Console <---Così <---Credetemi <---Credito Irpino <---Cuccio Bocchino <---Cuomo <---Da Avellino <---Descrivervi <---Direzione di Milano <---Diritto <---Doctor Luis <---Don Carlo <---Don Ciccio Bocchino <---Don Cuccio <---Donna Mariannina Bocchino <---Dottor Bocchino <---Dottor Francesco Bocchino <---Dottore Alvino <---Dottore Alvino di Atripalda <---Dottore Aufieri <---Dottore Festa <---Egidio a Mon <---Elena Pappacena <---Elixir Coca <---Epinal <---Erricuccio <---Esposizione Coloniale <---Espérandieu <---F.F. <---Festa di Avellino <---Filomena da Montefusco <---Fiumara Pietro <---Foggia <---Forza del Destino <---Franceschiello <---Francesco Bocchino a Montefusco <---Francese di Napoli <---Francia <---Francischiello <---Fuori <---Gavino Martinetti di Iglesias <---Giacomino Recine <---Ginori <---Giovanni a Teduccio <---Giugliano <---Gragnano <---Gran Chai <---Grottaglie <---Iandiorio <---Iglesias <---Iil <---Il Capotreno <---Il lavoro <---Jusqu <---Jusqua <---La Forza <---La Provvidenza <---La casa <---La notte <---La sera <---Labruna <---Lanzara <---Lascio <---Laurea Universitaria <---Lauretta Marengo <---Livret No <---Luciano Pappacena <---Lucrezic Caro <---Luigino Spagnuolo <---Luis Lecouvré <---Luisella Recine Bocchino <---Lìveri <---M.M.S.S. <---Ma mi <---Made Englis <---Maioli <---Malepasso <---Marco Minghetti <---Maria a Parete <---Marseille <---Marsiglia <---Masullo <---Medicina <---Melella Giordano <---Mille <---Mirabella Eclano <---Modena <---Monteforte Irpino <---Montefredane <---Montefusco <---Montella <---Nev Jorch <---Nicola Magliaro <---Nocera Inferiore <---Nolleggiammo <---Non voglio <---Notaio Titoman <---Notar Capriolo <---Pappacena di Sarno <---Parlato <---Passò <---Perché <---Però <---Pianodardine <---Piazza Francese <---Piazza Pantagone <---Piccola Velocità <---Piedimonte <---Pietro Bonito di Montefusco <---Pirone <---Platani <---Porta Rufina <---Posta Vecchia <---Povera <---Prata <---Prata-Pratola <---Pratica <---Pratola <---Pregandolo <---Quale <---Raffaele Petrillo <---Recine a Montefusco <---Richard-Ginori <---Riehard <---Ringraziò <---Rittardo <---Rue Canebière <---Rue Pherafins <---Sabatino <---Sabino Tammasetta <---Sabino Tom <---Sabino Venezia <---Sabino da Napoli <---Sahino <---Salerno <---Sannio <---Santomauro <---Sassone Battista <---Scuola Enologica <---Secchia <---Sepral <---Serino <---Siani Vincenzo <---Solofra <---Spaccamon <---Spaccamonte <---Spesse <---Storia <---Supplicandomi <---Svizzera <---Teduccio da Richard <---Tirreni <---Tornati <---Trattoria <---Traverse <---Tre Re <---Umberto Avagliano <---Vamero di Napoli <---Velocità di Avellino <---Via Umberto <---Vico Carrozzieri <---Vinoenzina <---Voghera <---Volturara <---Zia Angelarosa <---Zio Sabino <---apprendista <---autista <---brasiliani <---canzonettista <---centesimi <---d'Aix <---d'Alife <---d'Aosta <---d'Italiani <---dell'Italia <---dell'Opera <---eroismo <---fascista <---fuochista <---grossista <---guardiano <---indiana <---italiane <---italiano <---luculliani <---nell'America <---propagandista <---siciliano <---telegrafista <---tesimi <---viano <---zoologico



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