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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 327

Brano: FIAT

vetture a 10.320. Per uscire dalla crisi il grande capitale scelse la via di una forte compressione dei salari e dell’occupazione, eliminando ogni impalcatura assistenziale e abolendo talune misure fiscali che aveva precedentemente accettato a scopo puramente demagogico. Tutto ciò richiedeva un nuovo tipo di Stato, atto a stroncare ogni energia operaia: lo stato fascista. Inizialmente l’atteggiamento del grande padronato industriale nei confronti del movimento capeggiato da Benito Mussolini fu di sospetto e riserva per taluni aspetti « socialisti » del programma fascista e per le violente [...]

[...]mente l’atteggiamento del grande padronato industriale nei confronti del movimento capeggiato da Benito Mussolini fu di sospetto e riserva per taluni aspetti « socialisti » del programma fascista e per le violente affermazioni antiborghesi di cui facevano sfoggio certi esponenti. Ma appena chiariti i reali obiettivi e la vera natura del fascismo, l’alleanza divenne stretta e cordiale. Nel disegno fascista di organizzare lo Stato e la società, la FIAT riscontrò un sistema di completa protezione dell’egemonia industriale da parte dello Stato, il quale si assumeva il compito di reprimere ogni rivendicazione operaia e di istituire un corporativismo (v.) intéramente al servizio dell’incontrastato sfruttamento padronale. Perciò Agnelli e tutto lo stato maggiore del monopolio industriale e finanziario aderirono al regime, non appena questo offrì tali garanzie traducendole in un ordine autoritario.

Nel successivo periodo di stabilizzazione economica la FIAT riprese un rapido sviluppo, sfruttando sempre più ampiamente la protezione statale: nel[...]

[...] industriale da parte dello Stato, il quale si assumeva il compito di reprimere ogni rivendicazione operaia e di istituire un corporativismo (v.) intéramente al servizio dell’incontrastato sfruttamento padronale. Perciò Agnelli e tutto lo stato maggiore del monopolio industriale e finanziario aderirono al regime, non appena questo offrì tali garanzie traducendole in un ordine autoritario.

Nel successivo periodo di stabilizzazione economica la FIAT riprese un rapido sviluppo, sfruttando sempre più ampiamente la protezione statale: nel 1924 il capitale sociale fu portato a 400 milioni e nel 1925

(a seguito del viaggio del finanziere Giuseppe Volpi in U.S.A.) la FIAT, unitamente ad altri gruppi monopolistici italiani, ricevette un congruo prestito dalla Banca Morgan. Nel 1926 la FIAT accentrava I’80 per cento della produzione automobilistica nazionale, ma tra il 1926 e il 1929 venne configurandosi una certa crisi delle esportazioni automobilistiche per l’inasprirsi della concorrenza internazionale [in primo luogo da parte della Ford e della Citroen, che cominciarono ad avere loro impianti anche in Italia). Quando le esportazioni italiane calarono da 34.000 unità a 26.000, Agnelli fece pesanti pressioni sul governo fascista perché venisse rivisto il regime doganale. Nel dicembre 1929 furono instaurati forti dazi protettivi e dal 1930 l’imposta doganale sulle auto, che già [...]

[...]aliane calarono da 34.000 unità a 26.000, Agnelli fece pesanti pressioni sul governo fascista perché venisse rivisto il regime doganale. Nel dicembre 1929 furono instaurati forti dazi protettivi e dal 1930 l’imposta doganale sulle auto, che già ammontava al 60 per cento del valore, fu portata a oltre il 100 per cento. Parallelamente fu deciso il contingentamento delle importazioni. Tutte queste misure protezionistiche, miranti ad assicurare alla FIAT lo sfruttamento monopolistico del mercato interno, tennero la densità automobilistica in Italia a livelli molto bassi (1928: 1 vettura ogni 254 abitanti) rispetto ad altri paesi europei.

Un salto di qualità intervenne con la creazione dell7.F./. (Istituto finanziario industriale), diretta emanazione della FIAT. Creato nel 1927, questo istituto raggruppò varie società industriali e finanziarie, sviluppando la tendenza alla crescente integrazione tra grandi complessi produttivi e finanziari in sistemi di

tipo monopolistico. L’I.F.I.FIAT garantì al monopolio torinese un controllo su settori produttivi sempre più vasti e gli assicurò un drenaggio di risorse finanziarie da tutta l’economia nazionale, facendo della FIAT un esempio tipico della tendenza dei grandi gruppi monopolistici aH’autofinanziamento.

La crisi del 1929

La solida base operativa e il monopolio quasi totale del mercato interno non impedirono alla FIAT di subire il duro contraccolpo della grande crisi economica del 1929 (v.). Il settore automobilistico dovette ridurre del 50 per cento la propria attività: la produzione complessiva, che era salita nel 1926 alla quota di 60.800 vetture, precipitò nel 1932 a 26.500 unità. Il capitale della FIAT, che sul mercato azionario era valutato 1 miliardo e 400 milioni, scese nel 1933 a 466 milioni.

Ma già nel 1933 cominciò a delinearsi una sostanziale ripresa. Lo Stato prese provvedimenti eccezionali a favore della produzione automobilistica: esenzione totalè della tassa di circolazione per le utilitarie e per gli autocarri pesanti, e soprattutto generose commesse militari. Nello stesso tempo la durissima compressione dei salari e di qualsiasi rivendicazione operaia, assicurata dalla dittatura fascista, offrì àlla FIAT la possibilità di prosperare senza intralci, moltiplicando i profitti. [...]

[...]el 1933 a 466 milioni.

Ma già nel 1933 cominciò a delinearsi una sostanziale ripresa. Lo Stato prese provvedimenti eccezionali a favore della produzione automobilistica: esenzione totalè della tassa di circolazione per le utilitarie e per gli autocarri pesanti, e soprattutto generose commesse militari. Nello stesso tempo la durissima compressione dei salari e di qualsiasi rivendicazione operaia, assicurata dalla dittatura fascista, offrì àlla FIAT la possibilità di prosperare senza intralci, moltiplicando i profitti.

Dal 1934 la FIAT, divenuta ormai definitivamente monopolio protetto, realizzò utili senza precedenti. L’I.F.I.FIAT, dal capitale iniziale di

10 milioni, salì nel 1939 a 240 milioni. Grazie ai giganteschi utili venne intrapresa nel 1936 la costruzione della FIAT Mirafiori, « la più grande fabbrica d’Italia »; furono rinnovate molte attrezzature e creati impianti sussidiari per i casi di emergenza. La FIAT partecipò alla costruzione del Sestriere e a quella della centrale idroelettrica di Cenisela. Giovanni Agnelli, come i Pirelli e tutti gli altri « padroni del vapore >», cumulò cariche e funzioni, in perfetta intesa con il regime. La guerra d’Etiopia, l’intervento fascista in Spagna, la seconda guerra mondiale procurarono all’azienda un volume cofòssaledi commesse militari, rendendo sempre più stretti i suoi legami con il regime. Le armi, gli aerei, i carri e i mezzi di trasporto militari erano in massima parte prodotti FIAT. Essi rivelavano spesso penose caratteristiche di improvvisazione e [...]

[...]rica di Cenisela. Giovanni Agnelli, come i Pirelli e tutti gli altri « padroni del vapore >», cumulò cariche e funzioni, in perfetta intesa con il regime. La guerra d’Etiopia, l’intervento fascista in Spagna, la seconda guerra mondiale procurarono all’azienda un volume cofòssaledi commesse militari, rendendo sempre più stretti i suoi legami con il regime. Le armi, gli aerei, i carri e i mezzi di trasporto militari erano in massima parte prodotti FIAT. Essi rivelavano spesso penose caratteristiche di improvvisazione e di arretratezza

Il capo del governo Benito Mussolini tiene un discorso agli operai della FIAT per invitarli alI’« adempimento silenzioso » del loro dovere (Torino, 4.11.1923)

327



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 14

Brano: Agnelli, Giovanni

nella FIAT il giovane e intraprendente professore di tecnica bancaria Vittorio Vailetta (v.).

Mentre, con la guerra di Libia, affluivano alla FIAT le prime grosse commesse dello Stato, G.A. compì il suo primo viaggio in U.S.A. (1912), riportandone grande ammirazione per il fordismo e per tutto il sistema industriale americano, visto come un modello ideale al quale adeguarsi. L'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale portò alla FIAT un gigantesco aumento del volume d’affari e, con i rilevanti profitti che ne seguirono, Agnelli potè tra l’altro iniziare la costruzione della « FIAT Lingotto », e assumere con Riccardo Guaiino la direzione della Società di Navigazione Italo Americana (SNIA), che si trasformerà poi in industria chimica.

Agnelli e il fascismo

Diventato presidente della FIAT, dal 1920 G. A. fu tra i più autorevoli protagonisti degli aspri conflitti sociali del primo dopoguerra. Tentando la carta del paternalismo, nell’ottobre 1920, a conclusione del movimento di occupazione delle fabbriche (v.), giunse a proporre alle organizzazioni sindacali torinesi la trasformazione della FIAT in cooperativa gestita dagli stessi operai. Ma nel 1921, definitivamente staccatosi da ogni posizione «liberale», preferì accostarsi alle organizzazioni fasciste e finanziare gli organi di stampa che le sostenevano. L’1.3.1923, date le sue benemerenze, fu nominato senatore e il 19.12.1923 fu tra gli stipulatori del patto di palazzo Chigi che segnò il riconoscimento ufficiale dei sindacati fascisti da parte della organizzazione padronale italiana.

Negli anni del regime G.A. fu un tipico esempio di « padrone del va

pore » e potè accumulare cariche e funzioni (presidente della Vetrococke, [...]

[...]cimento ufficiale dei sindacati fascisti da parte della organizzazione padronale italiana.

Negli anni del regime G.A. fu un tipico esempio di « padrone del va

pore » e potè accumulare cariche e funzioni (presidente della Vetrococke, consigliere della SIP, della STIPEL, dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, del Credito Italiano, ecc.). La politica protezionistica e le guerre del fascismo favorirono in ogni senso il progressivo sviluppo della FIAT e nessuna remora frenava quindi la collaborazione tra i dirigenti di questa e la dittatura. Tale situazione continuò allo scoppio della seconda guerra mondiale e nel 1942

G.A. (come del resto gli altri grandi industriali italiani) accettò i piani del ministro deH’economia nazista Funk (v.), puntando ogni carta sulla vittoria dell’Asse. Fin quasi al

25.7.1943 G.A. restò fedele a questa linea, ma nello stesso tempo, e soprattutto dopo T8.9.1943, il ruo

lo della sua personalità andò decrescendo nella determinazione della politica della FIAT, mentre acquistava maggior peso quello di Vitt[...]

[...]ituazione continuò allo scoppio della seconda guerra mondiale e nel 1942

G.A. (come del resto gli altri grandi industriali italiani) accettò i piani del ministro deH’economia nazista Funk (v.), puntando ogni carta sulla vittoria dell’Asse. Fin quasi al

25.7.1943 G.A. restò fedele a questa linea, ma nello stesso tempo, e soprattutto dopo T8.9.1943, il ruo

lo della sua personalità andò decrescendo nella determinazione della politica della FIAT, mentre acquistava maggior peso quello di Vittorio Valletta.

Morto pochi mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale, il fondatore della FIAT e senatore del regime venne sepolto in vai Pellice, in un pietoso silenzio.

E. So.

Agnini, Ferdinando

N. a Catania il 24.8.1924, fucilato dai tedeschi il 24.3.1944; studente in medicina. Ardimentoso organizzatore dei giovani studenti nella resistenza romana, fondò l’A.R.S.I. (v.) e diresse il foglio clandestino studentesco La Nostra Lotta. Catturato in seguito a delazione il 24.2.1944, fu lungamente torturato in via Tasso e infine fucilato alle Fosse Ardeatine (v.).

Sulla facciata dell’istituto « Quinto Orazio Fiacco », nel quartiere di Monte Sacro a Roma, dopo la Liberazione è st[...]

[...]tramite il cugino Aldo Garosci s’accostò al movimento di « Giustizia e Libertà ». Al momento degli arresti del gruppo torinese di G.L., si trovava alla scuola allievi ufficiali di Moncalieri. Successivamente entrato nella magistratura, diede ripetute prove di indipendenza di giudizio e di fermezza di carattere. In contatto con l'emigrazione antifascista raccolta a Parigi, specie col gruppo facente capo a Carlo Rosselli, introdusse in

DORATORI FIAT

Agnelli [a sin.) ossequia Mussolini in visita alla FIAT (21.5.1939)

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 330

Brano: FIAT

flusso dei profitti, la FIAT ha sacrificato (senza alcuna remora da parte dei governi di centro sinistra) strutture produttive rilevanti del patrimonio nazionale come la RIV, ceduta alla svedese SKF; è penetrata assieme al capitale americano nella Olivetti; infine, sul piano sindacale, ha accentuato gli aspetti di riformismo paternalistico mirando a un’integrazione totale del sindacato nella programmazione economica concertata tra governo e imprenditori. In quest’ultimo tentativo ha potuto valersi deH’ausilio delle correnti sindacali socialdemocratiche, di parte di quelle cattoliche, e in misura minore (per un'effettiva [...]

[...]di un « nuovo contratto sociale» tra partiti, sindacati, governo e imprenditori privati, al fine di concertare i modi e le prospettive di uno sviluppo coordinato attorno ai programmi di espansione e di « benessere » previsti dai massimi organismi produttivi del Paese. Non essendo mai riuscita a piegare la resistenza di classe nelle sue fabbriche, nonostante le gravi sconfitte subite dal movimento operaio e i non pochi errori da esso compiuti, la FIAT ha optato da tempo per una strategia di « integrazione » dei lavoratori, tendendo ad allargarla all’intera società italiana con l’aiuto dei governi di centro sinistra e dei sindacati riformisti, miranti appunto a « concertare » la programmazione economica attraverso un accordo a lungo termine tra

lo Stato, i padroni e le rappresentanze sindacali. Sul piano economicoproduttivo questo programma corrisponde al proposito della FIAT di svolgere un ruolo de

terminante nel tentativo del capitalismo europeo di articolare i propri rapporti con il capitalismo statunitense e di resistere alla strapotenza americana (la fornitura di impianti della FIAT all’URSS, concordata nel 1957, rientra in questo orizzonte) garantendosi, nello stesso tempo, un alto livello di profitti e un’ininterrotta espansione produttiva. Perciò, non diversamente da quanto accade per tutti i grandi oligopoli internazionali, ma in misura specifica per quelli europei, la FIAT è volta ad assumere responsabilità sempre maggiori nella direzione politicoeconomica del Paese, riducendo di pari passo l’autonomia della classe dirigente politica e delle istituzioni, a cominciare dal governo e dai sindacati.

Il nuovo « contratto sociale » di cui si fa alfiere l’avvocato Agnelli corrisponde a questo indirizzo strategico che, d’altra parte, scaturisce da necessità oggettive dell’evoluzione del capitalismo oligopolistico, il quale non può garantirsi la propria dinamica di sviluppo che subordinando via via ogni aspetto della vita individuale e sociale al proprio meccanismo d[...]

[...] si fa alfiere l’avvocato Agnelli corrisponde a questo indirizzo strategico che, d’altra parte, scaturisce da necessità oggettive dell’evoluzione del capitalismo oligopolistico, il quale non può garantirsi la propria dinamica di sviluppo che subordinando via via ogni aspetto della vita individuale e sociale al proprio meccanismo d’espansione.

M.Gi.

Bibliografia: Ernesto Rossi, I padroni del vapore, Napoli, 1955; G. Carrocci, Inchiesta alla Fiat, Firenze, 1960; A. MinucciS. Bertone, Il grattacielo nel deserto, Roma, 1960. Diego Novelli, Dossier FIAT, Roma, 1970.

FIAT, Resistenza operaia alla

Dopo le leggi eccezionali fasciste del 1926, per molti anni non si ebbero alla FIAT agitazioni particolarmente importanti. Le ultime manifestazioni che avevano visto una larga partecipazione operaia erano state quelle per la elezione dei membri delle Commissioni interne e dei comitati delle mutue interne (marzo 1925), in occasione delle quali, su tre liste contrapposte, aveva vinto quella comunista (6.000 voti), nonostante che all’ultimo momento i fascisti avessero fatto confluire i propri voti sulla lista del sindacato riformista della F.I.O.M. (C.G.L.) che ottenne poco più di

5.000 voti. L’ultimo grande sciopero era stato quello dei metallurgici (agosto 1925), spezzato [...]

[...]ormista della F.I.O.M. (C.G.L.) che ottenne poco più di

5.000 voti. L’ultimo grande sciopero era stato quello dei metallurgici (agosto 1925), spezzato dai dirigenti della C.G.L..

La rete di vigilanza padronale, rafforzata dal concorso del sindacato fascista, dall’intervento della Milizia e dallo squadrismo alFinterno degli stabilimenti, ma soprattutto il timore del licenziamento in tronco e della conseguente disoccupazione riuscirono, alla FIAT ancora più efficacemente che in altri luoghi di lavoro, se non a « fascistizzare » gli operai, certo a bloccarne ogni velleità di resistenza. Durante i lunghi anni di amara « sottomissione », gruppi operai antifascisti continuarono a portare avanti un certo lavoro politico clandestino aH’interno di quelle officine, ma in effetti l’azione svolta era assai stentata, chiusa,

Manifestazione organizzata dalla FIAT in occasione di una visita di Mussolini agli stabilimenti (1932)

25Ó00 LAVORATORI della FIRT INNEGGIANO A L DUCE DELL'ITALIA FASCISTA

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 336

Brano: FIAT, Resistenza operaia alla

Il 24 agosto le maestranze della Mirafiori scesero nuovamente in sciopero per tre quarti d’ora, questa volta in segno di solidarietà con i parigini vittoriosamente insorti contro l’oppressione nazista. In tutte le officine fu un solo grido: « Viva il popolo di Parigi ». Durante la sospensione del lavoro gli operai portarono nel refettorio una grande corona di fiori con un nastro tricolore abbrunato e recante il nome di un operaio della fabbrica impiccato dai tedeschi a Torino alcuni giorni prima. In una cassetta ai piedi della corona furono raccolte offerte per aiu[...]

[...]zista. In tutte le officine fu un solo grido: « Viva il popolo di Parigi ». Durante la sospensione del lavoro gli operai portarono nel refettorio una grande corona di fiori con un nastro tricolore abbrunato e recante il nome di un operaio della fabbrica impiccato dai tedeschi a Torino alcuni giorni prima. In una cassetta ai piedi della corona furono raccolte offerte per aiutare la famiglia del caduto.

La lotta contro il terrore

Mentre alla FIAT e nelle altre fabbriche torinesi i lavoratori lottavano con agitazioni, scioperi e sabotaggi, le formazioni partigiane è i gruppi gappisti, riorganizzati dopo la crisi del maggiogiugno, agivano alle porte della città e nelle stesse vie del centro. Tedeschi e fascisti rispondevano con rappresaglie, torture, fucilazioni di prigionieri e di ostaggi. Il 30 agosto i nazifascisti fucilarono per rappresaglia 6 operai.

L'indomani mattina, per iniziativa del IV Settore, fu diffuso tra i lavoratori degli stabilimenti FIAT un appello, firmato dal Comitato segreto di agitazione, che diceva:

« A tut[...]

[...]ioni, scioperi e sabotaggi, le formazioni partigiane è i gruppi gappisti, riorganizzati dopo la crisi del maggiogiugno, agivano alle porte della città e nelle stesse vie del centro. Tedeschi e fascisti rispondevano con rappresaglie, torture, fucilazioni di prigionieri e di ostaggi. Il 30 agosto i nazifascisti fucilarono per rappresaglia 6 operai.

L'indomani mattina, per iniziativa del IV Settore, fu diffuso tra i lavoratori degli stabilimenti FIAT un appello, firmato dal Comitato segreto di agitazione, che diceva:

« A tutte le maestranze degli stabilimenti FIAT!

Ieri all’alba i nazifascisti hanno fucilato sei operai, i nostri migliori compagni, difensori della libertà e dell'avvenire del popolo italiano. In segno di lutto e di protesta contro questa nuova infamia, invitiamo oggi tutte le maestranze ad una fermata di lavoro di tre quarti d’ora, dalle 12,30 alle 13,15.

Lavoratori, siate solidali al fraterno appello! »

Le maestranze degli stabilimenti FIAT Mirafiori, Lingotto, Grandi Motori, RIV e delle Officine Metallurgiche attuarono compatte la fermata di lavoro, osservando per tre quarti d ora in tutti i reparti un assoluto, drammatico silenzio.

Il 25 settembre, alla Mirafiori e alla Lingotto si ebbe un nuovo sciopero di mezzora per protestare contro altre fucilazioni. Il 28 settembre, contro il ripetersi delle azioni di rappresaglia, una nuova manifestazione di protesta: alle 10 in punto operai, impiegati e tecnici della Mirafiori scesero in sciopero per un’ora e si riversarono nel refettorio principale. Qui un operaio tenne un breve e [...]

[...]on l’aggiunta di 200 lire per la moglie e di altre 100 lire per ciascun figlio a carico. Il prestito avrebbe dovuto essere rimborsato con trattenute rateizzate sulle paghe mensili. Il Comitato segreto di agitazione inviò una commissione per protestare contro le trattenute e ottenne dalla Direzione di spostare il rimborso dell’intera somma alla fine della guerra. Alcune settimane dopo, persistendo il malcontento e l’agitazione, la Direzione della FIAT si vide costretta a concedere un'indennità straordinaria di carovita, pari a 3.000 lire per ogni capofamiglia, 2.000 per gli scapoli e 1.000 per i giovani inferiori ai 18 anni.

Continuavano intanto le pressioni perché gli operài accettassero il trasferimento nelle gallerie della Gardesana. I dipendenti dell’officina n. 17, rimasti a casa con il 75 per cento dello stipendio dopo lo smantellamento dell’officina stessa, il 18 settembre e poi nuovamente alla fine del mese furono convocati dal direttore Genero e invitati a partire: dopo il loro unanime rifiuto, furono informati che i tedeschi a[...]

[...] provocato la morte di alcuni tedeschi, i nazisti fucilarono in via Cibrario, nello stesso luogo dell’attentato, 9 patrioti, tra cui i capi partigiani Battista Gardoncini (v.) e Pino Casana, lasciandone

esposti per la strada i cadaveri per oltre 24 ore, cosa che acuì lo sdegno tra la popolazione. Già all'indomani del massacro si ebbero fermate di lavoro in diverse fabbriche. Dal 16 al 19 ottobre, per lo stesso motivo, fecero 2 ore di sciopero FIAT Mirafiori, Lingotto, Grandi Motori, Officine Metallurgiche, Ferriere Piemontesi, RIV, Michelin, Rasetti, Westinghouse, Officine Savigliano e molte altre fabbriche. Una grande folla accompagnò al cimitero le salme dei patrioti uccisi e si ebbero anche manifestazioni di strada. Durante le due ore di sciopero alla FIAT, Val letta ricevette una rappresentanza di operai e impiegati. Dopo un breve preambolo del direttore generale, un delegato della Grandi Motori ricordò le condizioni di terrore in cui gli operai erano costretti a lavorare e invitò i presenti a un minuto di raccoglimento in memoria delle vittime. Al termine dell’incontro Vailetta dichiarò di essersi personalmente interessato per impedire quelle fucilazioni, che assolutamente disapprovava, ma subito aggiunse che non approvava le continue fermate di lavoro. E risultandogli che anche le altre sezioni FIAT avevano scioperato, ne informò il Comando [...]

[...]enerale, un delegato della Grandi Motori ricordò le condizioni di terrore in cui gli operai erano costretti a lavorare e invitò i presenti a un minuto di raccoglimento in memoria delle vittime. Al termine dell’incontro Vailetta dichiarò di essersi personalmente interessato per impedire quelle fucilazioni, che assolutamente disapprovava, ma subito aggiunse che non approvava le continue fermate di lavoro. E risultandogli che anche le altre sezioni FIAT avevano scioperato, ne informò il Comando tedesco e quel

lo italiano.

Alla Grandi Motori si svolse un comizio nel quale parlò brevemente un giovane, presenti anche impiegati e dirigenti. Il 29 ottobre alcuni rappresentanti del Fronte della gioventù deposero sul luogo dell’eccidio una corona di fiori, tenendovela per un’ora sotto guardia armata. Il 2 novembre si svolse al cimitero una grande manifestazione che coinvolse le migliaia di persone ivi convenute per la tradizionale commemorazione dei defunti. Sulle tombe di Giuseppe Bravin, valoroso gappista, di Battista Gardoncini e Pino Casa[...]

[...] dell’eccidio una corona di fiori, tenendovela per un’ora sotto guardia armata. Il 2 novembre si svolse al cimitero una grande manifestazione che coinvolse le migliaia di persone ivi convenute per la tradizionale commemorazione dei defunti. Sulle tombe di Giuseppe Bravin, valoroso gappista, di Battista Gardoncini e Pino Casana vennero deposte corone di fiori col nastro rosso e le scritte: « I garibaldini ai loro comandanti », « I comunisti della FIAT Mirafiori ». Corone furono deposte anche sulle tombe di altri partigiani e patrioti caduti. Un operaio della FIAT Grandi Motori, Alfio Basaglia, parlò ai presenti mentre un gruppo di giovani vigilavano armati per impedire l’intervento delle Brigate nere; queste, pur presenti nel cimitero in consistenti nuclei, non si azzardarono a intervenire. Molti mazzi di fiori con nastri rossi e tricolori vennero in quello stesso giorno deposti davanti al caseggiato n. 14 di via S. Bernardino, dov’era caduto combattendo Dante Di Nanni (v.). Al mattino del 7 novembre si ebbero fermate di lavoro alla Mirafiori,



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 338

Brano: FIAT, Resistenza operaia alla

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Volantino clandestino della Federazione torinese del P.C.I., con i dati sulle elezioni svoltesi alla FIAT (marzo 1945)

sili, per ridursi infine a poche unità. Nel corso dell’inverno 194445 la produzione alla Mirafiori scese al disotto di 10 autocarri al giorno, in luogo dei 70 quotidiani del 1943. Un analogo collasso produttivo si ebbe più o meno in tutti gli stabilimenti della FIAT e nelle altre aziende.

Il 2.12.1944 Valletta convocò il cosiddetto « Gran consiglio » dirigente della FIAT per discutere la crisi di produzione ed esaminare la necessità di compiere licenziamenti che, secondo le sue parole, « dovranno essere fatti con quel criteri di selezione già in precedenti rapporti illustrati, per salvaguardare anzitutto la maestranza anziana, quella buona d’anteguerra. A tale 'fine occorre compilare al più presto gli elenchi ». In via del tutto « riservata », Valletta dichiarò inoltre che la FIAT, con circa 1 miliardo di lire di debiti, incontrava grosse difficoltà a reperire nuovi crediti e che la

scarsissima produzione non copriva neppure la cifra dei salari. Ma uno dei primi argomenti trattati nella riunione fu quello della difesa attiva e passiva degli stabilimenti e dei magazzini, non già dalle ruberie tedesche, bensì nell’eventualità di colpi di mano e di requisizioni da parte delle forze della Resistenza. Aderendo completamente alle tesi dei fascisti, Valletta accettò che la difesa degli stabilimenti fosse affidata alle Brigate nere, alla Guardfa nazionale repubblicana e ai [...]

[...]amente alle tesi dei fascisti, Valletta accettò che la difesa degli stabilimenti fosse affidata alle Brigate nere, alla Guardfa nazionale repubblicana e ai sorveglianti interni, direttamente comandati da ufficiali tedeschi delle S.S..

Nel frattempo la Commissione antisabotaggio del Comando militare regionale piemontese aveva a sua volta predisposto la difesa degli impianti, prendendo le opportune misure nelle principali industrie, compresa la FIAT, nonostante l’opposizione di Valletta: « In tutti i casi — scriverà l’ing. Sergio Bellone, capò dell 'Ufficio Controsabotaggi — le Direzioni degli stabilimenti collaborarono attivamente per la difesa e la salvaguardia degli impianti: eccezione unica il

direttore generale della FIAT, il quale sin dal dicembre 1944 si dimostrò avverso all’armamento di squadre operaie ».

A metà dicembre 1944 vi fu un nuovo tentativo fascista di colpire la resistenza operaia, con la decisione di abolire l’indennità di guerra corrisposta nella misura di 25 lire al giorno. Alla FIAT il 70 per cento dei lavoratori guadagnava da 9 lire a 9,50 all’ora e l’abolizione dell’indennità di guerra non poteva certo essere sopportata. In tutti gli stabilimenti si riaccese immediatamente la lotta. Il 24 dicembre si ebbe una prima manifestazione di donne, poi iniziarono fermate di lavoro e agitazioni parziali che si susseguirono, nèlle diverse officine, per tutto gennaio e febbraio.

Il Comitato di agitazione provinciale valutò l’opportunità di organizzare uno sciopero generale, ma prevalse l’opinione di temporeggiare per evitare una reazione nazifascista nella fase di preparazione [...]

[...] si riaccese immediatamente la lotta. Il 24 dicembre si ebbe una prima manifestazione di donne, poi iniziarono fermate di lavoro e agitazioni parziali che si susseguirono, nèlle diverse officine, per tutto gennaio e febbraio.

Il Comitato di agitazione provinciale valutò l’opportunità di organizzare uno sciopero generale, ma prevalse l’opinione di temporeggiare per evitare una reazione nazifascista nella fase di preparazione insurrezionale. La FIAT propose un aumento di salario di 1 lira all'ora, a condizione che venissero prodotti 700 carri armati mensili, ma gli operai respinsero l’offerta affermando di non essere disposti, per « un pezzo di pane », a collaborare coi tedeschi.

La « socializzazione » fascista

L’ultima trovata del fascismo fu rappresentata dalla « socializzazione » della FIAT come delle altre grandi aziende, ma la demagogia di questa mossa non ingannò nessuno. Per i primi di marzo del 1945 furono organizzate per ogni stabilimento elezioni di « esperti », i quali avrebbero poi dovuto costituire le « libere amministrazioni operaie delle aziende », da sostituire a quelle dei padroni. Dal 6 all’8 marzo i quotidiani di Torino pubblicarono con grande risalto appelli agli operai perché si presentassero a votare, ma anche quell’iniziativa si risolse per i fascisti in una clamorosa sconfitta: alla Mirafiori, su 14.000 dipendenti, si ebbero 47 schede valide; analoghi risult[...]

[...]le aziende », da sostituire a quelle dei padroni. Dal 6 all’8 marzo i quotidiani di Torino pubblicarono con grande risalto appelli agli operai perché si presentassero a votare, ma anche quell’iniziativa si risolse per i fascisti in una clamorosa sconfitta: alla Mirafiori, su 14.000 dipendenti, si ebbero 47 schede valide; analoghi risultati si registrarono più

o meno in tutti gli altri stabilimenti. Complessivamente, su 32.676 dipendenti della FIAT partecipanti alle elezioni, i voti validi furono 405. L’11 marzo, ossia tre giorni dopo quel votò, le Acciaierie, le Ferriere e la Grandi Motori scesero in sciopero per rivendicazioni economiche già da tempo presentate. Alla Mirafiori e alla Lingotto gli operai stavano per scendere a loro volta in sciopero, quando la Direzione fece prontamente togliere la corrente

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 325

Brano: 

FIAT

di amministrazione e seppe rapidamente imporsi come capo della azienda.

I primi anni

|| primo stabilimento della nuova industria sorse su un’area di 10.000 mq alla periferia di Torino, in corso Dante, e con una maestranza di 50 operai. Nel novembre 1899 la fabbrica aveva prodotto 10 macchine, del costo unitario di 10.000 lire ciascuna e messe in vendita al prezzo di 15.000 lire.

Nel 1904 la produzione raggiunse i 250 veicoli, con uno stabilimento esteso su un’area di 30.000 mq e con 500 dipendenti. L’interesse suscitato daH’automobile venne accortamente stimolato dalla pubblicità [...]

[...]0 macchine, del costo unitario di 10.000 lire ciascuna e messe in vendita al prezzo di 15.000 lire.

Nel 1904 la produzione raggiunse i 250 veicoli, con uno stabilimento esteso su un’area di 30.000 mq e con 500 dipendenti. L’interesse suscitato daH’automobile venne accortamente stimolato dalla pubblicità e dalle competizioni sportive (famosa, in quella fase pionieristica, la sfida tra il Duca degli Abruzzi e Giovanni Agnelli, alla guida di una FIAT 30 HP, e l’industriale genovese Garibaldi Colteli etti, al volante di una Panhard 24 HP), innestandosi anche su motivi di orgoglio e di latente nazionalismo che la borghesia vedeva appagati nei successi sportivoproduttivi sul piano internazionale, trovandovi ragioni di conferma delle proprie prerogative di unificatrice dello Stato, di classe dirigente in ascesa. L’arretratezza dell’industria meccanica italiana e il favore subito incontrato nei ceti abbienti dal mezzo automobilistico valsero d’altra parte a far convergere sull’impresa torinese forti aliquote di capitale finanziario (v.) ; ment[...]

[...]ni di conferma delle proprie prerogative di unificatrice dello Stato, di classe dirigente in ascesa. L’arretratezza dell’industria meccanica italiana e il favore subito incontrato nei ceti abbienti dal mezzo automobilistico valsero d’altra parte a far convergere sull’impresa torinese forti aliquote di capitale finanziario (v.) ; mentre la mancanza, in paesi industrialmente anche più avanzati, di un’analoga produzione su vasta scala, permise alla FIAT di presentarsi sul mercato estero in condizioni di assoluta competitività.

La sua ascesa produsse in Italia un convulso moltiplicarsi di aziende del ramo: alcune abbastanza solide per resistere nel lungo periodo e affiancarsi poi alla FIAT, sia pure con dimensioni nettamente inferiori, nelle contese di mercato; altre, la più parte, sorte con criteri di sfrenata speculazione a breve termine e quindi esposte a rapido tracollo. Così infatti accadde, nel volgere di pochi anni, a decine di imprese automobilistiche spazzate via a causa della loro organica fragilità.

Lo sviluppo dell’impresa torinese assunse ritmi vertiginosi. Nel 1905 gli utili raggiunsero i 4 milioni di lire. Nel marzo 1906 la società fu ricostituita con un capitale sociale di. 9 milioni; in quello stesso anno raddoppiò la produzione e realizzò 5.257.083 lire di [...]

[...]sunse ritmi vertiginosi. Nel 1905 gli utili raggiunsero i 4 milioni di lire. Nel marzo 1906 la società fu ricostituita con un capitale sociale di. 9 milioni; in quello stesso anno raddoppiò la produzione e realizzò 5.257.083 lire di utili.

II 1906 fu un anno cruciale anche

per l’inizio delle lotte operaie nell’azienda, nel quadro di un ampio movimento di rivendicazioni salariali e normative della classe operaia del Nord. La Direzione della FIAT e le maestranze si scontrarono per la prima volta e nel marzo, dopo 12 giorni di sciopero, le maestranze ottennero aumenti salariali e l’istituzione di un delegato operaio per reparto, con l’impegno da parte della Direzione di accettare la nomina di una Commissione interna per ogni stabilimento.

Il 20 luglio successivo sorse a Torino la Lega industriale, primo esempio del genere in Italia, nella quale Agnelli e gli esponenti delle industrie tessili, elettriche e chimiche della provincia si organizzarono per fronteggiare la lotta operaia e per estendere la propria influenza politica.

Il [...]

[...]arto, con l’impegno da parte della Direzione di accettare la nomina di una Commissione interna per ogni stabilimento.

Il 20 luglio successivo sorse a Torino la Lega industriale, primo esempio del genere in Italia, nella quale Agnelli e gli esponenti delle industrie tessili, elettriche e chimiche della provincia si organizzarono per fronteggiare la lotta operaia e per estendere la propria influenza politica.

Il decennio gioì itti a no

La FIAT, in realtà, tendeva ad attestarsi su una linea di condotta politicosindacale più articolata e possibilista di quella tradizionale del gretto padronato italiano, con una adesione che si potrebbe definire « ideologica » allo schema cui si ispirava la politica giolittiana. È noto come il disegno fondamentale di Giovanni Giolitti, nel famoso « decennio » centrale della sua esperienza di governo, si proponesse di favorire e consolidare lo sviluppo industriale moderno del Paese anche cercando di far partecipare i socialisti a una mediazione tra la classe dirigente politica liberale e le masse.

N[...]

[...]trattazione » e di soluzioni paternalistiche.

Era, in sostanza, una scelta di politica governativa mirante ad assorbire nello Stato le rivendicazioni di fondo della classe operaia, a stimolare un nuovo rapporto sul terreno economicosihdacale tra le parti in contesa, rifiutando i vecchi e pericolosi metodi dell'industrialismo primitivo, orientato alle contestazioni frontali con l'antàgonista invece che alla pratica di una tattica aggirante. La FIAT, come appariva dal quotidiano torinese La Stampa che ne fu fin d'allora il portavoce, era giolittiana nella misura in cui la visione dello statista di Dronero rispondeva puntualmente ai suoi interessi produttivi, si inseriva in una perspicua in

dividuazione delle esigenze del capitalismo moderno rispetto al contesto sociale e le offriva, con gli ampi margini di profitto di cui essa disponeva, la possibilità di svuotare i contenuti più sostanziosi della rivendicazione di classe.

Sia Giolitti che il monopolio torinese tendevano « a stabilire rapporti di produzione compiutamente e coerente[...]

[...] reazionaria di taglio crispino, tutte le spinte perturbatrici di tali rapporti. Questo implicava una convergenza « tra le forze nuove, produttive, industriali della borghesia e il socialismo parlamentare e riformista, fra i quali — come ha scritto ancora Giampiero Carrocci — vi era una stretta convergenza di interessi, tanto da essere le due facce di un unico fatto ».

All’ombra del protezionismo doganale e del « paternalismo » giolittiano la FIAT rassodò tanto le sue prospettive di sviluppo produttivo che la sua piattaforma di condotta politicosindacale, stabilendo in questo secondo senso alcune « costanti » che avrebbero sempre informato per l’avvenire (salvo che nel ventennio fascista) la ricerca dei punti di assestamento della strategia del monopolio verso il movimento operaio e la classe dirigente politica. La crisi industriale del 1907, travolgendo nel crollo finanziario prodottosi dopo un periodo di euforia e di facili guadagni gran parte delle industrie automobilistiche sorte su base speculativa, aprì alla già solida società di[...]

[...]rio prodottosi dopo un periodo di euforia e di facili guadagni gran parte delle industrie automobilistiche sorte su base speculativa, aprì alla già solida società di Agnelli la strada per un incontestabile primato; e inoltre segnò il trionfo dell’alleanza tra Giolitti e il movimento operaio organizzato e diretto dal sindacalismo riformista. Nelle turbinose vicende speculative venute alla luce con la crisi di quell’anno, il gruppo dirigente della FIAT ebbe la sua parte, tanto che Scarafiotti e Agnelli si trovarono coinvolti in una vicenda giudiziaria, il cui corso si protrasse fino al 1912, sfociando in un processo. Questo si concluse con l’assoluzione degli imputati, sebbene da esso affiorassero ambigue e oscure manovre borsistiche, tipiche di una fase di stretto intreccio fra capitale industriale e capitale finanziario.

La crisi del 1907 fece pesare i suoi effetti sull’industria automobilistica per un triennio, ma già agli inizi del

1911 la FIAT aveva felicemente superato ogni difficoltà, soprattutto grazie alle commesse statali. I[...]

[...]varono coinvolti in una vicenda giudiziaria, il cui corso si protrasse fino al 1912, sfociando in un processo. Questo si concluse con l’assoluzione degli imputati, sebbene da esso affiorassero ambigue e oscure manovre borsistiche, tipiche di una fase di stretto intreccio fra capitale industriale e capitale finanziario.

La crisi del 1907 fece pesare i suoi effetti sull’industria automobilistica per un triennio, ma già agli inizi del

1911 la FIAT aveva felicemente superato ogni difficoltà, soprattutto grazie alle commesse statali. Il capitale della società fu aumentato a 17 milioni di lire e le officine giunsero a occupare una superficie di

80.000 metri quadrati, con 3.320 dipendenti: « il nucleo più omogeneo, qualificato e compatto — lo definisce Paolo Spriano — dei metallurgici torinesi ».

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 328

Brano: FIAT

Giovanni Agnelli presenta a Mussolini la « Balilla », la prima utilitaria della FIAT (Torino, aprile 1932)

della lotta di liberazione, minacciando serie ritorsioni. Ben diverso fu il comportamento dei lavoratori (v. FIAT, Resistenza operaia alla), ma la restaurazione politica che già attivamente si preparava nel « Regno del Sud » prima ancora della liberazione del Nord, avrebbe posto i massimi dirigenti del monopolio torinese al riparo da ogni sanzione.

. Il dopoguerra

L’apparato produttivo dell’azienda non subì dalla guerra danni irreparabili, anche perché gli operai, organizzati nelle unità partigiane di fabbrica, salvarono gli impianti dalla distruzione che i tedeschi avevano progettato. AH'indomani della Liberazione il C.L.N. regionale piemontese designò come commissario straordinario dell’azienda i[...]

[...]il governo di Ferruccio Farri (dicembre 1945), la situazione politica italiana subì quel noto processo di involuzione versò il completo ristabilimento deH’egemonia degli interessi conservatori, per cui la Democrazia cristiana e i liberali, sostenuti dagli Alleati, poterono restituire alla vecchia classe dirigente pienezza di poteri.

In Italia, i prestiti americanf del Piano di ricostruzione europea (E.R.P.) andarono per il 22,9 per cento alla FIAT, mentre le industrie meccaniche a partecipazione statale del gruppo IRI, ben più gravemente col

tecnica, se non di una produzione realizzata con intenti speculativi (per esempio, in alcuni tipi di carri armati, di armi automatiche d’accompagnamento e di veicoli), consentendo al monopolio di realizzare i più cospicui vantaggi economici a spese della sicurezza delle truppe e dell’efficienza della macchina militare.

La produzione di autovetture scese naturalmente a quote molto basse, mentre ricevettero grande impulso la produzione di autocarri, autoveicoli industriali in genere (27 mila 77[...]

[...]se, mentre ricevettero grande impulso la produzione di autocarri, autoveicoli industriali in genere (27 mila 777 nel 1941), carri armati, velivoli, mitragliatrici e altre armi. Nel 1942 Agnelli, con altri industriali, accettò pienamente il cosiddetto piano Funk, dal nome del ministro dell’Economia del Reich, per Jo sviluppo della produzione bellica, e puntò fino all'ultimo sull’Asse, sicuro che la vittoria del nazifascismo avrebbe garantito alla FIAT nuovi mercati e fonti di approvvigionamento. In quello stesso anno oltre I'80 per cento della produzione bellica nel campo dei trasporti militari fu fornita dalla FIAT, e il numero stesso dei dipendenti, saliti a 76.000 dai 57.000 del 1939, testimonia una espansionè artificiosa dell’apparato produttivo.

Fino alla vigilia del 25.7.1943 Agnelli fece una politica di totale collaborazione con l’Asse, ma già a quel momento e ancor più dopo l'8 settembre il suo ruolo nella effettiva direzione della FIAT andava decrescendo, mentre acquistava maggior peso la personalità di Vittorio Valletta (v.).

tenore produttivo della FIAT, impotente a procurarsi le materie prime, soggetta alle spoliazioni di macchinario compiute dagli occupanti, costretta a fronteggiare l’ostilità delle maestranze decise a impedire un ulteriore collaborazionismo dell'azienda con i nazisti.

Nel 194345 la Direzione portò avanti una politica di difficile equilibrio tra le forze in campo: la crescente ribellione operaia in fabbrica, l’autoritarismo nazifascista, gli Alleati, le forze partigiane di liberazione. L'obiettivo fondamentale era di salvare gli impianti e conservare il patrimonio di mano d’opera specializzata pagando il minor costo pos[...]

[...]le e lavoro », certo com'era che quel demagogico provvedimento dell’agonizzante governo fascista non poteva avere alcun seguito.

Politica di doppio giQco

La catastrofe militare dell’EL settembre, l’occupazione tedesca e la Guerra di liberazione iniziata nel Paese ridussero a livelli molto bassi il

La politica doppiogiochista del monopolio torinese fu tanto scoperta che nel dicembre 1944 il Comando regionale piemontese del C.V.L. mise la FIAT in testa alla lista delle grandi aziende inadempienti ai decreti dei C.L.N. sul finanziamento

Pubblicità della FIAT all’inizio della seconda guerra mondiale (1940)

328



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 326

Brano: FIAT

Parco di autocarri militari forniti dalla FIAT al governo italiano per essere impiegati nella colonizzazione della Libia (Tripoli, 1912)

Agnelli diede contemporaneamente avvio a una politica economica intesa a creare, attorno alla produzione principale, « una struttura verticale e orizzontafecontali interessi e partecipazioni in differenti industrie fornitrici di materie prime e prodotti semilavorati, da garantirsi il massimo di autonomia ». L’occupazione operaia non era cresciuta in proporzione all’espandersi della produzione; e questo dato introduceva la verifica del tipo di sfruttamento che l'azienda esercitava, premendo sui ritmi d[...]

[...]ontafecontali interessi e partecipazioni in differenti industrie fornitrici di materie prime e prodotti semilavorati, da garantirsi il massimo di autonomia ». L’occupazione operaia non era cresciuta in proporzione all’espandersi della produzione; e questo dato introduceva la verifica del tipo di sfruttamento che l'azienda esercitava, premendo sui ritmi di lavoro ed esercitando un ricatto sul l'occupazione, due fattori dei quali lo sviluppo della FIAT trarrà sempre una somma di enormi vantaggi, sia sul piano dei profitti che su quello della limitazione delle libertà operaie. L'« età dell’oro » del monopolio torinese doveva però giungere con il conflitto 191518.

Nella prima guerra mondiaie

Negli anni che precedettero la guerra 191518, rafforzate ormai le proprie strutture produttive, la FIAT si presentava come uno strumento in piena espansione. Le commesse per la guerra di Libia erano state quantitativamente modeste, ma sufficienti a fornire nuove occasioni di collegamento con lo Stato, ed erano soprattutto servite a « rodare » il suo apparato in vista dello sviluppo successivo. La produzione passò dalle 3.398 autovetture del

1912 alle 4.646 del 1914 (con una lieve flessione nel 1913: 3.252 unità); i dipendenti, da 4.000 salirono a 5.000. Le si erano affiancate, dal 1906, la RIV di Villar Perosa, creata per la produzione di cuscinetti a sfere (300 operai), la S.I.A. [Aeritalia[...]

[...]sione nel 1913: 3.252 unità); i dipendenti, da 4.000 salirono a 5.000. Le si erano affiancate, dal 1906, la RIV di Villar Perosa, creata per la produzione di cuscinetti a sfere (300 operai), la S.I.A. [Aeritalia) per la costruzione di aeroplani, e una sezione di costruzione di materiale ferroviario, risultante dall’assorbimento della Diatto. Neutralista con Giolitti nella fase preludente l’entrata in guerra dell’Italia, il gruppo dirigente della FIAT si convertì all’interventismo

non appena intravvide gli enormi profitti che il conflito poteva offrire, grazie anche alla messa a punto dei sistemi di organizzazione scientifica del iavoro introdotti in quegli anni con il taylorismo.

La guerra determinò il « decollo » della FIÀT: nel primo anno l’utile netto dell’azienda balzò a 8.056.000 lire e i maggiori azionisti, da Agnelli a Broglio e a Marangoni, poterono dividersi quote di 300 800.000 lire. Nell’aprile 1918 il capitale sociale fu portato a 50 milioni di lire oro. In quattro anni di conflitto le forniture all’esercito, la « militarizzazione » delle forze operaie, una dura compressione dei salari e dei consumi dei lavoratori, la spietata repressione da parte dello Stato di ogni moto sindacale e politico delle masse consentirono all’azienda torinese di assurgere a livelli di rango europeo e di accumulare risorse[...]

[...]rniture all’esercito, la « militarizzazione » delle forze operaie, una dura compressione dei salari e dei consumi dei lavoratori, la spietata repressione da parte dello Stato di ogni moto sindacale e politico delle masse consentirono all’azienda torinese di assurgere a livelli di rango europeo e di accumulare risorse finanziarie eccezionali.

I profitti di guerra e la vastità degli impianti per far fronte alla produzione bellica permisero alla FIAT di gettarsi con tutto il suo peso alla conquista di posizioni egemoniche neH'economia del Paese: intrecciando sempre più le proprie sorti a quelle del capitalismo finanziario; partecipando, come scrisse Antonio Gramsci, alle * furibonde lotte del dopoguerra per la supremazia nell’ambito del sistema capitalistico nazionale, trasformando gli originari ” capitani d’industria ” in ” cavalieri d’industria ” ».

II dato più rilevante di quel periodo fu l’instaurarsi di uno strettissimo rapporto tra lo Stato e l’apparato industriale, rapporto che si rivelerà decisivo per tutto lo sviluppo ulterior[...]

[...]a nell’ambito del sistema capitalistico nazionale, trasformando gli originari ” capitani d’industria ” in ” cavalieri d’industria ” ».

II dato più rilevante di quel periodo fu l’instaurarsi di uno strettissimo rapporto tra lo Stato e l’apparato industriale, rapporto che si rivelerà decisivo per tutto lo sviluppo ulteriore dell'azienda torinese; nonché l’intrecciarsi di nuove relazioni tra la banca e la grande industria (nel caso concreto, tra FIAT e Credito Italiano). Tale compenetrazione venne favorita dal processo inflazionistico, che in seguito avrebbe reso le grandi società finanziarie sempre più vincolate ai monopoli industriali.

Primo dopoguerra

La crisi del dopoguerra e i problemi della riconversione industriale costituirono un altro banco di prova nel processo di selezione dell’apparato produttivo del Paese: sopravvissero e si rafforzarono le aziende che più avevano lucrato negli anni bellici, ma che avevano anche meglio saputo consolidare le proprie strutture.

L’ondata di agitazioni e di rivendicazioni operaie seguita[...]

[...]vano lucrato negli anni bellici, ma che avevano anche meglio saputo consolidare le proprie strutture.

L’ondata di agitazioni e di rivendicazioni operaie seguita alla fine del conflitto, culminata nell’occupazione delle fabbriche (v.) dell’agostosettembre 1920, mise per qualche tempo a repentaglio il potere capitalistico e indusse perfino gli industriali maggiori, e lo stesso Agnelli, a temere i,l crollo di ogni prospettiva capitalistica. Alla FIAT si ebbero le esperienze di avanguàrdia del movimento operaio italiano attraverso la creazione dei Commissari di reparto e dei Consigli di fabbrica (v.), tanto che altri gruppi industriali accusarono I’Agnelli di eccessiva « tolleranza » nei confronti del movimento rivoluzionario. La politica personale di Agnelli si staccò in effetti non poco da quella degli altri grandi industriali, anche se durante l’occupazione delle fabbriche egli venne allineandosi col resto del padronato nella recriminazione della « neutralità » del. governo Giolitti. Ma il movimento operaio, mal guidato dal Partito soci[...]

[...]la recriminazione della « neutralità » del. governo Giolitti. Ma il movimento operaio, mal guidato dal Partito socialista e soggetto alla direzione sindacale riformista, rifluì presto su posizioni difensive e lasciò, nel vuoto della propria iniziativa, libero spazio al diffondersi della rèazione fascista.

Nell'ottobre 1920, a conclusione del movimento di occupazione, Agnelli propose alle organizzazioni operaie torinesi la trasformazione della FIAT in cooperativa di produzione gestita dagli operai. Difficile stabilire fino a che punto si trattasse di un semplice espediente propagandistico o di un serio tentativo di integrazione, a livello aziendale, dell’avanguardia rivoluzionaria costituitasi intorno al gruppo delVOrdine Nuovo. Ma la proposta venne respinta dalle organizzazioni operaie, essenzialmente per iniziativa di Gramsci che mise in guardia i lavoratori contro i pericoli della prò , posta che avrebbe troncato lo slancio del proletariato torinese.

L’industria del regime

Col 1921 sopravvenne la crisi economica, già latente in[...]

[...]iendale, dell’avanguardia rivoluzionaria costituitasi intorno al gruppo delVOrdine Nuovo. Ma la proposta venne respinta dalle organizzazioni operaie, essenzialmente per iniziativa di Gramsci che mise in guardia i lavoratori contro i pericoli della prò , posta che avrebbe troncato lo slancio del proletariato torinese.

L’industria del regime

Col 1921 sopravvenne la crisi economica, già latente in precedenza, ma artificiosamente occultata. La FIAT ridusse la produzione da 14.385

326



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 337

Brano: FIAT, Resistenza operaia alla

alle Ferriere, alla Spa, alla Lancia, alla RIV e in altri stabilimenti per celebrare l’anniversario della Rivoluzione russa.

Contro la serrata

Il mattino del sabato 18 novembre le Direzioni della Mirafiori e della Lingotto comunicarono improvvisamente agli operai che, per ragioni « urgenti », avrebbero dovuto lavorare l'intero pomeriggio e il mattino della domenica, portando così le ore di lavoro settimanali da 48 a 56. Le ragioni « urgenti » altro non erano che le pressioni del Comando tedesco, indignato dal fatto che la produzione era scesa al minimo. Il co[...]

[...]ore di lavoro settimanali da 48 a 56. Le ragioni « urgenti » altro non erano che le pressioni del Comando tedesco, indignato dal fatto che la produzione era scesa al minimo. Il comunicato creò vivo fermento e i Comitati segreti di agitazione decisero la cessazione del lavoro per le ore 13, come era avvenuto ogni altro sabato. Difatti, allora stabilita, tutti gli operai se ne andarono e non si ripresentarono che al lunedì, quantunque la Direzione FIAT si fosse impegnata a pagare le ore straordinarie. I fascisti decisero di rispondere alla « non collaborazione » operaia con la serrata.

Il mattino del 20 novembre si mise in moto il prefetto repubblichino. Riuniti i comandanti militari e i dirigenti politici tedeschi e fascisti, furono decretate le seguenti misure:

1. Serrata della FIAT Mirafiori e delle Fonderie Lingotto, a decorrere da martedì 20 novembre.

2. Occupazione militare dei due stabilimenti.

3. Sospensione della paga agli operai per tutta la durata della serrata.

4. Pattugliamento in forza delle vie cittadine con reparti di truppe fasciste e, presso gli stabilimenti, con carri armati della Divisione « Leonessa ».

5. Uso delle armi contro operai e cittadini al minimo accenno di protesta.

6. Il questore dirigerà le manovre di applicazione delle misure stesse.

In realtà, tedeschi e fascisti tentavano di mettere a loro profitto, alle soglie deH’inve[...]

[...]za nelle fabbriche. Nel manifesto del prefetto si rimproverava agli operai il troppo frequente ricorso allo sciopero, si minacciavano rappresagli! contro i « sobillatori » e si promettevano favori a quegli operai che si fossero dimostrati disciplinati.

Il triumvirato insurrezionale piemontese, diretto da Arturo Colombi, si riunì immediatamente e lanciò un contromanifesto che invitava lavoratori e cittadini a solidarizzare con gli operai della FIAT colpiti dalla

serrata. Non venne lanciata la parola d’ordine dello sciopero generale, che avrebbe richiesto un’adeguata preparazione, ma furono mobilitati i Comitati segreti di agitazione e le organizzazioni di partito; fu immediatamente promossa una sottoscrizione pubblica per aiutare gli operai (la Federazione comunista stanziò subito un milione e mezzo di lire); fu deciso di chiedere al C.L.N. un adeguato contributo e di esigere dalla Direzione della FIAT il pagamento delle giornate di serrata. Furono infine mobilitate le formazioni gappiste e sappiste per reagire prontamente a eventual[...]

[...]la

serrata. Non venne lanciata la parola d’ordine dello sciopero generale, che avrebbe richiesto un’adeguata preparazione, ma furono mobilitati i Comitati segreti di agitazione e le organizzazioni di partito; fu immediatamente promossa una sottoscrizione pubblica per aiutare gli operai (la Federazione comunista stanziò subito un milione e mezzo di lire); fu deciso di chiedere al C.L.N. un adeguato contributo e di esigere dalla Direzione della FIAT il pagamento delle giornate di serrata. Furono infine mobilitate le formazioni gappiste e sappiste per reagire prontamente a eventuali azioni terroristiche dei tedeschi e dei fascisti. Il 22 novembre si riunirono i Comitati segreti di agitazione è decisero di chiedere alla Direzione della FIAT la revoca della serrata, il regolare pagamento delle giornate di lavoro perdute e la liberazione dei lavoratori arrestati. Alla riunione parteciparono 35 operai (rappresentanti un complesso di 50.000 dipendenti) e una rappresentanza degli impiegati. Dei delegati, 23 erano comunisti, 4 socialisti, 1 democristiano,

1 azionista e 6 senza partito.

Un rappresentante del Comitato di agitazione provinciale svolse la relazione sul tema: « Le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici. La lotta contro la fame e il terrore nazifascista ». Dopo animata discussione, alla quale partecipa[...]

[...]olse la relazione sul tema: « Le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici. La lotta contro la fame e il terrore nazifascista ». Dopo animata discussione, alla quale parteciparono quasi tutti i presenti, vennero approvati un ordine del giorno e un quaderno di rivendicazioni. Fu inoltre nominata una commissione che chiese di essere ricevuta dal prof. Valletta. Questi fissò l’incontro per il giovedì 23, alle ore 17, negli uffici della FIAT Ferriere, e vi parteciparono rappresentanti delle sezioni Mirafiori, Lingotto, Grandi Motori, Acciaierie, Fonderie Ghisa, Aeronautica, Microtecnica, RIV, Ricambi e Ferriere. Non vollero prender parte a quella riunione i socialisti, adducendo là convinzione che la FIAT non avesse alcuna responsabilità per la serràta, imposta dalle autorità nazifasciste.

I delegati presentarono due richieste: 1. Nessuna rappresaglia doveva essere esercitata nei confronti degli operai: le giornate di serrata dovevano quindi essere pagate;

2. La Direzione della FIAT doveva intervenire affinché gli operai arrestati fossero immediatamente scarcerati.

Val letta trattò i delegati in modo formalmente cordiale. Affermò che la Direzione non aveva alcuna responsabilità della ser rata, decisa esclusivamente da un colpo di forza delle autorità germaniche e fasciste. Rilevò che, rifiutandosi di lavorare il sabato pomeriggio e la domenica, gli operai avevano compiuto un errore.

I delegati ribatterono che tutti i lavoratori

si opponevano all'aumento delTorario lavorativo.

Val letta replicò che, non avendo facoltà di decidere, si sarebbe interessato per so[...]

[...], in particolare del Valletta.

La caduta della produzione

Attraversò gli scioperi e le agitazioni i lavoratori avevano raggiunto il principale obiettivo, che era quello di assestare colpi alla macchina bellica tedesca. L’opera di sabotaggio influì notevolmente sulla produzione, in continua discesa dal

1943 alla fine del 1944, salvo un lieve aumento negli ultimi due mesi, dovuto a un’intensificata pressione dei tedeschi e della Direzione FIAT, Alla Mirafiori, la produzione di autocarri passò da 422 a 250 unità mensili; alla Spa, quella dei carri armati passò da 33 a 22 men

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 331

Brano: FIAT, Resistenza operaia alla

incapace di andare al di là di una propaganda circospetta tra elementi « fidati » o di una raccolta di sottoscrizioni per aiutare la famiglia di qualche compagno arrestato; e, saltuariamente, la diffusione di stampa clandestina, per esempio di quel giornaletto Portolongone (v.) che, nel suo titolo, bene esprimeva l’avvenuta trasformazione della FIAT in una sorta di reclusorio.

La lunga esperienza di lotta rendeva d’altra parte quegli operai particolarmente avveduti nel cogliere la situazione, disssuadendoli da agitazioni che sentivano premature e destinate a sicuro insuccesso.

Per molto tempo le incitazioni della stampa clandestina a organizzare scioperi e proteste non trovarono positiva accoglienza e non riuscirono a superare un muro di scetticismo su quelle che potevano essere le reali possibilità della lotta. La dittatura fascista, che in campo economico si manifestava nella riduzione dei salari e nell’abbassamento del tenore di[...]

[...]ndò maturando, specie dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, si realizzò una svolta e le agitazioni operaie cominciarono a prendere il sopravvento rispetto ai movimenti contadini. I richiami alle armi, i bombardamenti, la penuria dei generi di prima necessità, i lutti e ogni altra sorta di disagi diedero i loro effetti.

I primi scioperi

Dopo lunghi anni di dominio fascista, 1*11.1.1943 si ebbe a Torino, e precisamente alle Ferriere FIAT, il primo sciopero; motivo occasionale ne fu la mancata consegna della tessera annonaria per il pane. Il 13 e il 14 gennaio scioperarono gli operai della FIAT Acciaierie di via Cigna (Reparti Forgia e Lamiere) per protestare contro l’inadeguatezza dei salari rispetto al crescente costo della vita, ed essi furotìó immediatamente seguiti da quelli della FIATDiatto (3.000 operai), in segno di protesta per il rifiuto della Direzione di liquidare il cottimo spettante, e da quelli della FIAT Mirafiori e della Lingotto, che a loro volta protestavano per l’allungamento della giornata lavorativa, di fatto portata a 12 ore.

Nel corso di quegli scioperi, che

Inserzione pubblicitaria della FIAT negli anni della seconda guerra mondiale (dalla Illustrazione italiana del 1941)

preludevano alle clamorose lotte del marzo e videro tra i più attivi organizzatori Amerigo Ciocchiatti, Leo Lanfranco ed Ermes Bazzanini, sotto la direzione di Umberto Massola, alcuni operai furono arrestati e deferiti al Tribunale speciale. Nei mesi di gennaio e febbraio la azione propagandistica e la diffusione della stampa clandestina si intensificarono.

La vittoriosa controffensiva deU’Esercito Rosso sul Fronte orientale creò tra gli operai un grande entusiasmo e un clima nuovo. Scritte murali inneggian[...]

[...]ientale creò tra gli operai un grande entusiasmo e un clima nuovo. Scritte murali inneggianti al crollo del fascismo « sono scoperte quotidianamente nelle prime ore del mattino sulle strade di accesso alla fabbrica e prontamente cancellate da squadre di imbianchini, non prima che i fotografi le abbiano ritratte per riempire i carteggi di tutti i commissariati ». Manifestini largamente diffusi esortano in quei giorni alla lotta i lavoratori della FIAT e delle altre officine torinesi con appelli come il seguente:

« Operai! Impiegati!

Il governo di Mussolini, responsabile di aver trascinato il nostro Paese in una guerra ingiusta e rovinosa vuol farci morire di fame, dandoci degli stipendi irrisori, pagandoci con assegni in luogo di moneta e allungando a 12 ore la giornata lavorativa. Smettiamo di lavorare, prepariamo lo sciopero! Manifestiamo in tutti i modi per esigere che il nostro salario sia corrisposto in moneta!

Esigiamo più pane, più grassi, più carne! Esigiamo la cacciata di Mussolini dal governo!

Contro le 12 ore e la gu[...]

[...]iamo di lavorare, prepariamo lo sciopero! Manifestiamo in tutti i modi per esigere che il nostro salario sia corrisposto in moneta!

Esigiamo più pane, più grassi, più carne! Esigiamo la cacciata di Mussolini dal governo!

Contro le 12 ore e la guerra maledetta, l’azione, lo sciopero, la lotta sono le sole armi che possediamo, la via della nostra salvezza.

Sciopero! »

Gli scioperi del marzo 1943

L’operaio Leo Lanfranco dell’officina FIAT Mirafiori, responsabile del

l’organizzazione comunista del settore Mirafiori, aveva ricevuto il 20 febbraio le ultime disposizioni per la preparazione dello sciopero e le aveva illustrate agli amici e agli operai più fidati, insieme alle relative rivendicazioni e agli obiettivi da porsi. Il 5 marzo, alle ore 10, il segnale « prova di allarme » che veniva quotidianamente e puntualmente azionato nella fabbrica avrebbe dato il « via » allo sciopero. La Direzione, preavvertita di quanto si andava preparando, ordinò di non far funzionare per quel giorno la sirena d’allarme, ma l’espediente non [...]

[...]

La notizia di ciò che stava accadendo alla Mirafiori si sparse in un baleno nelle altre officine torinesi; nella giornata stessa e all'indomani

10 sciopero si allargò a quasi tutte le fabbriche della città. Poi da Torino si estese a Milano e a molti altri centri del Piemonte, della Lombardia, della Liguria.

A Torino vennero immediatamente arrestati 164 operai e 87 di essi furono deferiti al Tribunale speciale.

11 17 marzo giunse alla FIAT Carlo Scorza (che il mese dopo sarebbe stato nominato segretario del Partito fascista) ; accompagnato da altri gerarchi e dai dirigenti aziendali visitò le varie officine e diede ordine a tutti i lavoratori iscritti al Fascio di indossare, da quel giorno, la camicia nera durante le ore di lavoro. Ma si trattava di puerili espedienti e i lavoratori « squadristi » non risposero neppure all’ordine di picchiare all’uscita dalla fabbrica gli operai antifascisti, come spesso era avvenuto nel passato.

Annunciando l’arresto di altri lavoratori, il questore di Torino scrisse: « La cosiddetta protes[...]


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