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Il segmento testuale Ernesto De Martino è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 225Analitici , di cui in selezione 12 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Sergio Boldini, Le radici del canto popolare in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1975 - - dicembre - 15

Brano: RIEVOCATA L'OPERA DELLO STORICO ED EDITORE GIANNI BOSIO
Le radici del canto popolare
Una iniziativa dell'htituto Ernesto De Martino Le ricerche sulla cultura operaia e contadina e l'uso delle canzoni sociali come documento e fonte di storia Le lotte dei lavoratori e la Resistenza
il convegno. organizzato R Mantova dall'Istituto Ernesto De Martino e dall'Ente mani festazioni mantovane per ricordare Gianni Bosio, e plìu precisamente « l'opera dello storico, dello studioso della cultura operaia e contadina, dell'organizzatore della cultu ra di classe, net suoi riflessi contemporanei a, ha avuto elmeno due meriti, essenziali e convergenti, Oltre a delineare la figure clell'intellettuale mo. demo e militante che scaza alcun dubbio l'u Gianni Bo sio, mi sembra infatti che il dibattito sugli sviluppi polsi bili dell'opera di ricerca e di lavoro critico sulla culture operaia e contadina da lui intrapresa insieme ad altri, si sia dilatato fino[...]



da Andrea Binazzi, Raffaele Pettazzoni in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]ZONI

Nel 1952, quando, nei « Libri del tempo » di Laterza, usci Yltalia religiosa di Raffaele Pettazzoni furono in molti, tra i laici progressisti, a recensire e a citare il libro come un momento alto della battaglia contro il confessionalismo della Chiesa cattolica e contro l’affermarsi nella vita sociale e politica di un modo di concepire la religione che non lasciava spazi per la storia, ma tutto tendeva a risolvere in termini di autorità. Ernesto De Martino, sul « Mondo » del 14 marzo 1953, dedicò al libro un lungo articolo dove le forti riserve metodologiche e teoriche lasciavano immediatamente il campo all’apprezzamento dell’opera come « documento significativo dello sforzo compiuto da questo studioso per legare le ricerche storicoreligiose alla problematica del mondo moderno » 1. Secondo il De Martino, dagli scritti raccolti nel volume traspare la preoccupazione « che si stiano preparando giorni duri per le sorti dell’idea laica in Italia, e che quindi anche i frutti della sua [del Pettazzoni] fatica di storico delle religioni rischino di and[...]

[...]dovrà assumersi il compito di « verificare e determinare » gli ambienti e le culture da cui si originano gli attributi.

L’opera dove questo punto di vista trova la sua espressione più esauriente è senz’altro L’onniscienza di Dio che vide la luce nel 1955 nella Collana di studi religiosi, etnologici e psicologici dell’editore Einaudi, forse uno di quei « tre titoli in cinque anni » a cui accenna sbrigativamente Pavese nel 1949 in una lettera a Ernesto De Martino, il « padre putativo » della collana (« Con Pettazzoni, saprai che ci siamo intesi. Tre titoli in cinque anni »32). In questo testo l’autore è come se facesse i conti con il suo lavoro precedente e anche con le principali posizioni del secolo nel campo della storia delle religioni, in particolare con quella corrente del

30 Monoteismo e « Urmonotheismus », in « Studi e materiali di storia delle religioni », xixxx (194346), p. 175.

31 II Pettazzoni tenne, dal 1936 al 1938, Pincarico di etnologia a Roma. Venne interessandosi in misura crescente a questo campo di studi in relazione con la s[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Orgosolo antica [e appunti di Ernesto De Martino sul pianto rituale sardo] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]

Bisogna considerare, in primo luogo, le manifestazioni culturali che si svolgono in occasione della morte, ed in particolare lo attitu o lamento funebre. Nel corso della mia inchiesta ho avuto occasione di effettua re una documentazione su 1 ’attitu basata su alcune registrazioni con apparecchio a nastro magnetico e piccole riprese cinematografiche.

I documenti ed i dati da me raccolti sono stati qui cortesemente elaborati dall’amico prof. Ernesto De Martino, le cui importanti ricerche nel dominio dell’etnologia e della storia delle religioni sono ben note al pubblico italiano. Ecco la sua relazione:

« Il lamento funebre sardo (attitu) è una forma storicamente determinata di un istituto arcaico che si ritrova nelle civiltà primitive a tutti i livelli di organizzazione economica e sociale, che si mantiene a lungo anche per entro lo svolgimento di civiltà superiori (si pensi al lamento funebre in Grecia, in Roma e in Israele) e che solo per entro la civiltà cristiana è stato oggetto di una lotta decisiva, protrattasi per venti secoli. Appena alc[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte terza: Vita di Giuseppe Marotto pastore orgolese in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]pre controllato il mio operato, i miei discorsi, e questi sono per la pace, il benessere, il lavoro, la civiltà in Orgosolo.
PEPPINO MAROTro
La presente inchiesta può considerarsi una introduzione ad un più ampio studio sulla regione che circonda Orgosolo, la Barbagia, al quale sto lavorando e che uscirà nelle edizioni di Giulio Einaudi.
Ringrazio qui il prof. Max Leopold Wagner che ha controllato le voci sarde da me usate nel testo; il prof. Ernesto De Martino che ha collaborato con una relazione sul lamento funebre; ed il prof. Diego Carpitella che ha collaborato con una relazione sulla musica popolare.
Ringrazio le centinaia di collaboratori che ho avuto in Orgosolo a cui spettano, per la maggior parte, i meriti di questa inchiesta.
FRANCO CAGNETTA


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da Ernesto De Martino, Perdita della presenza e crisi del cordoglio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]umanità — una astrazione, poiché la cultura è il frutto della lotta vittoriosa della sanità contro l’insidia della malattia, cioè contro la tentazione di abdicare alla stessa possibilità di essere una presenza inserita nella società e nella storia. Ma proprio questa astrazione è la minaccia mortale per eccellenza: onde l’analisi della malattia trionfante presenta il vantaggio metodologico di collocarci davanti al rischio quando esso, diven50

ERNESTO DE MARTINO

tando egemonico, si sottrae a quella potenza dialettica per cui, nella presenza sana, sta soltanto come momento negato e variamente redento nell’opera attuata e nel valore conseguito. Presenza malata significa — in generale — presenza che una volta, in qualche determinato momento critico dell’esistenza, ha rinunziato a farlo passare, risolvendolo nel valore, ed è invece passata con esso. Ogni contenuto critico sta per la presenza in quanto trasceso nella oggettivazione formale, e ogni presenza si mantiene rispetto a un contenuto critico nella misura in cui dispiega il suo margine formale d[...]

[...]inattuale e simili. Una malata di Janet diceva: « Io mi sono smarrita, è orribile avere lo stesso volto e lo stesso nome e non essere la stessa persona... Voi non avete ancora visto la vera Letizia, se sapessi dov’è ve la farei vedere, ma non la posso trovare » (1). E un’altra malata: « Di tanto in tanto la mia persona se ne va, io perdo la mia persona. E’ una cosa bizzarra e

(1) P. Janet, De Vangoisse à Vextase, Paris, 1928, II, p. 56.52

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ridicola, ma è come se un velario cadesse e tagliasse in due la mia personalità. Le altre persone non se ne accorgono perché io posso parlare e rispondere correttamente. In apparenza per voi io sono la stessa, ma per me le cose non stanno così » (2). E ancora un altro malato: « Ciò che mi manca sono io stesso, è terribile sfuggire a se stesso, vivere e non essere se stesso» (3). A queste esperienze della perdita della presenza fanno riscontro quella della perdita del mondo, che è avvertito come strano, irrelativo, indifferente, meccanico, artificiale, teatrale, simulato, sognante, senza ri[...]

[...]rali, separata da un muro di bronzo.

La crisi di oggettivazione non si riflette soltanto nelle esperienze di spersonalizzazione e di incompletezza di sé, e di fissità inconsistenza e artificialità del mondo, ma anche nella esperienza di una forza o tensione cieca in sé e nel mondo. Gli oggetti che non stanno in limiti oggettivi (riflettendo in tal modo l’alienarsi della stessa energia oggettivante della presenza) sono avvertiti qui come54

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forze in atto di scaricarsi, come oscure tensioni spianti la più piccola occasione per frantumare le barriere che li trattengono, e per fondersi e confondersi in caotiche coinonie. Gli oggetti che « non sono più nel loro quadro » non si presentano più in questo caso con la valenza della artificialità e della lontananza, e come vulnerati da una perdita di prospettiva e di rapporto, ma si configurano piuttosto in atto di agire come potenze cieche ed estranee, che si scaricano disarticolando il reale, e incombendo minacciosamente sulla presenza: alla lontananza astrale si oppone, in una vicen[...]

[...]che l’angoscia si determina come reazione davanti al rischio di non poter oltrepassare i suoi contenuti critici, e di sentirsi inattuale e inautentica nel presente. Ciò equivale a dire che l’angoscia è il rischio di perdere la possibilità stessa di dispiegare l’energia formale dell’esserci. L’angoscia segnala l’attentato alle radici stesse della presenza, denunzia l’alienazione di sé a sé, il precipitare della vita culturale nella vitalità56

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senza orizzonte formale. L’angoscia sottolinea il rischio di perdere la distinzione fra soggetto e oggetto, fra pensiero ed azione, tra forma e materia: e poiché nella sua crisi radicale la presenza non riesce più a farsi presente al divenire storico, e sta perdendo la potestà di esserne il senso e la norma, l’angoscia può essere interpretata come angoscia della storia, o meglio come angoscia di non poter esserci in una storia umana. Pertanto quando si afferma che l’angoscia non è mai di qualche cosa, ma di nulla, la proposizione è accettabile, ma soltanto nel senso che qui non è in gioco [...]

[...]to instabile equilibrio di stimoli si riduce a una polarità praticamente automatica, accompagnata da flessibilità cerea, da ecolalia e da ecomimia: ma nei casi meno gravi la presenza ha ancora un margine sufficiente per avvertire il profilarsi della crisi. Uno schizofrenico di Arieti si rendeva conto, con crescente ansietà, che insormontabili difficoltà si opponevano alla sua azione: ogni movimento che si apprestava a compiere gli si confi58

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gurava come rischiosa possibilità di compiere un atto nocivo o inefficace, e pertanto questo malato, dominato dall’angoscia, preferiva non mangiare, non vestirsi, non lavarsi, per ridursi infine alla immobilità assoluta dello stupore catatonico (10). Il carattere estremamente contradditorio e irrisolvente di tale reazione è che l’assenza delle esperienze estatiche connesse alla vita magicoreligiosa della storia culturale umana: l’assenza dello stupore è infatti sulla linea di quella stessa perdita della presenza che costituisce il rischio della malattia, e la clamorosa contradizione del «f[...]

[...]ne per simboli allusivi sembra ricordare i miti della vita magicoreligiosa: ma i veri miti della vita magicoreligiosa ridischiudono, come si è detto, determinati valori sociali, politici, morali, poetici e conoscitivi, mentre i simboli allusivi a cui ricorre la presenza malata sono conati individuali del tutto vuoti di prospettiva culturale, e perciò sterili anche sul piano tecnico sul quale si muovono.

(11) Arieti, op. cit., p. 121 sg.60

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Analoghe considerazioni valgono per le difese improprie orientate verso il «fare». Qui i conati di recuperare la presenza riescono solo ad una caricatura ed una contraffazione della esigenza del trascendimento, in quanto ciò che dovrebbe stare sempre come materia, la vitalità, pretende di assolvere compiti formali. Così il « far passare nel valore », che comporta ima appropriazione interiore a un far morire ideale, cede il luogo, in questa forma della crisi, alla appropriazione materiale di oggetti privi di significato attuale, alla mania del raccogliere e del conservare, alla incorporazio[...]

[...]della caccia da cui dipende per intero il destino alimentare della comunità, la perdurante scomparsa della selvaggina che insieme alle radici costituisce l’unica base di regime dietetico, le vicende meteorologiche sfavorevoli che aprono per il gruppo sociale una prospettiva di morte per affamamento, la siccità che inaridisce i pascoli e uccide l’unica ricchezza del bestiame, le grandi e frequenti epidemie sterminatrici costituiscono altret62

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tante esperienze critiche di cui la moderna civiltà industriale ha perduto quasi la memoria. Restano per noi in comune con le civiltà primitive e con il mondo antico la esperienza critica della morte della persona cara e delle fasi della evoluzione sessuale (sulle quali è merito della psicanalisi aver richiamato l’attenzione) o l’insorgere delle grandi catastrofi naturali o delle malattie mortali; senza contare i momenti critici che sono connaturati alla civiltà capitalistica come tale (le crisi economiche e le forme spietate di sfruttamento), o alla atrocità delle guerre moderne, o al cru[...]

[...]lla espressione dàmonische Scheu: infatti se l’accento batte su Scheu si ha qualche cosa di praticamente identico a un puro stato ansioso, al blinde Entsetzen patologico, mentre se l’accento batte su dàmonische allora già la ripresa comincia a fare le sue prove, sia pure in modo elementare, e l’orrore non sarà più «cieco» se almeno riesce a scorgere un’immagine organicamente inserita nel mondo storico nel quale si vive, e aperta al valore.64

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Considerazioni analoghe possono farsi a proposito dell’altro momento polare del numinoso, il fascinans. La paradossia di questa polarità non costituisce affatto un nesso misterioso, da rivivere nella sua immediatezza, ma racchiude una trasparente dialettica: ciò che nella crisi repelle e soggioga, il tremendum dell’alienarsi e del perdersi della presenza, tuttavia attira e chiama al rapporto, alla ripresa, alla reintegrazione nell’umano, e questo attirare o chiamare in modo perentorio è il fascinans del radicalmente altro. Nella limitazione della esperienza religiosa ciò che chiama è il nu[...]

[...] sembrare più appropriato, quando invece rito e mito sono profondamente permeati di valenze morali, speculative, estetiche etc. allora la designazione di religione è certamente più opportuna. In sostanza il concetto di magia ha origine nella polemica culturale, allorché si tende a negare che una certa religione enuclei valori, e se ne avverte soltanto il momento meramente tecnico: nel discorso storiografico la qualifica di magia ritiene un66

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significato legittimo solo in senso comparativo, cioè per indicare una forma di vita religiosa in cui lo sviluppo del momento tecnico è relativamente grande e l’orizzonte umanistico dischiuso relativamente angusto: il che del resto è ampiamente confermato dall’uso linguistico corrente, malgrado gli elementi di confusione che vi hanno introdotto alcuni falsi teorizzamenti della scienza e della storia delle religioni. Piuttosto è da mettere in guardia gli storici delle religioni da un altro uso linguistico, che poi racchiude a vari livelli di coscienza e di coerenza una determinata teoria de[...]

[...]ecnica, è coerenza umana, che il peiv siero storiografico può ripercorrere senza lasciare proprio nessun residuo all’immediatezza (e all’arbitrio) di un mistico rivivere. Si tratta certamente di una coerenza diversa da quella dell’arte, o della vita morale dispiegata o della filosofia: ciò che qui si nega è che non gli sia immanente nessuna forma di razionalità, e che racchiuda un nucleo ' irrazionale ' irriducibile, tale da indurre il pen€8

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siero storico alla contradditoria fatica di uscire da se stesso e dalla storia umana (12).

3. La crisi del cordoglio.

La crisi del cordoglio si presenta, nel quadro delle precedenti considerazioni, come il rischio di non poter trascendere il momento critico della situazione luttuosa. La perdita della persona cara è, nel modo più sporgente, l’esperienza di ciò che passa senza e contro di noi: ed in corrispondenza a questo patire noi siamo chiamati nel modo più perentorio all’aspra fatica di farci coraggiosamente procuratori di morte, in noi e con noi, dei nostri morti, sollevandoci da[...]

[...]orte del figlio Lohier (Commi? Charles l’entent, si se set que il die, / il est cheiis pasmés devant sa baronie, / si qu’ìl ne pot parler d’une lieu et demi), i cavalieri di Aymeri alla morte del loro signore (fa et la gisent li chevalier pasmé), centomila franchi alla morte di Rolando (cent mìle Frane s’en pasment contre teré) (13).

(13) Cfr. O. Zimmermann, Die Toten\lage in den altfranzasischen Chanson de geste, Berlin 1899, p. 9 sgg.70

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L’assenza totale rappresenta il limite estremo della crisi del cordoglio: ma al di qua di tale limite stanno tuttavia determinate inautenticità esistenziali della presenza, caratterizzate dal recedere verso l’assenza, e dall’irrisolvente patire e dibattersi per questo recedere. Sulla linea di tale recessione, ma al di qua del suo termine estremo, si trova uno stato psichico che in concreto può manifestarsi con varie sfumature individuali, ma che tipologicamente resta definito da una ebetudine stuporosa senza parola e senza gesto, e senza anamnesi della situazione luttuosa: uno stato simile[...]

[...] comincia ad « andar oltre » in modo irrelativo: e suo « oltre » irrelativo riflette il rischio della stessa potenza oltrepassante che invece di

(15) Eur., Troiane, vv. 110 sg. Nella ripresa istituzionale del lamento funebre questo momento di smarrimento è diventato spesso un modulo: p. es. ite naro? Ifispero? (che dico, che spero?) nel lamento funebre sardo o come vogghìe fa? Come agghia fa? (che cosa fare?) del lamento funebre lucano.72

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« andar oltre » alle rappresentazioni relative a questo suo contenuto, oggettivandole nel valore, comincia essa stessa a diventare il vuoto oltre, e quindi la crisi, dell’oggetto. E’ possibile dedurre, assumendo questo criterio ermeneutico, le varie esperienze morbose che nascono dal rapporto non autentico col cadavere in quanto centro emozionale della situazione luttuosa. Il cadavere appare una « estraneità radicale » : infatti esso tende a sottrarsi alla potenza formale, e il suo « oltre » —> che solo per entro il rapporto formale si determina — sta diventando « vuoto ». Il cadavere appa[...]

[...]orché può sembrare che talora si tratti degli stessi espedienti adoperati nel lavoro efficace, la considerazione della dinamica in cui sono inseriti ci rende avvertiti che il segno nei due casi è opposto, e che i valori della vita umana nel primo caso si stanno drammaticamente ridischiudendo, e nel secondo si stanno dileguando. In un’ultima istanza in questi deliri di negazione si avverte che la presenza non ri
(16) Bue., Medea, 12051220.74

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solve la situazione luttuosa, ma semplicemente l’ha perduta, e non vi spende intorno nessun lavoro produttivo. Ciò appare particolarmente evidente in quelle ancor più gravi crisi in cui tutta la situazione luttuosa è colpita da un patologico oblio, e la presenza riemerge dalla rescissione in modo apparente, onde nasce una inautenticità esistenziale nella quale la presenza si dibatte divisa fra la perdita della attualità del reale e il ritorno irrelativo del passato rescisso, il quale torna nel modo più inautentico, cioè senza appartenere alla stessa presenza, e quindi senza poter essere ri[...]

[...]to patologico che abbiamo sommariamente descritto, mette in rilievo come il tratto morboso più saliente fosse l’arresto della personalità alla situazione luttuosa, e la successiva incapacità di « accrescersi per raggiunzione e assimilazione di elementi nuovi » (19): il che significa che la crisi del cor
(18) P. Janet, De Vangoisse à Vextase, II, 1928, p. 350, 367; cfr. p. 281.

(19) P. Janet, L'état mentale des hystériques, 1931, p. 82.76

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doglio è tale nella misura in cui spezza la « durata » della vita spirituale, pietrificandola in un « atomo psichico » che compromette la fluidità stessa della presenza, e che è fonte di inautenticità esistenziale. Relativamente più impegnata e complessa di quella del Janet è la teoria psicoanalitica del cordoglio, che fu inaugurala dal Freud nel suo scritto Tauer und Melancolìe. Il Freud volle scorgere un differenza fra il cordoglio e la melancolia per il fatto che « mentre nel cordoglio è il mondo ad essere povero e vuoto, nella melancolia lo è l’io stesso» (20). Una seconda differenza s[...]

[...]ressività verso l’esterno, le orgie sessuali e alimentari che chiudono il periodo di lutto richia
(24) Freud, Op. cit., p. 552 sg.

(25) Freud, Ges. Schr., VI, p. 374. Cfr. K. Abraham, Obie\tsverlust und Introjek.' non in den normcden Trauer in abnormen psychischen Zustànden, in Versuch einer Entwicklungsgeschichte der Libido, 1924, pp. 22 sgg. e C. Musatti, Trattato di psicanalisi, 1950, II, p. 271.

(26) K. Abraham, op, cit., p. 27.78

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mano la fase maniacale che segue a quella malancolica nella forma clinica della cosiddetta psicosi maniacadepressiva. Le affinità fra cordoglio primitivo (o antico) e il quadro clinico della melancolia spinsero Géza Roheim a tentare una nuova interpretazione del cordoglio e delle forme di depressione melancolica o di aggressività maniacale che possono accompagnarlo. Se le autoaccuse e le autopunizioni del melancolico sono originariamente dirette a un’altra persona che ora è stata identificata con l’io, le autoaccuse e le autopunizioni che hanno luogo durante la crisi del cordoglio, e che s[...]

[...] il rischio del cordoglio e la minaccia di una crisi nella quale possono apparire, degradati sul piano meramente vitale e in una vicenda impropria e irrisolvente, i compiti ai quali l’ethos del trascendimento sta venendo meno: una crisi in cui il far morire ideale e interiore può scadere nell’impulso ma
(28) M. Klein, Mouming and its relations to maniedepressive states, in Contributions to Mychoanalyses 19211945, London 1948, pp. 311 sgg.80

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terialmente distruttivo, l’interiorizzazione del morto smarrirsi nel mangiare il morto, la necessità della ripresa e della liberazione degradarsi nello scoppio irrefrenabile di riso, nell’erotismo e nella fame, e infine il complesso degli scacchi del trascendimento essere avvertito come estrema abiezione e come colpa radicale. Questa critica di principio alle teorie psicoanalitiche del cordoglio ci dispensa, almeno in questa sede, dairesaminarne le singole parti e dal discutere il romanzo etnologico di Géza Roheim: a noi basti aver spinto la polemica quanto occorre per ribadire quella trad[...]

[...]una persona cara noi sperimentiamo al più alto grado l’esprezza di questa fatica, sia perché ciò che si perde è una persona che era quasi noi stessi, sia perché la morte fisica della persona cara ci pone nel modo più crudo davanti al conflitto fra ciò che passa irrevocabilmente senza di noi (la morte come fatto della «natura») e ciò che dobbiamo fai passare nel valore (la

(29) Croce, frammenti di Etica, 1922, pp. 2224, cfr. p. 21 e 111.82

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morte come condizione per l’esplicarsi della eterna forza rigenerante della « cultura). La fatica di « far passare » la persona cara che è passata in senso naturale, cioè senza il nostro sforzo culturale, costituisce appunto quel vario dinamismo di affetti e di pensieri che va sotto il nome di cordoglio o di lutto: ed è la « varia eccellenza» del lavoro produttivo e differenziato a tramutare lo « strazio » — per cui tutti gli uomini rischiano di piangere « ad un modo» — in quel saper piangere che reintegra l’uomo nella storia umana. A questo punto comincia a prendere consistenza un definit[...]

[...]ner, 1 Die Selì^nam, Mòdling bei Wien 1931, p. 550 sg.

(31) Op. cit., pp. 547 sgg. (legamento del cadavere), 550 (dissimulazione del tumu* lo) 566 (tabu del nome), 552 sg. (bruciamento delle appartenenze).

(32) Strehlow, Die Aranda und Loritja Stàmme im ZentralAustralien, Veroffenti ichungen aus dem stadtlichen Museum, Frankfurt a.M., IV, 2, pp. 15 sgg.

(33) J. H. Steward, Ethnography of thè Owens Volley Paiute, in « University of84

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Eppure questi dati etnologici (che potrebbero essere moltiplicati a piacere) non agevolano gran che nel compito di « continuare a pensare» il pensiero racchiuso nel passo del Croce. La nostra lontananza ideale dalle civiltà primitive, la mancanza di una documentazione diretta relativa al loro passato, il carattere equivoco dello stesso termine « primitivo » e infine i limiti inerenti alle monografie etnografiche di cui dobbiamo avvalerci quando manchi la opportunità di una ricerca personale in loco, costituiscono altrettanti ostacoli per chi volesse direttamente appoggiarsi al materiale et[...]

[...]to funebre rituale si collega saldamente, nel mondo antico, al mito del nume che muore e che risorge, cioè a uno dei temi più importanti delle antiche civiltà religiose del Mediterraneo: questo rapporto è così organico da impedire di considerare l’antico lamento per i morti al di fuori del grandioso orizzonte mitico del nume morto e risorto, sia esso Osiride o Tamùz o Baal o Adone o Dioniso o Kore, e quindi al di fuori del pianto rituale e86

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del giubilo che nel rito attualizzavano la vicenda mitica di questi numi. Nel che troviamo una conferma che il pianto rituale rappresenta nel mondo antico non soltanto un importante momento dei rituali funebri, ma proprio il tema centrale di quel particolare saper piangere davanti alla morte che fu proprio delle civiltà religiose mediterranee. La crisi decisiva di questo istituto culturale fu inaugurata col Cristianesimo: il quale su tutta l’area della sua diffusione si scontrò col lamento funebre e aspramente lo combatte, respingendolo non già nei suoi eccessi parossistici o per ragioni s[...]

[...]ut portem Christi mortem, come si legge nella sequenza dello Stabat. Ma questo altissimo modello del dolore cristiano non poteva operare realmente nella storia e svolgervi la sua effettiva pedagogia dell’umano cordoglio se non avesse saputo rag
(35) Ambbr., De obìtu Valent., 39 CSEL 73, p. 348 Faller.

(36) Sullo Stabat resta fondamentale il lavoro di C. Ermini, Lo Stabat Mater e il pianto della Vergine nella lirica del Media Evo, 1916.88

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giungere sul piano terreno la crisi che nel cordoglio sta come rischio, e se non avesse assorbito e trasfigurato le tecniche pagane di controllo e di reintegrazione. Solo raggiungendo questo piano il modello mariano del dolore poteva trascinare i dolenti verso la nuova meta religiosa e culturale, e non importa se esso doveva affrontare tutti i rischi del compromesso, del sincretismo e del ritorno al passato. Qui sta il germe della profonda necessità storica degli sviluppi drammatici del planctus Mariae. Negli apocrifi Acta Pilati (che risalgono alla prima metà del quinto secolo) il pianto [...]

[...]i, 1949, pp. '2566. Frammenti tradotti del Christos Paschon anche in Canterella, Poeti Bizantini, II, p. 191201. Per la discussione delle quistioni relative e per la bibliografia sull’argomento cfr. C. Del Grande, Tragoidia, 1952, pp. 225 sgg., p. 322 sg.

(39) Sul rapporto, fra planctus e passione drammatica cfr. E. K. Chambers, The medieval Stage, 1903, II, p. 39 sg. e p. Young, The drama of thè medieval Church, Oxford 1933, I, p. 493.90

ERNESTO DE MARTINO

Magdalena:

(hic vertat se ad homines cum brachi) s extensis)

O fratres!

(hic ad mulieres)

Et sorores!

(hic percutiat sibi pectus)

Ubi consolatio mea?

(hic manus ellevet)

Ubi tota salus?

(hic, inclinato capite, sternat se ad pedes Christi).

Maria Maior:

(hic percutiat manus)

O dolor!

Proh dolor!

Ergo quare,

(hic ostendat Christum apertis manibus) fili chare pendes ita cum sis vita

(hic pectus percutiat suum) manes ante secula?

.........(40)

Il rapporto è ancora più evidente nei compianti in volgare. In un testo cassinese della passione [...]

[...]tus per l’arcivescovo Fulco di Reims composto dal canonico Sigloardo (sec. X) segue all’intercessione per i defunti l’invito: Amen, fiat ita, Dicat omnis ecclesia; e un planctus per il duca normanno Guglielmo morto nel 943 si apre con la seguente didascalia di esecuzione: Cuncti flètè prò Wilhelmo Innocente interfecto (cfr. H. Springer, Dos altporvenzalische Klagelied mit Beruc^sichtigung der verwandten Uteraturen, Berlin 1895, p. 16 sg.).92

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la morte, la figura di Maria si adattò persino ad accogliere gli aspetti più arcaici del cordoglio antico, come il cadere inanimata ed il percuotersi il petto e il graffiarsi le guance ed il lamentarsi, secondo che narrano gli Acta Pilati: ma la sua figura di madre in lutto resta sostanzialmente legata ad un’altra immagine pedagogicamente egemonica, al suo stare raccolto, immobile e muto del Vangelo giovanneo, o al contemplare velato di lacrime della sequenza dello Stabat. Ed il centro della cristiana religione non è nel cordoglio di Maria come tale, ma in quel « portare Christi mortem » c[...]

[...] peccati e per la passione di Cristo, a lungo resistendo alle tentazioni del diavolo, che le adduceva davanti agli occhi cadaveri di persone a lei care, come per risvegliarla al mondano patire: finché la santa vinse la lotta, e si votò interamente alla lamentazione per Cristo morto, onde notturno silentio, dormiente jamula et illis de domo, fortibus clamoribus et duris lamentationibus deplorabat dilecti sui ]esu Passionem, crinibus resolutis.

Ernesto De Martino



da (Mito e civiltà moderna) Ernesto De Martino, Mito, scienze religiose e civiltà moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]ntalità primitiva si muove ancora sul piano

(1) E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, II (Das mythische Denken), Berlino 1925.

(2) Bergson, Le deux sources de la morale et de la relìgion, Parigi 1932.

(3) G. Bachelard, La psychanalyse du feuy Parigi 1938; L'eau et les rèves, Parigi 1942; La terre et les rèveries de la volontà, Parigi 1948; La terre et les rèveries du repos} Parigi 1948; L’air et les songes, Parigi 1943.6

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del « progresso della coscienza » come lo intendeva Leone Bruschwicg, e quindi nella prospettiva di una mentalità prelogica che è soppiantata da quella logica; ma successivamente il LévyBruhl ha sempre con maggiore energia negato che la mentalità primitiva o mitica dovesse essere considerata come fase di sviluppo dell’umanità, sottolineandone invece il carattere di permanente struttura antropologica (4). Naturalmente in indirizzi di pensiero francamente ispirati alle istanze dell’esistenzialismo — si pensi all’Eliade, al Caillois, al Gusdorf e al Cazeneuve — la motivazione esistenzialistic[...]

[...]icollegò invece con il rinnovato impulso di una tendenza radicalmente opposta. Proprio nel 1917 un teologo e storico delle religioni della Università di Marburgo pubblicò un piccolo libro cui doveva toccare una straordinaria fortuna, e che esercitò una

(6) Sul « ritorno alla religione » si veda più avanti a p. 44 sg.

(6bis) Fra questi antecedenti ha p. es. un suo proprio rilievo culturale la teoria del mito elaborata da Giorgio Sorel.8

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notevole influenza non soltanto sulla metodologia storicoreligiosa e sulla rivalutazione del Sacro, ma sulle coscienze e sulla sensibilità culturale in generale: il teologo e storico delle religioni era Rudolf Otto, e il piccolo libro portava il titolo II Sacra, col significativo sottotitolo programmatico: L'irrazionale nell’idea del divino e il suo rapporto col razionale (7). L’opera di R. Otto apre in un certo senso in Germania quella epoca culturale che è caratterizzata dalla crisi dello storicismo, dal passaggio dal protestantesimo liberale alla teologia della crisi e all’affiorare di [...]

[...]ella vita religiosa l’aver circoscritto l’esperienza di una alterità sacra qualitativamente diversa dall’alterità profana, e l’aver indicato il tremendum e il fascinans come interna polarità di tale alterità sui generis, resta il problema se ciò che nella sfera cosciente dell’uomo è vissuto come momento irrazionale del Sacro non si configuri per l’uomo di scienza come ulte
(9) R. Otto, Dos Heilige, pp. 42 sgg.

(10) Op. cit.} p. 170 sg.10

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riormente analizzabile in profondo al di là di ciò che è vissuto dalla coscienza religiosa in atto. Potrebbe infatti darsi che aggredendo il momento irrazionale del sacro con particolari metodi di analisi, quel momento palesi per l’uomo di scienza una sua propria coerenza e razionalità, onde poi il Sacro nel suo complesso appaia in una nuova luce. Il limite della impostazione di R. Otto è di muoversi interamente al livello della coscienza religiosa nella sua immediatezza: R. Otto procede infatti dalla coscienza di una fondamentale irrazionalità del numinoso al cosciente tentativo di aprirs[...]

[...]si di lingua tedesca, e nell’atmosfera della sconfitta militare, del crollo di due imperi e del conseguente smarrimento morale faceva inplatonico della caverna non è riducibile alla nostalgia dell’utero materno, anche se Platone ebbe — al pari degli altri mortali — fantasie di carattere sessuale: cfr. C. G. Jung, Seelenprobleme der Gegenwart, Ziirich 1931, p. 47 sg.

(12) Jenseits des Lustprinzips., Intern. psychoanal. Verlag, Vien 1920.12

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dipendentemente la sua comparsa in due domini culturali indipendenti il principio del ritorno ciclico e della corsa alla morte: nel 1918 e nel 1922 vedevano la luce i due volumi della prima edizione del Tramonto dellrOcadente dello Spengler, che inaugurava — come si è detto — la crisi dello storicismo tedesco, nel 1920 il fondatore della psicanalisi introduceva la coazione a ripetere e l’istinto di morte nella vita psichica individuale, accanto e oltre al « principio del piacere », che aveva sino allora dominato nella sua concezione teorica. Ma per quel che si attiene più strettamente al n[...]

[...]tenstein, Zur Phanomenologie des Wiederholungzwanges und des Todestriebes, in Imago XXI (1935), Heft 4, pp. 466488 e R. Spitz, Wiederholung, Rhytmus, Langweile, in Imago XXIII (1937), Heft 2, pp. 171196.

(15) B. Malinowski, Myth in Primitive Psychology, Londra 1926.

(16) Th. Preuss, Der religiose Gehalt der Mythen, Tiibingen 1933.

(17) p. 18 della trad. it. [Torino, 1948]: l’immagine del «passo indietro» è però di Ortega y Gasset.14

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orientato verso il ripetere rivivendo e un rivivere ripetendo il passato metastorico esemplare, nel quale viene periodicamente riassorbita la proliferazione storica del divenire, e persino la stessa norma mimica o verbale delle singole iterazioni rituali. Così, per es., la festa babilonese dell’anno nuovo, Ya\ttu, disfa ogni volta il tempo accumulato nel corso dell’anno spirante, raggiunge il caos primordiale e ripete l’atto cosmogonico. Lo scenario delle cerimonie comporta innanzi tutto un regresso nel periodo mitico che precede la creazione, nel periodo caotico e germinale del mostro mar[...]

[...]stentemente nel movimento di rivalutazione esistenziale della religione e del mito, e cioè l’idoleggiamento di un’epoca dell’umanità « tutta » religiosa e « tutta » mitica, non ancora « snaturata dalla tecnica », e « senza storia » nel senso oggettivo

(19) Eliade, Mythes, réves et mysteres, Parigi 1957, p. 55.

(20) M. Volmat, L’art psychopatologìque, Parigi 1955, p. 211.

(21) G. Gusdorf, Mythe et métaphisique, Parigi 1953, passim.16

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che sarebbe vissuta beatamente nell’assoluto (22). Senonché questo « paradiso degli archetipi e della ripetizione », così come il Gusdorf lo concepisce si basa in sostanza su un equivoco concetto di « storia ». Se infatti per « storia » si intende semplicemente le res gestae che manifestano una coerenza culturale definita e attuano valori umani, nessuna civiltà è mai riuscita a nascere e a mantenersi chiudendosi integralmente nell’assoluto della ripetizione rituale di miti primordiali. Se per storia si intende il senso immediato di sé che accompagna l’umano operare e le res gestae qualific[...]

[...]stessi: mimando il passaggio, egli se lo rende sopportabile... (Perché

1 riti di passaggio divengano effettivamente riti religiosi) basterà che l’azione simbolica sia considerata come la ripetizione di un atto archetipico, di un modello trascendente: allora, i'1 rifiuto di accettare il mero dato come tale si riplasmerà nella consacrazione dell’evento » (23).

(23) J. Cazeneuve, he rites et la condition humaine, Parigi 1958, p. 122 sg.18

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Sul tema del « passo indietro » e del ritorno rituale di una situazione mitica iniziale si è soffermato anche LéviStrauss, che non ha mancato di sottolineare a questo proposito la omologia con la terapia psicoanalitica :

Curando il malato, lo sciamano offre al suo uditorio uno spettacolo. Quale spettacolo? A rischio di generalizzare imprudentemente certe osservazioni, diremo che questo spettacolo è sempre quello di una ripetizione, da parte dello sciamano, della chiamata, cioè della crisi iniziale che gli ha portato la rivelazione della propria condizione di sciamano. Ma la parola spett[...]

[...]ei loro rispettivi attributi » (26). L’incantesimo sembra proteso « a rendere chiaro ed accessibile al pensiero cosciente della partoriente la sede di sensazioni e di sofferenze ineffabili e dolorose » (27); lo sciamano « fornisce alla sua malata un linguaggio nel quale possono esprimersi immediatamente degli stati non formulati e altrimenti informulabili», ed è appunto questo pas
(26) LeviStrauss, op. citp. 213.

(27) Op. cit., p. 215.20

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saggio alla espressione verbale che consente di rivivere in forma ordinata e intelligibile una esperienza attuale e che provoca lo sblocco del processo fisiologico (28). A questo punto LéviStrauss istituisce un paragone fra la tecnica psicoanalitica e questo tipo di tecnica sciamanistica :

...[Sia nel caso di trattamento psicoanalitico che di quello sciamanistico] ci si propone di condurre alla coscienza conflitti e resistenze rimaste sino allora inconsce, sia perché repressi, sia — come nel caso del parto — per la loro specifica natura, che non è psichica, ma organica o anche semplicem[...]

[...]na semplice maschera del passato ritornante in modo irriconoscibile e irrisolvente, ma si configura come un ponte per un verso rivolto al passato che rischia di tornare nella estraneità e nella servitù del sintomo nevrotico, e per l’altro verso orientato verso la realizzazione di valori culturali di cui è il presentimento, la prefigurazione e il dinamico dischiudersi. In rapporto a questo diverso apprezzamento, mentre nella prospettiva del22

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freudismo ortodosso si trattava di smascherare la maschera simbolica, e di ridurla alla situazione primordiale storica di cui era, appunto, la «maschera», nella prospettiva dell’junghismo la riduzione smascheratrice non era più sufficiente sia rispetto alla interpretazione teorica che alla pratica terapeutica, ma si faceva valere l’esigenza di aiutare il malato a convertire i suoi simboli da chiusi in aperti, da cifrati in dichiarativi di una più compiuta realizzazione di sé, da estranei e servili in culturalmente integrati: cioè, in ultima istanza, i simboli si configuravano come vie di a[...]

[...] soltanto come causa ipotetica postulare un Dio, avrebbe implicitamente avanzato l’esistenza di una possibile dimostrazione di Dio, oltrepassando così la sua competenza in modo assolutamente inammissibile. La scienza può essere soltanto scienza: non ci sono dimostrazioni scientifiche della fede» (34).

(33) Ùber die Energeti\ der Seele, 1919, p. 189.

(34) In Psychologie und Alchemìe, 1944, p. 27 sg. (2) C. G. Jung, Aion, 1951, p. 107.24

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In altra sua opera Jung si chiede, se il « se stesso » sia un simbolo di Cristo o se Cristo sia un simbolo del « se stesso » e (35) dichiara di aver optato per questa seconda soluzione, ma si affretta ad aggiungere che tale opzione non ha un valore ontologico, ma soltanto metodologico, concedendo che altri con eguale diritto potrebbe scegliere la prima soluzione: e P. Zacharias, accogliendo prontamente la concessione, ha valutato appunto quali sarebbero le conseguenze teologiche quando si assuma il « se stesso » come simbolo di Cristo (36). D’altra parte in una conversazione personale col [...]

[...] grassa fatica di E. Neumann, Die Grosse Mutter. Der Archetyp des grossen Weiblichen, Ziirich 1956. Dello Jung è da leggere anche il commentario psicologico al libro tebetano dei morti in M. Y. EvansWentz, The Tebetan Boo\ of thè Dead, London 1957, pp. XXXVLXIV. Fra gli scritti junghiani ancora inediti vi è anche un commentaro agli esercizi spirituali di S. Ignazio. Il lettore italiano che voglia formarsi un’idea dei rapporti fra junghismo26

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vigore dalla psicoanalisi, il simbolo mitico affondava dunque le sue radici nel profondo della vita psichica, e quindi si collegava strettamente col mondo degli istinti e con lo stesso ordine biologico. La teoria junghiana degli archetipi come «organi» dell’inconscio collettivo, richiama — sia pure in via meramente ipotetica — ad una base anatomicofisiologica degli archetipi stessi. Ma il nesso più ardito fra mito e biologia si ritrova in alcune tesi di Roger Caillois, e segnatamente nel suo saggio sulla mantide religiosa. La riplasmazione mitica di questo insetto, attestata in diversissim[...]

[...]dividuo, come la difesa dalla malattia e dalla sfortuna, o l’acquisto di una conoscenza del futuro... In Egitto e in Mesopotamia, due o tremila anni a. C., le attività

(43) Cfr. S. E. Hyman, The Ritual View of Mith and thè Mythic, in Journal of american Folklore, 68 (1955), n. 270, p. 462 sg.

(44) S. H. Hooke, Myth and Ritual, Oxford 1933 e The Labyrinth, Oxford 1935.

(45) S. H. Hooke, Ritual and Kingship, Oxford, 1958, p. 261 sg.28

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rituali assunsero un modello adattato ai bisogni di una civiltà urbana e di una struttura sociale di cui il re è al centro (46).

Per quanto la scuola miticorituale si lasciò talora fuorviare da una unilaterale accentuazione del momento rituale della vita religiosa (47), resta come suo merito l’aver energicamente sottolineato che un vero mito, nel quale si crede e che conferisce vita e significato, è inseparabile dal rito e dal culto o almeno dalla prospettiva di un possibile riviverlo, in date e luoghi stabiliti, in una definita vicenda liturgica : i « miti » che operano nella letteratu[...]

[...]la storia e di dare

(49) Kluckhohn, op. cit., p. 68. Il richiamo alla base esistenziale dei modelli moticorituali è ricorrente nei rappresentanti di questo indirizzo, p. es. in E. O. James, Myth and Ritual, Eranos Jahrbuch XVII (1949), pp. 79 sgg. Nel caso di G. Thomson i presupposti della scuola miticorituale si sono combinati col marxismo (del Thomson il lettore italiano può leggere Eschilo e Atene pubblicato nel 1949 presso Einaudi).30

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un fondamento e una prospettiva alla precarietà della condizione umana non poteva mancare di avere un contraccolpo nella valutazione della religione cristiana. La Harrison aveva messo in rilievo come l’azione sacra in Grecia, il dromenon, è la ripetizione di un exemplum di fondazione, è un antefatto (predonè) mitico continuamente « rifatto » (redonè) nel rito, così come il mito è per essenza parola « ridetta » e « ridicibile». Sulla base di osservazioni condotte su una mitologia vivente presso popolazioni primitive, il Malinowski aveva confermato che il mito non è semplicemente una storia [...]

[...]Arien, 1935, p. 34. Cfr. M. Buber, Kònigtum Gottes, 1932, p. 121: «In Babilonia il calendario liturgico poteva compiere il suo eterno ciclo sull’empirico divenire, mantenendosi indifferente al divenire stesso; in Israele invece era la storia a circoscrivere in esso, di propria mano, i segni portentosi di ciò che accade una sola volta, deirirripetibile ».

(54) O. Culmann, Christus und die Zeit, 1945 (19482).

(55) Op. cit., pp. 43 sgg.32

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zione appartiene già al Cristianesimo dei primi secoli, come mostrano le teorizzazioni di Ireneo sul tempo cristiano come extansio del passato nelPavvenire (56).

Riepilogo e osservazioni critiche

Dall’analisi del movimento di rivalutazione esistenziale della religione e del mito negli ultimi quarantanni risulta innanzi tutto che alcuni temi fondamentali vi ricorrono con particolare insistenza e danno per così dire il tono al movimento stesso. Il primo tema è la rivendicazione di una specifica esperienza del sacro, cioè di una realtà radicalmente diversa dal «mondo» e non risolvibile [...]

[...]vare il Cristianesimo, cui corrispondeva nella vita religiosa effettiva un rinnovato bisogno di salvarsi nel Cristianesimo dal terrore della storia profana. E il gesuita Daniélou poteva nel suo già citato «Saggio sul mistero della storia », inserirsi nel discorso iniziato da Cullmann, Rust, Lowith, Mircea Eliade, a dargli un senso accettabile dal Cattolicesimo e dalla sua Chiesa.

(58) Daniélou, Essai sur le mystère de Vhistoire, p. 132.34

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Il terzo tema ricorrente nel movimento di rivalutazione esistenziale della religione accenna in una direzione diversa. Esperienza del sacro, miti e riti si manifestano sul piano della coscienza, e l’analisi può fermarsi alla descrizione di ciò che appare alla coscienza del credente, p. es. l’incontro col numinoso, l’essere afferrati dal radicalmente altro che respinge e che attrae, il riassorbimento del qui e dell’ora nella ripetizione rituale di un evento metastorico inagurale, l’indissolubile nesso tra figurazione mitica e atto cerimoniale di rapporto nella concretezza della vita religio[...]

[...]e risultare in tal modo come momento di una dinamica più ampia. In realtà il « tutt’altro ambivalente» accenna alla segnalazione di un estremo rischio esistenziale, la perdita della presenza. L’esserci nel mondo come centro di decisione e di scelta è esposto al rischio radicale di non esserci, di perdersi e di alienarsi, dando luogo a tutta una serie di inautenticità esistenziali, che nei loro modi più compromessi costituiscono le malattie36

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della psiche. Il « tutt’altro ambivalente », in questa prospettiva, è la segnalazione di una « alterità » che è certamente sui generis perché ciò che qui rischia di diventare altro è la stessa radice dell’identico e del diverso, del soggettivo e delPoggettivo, del pratico e del teoretico, del « psichico » e del « somatico ». Il « tutt’altro ambivalente », in quanto segnalazione di questo rischio radicale si costituisce e funziona innanzi tutto come piano di arresto delle possibili alienazioni, e quindi come esperienza di una alterità radicale che, per un verso, è una forza ostile e schiacc[...]

[...]ltrimenti se vivesse interamente nel « mito » non potrebbe mai mantenersi come « civiltà » e sprofonderebbe nel delirio) subisce un continuo refoulement, cioè un occultamento alla coscienza : ma intanto, attraverso questa « pia fraus », si dischiudono di fatto le opere e i giorni che sono connessi al viver civile, e possono anche de jure cominciare ad essere riconosciuti come doni divini e infine nella loro qualità mondana. Il pescatore me38

ERNESTO DE MARTINO

lanesiano, quando affrontava il mare, diventava Peroe mitico Aori e ne ripeteva il viaggio paradigmatico. La storicità del viaggio, con i suoi storici imprevedibili incidenti, era così riassorbita nel modello metastorico, avvenuto nella metastoria una volta per tutte; ma intanto, per entro questa destorificazione delle spedizioni marittime, si realizzavano in concreto imprese che erano di interesse vitale per una popolazione di pescatori. I cacciatori Aranda del clan totemico del gatto selvatico attraversavano un territorio sconosciuto portando con sé, sotto forma di palo, il « centro del [...]

[...]esta dinamica ha luogo nelle religioni superiori, nelle quali gli stessi simbolismi miticorituali si presentano integrati con significati filosofici e morali, e costituiscono fonte di ispirazione artistica. Comunque, in un modo o nell’altro, la dinamica religiosa, nella varietà delle sue concrete manifestazioni storiche, accenna a un mondo di uomini che si protegge dalla crisi di alienazione radicale fermandola e configurandola in un sopra40

ERNESTO DE MARTINO

mondo di dei, e che nel sopramondo di dei ritrova e riprende, a vari livelli di consapevolezza umanistica, il mondo degli uomini e delle loro opere qualificate secondo valori mondani.

Né è da credere che questo rapporto sia smentito dalla mistica. Anche i mistici più impegnati nella negazione della storia e della società cui appartengono sono giudicabili da un punto di vista storiografico non già nell’isolamento delle loro eccezionali avventure psicologiche strettamente individuali, ma come organi di una società storica funzionante, aperta — se si mantiene nella storia — al mondano oper[...]

[...] fatto la storia umana, ma alza il velo sulla storicità della condizione umana e fonda de jure nella prospettiva della fede, il senso dc\Y opera, la coscienza della tensione fra « situazione » e « valore ». Se la civiltà occidentale si è guadagnata nel corso della sua storia una egemonia fondata sulla potenza del mondano operare, se un umanesimo fiducioso ed entusiasta è venuto sempre più intensificando

(60) Castello, V Mans., Cap. III.42

ERNESTO DE MARTINO

la sua straordinaria messe di opere economiche, politiche, morali, artistiche, scientifiche e filosofiche, la conquista di questo primato civile è certamente impensabile senza la nuova esperienza del divenire storico inaugurata dal Cristianesimo. Il rapporto fra energia morale mondana della civiltà occidentale e simbolo cristiano assume talora vie molto mediate (si pensi al rapporto fra etica protestante e spirito del capitalismo, secondo la tesi famosa del Max Weber): ma il rapporto sussiste e conferisce alla storia delPoccidente la sua fisionomia inconfondibile. D’altra parte al germe di[...]

[...]n già propriamente un « ritorno alla religione » — per il quale occorrerebbe un oblio totale di

(61) J. Daniélou, contrapponendo la concezione marxista a quella cristiana della storia, scrive: « Per il marxista la storia non è ancora decisa e il suo sguardo si apre sulPavvenire. Per il cristiano, la storia è sostanzialmente decisa e l’avvenimento essenziale è al centro e non al termine » {Essai sur le mystère de Vhistoire> 1953, p. 83).44

ERNESTO DE MARTINO

esperienze e di eventi che volenti o nolenti portiamo nel sangue — ma un urto irrisolvente fra terrore della storia, nostalgia del simbolo cristiano e più o meno consapevole impossibilità di dimenticare il processo culturale che ha fatalmente dischiuso all’uomo moderno il senso della storia e più ancora l’umanesimo integrale che gli è potenzialmente congiunto. Né quest’urto irrisolvente può trovar esito legittimo in tormentati compromessi sul tipo della cosiddetta «demitizzazione del Nuovo Testamento», patrocinata dal Bultmann: il quale — nel proposito di restituire al messaggio cristiano [...]

[...]a notte delle origini e che giunge sino a noi, eredi della civiltà occidentale: ma per amplissima che sia questa epoca è certo che ne stiamo uscendo, e che il suo tramonto si sta consumando dentro di noi. Il rischio della crisi esistenziale, la esigenza di simbolismi protettivi e reintegratori appartengono certamen
(63) }. Milton Yinger, Religion, Society and Individuai. An introduction to Sotfiology of Religion, New York 1957, p. 270 sg.46

ERNESTO DE MARTINO

te alla condizione umana e quindi anche alla civiltà moderna: ma la tecnica dell’orizzonte metastorico è diventata inattuale, onde la civiltà moderna è impegnata ad ordinare una società e una cultura il cui simbolismo esprima il senso della storia e la coscienza umanistica, senza ricorso alla ambigua politica dei due volti.

Possiamo ora meglio apprezzare, dopo questi rilievi, gli aspetti positivi e i limiti del movimeno di rivalutazione esistenziale della vita religiosa e del mito negli ultimi quarantanni. È senza dubbio merito di questo movimento aver messo in evidenza, in polemica con[...]

[...]on la coscienza umanistica e col senso della storia. Questa ambigua oscillazione ha certamente favorito l’odierno abuso della parola « mito », che è venuto perdendo nell’impiego linguistico corrente il suo riferimento al nesso miticorituale della vita religiosa per designare promiscuamente simboli legittimi e simboli illegittimi del mondo moderno, sopravvivenze arcaiche e neoformazioni di compromesso, e persino mode e infervoramenti passeg48

ERNESTO DE MARTINO

geri: confusione tanto più dannosa in quanto concerne un dominio di fenomeni in cui molteplici interessi congiurano ad alimentarla, e in cui quindi più si avverte il bisogno della distinzione rigorosa.

Nel complesso, malgrado i suoi aspetti positivi, il movimento di rivalutazione della vita religiosa e del mito negli ultimi quarantanni appare esso stesso coinvolto nella crisi di crescenza che travaglia l’umanesimo occidentale in cammino: una crisi che si configura come conflitto fra le imprescindibili necessità della maggiore età umanistica e la nostalgia di protezioni tradizionali che [...]

[...]on più autenticamente ripristinabile. Per quel che ci sembra, alle scienze religiose spetta oggi una parte non irrilevante nell’aiutare la civiltà occidentale a prendere coscienza del vero carattere della sua crisi, e nel restituire alla potenza morale dello scegliere un’attualità armonizzata con la storia passata e con la situazione presente, per entro simboli vibranti di senso e di prospettiva che « esprimano» l’età umanistica della storia.

Ernesto De Martino



da Ernesto de Martino, Il folklore. Un invito ai lettori del «Calendario» in KBD-Periodici: Calendario del Popolo 1951 - numero 86 - novembre

Brano: [...]di chi l'ha composta (quando è conosciuto), notizie relative agli episodi e alle persone a cui eventualmente il canto si riferisce, traduzione integrale o totale in italiano se il canto è in dialetto, indicazione del modo col quale
la canzone è cantata (individualmente o in coro), e se il canto è cantato sul motivo di qualche canzone in voga (nel qual caso precisare quale), ovvero se è cantato su qualche motivo tradizionale popolare e anonimo.
Ernesto De Martino
Per un migliore orientamento dei nostri lettori diamo ora qualche saggio di « canto popolare progressivo », con note illustrative:
Quella che segue è la « canta » di Matteotti.
Raccolta in Romagna, a Ravenna. dalla bocca della Cuciretta, una vecchia bracciante. E' cantata su un motivo tradizionale, di solito impiegato per raccontare storie di amore e di sangue di Teresina e Eugenio, e di Silla e Diletto. Diffusa in Emilia, al tempo dell'as
sassinio di Matteotti.
Cari signori, se . ascoltar mi state
canto il delitto di quei galeotti
che con grand'odio voller trucidare
il deputato Giaco[...]



da Giovanna Marini, Identità e uso del folk in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1975 - - settembre - 4

Brano: [...]ia ad indicare una giusta
.... cnut c'ae o 10 ruta sia usata ogni volta che Set. ttmelll fornisce quelle notizie che invece dovrebbero essere sicure, senza k' quali c im possibile formulare un glu dizio.
Settlmelli ci getta in un baratro dl incertezza, come se l'unico paese che ancora non sappia cosa sia 1a musica popolare siri proprio l'Italia. Abbiamo una tradizione dl studi sulla musica e stilla col. tura popolare, abbiamo avuto uomini come Ernesto De Martino, abblamo un Istituto che da lui prende Il nome e ehe da anni si dedica alla cultura delle classi subalter ne e alla musica di tradizione orale, abbiamo studiosi come Carpitella, Cirese; sono nati in Italia circoli dl studio, ricerca e riproposta del materiale. Gianni Bosio ha scritto molto proprio sull'uso dei canali di comunicazione di massa e suiVintellettuale alte prese con la cultura prole tarla: ebbene, dopo tutto questo Settlmelli spiega, — anzi non spiega — che cos'è la musica popolare in un modo che è caritatevole definire «ambiguo D.
Settimelll cita. sì, «Folklo re e profitto» d: L.[...]



da Giovanni Battista Bronzini, Varietà e documenti. Togliatti e i canti popolari [scritto del 1953, per metà inedito [quadre nel testo]] [e trascrizione documento di Rocco Scotellaro [quadre di catalogo]] in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]lla sua singola identità sociale e culturale.
Scotellaro rimprovera allo stesso De Martino, riferendosi agli articoli sulla « spedizione in Lucania » che questi andava pubblicando su « Vie Nuove » e altrove, di aver trascurato di considerare il momento della creazione e di identificare i singoli autori o elaboratori, che spesso a torto e anche volutamente per « comodo intellettuale » vengono registrati come ignoti. Il fatto è che l'interesse di Ernesto De Martino era rivolto al momento della recitazione, non direi neppure della fruizione obiettiva, ma della recitazione del contadino o dell'operaio nell'incontroscontro diretto tra lui e l'altro, tra il « nostro » e l'« alieno ».
Ciò che qui dice Scotellaro è vero soprattutto per uno speciale genere di poesia popolare cantata, che è quello sociale e politico, di carattere progressista, per la cui creazione si può arrivate, dalla cooperazione fra popolo e intellettuali fino alla delega ad essi data dal proletariato per la composizione dei canti di protesta 2. Comunque, richiamando l'attenzione sulla « f[...]



da Giovanna Marini, Identità e uso del folk in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1975 - - settembre - 4

Brano: [...]rbi non stia ad indicare una giusta
cae o LLt usto sia usata ogni volta che Set. tlmelll fornisce quelle notizie che invece dovrebbero essere sicure, senza k' quali ò im possibile formulare un glu ditta.
Settimelli ci getta in un baratro dl incertezza, come se l'unico paese che ancora non sappia cosa sia ta musica popolare siri proprio l'Italia. Abbiamo una tradizione dl studi sulla musica e stilla col. tura popolare, abbiamo avuto uomini come Ernesto De Martino, abblumo un Istituto che da lui prende Il nome e ehe da anni si dedica alla cultura delle classi subalter ne e alla musica di tradizione orale, abbiamo studiosi come Carpitella, Cirese; sono nati in Italia circoli di studio, ricerca e riproposta del materiale. Gianni Bosio ha scritto molto proprio sull'uso dei canali di comunicazione di massa e suiVhntellettuale alte prese con la cultura prole taris: ebbene, dopo tutto quo sto Settlmellt spiega, — anzi non spiega — che cos'è la musica popolare in un modo che è caritatevole definire «ambiguo D.
Settimelll cita, sì, «Folklo re e profitto» d: L[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Ernesto De Martino, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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<---Mussolini <---Nuie <---Nuoro <---Nuovi Argomenti <---Nuovo Testamento <--- <---Orgosolo <---Panno <---Pedagogia <---Pierre Janet <---Pintor <---Pletrangell <---Poetica <---Premio Cattolica <---Presso <---Psicanalisi <---Psichiatria <---Psicologia <---Quale <---Repubblica <---Ràbata <---Sacro <---Schubert <---Se Settimelli <---Settimelli <---Sistematica <---Società <---Stato <---Storia religiosa <---Strawinsky <---Studi <---Teologia <---Thule <---Tricarico in Lucania <---Urzulei <---Vescovo <---Viene <---abbiano <---archeologica <---banditismo <---biologica <---cominciano <---cristianesimo <---cristiani <---cristiano <---dell'Istituto <---dell'Unità <---differenziano <---etimologia <---fascisti <---fenomenologia <---filologico <---freudiana <---ideologico <---lasciano <---marxismo <---metodologiche <---minacciano <---mitologia <---paganesimo <---progressiste <---psicologia <---psicologiche <---psicologici <---settarismo <---siciliano <---simbolismo <---stiano <---storicismo 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