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Il segmento testuale Dei è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da George Lukacs, La mia via al marxismo [traduzione di Ugo Gimelli] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]izione nelle lotte della storia attuale. I cenni biografici sul rapporto con Marx, sulla lotta spirituale col marxismo ci dànno dunque, volta a volta, un quadro che, come contributo alla storia della lotta sociale degli intellettuali nel periodo imperialistico, ha un certo interesse generale anche se, come nel mio caso, la biografia stessa non possa avere pretesa alcuna di interessare il pubblico.
La mia prima conoscenza con Marx (col Manifesto dei comunisti) la feci sul finire dei miei studi liceali. L'impressione fu straordinaria, e da studente universitario ho poi letto parecchi degli scritti di Marx e di Engels (come Il 18 Brumaio, L'origine della famiglia) e in particolare ho studiato a fondo il primo volume del Capitale. Questo studio mi convinse subito dell'esattezza di alcuni punti centrali del marxismo. In primo luogo fui impressionato dalla teoria del plusvalore, dalla concezione della storia come storia delle lotte di classe e dall'articolazione della so cietà in classi. Per il momento, come é ovvio nel caso di un intellettuale borghese, quest'influenza si l[...]

[...]. Consideravo Marx non meno di prima l'economista e il « sociologo » più competente; ma economia e _« sociologia » avevano per allora una parte minore nella mia attività. I singoli problemi e le fasi dello sviluppo, nel quale questo idealismo soggettivo mi condusse a una crisi filosofica, non interessano il lettore. Ma questa crisi — invero a mia insaputa — era
LA MIA VIA AL MARXISMO 3
determinata_ oggettivamente da un più intenso manifestarsi dei contrasti imperialistici e fu accelerata dallo scoppio della guerra mc ñdiale Certamente questa crisi si manifestò dapprima solo nel passaggio dall'idealismo soggettivo all'idealismo oggettivo (Teoria del romanzò, scritta nel 191215), e naturalmente Hegel venne ad acquistare per me un'importanza sempre crescente, in particolare la Fenomenologia dello spirito. Col carattere imperialistico della guerra che mi diveniva sempre più chiaro, con l'approfondimento dei miei studi hegeliani, nel corso dei quali mi accostai anche e Feuerbach — comunque allora solo dalla parte dell'antropologismo — comin[...]

[...]mperialistici e fu accelerata dallo scoppio della guerra mc ñdiale Certamente questa crisi si manifestò dapprima solo nel passaggio dall'idealismo soggettivo all'idealismo oggettivo (Teoria del romanzò, scritta nel 191215), e naturalmente Hegel venne ad acquistare per me un'importanza sempre crescente, in particolare la Fenomenologia dello spirito. Col carattere imperialistico della guerra che mi diveniva sempre più chiaro, con l'approfondimento dei miei studi hegeliani, nel corso dei quali mi accostai anche e Feuerbach — comunque allora solo dalla parte dell'antropologismo — comincia il mió secondo intenso studio di Marx. Questa volta stavano per me in prima piano gli scritti filosofici del periodo giovanile, sebbene studiassi anche con passione la grande Introduzione alla critica dell'economia politica. Questa volta però si trattava di un Marx non più guardato attraverso la lente di Simmel ma attraverso quella hegeliana. Non più Marx come « eminente specialista », come « economista e sociologo »; mi si cominciava già a delineare il filosofo dal largo pensiero, il grande [...]

[...]ritica dell'economia politica. Questa volta però si trattava di un Marx non più guardato attraverso la lente di Simmel ma attraverso quella hegeliana. Non più Marx come « eminente specialista », come « economista e sociologo »; mi si cominciava già a delineare il filosofo dal largo pensiero, il grande dialettico. Tuttavia neanche allora vedevo il significato del materialismo per la con" cretizzazione e l'unificazione, per l'impostazione coerente dei problemi dialettici. Arrivai solo fino a una priorità — hegeliana — del contenuto rispetto alla forma e cercai di sintetizzare, su base essenzialmente hegeliana, Hegel e Marx in una «filosofia della storia ». Questo tentativo acquistò una particolare sfumatura dal fatto che nel mio paese, in Ungheria, l'ideologia del « socialismo di sinistra » più influente era il sindacalismo di Erwin Szabos. I suoi scritti sindacalisti dettero ai miei « tentativi di filosofia della storia », accanto a più di un elemento positivo (ad esempio la conoscenza, fatta attraverso lui, della Critica del programma di[...]

[...]LUKACS
In tale fermento ideologico mi colsero le rivoluzioni del '17 e del '18. Dopo breve esitazione mi iscrissi nel 1918 al Partito Comunista Ungherese e rimasi da allora nelle file del movimento rivoluzionario operaio. Il lavoro pratico mi costrinse subito a dedicarmi agli scritti economici di Marx, a un più profondo studio della storia, della storia economica, di quella del movimento operaio ecc., impegnandomi così in una revisione continua dei fondamenti filosofici. Tuttavia questa latta per impadronirsi della dialettica marxista durò molto a lungo. Le esperienze della rivoluzione ungherese mi mostrarono bensì molto chiaramente la fragilità di ogni teoria sindacaleggiante (funzione del partito nella rivoluzione), ma un soggettivismo ultrasinistro é sopravvissuto in me ancora a lungo (posizione nel dibattito sul parlamentarismo, 1920; atteggiamento nell'azione del marzo 1921). Questo mi impediva soprattutto di intendere veramente ed esattamente il lato materialistico della dialettica nel suo significato filosofico più comprensivo. I[...]

[...]l materialismo dialettico, deve necessari i té`ricädere dalla viva dialettica nella rigidità meccanica,
1 ri äterialismo che tutto abbraccia nell'unilateralità idealistica.
Il materialismo dialettico, la dottrina di Marx, deve essere conquistata, assimilata giorno per giorno, ora per ora, partendo dalla prassi. D'altro lato la dottrina di Marx, nella sua inattaccabile unità e totalità costituisce l'arma per l'esecuzione pratica, per il dominio dei fenomeni e delle loro leggi. Se da questa totalità distacchiamo un solo elemento costitutivo (o anche soltanto lo trascuriamo) avremo di nuovo rigidezza e unilateralità. Basta che non si colga il rapporto dei momenti fra loro e si potrà perdere di nuovo di sotto i piedi il terreno della dialettica materialistica. « Giacché ogni verità » dice Lenin « puk se la si esagerai se si trapassano i confiñi della sua,_ vá tàs divenire un'assurdità, anzi in tali circo stanze e inevitabtic chc divenga un assurdità ».
Sono passati più di trent'anni da che io, ragazzo, lessi per la prima volta il Manifesto dei Comunisti. L'approfondimento progressivo — sia pure contradditorio e non rettilineo — degli scritti di Marx è divenuta la storia del mio sviluppo intellettuale e quindi addirittura la storia di tutta quanta la mia vita, nella misura in cui essa può avere un significato per la società. A me sembra che nell'epoca che segue a Marx la presa di posizione rispetto al suo pensiero debba rappresentare il problema centrale di ogni pensatore che prenda se stesso sul serio, e che il modo e il grado in cui egli acquisisce il metodo e i risultati di Marx determini il suo posto nello sviluppo dell'umanità.[...]

[...]ro rapporto con la dottrina marxista.
GEORG LUKÁCS
(1933)
6 GEORG LUKÁCS
POSTSCRIPTUM 1957 (*)
Le righe precedenti sono state scritte, come ognuno può ben vedere, in uno stato di estrema tensione che non era dovuto solo al fatto che io dopo tante avventure intellettuali finalmente sentivo, quasi cinquantenne, il terreno fermo sotto i miei piedi: anche gli avvenimenti del quindicennio precedente contribuivano fortemente a tale stato d'animo. Dei primi anni della rivoluzione ho già parlato, non così degli anni che seguirono alla morte di Lenin. Come compagno di lotta ho vissuto l'azione di Stalin per salvare la vera eredità di Lenin contra Trozki, Zinoviev ecc., e ho veduto che con essa furono salvate e rese adatte a ulteriore sviluppo proprio quelle conquiste che Lenin ci ha trasmesso. (A questo giudizio sul periodo dal '24 al '30 gli anni frattanto trascorsi e le esperienze che li accompagnarono non hanno mutato nulla di essenziale). A questo si aggiunge che la discussione filosofica dal '29 al '30 mi dette la speranza che il chiari[...]

[...] infine dissolte nel corso di questa lotta. Nello stesso tempo non dubitavo che non soltanto un'opposizione era allora fisicamente impossibile, ma che essa avrebbe molto fa
8 GEORG LtTKÁCS
cilmente potuto divenire un aiuto intellettuale e morale per il nemico mortale, per l'annientatore di ogni civiltà.
Perciò io fui costretto a condurre una specie di guerriglia partigiana per le mie idee scientifiche, cioè a render possibile la pubblicazione dei miei lavori per mezzo di citazioni da Stalin ecc. e di esprimere in essi con la necessaria cautela la mia opinione dissidente tanto apertamente quanto lo permetteva il margine di respiro dato di volta in volta dal momento storico. Ne conseguiva talora l'imperativo di tacere. E' noto per esempio, come durante la guerra fosse deciso di dichiarare Hegel ideologo della reazione feudale contro la rivoluzione francese; perciò io non potei allora naturalmente pubblicare il mio libro sul giovane Hegel. Si può certamente vincere la guerra, pensavo, anche senza ricorrere a simili sciocchezze senza basi[...]

[...] è andata a occuparsi proprio di questo, è più importante per il momento vincere la guerra che questionare sulla giusta concezione di Hegel. E' noto che questa tesi errata si è mantenuta a lungo anche dopo la guerra, ma è altrettanto noto che io ho poi pubblicato il libro su Hegel senza cambiarvi una riga.
Si trattava tuttavia anche di problemi sociali assai più gravi di questo, i quali mettevano allora sempre più in evidenza l'aspetto negativo dei metodi staliniani. Mi riferisco naturalmente ai grandi processi, la cui legalità io fin da principio giudicai con scetticismo, non molto diversamente per esempio da quella dei processi contro i girondini, i dantoniani ecc. nella grande rivolu zione francese, cioè io riconoscevo la loro necessità storica senza preoccuparmi troppo della questione della loro legalità. (Oggi ritengo che Krusciov abbia ragione quando ne rileva energicamente la superfluità politica). La mia posizione mutò radicalmente allorché fu diffusa la parola d'ordine di estirpare fin dalle radici il trozkismo ecc. Compresi fin dal principio che ne sarebbe seguita nient'altro che la condanna in massa di persone per la maggior parte del tutto innocenti. E se oggi mi si domandassse perché io non presi[...]

[...]pinto ben al di là di questa esigenza, tale idea, dicevo, era del tutto al di fuori della sua cerchia visiva Avvenne allora che il nuovo assetto mondiale, che richiedeva categoricamente una nuova strategia e una nuova tattica, fu avviato con un atto in cui fatalmente si assommavano e acutizzavano la strategia e la tattica antiche: cioè la rottura dell'Unione Sovietica con la Jugoslavia. Ne consegui necessariamente il ritorno ai metodi dell'epoca dei grandi processi.
A me personalmente il riconoscimento della contraddizione fra il fondamento nuovo e l'ideologia vecchia fu facilitato dalla discussione che sorse in Ungheria a proposito del mio libro Letteratura e democrazia. Dal mio ritorno nel 1945 io, benché non sia mai stato funzionario dirigente in senso organizzativo, mi sforzavo continuamente di trarre dalla nuova situazione le conseguenze del caso, di perseguire il passaggio al socialismo in modo nuovo, graduale, sulla base della convinzione. Gli articoli e i discorsi contenuti nel libro ora rammentato erano dedicati a questo fine e[...]

[...]sione mostrò la
LA MIA VIA AL MARXISMO 11
completa impossibilità di avere una spiegazione proficua con gli ideologi del dogmatismo.
Il primo grande vantaggio che mi arrecò questa discussione e la ritirata tattica che vi compiei (si era al tempo del processo Rajk) fu di poter abbandonare la mia complessa attività di funzionario e di concentrarmi esclusivamente nel lavoro intellettuale. Questa circostanza, l'esperienza della discussione, quella dei grandi avvenimenti di allora mi giovarono nel riesame approfondito che feci dei problemi del marxismoleninismo in relazione ai metodi di Stalin e dei suoi seguaci. La convinzione sempre crescente che Stalin non avesse capito quello che c'era di decisamente nuovo nella situazione era resa più larga e più generale da una più profonda coscienza del passato. Mi fu evidente come, mentre nella seconda metà degli anni venti la lotta contro il fascismo era divenuta il problema centrale, Stalin non ne avesse capito il significato se non circa un decennio più tardi. In una epoca in cui la formazione di un fronte unitario dei lavoratori, anzi di tutti gli elementi democratici, era divenuta una questione vitale per la civiltà umana, la tesi di Stalin [...]

[...]nvinzione sempre crescente che Stalin non avesse capito quello che c'era di decisamente nuovo nella situazione era resa più larga e più generale da una più profonda coscienza del passato. Mi fu evidente come, mentre nella seconda metà degli anni venti la lotta contro il fascismo era divenuta il problema centrale, Stalin non ne avesse capito il significato se non circa un decennio più tardi. In una epoca in cui la formazione di un fronte unitario dei lavoratori, anzi di tutti gli elementi democratici, era divenuta una questione vitale per la civiltà umana, la tesi di Stalin della socialdemocrazia come « fratello gemello » del fascismo rese impossibile questo fronte. Egli rimase dunque attaccato a una strategia e a una tattica che erano giustificate nella tempesta rivoluzionaria del 1917 e subito dopo, ma che, col placarsi di quella, dopo lo spiegarsi della grande offensiva del capitalismo monopolistico più reazionario, erano oggettivamente del tutto invecchiate. Ciò che accadde dopo il 1948 cominciai a considerarlo come ripetizione storic[...]

[...]storica dell'errore fondamentale degli anni venti.
In questo scritto, ove l'argomento vero e proprio é formato. dall'intimo sviluppo delle mie idee, é impossibile anche solo accennare al sistema di pensiero che sta all'origine di tali concezioni errate; sia notato soltanto questo, che il tragico dissidio nel pensiero di Stalin mi divenne sempre più evidente. Lenin, all'inizio del periodo imperialistico, ha messo in luce, partendo dalla dottrina dei classici, l'importanza del fattore soggettivo. Stalin ne ha fatto un sistema di dogmi soggettivistici. Il tragico dissidio
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consiste nel fatto che le sue grandi qualità di ingegno, le sue ricche esperienze, la sua notevole acutezza, lo condussero non di rado a rompere il cerchio magico del soggettivismo, anzi ad accorgersi chiaramente dell'erroneità di esso. Pertanto mi appare tragico che la sua ultima opera cominci con una giusta critica del soggettivismo economico senza che in lui affiori mai il minima sospetto di esserne stato lui stesso il padre spirituale e l'assiduo [...]

[...]el soggettivismo, anzi ad accorgersi chiaramente dell'erroneità di esso. Pertanto mi appare tragico che la sua ultima opera cominci con una giusta critica del soggettivismo economico senza che in lui affiori mai il minima sospetto di esserne stato lui stesso il padre spirituale e l'assiduo promotore. D'altra parte in un tale sistema di pensiero possono coesistere pacificamente concezioni che si contraddicono risolutamente. Per esempio, la teoria dei contrasti di classe continui e necessariamente esasperantisi insieme alla presenza tangibile del comunismo, secondo e superiore stadio del socialismo. Dall'accoppiamento di queste affermazioni reciprocamente escludentisi é nata la sua visione da incubo di una società comunista in cui il principio liberatore « Ciascuno secondo la sua capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni » si realizza in uno stato di polizia regolato in forma autocratica ecc. ecc,
Stalin, al quale si deve riconoscere il grande merito di avere difeso contro Trozki il principio leninista del socialismo in un solo paese e [...]

[...] di sviluppo dell'Unione Sovietica. Che questa arretratezza e incomprensione di Stalin abbia facilitato la condotta della guerra fredda agli avversari imperialistici é cosa che ormai non pochi oggi riconoscono.
Ripeto, qui si doveva descrivere solo lo sviluppo delle mie idee, e anche queste soprattutto in rapporta ai problemi del marxismo. Quanto finora é stato detto di Stalin serviva solo a creare sfondo e atmosfera per una giusta impostazione dei problemi. Se si pensa all'entusiasmo di una parte considerevole degli intellettuali nei primi anni della grande rivoluzione socialista, bisogna riconoscere che fra le sue cause fondamentali c'era la geniale, duplice opera di riforma al marxismo da parte di Lenin. Da un lato Lenin ha spazzato via pregiudizi, rigogliosi durante decenni, re
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lativi ai classici del marxismo; e in questo lavoro di epurazione apparve quanto l'opera di Marx e di Engels fosse ricca di nozioni che fino ad allora non erano state messe in luce. D'altro lato egli rilevò al tempo stesso, con ine[...]

[...]sumere brevemente ciò che in questa situazione è essenziale dal punto di vista della teoria della scienza. Avvenne dunque che, man mano che il predominio spirituale di Stalin si rafforzò e si irrigidì in culto della personalità, la ricerca marxistica degenerò largamente in un'esposizione, applicazione e diffusione di « verità definitive ». La .ris sta e
d lla vita e della scienza era, secondo l'insegnamento dominante, dep iitata nelle_ o eres dei classici, pr
soattútt& in qúéllé di RStalin. Da principio Marx ed Engels furono spinti sempre più energicamente in secondo piano da Lenin e poi Lenin da Stalin. Ricordo bene, per esempio, il caso di un filosofo che fu ripreso perché trattava le determinazioni della dialettica secondo i Quaderni filosofici di Lenin. Stalin, gli si fece presente, aveva enumerato nel quarto capitolo della Storia del partito meno distinzioni della dialettica e così aveva fissato definitivamente il loro numero e la loro natura. Perciò interessava soltanto trovare per ogni problema trattato la citazione da Stalin [...]

[...]do che oggi ii pericolo più grande per il marxismo sia rappresentato dalle tendenze alla sua revisione. Poiché per decenni tutto quanta Stalin affermava veniva. idéritificato col marxismo e anzi veniva addirittura proclamato il coronamento di esso, gli ideologi borghesi si sono affannati a utilizzare l'erroneità, divenuta evidente, di alcune tesi di Stalin, di. momenti essenziali della sua metodologia, allo scopo di promuovere la revisione anche dei risultati dei classici del marxismo, messi alla pari con Stalin. E poiché questa direzione di pensiero trascina con sé più di un comunista, intellettualmente disarmato per
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la sua educazione schematica e dogmatica, é il caso di parlare di un pericolo molto serio. Fintanto però che i dogmatici rimangono attaccati all'identità sostanziale di Stalin coi classici del marxismo, si troveranno altrettanto disarmati intellettualmente davanti a quelle correnti (con segno contrario) quanto i revisionisti in buona fede. Per la conservazione e il progresso del marxismoleninismo deve trovarsi[...]

[...]l suo proprio sviluppo; che noi non possiamo fare alcun progresso reale sulla via della scienza senza un'assimilazione e un'applicazione approfondita di quei principi; che tuttavia l'elaborazione di scienze universali sulla base del marxismo è un compito da svolgere e non qualcosa di già raggiunto; se tutto questo verrà compreso chiaramente si avrà una ripresa della ricerca marxista. Engels prima della sua morte ha indicato questo ruturo compito dei marxisti; Lenin ha ripetuto le sue esortazioni. Io credo che sia venuto il tempo di adempiere queste istanze. Quando diciamo: noi non abbiamo ancora una logica, un'estetica, un'etica, una psicologia marxiste, non diciamo nulla che debba scoraggiare. Al contrario parliamo con passione piena di speranza dei grandi, entusiasmanti doveri scientifici che possono fecondamente riempire la vita di intere generazioni.
Naturalmente è impossibile in questi brevi limiti parlare concretamente anche solo della prospettiva di queste imprese; non mi rimane spazio neanche per trattare dei miei propri lavori. Posso soltanto dire che la pratica coi classici del marxismo mi ha dato per la prima volta in vita mia la possibilità di compiere ciò verso cui sempre furono diretti i miei sforzi, cioè di cogliere esattamente, descrivere fedelmente ed esprimere secondo
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verità nei loro tratti storicosistematici, i fenomeni della vita dello spirito quali essi realmente sono in sé. La lotta contro il dogmatismo fu, andie da questo punto di vista, un'autodifesa. Giacché le ideologie borghesi, sotto la cui influenza io cominciai la mia attività avevano certamente deforma[...]



da Benno Sarel, Intellettuali e classe operaia nella Germania orientale durante la crisi del '56 in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]are ma deve, al contrario, investire progressivamente tutti i settori. La critica degli intellettuali é in primo luogo una protesta contro l'ingerenza totalitaria nel loro lavoro specifico, contro la burocrazia gretta e limitata da cui dipendono. Ma l'evoluzione degli intellettuali ha cause diverse e bisognerebbe prendere partitamente in esame ciascun ambiente e ciascun settore. I primi a ribellarsi sono i ricercatori e gli scrittori. La critica dei tecnici direttamente inseriti nella produzione viene un poco più tardi e resta più circoscritta. Per i primi hanno soprattutto importanza le loro preoccupazioni intellettuali, per gli altri la loro posizione sociale.
Gli scrittori, gli artisti, i ricercatori si limitano in genere a una protesta appassionata contro la mancanza di libertà che grava sulla loro attività. Dei letterati e dei filologi costituiscono, verso l'autunno del 1956, dei gruppi clandestini d'opposizione. Ma in genere si tratta di casi limitati a fatti individuali o locali. Ben diversa é la situazione nel settore degli economisti e dei filosofi, costretti dalla logica, stessa della loro attività ad opporsi al regime.
Gli economisti partono da una esperienza concreta, quella delle conferenze economiche organizzate nel 1955 dagli organi preposti alla pianificazione, per ricavarne una nuova interpretazione teorica della società in genere e del ruolo della classe operaia in specie. I filosofi invece partono dallo studio della teoria marxista e giungono alla creazione di organizzazioni clandestine destinate ad accogliere intellettuali e operai.
Fin dal gennaio 1956 il prof. Fritz Behrens — che nel 1955, non dimentichiamolo, ap[...]

[...]a della società in genere e del ruolo della classe operaia in specie. I filosofi invece partono dallo studio della teoria marxista e giungono alla creazione di organizzazioni clandestine destinate ad accogliere intellettuali e operai.
Fin dal gennaio 1956 il prof. Fritz Behrens — che nel 1955, non dimentichiamolo, appariva come il teorico del cosiddetto corso « direttorialista », cioè di una tendenza che sottolineava, nell'impresa, l'importanza dei quadri dirigenti — prende posizione contro i metodi dei direttori d'impresa e nello stesso tempo contro il centralismo burocratico della pianificazione. I partigiani del regime, in seno all'Istituto delle Scienze Economiche diretto dal Behrens, sono visibilmente sulla difensiva. In aprile Behrens constata, in un articolo pubblicato nella rivista di teoria economica « Wirtschaftssenschaft », che le speranze poste in un modernizzamento della tecnica non sono fondate. « Man
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chiamo di carbone, di acciaio... Non potremmo modernizzare la tecnica con la rapidità che desideriamo anche se sfrutt[...]

[...]che desideriamo anche se sfruttassimo tutte le possibilità, ciò che è ben lungi dall'essere il caso nostro ». Secondo F. Behrens, l'unico modo per elevare l'economia del paese è di utilizzare completamente nelle imprese la giornata lavorativa: cosa che — come egli dimostra — dipende dalla organizzazione del lavoro, cioè in definitiva dalla coscienza operaia.
Nel corso dell'anno l'atteggiamento del prof. Behrens si precisa, mentre la maggioranza dei membri dell'Istituto delle Scienze Economiche evolvono nello stesso senso. Il prof. Behrens si dichiara per una larghissima libertà dell'impresa ma, nello stesso tempo, questa libertà per lui ha senso solo se l'iniziativa creatrice degli operai può espandersi. Egli afferma che la socializzazione della proprietà non è sufficiente e che è necessario passare alla socializzazione della amministrazione di questa proprietà: cioè, egli prosegue, bisogna passare alla gestione della economia da parte dei lavoratori. Behrens afferma che lo Stato deve cominciare a scomparire fin dal periodo di transizio[...]

[...]volvono nello stesso senso. Il prof. Behrens si dichiara per una larghissima libertà dell'impresa ma, nello stesso tempo, questa libertà per lui ha senso solo se l'iniziativa creatrice degli operai può espandersi. Egli afferma che la socializzazione della proprietà non è sufficiente e che è necessario passare alla socializzazione della amministrazione di questa proprietà: cioè, egli prosegue, bisogna passare alla gestione della economia da parte dei lavoratori. Behrens afferma che lo Stato deve cominciare a scomparire fin dal periodo di transizione, periodo nel quale si trova la Repubblica Democratica Tedesca; che il primo nemico del socialismo è la burocrazia; infine che Stato e burocrazia stanno reciprocamente assimilandosi.
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La figura di 'gran lunga piú notevole nella cultura filosofica della Germania Orientale è quella del prof. Ernst Bloch di Lipsia. In realtà egli è, insieme a. Lukàcs, uno dei pochissimi filosofi marxisti del cosiddetto mondo orientale. Quando E. Bloch rientrò dalla emigrazione nel 1947, i dirigenti del Part[...]

[...]Behrens afferma che lo Stato deve cominciare a scomparire fin dal periodo di transizione, periodo nel quale si trova la Repubblica Democratica Tedesca; che il primo nemico del socialismo è la burocrazia; infine che Stato e burocrazia stanno reciprocamente assimilandosi.
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La figura di 'gran lunga piú notevole nella cultura filosofica della Germania Orientale è quella del prof. Ernst Bloch di Lipsia. In realtà egli è, insieme a. Lukàcs, uno dei pochissimi filosofi marxisti del cosiddetto mondo orientale. Quando E. Bloch rientrò dalla emigrazione nel 1947, i dirigenti del Partito — che conoscevano superficialmente la sua filosofia — lo accolsero come una personalità intellettuale rappresentativa, capace di dar lustro al regime. Da anni il prof. Bloch insegna a Lipsia e forma degli scolari che, a loro volta, diventano assistenti o incaricati nelle varie università della Germania Orientale. L'influenza del prof. Bloch è rimasta a lungo limitata nell'ambito dei seminari di filosofia: il suo insegnamento, astratto com'era, non sembrava p[...]

[...]. Bloch rientrò dalla emigrazione nel 1947, i dirigenti del Partito — che conoscevano superficialmente la sua filosofia — lo accolsero come una personalità intellettuale rappresentativa, capace di dar lustro al regime. Da anni il prof. Bloch insegna a Lipsia e forma degli scolari che, a loro volta, diventano assistenti o incaricati nelle varie università della Germania Orientale. L'influenza del prof. Bloch è rimasta a lungo limitata nell'ambito dei seminari di filosofia: il suo insegnamento, astratto com'era, non sembrava presentare alcun addentellato con la realtà. Per anni il solo appunto che gli venne mosso dagli intellettuali che gravitavano intorno al segretario del Partita fu la mancanza di presa di posizione politica, il suo rifiuto di aderire al Partito. Di colpo, nel 1956, senza che lo stesso Bloch abbia modificato in nulla la sua
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condotta, le idee da lui professate sono diventate forze politiche e ideologia del movimento reale.
Partito da Hegel per arrivare a Marx, il prof. Bloch poneva al centro dei suoi in[...]

[...]ppunto che gli venne mosso dagli intellettuali che gravitavano intorno al segretario del Partita fu la mancanza di presa di posizione politica, il suo rifiuto di aderire al Partito. Di colpo, nel 1956, senza che lo stesso Bloch abbia modificato in nulla la sua
138 BENNO SAREL
condotta, le idee da lui professate sono diventate forze politiche e ideologia del movimento reale.
Partito da Hegel per arrivare a Marx, il prof. Bloch poneva al centro dei suoi interessi i problemi della coscienza. Il secondo volume della sua opera intitolata « Il Principio Speranza » (Das Prinzip Hoffnung) é stato pubblicato nel 1955. Joachim Streisand, uno dei migliori studiosi della giovane generazione, commenta il libro, nel « Zeitschrift für Geschichtswissenschaft » (N 5, 1956), sottolineando che esso pone il nesso fra azione umana e presa di coscienza, fra attività effettiva e intenzione, fra realtà della coscienza umana e realtà delle istituzioni che la comprendono. Queste categorie che Bloch pone in rapporto, continua Streisand, non debbono essere confuse fra loro, come avviene troppo spesso.
Bloch parte dall'idea che l'attesa, la speranza, l'anticipazione, « l'intenzione in rapporto a un possibile non ancor realizzato », mentre caratterizza[...]

[...] la tecnica industriale é borghese perché concepita in funzione del prodotto (sotto il capitalismo, in funzione del mercato) e non in funzione del produttore. Così come è, la tecnica contribuisce ad alienare l'operaio e a separarlo dal suo prodotto.
Nel 1956 queste discussioni perdono il carattere astratto che avevano fino allora. L'ambiente universitario, nel suo complesso, si modifica. Migliaia di studenti di ogni facoltà effettuavano da anni dei periodi di lavoro nelle fabbriche. In seguito alle loro osservazioni, ma anche grazie ad inchieste organizzate all'uopo, si erano intraprese, soprattutto negli istituti di filosofia di Lipsia e di Berlino, delle ricerche sperimentali sulla coscienza operaia. Anche presso i giovani storici, presso alcuni studenti di letteratura e di filosofia, si ritrovano le idee del prof. Bloch. Poiché l'insegnamento del marxismo é obbligatorio in tutte le facoltà, capita spesso che gli assistenti e gli incaricati nel campo delle scienze sociali siano degli ex alunni del prof. Bloch. Un allievo di Bloch, inc[...]

[...]otta nella sola zona sovietica di occupazione sarebbe stata votata all'insuccesso e che era necessario assicurarsi delle allean ze al di là delle frontiere, approfittare insomma della peculiare situazione del paese, posto tra la Polonia e la Germania Occidentale.
Harich aveva organizzato un gruppo centrale di cinque membri che si riuniva clandestinamente e di cui facevano parte la sua segretaria, il direttore della casa editrice « Aufbau », uno dei redattori della « Rivista di Filosofia » e un giovane economista, con l'incarico particolare di prendere contatti nelle imprese. Questo gruppo ristretto aveva lo scopo di elaborare il progetto di programma che do. veva essere poi sottoposto all'esame del Comitato Centrale, dei Comitati Regionali e della redazione della rivista teorica del Partito. Nello stesso tempo era preso in esame il problema di organizzare una conferenza per discutervi i problemi ideologici. Come dimostrano i contatti presi con alcuni ambienti intellettuali polacchi e con un giornale neutralista di sinistra della Germania Occidentale (« Die Andere Zeitung »), Harich intendeva diffondere il suo programma
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nella Repubblica Democratica Tedesca muovendo dalle sue frontiere orientali e occidentali.
Harich non ha avuto il tempo di elabor[...]

[...]er discutervi i problemi ideologici. Come dimostrano i contatti presi con alcuni ambienti intellettuali polacchi e con un giornale neutralista di sinistra della Germania Occidentale (« Die Andere Zeitung »), Harich intendeva diffondere il suo programma
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nella Repubblica Democratica Tedesca muovendo dalle sue frontiere orientali e occidentali.
Harich non ha avuto il tempo di elaborare dei programmi politici. Gli appunti che ha lasciato permettono tuttavia di precisare alcuni dei suai punti di vista. Appare chiaro in primo luogo che Harich, partigiano di una larghissima iniziativa affidata agli organi locali, affermava la necessità del decentramento amministrativo e economico. Le sue idee collimavano can quelle del prof. Behrens — col quale si proponeva di prendere contatto — per quel che concerne la scomparsa dello Stato burocratico che soffoca la creatività delle masse.
Inoltre Harich era avversario del « centralismo democratico » del Partito, che egli chiamava centralismo burocratico. Secondo lui, tutte le decisioni dovevano essere prese nelle riunioni dei gruppi [...]

[...]ava la necessità del decentramento amministrativo e economico. Le sue idee collimavano can quelle del prof. Behrens — col quale si proponeva di prendere contatto — per quel che concerne la scomparsa dello Stato burocratico che soffoca la creatività delle masse.
Inoltre Harich era avversario del « centralismo democratico » del Partito, che egli chiamava centralismo burocratico. Secondo lui, tutte le decisioni dovevano essere prese nelle riunioni dei gruppi di base — di impresa o di quartiere — riunioni alle quali i non iscritti al Partito dovevano avere libero accesso. Il Partito, così inteso, avrebbe dovuto essere il luogo dove si fondessero l'attività degli intellettuali e quella degli operai.
***
Anche l'evoluzione del mondo studentesco é estremamente caratteristica della crisi che attraversa il regime nel 1956. I 90.000 stu denti della Germania Orientale sono in maggioranza di origine operaia e oltre 9000 di loro sono stati operai o contadini (1).
Per anni il più forte appoggio del Partito é stata la gioventù universitaria, e la s[...]

[...]nto del regime ma anche che non riescono più a sopportare le condizioni di esi, stenza che vengono loro imposte.
Tuttavia gli studenti, nella loro quasi totalità, godono di borse di studio relativamente importanti, uguali, comunque, e anche supe riori a quelle di cui godono i giovani lavoratori. Ma, a causa della sua pianificazione, l'università ricorda in modo straordinario una of ficina destinata a preparare degli ingegneri, degli insegnanti, dei filosofi: il tutto secondo le norme ideologiche in vigore e secondo le necessità del piano generale.

(1) Presso ogni università esiste una « Facoltà operaia e contadina » dove in tre anni i giovani lavoratori acquistano una cultura equivalente a quella di un Cancelliere.
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Il programma di studi è estremamente pesante e comporta da 30 a 40 ore settimanali di corsi obbligatori. I seminari e i gruppi di studio sono diretti, in linea di massima, da un responsabile eletto, che è membro dell'Aktiv della F. D. J. Ogni università ha il suo « rettore per gli affari studenteschi » il[...]

[...] di sorveglianza e funzioni sociali: aima materialmente gli studenti quando ne hanno bisogno, ma anche s. rveglia la loro disciplina e il loro stato spirituale, e collabora con la organizzazione universitaria della F.D.J. Per quanto riguarda la F. D.J., essa rappresenta — come il gruppo di Partito all'interno della fabbrica — il senso civico della nuova società. I membri dell'Aktiv della F.D.J. in seno agli studenti debbono sorvegliare gli studi dei compagni, aiutare, in linea di massima, quelli che sono indietro e far eliminare i fannulloni e gli zucconi. Le borse, di tre categorie, vengono assegnate dal rettore per gli affari studenteschi dietro parere dei responsabili della F.D.J.
Lo stesso oggetto dell'insegnamento é determinato dalle autorità culturali del regime, le quali indicano anche i testi da usare, vietano i viaggi all'estero e ordinano le epurazioni delle biblioteche. In tal modo le norme generali della società vengono realizzate in modo analogo sia nell'università che nella fabbrica. Gli studenti — come gli operai — che respingono il modo di applicare tali norme respingono implicitamente il regime.
Dal 1952 tutti gli studenti debbono trascorrere un periodo obbligatorio di 6 settimane nelle fabbriche o nelle campagne. Questa dispos[...]

[...]resenza di un gran numero di assistenti e di aiuti che sono nello stesso tempo vicini e ai professori e agli studenti.
Non vi è dubbio che nel 1956, nei mesi successivi al XX Congresso, l'attività di opposizione degli studenti non esce dai limiti delle riunioni universitarie. Tuttavia, grazie alla diversità delle questioni dibattute, queste riunioni dove si discute ora del sistema di insegnamento, ora degli «errori» di Stalin, ora del problema dei viaggi in Germania Occidentale, ora dei periodi da trascorrere nelle fabbriche — contribuiscono a chiarire le idee dei giovani intellettuali. Nello stesso tempo in cui Walfang Harich organizza il centro di opposizione che si è visto, numerosi gruppi clandestini si formano nelle università e anche in alcuni licei (3). Ricordiamo il caso di due gruppi di studenti della università di Berlino, uno di studenti di storia e uno di studenti di filosofia, che sembra abbiano elaborato, ciascuno indipendentemente dall'altra, un programma politico (4). E' da menzionare anche il gruppo degli studenti di chimica di Halle, che si è posto in modo concreto il problema di una azione comune con gli operai (5).
Non c'è dubbio c[...]

[...]feriore al livello mon
(3) Nel novembre 1956 sei studenti liceali di 1718 anni e un giovane meccanico di Dresda prendono contatto con gli impiegati della azienda tranviaria e li incitano allo sciopero. Il capo di questo gruppo è uno studente borsista, figlio di operai; questi, al momento dell'intervento russo in Ungheria aveva chiesto ai compagni (del corso di masso) di fare un minuto di silenzio. Per condurre a buon fine il progettato sciopero dei tranvieri, uno degli studenti si impiega come fattorino (cfr. e Saechsische Zeitung », 14 nov. 56 e 19 genn. 57).
(4) Cfr. a Neuer Weg », marzo 1957.
(5) Cfr. a Forum a, febbraio 1957.
i
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diale ». Come sottolinea lo stesso Ulbricht, identica — o appena migliore — é la situazione in svariati settori, come quello della radio e degli apparecchi di segnalazione, quello delle macchine tessili delle macchine tipografiche, delle locomotive ecc. (6). D'altra parte i diversi gruppi che formano il ceto dirigente sono disuniti. Un provvedimento a vantaggio degli uni scontenta gli alt[...]

[...]i non correre il rischio, come nel 1953, di una rottura in seno al regime. Di qui una politica indecisa e esitante, risultato di un compromesso fra tutte le politiche seguite fino allora.
Per tutto l'anno si insiste sulla importanza della funzione che debbono avere i direttori di impresa e una ordinanza dell'8 dicembre 1955 aumenta il loro potere. Tuttavia la stessa ordinanza aumenta in egual misura il diritto di controllo degli organi centrali dei vari settori industriali. Nello stesso tempo ritorna in primo piano l'apparato del Partito. Certo, si ha cura di specificare che il comitato di impresa del Partito deve rafforzare l'autorità del direttore; ma nello stesso tempo si ricorda che, secondo l'articolo 70 degli statuti, la funzione principale in seno all'impresa spetta al comitato. Si fa di tutto per aumentare l'importanza del sorvegliante sul luogo di lavoro. Ma contemporaneamente viene richiesto al sindacato (le cui responsabilità vengono allargate anche in altri campi) di affiancarsi ai sorveglianti.
Ma anche il sindacato e il [...]

[...]con i quadri tecnici della impresa.
Nel 1956 vengono rimproverati per questa loro sudditanza. Il fatto é che le direttive ufficiali sono spesso ben lungi dall'essere nette. Ogni volta che si inaugura un nuovo corso, si lascia, all'interno della nuova politica, un posticino per la vecchia. Si chiede adesso ai comitati d'impresa del Partito e del sindacato di non limitarsi più alla sola collaborazione con i quadri tecnici e di piazzare una
parte dei propri effettivi presso i comitati delle varie sezioni di una impresa. Ma subito la rivista a Die Arbeit » (dicembre 1956) rileva
che gli effettivi sindacali sono raramente degli operai qualificati e che tuttavia si comportano in modo arrogante con gli operai semplici:
(6) « Neue Deutschland s, art. del 2 agosto 56.
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essi credono che « per risolvere i problemi sindacali delle imprese sia sufficiente di aver studiato, alla scuola dei quadri, i principt del marxismo leninismo » (7).
Nei confronti degli operai il regime si sforza di[...]

[...] sezioni di una impresa. Ma subito la rivista a Die Arbeit » (dicembre 1956) rileva
che gli effettivi sindacali sono raramente degli operai qualificati e che tuttavia si comportano in modo arrogante con gli operai semplici:
(6) « Neue Deutschland s, art. del 2 agosto 56.
INTELLETTUALI E CLASSE OPERAIA NELLA GERMANIA ORIENTALE 145
essi credono che « per risolvere i problemi sindacali delle imprese sia sufficiente di aver studiato, alla scuola dei quadri, i principt del marxismo leninismo » (7).
Nei confronti degli operai il regime si sforza di tornare alla politica di appello alla cooperazione, che aveva seguita nel 1954. A par tire dalla primavera del 1956 i consigli di produzione vengono convocati con maggior frequenza, tornano ad essere oggetto della attività sindacale e tendono a sostituire le conferenze economiche che erano state istituite nel 1955 con lo scopo di aumentare l'autorità dei quadri tecnici nell'impresa. Contemporaneamente viene fatto appello agli operai con accenti appassionati. « Si pub migliorare la tecnica, dich[...]

[...]dri, i principt del marxismo leninismo » (7).
Nei confronti degli operai il regime si sforza di tornare alla politica di appello alla cooperazione, che aveva seguita nel 1954. A par tire dalla primavera del 1956 i consigli di produzione vengono convocati con maggior frequenza, tornano ad essere oggetto della attività sindacale e tendono a sostituire le conferenze economiche che erano state istituite nel 1955 con lo scopo di aumentare l'autorità dei quadri tecnici nell'impresa. Contemporaneamente viene fatto appello agli operai con accenti appassionati. « Si pub migliorare la tecnica, dichiara uno dei dirigenti sindacalisti, ma la forza produttiva principale resta l'uomo » (8). L'organo teorico del Partito, « Einheit », basandosi su alcune pubblicazioni sovietiche, constata che i pianificatori, definid una « casta » ingannano l'operaio. I pianificatori affermano che l'operaio non pub partecipare alla elaborazione del piano, dáto il suo orizzonte ristretto. Invece, ribatte la rivista, la difficoltà fondamentale consiste nella mancanza di partecipazione operaia alla gestione delle imprese. Lo stesso fascicolo di « Einheit » (agosto 1956) stabilisce la seguente graduatoria nei fattori della p[...]

[...]cazione; 4) l'organizzazione del lavoro; 5) il livello tecnico dell'impresa e i metodi di lavoro. Solo un anno prima la tecnica e l'interesse materiale erano stati posti in primo piano.
Verso l'autunno del 1956 il regime lancia l'idea di allargare la partecipazione operaia alla gestione delle imprese. Questa idea sarà ripresa in modo molto piú energico due o tre mesi dopo. Per il momento ci si limita ad affermare la necessità di un allargamento dei diritti sindacali di cogestione e una codificazione di questi diritti. Lo scopo perseguito è senza dubbio quello di integrare l'attività operaia e di opporsi nello stesso tempo agli intellettuali che richiedono, come si è visto, « una gestione sociale della proprietà socializzata ».
Tuttavia la stessa politica operaia del regime è irta di contraddizioni. Come già nel 1955, alcuni direttori di fabbriche procedono di autorità ad un aumento delle norme. Certo, il dirigente sindacale
(7) e Die Arbeit », ottobre 1956.
(8) « Die Arbeit », ottobre 1956.

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Lehman li rimprovera v[...]

[...]zare gli operai per le perdite di salario subite. Ma non è nemmeno possibile di scontentare troppo i direttori: nello stesso momento in cui si richiede l'allargamento della cogestione operaia viene proclamato che « anche nell'impresa socialista é necessario che il personale osservi una perfetta disciplina e il diritto di decisione spetti al direttore. Infatti la cogestione sindacale non può estendersi a tutti i problemi del processo tecnologico, dei metodi di fabbricazione e, più generalmente, della produzione » (8b'8)
Il problema delle norme di lavoro continua nel 1956, come negli anni precedenti, a caratterizzare la vita quotidiana delle imprese. Una conferenza riunita in giugno a Lipsia per tentare di risolverlo non raggiunge nessun risultato tangibile. In effetti tra sindacalisti e pianificatori si va facendo strada un contrasto. Entrambe le parti affermano con forza che ogni provvedimento suscettibile di provocare un ribasso dei salari é fuori discussione. Ma i pianificatori vorrebbero che venisse indicata sulla cartella di accompa[...]

[...]te, della produzione » (8b'8)
Il problema delle norme di lavoro continua nel 1956, come negli anni precedenti, a caratterizzare la vita quotidiana delle imprese. Una conferenza riunita in giugno a Lipsia per tentare di risolverlo non raggiunge nessun risultato tangibile. In effetti tra sindacalisti e pianificatori si va facendo strada un contrasto. Entrambe le parti affermano con forza che ogni provvedimento suscettibile di provocare un ribasso dei salari é fuori discussione. Ma i pianificatori vorrebbero che venisse indicata sulla cartella di accompagnamento dei pezzi prodotti la norma « tecnicamente fondata », calcolata in base ad uno studio ,del lavoro stesso. All'operaio verrebbe concesso un supplemen
to di salario contabilizzato a parte. I pianificatori sottolineano con forza che solo in questo modo sarebbe possibile una previsione con
creta della produzione della fabbrica; con questo metodo il salario
reale e il salario risultante dal compimento della norma potrebbero avvicinarsi grazie ad un più rapido aumento della produttività del
lavoro (9). Sembra che a questi argomenti i sindacalisti si limitino a
contrapporre la realtà delle fabbrich[...]

[...]da membri del partito, che erano state organizzate sulla carta l'anno precedente. Si tratta adesso di fornir loro delle armi. Ma la parola d'ordine del Partito « il fucile vicino al banco di lavoro » non oltrepassa lo stadio dell'agitazione. Le armi non vengono consegnate ai Gruppi di combattimento, ma sono conservate al sicuro. Qualche mese dap() il membro del comitato centrale Hennecker é costretto a confessare che la istituzione nelle imprese dei Gruppi di combattimento é stata fatta con danno della loro solidità ideologica (13).
Durante il mese di novembre, nel momento in cui da parte del. regime si temono dei movimenti rivoluzionari e da parte dell'opposizione si teme un intervento sovietico come in Ungheria, il Partito riesce ad organizzare alcuni gruppi di operai che manda alle riunioni universitarie. « Perché vi ribellate contro il regime degli operai e dei contadini ? chiedono questi operai agli studenti e agli intellettuali,
(11) « Forum », I quindicina di settembre 1956.
(12) a Forum », seconda quindicina di settembre 1956.
(13) « Neue Deutschland », 2 febbraio 1957.
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« chi vi ha dato i mezzi per studiare se non gli operai col loro lavoro? » (14). Quando gli studenti rifiutano di partecipare a queste riunioni, il Partito si affretta a cogliere il pretesto per cercare di convincere gli operai della ostilità degli studenti.
Come si é visto, nel 19% il Partito ha ripreso un ruolo di primo piano in seno alle imprese. Cid é re[...]

[...] prin., cipio unificatore del collettivo di fabbrica. Dal canto suo, l'opposizione supera ormai la fase rivendicativa e tende ad investire tutti i settori.
Il Partito sta attraversando una grave crisi. Tre anni di callaborazione con i quadri tecnici dell'impresa hanno avuto non solo l'effetto di accentuare la burocratizzazione del suo apparato ma anche, e soprattutto, di diminuire fra gli iscritti il numero degli operai industriali. « Una parte dei nostri responsabili se ne sta al di sopra della sfera degli operai » scrive il periodico dei militanti di partito. « Essi non possono più avere una coscienza esatta della vita del semplice operaio nel mondo della produzione » (15).
Nel momento in cui sta alleggerendo l'apparato dei comitati di impresa immettendo alcuni dei suoi effettivi nei comitati dei vari settori di una stessa impresa, il Partito promuove una campagna per il reclutamento di 50.000 operai industriali. Ma le organizzazioni del Partito, preoccupate soprattutto di presentare ai loro superiori dei rapporti rosei, si affrettano ad amplificare i risultati di questa campagna e a trasformarla in « una caccia alle cifre e alle percentuali » (16).
Per la forza stessa delle cose i problemi della struttura e della composizione sociale del Partito sono fra i più discussi nel 1956. Quando il regime rimprovera agli intellettuali il loro isolamento, questi ribattono che il Partito stesso si trova isolato dagli operai. E' certo che nessuno resta persuaso quando il Partito afferma, in risposta ad alcuni universitari, che le masse possono realizzare i loro compiti solo se dirette da un partito — che[...]

[...]tà operaia, abbandonata a se stessa, porta a un predominio dell'ideologia borghese fra gli operai. Senza mettere in dubbio le tesi di Lenin, Benary afferma che non possono però applicarsi alla situazione della Repubblica Democratica Tedesca, dove l'ideologia borghese non é ormai più predominante. La conclusione che ne trae Benary è che un partito fortemente centralizzato non é più necessario (19).
Nelle principali biblioteche pubbliche la lista dei libri messi all'indice é ancora rispettata. Ma nelle biblioteche degli istituti univer sitari rifanno la loro comparsa Trotzki, Zinoviev, « Dieci giorni che sconvolsero il mondo », ecc. La leggenda della infallibilità di Stalin, col suo crollo, trascina seco quelle di Pieck, Ulbricht, Thaelmann, L'intera storia ufficiale del Partito é rimessa in discussione. La critica del presente rimanda a quella del passato, mentre regime e Partito sono respinti in blocco nelle persone dei capi.
La critica al Partito si diffonde in ambienti che vanno dall'università alla fabbrica. La reazione dell'operaio[...]

[...]cora rispettata. Ma nelle biblioteche degli istituti univer sitari rifanno la loro comparsa Trotzki, Zinoviev, « Dieci giorni che sconvolsero il mondo », ecc. La leggenda della infallibilità di Stalin, col suo crollo, trascina seco quelle di Pieck, Ulbricht, Thaelmann, L'intera storia ufficiale del Partito é rimessa in discussione. La critica del presente rimanda a quella del passato, mentre regime e Partito sono respinti in blocco nelle persone dei capi.
La critica al Partito si diffonde in ambienti che vanno dall'università alla fabbrica. La reazione dell'operaio che domanda ai quadri del Partita quale è il suo ruolo nella produzione é la stessa di quella dell'intellettuale che arriva alla conclusione che l'apparato del Partito
(17) a Freiheit », 2 maggio 1956.
(18) a Einheit », gennaio 1957.
(19) a Einheit », aprile 1957.
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deve sparire. Si avverte il Partito come una cosa insieme inutile, incapace e dedita ad una intollerabile dittatura.
Verso la fine del 1956 due concezioni del socialismo tendono a precisarsi ed[...]

[...]sizione, di assorbirlo, affermando che nella società unita sotto la sua guida solo un gruppo di intellettuali ha cercato di pescare nel torbido.
In dicembre ha inizio una discussione su un progetto ufficiale per la istituzione di comitati operai. Apparentemente questa discussione non fa che riprendere il principio — sostenuto sia dal regime che dall'opposizione — dell'autogestione operaia. Ma é indicativo il fatto che venga elaborata una teoria dei comitati operai, che riprende alcune idee dell'opposizione degli intellettuali, proprio nel momento in cui più violenta é la reazione contro gli intellettuali. Un articolo di « Einheit » di dicembre riassume questa teoria. L'autore, un insegnante alla scuola centrale del Partito, parte dal concetto che la classe operaia finora ha esercitato il suo potere al livello dello Stato, della pianificazione al centro, ma non al livello dell'impresa. La colpa di ciò viene addossata alla burocrazia. Ora, gli operai, strettamente condizionati come sono dal loro lavoro e dai rapporti sociali che si stabil[...]

[...]ia finora ha esercitato il suo potere al livello dello Stato, della pianificazione al centro, ma non al livello dell'impresa. La colpa di ciò viene addossata alla burocrazia. Ora, gli operai, strettamente condizionati come sono dal loro lavoro e dai rapporti sociali che si stabiliscono sulla base del loro lavoro, sono in grado di concepire la società solo in funzione del ruolo da loro svolto nell'impresa. E' ne, cessario di modificare, per mezzo dei comitati operai, i rapporti esistenti nelle fabbriche e di assegnare finalmente agli operai una funzione dirigente. Per quanto riguarda le modalità di elezione dei comitati ed i limiti esatti delle loro competenze, l'autore dell'articolo si limita a dichiarare aperta la discussione in proposito e a precisare che il comitato sindacale difenderà, come in passato, gli interessi operai, soprattutto nelle questioni salariali. Quanto alla direzione, do
(21) « Forum », seconda quindicina di marzo 1957.

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vrà prendere in considerazione il punto di vista del comitato operaio, senza tuttavia che il principio della direzione unica dell'impresa e della responsabilità personale del direttore possa esser[...]



da Alberto Moravia, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Il comunismo al potere e i problemi dell'arte in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]retesa. E forse riusciranno nel loro intento. Ma quel giorno scopriranno che la « norma » ha assunto un carattere erotico. La natura regna nell'arte, non la società.
* * *
Quando tutto é stato detto sull'arte, l'ultima parola spetta pur sempre agli artisti. Il brodo di pollo non si fa se non c'é il pollo. In certi casi il pollo scappa sulla cima del campanile e la caldaia dell'acqua continua a bollire invano.
* * *
L'esame delle opere d'arte dei paesi comunisti rivela negli artisti una preoccupazione d'ordine pratico predominante: far la propaganda all'ideologia di stato, essere in regola con questa ideologia, non far nulla che possa suonare non soltanto come disaccordo ma anche come indifferenza a questa ideologia. Perché questa preoccupazione ci appare diversa da quella, poniamo, dei primitivi italiani i quali, tuttavia facevano arte cristiana e soltanto quella? Perché i primitivi italiani non potevano essere che cristiani, mentre i comunisti potrebbero ancora oggi essere o non essere comunisti. C'è, insomma, tuttora una possibilità di scelta e dunque, purtroppo, anche di coercizione. E basta l'ombra della coercizione per far sfumare la poesia. I comunisti dovranno conquistare il mondo intero prima di avere un'arte degna di questo nome.
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La teoria della sovrastruttura dovuta al momento in cui Marx scrisse i suoi libri. Un cattivo momento per l'arte, senza dubbio, ma [...]

[...]o. Due secoli prima, Marx non avrebbe trovato appigli per la sua teoria. La teoria dell'arte come sovrastruttura é legata al problema della produzione industriale dell'arte e non porta che ad una nuova definizione, di specie sociale ed economica, dell'arte mancata, dell'arte brutta. L'arte riuscita, l'arte bella non c'entra.
* * *
L'arte come sovrastruttura fa pensare a tanti altri determinismi che non funzionano se non nei casi minori: l'arte dei galeotti, l'arte dei pazzi, l'arte dei ciechi, l'arte dei bambini e via dicendo. Ma la grande arte non é sovrastruttura, essa rassomiglia alla struttura, non ne deriva.
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Il valore educativo dell'arte é enorme ma esso diminuisce nella misura che l'arte si allontana dalla natura. Bandite dall'arte la natura con le sue contraddizioni, la sua varietà, il suo capriccio, la sua libertà
e avrete un'arte priva di potere educativo, qualunque sia la ideologia che l'inspira. Allo stesso modo un soggiorno in riva al mare fortifica; ma un soggiorno in una stanza in cui sia dipinta una marina non fa alcun effetto salutifero.
Il collasso presente universale[...]

[...] ubriaco lordo
e insanguinato che si guardi in uno specchio e si meravigli di trovarsi tanto orribile. Secondo taluni essa dovrebbe continuare a guardarsi in questo specchio, secondo altri essa dovrebbe sostituire lo specchio con l'oleografia di un uomo sobrio e pulito. Pochi pensano che sarebbe meglio che essa si nettasse e si riposasse. E anche quelli che lo pensano non rinunziano a proporre sia lo specchio sia l'oleografia.
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Gli artisti dei paesi occidentali sono scandalizzati e addolorati dall'arte dei paesi orientali. Ma se invece di scandalizzarsi e di addolo
6 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
rarsi, riflettessero un momento che quell'arte esiste soltanto in quanto esiste l'arte occidentale, penserebbero piuttosto a battersi il petto e a dire « mea culpa ». Cosi il capitalismo nei riguardi del comunismo e in genere per ogni aspetto della vita civile, nell'uno e nell'altro campo.
I casi sono due: o come vuole il marxismo l'arte é una sovrastruttura e allora poiché é giusto risalire dalla sovrastruttura alla struttura ossia dai frutti all'albero, bisognerà pensare che la struttura in c[...]

[...]nfuse con quelle d'ingegneria e di meccanica. Tuttavia, lo stato sovietico, dopo trent'anni e più di comunismo, pue, presentare al mondo opere pubbliche gigantesche, ma non un Guerra e Pace, non un Boris Godunof, gli equivalenti poetici, sulla scala della grandezza, di quelle opere pubbliche. Perché? Al contrario degli operai e degli ingegneri, gli artisti hanno forse sabotato la produzione? Oppure si tratterebbe di due fronti diversi, nel primo dei quali valgono i piani e le direttive e nel secondo proprio la mancanza di piani e di direttive?
Il vizio segreto del cosidetto realismo socialista é, per dirla con una formula spiccia, di essere realista su tutto fuorché sul socialismo. E poiché il socialismo in certi paesi ò tutto, di non essere sovente realista affatto. Ora non si dà realismo se non totale, senza riguardi, né rispetti, né compromessi, né convenzioni, né limiti di sorta. Le società del passato, fossero esse feudali o borghesi o schiaviste o patriarcali, nei loro buoni momenti furono sempre capaci di esprimere un tale realis[...]

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8 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
arte ufficiale o arte sovrastrutturale cesserà di esistere, appunto, quando sarà stata raggiunta la soèietà senza classi. Perché allora l'arte dei paesi orientali, più forse di ogni arte contemporanea, offre gli aspetti noti dell'arte di classe o ufficiale o sovrastrutturale? La risposta non pare dubbia: l'arte non ha affatto bisogno di una rivoluzione per essere vera arte, basta che l'artista attinga per conto suo alla zona nella quale le classi non ci sono, né mai ci furono, né mai ci saranno, alla poesia. Come, infatti, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, senza aspettare la rivoluzione comunista, fecero i veri artisti. D'altronde l'arte dei paesi orientali ha un tal carattere di arte di classe perché il proletariato in quei paesi s[...]

[...], offre gli aspetti noti dell'arte di classe o ufficiale o sovrastrutturale? La risposta non pare dubbia: l'arte non ha affatto bisogno di una rivoluzione per essere vera arte, basta che l'artista attinga per conto suo alla zona nella quale le classi non ci sono, né mai ci furono, né mai ci saranno, alla poesia. Come, infatti, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, senza aspettare la rivoluzione comunista, fecero i veri artisti. D'altronde l'arte dei paesi orientali ha un tal carattere di arte di classe perché il proletariato in quei paesi si considera tuttora proletariato ossia classe e non è ancora riuscito a ritrovare in se stesso l'uomo, vecchio o nuovo, ma senza classi.
* * *
Le correlazioni tra l'arte e la società non sono di ordine morale o moralistico come vorrebbero far supporre tutti coloro che annettono alla parola decadente un significato negativo; bensì di ordine tecnico. L'arte é in rapporto con la vitalità di una società, non con la sua moralità.
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L'arte è memoria, la propaganda profezia. Però i profeti non hanno m[...]

[...]ofeti non hanno mai vaticinato altro che disastri. Profeti ottimisti, ecco la grande novità.
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Se l'arte é sovrastruttura, come mai riesce a sopravvivere alla struttura? Perché mai leggiamo ancora l'Iliade, sopratruttura, a quanto si dice, del feudalesimo arcaico greco? E che cos'è che garantisce vita eterna alla sovrastruttura? E perché la struttura transeunte é considerata più importante della soprastruttura che non lo è?
* * *
Le idee dei comunisti sull'arte sono giuste, chi potrebbe negarlo? Nello stesso termine di realismo socialista é contenuta una riflessione critica inoppugnabile: l'arte fu sempre realista o non fu affatto e inoltre essa fu sempre legata direttamente o indirettamente alla ideologia
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE 9
del momento. Il realismo è dunque inseparabile dall'arte, almeno da quella europea; l'ideologia anche. Che c'è dunque di strano che lo stato socialista chieda agli artisti il realismo socialista? Rispondiamo che la stranezza consiste nel fatto che, al contrario della[...]

[...]iantare la religione, esso non vuole che servirsi dell'arte. E infatti tutte le teorie del marxismo sull'arte non tanto riguardano l'arte nella sua intimità quanto l'arte nel suo rapporto con la società e con lo stato, ossia, in altri termini riguardano appunto l'utilità dell'arte.
Un romanzo descrive una battaglia. La descrizione della battaglia non garba ai dirigenti di un certo paese orientale. Il romanzo viene rifatto secondo le indicazioni dei dirigenti. Ciò che colpisce in questo rifacimento secondo autorità non è la docilità dello scrittore né l'imposizione dei dirigenti. Ciò che colpisce è invece il prevalere di una concezione di artificio, di razionalità, di tecnica, di fattura su quella di poesia, di ispirazione, di originalità, di creatività. Di una concezione, insomma, classica o per lo meno classicheggiante, su quella romantica. Si pensa, per analogia, ad estetiche che sembravano tramontate e che invece, a quanta pare, torneranno in auge. Tanto per fare un esempio Boileau non avrebbe trovato niente da ridire su una simile imposizione
10 INCHLESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
dell'autorità sull'artista. Che differenza c'é infatti tra il realismo [...]

[...]tramontate e che invece, a quanta pare, torneranno in auge. Tanto per fare un esempio Boileau non avrebbe trovato niente da ridire su una simile imposizione
10 INCHLESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
dell'autorità sull'artista. Che differenza c'é infatti tra il realismo socialista e « l'artifice agreable » del poeta di corte di Luigi decimoquarto?
* * *
Ci si meraviglia che certi scrittori e critici d'occidente, di fede marxista, difendano l'arte dei paesi orientali che, a parere di molti, essi non potrebbero invece non giudicare assai severamente. E si parla in questi casi di disciplina di partito. Ma secondo noi si tratta invece di uno scambio avvenuto nel profondo dell'animo tra ideologia e realtà. Per i comunisti l'ideologia è la realtà, e quella che la gente comune chiama realtà non é nulla. Se la realtà non dà ragione all'ideologia, tanto peggio per la realtà. Né si potrebbe dar torto a quegli scrittori e critici comunisti, almeno da un punto di vista psicologico. Lo scambio di solito é avvenuto in loro in condizioni drammatiche che[...]

[...]ta psicologico. Lo scambio di solito é avvenuto in loro in condizioni drammatiche che sono poi quelle di tutte le conversioni. In quei momenti, davvero, l'ideologia é la realtà; e se non lo é, la conversione non puó aver luogo. Più tardi, di fronte all'arte come a qualsiasi altra manifestazione o attività umana, ciò che avvenne con lacerazione e dolore al tempo della conversione, si ripete facilmente, in maniera quasi automatica.
* * *
Le idee dei comunisti sull'arte sono costantemente presentate in stretta correlazione con le loro teorie economiche e sociali e confuse con esse. Chi in parte o del tutto approva le teorie economiche e sociali del comunismo é portato così ad approvare anche le idee estetiche o per lo meno a considerarle con favore. Ma questa confusione non puó portare che ad accettare una concezione estetica rozza e semplicistica. L'arte, infatti, mentre puó benissimo avere un contenuto proletario, per i suoi moduli formali e tecnici é invece legata alla maturità del gusto, della coltura e della capacità espressiva. Come[...]

[...]oni barbariche, si verifica del pari oscuramento o addirittura interruzione del fatto artistico. II significato ultimo del Itlnascimento sta appunto nel ritrovamento del fatto artistico, delle sue leggi, e della sua autonomia dopo il diluvio barbarico. I barbari che affluirono in Italia nell'alto medioevo, avevano certamente malte cose da dire ma non le dissero se non quando, appunto, non furono più barbari. Così il proletariato (e specie quello dei paesi in cui il sonno sociale si doppiava di sonno biologico) ha certamente molte cose da dire; ma non le dirà se non quando _avrà la capacità di dirle, ossia quando cesserà di essere proletariato. Nel frattempo le opere d'arte che ci vengono presentate come opere del proletariato, debbono, nel caso migliore, essere considerate come segni di impazienza.
Ë un errore credere che il realismo socialista abbia impedito nei paesi orientali l'apparizione di un nuovo Michelangelo o, per lo meno, di un nuovo Picasso. Con ogni probabilità se in quei paesi il regime liberale subentrasse ad un tratto a [...]

[...]e più grezza e più peritura, quella del primo romanticismo. In questa prospettiva, si deve giudicare il susseguente decadentismo come una sistemazione, in senso classico di quel primo romanticismo.
12 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
* * a
Ciò che colpisce di piú così nelle opere d'arte dell'occidente come in quelle d'oriente è la povertà del temperamento individuale. Un pittore come Tiziano farebbe un sol fascio così degli astrattisti come dei realisti socialisti. Ai primi direbbe: «Dipingetemi una mano che è una mano »; ai secondi: « Infondete nei vostri ritratti di generali e uomini politici il senso di potenza, di gloria e di poesia che seppi mettere nei miei ». Abbiamo nominato Tiziano per indicare un certo livello di maestria tecnica e di altezza di ispirazione; non per additare un modello irripetibile così in occidente come in oriente.
I comunisti non riconosceranno mai che le opere d'arte dei paesi orientali sono di scarso valore artistico. E come potrebbero? Essi non credono al vero bensì al verosimile, alla natura bensì a[...]

[...]ialisti. Ai primi direbbe: «Dipingetemi una mano che è una mano »; ai secondi: « Infondete nei vostri ritratti di generali e uomini politici il senso di potenza, di gloria e di poesia che seppi mettere nei miei ». Abbiamo nominato Tiziano per indicare un certo livello di maestria tecnica e di altezza di ispirazione; non per additare un modello irripetibile così in occidente come in oriente.
I comunisti non riconosceranno mai che le opere d'arte dei paesi orientali sono di scarso valore artistico. E come potrebbero? Essi non credono al vero bensì al verosimile, alla natura bensì alla ragione, alla realtà bensì all'ideologia, alla poesia bensì all'artificio, alla spontaneità creativa bensì alla volontà costruttiva. Essi faranno dell'arte certamente, un giorno o l'altro, ma loro malgrado e senza rendersene conto.
I comunisti sembrano propugnare un'arte classica. Diciamo « sembrano» perché nulla é sicuro in un regime così sicuro come la dittatura, sia pure del proletariato. Dunque, partendo dal presupposto marxista che ogni società nel mom[...]

[...]i, fissa ad un ideale immobile.
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La forza della polemica comunista per l'arte sta, più che negli argomenti, nel carattere mortuario e suicidale di grandissima parte dell'arte dell'occidente. I comunisti hanno buon gioco a dimostrare che tale arte é l'espressione di un cupio dissolvi generale che non può non avere le sue origini fuori dell'arte medesima. Ma essi stessi non sanno proporre, di contro a quest'arte occidentale, che delle teorie. Dei loro prodotti artistici tutto é stato detto quando si é detto che sono il frutto della buona volontà. Ora con la buona volontà si costruiscono le fabbriche, ma non si fa della poesia.
**s
I comunisti non tanto propongono un'arte nuova, quanto, pur forse senza rendersene conto, una sospensione dell'arte. Così, in campagna, un campo troppe volte coltivato, si lascia senza semina per due o tre stagioni in modo che si riposi e ripigli forza. Il cristianesimo, in una simile circostanza, decise che l'arte pagana, la sola possibile in quel tempo, era opera del diavolo. I comunisti non credono al d[...]

[...] borghese dell'arte che vuole che si rappresenti la felicità di un pastore nonostante gli stracci e i piedi nudi ». Ma che dobbiamo pensare dell'equivalente del pastorello che troviamo in infiniti quadri di artisti comunisti? Lo stato comunista ci risponde: « I miei pastori non hanno i piedi nudi e non indossano stracci. Essi sono davvero felici così nei quadri come nella realtà ». A questo si potrebbe obbiettare che se ciò fosse vero, i pastori dei quadri comunisti sarebbero dipinti meglio. Essendo dipinti come sono dipinti, la critica marxista nei riguardi di questi quadri é altrettanto giustificata che nei riguardi dei quadri borghesi.
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Marx aveva detto: é tempo che la filosofia si adoperi non per spiegare ma per cambiare il mondo. Ma non aveva detto che l'arte dovesse fare la stessa cosa. Probabilmente, ove fosse stato interrogato in proposito, egli avrebbe riconosciuto che all'arte, come sempre, spettava il compito di rappresentare il mondo una volta che fosse cambiato. Il comunismo, invece, chiede all'arte di contribuire, in maniera diretta ed attiva, a tale cambiamento. Questo vuol dire prima di tutto un cambiamento dell'arte stessa, nei suoi mezzi e nei suoi fini. E forse, addirittura, la fine del[...]

[...]é, anzi non si pone nemmeno. Ma se non ne fa, bisognerà esaminare di chi sia la colpa: se dell'artista che non seppe fare dell'arte perché in realtà non credeva nella causa per la quale pretendeva di lottare; o se della società che gli richiese di fare una determinata arte che non era arte o in qualche modo gli impedì di fare del
20 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
l'arte. È evidente che la società darà sempre la colpa all'artista, per bocca dei suoi rappresentanti ufficiali, e come potrebbe avvenire diversamente? Ma noi siamo convinti che, in certi casi, la colpa della cattiva arte di un artista possa anche essere della società; e che comunque, tra artista e società, per quanto riguarda l'arte, non possa né debba esserci un rapporto come da inferiore a superiore ma di parità.
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In un suo discorso del 1937, Mao Tze Dun, cosí definiva il compito dell'arte: essa, qualunque sia il suo livello, deve lavorare per il popolo e soltanto per il popolo. Giusto concetto, ma chi dira all'arte in che modo essa deve lavorare per il popolo? Evi[...]

[...]sso ubbidisca alle norme che guidano le faccende di stato; ossia diventi una faccenda di burocrazia, di regolamenti, di infrazioni, di conformità, di controlli
e di autorità. Il che non può non portare ad una grave limitazione appunto, di quell'autonomia, per quanta relativa, che abbiamo già dichiarato indispensabile all'arte.
Non illudetevi che le cose siano cambiate: l'uomo preistorico che fermava sulle pareti della caverna gli atteggiamenti dei bisonti in fuga non era gran che diverso da Balzac che descrive in un suo romanzo il contegno degli agenti di borsa in un giorno di mercato. Ed é pur vero che l'uomo preistorico viveva di caccia e i personaggi di Balzac del gioco al rialzo e al ribasso. Ma quello che in ambedue i casi interessa l'artista non è il perché, bensì il come. Il movimento della vita non le cause di quel movimento.
Quanta filosofia, quanto pensiero per arrivare a dire ciò che nell'antichità si sarebbe data in poche parole: vogliamo un'arte che sia utile allo stato, alla società. Ciò che distingue il mondo moderno da[...]

[...]me comunista. E invero non vediamo dove si possa trovare l'oggettività assoluta e universale cui aspira il marxismo se non nell'arte classica quale si manifestò tutte le volte che una civiltà raggiunse l'apice della maturità. Essa nasce infatti nei momenti di perfetta e profonda stabilità quando la classe al potere si illude di aver trovato un assetto definitivo, eterno; ossia nei momenti in cui più lontana anzi impossibile appare ogni revisione dei valori. E non é forse questa l'ambizione massima del comunismo, di giungere ad una tale stabilità e immutabilità dei valori? Ma le civiltà del passato raggiunsero il classicismo perché seppero rispettare la natura ossia lo stile individuale dell'artista pur, talvolta, imponendo determinati con tenuti ideologici o religiosi. Il comunismo, invece non soltanto vuole imporre un determinato contenuto ideologico ma anche esige un determinato stile. Su questa strada, il comunismo non incontrerà l'arte classica, bensì la stilizzazione rituale bizantina.
Il marxismo é un potente strumento di risanamento e di rinnovamento nel mondo presente. Esso é all'opera da quasi cinquant'anni e ad esso, in parte, si deve se l'e[...]

[...]al concetto marxista di struttura e sovrastruttura; ma dopo la rivoluzione tale concetto va abbandonato, perché, come é ovvio, esso porterebbe ad una critica corrosiva della società stessa che la rivoluzione ha instaurato. Questo passaggio e questa trasformazione prendono tutto il loro spicco nei paesi in cui la rivoluzione comunista non ha avuto luogo. In questi paesi i critici di fede marxista, sono marxisti per quanto riguarda l'arte borghese dei loro paesi e conformisti per quanto riguarda invece l'arte dei paesi comunisti. L'opera d'arte americana sarà indicativa di una data situazione sociale, l'opera d'arte sovietica invece non lo sarà affatto. Che cosa se ne deve arguire? Forse che le teorie marxiste sono rivoluzionarie soltanto in parte cioè relativamente alla società borghese
e all'arte borghese; ma che cessano di esserlo appena si tratta di arte
e società comuniste?
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Eppure le teorie marxiste sull'arte sono invece meravigliosamente adatte ad una diagnosi dei mali del corpo sociale; e la loro forza rivoluzionaria é indubbia. Applicatele all'arte dei paesi comunisti e vedrete che dar[...]

[...]pera d'arte americana sarà indicativa di una data situazione sociale, l'opera d'arte sovietica invece non lo sarà affatto. Che cosa se ne deve arguire? Forse che le teorie marxiste sono rivoluzionarie soltanto in parte cioè relativamente alla società borghese
e all'arte borghese; ma che cessano di esserlo appena si tratta di arte
e società comuniste?
***
Eppure le teorie marxiste sull'arte sono invece meravigliosamente adatte ad una diagnosi dei mali del corpo sociale; e la loro forza rivoluzionaria é indubbia. Applicatele all'arte dei paesi comunisti e vedrete che daranno risultati non inferiori a quelli che si ottengono applicandole all'arte dei paesi borghesi. Essi dimostreranno infatti che anche in quei paesi la società si difende nell'arte con gli stessi mezzi
e gli stessi compromessi che nei paesi borghesi.
* * *
Lo stato socialista quando vuol dettare norme agli artisti, tiene d'occhio soprattutto il livello medio delle masse. Se, per fare un esempio, le masse leggessero come vanno al cinema, pochi tra i libri che vengono oggi stampati sarebbero pubblicati. Ma i comunisti immaginano che il
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE
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livello delle masse salirà indefinitamente. Purtroppo, però, quando i[...]

[...] si giova di scambi non di vittorie.
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L'arte in occidente ha raggiunto un grado di disintegrazione che certamente fa buon gioco ai comunisti. Ma si rifletta che questa disintegrazione poco ha a che fare con il fatto sociale. Essa é piuttosto un fatto biologico. I comunisti possono forse sopprimerla, non raddrizzarla. Quando la biologia bussa alla porta della storia, essa non si contenta di una rivoluzione. Essa chiede le grandi migrazioni dei popoli, le invasioni, i medi evi. E la storia compiacemente le dá quanto essa chiede, magari servendosi dei comunisti.
* * *
I tuoi libri non rispondono alla ideologia dominante e dunque non li pubblichiamo. Ma io non posso fare a meno di scrivere in questo modo. Allora sei un traditore. Sono un traditore perché scrivo questi libri o perché non posso fare ameno di scriverli? Sei un traditore perché non puoi fare a meno di scriverli.
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Che rapporto c'è tra il marxismo e l'arte cosidetta partitica? Nessuno a ben guardare. Il marxismo, con il suo determinismo brutale ma sano svelando il carattere, appunto, partitico, dell'arte borgh[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]rsonalità coerenti, in cui la coerenza è facilitata dalla povertà spirituale; ce ne sono altre ricche e incoerenti, in cui l'incoerenza è aggravata dalla ricchezza stessa: Marchesi è tra queste ultime [...] Sarebbe strano che noi dovessimo ricorrere a forzature unitarie proprio nell'interpretare Marchesi, che fu cosí attento alle inquietudini, alle incoerenze, alle contraddizioni dell'animo umano. Neppure nel giudizio morale, per es. a proposito dei giuramenti prestati alla monarchia e poi al regime fascista o della sua permanenza nel rettorato dell'Università di Padova sotto la repubblica fascista, è lodevole ricorrere a for
* A. LA PENNA, Concetto Marchesi: la critica letteraria come scoperta dell'uomo; con un saggio su Tommaso Fiore, Firenze, La Nuova Italia (« Biblioteca di cultura », 152), 1980, pp. 138.
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zature per giustificare tutto: guardiamo Marchesi come egli guardò Seneca, cercando di capire, non di condannare o giustificare tutte le sue debolezze. Chiunque discute di queste cose, dovrebbe prima legg[...]

[...]denti solo nell'esperienza sentimentale, nella psicologia e nella biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
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fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un metodo di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già superato proprio dalla migliore filologia tedesca (se con qualche seria ricaduta in un discutibile neoumanesimo e nazionalismo, non importa qui discutere). Di quel ben piú complesso e raffinato modo di porre il problema del rapporto tra l'opera poetica e i suoi antecedenti, che aveva prodotto già esempi insigni nel commento del Wilamowitz all'E[...]

[...]ULEIO, Della Magia, Città di Castello 1914; maggiore consapevolezza dell'ufficio di prima approssimazione a cui la traduzione deve limitarsi è nella prefazione al Bellum Catilinae di Sallustio, Messina 1939, p. v.). Su Marchesi mediocre traduttore in versi, ottimo in prosa (e ben presto egli predilesse la prosa, discostandosi dalla linea RomagnoliBignone), cfr. LA PENNA, p. 37 s. e, piú ampiamente, E. PIANEZZOLA nel vol. collettivo La traduzione dei classici a Padova, Padova, Antenore, 1976, p. 23 ss. Fra le poche traduzioni in versi riuscite, giustamente il Pianezzola (pp. 3638) cita e riporta la monodia di Tieste nell'omonima tragedia di Seneca e una parte del coro delle Troades sulla morte come annullamento.
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incomprensione, credo anche antipatia personale. Forse l'unica allusione a Pasquali (finora, che io sappia, non notata) si trova appunto in Filologia e filologismo, e riguarda ancora quella che a Marchesi sembrava una stortura nella moderna ricerca delle fonti, il voler rintracciare fonti diverse dalle p[...]

[...]nistico », non « ignorante di genio », ma « grande poeta » e perciò « uomo di grande cultura: perché l'arte si alimenta di conoscenza e di studio: altrimenti è improvvisazione artistica di breve durata »; si vedano ancora, nella Storia (vol. cit., pp. 7375), i paragrafi sulla lingua plautina (che « non è quella del volgo, com'è mala consuetudine ripetere ») e sulla metrica; e si riconoscerà ben chiaro l'influsso del Leo. A proposito dell'origine dei cantica c'è perfino un accenno alle due teorie del Leo e di Eduard Fraenkel (derivazione dalla lirica ellenistica o dai cantica tragici?): dalla lettura del Leo Marchesi era passato, sia pure nei limiti di una rapida e non approfondita informazione, alla conoscenza di lavori plautini della scuola del Leo.
Come si vede, qui fa capolino una concezione del rapporto fra ispirazione poetica e « cultura » che contrasta, felicemente, con la concezione tipica di Marchesi. Felicemente ma isolatamente (non perché Marchesi fosse succube del mito romantico del poeta « sublime ignorante », ma perché tra [...]

[...], è ribadita in un capitolo della Storia d'Italia Einaudi (y 2, Torino 1973, p. 1344 s., dove tuttavia si mette anche in guardia contro una « semplicistica dicotomia fra logica e retorica », e si scorge un pericolo di questo genere nel libro di Giulio Preti intitolato appunto Retorica e logica, Torino 1968).
Si tratta di un problema tormentoso, ben lungi dall'essere risolto. Io personalmente credo che, se non si ricerca una fondazione oggettiva dei valori, se non si accetta il « persuadere » solo come una fase preliminare, provvisoria, di un'attività che tenda al raggiungimento del « convincere » (magari come ad una mètalimite), la giustificazione stessa della critica estetica vien meno: si tratterebbe in tal caso di un esercizio avvocatesco, di un'abile e insinuante sopraffazione da parte del critico sul lettore, il quale finirebbe col rinunciare a un proprio precedente giudizio non perché errato o insufficiente (di giudizio errato non si può parlare se il giudizio è sempre soggettivo e, come tale, inconfutabile), ma solo per la propri[...]

[...]icologicamente cosí complessa). Qualche citazione ci farà meglio capire il fascino che, malgrado tutte le riserve già accennate e altre che accenneremo, Marchesi esercita su La Penna:
Chi riduce la critica a disquisizioni metodologiche, potrebbe parlare, con sarcasmo, di arti f ex additus artifici; sia pure; ma, se l'arti f ex additus è un artista autentico, perché dovremmo rifiutare i nuovi doni delle Muse? (p. 40).
Egli [...] rimane come uno dei maggiori criticiartisti che abbia avuto il Novecento italiano [...1. Per quante differenze ci dividano, nella concezione storica e nel metodo, dalla critica della prima metà del secolo, ricordo Marchesi, Valgimigli, Perrotta come uomini che sapevano ricevere i doni delle Muse con mani delicate; né a quel tempo né prima né dopo sono mancati studiosi delle lettere che fanno pensare ai porci rufolanti tra le perle. Onoriamo questo amico delle Muse con misura e con rispetto della verità; può darsi che, una volta tanto, lo verità sia piú ricca e affascinante dei miti e delle mistificazioni (p. 96:[...]

[...]concezione storica e nel metodo, dalla critica della prima metà del secolo, ricordo Marchesi, Valgimigli, Perrotta come uomini che sapevano ricevere i doni delle Muse con mani delicate; né a quel tempo né prima né dopo sono mancati studiosi delle lettere che fanno pensare ai porci rufolanti tra le perle. Onoriamo questo amico delle Muse con misura e con rispetto della verità; può darsi che, una volta tanto, lo verità sia piú ricca e affascinante dei miti e delle mistificazioni (p. 96: è la chiusa del saggio).
L'esortazione alla « misura » e al « rispetto della verità » non si riferisce soltanto, credo, alla mancanza di interesse storicoculturale e al misticismo estetico a cui abbiamo già accennato. Si riferisce anche, suppongo (e ciò, forse, andava piú messo in rilievo) alla sicurezza assoluta di giudizio che Marchesi ha sempre mostrato nella sua opera di critico. In Filologia e filologismo (SM, III, p. 1235; cfr. II, p. 544) Marchesi afferma drasticamente: « Noi sappiamo che se i gusti sono tanti, il buon gusto è uno solo » (sua è la s[...]

[...]a soggetti, senza persone (la polemica di Althusser contro l'umanesimo ha alcune ragioni valide, ma gli esiti non convincono interamente) L..] ] Credo che anche la biografia, a parte le curiosità futili, sia un passaggio obbligato » (p. 94 s.).
Mi sia lecito, en passant, esprimere la mia gioia nel vedere finalmente in La Penna una « presa di distanza » da Althusser, che in questi ultimi anni egli aveva considerato come il marxista piú originale dei tempi recenti: una presa di distanza, a mio parere, ancora insufficiente, poiché credo che su Althusser vada dato un giudizio ben piú duro (non mi pento di ciò che ho scritto in Sul materialismo, Pisa 19752, pp. 4546, 49, 188191, 250, 258 e altrove). Ma qui importa notare come La Penna abbia individuato uno dei punti piú importanti, direi anzi il punto centrale, della Weltanschauung di Marchesi e della sua opera di critico. All'esame di questo punto centrale egli dedica in particolare il cap. iv, « Homo » e « civis », che è forse il piú penetrante di tutto il volumetto.
In tutti i suoi scritti Marchesi ha profuso dichiarazioni di sfiducia nel potere, che la filosofia e la scienza si arrogano, di dare all'uomo la verità
e la felicità. Nessun filosofo « ci ha mai sorretto, aiutato, confortato »; nessuno ci ha dato il rimedio per « evitare l'insonnia, la miseria, la follia »
IL « MARCHESI» DI ANTONI[...]

[...]a, ma per una sofferta esigenza di sapere « salvato » il maestro e amico da lui amato con tanta dedizione, ha dato per dimostrata, in piena buona fede, una conversione che, da tutto ciò che sappiamo, non risulta documentabile 2. Ciò ritiene anche il La Penna (p. 52),
2 Va tuttavia notato che il libro di Franceschini non è « a senso unico »: vuol presentare come una certezza la conversione di Marchesi in punto di morte (dando a tutto il racconto dei suoi due ultimi giorni di vita un tono di « miracolo », anzi di intrecciarsi e susseguirsi di coincidenze miracolose, che non regge ad una riflessione pacata e obiettiva); ma nello stesso tempo è animato da una appassionata e dolorosa polemica contro le degenerazioni politicomorali del cattolicismo. Vale la pena di riportare la coraggiosa dedica: « A quei cattolici che con lo scandalo della loro vita privata
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 641
il quale aggiunge con ragione che « per capire e valutare l'opera di Marchesi » questa eventuale conversione d'un agonizzante « non ha nessuna imp[...]

[...]ntiromanità » della letteratura latina. — Ci siamo, senza volerlo, discostati alquanto dal tema dell'« homo » et « civis »: dobbiamo adesso ritornarvi. Fin dai profili anteriori alle opere di maggior mole (i profili formigginiani di Marziale, Petronio, Giovenale, ai quali La Penna, con piena ragione, attribuisce importanza decisiva per la formazione del critico), Marchesi fa consistere il vero valore della letteratura latina non nell'esaltazione dei valori civici, nell'attaccamento al mos maiorum politico ed eticoreligioso, ma nell'appartarsi da questa romanità ufficiale, nell'esprimere quell'« umanità perenne » di cui si è detto. Questo criterio di valutazione resterà sostanzialmente costante anche piú tardi, anche nella Storia della letteratura latina. Ennio è svalutato (e frainteso) perché « chi si fa cantore delle glorie nazionali è poeta che impone alla propria fantasia limiti che l'arte non ha: ed è poeta destinato a morire ». Catullo e in genere i poetae novi sono amati (fin dal giovanile volumetto su Elvio Cinna, cfr. La Penna, p[...]

[...]itamente rovesciato a favore di Lucrezio. D'altra parte, mentre capisco bene come La Penna (ed io con lui, e, per ragioni in parte diverse, già Marchesi) possa collocare Lucrezio al vertice della letteratura latina per l'ideologia, non riesco a vedere una inferiorità di Virgilio sul piano artistico e piú generalmente umano. A certe altezze, credo che le graduatorie di valore siano arbitrarie;' e la grandezza di Virgilio, proprio La Penna, in uno dei suoi saggi piú perfetti, l'ha fatta intendere meglio di ogni altro.
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 643
che continua a vivere è spesso quanto di antistorico e antinazionale inconsapevolmente ha messo il poeta » (Voci di antichi, p. 15; e ancora, p. 18: « Tutti victi, tutti sconfitti, in questo mondo virgiliano dominato dal dolore »). E cosi l'Orazio amato dal Marchesi non è l'Orazio « romano », ma l'Orazio « privato », scettico, antirigorista, saggio di una saggezza che è l'opposto della presuntuosa e dogmatica filosofia (rimane tuttavia strano che Marchesi si sia accorto troppo fuggevol[...]

[...] è un patriotta insonne. Questa continua vigilanza e questo continuo amore di Roma ha tolto appunto alla sua opera la grande impronta umana e vi ha lasciato la meno grande impronta romana ».
È questa « antiromanità » che ha permesso a Marchesi di sentire e valutare con simpatia profonda e acuta intelligenza la letteratura postaugustea. Non per nulla, prima della Storia, gli autori sui quali scrisse i profili e i saggi piú penetranti sono alcuni dei maggiori postaugustei, in cui i valori patriottici sono ormai dissolti. Il La Penna mette bene in rilievo come anche uno scrittore fortemente legato ai valori della romanità, Tacito, sia ammirato da Marchesi per ragioni che puntano sull'homo e non sul civis: l'aristocratico disprezzo per il volgo, ma soprattutto il pessimismo storico e morale (cap. x); e come anche in Giovenale il critico sia affascinato, piú che dal rimpianto moralistico per i valori dell'età repubblicana, dalla capacità d'indagare, con indignata ma lucida amarezza, aspetti torbidi della psicologia umana che appartengono ad [...]

[...]o per una Roma primitiva ormai non piú resuscitabile. Io, nei capoversi precedenti, ho in parte citato passi di Marchesi diversi da quelli citati da La Penna, non per futile sfoggio, ma solo per far vedere come sia facile trovare sempre nuove espressioni di questo motivo che percorre tutta la meditazione di Marchesi sulla letteratura latina, dagli anni giovanili alla vecchiezza: aver dato a questo motivo il rilievo che gli compete è, ripeto, uno dei maggiori meriti del saggio di La Penna.
Certo, un'unica chiave, per quanto preziosa, non serve mai ad aprire tutte le porte. Anche a prescindere dalla letteratura arcaica, resta preclusa a Marchesi, nell'insieme, una personalità come quella di Cicerone (i motivi dell'anticiceronianismo di Marchesi si comprendono agevolmente, ma l'incomprensione, grave, rimane). Nella stessa età postaugustea, se la svalutazione di Persio è a mio avviso giustificata (su questo punto so di non poter consentire con l'amico La Penna; ma una discussione, ora, ci porterebbe troppo fuori tema), ingiusto, ancor piú i[...]

[...] conclusivo su Arminio, II 88 — Marchesi vede soltanto, da parte di Tacito, una ricerca artistica di drammatizzazione: « in questi rilievi personali l'artista opera assai piú che lo storico » (p. 170 s. = 1642). E il discorso di Calcago nell'Agricola, dove il motivo antiromano è sviluppato ben piú ampiamente e ben piú a fondo che in quei pur efficaci passi degli Annali? Marchesi (p. 213) vi trova soltanto lo svolgimento di un cliché: sarebbe uno dei soliti discorsi che ogni storico romano mette in bocca all'uno e all'altro capo dei due eserciti avversi prima della battaglia. Ma nelle parole che Tacito fa pronunziare a Calcago (Agr. 30): Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant c'è (come in tutto il resto di quel discorso) una tale carica di demistificazione dell'impero e della pax Romana che non può non derivare dalla coscienza profonda di Tacito stesso: pare incredibile che Marchesi non se ne sia accorto. E il dire che nella Germania Tacito « lanciava un grido di allarme che era altresí grido di guerra ad oltranza » (p. 163 = 1682) non è falso, ma è parziale. Ne[...]

[...]esso: pare incredibile che Marchesi non se ne sia accorto. E il dire che nella Germania Tacito « lanciava un grido di allarme che era altresí grido di guerra ad oltranza » (p. 163 = 1682) non è falso, ma è parziale. Nella Germania non c'è, sicuramente, amore per i Germani, ma c'è l'angosciosa consapevolezza che la « corruzione » porterà l'impero romano alla decadenza e alla rovina, e che la salvezza può ormai venire piú dalle discordie intestine dei barbari che dalla forza militare romana (Germ. 33). In questa « cruda compiacenza » (Tac.2, p. 132) c'è molta angoscia pessimistica: meglio che nel Tacito, Marchesi la vide o intravide nelle ultime edizioni della Storia. Urgentibus imperii fatis (Germ., ivi) non sono parole di un imperialista fiducioso; e d'altra parte le considerazioni ben note sulla sanità morale dei Germani in contrapposto all'immoralità romana divenuta ormai consuetudine rivelano ben altro che puri intenti artistici o retorici.
5. L'individuo e la cosmopoli. — Ancora qualche riflessione ci suggerisce il contrasto homocivis. Che l'arte diventi angusta quando si prefigge scopi « civili » anziché « umani » non è certamente, secondo Marchesi, un principio valevole per la sola letteratura latina. Marchesi stesso si richiama a Heine come modello di poeta « umano » accostabile a Marziale, dichiara
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che « il contenuto dell'arte nei Reisebilder è piú universale che neg[...]

[...]della polis, o comunque alla partecipazione a comunità politiche, ristrette e coese, recava, per lui, un vizio d'origine: il « cittadino » aveva, in certa misura, reso angusto l'« uomo »! Proprio nell'Epilogo della Storia (u°, p. 468) si legge: « La letteratura latina è più popolare della greca perché piú della greca ha accostato la moltitudine all'opera letteraria e ha empíto di folla i teatri e le sale di recitazione f...]; perché, senza danno dei grandi artisti, che sono intangibili, dell'attività artistica ha fatto un incitamento e un sollievo valevole per tutti. La letteratura latina è anche più moderna della greca, e più della greca ha influito e operato in tutte le nuove letterature, appunto perché essa è stata creata non da una regione — come la letteratura ellenica — ma da un mondo che si estendeva dal Mediterraneo all'Atlantico ». Presa alla lettera, nella sua prima parte, questa asserzione è, sia detto senza venir meno al rispetto per la memoria di Marchesi, una vera assurdità; e assurdità non minori vi sono nelle righe che ab[...]

[...]ighe che abbiamo omesso, indicando l'omissione con punti sospensivi. Parrebbe che Marchesi non abbia saputo, sulla funzione del teatro in Atene, ciò che sa ogni studente di liceo. Lascia soprattutto sconcertati (anche per
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chi ricordi l'insistente e, in parte, poco fondata difesa della retorica che Marchesi ha già fatto nella Storia, if, pp. 3537) quell'accenno alle « sale di recitazione »: le declamazioni dei retori dell'età imperiale sarebbero state piú « vicine al popolo » che le orazioni di Demostene! Ma la vera motivazione di questa pur distorta idea della maggiore popolarità e modernità della letteratura latina è nelle ultime parole: la letteratura latina è il prodotto di una cosmopoli: la « moltitudine », la « folla » che abita questa cosmopoli non è un « popolo » organizzato in qualche modo politicamente: è una massa disgregata (non escluderei che, nel raffigurarla, Marchesi abbia avuto presente la Psychologie des foules di Gustave Le Bon e qualche passo di Grandezza e decadenza di Roma di [...]

[...]del genere letterario, non già con una contrapposizione globale antichimoderni. Sarebbe arduo sostenere che, traducendo in lingua diversa dall'originale Shelley o Leopardi o Verlaine,
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Ma come si era formata questa cosmopoli romana che « costituiva veramente non uno Stato, ma una civiltà » (Storia lett. lat., if, p. 468)? Non con mezzi pacifici, ma con una delle piú lunghe e feroci serie di conquiste militari, e con uno dei piú esosi sfruttamenti dei conquistati, che la storia ricordi. Per far sorgere l'homo, c'era voluto il civis: un civis molto piú ricco di disciplina e di virtú militari che di spirito democratico (troppo presto soffocato dopo i parziali successi dei primi secoli della Repubblica): un civis che proprio in conseguenza delle grandi conquiste mediterranee aveva sempre piú perduto i propri diritti economicosociali e politici, cosicché non si era nemmeno avuta, specie dalla guerra annibalica in poi, quella coesistenza di imperialismo rapace e di democrazia all'interno della polis che vi era stata nell'Atene periclea. E nella creazione dell'Impero avevano avuto una parte importante alcuni capi, alcuni « uomini forti » che Marchesi, disprezzatore della poesia politica e celebrativa, ammirava, anche, certo, per il suo invincibile aristocraticismo[...]

[...]a, ma senza esprimere su Cesare nemmeno l'ombra di una riserva, anzi attribuendogli il merito di esser riuscito « a realizzare esigenze democratiche spietatamente combattute e a dilatare civilmente i confini di un impero dentro un tessuto barbarico ». Ma l'anno dopo, commemorando Stalin (ivi, p. 258), lo contrapponeva agli uomini come Cesare che « hanno creato sulla morte e per la morte »!
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vano e dicevano che per opera dei Romani la terra era divenuta patria comune ».
Certo, sarebbe non troppo difficile raccogliere dalle pagine di Marchesi un controflorilegio di passi di condanna del dispotismo, di rivendicazioni libertarie e vagamente sociali. Ma in complesso prevalse in lui l'idea che la creazione di questa « patria comune » valesse il prezzo del dispotismo piú o meno illuminato, perché ciò che si era perduto in libertà politica si era guadagnato in libertà interiore. « Il principato aveva soppresso le lotte di fazione e le libertà politiche, ma aveva stimolato la libertà individuale. L'individuo che prima v[...]

[...]egli anni della maturità,
piuttosto velleitario e superficiale [ ...1. Era idealistica la sua sfiducia nella scienza, idealistica la sua rivalutazione quasi misticheggiante dell'individuo come fantasia, creazione artistica, e come coscienza religiosa. Amava citare da Agostino i tre concetti di tempo: presente del passato, presente del presente, presente del futuro; ma il vero ispiratore non è Agostino e neppure il marxismo con la sua concezione dei rapporti fra conoscenza e prassi: l'ispirazione, sia pure generica, è nell'idealismo contemporaneo: siamo sulla via che porta al concetto crociano della storia che è sempre storia contemporanea, o addirittura all'atto puro di Gentile.
Subito dopo, la collocazione muta alquanto: Marchesi, piú che all'idealismo neohegeliano, è avvicinato, sia pure indirettamente, « a forme di irrazionalismo di ispirazione nietzschiana e poi bergsoniana », e distaccato, anche se non del tutto, dal crocianesimo. Infine La Penna rammenta che
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già nella giovinezza catanese M[...]

[...]lla scienza » o « dell'umanità » (da Comte a Haeckel), quanto piuttosto quelle concezioni dualistiche in cui da un lato si descriveva una realtà fisica, l'unica conoscibile, in termini materialistici e negatori di ogni antropocentrismo, dall'altro si ammetteva una zona di « mistero » inaccessibile alla conoscenza e si assumeva dinanzi a tale zona una posizione agnostica che non escludeva la fede religiosa. Sappiamo tutti che Herbert Spencer, uno dei fondatori del positivismo, al di là di un universo concepito materialisticamente ed evoluzionisticamente postulava il famoso « Inconoscibile » e non negava la religione, e che Emil Du BoysReymond, fautore di un meccanicismo addirittura laplaciano, riconosceva poi l'esistenza dei « sette enigmi del mondo », di fronte ai quali la scienza doveva dire non soltanto ignoramus, ma ignorabimus.
In un settore del tardo positivismo (un settore rappresentato, almeno in Italia, piú da letterati e studiosi di discipline umanistiche che da scien
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ziati della natura) questa concezione dualistica, che in quanto tale, come si è visto, compare già nel primo positivismo, assume una carica di « sgomento cosmico » e di ansia per il destino effimero dell'uomo. Due poeti e studiosi pur molto diversi l'uno dall'altro, Pascoli e Graf, esprimono spesso ques[...]

[...] violente punte anticlericali e ansie religiose che tuttavia, dinanzi all'« antiprovvidenzialismo » cosí evidente nella realtà tutta quanta, non giunsero mai a placarsi. Perfino il Pascoli, che pareva il piú predestinato a finire nel cristianesimo, non vi fini, e nella prefazione a Odi e inni scrisse, accanto a banalità antisocialiste, parole dignitose di replica a chi lo sollecitava a una conversione. Ma in verità, se si confrontano gli scritti dei
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convertiti (per esempio il famoso Per una fede di Arturo Graf) con quelli dei non convertiti, si vede che non c'è quasi nessuna differenza: anche i convertiti continuarono a sentire piú il mistero, con le sue ansie, che la fede o la certezza. E ciò conferma quanto abbiamo già detto, sulle orme del La Penna, riguardo alle forzature dell'interpretazione cattolica della personalità di Marchesi.
In tale atmosfera tardoottocentesca una parte importante la ebbe un modo particolare di intendere Lucrezio, come seguace di un materialismo che avrebbe dovuto liberare l'anima dalle ansie e dai timori, esaltatore del suo maestro Epicuro proprio per questa azione liberatrice, eppur[...]

[...] verità) Lucrezio è superiore a Epicuro (op. cit., pp. 157, 163 s.). Senza soffermarci in altre citazioni che ci ruberebbero troppo spazio, notiamo che lo stesso motivo dell'Antilucrèce ritorna nel pur sobrio Giussani (Studi lucreziani, rist. Torino 1923, pp. xiir, xxiii) e piú tardi in uno spirito tormentato affine per certi aspetti a Marchesi (anche se di statura assai inferiore) come Carlo Pascal8. Ebbene, nella già citata
s Se si tien conto dei rapporti tra Marchesi giovane e Rapisardi, particolare interesse (ma anche difficoltà di una soluzione schematica) presenta il problema del lucrezismo rapisardiano. Il Rapisardi tradusse Lucrezio (La Natura, Milano 1880, Torino 18822, questa seconda volta con una prefazione di Trezza, in cui si esalta Lucrezio piú come « lirico » che come espositore dell'epicureismo). La versione, malgrado qualche enfasi rapisardiana e qualche caduta stilistica, è tutt'altro che disprezzabile. In una curiosa epistola in versi A Lucrezio premessa alla traduzione (curiosa perché incomincia con un ragguaglio sul[...]

[...]to dalla scienza, ancor piú era irritato dal trionfalismo della filosofia: dall'aspra invettiva contenuta in un saggio del 1910 (SM, ir, p. 669 s., messa in rilievo anche dal La Penna, p. 36) alla drastica asserzione, nel già citato discorso del 1956, che « le costruzioni filosofiche del pensiero puro sono tutte fallite » (Umanesimo e comunismo, p. 32), il suo atteggiamento a questo riguardo non ha mutamenti, in un'Italia in cui la maggior parte dei critici letterari e degli storici filosofeggiava, anche se spesso la cultura filosofica di costoro si riduceva a un po' di Croce. Quando, nella già citata commemorazione del Bertacchi (Divagazioni, p. 132) Marchesi contrapponeva « l'ottocento pieno di grandezza » al « novecento pieno di boria », intendeva certo dichiararsi fedele all'ambiente della propria giovinezza; e parlando di « boria » si riferiva, con tutta probabilità, in primo luogo alla filosofia.
L'amore di Marchesi per i « tre presenti » di Agostino (ricordato dal La Penna in un passo che abbiamo citato poco dopo l'inizio di ques[...]

[...]
9 Specialmente negli ultimi anni, e in scritti di argomento estraneo alla letteratura latina, l'accenno ai « tre presenti » compare piú volte, anche senza che Agostino sia nominato: cfr. Umanesimo e comunismo, pp. 30, 45, 182, 342; ma in una forma estremamente generica, per significare l'intero corso della storia umana, oppure ciò che è sempre attuale. Si ha l'impressione che Marchesi si fosse innamorato della formula in quanto tale (nel terzo dei passi ora citati la usa addirittura in senso ironico) piú che del suo significato filosofico o teologico.
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parte la « retorica civile » estranea a Marchesi), e meno ancora tutta la schiera degli eruditiletterati carducciani; e non vi si sottrae, malgrado la grande diversità di temperamento dal Carducci, il Graf, uno dei fondatori del severo « Giornale storico della letteratura italiana » e, nello stesso tempo, troppo artista e troppo psicologista come critico letterario. Il Graf è figura ancora poco studiata; quando uscirà il saggio a lui dedicato da Girolamo de Liguori (di cui ho potuto leggere una parte ancora inedita), anche certe caratteristiche e certe contraddizioni di Marchesi ne usciranno, penso, meglio chiarite. E per quel ché riguarda gli italianisti e i medievalisti di fine Ottocento, non si dimentichi che nella produzione giovanile di Marchesi la filologia medievale e umanistica prevalgono, come [...]

[...]nte che in Marchesi, all'« umanità », al mondo moralepsicologico dell'artista: quanto Marchesi si sentisse affettivamente e intellettualmente vicino a Donadoni (fino a smarrire, bisogna confessarlo, ogni ragionevole senso del limite nell'esaltarne il valore) è testimoniato da un appunto pubblicato da Franceschini (op. cit., p. 16 s.); e a Donadoni va affiancato Attilio Momigliano (vedi i passi citati da Franceschini, reperibili mediante l'indice dei nomi), anche lui un fine critico psicologista, sostanzialmente ben poco toccato dal crocianesimo. Tra i cattolici il piú vicino a lui fu Ezio Franceschini; ma, come risulta dal libro stesso di Franceschini, ebbe vivi rapporti di affetto con Primo Mazzolari (un prete a cui la Chiesa rese difficile la vita), e, ormai al di fuori dell'area cattolica ma sempre entro il cristianesimo, con l'eretico Ernesto Buonaiuti (oltre la testimonianza coraggiosa di Franceschini, vedi anche, per i rapporti intellettuali fra i due a proposito della versione del1'Apologeticum di Tertulliano, l'introduzione di E.[...]

[...] anche, oltre che per le sue doti di affettuosa cordialità, Francesco Flora (cfr. Franceschini, op. cit., p. 51). Su un piano diverso si colloca la sua amicizia con Togliatti: sincera indubbiamente da parte di Marchesi, non altrettanto, credo (qui dissentirei da La Penna, p. 87), da parte di Togliatti. Difficilmente un marxistacrociano come Togliatti può avere scritto con sincerità che Marchesi fu « il piú profondo degli umanisti e il piú audace dei pensatori moderni » (cfr. La Penna, p. 103). Bisogna, credo, ripensare al grande bisogno di intellettuali di prestigio che il Pci ha avuto sempre, dal '45 ad oggi, data la sua linea politica « nazionale », onnicomprensiva, anticlassista. Se gli intellettuali di prestigio erano piú « umanisti » che marxisti, tanto di guadagnato: non c'era il rischio che entrassero in conflitto col partito esigendo quella coerenza ideologicopolitica che esso, in conformità alla sua linea, non doveva possedere; e contribuivano a gettare un ponte verso l'intelligencija borghese, a dimostrarle che, pur di non disc[...]

[...]Pascoli) il « positivismo bisognoso di religione » si collega con una morale della fraternità, che sfocia in un socialismo umanitario, oscillante tra la rivolta anarchica e il solidarismo cristianomassonico, privo di ogni rigorosa base marxista. Che di questo tipo sia stato il socialismo iniziale di Marchesi, si comprende bene dalla lucida sintesi che nel cap. i del suo libro il La Penna ricava dai documenti a nostra disposizione (io ho soltanto dei dubbi su un presunto legame tra il socialismo di Marchesi e l'esaltazione, che in lui riaffiorò poi sempre, del libero amore e il suo senso di fastidio per l'amore coniugale: il libero amore come lo concepisce Marchesi è troppo collegato al disprezzo per la donna, vagheggiata solo come oggetto di fugace piacere, come etèra: una Anna Kuliscioff, una Anna Maria Mozzoni non sarebbero piaciute affatto a Marchesi) .
Con l'umanitarismo e con un pessimismo di fondo coesisteva, in molti di codesti intellettuali, una convinzione nella « fatalità » dell'avvento al potere del proletariato. Questa convi[...]

[...]una Anna Maria Mozzoni non sarebbero piaciute affatto a Marchesi) .
Con l'umanitarismo e con un pessimismo di fondo coesisteva, in molti di codesti intellettuali, una convinzione nella « fatalità » dell'avvento al potere del proletariato. Questa convinzione era, com'è noto, tipica del marxismo della Seconda Internazionale (e del resto non era stata affatto estranea, seppure in forma meno schematica, agli stessi Marx ed Engels; e il volontarismo dei marxisti occidentali novecenteschi produsse poi, e tuttora produce, aberrazioni ben peggiori). Ma in chi si sentiva legato tuttora, per molti aspetti di cultura e di « umanità », alla civiltà borghese, la necessità del socialismo poteva non coincidere con la sua desiderabilità, con la speranza in un mondo anche culturalmente e umanamente piú libero e
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(compatibilmente con certi aspetti duraturi della « condizione umana ») piú felice: poteva essere semplicemente qualcosa da accettare in quanto ineluttabile, come un fenomeno della natura, come l'evoluzion[...]

[...] Novecento, Pascoli non era piú socialista da tempo, e Graf cessò di esserlo. Non fu questa la parabola di Marchesi. Eppure anche in lui, accanto alla componente umanitaria, ebbe un notevole peso quel fatalismo che abbiamo notato or ora nella lettera di Graf a Turati. Ancora nel 1956, un anno prima della morte, rievocando in un discorso la sua adesione al socialismo, la attribuiva da un lato a un profondo senso di giustizia offeso per la miseria dei contadini siciliani, dall'altro (dopo brevi fasi di proudhonismo e di mazzinianesimo) alla lettura del Manifesto: una lettura in cui il momento « fatalistico » e avalutativo acquistava uno spicco preponderante. « Quell'opuscolo [ ... ] non parla di ciò che è bene e di ciò che è male, ma di ciò che avviene e diviene nella società umana; non parla in nome del diritto naturale o della ragione suprema, ma in nome di una realtà che, piaccia o n o , bisogna riconoscere nel fluire stesso delle cose E...]. Diceva ciò che è, non ciò che dovrebbe essere, ciò che accade, non ciò che dovrebbe accadere: c[...]

[...]pubblicati recentemente, purtroppo senza adeguato corredo di notizie sull'attività politica piú generale da lui svolta in quel periodo (C. Marchesi, Interventi al Consiglio comunale di Pisa, Pisa, Amministrazione provinciale, 1978).
_ Eppure, in quell'articolo Marchesi separa nel modo piú crudo l'idea dell'ineluttabilità del socialismo (una ineluttabilità che tuttavia non esclude un periodo ancora non breve, e altrettanto necessario, di dominio dei borghesi, « portentosi dominatori di due epoche e fattori straordinari di due civiltà », p. 561) dalla sua efficacia benefica. Anzi, l'avvento del socialismo è preveduto chiaramente, almeno nella sua prima fase, come un disastro: « Si può essere socialisti per sincerità di dottrina economica e per buona notizia di procedimenti sociali; cosí come il geologo può prevedere una eruzione e il fisico una tempesta: senza che affermi perciò il beneficio o la bellezza del fenomeno naturale che si compirà » (p. 558). Di fronte a questo nuovo ordine sociale, in cui « chi piú lavora si affermerà su chi m[...]

[...]vora si affermerà su chi meglio lavora » (ibid.: cioè il bruto e inintelligente lavoro manuale avrà il sopravvento sul meno faticoso ma piú « meritevole » lavoro intellettuale!), Marchesi afferma il proprio diritto ai « sorrisi amari » e a « reclamare sempre [ ... ] il divorzio spirituale dalle moltitudini ». E per le « moltitudini », per la « plebe », per la « folla » (parole con cui Marchesi designa, indifferentemente, ora le classi subalterne dei tempi di Orazio, ora il proletariato del secolo xx) lo scrittore ha insieme un disprezzo « spirituale » e un odiotimore fisico. Parla (riportando, con forzature, espressioni oraziane, e condividendole, e andando al di là di Orazio) di « schifo della folla », di « puzzo di gregge e di becco » che da essa emana; afferma che « dov'è un popolo, là è una turba di ladri, di avventurieri, di ruffiani » (p. 546). Afferma sarcasticamente (ibid.) che « nessun liber uomo del popolo » si è mai battuto per la tutela dei « diritti individuali » (quando, poi, Stalin fece quel che fece dei « diritti individu[...]

[...]ttore ha insieme un disprezzo « spirituale » e un odiotimore fisico. Parla (riportando, con forzature, espressioni oraziane, e condividendole, e andando al di là di Orazio) di « schifo della folla », di « puzzo di gregge e di becco » che da essa emana; afferma che « dov'è un popolo, là è una turba di ladri, di avventurieri, di ruffiani » (p. 546). Afferma sarcasticamente (ibid.) che « nessun liber uomo del popolo » si è mai battuto per la tutela dei « diritti individuali » (quando, poi, Stalin fece quel che fece dei « diritti individuali », Marchesi plaudi).
Passata la fase violenta della rivoluzione, sarà la « moltitudine » capace di creare una nuova civiltà? Marchesi sembra negarlo: « Niuno può raddrizzare le gambe agli storpi »; volere « far migliore » la moltitudine è pazzia; e ciò vale per la società in assoluto, « tutta quella che fu e sarà sempre » (p. 555). Il finale dell'articolo accenna vagamente ad una maggiore giustizia sociale (molto vagamente, perché la nozione stessa di giustizia sociale svanisce se si ritiene che il proletariato sia una marmaglia inguaribilmente inferiore), ma si sofferm[...]

[...]? « I nuovi
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canti del lavoro? Oh forse, no. » L'unica speranza è che « noi » (noi intellettuali umanisti) riusciamo a far rivivere, « con i canti della Georgica immortale, il sorriso e lo scherno della sapienza oraziana » (p. 561). Si noti il dilemma: o una poesia populistica e retorica, o la reviviscenza della grande poesia antica. Una cultura, una poesia nuova che si innalzi un po' al di sopra dell'Inno dei lavoratori è esclusa a priori da Marchesi.
Il 1908 cade in un periodo in cui gran parte dell'intelligencija italiana, che si era accostata al socialismo durante la reazione di Crispi e di Pelloux e ancora nei primissimi anni del nostro secolo, ridiventa « borghese »: c'è chi si spinge al nazionalismo e prepara già un clima prefascista; ma il distacco dal socialismo fu compiuto anche da studiosi seri e onesti come Salvemini, Ciccotti e molti altri. Non è azzardato, credo, supporre che Marchesi, pur rimanendo iscritto al Partito socialista, abbia fortemente risentito dell'atmosfera antisociali[...]

[...]ua risposta (Senza amore, senza Dio, senza arte?, « Giornale d'Italia », 30 luglio 1908) cercò, bisogna dirlo, di cambiare le carte in tavola. Da un lato affermò di aver voluto, quanto ad Orazio, « fare soltanto opera di divulgazione », sfatando la diceria di Orazio poeta cortigiano; dall'altro dichiarò: « Sono socialista, tutto d'un pezzo, e sul serio », e finse di essersi battuto soltanto contro certi fraintendimenti della dottrina socialista. Dei propri insulti alla « moltitudine » non fece parola (mentre essi occupavano gran parte dell'articolo oraziano); e dopo aver deplorato in quel primo articolo, come si è visto, la prossima fine della fede in Dio, adesso dichiarò che Dio « sta troppo in alto », e introdusse perfino nel suo discorso, lui nemico della scienza, una nota scientistica e laicistica: « Oggi molti uomini di studio volgono l'occhio lassú, in alto, in cielo, solo per indagare e conoscere le leggi della enorme vita planetaria, non già per offrire all'uomo affaticato il premio dell'oltretomba... ». Nella controreplica con c[...]

[...]si e proponendo anche qualche suo contributo persuasivo.
Sia la valutazione generale di Marchesi filologo, sia le discussioni lapenniane di singoli passi sono in massima parte giuste. E rimane ovvio che per la sua indole stessa di criticoartista, per la sua polemica contro il « filologismo » che assieme al filologismo tendeva a svalutare la filologia, Marchesi non poteva riuscire un filologo di prima grandezza: il centro della sua personalità e dei suoi interessi era altrove.
Su due punti, tuttavia, mi sembra necessaria una precisazione. Per quel che riguarda il primo periodo dell'attività criticotestuale di Marchesi (cioè fino all'Arnobio escluso), mentre le edizioni dell'Orator, del De magia e dell'Ars amatoria vanno abbandonate senza rimpianti al giudizio negativo del La Penna — si potrà sempre discutere su qualche singolo passo, ma il quadro d'insieme non muta —, quella del Tieste di Seneca è un'edizione che presenta alcune imprecisioni di metodo nella trattazione sui codici, alcune scelte di varianti erronee o discutibili, purtrop[...]

[...]amowitz non era buon critico di testi latini, e meno che mai di Seneca). Il Peiper e il Richter nell'edizione del 1902 (dovuta principalmente al Richter, per la prematura morte del Peiper) si accorsero che i codici A, accanto a numerosissime banalizzazioni e alterazioni arbitrarie (altre, del resto, ne aveva anche E, benché in molto minor misura), presentavano lezioni sicuramente giuste e non congetturali; e cercarono di districare la genealogia dei codici A. Ma questa operazione doveva riuscire soltanto assai piú tardi (e pur sempre imperfettamente: gli studiosi piú recenti, certo molto meritevoli, ostentano tuttavia troppa baldanza); e le lezioni di A accolte dal Richter erano ancora, di gran lunga, troppo poche, e troppe le congetture, non piú felici di quelle del Leo. Perché apparisse chiaro quanto di buono si poteva ancora ricavare da A (anche senza affrontare il problema dei rapporti genealogici all'interno di questa famiglia) e di quante congetture inutili andasse sbarazzato il testo delle tragedie di Seneca, dovevano venire, dal 1926 in poi, gli studi di Gunnar Carlsson, che rimangono fondamentali, sebbene in alcuni casi il Carlsson si sia spinto troppo oltre.
Marchesi non aveva nel 1908 e non ebbe nemmeno piú tardi l'attitudine ad affrontare complessi problemi di genealogia dei codici (non la ebbero nemmeno, è bene ricordarlo, filologi suoi coetanei o suoi predecessori della forza di Cornparetti, Piccolomini, Vitelli, Sabbadini, Castiglioni; il gusto per problemi stemmatici si fece strada lentamente in Italia); è doveroso aggiungere che, anche se avesse avuto interessi di questo tipo, non avrebbe comunque potuto, privo della possibilità di lunghi soggiorni all'estero e basandosi sul solo Tieste, dare un contributo alla stemmatica dei piú di 300 codici della classe A; e non si può nemmeno deplorare che egli abbia rinunciato alla sua vocazione fondamentale di critico [...]

[...] la ebbero nemmeno, è bene ricordarlo, filologi suoi coetanei o suoi predecessori della forza di Cornparetti, Piccolomini, Vitelli, Sabbadini, Castiglioni; il gusto per problemi stemmatici si fece strada lentamente in Italia); è doveroso aggiungere che, anche se avesse avuto interessi di questo tipo, non avrebbe comunque potuto, privo della possibilità di lunghi soggiorni all'estero e basandosi sul solo Tieste, dare un contributo alla stemmatica dei piú di 300 codici della classe A; e non si può nemmeno deplorare che egli abbia rinunciato alla sua vocazione fondamentale di critico letterario per ingolfarsi in un lavoro specialistico che, anche a saperlo fare, avrebbe richiesto anni e anni. L'immagine complessiva che egli aveva della tradizione manoscritta delle tragedie di Seneca (cfr. p. 28 s.) è quella che prevaleva quando egli compi la sua edizione, con un'accentuazione maggiore di quella del Richter a favore di A (e qui, già prima del Carlsson, egli vedeva giusto), ma senza smarrire la consapevolezza della superiorità di E. Volendo, [...]

[...]he egli aveva della tradizione manoscritta delle tragedie di Seneca (cfr. p. 28 s.) è quella che prevaleva quando egli compi la sua edizione, con un'accentuazione maggiore di quella del Richter a favore di A (e qui, già prima del Carlsson, egli vedeva giusto), ma senza smarrire la consapevolezza della superiorità di E. Volendo, comunque, dare un contributo alla conoscenza di alcuni codici A piú o meno contaminati, egli dette una sommaria notizia dei manoscritti fiorentini, soffermandosi con particolare predilezione sul Riccardiano 526 (sec. xiii: cfr. pp. 29, 3337). A proposito delle lodi che il Marchesi tributa a questo codice, il La Penna fa un'osservazione che, del tutto giusta in moltissimi casi, non mi sembra giusta nel caso specifico: « Una curiosa trappola riservata ai conservatori in critica del testo è nel sostenere lezioni manoscritte solo perché manoscritte, anche quando sono frutto di emendamenti di copisti dimostrabili in base alla storia del testo ». Ora, il Marchesi (p. 29) non loda il Riccardiano in quanto trasmettitore d[...]

[...]ma qui il compiacimento della bella frase, unito a non sufficiente sicurezza di metodo, ha tradito il Marchesi). E le collazioni di questo e di altri codici fiorentini, se non servono a restituire tradizione genuina, servono, come in parte si è visto, a « retrodatare » congetture attribuite a filologi posteriori; da questo punto di vista, è stato un torto degli editori piú recenti non averne tenuto conto.
Se, poi, diamo uno sguardo all'« Indice dei luoghi in cui la presente edizione differisce dalle edizioni del Lea e del Richter » (p. 125 s.), e prendiamo a confronto l'edizione piú recente e migliore di cui per ora disponiamo, quella del Giardina (Bologna 1966), notiamo che in molti passi (vv. 26 nec, 47 fratris, 93 sacra, 110 stetit, 111 qui, 114 latus, 141 tulerat, 255 modum, 302 preces. movebunt, 326 patri cliens, 740 ac, 833 et ignes, 890 implebo patrem, 994 abdidit, 1008 te nosque, 1084 haec) la lezione prescelta dal Marchesi è oggi accolta (cfr. anche i « fartasse recte » del Giardina a 180 e 322). In alcuni casi si tratta di sce[...]

[...]re di A, nelle quali il Marchesi precorse il Carlsson o altri studiosi, in uno di scelta a favore di E (v. 26: qui il Leo e il Richter avevano preferito ne di A, e ciò dimostra che Marchesi non aveva pregiudizi uniláterali contro l'Etrusco), in molti altri di conservazione della lezione di tutti i mss. Il La Penna, mentre enumera (p. 27) alcuni passi in cui il Marchesi ha sicuramente o probabilmente torto, non fa cenno (tranne che per il v. 302) dei casi, tutto sommato piú numerosi, in cui ha ragione contro Lea e Richter (talvolta la lezione giusta era stata già prescelta da vecchi filologi; ma è pur sempre un merito del Marchesi l'averla rivalutata contro le edizioni allora piú recenti e accreditate). Al v. 715 tantum scelus di A (preferito dal Marchesi contro saevum scelus di E e degli editori) non è sicuro, tuttavia ha, nella sua indeterminatezza, maggior forza enfatica, e l'ipotesi del Marchesi sulla genesi dell'altra lezione non è trascurabile. Al v. 563
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concordo col La Penna (e con tutti gl[...]

[...] congetture; e infatti Marchesi relegò pressoché tutte le congetture di Castiglioni nell'apparato critico, e nell'apparato critico stesso le menzionò, è da credere, piú per cortesia verso l'amico che per fiducia in una loro sia pur vaga probabilità, e parecchie ne omise nella seconda edizione (citandone, in cambio, poche altre, a dire il vero non migliori). Queste mie parole non suonino offesa né sottovalutazione nei riguardi di Castiglioni, uno dei piú acuti e rigorosi filologi del nostro secolo, certamente superiore a Marchesi come crítico testuale: ma non come critico testuale arnobiano.
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Di un altro impulso, secondo me molto piú valido, ricevuto da Marchesi il La Penna fa menzione: « i grandi progressi fatti nella conoscenza del latino tardo soprattutto grazie al Löfstedt, che proprio ad Arnobio aveva dedicato cure particolari ». Ora, il Löfstedt fu, come è noto (non solo nei suoi studi dedicati ad autori o a fenomeni linguistici singoli, ma nella grande opera Syntactica), un critico testuale conservatore, c[...]

[...]tico testuale conservatore, che molto imparò dal Vahlen e dal Wölfin e formò in Svezia una scuola di alto livello. C'è stato, nell'Ottocento e in buona parte del Novecento, un conservatorismo criticotestuale « all'italiana », che in gran parte era rinuncia a interpretare il testo, tendenza a giustificare tutto in ossequio alla « tradizione », rivendicazione grottescamente patriottica di una sorta di « buon senso italico » contro le folli audacie dei filologi tedeschi. Di questo tipo era stato il conservatorismo di Marchesi nelle edizioni anteriori a quella di Arnobio (il che non esclude, come si è visto, che in parecchi casi, a proposito del Tieste di Seneca, egli avesse ragione): sia pure con minore virulenza di un Romagnoli, aveva anch'egli accolto la connotazione patriottica del proprio indirizzo criticotestuale: nell'introduzione al Tieste il Leo e il Richter sono chiamati, in contesti polemici, « gli studiosi tedeschi », « gli editori tedeschi » (pp. 29, 38), e di « pernicioso influsso germanico », di « metodiche aberrazioni della c[...]

[...]co », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapientia » si parla con insistenza — riferendosi anche alla critica testuale — in Filologia
e filologismo (SM, in, pp. 1237, 1241; cfr. La Penna, p. 54). Ben diverso, anche se ebbe i suoi occasionali eccessi, era il conservatorismo criticotestuale della scuola svedese. Esso partiva dallo studio dei testi latini tardi, dai fatti lessicali e sintattici che da un lato anticipavano molti sviluppi delle lingue romanze, dall'altro si riconnettevano al latino arcaico, in parte per consapevole arcaismo, in parte maggiore per riemersione di una ininterrotta corrente di lingua popolare rimasta celata sotto la lingua letteraria degli scrittori dell'età classica. Non si trattava, quindi, da parte del Löfstedt e della sua scuola, di « venerazione » della tradizione manoscritta, ma di lotta contro le congetture normalizzatrici, classicistiche, ciceronianizzanti: lotta che in parte (e senza dubbio con[...]

[...]tore come Arnobio, cosí pieno non solo di volgarismi e arcaismi, ma di espressioni personali, di hapax, quasi tutti disconosciuti dal mediocrissimo editore anteriore al
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 667
Marchesi, August Reifferscheid. Per la prima volta nella sua vita Marchesi si mise a studiare un testo parola per parola, facendo i conti con la linguistica e la filologia fiorite fuori d'Italia, abbandonando (non nella concezione generale dei rapporti tra filologia e critica letteraria, ma nella tecnica filologica sí) il provincialismo. E non si limitò a far tesoro dei contributi altrui: notò egli per primo molte particolarità, inconcinnità sintattiche, stranezze individuali del latino di Arnobio (ricordo un solo esempio fra i tanti: l'uso di homo = corpus contrapposto all'anima, cfr. p. 51, 1 della 2a ed., e aggiungi ai passi citati dal Marchesi p. 58, 17 s.). Alcuni casi di conservatorismo eccessivo vi sono, e il La Penna ha quasi sempre ragione nel notarli (quasi sempre: io credo ancora, e tornerò eventualmente a discuterne altrove, che a pp. 3, 17; 26, 2527, 1; 399, 4 la lezione tramandata sia giusta). Ma sarebbe stato opportuno dare anche, qualche esem[...]

[...]scolari. Tuttavia nel suo Marchesi il Franceschini ci ha narrato un episodio significativo (p. xit s.). Nel 1926, sul finire di una lezione sulla tradizione medievale dell'Etica Nicomachea (di cui si era occupato a lungo da giovane), Marchesi accenna a un testo, il
668 SEBASTIANO TIMPANARO
Liber philosophorum moralium antiquorum, che era sempre rimasto per lui un enigma quanto all'autore, alle fonti, alla lezione di molti passi. Vuole qualcuno dei suoi scolari prenderlo come argomento di tesi di laurea? Si fa avanti Franceschini, sí fa affidare da Marchesi quel lavoro, si ripresenta a Marchesi, dopo aver lavorato da solo, un anno dopo e gli espone i risultati: quel testo è la versione latina di un'opera araba composta nel 1053; ne esistono anche versioni in altre lingue, ed esistono molti altri codici della versione latina, ignoti a Marchesi. « Mi ascoltò silenzioso, con segni evidenti di stupore e d'interesse. Poi mí chiese: "Ma come ha fatto, scusi, a giungere a questi risultati?". Risposi: "Chiedendomi semplicemente se della questio[...]

[...]amandata, le varie proposte congetturali, ché il codice di Arnobio, come si sa, è uno solo) o forse a esercitazioni di seminario su testi medievali: non certo, per ovvie ragioni cronologiche, alle edizioni degli anni 190418, quando Marchesi non aveva ancora quel gusto per la filologia « puntuale » che gli venne piú tardi. Io suppongo, diversamente da Franceschini (op. cit., p. 157), che sia stata questa svolta a non fargli ripubblicare in alcuno dei suoi volumi piú tardi la prolusione Filologia e filologismo, e, aggiungo, a fargli apprezzare lavori di filologia « arida » come gli Studi sui Topici del Riposati (dr. Franceschini, p. 44). Ma, detto tutto ciò, vorrei ancora pregare di non frainten
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 669
dermi: anche nell'ultimo Marchesi la filologia, pur tanto meglio apprezzata e praticata, rimase un'attività marginale.
9. Tommaso Fiore e gli « intellettuali disorganici ». — Se ora, dopo essermi soffermato cosí a lungo sul Marchesi di La Penna (mettendo a dura prova la pazienza dell'eventuale lettore), no[...]

[...] d'altronde, il La Penna traccia di scorcio una caratterizzazione viva e convincente, di crociano forse troppo ortodosso, ma ricco anche di fermenti moralistici e antigiustificazionistici che fuoriescono dal crocianesimo). Convinto come sono da tempo che il concetto di « intellettuale organico », già non immune da forti pericoli in Gramsci stesso, è divenuto fuorviante da quando lo si è esteso ad ambiti e a problemi diversi da quelli in funzione dei quali Gramsci lo aveva ideato, ho letto con particolare gioia queste parole (p. 113 s.):
Anche nell'interpretare Virgilio forse egli [Fiore] guardava a quella catena di intellettuali disorganici, a partire da Bruno e Campanella, da cui una tradizione illuministica e liberale faceva dipendere il progresso culturale e civile in Italia. La catena si colloca in una visione della storia italiana discutibile, forse non ancora adeguatamente discussa; ma quella visione si può dire superata e seppellita? Non mi pare; anche il dibattito attuale su Leopardi sembra dimostrare il contrario. [...] Un pote[...]



da Norberto Bobbio, Umberto Calosso e Piero Gobetti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...] sia consapevole del difficile equilibrio in cui ambisce tenere il proprio lavoro, sempre in bilico tra evocazione e giudizio. Il libro è infatti composto da spunti di pensiero appena abbozzati, da tesi esposte per il solo fatto che si sono presentate alla mente, da verità contraddittorie lasciate liberamente cozzare tra loro; e tutto ciò inframmezzato da amari smascheramenti alla Rochefoucault, da taglienti battute alla Kraus, il grande modello dei primi anni viennesi. Spigoliamo alcuni esempi: « Non fidarsi del dolore: si tratta sempre di un dolore proprio ». « Ognuno dovrebbe vedersi mentre mangia ». O anche: « Voglio morire — ella disse — e inghiotti dieci uomini ». « Porse l'altra guancia finché non vi depositarono sopra una decorazione ». Non mancano neppure opposizioni fulminanti alla Brecht; eccone una che ricorda l'Abbecedario di guerra: « Una schiera di donne incinte; dalla parte opposta vengono avanti camion, carri armati, pieni di soldati opportunamente equipaggiati. I carri sono passati; le donne, in mezzo alla strada, si me[...]

[...]ggerezza, la vacuità, l'abilità puramente scenica di Niccodemi avevano sempre dato terribilmente fastidio, prende di petto lo spettacolo, e condanna la commedia come « irrimediabilmente falsa », definendola con quei tratti incisivi che gli sono abituali « una storia d'amore » che « trattata a mo' di idillio diventa goffo come un'Arcadia plebea »6.
A chi sfogli l'annata del giornale il contrasto fra l'ilare e scanzonato Calosso
3 Nel centenario dei Promessi Sposi, in « Il Baretti », iv, 1927, n. 4, p. 19.
4 Sarmati era il nome di famiglia della madre. Sapegno ricorda che Calosso lo aveva adottato anche perché la Sarmazia richiamava la Russia patria della rivoluzione.
5 Ed ora si può leggere nel volume gobettiano degli Scritti di critica teatrale, curato da G. Guazzotti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 429430.
6 Scritti di critica teatrale, cit., pp. 428430. Sul teatro di Niccodemi Gobetti tornò altre volte e ne trasse un saggio che comparve nell'Opera critica, Torino, edizioni del Baretti, 1927, parte II, pp. 92105, ora anche in Scritti d[...]

[...]astratta e schematica. Il programma politico pecca di ingenuità, di leggerezza e d'immodestia. Si vede benissimo che non è cresciuto sul terreno della lotta quotidiana, non è il frutto di una sofferta esperienza, di un'esperienza che solo il contatto diretto con la classe operaia può far nascere. Il commento continua soffermandosi in modo particolare sulla tesi gobettiana (d'origine salveminiana) dell'alleanza fra il partito operaio e il partito dei contadini, che diventa concretamente e curiosamente l'alleanza fra il partito comunista e il partito sardo d'azione. Dico anche « curiosamente », perché quando Gobetti ristamperà il Manifesto nella parte prima di La rivoluzione liberale il progetto del connubio fra partito comunista e partito d'azione scomparirà. Sta fra la punta polemica: « Rimane da vedere come egli ha tolto il diritto di coronarsi arbitro in mezzo a loro [cioè in mezzo ai due partiti], senza essere mai sceso nelle loro file »; e la critica politica: non si riesce a capire come possano andare a braccetto un movimento intern[...]

[...] gentiliana, missiroliana (« Prezzolini, Gentile, Missiroli: tre uomini senza carattere, interpretati da un giovane di carattere »). Croce venne piú tardi, ma c'erano poi anche Salvemini, Einaudi, Mosca, e i libri del giorno. Se non ci fosse stato l'incontro con « l'Ordine Nuovo » e la classe operaia torinese, tutte queste influenze avrebbero potuto generare « una farandola d'idee senza un centro, una riforma e un liberalismo missiroliano capace dei piú strani funambolismi dialettici, un moralismo prezzoliniano puramente librario ». Non accettò il socialismo ma fu a fianco degli operai. Cosí riuscí a inserire le lotte del lavoro in un liberalismo « di timbro religioso », e ne fece un esempio di « quella riforma morale » che il Risorgimento aveva tentato invano. (Poco prima lo aveva definito « religioso laico » 9.)
Questo ritratto può sembrare oggi un po' di maniera dopoché sul pensiero di Gobetti e sulle sue fonti sono state scritte centinaia di pagine. Ma può sembrare di maniera proprio perché è stato ripetuto da allora infinite volte,[...]

[...]pporti fra Gobetti e « l'Ordine Nuovo » Calosso era già intervenuto una volta e piú a lungo, prima
9 'Piú tardi lo stesso Calosso si definirà « cristiano mazziniano » (dalla relazione di Mariangiola Reineri al convegno su menzionato).
VARIETÀ E DOCUMENTI 335
della prefazione del 1945, in un articolo di ricordi gramsciani pubblicato sui
« Quaderni di Giustizia e Libertà » nel 1933 lo. Lontani ormai i tempi della sua collaborazione al giornale dei comunisti torinesi, giudica quella esperienza con simpatia ma anche con un certo distacco e muove a quel foglio lo stesso rimprovero di « dottrinarismo » che da ordinovista aveva mosso a Gobetti. Giunge addirittura ad attribuire a questo dottrinarismo la scissione del 1921: « una colpa, comune a tutte le frazioni, di cui l'Ordine nuovo ha la sua parte » (ivi, p. 77). Termina con una pagina sui rapporti fra il giornale e Gobetti. Ricorda l'ostilità con cui la prima rivista gobettiana fu accolta da Togliatti. Quindi rievoca l'episodio della conferenza con la quale Gobetti aveva presentato la nu[...]

[...]brizio ». Mentre Fabrizio è un nome romano che ricorda l'onomastica fascista, Fabrizi rievoca il personaggio mazziniano Nicola Fabrizi « vissuto a lungo in quest'angolo perduto [Malta] dove l'esilio mi ha proiettato » (Rettifica, in « Quaderni di Giustizia e Libertà », n. 9, novembre 1933, pp. 9495, firmato « ExFabrizi »).
336 VARIETÀ E DOCUMENTI
piú vivo d'Italia ». (Nell'articolo del 1933 aveva detto de « l'Ordine Nuovo » che era stato « uno dei fogli piú originali che l'Italia abbia avuto », ibidem.)
Tralascio riferimenti minori 11. L'ultimo articolo di Calosso dedicato a Gobetti apparve su « Il Mondo » nel n. del 14 maggio 1949, intitolato Gobetti tra Gramsci e Einaudi. Non sarebbe da ricordare perché in gran parte ripete cose dette nella prefazione del 1945, se non fosse per il riconoscimento dell'importanza che ebbe Einaudi nella formazione del giovane idealista, ideatore di una rivoluzione liberale in un'età in cui era avvenuta la prima rivoluzione socialista della storia. Un riconoscimento tardivo? A dire il vero, Calosso avev[...]

[...]ro, pubblicate su « Il Baretti » un mese dopo la morte (nel n. del 16 marzo 1926), segno che l'incontro fra maestro e discepolo che Einaudi rappresenta mirabilmente in quelle pagine lo aveva colpito. Giacomo Noventa, gobettiano a suo modo, recensendo gli Scritti attuali in quel giornale personale che era la « Gazzetta del nord », disse che la raccolta, preceduta da « un discorso molto superficiale » di Calosso, era riscattata dalla pubblicazione dei ricordi einaudiani « in tutto degni del geniale economista che tutti conoscono; e del moralista e del filosofo, che troppo pochi hanno saputo finora riconoscere nell'economista piemontese » 12. Un rimprovero che non si può estendere a Calosso, di Einaudi grande ammiratore, come dimostra l'episodio della lettera che egli scrisse al « Corriere della sera » del 13 aprile 1948 per lamentare che, eletto presidente, Einaudi non scrivesse piú su quel giornale gli articoli di cui era sempre stato un « assiduo lettore ». A questa lettera il neopresidente rispose sullo stesso giornale del 22 agosto con[...]

[...]la classe operaia torinese rappresentano il punto duro di Gobetti, Einaudi ne rappresenta il punto chiaro, di cui egli aveva bisogno ». Il punto duro e il punto chiaro, il pensiero rivoluzionario e il pensiero liberale, la cui sintesi sarebbe stata la rivoluzione liberale. Ma Calosso non trae una conclusione. Dopo aver detto che la discussione tra Einaudi e Gobetti « ci lascia tutti pensosi » conclude non con una risposta ma con una domanda. Chi dei due avrà ragione?
11 Dei quali ho avuto notizia attraverso le schede della bibliografia gobettiana, apprestata con grande diligenza da Bergami, di prossima pubblicazione come quarto volume delle Opere complete di Piero Gobetti presso l'editore Einaudi. Si tratta di riferimenti o allusioni alla personalità e all'opera di Gobetti nei numerosi articoli che Calosso venne scrivendo prima in esilio e poi dopo la liberazione, nonché di recensioni alla raccolta Scritti attuali, da cui questa mia comunicazione ha preso le mosse.
12 Segnalazione anonima degli Scritti attuali, in « Gazzetta del Nord », I, n. 6, 24 giugno 1946,[...]

[...]editore Einaudi. Si tratta di riferimenti o allusioni alla personalità e all'opera di Gobetti nei numerosi articoli che Calosso venne scrivendo prima in esilio e poi dopo la liberazione, nonché di recensioni alla raccolta Scritti attuali, da cui questa mia comunicazione ha preso le mosse.
12 Segnalazione anonima degli Scritti attuali, in « Gazzetta del Nord », I, n. 6, 24 giugno 1946, p. 1.
VARIETÀ E DOCUMENTI 337
Ho toccato aspetti meno noti dei rapporti fra Gobetti e Calosso. Non ho trattato di proposito il tema alfieriano. Entrambi si erano laureati con una tesi sull'Alfieri, il primo nel 1920, il secondo nel 1922, e ne trassero due libri, L'anarchia di Vittorio Alfieri e La filosofia politica di Vittorio Alfieri, dei quali il secondo fu pubblicato (1923) prima del primo (1924). Il tema alfieriano richiederebbe un ampio discorso sulla fortuna di Alfieri nella tradizione letteraria piemontese che è fuori dal mio tiro. Da ricordare almeno la nota in cui Calosso citò il libro dell'« amico » Gobetti, se non altro perché riprende il tema del gentilianesimo gobettiano in cui ci siamo già imbattuti. La filosofia che Gobetti trova nell'Alfieri sarebbe secondo Calosso la filosofia dell'atto, e la filosofia dell'atto si identifica col liberalismo. Ma se il liberalismo è attivismo e Alfieri è un liberale, sono tutti [...]

[...]oscienza creativa. La sua critica è superiore all'enciclopedismo e al liberalismo sensistico »14. Si capisce, c'è modo e modo d'intendere l'anarchia, o il libertarismo. C'è una concezione etica e una concezione che si potrebbe dire edonistica o utilitaristica o meramente estetica dell'anarchismo. Quella di Gobetti è risolutamente la prima. Si rilegga una delle pagine piú belle
e piú gobettiane del libro: « La religiosità alfieriana è il trionfo dei valori interiori. Le religioni costituite e dogmatiche separano tra autorità gerarchica e umiltà di popolo, tra impero e ubbidienza; alla loro base, piú profonda ancora di ogni esperienza mistica, sta un principio utilitario, un calcolo di cui le classi gerarchicamente piú elevate si servono. La religione della libertà esclude interessi e calcoli, esige, come efficacemente scrive l'Alfieri, fanatismo negli iniziatori,
e negli iniziati entusiasmo di sincerità, in tutti quell'ardore completo per cui non c'è soluzione di continuità tra pensiero e azione. Ne risulta un'unità di apostolato che an[...]

[...]etazione di Gentile che esamina l'Alfieri « solo in relazione alle sue conseguenze patriottiche » (ivi, p. 91). Il proposito di Gobetti è di fare dell'Alfieri il capostipite di una storia « filosofica » del Risorgimento in Piemonte, dove l'accento deve cadere su quel « filosofico », giusto o sbagliato che sia. Una storia certo tutta inventata ma che coi suoi Ornato, i suoi Gioberti, i suoi Bertini, non ha nulla in comune con la storia scolastica dei precursori del Risorgimento. Anche la contrapposizione fra l'interpretazione politica di Gobetti e quella non politica di Calosso, è fuorviante. La politica di Alfieri secondo Gobetti è la religione della libertà che non è politica nel senso abituale del termine essendo invece un atteggiamento etico, che come tale dovrebbe ispirare ogni politica ma non è di per se stesso immediatamente politico. Oserei dire che nell'espressione del titolo « filosofia politica », è piú importante il sostantivo che l'aggettivo.
Resta il problema di capire le ragioni dell'alfierismo di questi due personaggi cos[...]

[...]rittori politici. Per Gobetti si potrebbe trovare una ragione della sua passione alfieriana anche nel « piemontesismo », ma per Calosso questa ragione non vale perché proprio in una nota del suo Alfieri canzona gli amici piemontesisti ed equipara il piemontesismo al filisteismo i'. Il motivo fondamentale che spinge i due amici a cercare l'Alfieri è uno solo: l'anelito verso la libertà, tanto piú forte e irresistibile in quanto proprio negli anni dei loro studi alfieriani era soffocato. Se Alfieri sia stato piú filosofo o piú poeta è una vecchia questione, dibattuta tra i suoi commentatori, sin da quando la pose Leopardi. Si potrebbe dire a mo' di conclusione che per Gobetti Alfieri fu piú il filosofo della libertà, per Calosso piú il poeta is. Ma non vorrei che anche questa distinzione, come tutte le distinzioni troppo nette, fosse un po' forzata. L'unica cosa certa è che pur nel diverso modo di avvicinarsi al loro personaggio Gobetti e Calosso furono attratti dallo stesso amore della libertà, e ne resero con la loro vita un'alta testimo[...]

[...]di conclusione che per Gobetti Alfieri fu piú il filosofo della libertà, per Calosso piú il poeta is. Ma non vorrei che anche questa distinzione, come tutte le distinzioni troppo nette, fosse un po' forzata. L'unica cosa certa è che pur nel diverso modo di avvicinarsi al loro personaggio Gobetti e Calosso furono attratti dallo stesso amore della libertà, e ne resero con la loro vita un'alta testimonianza cui ben si apporrebbe la citazione di uno dei tanti forti versi che l'odiator di tiranni dedicò alla « bella e terribil dea ».
NORBERTO BOBBIO
16 M. FusINI, Saggi e ricordi, MilanoNapoli, 1971, p. 214.
i~ L'anarchia di Vittorio Alfieri, cit., p. 24. Calosso si riferiva probabilmente all'articolo di N. SAPEGNO, Il Piemonte e le province, in « La rivoluzione liberale », i, n. 35, 30 novembre 1922, p. 131.
18 Su Alfieri poeta della libertà, vedi M. BONI, Sull'Alfieri politico, Modena, Soc. tip. editrice modenese, 1963, e autori ivi citati, p. 33 e ss. Ma vedi anche le osservazioni di A. GAROSCI, La critica di Calosso, in « Comunità », x[...]



da (Nove domande sullo stalinismo) Giuseppe Chiarante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1956 - 5 - 1 - numero 20

Brano: [...]della socialdemocrazia e del radicalismo. L'epoca di Stalin viene da tali correnti considerata come una dolorosa, se pur forse inevitabile, fase di arresto e di deviazione rispetto alla linea e alla ideologia leninista: arresto e deviazione imposti dalle necessità di un paese arretrato, avente alle sue spalle secolari tradizioni storiche di tipo autocratico. Una simile tesi, ovviamente, conduce ad un atteggiamento di attesa: l'attesa che la fine dei pressanti condizionamenti storici permetta all'Unione Sovietica e al proletariato mondiale di riprendere costruttivamente il proprio discorso là dove esso si era interrotto, e cioè all'irrisolta opposizione fra la Seconda Internazionale e il leninismo.
La terza tesi, infine, che é stata sino agli ultimi tempi soste
nuta dai partiti e dagli uomini di cultura comunisti — giudica lo stalinismo nulla di più che un fedele sviluppo e una laboriosa continuazione della rivoluzione d'Ottobre, minacciata in tutto il trentennio staliniano dalla pressione internazionale della borghesia e dalle deviazio[...]

[...]lto questo schieramento. Se da un lato infatti, denunciando gli aspetti più autoritari del sistema di governo staliniano, esso ha posto in luce la debolezza di ogni posizione rigidamente conformista e dogmatica; d'altro lato, per il fatto di porsi come continuatore ed erede dell'opera staliniana, ha pure indicato l'insufficienza delle posizioni acriticamente e indiscriminatamente polemiche. In tal modo oggi, liberatasi la ricerca dalle pressioni dei 'più immediati interessi di parte, sembra aprirsi la via per un reale approfondimento storiografico intorno a quel periodo.
Questo ripensamento, però, non accenna ancora ad avvenire: anzi per molti aspetti la pubblicistica politica e culturale sulla questione sembra, dopo il XX congresso, avere più regredito che avanzato.
Innanzitutto, infatti, appare oggi molto forte la tentazione dei giudizi moralistici, rivolti a soppesare con illuministica pedanteria e sovente con malcelato livore l'opera del grande rivoluzionario scomparso. Su questa linea anche i nuovi dati venuti finalmente alla luce, anziché essere criticamente vagliati e organizzati perché ne risulti illuminato il quadro d'assieme, finiscono col fornire solo l'occasione per sbrigativi atti d'accusa o per querimoniose denunce. Tutto questo, comunque, può ben essere giudicato fenomeno transitorio, naturale e temporaneo contraccolpo di una polemica che durava da anni.
Ma su questa base si va pure facendo luce, e semb[...]

[...]mpirismo e di « buon senso », indifferente all'unità del //i~segno interpretativo, fondata su di una serie di approssimative e Assurde « distinzioni ». Viene così talora proposta una « distinzione » fra i fondamenti della politica staliniana e i suoi strumenti di realizzazione, quasi che questi nascessero dalle intemperanze personali del loro ispiratore; viene azzardata una « distinzione » fra il periodo della lotta contro le deviazioni e quello dei processi, quasi che questi non abbiano rappresentato il necessario se pur doloroso proseguimento di quella; viene addirittura affermata una distinzione fra Stalin e il regime, quasi che per mera coincidenza egli ne sia rimasto il leader per un tren
GIUSEPPE CHIARANTE 17
tenno guidandone la costruzione e il consolidamento. Su questa via, ovviamente, si giunge ben presto all'assurdo scientifico di considerare l'ultimo ventennio di politica sovietica una parentesi priva di significanza storica, se non per il fatto di aver in via pratica consolidato lo stato socialista e di averne salvaguardato[...]

[...]ificanza storica, se non per il fatto di aver in via pratica consolidato lo stato socialista e di averne salvaguardato l'esistenza; e si finisce col vagheggiare una sorta di scolastico e astratto « ritorno al leninismo ». Diviene quasi naturale, se questa fosse la strada sulla quale si procederà, rimpiangere gli inesatti ma coraggiosamente coerenti giudizi del passato.
Permetta quindi — caro Carocci che, temendo le secche del « buon .senso » e dei « distinguo », eviti di rispondere singolarmente alle numerose e interessanti questioni che lei pone; e cerchi invece, per comodità di metodo, di ridurle (riferendomi soprattutto a quelle indicate al terzo, al quarto, al quinto e al sesto punto), a questi tre essenziali quesiti, così da tentare un giudizio d'assieme sullo stalinismo:
1) Lo stalinismo, nel suo complesso, rappresenta un momento essenziale e necessario della rivoluzione socialista in Unione Sovietica ?
2) La rivoluzione sovietica e lo stalinismo in particolare rappresentano una esperienza politica collegata in modo esclusivo a[...]

[...]
zione sovietica solo nella misura in cui si riesca a dimostrare: 1) che la tesi sull'edificazione socialista in un solo paese era una verità scientificamente accertabile; 2) che da essa derivava, in via di stretta necessità, un grave irrigidimento nel sistema di gestione del potere.
Il primo punto di questa dimostrazione non parrebbe, in sé, molto arduo e complesso. Gran parte degli stessi avversari di Stalin, infatti, pressati dall'eloquenza dei successi sovietici, non possono ormai evitare un riconoscimento dell'esattezza della posizione staliniana sull'edificazione del socialismo in un solo paese. Ma, anche a voler trascurare l'obiezione classica dei trotskisti (i quali insistono nel sostenere che la rivoluzione non si è trasmessa all'Occidente perché con troppa tepidezza e troppi errori si è perseguito tale obiettivo), rimane di fatto che se non si approfondisce l'analisi sulla natura e sulle implicazioni di questa tesi di Stalin, non si può neppure cogliere il significato complessivo della sua politica e tanto meno storicamente comprendere gli aspetti più coercitivi e autoritari della sua gestione del potere.
Tutti coloro infatti — fra i critici del grande rivoluzionario, socialdemocratici o radicali di sinistra che fossero — che pur h[...]

[...]omprendere gli aspetti più coercitivi e autoritari della sua gestione del potere.
Tutti coloro infatti — fra i critici del grande rivoluzionario, socialdemocratici o radicali di sinistra che fossero — che pur hanno ammesso l'esattezza del principio dell'edificazione del socialismo in un solo Stato, hanno però sempre considerato tale linea una semplice scelta politica suggerita dalle circost ‘ize, che, come tale, non mutava i termini sostanziali dei proble _1 rivoluzionari. Diveniva.
allora logico che, nella misura in cui stalinismo si allontanava
dagli schemi di direzione politica consueti al marxismoleninismo, se ne denunciasse la degenerazione, la involuzione illiberale.
Ma, a mio avviso, così non é. La tesi staliniana sull'edificazione del socialismo rappresenta — almeno a me pare — l'accertamento scientifico di una situazione storica per molti aspetti non prevista da Marx o da Lenin, e che era tale, per le sue concrete condizioni,. da comportare una forma molto rigida di gestione del potere.
Certo questa « novità » della posizio[...]

[...]mmediate della politica sovietica che l'inizio di una seria revisione o tanto meno la già avvenuta elaborazione di una nuova posizione di principio.
***
Rispetto a tutfe queste posizioni profonda appare invece l'innovazione staliniana: così sul piano politico come su quello teorico e metodologico.
Stalin fondò infatti la sua politica — mi pare sia legittimo affermarlo — su di un giudizio del tutto nuovo e arrovesciato rispetto alla situazione dei sistemi sociali dell'occidente capitalistico. In quei paesi — egli sostenne — non era dato ancora ravvisare (allora e probabilmente per lungo tempo) le condizioni necessarie ad una rivoluzione socialista. In tal modo l'URSS non era più semplicemente il punto di avvio di un processo che subito avrebbe trovato al di fuori delle sue frontiere il proprio principale sostegno, ma rappresentava un'esperienza rivoluzionaria autonoma, il naturale punto di applicazione delle forze proletarie al livello da esse raggiunto nel 1917, il sicuro fondamento di ogni nuovo, futuro tentativo. Diveniva perciò nec[...]

[...]iando sulle sole energie locali, senza cioè poter « giovare dell'aiuto economico del proletariato occidentale al potere » (Trotski) e sotto la pressione di uno schieramento imperialistico ricostituito nella sua unità e nella sua forza.
Da quel momento la tesi marxiana secondo la quale la rivolu' zione rappresentava il punto conclusivo del naturale sviluppo capitalistico e doveva quindi combattere la sua prima e decisiva battaglia entro l'ambito dei paesi economicamente progrediti veniva definitivamente superata. E, su questa base, è facile comprendere come l'innovazione staliniana, al di là del suo contenuto specifico, rappresentasse anche un importante e difficile passo in avanti del movimento operaio nel senso di liberare la sua dottrina così dalle eredità metafisicheggianti della sua origine hegeliana come dalle interpolazioni meccanicistiche che, in quando ideologia di una
22 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
classe subalterna, essa non aveva potuto in un primo periodo non subire.
Cosa distingue infatti la posizione di Stalin da quella,[...]

[...] simile a quella condotta da Lenin sul problema della pace di BrestLitowsk contro l'astrattismo dottrinario di un Bukarin) per ridurre realmente il marxismo alla sua esatta funzione di c scienza dello sviluppo della società » ?
Analoga considerazione può riferirsi al problema del superamento del determinismo. Edificare il socialismo in un solo paese, in condizioni economiche arretrate, trascinando enormi masse non proletarie, sotto la pressione dei tentativi controrivoluzionari della borghesia internazionale: é questo un disegno che, quanti altri mai, sottolinea le capacità dell'uomo, della classe, del partito, nel mutare il mondo circostante, nel superare gli ostacoli creati dalla storia e dalla natura.
Quella frase di Lenin, che fu più volte utilizzata da Zinoviev, e Ho già avuto occasione di dire: per i russi, in confronto ai paesi avanzati, é stato più facile iniziare la grande rivoluzione proletaria; ma sarà per essi più difficile continuarla e condurla sino alla vittoria definitiva, nel senso della completa organizzazione della s[...]

[...]e continuarla e condurla sino alla vittoria definitiva, nel senso della completa organizzazione della società .socialista» (5), anzi che divenire occasione per il disfattismo e la rinuncia, diveniva così, per Stalin, un drammatico incitamento alla lotta e al sacrificio rivolto ai proletari e ai contadini sovietici.
***
Posizione profondamente rinnovata, quindi, quella staliniana.
Ma era anche l'unica posizione esatta ?
Dimostrarlo sulla base dei testi di Stalin sarebbe forse un'im
(5) Lenin, Opere, vol. XXIX pag. 284.
GIUSEPPE CHIARANTE 23
presa complessa e difficile. Il fatto é che la scelta staliniana fu, in primo luogo e sovrattutto, scelta di un politico, intuizione di un uomo di Stato. Non sempre e non del tutto, perciò, il suo stesso autore riuscì a difenderla con chiarezza e persuasività di argomenti teorici.
Altro però diviene il discorso potendo usare, come noi possiamo, gli strumenti dei posteri: avendo cioè a disposizione la conoscenza dell'ulteriore sviluppo storico e i più elaborati strumenti concettuali che la situa[...]

[...]alin sarebbe forse un'im
(5) Lenin, Opere, vol. XXIX pag. 284.
GIUSEPPE CHIARANTE 23
presa complessa e difficile. Il fatto é che la scelta staliniana fu, in primo luogo e sovrattutto, scelta di un politico, intuizione di un uomo di Stato. Non sempre e non del tutto, perciò, il suo stesso autore riuscì a difenderla con chiarezza e persuasività di argomenti teorici.
Altro però diviene il discorso potendo usare, come noi possiamo, gli strumenti dei posteri: avendo cioè a disposizione la conoscenza dell'ulteriore sviluppo storico e i più elaborati strumenti concettuali che la situazione attuale obiettivamente ci offre.
Tutta la storia più recente sta infatti a dimostrare — mi sembra — che nei paesi capitalistici non sono esistite per quasi tutta l'epoca staliniana (fino cioè, più o meno, alla guerra antifascista e alla rivoluzione cinese) quelle condizioni obiettive necessarie alla rivoluzione, che già Lenin aveva con precisione indicato. Vediamo, brevemente, di verificarlo.
In primo luogo dopo la prima guerra mondiale, non si ripeté p[...]

[...] masse di medio ceto facilmente egemonizzabili dalla borghesia di fronte alla prospettiva di una rivoluzione meramente proletariacontadina. E d'altra parte tutti i tentativi per risolvere questo problema avrebbero condotto, prima delle condizioni nuove create dall'ultimo conflitto, a cedimenti e deviazioni opportunistiche: la borghesia ancora forte, unita ed egemone, poteva facilmente corrompere e ricattare i medi ceti.
Infine l'esperienza dei fronti popolari e dei governi tripartiti ha dimostrato che, anche quando eccezionali congiunture hanno permesso al proletariato occidentale di rompere il suo isolamento e di inserirsi in larghe alleanze democratiche, esso ancora non aveva raggiunto un sufficiente livello teorico, non aveva precisato pienamente una prospettiva rivoluzionaria adeguata alle condizioni storiche in cui si trovava ad operare. Ogni qualvolta infatti si trattò di assumere in positivo la direzione politica e sociale dei paesi dell'Occidente, i partiti comunisti, non potendo disporre di uno schema statuale altrettanto adeguato ai sistemi so[...]

[...]mostrato che, anche quando eccezionali congiunture hanno permesso al proletariato occidentale di rompere il suo isolamento e di inserirsi in larghe alleanze democratiche, esso ancora non aveva raggiunto un sufficiente livello teorico, non aveva precisato pienamente una prospettiva rivoluzionaria adeguata alle condizioni storiche in cui si trovava ad operare. Ogni qualvolta infatti si trattò di assumere in positivo la direzione politica e sociale dei paesi dell'Occidente, i partiti comunisti, non potendo disporre di uno schema statuale altrettanto adeguato ai sistemi sociali di tali paesi quanto lo era stato quello sovietico per la Russia, finirono col pregiudicare la loro intesa coi ceti medi e talvolta col compromettere l'alleanza stessa tra operai e contadini. Ogni aspetto, insomma, dello sviluppo storico ulteriore non può che confermare l'esattezza del giudizio staliniano.
Ma c'è di piú: non solo le condizioni rivoluzionarie obiettivamente mancavano in Occidente; ma esse anche in linea di principio non potevano esistere, e quind[...]

[...]i oggi possiamo infatti verificare come, sulla base dello sviluppo storico obiettivo e di una matura coscienza teorica del movimento operaio, venga correttamente a porsi ii problema della rivoluzione nei paesi capitalistici avanzati. Già Stalin, nel suo ultimo scritto aveva notato: «Questa forza [la forza rivoluzionaria] si è

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trovata nel nostro paese sotto la forma di una alleanza della classe operaia e dei contadini. Questa forza non la si è ancora trovata per gli altri paesi, per i paesi capitalistici». (6). Il XX congresso del PCUS ha poi precisato su quale linea questa ricerca debba essere condotta: sulla linea di un progressivo allargamento delle forme del potere operaio così da permettere un più compiuto rispetto delle conquiste teoriche e istituzionali del liberalismo.
Simili affermazioni nel passato avrebbero dato immediatamente l'avvio a degenerazioni opportunistiche. Come possono rappresentare oggi la via corretta per lo sviluppo politico del proletariato occidentale ? Evidentemente p[...]

[...]o della quale il proletariato, giunto in alcuni paesi arretrati a piena maturazione statuale, era chiamato a sollecitare la rottura dell'egemonia liberalborghese e insieme a correggere la logica catastrofica del processo capitalistico.
Da quanto sono venuto fin qui esponendo penso si possa, ragionevolmente, dedurre una spiegazione e una giustificazione storica delle stesse forme di direzione politica staliniana.
Quali erano, infatti, sul piano dei concreti problemi di politica
(6) Stalin, I problemi economici del socialismo in URSS, pag. 9.
GIUSEPPE CHIARANTE
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interna le dirette, gravissime conseguenze che derivano dalla necessità di edificare, con le sole forze sovietiche, una integrale società socialista ? Analizziamole cercando di seguire a grandi linee lo sviluppo cronologico della politica di Stalin.
In primo luogo la rinuncia alla rivoluzione mondiale comportava necessariamente una fiera lotta all'interno del partito bolscevico. Non dobbiamo infatti dimenticare, da un lato, quanto quella tesi suo[...]

[...]e che derivano dalla necessità di edificare, con le sole forze sovietiche, una integrale società socialista ? Analizziamole cercando di seguire a grandi linee lo sviluppo cronologico della politica di Stalin.
In primo luogo la rinuncia alla rivoluzione mondiale comportava necessariamente una fiera lotta all'interno del partito bolscevico. Non dobbiamo infatti dimenticare, da un lato, quanto quella tesi suonasse nuova alla sensibilità ideologica dei quadri leninisti e, dall'altro, come il partito bolscevico si fosse sviluppato, avesse formato i propri dirigenti in Occidente, relativamente lontano dalla politica concreta e dalle grandi masse della popolazione. Certo tutte queste naturali resistenze avrebbero in via del tutto astratta potuto essere vinte attraverso una lotta ideologica corretta, senza ricorrere agli strumenti meno democratici della burocratizzazione del partito. Ma era questa una reale carta a disposizione di Stalin ? Realisticamente bisogna convenire di no. In primo luogo, lo abbiamo già detto, l'elaborazione della sua te[...]

[...]ganizzativa che la sua carica di segretario generale gli offriva. Recriminare su quella prassi significa di fatto, anche se quest'affermazione può parere brutale, rimpiangere la sconfitta di Trotzki.
In secondo luogo, la costruzione di un'economia socialista in un solo paese, per di più arretrato, comportava sacrifici, errori, battaglie durissime. Era necessario mantenere un livello di consumi necessariamente molto basso, contenere la pressione dei «nepmans» e dei kulaki, battere le tendenze individualistiche dei contadini,
GIUSEPPE CHIARANTE 27
organizzare attraverso successive approssimazioni un nuovo tipo di produzione senza che la corruzione, il burocraticismo, la pigrizia avessero il sopravvento. È evidente come in tale situazione potessero facilmente mettersi in movimento fortissimi spinte disgregatrici: ed è in questo clima di estrema tensione che si spiegano, nel corso del primo piano quinquennale, le prime epurazioni nel partito e la lotta violenta per la liquidazione dei kulaki. E, in effetti, fossero o meno complici nella congiura Zinoviev e Kamenev, è o non è vero che proprio sulla base [...]

[...]RANTE 27
organizzare attraverso successive approssimazioni un nuovo tipo di produzione senza che la corruzione, il burocraticismo, la pigrizia avessero il sopravvento. È evidente come in tale situazione potessero facilmente mettersi in movimento fortissimi spinte disgregatrici: ed è in questo clima di estrema tensione che si spiegano, nel corso del primo piano quinquennale, le prime epurazioni nel partito e la lotta violenta per la liquidazione dei kulaki. E, in effetti, fossero o meno complici nella congiura Zinoviev e Kamenev, è o non è vero che proprio sulla base della loro opposizione si era venuta organizzando quella revitalizzazione. di spinte anarchiche e sovversive che condusse all'assasinio di Kirov ? E quali che fossero le intenzioni di Bukarin, la ripresa dell'economicismo e del gradualismo da lui compiuta non rappresentava nel partito la carta migliore per le resistenze sociali del capitalismo morente e per i tentativi controrivoluzionari ? Era o non era quello, in definitiva, un momento di « estremo pericolo per la repubbli[...]

[...]ettare: ammettiamo pure che l'opera di Stalin rappresenti la necessaria linea di sviluppo, nelle concrete condizioni in cui si trovava l'Unione Sovietica, della rivoluzione leninista del 1917. Ciò non toglie che essa rappresenti una via di edificazione del socialismo adeguata soltanto alla situazione di un paese arretrato quale era la Russia, e perciò di gran lunga inferiore alla via, gradualistica nei suoi metodi e rispettosa nella sua sostanza dei classici istituti dello Stato liberale, indicata già da tempo dall'interpretazione socialdemocratica del marxismo.
E chiaro qual è il corollario che discende da questa tesi: la rivoluzione sovietica non è in alcun modo un fatto di' valore mondiale
e perciò da essa ben poco ha da apprendere l'evoluto socialismo europeo; anzi la Russia stessa, colmato il distacco che la separava nel grado di sviluppo economico dalle più progredite nazioni dell'Occidente, è a sua volta destinata, per uscire dall'ancor barbarica autocrazia staliniana, ad assumere le più « civili » strutture politiche delle mode[...]

[...]a dalla socialdemocrazia di sinistra é possibile dare anche un significato piú ampio e di fondo: e in tal
caso con essa vengono di fatto a consentire anche gli eredi della più matura e conseguente tradizione liberale (Si ricordino, ad esempio, gli articoli pubblicati su questa stessa rivista da Norberto Bobbio). Ci si può cioè domandare: un processo rivoluzionario che in vista della realizzazione di un'economia socialista comporti il sacrificio dei tradizionali istituti di libertà, non implica un prezzo troppo alto perché si possa essere disposti ad accettarlo? Non conviene invece ricercare una diversa via di sviluppo, in cui la libertà si congiunga alla giustizia, in cui le necessarie trasformazioni economicosociali non entrino in opposizione con i classici ordinamenti democratici ?
La conseguenza di una tale obiezione è evidentemente questa: che si riconosce in certa misura l'importanza storica dell'opera staliniana, specie in considerazione delle caratteristiche die paese premoderno proprio della vecchia Russia zarista; ma che si st[...]

[...]ì aprire la strada ad una più ampia libertà. I motivi su cui tale necessità si fonda possono cosí essere sintetizzati (mi attengo, per ora, alle formulazioni date al problema da Lenin e Stalin in,relazione alla situazione sovietica):
(7) Stalin, Opere, vol. VI, pag. 137.
GIUSEPPE CHIARANTE 33
a) anche dopo la conquista del potere politico da parte del proletariato, la borghesia, rimane, ancora per un certo tempo, la classe più forte sul piano dei rapporti economicosociali, in quanto in tale sfera essa può disporre di strumenti di cui il proletariato é privo. Perciò il rovesciamento del nuovo assetto politico diviene inevitabile se il proletariato non fa un uso autoritario del potere di cui é venuto a disporre (cfr.: Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky: «Ancora per lungo tempo dopo la rivoluzione gli sfruttatori conservano inevitabilmente una serie di enormi vantaggi di fatto: rimangono loro il denaro, che non si può sopprimere immediatamente, una certa quantità di beni mobili, spesso considerevoli; rimangono loro l[...]

[...]e media borghesia, ma anche la piccola borghesia e il medio ceto. Lo strumento politico della dittatura del proletariato si manifesta perciò necessario per poter condurre avanti vittoriosamente un processo di sviluppo tanto faticoso (cfr.: Lenin, Discorso agli operai ungheresi: «Lo scopo [della dittatura del proletariato] é di creare il socialismo, di eliminare la divisione sociale della società in classi, di fare di tutti i membri della società dei lavoratori, di togliere la base ad ogni sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Questo scopo non può essere raggiunto di colpo: esso esige un periodo abbastanza lungo di transi
(8) Lenin, Opere, vol. XXIII pag. 354.
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zione dal capitalismo al socialismo, perché la riorganizzazione della produzione è cosa difficile, perché occorre del tempo per operare delle trasformazioni radicali in tutti i campi della vita, perché la forza enorme dei costumi economici piccoloborghesi può essere superata soltanto attraverso una lotta lunga e accanita » (9).
e) Infine, non v[...]

[...]ere la base ad ogni sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Questo scopo non può essere raggiunto di colpo: esso esige un periodo abbastanza lungo di transi
(8) Lenin, Opere, vol. XXIII pag. 354.
34 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
zione dal capitalismo al socialismo, perché la riorganizzazione della produzione è cosa difficile, perché occorre del tempo per operare delle trasformazioni radicali in tutti i campi della vita, perché la forza enorme dei costumi economici piccoloborghesi può essere superata soltanto attraverso una lotta lunga e accanita » (9).
e) Infine, non va dimenticato che lo Stato socialista si viene edificando sotto la pressione della borghesia internazionale che fa gravare su di esso una continua minaccia di guerra; e ciò comporta inevitabilmente restrizioni e sacrifici.
Questo lungo richiamo alle tesi di Lenin e Stalin sulla dittatura del proletariato mi è parso necessario perché ritengo che esso ponga bene in luce come, nello sviluppo della rivoluzione sovietica, tale forma di gestione del potere non sia stata il f[...]

[...]tto mondiale.
É per questo che la vicenda politica staliniana, anziché essere considerata come un fenomeno tipico di un paese arretrato, va storicamente collocata come un fatto di indubbio valore universale. Certamente oggi, spezzatosi l'accerchiamento capitalista e superata la fase del socialismo in un solo Stato, anche il concetto di dittatura del proletariato può essere, non solo nella teoria ma anche nella pratica, progressivamente depurato dei suoi caratteri oppressivi e violenti, e venire inteso soprattutto come la dottrina della necessaria egemonia del proletariato all'interno di un fronte di alleanza che fornisca una base stabile per l'edificazione del socialismo. E del resto Stalin stesso, nei Principi del leninismo, scriveva già nel 1924: u Certo in un avvenire lontano, se il proletariato vincerà nei principali paesi capitalistici e se l'attuale accerchiamento capitalistico sarà sostituito da un accerchiamento socialista, una via pacifica di sviluppo sarà del tutto possibile per alcuni paesi capitalistici, in cui i capitalisti[...]

[...].
Ma ciò che anche nella nuova situazione rimane valido é il nucleo essenziale della dottrina della dittatura del proletariato: rimane cioè valido che, solo sotto la piena e stabile egemonia di una forza quale "quella proletaria, che ha conquistato una completa autonomia rispetto alla classe borghese e non è disposta ad alcun compromesso con l'assetto privatistico della proprietà, é possibile il superamento delle contraddizioni capitalistiche e dei progressivi sacrifici di libertà che queste fatalmente comportano. É vero che lo sviluppo dello assetto mondiale rende oggi non' più utopistico, nei
(10) Stalin, Opere, vol. VI pag. 147.
1
36 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
paesi d'occidente, cercare di far si che l'egemonia proletaria possa attuarsi in modo pieno senza comportare l'istituzionalizzazione di metodi autoritari e violenti di governo. E ciò può realizzarsi ricercando una vasta alleanza di forze politiche (distinte dal partito proletario essenzialmente per i loro fondamenti ideali, come può essere il caso dei cattolici o dei quadri[...]

[...] non' più utopistico, nei
(10) Stalin, Opere, vol. VI pag. 147.
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36 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
paesi d'occidente, cercare di far si che l'egemonia proletaria possa attuarsi in modo pieno senza comportare l'istituzionalizzazione di metodi autoritari e violenti di governo. E ciò può realizzarsi ricercando una vasta alleanza di forze politiche (distinte dal partito proletario essenzialmente per i loro fondamenti ideali, come può essere il caso dei cattolici o dei quadri tecnici e intellettuali eredi della migliore tradizione liberale), che siano disposte a collaborare col proletariato nella lotta a fondo contro la borghesia per l'abbattimento della struttura capitalistica, ma che al tempo stesso permettano di dare un più largo respiro al processo rivoluzionario, così che questo possa svilupparsi in modo da riassorbire e riqualificare le migliori conquiste della civiltà liberale (dalla pluralità dei partiti giustificata in base non a contrapposizione di classe ma a distinzioni di correnti ideali, alla non identificazione fra partito e Stato, al rispetto dell'autonomia delle diverse dimensioni in cui si viene svolgendo la vita della società civile). Ma una cosa non va dimenticata: ed è che se oggi un tale allargamento di respiro del movimento proletario é possibile, senza che questo significhi corrompimento opportunistico o cedimento all'egemonia borghese, ciò é solo perché esiste ormai un saldo punto d'appoggio costituito da quel mondo socialista che proprio la gigantesca tenacia di Stal[...]

[...] la sua candidatura a forza egemone dello sviluppo politico.
In questa situazione i metodi di governo accentuatamente
GIUSEPPE CHIARANTE 39
rigidi e autoritari usati da Stalin si rivelano non più necessari; ed anzi essi, in quanto comportano un massimo di conservazione nella teoria e nella prassi, un massimo di imbrigliamento allo sviluppo di nuove energie politiche e culturali, divengono obiettivamente un soffocante impaccio per la soluzione dei nuovi problemi cui il movimento proletario russo ed internazionale si trova di fronte.
Appunto per questi motivi, per l'ultimissima fase della politica di Stalin può forse essere in parte legittimo quel giudizio più accentuatamente negativo di cui ho cercato di mostrare l'infondatezza in riferimento ai periodi precedenti. Il suo naturale pessimismo, le abitudini mentali e pratiche create da lunghi anni di potere, la difficoltà di innovare in profondità formulazioni culturali ormai da tanto tempo assimilate, sembrano infatti aver condotto Stalin, anche dopo il successo della rivoluzione cines[...]

[...]
Ci si può ad esempio chiedere se la critica del mito della personalità e il ripristino della direzione collegiale, possano essere,
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senza una maggiore circolazione di libertà, una sufficiente via di superamento delle forme staliniane di gestione del potere; e in tal caso si può agevolmente rispondere che ulteriori passi avanti sono evidentemente necessari. Così pure si può senza troppo azzardo ipotizzare che anche dei cambiamenti istituzionali si renderanno, in un futuro più o meno lontano, necessari in URSS.
Ma quando da queste indicazioni tendenziali si cerca di passare a fomulazioni più precise e concrete, non si possono dimenticare due avvertimenti che sono — io credo — fondamentali. Innanzitutto un processo di sviluppo quale quello che si vorrebbe delineare non può realizzarsi positivamente attraverso clamorosi e azzardati rovesciamenti di scena, ma richiede approfonditi ripensamenti e responsabile cautela: il che significa che sarebbe errato richiedere miracolistiche ed improvvise soluzioni agli att[...]

[...]izioni, lo sforzo già iniziato da Lenin e da Stalin per liberare la dottrina su cui il proletariato ha fondato le sue fortune da ogni implicazione metafisicheggiante e così portarla al suo esatto significato di scienza della politica e dello Stato. Solo infatti depurando la politica dai vizi ideologici, e cioè dalla tentazione di porsi metafisicamente come scienza di tutta la realtà, è possibile pervenire a un pieno riconoscimento dell'autonomia dei diversi momenti in cui si organizza la vita complessa della società umana (dalla dimensione del privato e dall'individuale alla cultura e alla religione) e così dare concretezza alle più ricche possibilità di libertà offerte da una società non più borghese.
E su questa linea — già vi ho accennato — che è a mio parere possibile un fecondo sviluppo del movimento proletario in Occidente: la riduzione della politica alla sua esatta funzione (ormai possibile per il fatto che il movimento operaio ha consolidato la sua piena autonomia rispetto alla borghesia e questa ha perduto l'egemonia mondiale)[...]

[...]i ho accennato — che è a mio parere possibile un fecondo sviluppo del movimento proletario in Occidente: la riduzione della politica alla sua esatta funzione (ormai possibile per il fatto che il movimento operaio ha consolidato la sua piena autonomia rispetto alla borghesia e questa ha perduto l'egemonia mondiale) può consentire di riprendere, riqualificandole all'interno di un più ricco contesto, alcune essenziali conquiste libe rali (pluralità dei partiti, distinzione fra partito e Stato, tradizionali libertà dell'individuo, ecc.); e con ciò porre le basi per un incontro fra il proletariato e altre forze che non sono organicamente collegate con l'assetto borghese ma sono tuttavia rimaste sinora diffidenti nei confronti del comunismo, in quanta comprensibilmente temono che da questo possa venir compromesso il patrimonio culturale filosofico o religioso cui si richiamano.
E evidente che queste innovazioni di sostanza comportano
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anche profonde innovazioni di metodo: in particolare diviene necessario un pro[...]

[...]fico o religioso cui si richiamano.
E evidente che queste innovazioni di sostanza comportano
42 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
anche profonde innovazioni di metodo: in particolare diviene necessario un progressivo passaggio a una forma non più rigida di gestione del potere, che consenta quella libera circolazione delle idee che é condizione di una nuova elaborazione teorica e pratica. Ma ciò che più importa rilevare è che questo sviluppo richiede dei considerevoli passi avanti teorici non solo rispetto a Stalin ma anche rispetto al leninismo nel suo complesso.
Dei passi avanti, tuttavia, che, appunto in quanto tali, non possono verificarsi — torno a ripeterlo — se non sulla base di una piena comprensione del valore dell'opera di Lenin e di Stalin. Ed è per questo che la politica staliniana, che è stata per tanti anni il segno di contraddizione intorno a cui si è intrecciato il dibattito fra la libertà « nuova » e la libertà « antica », fra la dittatura del proletariato e la democrazia borghese, non potrà prima o poi non configurarsi, ad una analisi spassionata, sotto una veste nuova: e cioè — io credo — come un momento essenziale di un processo che con[...]



da Alan Lomax, Nuova ipotesi sul canto folcloristico italiano nel quadro della musica popolare mondiale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: NUOVA IPOTESI
SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO
NEL QUADRO DELLA MUSICA POPOLARE MONDIALE
Anche elaborato e perfezionato all'estremo il nostro sistema di notazione musicale rimane inadeguato quando si tratti di fissare sulla carta la musica folkloristica e primitiva, e cib non soltanto per via della varietà delle scale e della complessità dei disegni melodici e ritmici che si riscontrano nelle diverse parti del mondo, ma anche perché i popoli non europei hanno interessi musicali che il nostro sistema di notazione non è in grado di registrare. Quegli aspetti stilistici che conferiscono appunto alla musica folklostica e primitiva il suo speciale sapore addirittura scompaiono nel pentagramma o si perdono in una profusione di fioriture e di simboli speciali. Non é possibile quindi fondare uno studio scientifico della musica sull'esame comparato di motivi annotati e nemmeno su concetti orientati in tal senso: Sarebbe come voler studiar[...]

[...]mo studiare la musica stessa.
Tale compito ci è stato recentemente agevolato dalla invenzione del registratore a nastro ad alta fedeltà e del disco a microsolco. Una grande quantità di materiale musicale proveniente da ogni parte del mondo é ora a nostra disposizione. Come sempre nel caso di una scienza fornita di una nuova serie di strumenti, ddbbiamo prepararci ad essere arditi, a proporre nuove ipotesi e a saggiarne la consistenza sulla base dei dati disponibili. Questo é appunto lo scopo del presente studio.
Propongo di fondare la scienza dell'etnografia musicale sullo studio degli stili musicali e delle consuetudini musicali dei popoli. Preferisco il termine « stile » a quello di « consuetudine » perché il primo dà il senso di un elemento vivo e dinamico della vita
110 ALAN LOMAX
umana; « consuetudine » invece pone in rilievo quanto vi è in
essa di non creativo, di meccanico e determinata
Nei termini « stile musicale » o « consuetudine musicale »
dobbiamo far rientrare l'intero fenomeno musicale. Oltre che degli elementi formali della musica, dobbiamo tener conto dell'intona
zione della voce, della tecnica seguita per l'emissione della voce, osservando anche attentamente la posizione del corpo e la tensione mus[...]

[...]mali della musica, dobbiamo tener conto dell'intona
zione della voce, della tecnica seguita per l'emissione della voce, osservando anche attentamente la posizione del corpo e la tensione muscolare dell'ugola e del volto. Non meno importante sono il numero di persone abitualmente partecipanti al concerto e il modo in cui esse cooperano fra di loro. Le circostanze in cui avviene il cantare, la funzione sociale e psicologica e il contenuto emotivo dei vari canti devono essere giudicati « in proprio » ma anche in rapporto alle parole del canto. Importantissimo è poi accertare come tali canti vengano appresi e da chi e come siano tramandati. La questione, certo, non si esaurisce qui, ma questi sono gli elementi più importanti dello stile musicale nel suo insieme.
Lo « stile musicale » si apprende come un tutto. Il membro di una cultura vi reagisce come ad una totalità. Togliete alla manifestazione uno dei suoi elementi costitutivi e la soddisfazione di cui essa è fonte per i1 partecipante declina. Inversamente la magia stessa della musica r[...]

[...]ti devono essere giudicati « in proprio » ma anche in rapporto alle parole del canto. Importantissimo è poi accertare come tali canti vengano appresi e da chi e come siano tramandati. La questione, certo, non si esaurisce qui, ma questi sono gli elementi più importanti dello stile musicale nel suo insieme.
Lo « stile musicale » si apprende come un tutto. Il membro di una cultura vi reagisce come ad una totalità. Togliete alla manifestazione uno dei suoi elementi costitutivi e la soddisfazione di cui essa è fonte per i1 partecipante declina. Inversamente la magia stessa della musica risiede nella virtù che possiedono i suoi elementi formali di rievocare l'esperienza musicale in tutta la ricca concretezza dei suoi particolari. È vero che un contadino andaluso, ad esempio, trarrà ben poca soddisfazione dal « cante hondo se non è all'osteria, seduto davanti ad un boccale di vino, con un gruppo di amici che partecipano al ritmo e commentano il canto, ma una melodia canticchiata a mezza voce in un boschetto di olivi spesso basterà a far rivivere nel suo spirito l'intera esperienza.
Lo « stile musicale » il bambino lo apprende nella sua interezza assieme alla lingua parlata, alle abitudini sociali della sua comunità::. e così via.
Lo stile è associato all'appartenenza ad un determinato gruppo e ripor[...]

[...]a ridere,. a piangere, a ballare, ad adorare... Il suo cuore si apre. La quantità o il genere del materiale ritmico, melodico o armonico non ha importanza purché esso sia conforme ai modelli imparati fin dalla prima infanzia. Mi sono trovato 'in villaggi dove una o due canzoni bastavano a dare completa soddisfazione e in altri dove ce n'erano a dozzine in continuo stato di evoluzione, e sempre ho dovuto riscontrare che il carattere e la quantità dei motivi, non importavano, bastava che l'esecuzione stilistica fosse completa e rispettosa della tradizione stabilita. Il partecipante si sentiva allora tranquillo e felice. L'opera dei poeti e dei compositori locali si svolgeva strettamente entro i limiti di questa cornice stilistica, fonte di tranquillità e di sicurezza.
Un'arte così profondamente radicata nel bisogno di sicurezza di una comunità non dovrebbe, in teoria, essere soggetta a radicali mutamenti. E sembra che le cose stiano infatti così. Lo stile musicale ci appare come uno degli aspetti più costanti della cultura. se non pure il più costante. Religione, lingua, e persino molti aspetti dell'organismo sociale possono cambiare e tutta una nuova.. serie di motivi, ritmi di danza, disegni armonici pub essere adottata senza ch[...]

[...] i più profondi sconvolgimenti sociali, l'arrivo: di un altro popolo, l'adozione di un nuovo modo di vita oppure. l'emigrazione in una terra affatto diversa e una conseguente completa
assimilazione abbiano il potere di trasformare lo stile mu_. sicái, e anche in tal caso cib avviene attraverso un processo evolutivo Ohe rimane molto lento.
esempio istruttivo ci é dato dall'incrocio di stili musicali europei e africani nel nuovo, mondo. Ad onta dei secolari e profondi contatti nei vari ambienti delle colonie inglesi, francesi, .spa
112 ALAN LOMAS
gnuole, olandesi e portoghesi, la musica folcloristica negra pub essere considerata come parte dello stile musicale africano, proprio a quel modo che i canti folcloristici dei bianchi in regioni di lingua diversa si possono ancora considerare connessi alle loro radici europee. Con ciò intendevamo dire che le diverse musiche af roamericane presentano tra di loro notevoli affinità e rassomigliano assai più alla musica africana che alle varie musiche delle culture dominanti.
Osservato da un punto di vista esclusivamente formale lo schiavo poteva sembrare musicalmente europeizzato. Aveva infatti adottato tra l'altro frammenti melodici, nuovi strumenti, una nuova serie di accordi; ma una tale analisi formale, condotta sulla base della notazione musicale europea, tradiv[...]

[...]a contatto in America.
Ambedue questi stili si sono modificati in seguito all'urto reciproco. Il negro, ad esempio, ha adottato l'armonia e molte melodie occidentali servendosene in maniera tipicamente africana. AIlorché divenne cristiano si convinse che il suo tradizionale atteggiamento di fronte al sesso era vile e peccaminoso. In America, come schiavo e anche dopo, fu costretto a mantenere una forma modificata di poligamia che, nello spirito dei negri più devoti, era fonte di profondi conflitti. Tutti i canti che non fossero religiosi erano sessuali e quindi peccaminosi e nessun cantante peccatore poteva appartenere all'unica stabile istituzione della comunità : la chiesa. I peccatori crearono i blues, uno stile di canto assolo simile al canto hondo e allo stornello ma più ironico e melanconico di questi due. Le parole dei blues genuini vertono sempre sull'impossibilità dell'amore ed esprimono l'odio cinico e la paura sorta fra i due sessi.
Questo canto lirico afroamericano tuttavia si conformava ai modelli africani. Era musica da ballo e nel decennio 193040 fu adottata dai bianchi che la diffusero in tutto il mondo.
Nell'epoca della crisi economica che sconvolse la vita rurale del Sud e provocò il tramonto del modo di vivere conforme alla tradizione puritana dei pionieri, fecero la loro apparizione i blues e il jazz considerevolmente segnati dall'influenza africana. Oggi, i negri americani che vivono conformandosi ai principi della classe
114 ALAN LOMAX
media nelle città rigettano totalmente la tradizione africana e anche i blues afroamericani. Ma si tratta soltanto delle famiglie completamente assimilate. Frattanto la tradizione dei blues è attivamente sostenuta da cantanti e suonatori bianchi nelle città che scorgono nel contenuto vagamente orgiastico di tale musica una via di scampo dal puritanesimo della classe media.
Questo che ho fornito è solo un frammento di un quadro assai più vasto, ma sufficiente ad illustrare diverse idee.
Ambedue gli, stili, africano ed europeo, sono entità dinamiche, connesse alle più profonde tradizioni emotive del rispettivo gruppo, entità che mutano col mutare di tali tradizioni, ma non senza opporre una grande resistenza. Mutando, esse danno origine ad un organismo musicale interamente[...]

[...] che, ne sono' convinto, corrisponde ad una precisa realtà musicale. Ognuna di queste grandi famiglie musicali conta naturalmente molte specie e sottospecie e varianti locali prodotte da una infinità di incroci di correnti culturali.
Formulati questi avvertimenti non mi resta che presentare il. mio sistema di classificazione, fornendo in ogni caso, ad illustra zione della mia tesi, almeno un esempio registrato.
Ecco dunque la lista preliminare dei principali stili musicali in quelle regioni del mondo di cui sono riuscito ad avere registrazioni.
1) Eurasatico (Eurasiatico).
Quest'area comprende l'Irlanda, parte delle Isole Britanniche e della Francia, i Paesi Bassi,.. la Spagna (a sud dei Pirenei), l'Italia
NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO 115
(a sud dell'Emilia), l'Egitto, parte della Jugoslavia, l'Ungheria, la Romania, la Grecia meridionale, l'Africa Araba, il Medio Oriente, l'India, l'Indonesia, la Cina e il vicino Giappone (escluso l'Ainu). Incapsulamenti di musiche di tribù e primitive in questa vasta zona si dimostreranno in molti casi estranei a questa famiglia eurasiatica che comprende la musica folcloristica e colta del mondo classico e dei grandi imperi del passato.
La musica di questa vasta area è caratterizzata dalla monodia, dall'unisono eterogene[...]

[...]I SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO 115
(a sud dell'Emilia), l'Egitto, parte della Jugoslavia, l'Ungheria, la Romania, la Grecia meridionale, l'Africa Araba, il Medio Oriente, l'India, l'Indonesia, la Cina e il vicino Giappone (escluso l'Ainu). Incapsulamenti di musiche di tribù e primitive in questa vasta zona si dimostreranno in molti casi estranei a questa famiglia eurasiatica che comprende la musica folcloristica e colta del mondo classico e dei grandi imperi del passato.
La musica di questa vasta area è caratterizzata dalla monodia, dall'unisono eterogeneo, dall'uso di strumenti per l'accompagnamento di canti e ballabili. Il tono di questi strumenti molto spesso corrisponde alla qualità della voce che é di solito acuta spesso aspra e stridula, emessa da un'ugola irrigidita con grande tensione vocale, dando spesso l'impressione di essere frenata e strozzata. L'espressione facciale del cantante è rigidamente controllata o triste, spesso tormentata. L'intonazione, così spesso falsetto o soprano, anche nel caso di uomini, si presta ben[...]

[...], praticamente non esisteva al livello del popolo. Tutta quest'area ha una lunga tradizione di schiavismo, servitù della gleba, sfruttamento da parte di implacabili aristocrazie. La condizione della donna, ancorché essa sia spesso idealizzata, non è mai di eguaglianza, anzi, specialmente in oriente, equivale alla schiavitù.
2) Eurasatico Antico.
Quest'area comprende le Ebridi, il Galles, la Cornovaglia, regioni della Francia, la Spagna (a nord dei Pirenei), l'Italia (a:. nord degli Appennini), le Alpi, la Germania (?), la Cecoslovac
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chia, parte della Bulgaria e della Romania, la Russia meridionale ed il Caucaso, tribù primitive dell'India, parte del massiccio dell'Himalaya. Essa si estende anche più ad oriente; certamente anche nella Scandinavia e in Siberia ma non ho potuto ottenere materiale relativo a queste regioni.
In tutta questa zona il canto e la danza sono fondamentalmente corali. La voce viene emessa con la gola rilassata mentre la espressione del volto è vivace e mobile. Le melodie sono relativamente sempli[...]

[...]a araba e rimane essenzialmente lo stesso malgrado le innumerevoli barriere linguistiche del mondo Bantu.
6) Australiano.
Le tribù primitive del continente con possibili tracce in Nuova Guinea. La musica è prodotta in comune ma tende ad alternare lunghi assodi aritmici a cori unisoni. La voce è piuttosto acuta e stridula e l'intonazione abbastanza bassa. Essa rimane nei limiti di un registro vocale e nel canto corale c'è la stessa fusione. Uno dei principali compiti di questa musica è di fare da accompagnamento ad elaborati balletti rituali. Ecco perché il controllo del tempo è particolarmente brillante, con raffinati passi di accelerazione e decelerazione. Canti spesso composti di brani di tempo contrastante. Gli strumenti sono rudimentali: bacchette ritmiche, un u bull roarer », cioè un bastone svuotato in cui l'esecutore canta un motivo ostinato in voce di basso. Lo stato d'animo espresso da questa musica è in generale grave e spesso tragico. La sua funzione principale: i'l controllo magico della natura.
7) Melanesiano.
Parti dell[...]

[...] sonorità di organo. Alcuni motivi sembrerebbero di tipo africano ma il tono della musica sembra generalmente improntato a gravità.
8) Polinesiano.
Anche qui il materiale recente scarseggia ad eccezione della Micronesia, che ha un diverso carattere, la musica è soprattutto prodotto di gruppi e in essa spicca lo straordinario controllo del tempo. Una delle principali funzioni del canto corale è l'accompagnamento di complicati balletti nel corso dei quali i danzatori eseguiscono, con perfetta sincronia di movimenti, gesti raffinatissimi e lascivi. 11 canto è, analogamente, di un'incredibile precisione : i grandi complessi corali pronunciano difficili serie di sillabe con mirabile concomitanza, malgrado il ritmo velocissimo, al punto che i'l coro sembra un'unica potente voce. Questa tendenza primitiva si è protratta nella moderna ed europeizzata musica della Polinesia in cui il sistema armonico orientale è stato facilmente assorbito e le voci maschili sono spesso profondissime, emesse dalle profondità dell'ugola e del petto con energia tr[...]

[...] ad una « trance ». I canti si distinguono per il ritmo disteso, ripetitivo, dinamico, ma semplice un po' come quello che deve conseguire il maratoneta. I canti spesso comunicati nei sogni o in fase di stupore catalettico sono considerati come beni personali di grande valore ed hanno funzione rituale, magica e curativa. Gli spiriti degli antenati vengono evocati dal cantante nel corso di una « trance » in parte determinata dalla stessa monotonia dei motivi vocali ritmici e melodici. Polifonia e poliritmo s'incontrano di rado. I canti aritmici non sono rari. Gli strumenti piú importanti sono il tamburo a mano asiatico, le raganelle e i flauti primitivi. In certe regioni non. ci sono strumenti, i cantanti si attengono di solito ad un registro, ma alcune esecuzioni sono punteggiate da grida, mentre altre sembrano imitazioni di animali totemici.
Prima di concludere questa sbrigativa descrizione degli stili musicali folcloristici devo aggiungere qualche osservazione in merito agli strumenti. La tendenza primitiva è verso strumenti che si con[...]

[...]oni in cui ho condotto le mie ricerche sono: , la condizione della donna, il codice sessuale, il grado di tolleranza in merito al piacere sessuale e i rapporti di affetto fra genitori e figliuoli.
Queste idee erano in fase di sviluppo durante i sei mesi di
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studio dedicati ad una rassegna della musica folcloristica spagnola e furono integrate da osservazioni fatte nel corso delle registrazioni su nastro, in ogni parte del paese, dei diversi stili musicali. Cinquantacinque ore di registrazione e un anno di svariate indagini hanno contribuito a perfezionare le mie conclusioni. Ed é appunto un sommario delle mie nuove esperienze che, dopo un lungo ma essenziale preambolo, intendo presentarvi ora.
PARTE I SPAGNA
Lasciando da parte le isole Baleari che presentano speciali problemi, la Spagna si può dividere in tre principali aree stilistiche: il sud, il centro e il nord. Il sud comprendente l'Andalusia, la Murcia, Valencia e parte della Castiglia è Eurasiaticomonodico con voci stridule ed acute emesse da un'ugola tesa, con[...]

[...] a gruppi.
Dominata dai romani e conquistata dagli arabi questa è una regione povera, ma ci sono oltre a numerosi latifondi molte piccole fattorie e la povertà é meno grave che nel Sud.
Le donne sono ancora relegate in casa e gelosamente custodite. Il normale contatto tra i sessi è difficile ma non come a Su'd. I bambini godono di una maggiore indipendenza e sono meno spesso oggetto di castighi fisici.
11 Nord, che comprende le regioni a Nord dei Pirenei oltre alla Catalonia é Eurasiatico Antico, con tracce eurasiatiche. Il quadro é ulteriormente complicato dai vincoli celtici della Galizia e dal mistero dei Baschi. Benché ci siano molti tipi di canti assolo, alcuni, come ad esempio l'Asturianada, in un fiorito stile eurasiatico, la maggior parte dei canti e delle danze é corale. Le voci sono più aperte e più gravi che nella Spagna Centrale, più lim pide e occasionalmente squillanti. Molte ottime voci di basso.
Ci sono scarsi segni di tensione vocale; il corpo é rilassato,
124 ALAN LOMAX
l'ugola distesa ma senza sforzo, l'espressione del volto studiata e vivace e, quantunque non particolarmente mobile, né malinconica né fissa. Le voci si fondono facilmente e il canto è spontaneo. Le antiche forme polifoniche sono rare, ma la tendenza alla polifonia è dimostrata dalla facilità con cui i settentrionali hanno adatta,o la moderna armonia a[...]

[...]'ugola distesa ma senza sforzo, l'espressione del volto studiata e vivace e, quantunque non particolarmente mobile, né malinconica né fissa. Le voci si fondono facilmente e il canto è spontaneo. Le antiche forme polifoniche sono rare, ma la tendenza alla polifonia è dimostrata dalla facilità con cui i settentrionali hanno adatta,o la moderna armonia alla melodia delle loro regioni. Le melodie sono brevi, disadorne. Breve è anche la maggior parte dei canti, tranne le ballate asturiane e le rime improvvisate dei baschi. Normalmente i cantanti passano da un motivo all'altro, intrecciando lunghe ghirlande di canzoni liriche, tenere e leggermente ironiche. Lo stato d'animo espresso è tenero, gaio, ironico, a volte decisamente allegro.
Questa è un'area di piccole proprietà sparse fra le montagne, di villaggetti di pastori e proprietari indipendenti, di città industriali, di miniere e di forti organizzazioni sindacali.
Sfiorata soltanto dalla colonizzazione romana e appena toccata dagli arabi, questa regione fu la base per la riconquista cristiana della Spagna. Ma sotto la superficie cristiana vi sono, [...]

[...]odiche) sono di colorazione slava. Io credo che sia appunto per questa via che la zampogna e la consuetudine di cantare in modo antimelodico, accompagnandosi con la zampogna giunse in Italia, giacché si ritrova questo strumento lungo una linea che dalla costa abruzzese finisce all'Etna. Dall'Abruzzo Meridionale, muovendo verso il sud all'interno della Calabria, s'incontrano molte colonie di Albanesi giunti in Italia come profughi sotto la spinta dei Turchi nel Duecento. Questi villaggi sono senza eccezione di tipo europeo antico : corali, ugola aperta. Villaggi non albanesi del Sud hanno apparentemente adottato questo stile armonico albanese, ma é interessante rilevare che l'armonia è cantata con voci acute, tormentate, stridenti, mentre lo stato d'animo espresso, in confronto a quello albanese, è di dolore e delusione. Ecco ancora una volta un caso in cui gli elementi formali di uno stile musicale non corrispondono al loro contenuto emotivo.
La carta del canto folcloristico meridionale è ulteriormente complicata dalle colonie grecobiza[...]

[...]alla loro religione grecoortodossa molti secoli fa. Tuttavia siccome questi villaggi hanno fatte proprie le tradizioni di gelosia sessuale del. Sud, i canti sono : duri e stridenti e cosí la fusione armonica.
Finalmente scoprii, nelle montagne tra Napoli e Salerno, colonie di origine saracena, popolate da gente che si rifugiò nelle colline, allorché le sue città costiere furono riconquistate dai Cri: stiani e che ha conservato intatta la musica dei suoi antenati nordafricani.
12ti ALAN LOMAX
Questo è, io credo, l'unico esempio di musica schiettamente araba in Europa. Ma, ritornando al mio tema centrale, individuai in ogni caso che mi fu dato di poter studiare un rapporto positivo fra lo stile musicale e le consuetudini sessuali delle comunità. Le isole di cultura slava a Nord cantano a gola spiegata e hanno un atteggiamento liberale nelle cose dell'amore; quelle del centro meno, e finalmente, a Sud, le comunità albanesi e le altre comunità slave spiccano come isolotti di tolleranza sessuale in un mare di gelosia e di frustazione e ciò[...]

[...]ente il rapporto sessuale tranne che a scopo di procreazione e giacché, per lo meno in teoria, nessuna ragazza nubile possiede un'esperienza sessuale e nessuna donna permette il rapporto senza intenti procreativi, le ninnananne sono più intimamente connesse che nei paesi del Nord con i rapporti amorosi.
Ma qual è il carattere dell'esperienza sessuale della donna nell'Italia Meridionale? In primo luogo, da giovanetta, ha avuto timore del padre e dei fratelli che la proteggono gelosamente e la scaccerebbero di casa se solo la sospettassero di avere rapporti con un uomo. Nel periodo del corteggiamento ha paura di tutti gli uomini. Dei contadini della Lucania, Carlo Levi afferma :
La ragazza del meridione sa che non vi è trucco o inganno cui il suo vorace e predace ammiratore non scenderebbe pur di soddisfare il suo desiderio. Ella sa anche che l'uomo la considererà una prostituta se ella cedesse al suo proprio desiderio e che le sue speranze di matrimonio, la sua unica carriera, tramonterebbero per sempre!
Nella mente dell'uomo ci sono soltanto due categorie idealizzate: la madonna, la figura della Vergine madre, e la prostituta. In gioventù se gli accade di avere un'esperienza sessuale é con una prostituta ed arriva al [...]

[...] in una comunità patriarcale, condannarsi al concubinaggio e alla servitù. Qual meraviglia dunque che le donne di un simile mondo cantino un lamento per fare addormentare i propri figli? Sono le donne a portare il maggiore fardello di sofferenza in questo mondo dell'Italia Meridionale, dissanguato dai romani e vissuto da allora, per secoli, sotto un sistema feudale corrotto e rapace.
Questo é il contenuto sociale e psicologico che forma i gusti dei bambini dell'Italia Meridionale. Questi canti sono associati alle prime esperienze affettive e amorose, alla soddisfazione del suo bisogno di essere nutrito, lavato, riscaldato e cullato. E quando questo bimbo é cresciuto non vede ragione di mutare la sua visione emotiva. La madre, costretta dai decreti della chiesa in un continuo stato di gravidanza ha sempre un bimbo tra le braccia e deve negare agli altri le sue cure. Quando il bimbo é indisciplinato viene severamente punito e schiaffeggiato da una madre che subito dopo lo copre di appassionate carezze giacché rappresenta per lei l'unica s[...]

[...]in famiglia o in seno alle assemblee della tribù.
Qui, dove non c'è tempo che per i lamenti, visto che quasi sempre un membro di ogni famiglia è in prigione o è stato appena portato al cimitero, le voci delle donne sono gravi e velate. Ma tra gli uomini, che praticano l'arte del canto ad esclusione quasi di ogni altra, e i cui canti tramandano la scienza della tribù, le voci sono così profonde che si pensa subito al éanto degli Zulù, al ruggito dei leoni o al rumoreggiare del tuono. I canti sono tutti corali e i cori comprendono un baritono la cui voce ha funzione direttiva e da quattro ad otto bassi che cantano un motivo polifonico mentre il baritono narra la vicenda.
Il resto della Sardegna canta con voci tipicamente ispanoarabiche acute e stridenti, per la maggior parte assolo, anche se interviene spesso nell'accompagnamento il più elaborato strumento polifonico creato nel Mediterraneo, il greco Aulos, detto o Launeddas » in Sardegna: in realtà un triplice oboe.
Lo stile del canto profondo della Sardegna centrale é chiaramente conn[...]

[...]iù importanti interrogativi che l'etnologia musicale moderna è chiamata ad affrontare.
1) Come spiegare il fatto che gli stili musicali resistono per secoli e millenni mentre ogni altra arte si trasforma?
2) Come comprendere altrimenti le metamorfosi e le strane
sintesi nate dagli incroci delle colture musicali?
Ma ricapitoliamo ora i punti più salienti della nostra tesi.
1) La storia della musica non si può scrivere in termini di notazione dei soli elementi formali della musica, giacché si pub verificare un rapido scambio di questi elementi nel corso di un contatto culturale senza che mutino per questo le caratteristiche fondamentali della musica. Si propone quindi un nuovo concetto, quello di stile musicale, che comprende tali elementi formali ma li inquadra nella loro cornice di tecnica vocale, di tensione fisica ed emotiva, di partecipazione di gruppo e di consuetudini sessuali.
2) Osservate alla luce di questo principio si ravvisano nel
134 ALAN LOMAX.
mondo nove e forse più famiglie di stili musicali. Il numero e la precisa[...]

[...]li stessi canti.
4) Nelle società che abbiamo esaminato, il codice di condotta sessuale, la condizione della donna, e il trattamento riservato ai fanciulli, sembrerebbero gli elementi determinanti. Dove le donne sono insoddisfatte e trattate come trastulli, esse sembrano determinare la musica dell'intera società esprimendo per il suo tramite il tormento delle loro vite vane e inappagate. Esse orientano fin dall'infanzia le predilezioni musicali dei loro bambini cosicché, quando questi bambini diventano adulti, essi ritrovano nei canti un dolce ricordo delle emozioni dell'infanzia e della madre. Da tali motivi essi derivano un profondo senso di sicurezza e di bellezza sicché una musica dolente e accorata può essere fonte di piacere e di letizia.
5) Considerato che la musica é connessa a questi valori fondamentali, a questi elementi umani primordiali che non cambiano finché l'intera struttura sociale non sia sovvertita fin dalla base, possiamo ora comprendere chiaramente perché lo stile musicale sia tanto durevole e permanente e perché l[...]

[...]re e di letizia.
5) Considerato che la musica é connessa a questi valori fondamentali, a questi elementi umani primordiali che non cambiano finché l'intera struttura sociale non sia sovvertita fin dalla base, possiamo ora comprendere chiaramente perché lo stile musicale sia tanto durevole e permanente e perché la musica ha sempre dato la impressione di essere l'espressione di verità eterna. Laddove Pitagora scorse nella musica la manifestazione dei rapporti dell'uomo cogli universali, noi possiamo ravvisare in essa un fenomeno so
NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO 135
ciale che perô ha un'evoluzione estremamente lenta ed é quasi una funzione dell'inconscio.
6) Secondo noi tali concetti dischiudono diverse importanti possibilità, anzitutto, servendosi dello stile musicale come di uno strumento diagnostico, possiamo studiare la storia emotiva ed estetica dei popoli del mondo. In secondo luogo, servendoci dello stile musicale come di uno strumento di sintesi, possiamo ricostruire il carattere emotivo delle società del passato. Terzo, possiamo incominciare a capire i profondi fattori emozionali nei processi evolutivi delle culture.
Quarto, ricorrendo all'analisi dello stile musicale come strumento di predizione, possiamo incominciare a formulare delle ipotesi e a saggiarle sullo sfondo delle trasformazioni in corso nel le società che circondano il nostro vivere. Forse in tal modo potremmo giungere ad una tecnica di pianificazione culturale. Finalm[...]



da Rocco Scotellaro, L'uva puttanella (con una nota introduttiva di Carlo Levi) in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: NUOVI ARGOMENTI
N. 1718 Novembre 1955 Febbraio 1956
L'UVA PUTTANELLA
Pubblichiamo qui alcuni dei frammenti inediti del libro l'« Uva puttanella » di Rocco Scotellaro. Il volume è comparso in questi giorni, per i tipi di Laterza. E un avvenimento importante nella nostra letteratura: è certamente una delle opere più ricche di valore e di peso di questi anni, da tutti i punti di vista: come creazione poetica originale, come racconto di fatti e descrizione di condizioni e avvenimenti di vita che sono vicini a tutti noi, come documento meridionalista, come strumento di lotta ed espressione di libertà. È forse la migliore delle opere dello scrittore lucano, morto a trent'anni, quella in cui, c[...]

[...]acconto).
Ci è parso opportuno, (e crediamo di fare cosa utile e gradevole al lettore) pubblicare qui una parte di questi frammenti, che ci auguriamo possano essere poi raccolti tutti in volume, insieme alle lettere, agli scritti vari, agli articoli su differenti argomenti,
'I I
L'UVA PUTTANELLA 3
già pubblicati qua e là e praticamente introvabili, o lasciati inediti da Rocco. Nel primo gruppo abbiamo raccolto alcuni degli schemi dell'opera, dei commenti al concetto di « Uva puttanella », delle note di lavoro di Rocco. Nel secondo alcuni dei brevi appunti tratti dai quaderni stessi in cui Rocco andava scrivendo il suo libro; e inoltre alcune pagine di uno dei molti quaderni di note, cos? ricche di materiale espressivo. Nel terzo gruppo infine, pubblichiamo i frammenti narrativi, che corrispondono alle varie parti del libro, e che serviranno al lettore, come una appendice, a completare e approfondire la propria lettura.
Tutti questi frammenti, pur nel loro disordine e nella loro incompiutezza, entrano nel quadro di un'opera che è la più viva espressione e la più diretta testimonianza di un mondo nuovo di immagini e di vita, che nasce dal movimento contadino, lo rappresenta e lo esprime. Sono parole nuove, piene insieme di verità e di poesia. Quest[...]

[...], non diano retta alle chiacchiere.
2.
Disegno generale del libro «L'uva puttanella»
la parte — Le dimissioni questa volta mi riportano, nudo e fanciullo, alla vigna del padre.
Istintivamente, perduta ogni illusione di potere essere utile agli altri e pensando di non essere stato utile a me stesso, vorrei prendere in mano la vigna e l'attività del padre.
Con le persecuzioni violente che cominciavano saremmo stati schiacciati tutti. Le forze dei signori, l'autorità loro e delle vecchie leggi si ricostituivano. Le nostre parole diventavano vecchie. C'era tuttavia una serie di fatti e di cose, che restavano, che dovevano restare.
2' parte— Storia dei movimenti locali. Comizi. Caratteri e tipi. Partiti locali, attuali e passati. I sindaci degli altri comuni. La chiesa cattolica. Il Vescovo.

L'UVA PUTTANELLA 5
Un maestro: Mazzarino.
Le prime elezioni del giugno '46, le amministrative.
Le prime dimissioni, dopo il 18 aprile '48.
Il Commissario prefettizio. Gli esami a Bari.
Le elezioni del nov. '48. Il Battesimo : non posso fare il
compare.
Ero una peschiera, avevo acqua pulita o sporca, io non c'en
travo. Votavano per me la Presidente dell'Azione cattolica e persino
i delinquenti.
Realizzazioni: Io non me ne vaco a ra qua
si l[...]

[...]rte — Ritorno al paese: elezioni del 7 giugno. Il semi
cerchio.
3.
L'Uva puttanella: Le ideologie, la ricchezza, la violenza, la religione e le potenze terrestri e arcane sono forze che vogliono vincere la loro battaglia su tutti gli uomini.
Gli uomini ne rimangono feriti, schiacciati o rotti, come cocci, tuttavia con la loro invincibile personalità animale « Se noi vogliamo, nessuno ci scoprirà » si dicono, anzi, per difendersi.
L'asprezza dei contadini è un carattere individuale inconfondibile; la loro adesione a un movimento è assuefazione incosciente e forzata, la loro speranza è sempre disperata perché gli uomini non vogliono bene agli uomini; per loro le linee di una qualsiasi logica, la più reale e palmare, possono essere sconvolte da un maleficio sempre corrispondente.
6 ROCCO SCOTELLARO
La provvisorietà del mondo orienta il contadino al pieno godimento di una vita, anche misera, stentata e grama; d'altra parte lo induce alla credenza religiosa.
Ma il credo religioso é anch'esso logica costruzione di uomini non c'è niente[...]

[...] soltanto l'aspirazione all'amore.
Siamo qui, senza volontà di vita, con la paura della morte. Il lavoro é un richiamo della terra .che ci vuole sempre più in profondo.
Gli animali e i prodotti della terra sono la misura del nostro essere.
Ma gli uomini, tutti gli uomini e le donne sono diversi da me in tutto.
Siamo uguali nel disamore e nella morte.
4.
Dalla parte del più forte.
Machiavelli accettò per destino irrimediabile la condizione dei governati secondo la convinzione che se anche questi riusci
vano con moti a travolgere i poteri dovevano poi rientrare ai loro posti, essendo determinante la condotta dei potenti a generare o governare la storia.
Machiavelli era più psicologo che storico del suo tempo e quell'economia era rivestita del carattere del signore capace o impotente alle regole del giuoco dell'anima umana.
Perciò non vide né analizzò lo stato dei governati, misurandone le reazioni e distinguendole in spontanee e forzate o provocate e dirette. In Italia i movimenti popolari non sono ancora stati studiati dal punto di vista delle classi inferiori.
Queste mantengono in vita, per sé, l'ordine di idee delle classi più vicine al potere: che si possa essere salvi e godere la relativa comodità restando sempre, col variare dei tempi, dalla parte del più forte.
5.
c< Perché così come coloro che disegnano e' paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura dei monti e de' luoghi alti, e per considerare quella de' bassi si pongono alti sopra de' monti, similmente, a conoscere bene la natura de' populi, bisogna essere principe, e a conoscere bene quella dei principi, bisogna essere populare ».
Machiavelli, Il Principe.
u Vivendo adunque gli uomini intra tante persecuzioni, portavano descritti negli occhi lo spavento dello animo loro, perché, oltre agli infiniti mali che sopportavano, mancava buona parte di loro di poter rifuggire all'aiuto di Dio, nel quale tutti i miseri sogliono sperare; perché, sendo la maggior parte di loro incerti a quale Dio dovessero ricorrere, mancando di ogni aiuto e di ogni speranza, miseramente morivano ».
Machiavelli, Istorie Fiorentine.
6.
Uva puttanella sono gli amici miei ed io, ostriche attaccate a un masso[...]

[...]a buona parte di loro di poter rifuggire all'aiuto di Dio, nel quale tutti i miseri sogliono sperare; perché, sendo la maggior parte di loro incerti a quale Dio dovessero ricorrere, mancando di ogni aiuto e di ogni speranza, miseramente morivano ».
Machiavelli, Istorie Fiorentine.
6.
Uva puttanella sono gli amici miei ed io, ostriche attaccate a un masso, che non vedono e non sanno il segreto delle barche, delle petroliere, delle portaerei e dei cacciatori subacquei.
8 ROCCO SCOTELLARO
Viviamo al coperto delle preoccupazioni degli economisti, anche se riusciamo a capire le loro lotte e perciò ne profetizziamo l'inutilità. Al coperto delle ultime conoscenze fisiche: il peggio é sapere che non avremo dei figli, abbastanza adulti e intelligenti (non li avremo affatto) che potranno spiegarci domani cib che capita sotto i nostri occhi oggi quando loro non sono ancora nati.
7.
Scrivendo un racconto si deve ammettere l'implicita conoscenza dei fatti, che sono quelli e potrebbero essere infiniti altri della realtà; l'aria, invece, del racconto costituisce un'altrettale realtà della fantasia, ed è la sola che conti.
8.
Era tutta questione di farsi vedere.
Uno avrebbe lavorato con gioia quando il lavoro si consuma come una gioia.
Ma appena — dopo un'ora — smettere il lavoro per spandere la gioia. Chiamatela vanità o soltanto desiderio di moltiplicarsi di abbracciare di riempire l'aria di sé col foglio aperto in mano, con la targa dell'allegrezza.
Così l'acino piccolo forzava le porte per vedere il sole tra gli acini grossi, e no[...]

[...]ettere il lavoro per spandere la gioia. Chiamatela vanità o soltanto desiderio di moltiplicarsi di abbracciare di riempire l'aria di sé col foglio aperto in mano, con la targa dell'allegrezza.
Così l'acino piccolo forzava le porte per vedere il sole tra gli acini grossi, e non si moltiplicava, non si faceva grande.
9.
Ka f ka
Nella mia Uva puttanella non é questione di puttanismo politico, fenomeno comune ai capi e ai gregari delle chiese e dei partiti e a tutti gli uomini.
Si tratta, invece, di una rinuncia all'essere, di riluttanza al divenire maturi e grandi.
Ho visto uomini in divisa consacrarsi al sangue, e povera gente in fila per il tozzo di pane giornaliero: persone normali; ho visto arraffoni e speculatori, ladri e assassini: persone poco normali;

L'UVA PUTTANELLA 9
capi chiese e capindustrie e capipopoli: anormali; artisti col capo
volante, esseri non esseri, ma uccelli, sia che abbiano o non abbiano
pane e comodi.
Mia madre mi vuole bene, io non le voglio bene, o soltanto
qualche volta per abbandono o malanno pr[...]

[...]ocare, mi mettevano in mezzo, guerrieri di un re pari loro, con una divisa di fierezza mi scortavano fino alla porta di casa. Avanti e intorno erano nascondigli, vicoli sopra e ai lati; di fronte era l'entrata della casa del mio padrino, senza battenti, dava in una scala e poi, in alto c'era la porta. Era sempre scuro là e nel vicolo a fianco. Se uno mi voleva tirare un colpo, era facile, ma i miei compagni mi proteggevano, guerrieri e fraterni, dei loro mantelli o delle giubbe, con le mani nelle tasche, fino a che non scomparivo dietro la mia porta e i cardini stridevano e il ferro tintinnava tra i passanti dell'altro battente.
L'UVA PUTTANELLA Il
2.
« Non andare dentro alle persone in questo modo ».
Frase dettami da una ragazza che aveva un segreto
amoroso che io volevo sapere.
3.
— Requie e riposo al Purgatorio. La mia povera vita! Giovinotto fermatevi qua.
Alla gruccia appoggiava il moncone quando voleva riposarsi.
Aveva la faccia rossa, due ciocche di bianchi capelli sul cuoio rosso come la faccia, un paio di baffi folti.[...]

[...]ole, dove c'erano gli ulivi, era grassa nella nebbia.
11.
Dove mangiano quattro, mangiano cinque. Tendenza a ridurre ogni giorno il proprio cibo e il proprio spazio di terra.
12.
Il Prefetto di Matera rimprovera il veterinario Petrillo, che al suo passaggio era rimasto seduto avanti al circolo Unione, senza salutarlo.
— Io stavo qui con la mia Signora, era V.E. che doveva semmai salutare noi. — La risposta del veterinario ebbe il consenso dei borghesi materani che all'orecchio gli dicevano: — Hai fatto bene, proprio bene.
13.
Alla stazione: chi va a casa.
Uno già si faceva la faccia dell'arrivo, della prima destinazione, i facchini e gli operai della stazione, il fattorino e l'autista della corriera, e poi i circoli degli amici e la famiglia e le ragazze, tutti che lo avrebbero rivisto con quella faccia. La sigaretta in bocca, una gamba stesa avanti all'altra, i capelli e gli occhi: — Sei fatto bello, elegante — gli avrebbero detto. Egli sentiva già ora queste voci.
14.
Beati coloro, per i quali la vita continua anche il gi[...]

[...]ragazzi, in divisa di convittori salesiani
e il loro papà.
Andando da Napoli a Cava nel treno si sono sentite le note del mandolino: Ecco, dicevo, capiscono che in certi giorni, come per certe ricorrenze nella vita propria, non è possibile — se si viaggia — andare con le mani in mano. Hanno preso il mandolino
e altri — sentiremo — i loro altri strumenti.
Macché, era una vecchia, capelli cenere spezzava l'unica can zone davanti alle porte dei scompartimenti per prendersi le lire di regalo.
La festa consiste massimamente nel pranzo, tanto è vero che rima dire, alle 3 del pomeriggio, ora pesante, ora sola, se si parla : — Buone feste fatte — con infinita melanconia.
Mangiando, un mercurio entro la spina dorsale tende a salire, arriva in capo, se c'è vino, per poco che se ne beve.
Noi tendiamo alla noia, alla posizione orizzontale, come lo stecchino gettato a terra. E prima di questo tempo, tutte le prove, da soli o in compagnia, per arrivare chi sa dove. Il figlio ha detto alla mamma : — Fai il bis, mamma, é buono questo vino.[...]

[...]ola porta di ferro del carcere, che mi parve di compensato grigio quando si chiuse dietro le spalle. E mi diressi per bere, il fontanino sta sul marciapiedi, ma trovai uno stuolo di quattro giovani, che erano venuti ad aspettare i contadini uscenti, e che mi abbracciarono solo dopo che io li riconobbi, uno per uno. Loro guardavano stupiti con gli occhi quasi in alto, o forse perché aspettavano anche gli altri o forse perché io scendevo dall'alto dei tre gradini dalla porta di ferro.
20.
La gente che veniva a casa a prendere in prestito padelle, pane e fiammiferi.
21.
Fai male, male fai
fai bene, sempre male fai
dunque fai male.
22.
La ricerca del Sindaco da parte del Questore.
Il telefonista agente di P.S. licenziato perché non riesce a
trovare il sindaco all'altro capo del telefono.
16 ROCCO SCOTELLARO
23.
Fu dopo aver cantato le glorie delle donne nominate da tutti e di Giovannina — Quant'è bella la Giovannina, si mette in moto senza benzina!
Ella abitava a Fuori la Porta in una casa, l'ultima piantata lungo il viale[...]

[...]proclamava il sanchirichese ubriaco. E la scala musicale. E la fisarmonica. E il canto.
— Tutti pazzi al mio paese.
A san Pancrazio avevano messo le strisce rosse dal braccio ai piedi per servire ad appendere le carte moneta in devozione. Precedeva Santa Filomena in una bara dai bordi dorati: si vedeva la capigliatura nera, il suo viso di giovinetta. Era la fidanzata di San Pancrazio, credono i paesani.
Non pioveva : — Poveri a noi! La festa dei pochi colpi sparati si fece sentire nelle campagne, le gelate tenevano dure le terre, la
neve di marzo era arrivata tardi a germogli fatti.
18 ROCCO SCOTELLARO
— Contentati — dicevano a San Pancrazio i contadini, gli agricoltori, se non c'è di più fuoco come meriteresti.
— Morte e corte: come ti puoi aiutare!
— Secondo la cadenza del discorso.
30.
Strada facendo.
La masseria della Serra Alata é lontana 25 chilometri da Laurenzana, il paese più vicino. È situata a mezza costa, solo più a monte cominciano i primi radi alberi di querce: si vede dal torrente la casa del padrone con un pr[...]

[...]n c'è di più fuoco come meriteresti.
— Morte e corte: come ti puoi aiutare!
— Secondo la cadenza del discorso.
30.
Strada facendo.
La masseria della Serra Alata é lontana 25 chilometri da Laurenzana, il paese più vicino. È situata a mezza costa, solo più a monte cominciano i primi radi alberi di querce: si vede dal torrente la casa del padrone con un primo e un secondo piano, cui seguono i vani bassi per le stalle delle vacche e il ricovero dei pa stori e dei gualani.
Pancrazio é un giovane di 22 anni, pastore. Si leva dal giaciglio di paglia quando ancora non è l'alba, ma gli uccelli nei pirastri vicini e sulle tegole della masseria fanno già il pandemonio: un altro pastore dorme ancora : il vano é occupato dai due giacigli, ottenuti da assi di legno che si irramano alle estremità da cui pendono secchi, fiscelli, le coppole, le giacche, i bastoni ricurvi.
Pancrazio sveglia il cane Schiappino, un cucciolo dal pelo rossiccio, che corre fuori, avanti la masseria, sullo spiazzo di terra battuta. Allora cominciano i galli a cantare dalla siepe in cu[...]

[...]calcinare il grano. E poi ha quattro bambini in braccio e non ha tempo.
— Tu devi fare un servizio a tua moglie, vieni da me, ti affilo un coltello di legno e le tagli l'orecchio e la porti al maresciallo.
— No, poveretta, è tanto impicciata non ha tempo né a prendere acqua né a rappezzarmi i pantaloni.
3 lire di mentine.
Padre figlio e S.S.
32.
Zia Filomena, donna pubblica, di cui ho sentito parlare, avrà più di 70 anni, regola il prezzo dei suoi servizi, secondo il costo del biglietto del cinema, da quando c'è il cinema. E anche possibile un abbonamento. 200 lire un mese di seguito.
33.
L'altra sera sei napoletani installarono su una balilla e un camioncino una bancarella di vendita. Microfono e altoparlante. Si vendevano quattro paia di pantaloni usati al prezzo di lire mille. Gran vendita dapprima. Subito dopo una contadina voleva indietro il biglietto da mille e restituire i quattro pantaloni inservibili.
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Il venditore: « Non cambio niente a nessuno ».
La contadina : « Ma se i soldi erano falsi? ».
I[...]

[...]lle e restituire i quattro pantaloni inservibili.
20 ROCCO SCOTELLARO
Il venditore: « Non cambio niente a nessuno ».
La contadina : « Ma se i soldi erano falsi? ».
Il gruppo di pubblico si divide tra i sostenitori della compratrice e gli altri ammirati dai gran discorsi del napoletano, che non poté piú vendere niente e terminò dopo giochi di prestigio per attirare tutto il pubblico per sé e vendere, con un vero comizio sull'educazione civile dei paesi. Non vendette più nemmeno i cinque pezzi di pettine con lo specchio, tutto per cento lire. « Andate in chiesa a rubare », disse alla fine, « cento lire, una lira anteguerra ».
Mangiarono a mezzanotte gli spaghetti e la carne, fumanti su una cucina a petrolio e c'era ancora pubblico. Uno disse : « Vien voglia di mangiare con loro ».
34.
Concetto Valente ce l'ha con questo « fideliter excubat ». Genuflessa (egli commenta) all'altare la sposa dispiega un lembo della veste sotto le ginocchia dello sposo. Tacita promessa di fedeltà.
E poi non so se è sempre lui Valente — trovo scritto [...]

[...]risto » di Levi. Ancora oggi che egli ha le mani tremanti parla che dovrà scrivere una grande opera della nostra gente.
35.
Lo scrupolo della mezza lenticchia.
Zio Michele Tribunale ebbe il desiderio, grosso e tribunalizio com'è, di suonare la tromba a pompetta di un'automobile. Toccandola con le sue mani, la pompetta si staccò. Pensando di dover pagare il danno e essere comunque richiamato o punito, and() a nascondersi nella sua macelleria. Dei ragazzi indicarono ai padroni della macchina la casa di zio Michele. Fu trovato alto dietro lo stiglio della carne, così detto moschiera per la retina che ha contro le mosche. Lì zio Michele era rigido e pauroso senza parola. Sco
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perto, alzò le mani come dovesse difendersi da persone armate: « Vi pago », disse, « ciò che volete ».
Sempre di zio Michele : le latrine da soldato, la mosca avanti gli occhi, non fece il soldato perché un altro caca e lui doveva pulire i cessi. Finse di essere pazzo, gli ficcarono degli spilloni alle dita del piede. Gli usci un litro di sangu[...]

[...]o, dalle cinque, nella via per fare in fretta. Quelli del vicinato sono partiti correndo dietro il trotto dell'asino: tatati, tatati, che è stato una nota simpatica fino a smorzarsi alla svolta.
In casa del mugnaio, marito e moglie, hanno parlato ad alta voce mentre schiariva, questa settimana si sposa la figlia.
I bambini giocano, si sono levati presto con i genitori. Giocheranno anche se piove fino a stasera.
40.
La sera il senso d'attesa dei contadini, nella Camera del Lavoro. Che è successo ? Sentiamo la radio. Chi é venuto ? Che dice ? Si va a lavorare ?
Uscivano da casa in piazza.
Solo il vino rompeva la monotonia e creava la guerra del padrone e del sotto.
Di questi giorni ricordo che mi ritiravo a casa sapendo di trovare il baccalà con i peperoni croccanti o questi con le olive fritte che fanno mangiare tanto pane e bere tanto vino.
41.
((Tutti pazzi al mio paese». Il paese era pieno di botte come un asino scorciato.
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Le botte erano diffuse sul corpo, alcune visibili altre no, la più grossa stava s[...]

[...]ra della piana di Eboli. Era un buco come il mio paese. Potevo soltanto dire una cosa nuova agli amici: che da una finestra del convento avevo visto su quella rotabile passare i corridori del Giro d'Italia, che non toccavano mai il nostro paese.
Che dovevo fare adesso ? Mio cugino aveva cambiato già due mestieri; smise di fare il falegname perché ci vuole un'intera gioventù prima di tirare un soldo di giornata in casa, faceva dunque il mestiere dei fratelli, il sarto in una stanza di casa sua.
Ninuccio andava alla Pantana ogni giorno, dal mese di maggio fino alla vendemmia restava giorno e notte in campagna, lo rivedevo col sole che aveva preso come se tornasse da un altro paese.
E Innocenzo che non si perdeva mai la domenica in paese e le feste, stava in casa i giorni del morto, quando indossava l'abito della confraternita di Sant'Antonio, guadagnando trenta soldi per ogni accompagnamento.
Mentre Ninuccio aveva più terra, tutta alla Pantana, e un pezzo di vigna anche, ma vicino al paese, Innocenzo andava una volta alla Trinità, un'a[...]

[...]utti e due, però, parevano come bestiole, o cani o capre, dietro i loro padri e dietro i muli.
Tentavo, aspettandoli la sera, i vecchi giuochi; dovevo aspettarli troppo perché finivano di mangiare tardi la pasta la sera e poi dovevano subito tornare in casa, chiamati dalle mamme, perché la mattina si alzavano presto. Già loro due, Innocenzo stava a pianterreno e Ninuccio sopra alla casa sulla scala, quasi non si riconoscevano più come gli amici dei giuochi di prima, parlavano di altri loro nuovi conoscenti che abitavano lontani dal vicinato, chi alla Rabata, chi sotto la piazza, chi alla Saracena, gente che io non conoscevo, me li nominarono come i nuovi eroi.
Allora volli seguirli, perché in quei giorni non avevo nulla da fare e gli studenti abitavano nelle varie città e poi io non ero convinto che avrei continuato la scuola.
Andai alla Pantana con Ninuccio.
2.
Ninuccio tornò da Bologna più assolato in volto di come era: la stessa crosta, che tingeva gli artigiani — sarti e scarpari — che andavano soldati con la faccia bianca e oli[...]

[...]sseria.
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Se poi lo stuzzicava molto il padre, Ninuccio usciva a dire con tanto di educazione: — I fatti vostri, tatta, li so a memoria; quelli miei me li sono scordati e forse non si possono raccontare perché sono lunghi e non ho buona memoria perché sono capitati veramente ma sono più sogni che fatti.
3.
Facevo lezione agli altri bambini nelle scale di casa: io sul primo pianerottolo con la mia sedia, gli altri ai banchi dei gradini. Erano 7 maschi e 4 femmine la scolaresca. — La scolaresca è disciplinata — diceva il maestro al direttore quando veniva a ispezionarci. La mia non solo era disciplinata, ma atterrita di me. A turno, per un certo gusto appreso dal vero maestro, li mettevo in ginocchio con i ceci sotto, oppure li prendevo con le orecchie per sol levarli da terra, avevo anche la bacchetta. Ninuccio che era il più forte e non si ribellava solo perché gli risolvevo i problemi di scuola — quando toccava a lui la penitenza dei ceci, sapeva convincermi di smettere la lezione per finire la punizione : intend[...]

[...]a è disciplinata — diceva il maestro al direttore quando veniva a ispezionarci. La mia non solo era disciplinata, ma atterrita di me. A turno, per un certo gusto appreso dal vero maestro, li mettevo in ginocchio con i ceci sotto, oppure li prendevo con le orecchie per sol levarli da terra, avevo anche la bacchetta. Ninuccio che era il più forte e non si ribellava solo perché gli risolvevo i problemi di scuola — quando toccava a lui la penitenza dei ceci, sapeva convincermi di smettere la lezione per finire la punizione : intendevo bene che continuando se ne sarebbe scappato e dovevo fermarlo e ce le saremmo date a scapito del mio prestigio di maestro.
4.
Ero la massima autorità del paese, tanto che il ragazzo canterino mi citò nella sua filastrocca di rampogna con fiero e rispettoso orgoglio: Il sindaco del mio paese — è un giovinotto a posto — che prende De Gasperi — lo mette alla composta ». Capace dunque di stirare il corpo di De Gasperi, affilarlo in un vaso come un peperone, composto nell'olio. Mastro Innocenzo era il mio genito[...]

[...], dopo la venuta degli alleati, pensò alla raccolta, trasportò il grano, la luna era lucente e gli alberi erano ritornati amici. In piazza c'erano i manifesti di Alexander che parlavano così: Io, Alexander, ordino: ma nessuno li leggeva.
26 ROCCO SCOTELLARO
5.
3 caffè, il più stretto, dai tavolini un po' umidi e seggiole di ferro è frequentato dagli operai, primi ci andarono i muratori, adesso la piccola folla è quella solita degli artigiani, dei braccianti, dei manovali e contadini e disoccupati. Sono le sette, due tavolini già occupati per giocare alla scopa una tazza di caffè a chi deve pagarla, gli altri sono attorno a guardare.
Altri, una quindicina, sono fuori, hanno fatto la ruota: c'è Pancrazio lo zoppo, Tre occhi, il Partigiano, l'extrainiere di Don Gaspare, è stato nell'ospedale, è debole, non ritrova posto, e Fuciletto che parlano di più.
Dice Tre occhi:
— E brutto se andiamo in alto e poi cadiamo che siamo afflitti.
— Adesso siamo tanto a terra che non ci perdiamo. Lo vedi, quelli che stanno bene s'impiccano e tremano, ma noi no.
Fuc[...]

[...]i ridendo sulla piazza. Era così contento che gli parve vedere la piazza acclamarlo come un deputato per l'impareggiabile discorso tenuto al farmacista.
1) quante strade illuminate e quante case
2) il mutuo contratto
3) i lampioni a gas e la canzone di rampogna. I tizzoni
4) le nevicate e i pali rotti
5) il mulo ucciso dalla corrente
6) la prima orchestra
7) i furti delle lampade
8) la guerra e l'oscuramento.
Mentre, con la sostituzione dei lampioni a petrolio con la luce a gas, ci fu una reazione e si cantò: cc Giustizia alla comune che ha levato i lampiuni, ha messo la luce a gasso, non si pote dà nu passo »; con la luce elettrica apparvero i contrasti tra chi se la metteva e chi non in casa, ci furono le bestemmie per le zolle espropriate nei terreni dove si piantavano i pali di linea, ci furono le lamentazioni per il mulo ucciso dalla scarica, ma, in complesso, il paese rimase spaurito; dall'epoca del treno già — ma esso era lontano nella valle e solo qualche centinaia di persone viaggiavano o avevano occasione di vederlo vi[...]

[...]espropriate nei terreni dove si piantavano i pali di linea, ci furono le lamentazioni per il mulo ucciso dalla scarica, ma, in complesso, il paese rimase spaurito; dall'epoca del treno già — ma esso era lontano nella valle e solo qualche centinaia di persone viaggiavano o avevano occasione di vederlo vicino dalle terre sul fiume e con le prime automobili e poi con la luce elettra si videro i germogli contorti della nuova generazione e il blocco dei contadini era
sempre più sbigottito e docile, sempre più amaro quando saliva in piazza a sedere sui ferri e le luci si illuminavano.
I contadini dicevano ai figli: — Prima si campava meglio — e, vicino al fuoco, raccontavano i fatti.
32 ROCCO SCOTELLARO
7.
Dal ballatoio, così pub chiamarsi il largo della chiesa, si vede la città naufragata al piano, specie quando piove. I pendii delle montagne, per metà coperte di nebbia, paiono gradini di verde e il primo grano che spunta e le cime di rape gialle.
Quando venne Nicola non ci badai a ciò che fu detto: a Questa è la casa del buon Gesù, ch[...]

[...]».
Ho trovato oggi due donne con le borse di paglia e un vecchietto, rossiccio alla barba, ma con tali grosse labbra.
— Si che ci sono ancora i monacelli, ma a quest'ora sono a refettorio, non danno retta a. nessuno.
— E voi che fate ?
— Noi per un altro servizio.
Viva la Santa Pasqua, due donne e il vecchietto rosso, che potrei essere io a 60 anni, aspettano al portone che si sbrighino al refettorio per avere nelle borse di paglia i resti dei monacelli al refettorio.
8.
Sono tornato a questa città, rivedendo la terra più nera e grigia e sassosa e il fosso Rummolo e la Tiera. Dove gli uomini sono gli estranei e le pietre ammucchiate nei campi sul Basento come tumuli, le maggesi tagliate a fianco dei macchieti, sono strane ferite paragonabili alle piaghe che hanno i muli sotto il basto.
Quando bombardavano questa città, si poteva sedere sotto un albero dei monti intorno e bere magari al bariletto e ubriacarsi, gli aerei sciamavano e di notte arrossavano i palazzi.
Dove c'è più gente a lutto. Dove si ricomincia un discorso interrotto al terzo, al quarto giro di passeggio a Via Pretoria. Gli impiegati si vede la loro origine umile hanno boria e l'occhio cacciatore per chi viene dal paese.
Certe ragazze sono dieci anni che rompono e riattaccano fidanzamenti.
L'UVA PUTTANELLA 33
9.
Suonata a distesa.
Il primo a vedere con il corpo diviso e i due occhi distanti l'un dall'altro per la sbarra, cui si schiacciava il naso, fu il rubagalline pieno [...]

[...]i altri mi obbligavano al passo, sveltissimo di solito perché serviva a sgranchirsi o a digerire, e io pensavo davvero di passeggiare.
Tredici passi avanti, tredici indietro, a voltarci il capo se ne andava, avevo sensazioni di vertigine. — Sediamoci — dissi; vidi le facce, e le nuche di capelli avanti, indietro, le coppie si accavallavano, si scansavano, le discussioni erano animate dalla corsa, era una corsa e ricordavo gli amici nelle piazze dei paesi che alzano gl'indici e parlano con le mani andando giù e su.
Io non sentivo l'impiantito del camerone liscio di cemento e avevo il capo all'aria. Mi alzai e ripresi, nemmeno il braccio degli amici mi serviva per sostegno, era un autobus, o era una barca ?
Quanti passi facevano i miei colleghi al giorno ? Dove andavano all'assalto? Ritornai alla branda, mi rialzai: — Rubagalline, e tu e voi perché non camminate più piano ? Proviamo, così.
Ma andando piano il camerone aperto alle finestre e al cancello, dove le cose fuori correvano, pareva sbandarsi, era una nave nel mare alto, un batt[...]

[...] unta; non dormii, non pensavo, steso così, con le mani pestate sotto il capo, con i piedi che non si indolenzivano.
— Hai mangiato? Mangia, cammina — venne a dirmi uno e
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ritornò a camminare e disse agli altri: — Diteglielo che si ammala —.
Egli mi aveva scosso, dopo tutto quel tempo. Mi levai a sedere con il dorso al ferro della spalliera e guardavo avanti a me e sentivo lo stesso rumore indistinto di prima delle voci dei compagni, di quelli seduti e di quelli che in mezzo al camerone erano un pugno di mosche ronzanti.
Mi accorsi che alle finestre il colore dell'aria cambiava: era rosa a quella in fondo, era violetto a quella di fronte al cancello. Il sole aveva sorvolato la cupola del nostro camerone da parte a parte.
11.
— Ecco come é andato il giorno, sono tornato alla mia cittá, ora devo cercare la mia casa dov'è, in uno dei paesi sotto il Vesuvio. Vengo da lontano, dalla montagna. Ci andai la prima volta quando gli alleati lasciarono Napoli, abbandonando noi altri ragazzi e le signorine. Avendo il bilancio in attivo, dopo pochi viaggi tra la montagna e la città, aprii un negozio sulla montagna. Mi volevano bene quella gente, volevano la mia merce e le mie cantate la sera.
Vendevo bottiglie e bicchieri, servizi completi: — Che bella voce tiene! — disse da un ballatoio, rivolta a un'altra, una donna vestita di nero. Era sulla sua porta, in capo alla scalinata, giovane capelli di carbone. Le risposi che le avrei f[...]

[...]rnate. Ma quello si trovò la pistola nella tasca di dietro, appena poté, gli tirò dritto al cuore. Le mie canzoni erano quelle che tutti sanno a metà, o sanno solo la musica o solo le parole, io le cantavo intiere. Una sera, due, tre sere ecco che mi innammorai della vedova, presi tutti i soldi che avevo, vennero i compagni dalla città con le loro ragazze a farmi la festa. Furono
L'UVA PUTTANELLA 37
contenti della mia scelta, fecero lo sfoggio dei loro scialloni di seta bianca al collo, delle loro scarpine, Peppe portò a ballare la vecchia mia suocera. Lucia era mia moglie. La casa sulla scalinata era di un vano solo, a mezzanotte finirono i balli, fu messo il divisorio tra il nostro letto e la panca col saccone dove avrebbe dormito la vecchia. Tutta la compagnia si spostava nell'altra casa di mio cognato.
— Ma mi vorrai sempre bene? = diceva mia moglie — sono piú vecchia di te, di due anni.
— Io ti vorrò sempre bene.
— Non ci credo assai.
— Ho lasciato la giovine che mi è stata compagna sui treni e ha imparato tutti i vizi della v[...]

[...]sce e la bocca larga; i capelli grigi avvolti a destra. Veniva sempre ragionando tra sé col capo basso, tanto che io pensai fosse molto preoccupato delle sue funzioni.
Il suo tavolo era a mano sinistra, nell'angolo, poi c'era un armadio, e poi il tavolo, diventato mio, dove scrivevo le tabelle segnando i grammi di pasta, di legumi, di burro, di patate, e i centigrammi di aromi secondo la dieta giornaliera e moltiplicando ogni voce per il numero dei detenuti. Accanto era l'alto scanno col registrane matricola.
Di fronte a quello del maresciallo era il tavolo, dove stava seduto il capoguardia di giornata con i subi gradi rossi al braccio, e che era occupato dal prete all'ora della censura della posta, a mezzogiorno.
Il maresciallo si sedette e allargò le gambe, tirò da un taschino un mazzo di piccole chiavi e apri nella parete una portella; la richiuse, pigliò una carta, la lisciò, riprese il mazzo di chiavi e aprendo di nuovo, disse a me: Queste nazionali diventano una schifezza é vero o no ? Si alzò e stava contando le carte di quel[...]

[...]e prendeva lui, come poi tutti sapevano e io stesso ebbi modo di accorgermi: — Questo Gramasci, Antonio Gramasci — mi dis. se — il Procuratore non l'ammette.
Siglava i libri con la sua firma, che era un disegno di filo spinato: Olivoso si chiamava.
— Che dicono i detenuti di me ? Modes mente sono un signore. Li aiuto tutti e mi affeziono, ricchi e poveri. Non faccio differenza (1).
Il maresciallo: le sigarette, la figlia, la radio, i discorsi dei comunisti, il procuratore, l'agente bruno, l'avvocato che mi fece in realtà assumere come scrivanello, il medico, la bicchierata serale. La casa e sua moglie, governatrice del reparto donne. La richiesta d'impiego al Comune: quando uscite, mi farete econo mo del Municipio, sono ragioniere.
Giudizio nettamente positivo sul maresciallo Olivoso.
Era il prototipo dell'impiegato italiano, per quanto riguarda
(1) Notare gli scatti del discorso, una volta freddo, altre caldo, altre indifferente, appena da maresciallo. (N. dell'Autore).
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inettitudine, cattiva volontà, lava.tiv[...]

[...]o sul maresciallo Olivoso.
Era il prototipo dell'impiegato italiano, per quanto riguarda
(1) Notare gli scatti del discorso, una volta freddo, altre caldo, altre indifferente, appena da maresciallo. (N. dell'Autore).
40 ROCCO SCOTELLARO
inettitudine, cattiva volontà, lava.tivismo. Ma — questo é ciò che vale — in animo suo non si sentiva un maresciallo, non alzava ogni volta la bandiera della funzione. Alzava quella, mdlto umile e rappezzata, dei figli e del costo della vita.
13.
— Dovevo pagare fino all'ultimo quadrante. Ho pagato — dissi al reverendo amico, che, meravigliato, mi fissava per dirmi il suo dispiacere e la sua gioia, che tutti gli uomini sensibili dicono di fronte agli sfortunati la cui sfortuna pare finita. — Ho pagato — gli ripetei. E lui mi guardò strano e pauroso. Io avevo lo sguardo un po' più forte del suo. — Ho pagato per una legge brutale che tu vai predicando per l'Anno Santo. E la solita legge della forza, dovresti saperla a memoria, io la so: «Accordati presto col tuo avversario, mentre sei con lui per istr[...]



da Bruno Bongiovanni, Ritratti critici contemporanei. Maximilien Rubel in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: RITRATTI CRITICI DI CONTEMPORANEI
MAXIMILIEN RUBEL
1. L'« Incompiuta » di Marx. — L'apparizione delle Oeuvres di Karl Marx nella « Bibliothèque de la Pléiade », la prestigiosa collana di Gallimard, venne salutata come un « segno dei tempi »I. Per una cinquantina d'anni dopo la sua morte, infatti, Marx era stato, con alterne vicende, pubblicato a cura degli studiosi dei partiti operai: la cultura universitaria aveva per lo piú trascurato l'indagine criticofilologica sul lascito intellettuale marxiano, considerato opera di un agitatore rivoluzionario e non certo di uno scienziato sociale. Le cose in Occidente cambiarono soprattutto dopo il 1945, nonostante le critiche, non sempre piú puntuali e documentate che in passato, che gli scritti di Marx continuarono a subire da una buona parte degli ambienti accademici. Il Marx « economico » della Pléiade — il cui secondo volume venne alla luce proprio nel 1968 — si rivelava subito come il risultato piú appariscente [...]

[...] 1968. Cfr. anche MIGUEL ABENSOUR, Pour lire Marx, in « Revue française de science politique », n. 4, 1970, pp. 772788 ed il compterendu di LOUIS JANovER in « Cahiers internationaux de sociologie », XLVII, 1969, pp. 175177.
280 BRUNO BONGIOVANNI
salariato e capitale (1849), l'Introduzione del 1857 alla Critica dell'economia politica, Per la critica dell'economia politica (1859), l'Indirizzo inaugurale e statuti dell'Associazione internazionale dei lavoratori (1864), Salario prezzo e profitto (1865), il libro de Il Capitale (1867), la Critica del programma di Gotha (1875), pubblicata, quest'ultima, solo nel 1891 sulla « Neue Zeit » di Kautsky e ripubblicata nel 1921 su « Die Gesellschaft » da Boris Nikolaevskij con le espressioni censurate, perché ritenute eccessive, da Friedrich Engels.
Nel primo volume delle Oeuvres vi sono inoltre altri scritti e documenti, lettere, risoluzioni e prefazioni. Vi sono anche tre pagine del curatore, Maximilien Rubel, sotto il titolo Avertissement: sempre opera del curatore sono un'ampia Chronologie ed [...]

[...] il piano di quell'impresa ciclopica che per convenzione possiamo definire Economia: 1. Il Capitale; 2. La proprietà fondiaria; 3. Il lavoro salariato; 4. Lo Stato; 5. Il commercio estero; 6. Il mercato mondiale. Nella prefazione effettivamente anteposta alla Critica dell'economia politica del 1859 Marx ammette di avere soppresso una Introduzione, ma non perché in questa si diceva poco, commenta Rubel, ma perché si diceva troppo: si anticipavano dei risultati non ancora raggiunti.
Di tutto il suo grandioso progetto Marx non riuscí che a scrivere una piccola parte e, a parte la Critica del 1859, solo la prima parte della prima delle sei sezioni previste vide la luce mentre Marx era vivo. Come si fa a dire che l'opera « economica » di Marx è conclusa? Secondo Rubel, ci troviamo di fronte ad un frammento che, per il lavorío degli epigoni, è dive
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nuto sistema. Il primo epigono è naturalmente Engels, che pubblicò i libri ii e 111 de Il Capitale. Si comincia a profilare il piú grande paradosso della storia dell[...]

[...]2 pagine di Maximilien Rubel, cui dobbiamo il consueto apparato criticobibliografico di grande valore ed un buon numero di traduzioni. Nel volume ci sono poi i Manoscritti economicofilosofici (1844), il cui originale, come moltissimi altri, si trova ad Amsterdam; ma la cui prima pubblicazione, nella MEGA, risale al 1932, il manoscritto sul Salario (1847), pubblicato per la prima volta da Rjazanov su « Unter dem Banner des Marxismus », una scelta dei Grundrisse (18571858); mai menzionati da Engels, descritti per la prima volta da Rjazanov in una comunicazione all'Accàdemia socialista di Mosca del 20 novembre 1923 e pubblicati a Mosca nel 19391941, ed infine i Materiali per l'« Economia » (18611865), i Materiali per il secondo libro del Capitale (18691879), i Materiali per il terzo libro del Capitale (18641875).
Di qui lo scandalo: Rubel, rifacendosi alle scoperte di Rjazanov, mette in discussione ed in pratica respinge la vulgata degli scritti postumi di Marx cosí come sono stati presentati da Engels, che pubblicò il ii (1885) ed il iii [...]

[...]l ii (1885) ed il iii (1894) libro de Il Capitale, e da Kautsky, che pubblicò 'il iv (19051910), altrimenti noto come Teorie sul plusvalore, il cui testo venne ripubblicato, con criteri piú scientifici, nel 1956 a cura degli istituti di marxismoleninismo di Mosca e di Berlino. Del ii libro de Il Capitale, rispetto alla edizione di Engels, il lettore non troverà che 13 capitoli (invece di 21) e del
28 (invece di 52): sono stati eliminati i passi dei manoscritti che ricalcavano la Critica del 1859 ed ili libro de Il Capitale, mentre alcune varianti scelte da Engels sono state rimpiazzate da altre, ritenute piú significative.
Rubel, ovviamente, non pretende di fornire un'edizione definitiva dell'Economia, in parte perché troppe cose ancora mancano, nel momento in cui pubblica le Oeuvres, a causa dei criteri di segretezza della politica culturale dell'Istituto MarxLenin di Mosca (in particolare i _23 quaderni del 18611863) e soprattutto perché Rubel è convinto che un'edizione definitiva non è possibile, se non sul piano strettamente filologico, a causa dell'irrimediabile incompiutezza dell'opera marxiana. Engels, dal canto suo, ha fatto, secondo Rubel, troppo e troppo poco:, ha fatto troppo perché, pur
Tyr
282 BRUNO BONGIOVANNI
con tutte le cautele 2, ha presentato l'opera di Marx come qualcosa di concluso, contribuendo in questo modo alla creazione e soprattutto alla legittimazione de[...]

[...]ondo Rubel, troppo e troppo poco:, ha fatto troppo perché, pur
Tyr
282 BRUNO BONGIOVANNI
con tutte le cautele 2, ha presentato l'opera di Marx come qualcosa di concluso, contribuendo in questo modo alla creazione e soprattutto alla legittimazione del « marxismo », ed ha fatto troppo poco perché ha trascurato un'enorme massa di manoscritti marxiani, i quali sono stati pubblicati quando ormai ii sistema « marxista » era già costruito. Lo sforzo dei commentatori, quindi, mano a mano che si pubblicavano nuovi elementi, nuove tessere del grandioso mosaico incompiuto, era rivolto ad inserire a forza questi stessi elementi nel sistema ormai esistente: i nuovi segmenti venivano adoperati come pezze d'appoggio per le diatribe interne tra « deterministi » e « volontaristi », tra « umanisti soggettivisti » e « materialisti oggettivisti », tra « idealisti » e « positivisti », per usare le etichetteingiurie filosofiche che le diverse scuole « marxiste » si sono scagliate l'un l'altra appoggiandosi ai Manoscritti o all'Ideologia tedesca, ai Grundri[...]

[...]studio: Marx accumula statistiche, affronta la questione russa e si mette a studiare il russo, segue con inalterata passione le grandi vicende della politica internazionale, si appassiona alla storia naturale ed ai primi passi del darvinismo, si getta con competenza sull'antropologia e sull'etnologia ed in piú è parte in causa, attiva e fattiva, della storia del movimento operaio inter nazionale ed in particolare dell'Associazione internazionale dei lavoratori. C'è da stupirsi se Marx non ha potuto condurre a termine che una parte dell'immenso lavoro progettato? Per quel che riguarda la critica della politica e dello Stato dobbiamo soprattutto accontentarci delle opere giova nili, precedenti all'elaborazione della concezione materialistica della storia (Marx mai parlò di « materialismo storico » e tantomeno di « materialismo dialettico », assi portanti del Diamat stalinosovietico). Maximilien Rubel non ha comunque dubbi sul fatto che nella quarta sezione della sua Critica progettata e mai conclusa, quella dedicata allo Stato, Marx avrebb[...]

[...]a nei trasporti e nel servizio sanitario. Insegnamento privato di tedesco, di filosofia e di diritto nel 194547 e prime pubblicazioni a carattere marxologico nel 194748: nel 1947 Rubel diventa attaché de recherche al CNRS (Centre national de la recherche scientifique), nel 1954 è professore di lettere e chargé de recherche al CNRS, dove nel 1959 diventa maître de recherche: nel 1959 diventa anche direttore degli « Etudes de marxologie » (serie S dei « Cahiers de l'Institut de science économique appliquée ») e negli anni successivi tiene corsi in diverse università francesi, americane e tedesche. Questo, in rapida sintesi, il curriculum vitae di Maximilien Rubel. Nel 1947, abbaino detto, inizia l'attività di Rubel in qualità di « marxologo ». Lo studioso presenta sulla « Revue Socialiste » Un inédit de Karl Marx. Le travail aliéné, che altro non è che un capitolo dei Manoscritti del 1844, dei quali esisteva in Francia, a quel momento, una traduzione parziale nel volume vi delle Oeuvres philosophiques di Karl Marx (Costes, Paris 1937)1°. Rubel scrive che il testo giovanile di Marx è impregnato di un profondo spirito etico (tema destinato a diventare un leitmotiv nell'indagine marxologica di Rubel), che resta valido — aggiunge — in un'epoca in cui si assiste alla trasformazione dell'operaio libero in schiavo di Stato e a quella del capitalista privato in burotecnocrate o in monopolista di Stato.
A questo punto, per meglio inquadrare il clima intellettuale al cui in
9 Cfr. Riflessi[...]

[...]i, opponendo cioè l'ottimismo alla possibilità dell'imminente catastrofe burototalitaria, non respinta sul terreno della teoria 13. Léon Blum scrive infatti che le società directoriales (burototalitarie), che pur potrebbero sorgere in un periodo di transizione, si dirigerebbero verso il socialismo « per l'effetto di una sorta di attrazione democratica »: è persino possibile, secondo Blum, che proprio nell'uRs s, considerata da Burnham il modello dei regimi che ovunque stanno per sorgere, questa transizione è forse cominciata a nostra insaputa. Le tesi di Burnham, come si vede, suscitano un notevole interesse ed un dibattito di livello piuttosto elevato si sviluppa all'interno degli ambienti socialisti francesi 14: come in generale di livello elevato è la qualità degli scritti di coloro che scrivono nell'ultimo scorcio degli anni Quaranta sulla « Revue Socialiste », tra i
11 Questo testo di Blum era altresí l'introduzione alla traduzione francese del fortunato libro di JAMES BURNHAM, L'Ere des Organisateurs, CalmannLévy, Paris 1947: oltr[...]

[...] su « Les Temps modernes » a cavallo tra il 1948 ed il 194917, si comprende in che misura l'antologia di Rubel abbia circolato negli ambienti che rifiutavano l'ortodossia bolscevica (fosse pure trockista) ed il « marxismo » come ideologia di Stato e come dogma di partito 18. Il problema fondamentale affrontato nell'Introduction all'antologia del 1948 è il rapporto tra scienza ed azione, tra il « revisionismo » di Bernstein ed il « volontarismo » dei Sorel e degli Arturo Labriola 19. Rosa Luxemburg, sia pure in modo imperfetto, secondo Rubel, ha conciliato il determinismo economico e la spontaneità, riprendendo la teoria marxiana della catastrofe ed interpretandola come barbarie. Rosa Luxemburg, testimone e vittima della barbarie della prima guerra mondiale, ha intuito che la tendenza catastrofica (dove per catastrofe s'intende anche il crollo di tutti i valori) insita nel capitalismo poteva condurre al socialismo, oppure, se in uno sforzo eticorivoluzionario e spontaneo i proletari di tutti i paesi non si sollevavano, alla barbarie. Prob[...]

[...]lve in rigido monismo monolitico il dualismo di Rubel.
288 BRUNO BONGIOVANNI
si schiuda all'umanità la barbarie totalitaria della managerial revolution. Se invece trionfa l'etica marxiana dell'azione rivoluzionaria che si accompagna al determinismo della traiettoria della catastrofe — il secolo xx è stato ricchissimo in fatto di barbarie, secondo Rubel — prevale la tendenza positiva del dilemma luxemburghiano, costituita dall'autoemancipazione dei lavoratori (Rubel ricorda spesso che Marx derivò questa formula da Flora Tristan) e dallo sbocco socialista.
Altro tema trattato nell'Introduction è il tema del partito. Rubel riproduce alcuni suggestivi ed affascinanti passi del carteggio tra Marx e Freiligrath, dove Marx distingue tra partito formale — quello che di volta in volta s'incarna in istituti visibili e che sorge direttamente dai contrasti della società — ed il partito storico, il «partito invisibile del sapere reale » 20, l'alleanza tra la scienza ed il proletariato: non uno strumento di dominio, ma una comunità di autoliberazio[...]

[...]ili e che sorge direttamente dai contrasti della società — ed il partito storico, il «partito invisibile del sapere reale » 20, l'alleanza tra la scienza ed il proletariato: non uno strumento di dominio, ma una comunità di autoliberazione estranea alle effimere querelles del contingente, anticipazioneprefigurazione, teorica ed utopica ad un tempo, della società futura.
Dopo alcuni altri articoli, sempre sulla « Revue Socialiste », sul manifesto dei comunisti (in occasione del centenario), sul diario di viaggio di Engels, sul carteggio MarxLassalle ed ancora sulla questione russa 2I' Rubel, nel 1951, interviene direttamente nel perdurante dibattito sulle tesi di Burnham 22. Discute la letteratura sociologicoeconomica presente nell'opera dell'americano (Veblen, Rathenau, Berle e Means) e la confronta con le opinioni espresse in proposito, dalle scuole marxiste, da Bernstein, Renner, Cunow, Hilferding, Horkheimer. Rubel avvicina le tesi di Burnham alla teoria dell'autosocializzazione del capitale di Renner ed a quella del, carattere protei[...]

[...]e Friedrich Engels, n. 27, 1949; Echange de lettres entre Lassalle et Marx, n. 32, 1949; La Russie dans l'oeuvre de Marx et d'Engels, n. 36, 1950.
22 Cfr. Réflexions sur la société diréctoriale, in « Revue Socialiste », n. 44, 1951.
MAXIMILIEN RUBEL 289
Nell'ottobre dello stesso anno, inoltre, Rubel si sente in dovere d'intervenire in polemica con il socialista Robert Mossé che scrive che la teoria di Marx è totalmente da rigettare sulla base dei risultati della sua applicazione in Russia 23. Rubel afferma che vuole stupire Mossé scompaginando
i dogmi, professati dai sovietici e, con segno negativo, dallo stesso Mossé. Schematicamente sostiene: 1) Non esiste una teoria marxista del valore. Non vi è in Marx che una critica delle teorie classiche del valore. 2) Il dualismo antagonistico delle classi non è una realtá sempre ed ovunque presente, ma esprime semplicemente la tendenza storica delle società capitalistiche. 3) Per Marx la concezione materialistica della storia non era né una filosofia né una scienza, ma solo un modo di affron[...]

[...]rafia tra utopia e scienza. — Non è cosa nuova definire il clima ideologicoculturale degli anni Cinquanta come scisso tra isteria maccartista e cupa oppressione staliniana. Non sono molti i documenti a nostra disposizione che possono testimoniare un'indipendenza reale rispetto ad un clima siffatto, soprattutto per quel che riguarda gli studi marxologici e la ricerca teorica socialista. Ricordiamo l'uscita, in Germania, nel 1954, del primo volume dei Marxismusstudien, in Francia la rivista « Socialisme ou barbarie » (19491965), animata da Castoriadis e da Lefort, e la rivista « Arguments » (19561962), cui collaborò anche Maximilien Rubel 25. I
23 Cfr. Socialisme et marxisme (Brève réponse à Robert Mossé), in « Revue Socialiste », n. 50, 1951.
24 Fr. Engels et le socialisme messianique russe, in « Revue Socialiste », n. 51, 1951; Le sort de l'oeuvre de Marx et d'Engels en U.R.S.S., n. 56, 1952; L'Occident doit à Marx et à . Engels une édition monumentale de leurs oeuvres, n. 59, 1952; Staline et Cie devant le verdict d'Engels, n. 63, 195[...]

[...]hèses sur le marxisme aujourd'hui par Karl Korsch, ora in Marxisme, révisionnisme, métamarxisme. Arguments 2, U.G.E. (Coll. 10/18), Paris 1976, pp. 1724 e De Marx au Bolchévisme: partis et conseils, ora in Révolution classe parti. Arguments 4, U.G.E. (Coll. 10/18), Paris 1978, pp. 1129.
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temi fondamentali di queste esperienze teoriche erano la critica della burocrazia e del totalitarismo, l'investigazione libera, alla luce dei classici (letti senza ricorrere all'apparato liturgico dell'oscurantismo staliniano), su riforme e rivoluzione, su partito e classe, sui consigli, sul movimento del capitalismo moderno, sulla fisionomia storicosociale delle classi, sulla tecnocrazia e sugli intellettuali: davanti all'idolatria del marxismoleninismo inteso come sistema che incarna un potere che si presenta come verità assoluta e davanti alla risoluta negazione di ogni ipotesi socialista in nome della rabbiosa difesa del « mondo libero », si sentiva nettissimo il bisogno di un ritorno critico al discorso marxiano. Ma in che sta[...]

[...]r un'enorme quantità di esseri umani, si afferma come ideologia dominante del ventesimo secolo, su di esso si sa poco, in modo disorganico e disordinato, a dispetto dell'imponente massa di pubblicazioni (« ufficiali » e no), di edizioni (anche « popolari »), di commenti e di interpretazioni.
Prima del 1956 non esisteva alcuna impresa in cantiere atta a pubblicare l'opera completa di Marx ed Engels: tra il 1956 ed il 1968 sono usciti i 41 volumi dei MarxEngels Werke (MEW), pubblicati a BerlinoEst, a cura dell'Istituto di marxismoleninismo presso il comitato centrale della SED 26. Si tratta di un'edizione incompleta e lacunosa, ma prima del 1956 non vi era neppure quella: i Werke, che rappresentano a tutt'oggi il punto di riferimento privilegiato degli studiosi, vanno probabilmente considerati un frutto della liberalizzazione degli anni di Chruscëv.
La storia delle edizioni delle opere marxengelsiane meriterebbe da sola un grosso libro e non ci è possibile qui delinearne le vicende, peraltro spesso piú significative di tanti sforzi ermen[...]

[...]ltro spesso piú significative di tanti sforzi ermeneutici atti a decifrare il significato del cammino ideologico del « marxismo »27. Già Engels, com'è noto,
zó Com'è noto, l'editore Dietz ha ora iniziato una nuova MEGA, prevista in 100 volumi. Iniziata intorno alla metà degli anni Settanta, nel 1979 avevano visto la luce 10 volumi, tra i quali di grande importanza è il volume III, tomo I della II sezione che contiene la prima edizione originale dei primi cinque quaderni del manoscritto redatto da Marx tra l'agosto del 1861 ed il luglio 1863. Per una prima valutazione (dei primi 6 volumi) di Rubel cfr. La nouvelle MEGA, in « Etudes de marxologie », nn. 1920, 1978, pp. 559562. Cfr. inoltre HANNES SKAMBRAKS, Ober Marx' grösstes Manuskript gebeugt. Zur wissenschaftlicheditorischen Arbeit am Manuskript « Zur Kritik der politischen Ökonomie » von Marx aus den Jahren 1861 bis 1863 für die MEGA, in MarxEngels Jahrbuch 2, Dietz, Berlin 1979, pp. 201217.
M Poche pagine vengono dedicate a questo problema da ERIC J. HOBSBAWM, La fortuna delle edizioni di Marx ed Engels, in Storia del marxismo, vol. I, cit., pp. 357374. Per un giudizio sulla Storia del marxismo cfr. GIAN [...]

[...]loro: Eleanor Marx, Kautsky, Bernstein, Bebel, Mehring 28. Solo con la rivoluzione del 1917, quando già molti frammenti del grande mosaico erano stati, sia pure in modo disperso, pubblicati nell'ambito della SPD, questa possibilità tornò a farsi concreta. In Russia vi era anche la persona giusta, per erudizione, indipendenza critica, perizia filologica e capacità di ricerca: Rjazanov, lo studioso che già si era dedicato all'esame degli scritti e dei manoscritti marxengelsiani su incarico della socialdemocrazia tedesca. Lenin forní grandi mezzi a Rjazanov, che riuscí a portare a Mosca e ad assicurare agli archivi dell'Istituto MarxLenin, le fotocopie ed alcuni originali della quasi totalità dei testi costituenti il colossale lascito intellettuale di Marx ed Engels, fino a quel momento dispersi negli archivi della socialdemocrazia tedesca ed in archivi e biblioteche private e pubbliche dell'Europa e degli Stati Uniti. Questo enorme lavoro Rjazanov lo compi in pochissimo tempo, potendo anche contare sulla collaborazione attiva e preziosa di molti esponenti della SPD, in anni in cui i rapporti tra quest'ultimo partito (unificatosi con una parte dell'usPD, in seguito al Congresso di Halle) e il P.C. (b) sovietico non erano dei migliori, se vogliamo usare un eufemismo. L'Istituto di Mosc[...]

[...]omento dispersi negli archivi della socialdemocrazia tedesca ed in archivi e biblioteche private e pubbliche dell'Europa e degli Stati Uniti. Questo enorme lavoro Rjazanov lo compi in pochissimo tempo, potendo anche contare sulla collaborazione attiva e preziosa di molti esponenti della SPD, in anni in cui i rapporti tra quest'ultimo partito (unificatosi con una parte dell'usPD, in seguito al Congresso di Halle) e il P.C. (b) sovietico non erano dei migliori, se vogliamo usare un eufemismo. L'Istituto di Mosca e la Gesellscha f t für Sozial f orschung tedesca fondarono addirittura due case editrici in Germania, a Berlino ed a Francoforte, ma, con il 1930, anno in cui giungeva al suo culmine la campagna staliniana contro i « socialfascisti », questa collaborazione, già logora, non poté che essere troncata 29. L'anno successivo Rjazanov, accusato di collusione con la socialdemocrazia e con il menscevismo 30, venne allontanato dal suo incarico di direttore dell'Istituto, espulso dal partito e fatto sparire. Nel frattempo, però, Rjazanov ave[...]

[...]nnero pubblicati dal suo. successore Adoratskij, fino a che, nel 1935, la MEGA venne bruscamente interrotta (vi erano le opere complete di Marx ed Engels solo fino al 18481849)31. Venne continuata, in modo discontinuo, solo un'edizione in lingua russa (Socinenija), incompleta e priva del grande rigore dimostrato solo dall'iniziatore dell'impresa.
La situazione all'inizio degli anni Cinquanta non era mutata, era anzi peggiorata: la pubblicazione dei Resultate des unmittelbaren Produktionsprozesses (il Capitolo VI inedito) sull'« Arkhiv Marksa i Engelsa » del 1933 e quella dei Grundrisse nel 193941 avevano avuto scarsissima eco e per molti il « marxismo » era un sistema compiuto depositato nei manuali di partito o, nel migliore dei casi, nel Manifesto e ne Il Capitale. Vi erano naturalmente numerosi studiosi e numerosi lettori che non si accontentavano di questo stato di cose, ma la interruzione della grande MEGA e la confusione delle lingue succeduta alla rottura « scientifica », oltre che politica, tra socialdemocrazia e bolscevismo staliniano, non giovavano ad una comprensione critica del fenomeno: soprattutto mancava un inventario aggiornato e scrupoloso del lascito intellettuale di Marx. A disposizione del lettore sino a quel momento vi era solo la vecchia bibliografia di Ernst Drahn, sommaria, lacunosa e costruita[...]

[...]ertorio delle opere di Friedrich Engels 33. La bibliografia è divisa in quattro parti: la prima comprende le opere e gli scritti pubblicati vivente l'autore, la seconda l'epistolario, la terza i manoscritti inediti, la quarta gli scritti dubbi o d'incerta attribuzione. Si può dire che in Occidente è possibile districarsi compiutamente nella selva delle pubblicazioni marxiane solo a partire da questa bibliografia: nel 1960 venne fatto seguire
31 Dei volumi della vecchia MEGA (19271935) è stato fatto un reprint dalla Verlag Detlev Auvermann, Glashütten im Taunus 1970.
32 Cfr. ERNST DRAHN, MarxBibliographie. Ein Lebensbild Karl Marx' in biographischbibliographischen Daten, Deutsche . Verlagsgesellschaft für Politik und Geschichte, Charlottenburg 1920: di questo testo esiste un reprint presso Slienger, London.
33 Cfr. Bibliographie des oeuvres de Karl Marx, Rivière, Paris 1956.
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un supplemento 34. La MarxForschung comincia ora ad uscire dalle diatribe di partito e ad emanciparsi dai pregiudizi ideologici: è infatti s[...]

[...] des rélations internationales, Puf, Paris 1966.
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tadina (di qui i buoni rapporti dell'exliberale con il parti prêtre), complice dunque delle truffe dell'aristocrazia finanziaria e del parassitismo degli strati direttamente gravitanti intorno alla corona. Se Marx sostiene da una parte che il regime parlamentare può contenere in nuce i germi dello Stato bonapartista, il che è stato utilizzato per un'interpretazione marxiana dei fascismi contemporanei , dall'altra lo Stato bonapartista sembra potenziare quegli strumenti di dominiocontrollo sulla società civile che lo sottraggono ad una connotazione di classe valida una volta per tutte: come il capitale, liberatosi dalle pastoie della proprietà privata borghese, nelle forme moderne che Marx già aveva descritto, tende a diventare il capital sans phrases, cosí, secondo Rubel, sembra che a partire dal bonapartismo, si possa parlare di un Etat sans phrases, in cui la classe dominante progressivamente si confonde con l'apparato dello Stato, sino a che emerge l'oggettività [...]

[...]ia una riflessione che proseguirà negli anni successivi 46 e che condurrà in piena armonia con i risultati delle sue analisi marxologiche. Rubel comincia con il ricordare che Lenin, a proposito della Russia sovietica, parlava di capitalismo di Stato sorvegliato e diretto dal potere operaio, un potere che si identifica nel partito bolscevico,
44 Cfr. AUGUST THALHEIMER, Sul fascismo, in RENZO DE FELICE (a cura di), Il fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, Laterza, Bari 1970. Cfr. anche GIAN ENRICO RuscoNl, La teoria critica della società, Il Mulino, Bologna 1968, pp. 176187.
' Cfr. Karl Marx devant le bonapartisme, cit., p. 160. ..
46 Cfr. La croissance du capital en U.R.S.S. (1957), The relationship of Bolshevism to Marxism (1968), La fonction historique de la nouvelle bourgeoisie (1971), La société de transition (1972), Le chainon le plus faible (1973), tutti questi saggi sono ora compresi in Marx critique du marxisme, Payot, Paris 1974, pp. 63168.
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coscienza « esterna » della classe e v[...]

[...]té de transition (1972), Le chainon le plus faible (1973), tutti questi saggi sono ora compresi in Marx critique du marxisme, Payot, Paris 1974, pp. 63168.
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coscienza « esterna » della classe e veicolo unico della dittatura proletaria. Con la rivoluzione russa, per ammissione del suo massimo artefice, vengono dunque adottati, dopo un primo periodo in cui i Soviet avevano espresso la volontà anticapitalistica di vasti strati dei lavoratori, metodi e sistemi che rappresentano la vocazione del capitalismo a darsi una struttura il piú possibile omogenea e concentrata. Secondo Rubel, però, l'aspetto socialista della rivoluzione, la natura proletaria del potere politico, non è altro che un mito: il bolscevismo si è servito del pensiero di Marx per fare accettare alle masse operaie esigue del 1917 ed a quelle ben piú cospicue dei decenni successivi una corsa alla concentrazione del capitale di una rapidità e di una violenza superiori a quelle della rivoluzione industriale nei paesi occidentali. Marx, secondo Rubel, ha concepito, in pagine profetiche, un sistema capitalistico allo stato puro che è stato realizzato dalla società sovietica, la quale ha fatto di necessità virtú ed è riuscita a mettere in moto un'accumulazione capitalistica di grandi dimensioni senza fare ricorso ai tradizionali uffici della classe borghese. Marx aveva studiato le condizioni sociali della Russia, guardato con interesse ai suoi istituti com[...]

[...]i zar, La Salamandra, Milano 1978, pp. 936.
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tico, ha perfezionato quell'Etat sans phrases che Rubel ha creduto di ravvisare nell'analisi marxiana del bonapartismo.
Ritornano in parte, come si vede, le suggestioni dell'immediato dopoguerra: a proposito dell'uRs s Rubel parla di capitalisme directorial e ricorda che nel libro iii de Il Capitale Marx aveva usato il termine managers, modificato poi da Engels 48. A differenza dei teorici del collettivismo burocratico 49 — ed invece piú vicino alle analisi condotte da Castoriadis su « Socialisme ou barbarie » — Rubel non ritiene che l'uRss abbia superato lo stadio capitalistico e si situi all'interno di un modo di produzione di tipo nuovo, non previsto da Marx e contrassegnato dall'oppressione della nuova classe tecnoburocratica e dal totalitarismo economicopolitico: l'uRss è caratterizzata dalla croissance du capital, dall'instaurazione di un capitalismo emancipato da ogni ipoteca tradizionalmente borghese e realizzato con il concorso totalitario del dispotismo burocr[...]

[...] Stato è stato perfezionato nei suoi strumenti di controllo e di oppressione, lo scambio monetario è divenuto, nell'intero mercato nazionale, il principale incentivo per ogni lavoro, la gerarchia sociale e professionale è divenuta l'ossatura stessa della nuova società 50. L'URSS non ha realizzato le speranze di Marx, non è sfuggita, secondo Rubel, all'intermedia tappa capitalistica: d'altra parte non ha neppure realizzato le piú ridotte speranze dei menscevichi, non ha guadato e non sta guadando l'impetuoso fiume capitalistico all'interno di un sistema costituzionaldemocratico.
5. Gli « Etudes de marxologie A. Nel 1959, grazie all'iniziativa di Maximilien Rubel, viene costituita una rivista, la cui scadenza è piú o meno annuale (venti numeri sono usciti tra il 1959 ed il 1978), che si prefigge di affrontare quei temi che sono parte integrante della sua ricerca: già il titolo della pubblicazione è significativo, « Etudes de marxologie ». Che cosa si propongono programmaticamente? Portare luce sulla genesi del marxismo, offrire documenti[...]

[...]o perfetto la piú elegante espressione tedesca MarxForschung, ma ritiene necessario che anche nelle lingue latine si trovi un termine atto non a fondare una disciplina, il che è preteso solo dai « marxisti », ma a delimitare un ambito di ricerca, peraltro vastissimo: la fortuna enorme del pensiero di Marx, il suo insediamento pratico in organismi ed istituzioni, il grande numero di epigoni e, di contro, la discontinua vicenda delle pubblicazioni dei suoi scritti, la non esistenza di un'edizione attendibile delle opere complete, la distanza ideologica abissale tra le diverse scuole « marxiste », sono tutti fatti che impongono l'esistenza della marxologia, ambito di ricerca al cui interno gli studiosi devono improvvisarsi filologi, storici, economisti, sociologi ecc. La MarxForschung s'insinua tenacemente dentro l'intera storia della cultura mondiale degli ultimi centocinquanta anni: né gli antimarxisti, che negano al pensiero di Marx ogni validità ed ogni attualità, né i « marxisti », che ritengono la dottrina ed il sistema conclusi, rite[...]

[...]apposta sul pensiero del maestro, il rifiuto del « marxismo » divenuto ideologia di Stato e dogma di partito.
Nel frattempo gli « Etudes de marxologie » traducono o presentano testi, spesso quasi sconosciuti, almeno in Francia, di Marx e di Engels, ma anche di Sorel e di Struve ed inoltre saggi di studiosi come Draper, Pipes, Mattick, Na'aman, su temi fondamentali come la dittatura del proletariato, il movimento cooperativo, l'utopia, la storia dei movimenti operai, il risorgimento italiano, la diffusione del « marxismo » nei vari paesi, l'interpretazione marxiana e lassalliana della rivoluzione francese. E poi ancora scritti di Korsch e di Rosdolsky, la questione ebraica ed il rapporto HegelMarx alla luce dell'eterna questione della dialettica. Fondamentale l'intero numero 8 in occasione del centenario della Prima Internazionale, con un'eccellente cronologia di Rubel su Marx e la Prima Internazionale, cronologia che prosegue nel numero successivo. Di notevole importanza anche il numero 11 (1967) sul centenario de Il Capitale e soprattu[...]

[...]ssa 51. Il numero del 1970, consacrato al comunismo, mette in luce le origini utopiche del pensiero di Marx: il comunismo, si cerca di dimostrare, è poi degenerato in mitologia attraverso la mediazione degli apparati ideologici di Stato. Questo numero contiene testi importanti di Moses Hess, di Max Adler, di Weitling, di Rühle e di Mattick: la presentazione di lavori poco noti o addirittura inediti, con commenti ed annotazioni, è sicuramente uno dei meriti maggiori degli « Etudes ». Nel numero 15 Rubel pubblica il saggio La légende de Marx ou Engels fondateur che indica in Engels il primo ed ancor timido responsabile della costituzione del « marxismo »: in questo numero, oltre a studi importanti di Draper e di Bahne, vi sono anche testi di notevole importanza di Pierre Leroux e di Joseph Déjacque. Nel numero 16 la traduzione di un testo di Marx su Friedrich List e di uno di Moses Hess. Negli ultimi tre numeri (17, 18, 1920) ancora studi di grande interesse ed in particolare un lungo saggio, articolato nei tre numeri, sull'edificazione de[...]

[...]a, nonostante gli sforzi del loro animatore, Iring Fetscher sa
51 Su questo tema cfr. Nachwort a K. MARX, F. ENGELS, Die russische Kommune, Hanser, München 1972, pp. 277326.
52 M. RUBEL and MARGARET MANALE, Marx without Myth, Blackwell, Oxford 1975.
53 Cfr. un altro capitolo del Lexique de Marx dal titolo Marx et la nation, di prossima pubblicazione su « Mondes en developpement », dic. 1979.
54 Tra il 1954 ed il 1972 sono usciti sette volumi dei Marxismusstudien presso Mohr, Tübingen. IRING FETsCHER è noto in Italia per i tre volumi de Il marxismo. Storia documentaria, Feltrinelli, Milano 1969 e per Marx e il marxismo, Sansoni, Firenze 1969. Cfr. anche JuLlus I. LÖWENSTEIN, Marx contra Marxismus, Mohr, Tübingen 1976.
MAXIMILIEN RUBEL 301
6. Marx critico del marxismo. — Nel 1974 Maximilien Rubel ha raccolto in un unico volume una parte dei suoi saggi (soprattutto quelli piú recenti), evidenziando la continuità e la coerenza della sua ricerca 55. I temi affrontati sono vari, ma tutti vengono fatti scaturire da un'indagine che è insieme ricognizione filologica ed interpretazione critica.
a) La leggenda del marxismo. È soprattutto con la breve relazione presentata nel 1970 al convegno di Wuppertal in occasione del 150° anniversario della nascita di Engels che Rubel, ricordando che il termine « marxismo » è nato come invettiva ed ingiuria degli avversari, attribuisce ad Engels la responsabilità storica ed ideologica di avere costi[...]

[...]smo e sul Terrore. Rubel pensa però che Marx, che pure ebbe aspri contrasti con gli anarchici autoproclamantisi tali, restò sempre sostanzialmente fedele a questa ispirazione, pur privilegiando l'analisi del processo di produzione e la critica del denaro rispetto all'analisi delle forme di associazione civile ed alla critica dello Stato.
c) Il mito dell'Ottobre. Abbiamo già visto in precedenza qual è l'impostazione di Rubel sulla natura sociale dei paesi « socialisti » e sul ruolo del marxismo in essi. Capitalismo statalmanageriale sul piano sociale, dittatura burocratica sul piano politico: il marxismo ed il leninismo non sono altro che le ideologie dell'accumulazione. Il partito rivoluzionario bolscevico si è fatto veicolo del determinismo oggettivo delle forze produttive in un paese estremamente arretrato e privo di una classe dirigente borghese, autonoma dall'autocrazia e dotata di una chiara visione modernizzatrice. Lo scandalo dell'Ottobre non è comunque la trasformazione dell'uRss in grande potenza imperiale, ma il fatto di propa[...]

[...]o venga associato senza costrizione e senza sfruttamento. Di qui, secondo Rubel, deriva la non rottura tra gli utopisti e Marx, il cui pensiero è ben radicato nella tradizione che gli utopisti stessi hanno inaugurato. Marx ha riconosciuto la spontaneità del proletariato e dentro questa ha ravvisato una missione storica, operando, nel contempo, per fornire al proletariato stesso, senza pretese egemoniche, la conoscenza delle leggi della società e dei mezzi e dei fini del processo di liberazione. Nel movimento reale che tende al comuni
MAXIMILIEN RUBEL 303
smo Marx ha ravvisato, secondo Rubel, le norme di un'etica rivoluzionaria, che è insieme coscienza critica dello stato di cose esistente ed anticipazione del comunismo, entrambe armoniosamente collegate con l'utopia socialista. Ecco perché in Marx coesistono la libertà (etica della rivoluzione) e la necessità (determinismo delle forze produttive), l'utopia e la critica: con Marx, il socialismo non ha proceduto dall'utopia alla scienza, come ha preteso Engels e dopo di lui lo scientismo di marca so[...]

[...]co identificabile all'insegna della continuità. Marx non è un magico spartiacque che segna in modo irreversibile la storia, il suo avvento non è l'epifania misteriosa di un miracolo foriero di futuri, inevitabili prodigi. Rubel lo inserisce
304 BRUNO BONGIOVANNI
in quel lungo processo di Au f klärung critica che percorre la storia dell'autoemancipazione dell'uomo, ne mostra i debiti contratti nei confronti di Spinoza e di Hegel, di Feuerbach e dei materialisti del Settecento, nei confronti di SaintSimon, Owen, Fourier, Flora Tristan, Proudhon e moltissimi altri: nulla viene respinto da Marx, se non la società di oppressione, ma tutto ricompreso e vagliato, talvolta con animo iracondo, ma sempre senza pregiudizi ideologici e senza limiti disciplinari. Questo vuole essere anche il metodo della ricerca marxologica, qualunque sia il giudizio che se ne dia. La MarxForschung, cosí come è concepita da Rubel, lavora in piena indipendenza ideologica: tra gli autori utilizzati e citati troviamo riformisti e rivoluzionari, revisionisti ed ortodos[...]


precedenti
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Dei, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---siano <---comunisti <---socialista <---Ciò <---Filosofia <---Pratica <---italiana <---italiano <---socialismo <---Logica <---comunista <---ideologia <---marxista <---Diritto <---Perché <---ideologico <---marxismo <---Basta <---Dialettica <---Ecco <---Più <---Russia <---abbiano <---capitalismo <---fascismo <---Lenin <---comunismo <---d'Italia <---fascista <---ideologica <---ideologici <---leninismo <---marxisti <---Così <---Estetica <---Gramsci <---Il lavoro <---Marx <---Stato <---ideologiche <---ideologie <---italiane <---leninista <---liberalismo <---materialismo <---socialisti <---Cosa <---Del resto <---Dogmatica <---Fisica <---Già <---Meccanica <--- <---Però <---Poetica <---Quale <---Scienze <---Stalin <---Sulla <---Voglio <---cristiano <---economista <---idealismo <---imperialismo <---storicismo <---Capitale <---Come <---Dinamica <---Dio <---Discipline <---Ogni <---Pochi <---Sociologia <---Storiografia <---Trotzki <---attivismo <---cominciano <---cristiana <---determinismo <---hegeliana <---italiani <---lista <---marxiste <---realismo <---socialiste <---sociologia <---Antonio Labriola <---Bernstein <---D'Annunzio <---Engels <---Etica <---Francia <---Giappone <---Gli <---Hegel <---La lotta <---Marx-Lenin <---Mi pare <---Noi <---Oltre <---Ordine Nuovo <---Partito <---Rosa Luxemburg <---Scienze naturali <---Sei <---Torino <---Viene <---Zinoviev <---anarchismo <---bolscevismo <---capitalista <---capitalisti <---centralismo <---comuniste <---cristianesimo <---cristiani <---dell'Italia <---economisti <---etnologia <---fascisti <---feticismo <---filologica <---gnoseologico <---idealista <---leninisti <---mangiano <---metodologia <---metodologica <---misticismo <---moralismo <---nell'Unione <---ostracismo <---parlamentarismo <---pessimismo <---psicologica <---psicologico <---revisionismo <---riformisti <---ruffiani <---sappiano <---scientismo <---sindacalisti <---sociologica <---soggettivismo <---umanesimo <---volontarismo <---zarista <---Albanesi <---Andate <---Appare <---Arbeiterbewegung <---Baleari <---Bibliografia <---Bologna <---Carlo Levi <---Carlo Marx <---Castiglia <---Certo <---Chiamatela <---Chiesa <---Chimica <---Chissa <---Col <---Contemporaneamente <---Cunow <---Davanti <---Dico <---Die <---Die Gesellschaft <---Discipline umanistiche <---Diteglielo <---Editori Riuniti <---Feuerbach <---Filosofia della storia <---Fosse <---Fuori <---Giustizia <---Giù <---Guarda <---Hamburg <---Hegel-Marx <---Il Capitale <---Il bolscevismo <---Jahrbuch <---Karl Marx <---Kautsky <---Korsch <---La Chiesa <---La guerra <---La rivoluzione contro il Capitale <---La sera <---Labriola <---Lasciami <---Linguistica <---Marx-Engels <---Matematica <---Max Adler <---Mosca <---Muovetevi <---Non voglio <---Norberto Bobbio <---Otto Bauer <---P.C. <---PCUS <---Paura <---Pedagogia <---Pirandello <---Povera <---Presso <---Presto <---Psicologia <---Puglia <---Pure <---Retorica <---S.S. <---San Pancrazio <---Sardegna <---Sarà <---Scienza politica <---Sessanta <---Simmel <---Sociology <---Spagna <---Stilistica <---Storia mondiale <---Teoretica <---Ungheria <---Verso <---Vescovo <---analfabetismo <---artigiani <---astrattismo <---autista <---banditismo <---bergsoniano <---biologica <---biologiche <---biologico <---burocraticismo <---classista <---conservatorismo <---crociana <---crocianesimo <---d'Ottobre <---dell'Europa <---dell'Istituto <---dell'Ordine <---dell'Ottobre <---dell'Ottocento <---diano <---differenziano <---dilettantismo <---dispotismo <---dogmatismo <---dottrinarismo <---empiriocriticismo <---empirismo <---fanatismo <---fatalismo <---feudalesimo <---filologico <---gentiliano <---giacobinismo <---gramsciana <---hegelismo <---idealisti <---illuminismo <---individualismo <---intellettualismo <---lanciano <---lasciano <---leniniste <---libertarismo <---marxiana <---materialisti <---meccanicismo <---metodologico <---mitologia <---monismo <---ontologico <---oscurantismo <---ottimismo <---pessimista 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<---Altro <---Ambrogio Donini <---Americano Coloniale <---Americhe <---Amerindias <---Amina Pandolfi <---Ammannati <---Amministrazione <---Amsterdam <---Analizziamole <---Anche <---Ancora <---Andalusia <---Andat <---Andere Zeitung <---Andiamo <---Andò <---Angius <---Angleterre <---Anna Kuliscioff <---Anna Maria Mozzoni <---Annamaria Carpi <---Anno V <---Antico Testamento <---Anticristi <---Antonio Gramasci <---Antonio La Penna <---Anzelu <---Aosta <---Apologetico <---Appenninica <---Applicatele <---Appunti <---Apuleio <---Aragona <---Arbeiterliteratur <---Arborea <---Archiv <---Archivio <---Archivio di Stato <---Archos <---Arcocho <---Area <---Arguments <---Arkhiv Marksa <---Armi <---Arne Benary <---Arnobio <---Arnoul <---Arrisvegliati <---Arrivò <---Arte <---Artiglieria <---Arturo Graf <---Arturo Labriola <---Asciugati <---Ascolta <---Aspettamo <---Aspettar <---Aspettare <---Aspettate <---Assurde <---Asti <---Attaccati <---Attilio Glarey <---Attilio Momigliano <---Attraversandola <---Aufbau <---Aufbauplans <---Aufbruch <---Auferre <---Auguri vivissimi <---August Reifferscheid <---Augustae <---Aulos <---Ausfahrt <---Australia <---Australiano <---Austria <---Auto <---Autogestion <---Avaro <---Avendo <---Avendole <---Aver <---Avertissement <---Avvenne <---Avvocato <---Avìanu <---Axelrod <---Azione cattolica <---B.A. <---B.C. <---B.V. <---Babele <---Babilonia <---Bachmann <---Bachmanris <---Badate <---Badu <---Baggina <---Bahne <---Ballar <---Ballarti <---Balzac <---Balzani <---Bambin Gesù <---Bambino Gesù <---Bande Nere <---Bannedda <---Banner <---Bantù <---Baonei <---Barbagia <---Barbaira <---Baretti Giuseppe <---Barnum <---Baronia <---Baschi <---Basento <---Bassu <---Bastioni <---Battendosi <---Baunei <---Beati <---Bebel <---Bebel-Bolschewiki-Socidismus <---Beduini <---Bel <---Belfagor <---Belfront <---Belfront Augusto <---Belles Lettres <---Belli <---Bellissimo <---Bellosguardo <---Bellum Catilinae di Sallu <---Belva <---Bender <---Benedicti <---Bergson 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Greco <---Danilo Dolci <---Dante Nardo <---Dare <---Dario Niccodemi <---Darmstadt <---Darvin <---Das <---Das Ubersetzen <---Daten <---David Borisovic <---David Rjazanov <---De Candia <---De Gasperi <---De Marx <---De Sanctis <---Deborin <---Dedurrò <---Della Magia <---Delàcana <---Denice <---Denis de Rougemont <---Denkens <---Dentro <---Der Kampf <---Der Sowjetmar <---Der Sozialismus <---Desbruissons <---Detlev Auvermann <---Deutcher <---Devilla <---Di Cesare <---Di Claretta <---Di César <---Di Gobetti <---Di Lorenzo <---Di Luigino Brunod <---Di Maggio <---Di Santa Rosalia <---Diamat <---Dichterin <---Dickens <---Diderot <---Die Andere <---Die Anderung <---Die Arbeit <---Die Geschichte <---Diecine <---Diego Carpitella <---Dietro Salomone <---Dietro alla porta ce ne saranno altrettanti <---Difficilissimi <---Difugere <---Diglielo <---Dimostrarlo <---Dina Galli <---Dio di Manhattan <---Diplomatica <---Direttore <---Diritto agrario <---Diritto privato <---Diritto pubblico <---Divina Commedia <---Dix <---Dodici <---Dolléans <---Domandaglielo <---Domenichino <---Domenico Gismano <---Dommanget <---Domus <---Don Concetto <---Don Gaspare <---Don Raffaele <---Donianìcaru <---Donori <---Dorgali <---Dorè <---Dostoieschi <---Dousa <---Dove La Penna <---Dovilinò <---Dramma Italiano <---Draper <---Dresda <---Due Sicilie <---Duli <---Dynamic So <---E César Borgne <---Eam <---Eboli <---Ebrei <---Ebridi <---Echange <---Economie I <---Economie II <---Edda Gabler <---Editions Sociales <---Eduard Fraenkel <---Egitto <---Egnazio <---Ein <---Ein Lebensbild Karl Marx <---Einaudi <---Eine <---Eine Untersu <---Einheit <---Eisenhower in Italia <---Eleanor Marx <---Elements <---Eleonora Giudichessa di Arborea <---Elias Canetti <---Eliseo Chénoz <---Elkin <---Elvio Cinna <---Emanuele III <---Emil Du Boys <---Emma Gramatica <---Engelsa <---Entfremdung <---Entro <---Epicuro <---Epistolas <---Ercole Morselli <---Erfullungsort <---Erganzung <---Erkenntnis <---Ermete Zacconi <---Ernesto De 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