Brano: [...] uscivano dal loro convento, situato dirimpetto al fiume e alla porta Carrìa. Costi, essendo il ponte che incontravano per primo, facevano capo i carri provenienti dal contado, nel tempo in cui il porto di Firenze era più a valle, ed una grossa pigna di pietra, che i fiorentini digià chiamavano il pignone, serviva all'attracco dei barconi.
Questa era la città e i suoi ponti nel giro della terza cerchia;
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 3
e qui, ora cosa c'è di cambiato ? La natura del fiorentino, no. Il suo spirito non l'hanno ammorbidito né le tarde Signorie né i Granducati. Ma sempre si conquista qualcosa, che si è pagato sempre troppo caro. È per questo che ogni volta c'é qualcosa di cambiato.
Firenze medesima, al di là della sua terza cerchia, non può non essere mutata. Essa non si é estesa soltanto nei suoi entroterra, rispetto al fiume, ma si é allungata. Quartieri operai hanno fatto corpo con le antiche Mura. Ora l'Arno entra in città alla Nave a Rovezzano dove c'è un traghetto, percorre sei chilometri non uno, per trovare l'altro traghetto, al di là delle Cascine. E ai due estremi della città, da un secolo o quasi, ci sono due ponti nuovi.
Sono due ponti provvisori che da novant'anni servono all'uso cui sono destinati. Li progettarono degli ingegneri di cui s'é [...]
[...]e bene. Li ha distinti spartendo i due aggettivi. Uno é il ponte di Ferro che dà sui viali di San Niccolò; l'altro è il ponte Sospeso che immette nel quartiere del Pignone. Li regalò a Firenze, Leopoldo di Lorena, ossia un'impresa privata a cui Leo poldo li aveva appaltati e che malgrado il passaggio e delle dinastie e delle istituzioni, si fa ancora pagare il pedaggio. Del resto, cos'è un soldino?
È dall'epoca di questi nuovi ponti che c'é qualcosa di cambiato. La gotta di Gian Gastone aveva estinto la discendenza e il potere dei Medici. Per un momento, come tutta l'Europa, si fu un . feudo di Napoleone; quindi vennero i Lorena. Leopoldo era stato l'ultimo padrone. Lo si ricorda con simpatia; durante i vent'anni del suo granducato, egli non si limitò a commissionare i ponti nuovi, ma costruì le prime strade ferrate, la Fonderia del Pignone, la
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Manifattura di San Pancrazio com'è ora; e portò l'acqua, allargò le strade. I fiorentini lo chiamavano babbo, chi con venerazione chi con ironia. Gli dettero qualche pedata qua[...]
[...]prime strade ferrate, la Fonderia del Pignone, la
4 VASCO PRATOLINI
Manifattura di San Pancrazio com'è ora; e portò l'acqua, allargò le strade. I fiorentini lo chiamavano babbo, chi con venerazione chi con ironia. Gli dettero qualche pedata quando non ne poterono proprio fare a meno: nel Quarantotto e poi, una definitiva, all'alba del Cinquantanove. Ma non appena Firenze diventò Capitale, si accorsero che averlo barattato con un Savoja, fu una cosa giusta, non certo un affare. « Oh, si, un bel bollo » dicevano. Mentre i Medici avevano vegetato trecento anni, al sol di luglio della gloria, della ricchezza e delle nefandezze ammassate da Cosimo I e da Lorenzo, Leopoldo, al contrario, quest'austriaco di poco sego, si era reso conto che il mondo camminava e che i fiorentini non sarebbero rimasti indietro. Sotto di lui Firenze si era rimessa, dopo tanti anni, in moto. I piemontesi la ornarono di viali stupendi, di belvederi meravigliosi, di fontane, di giardini; e una volta presa Roma al Papa, la lasciarono « con gli occhi per piangere e i d[...]
[...] era calato dopo l'ultima piena, ma era ancora alto da coprire metà degli argini. È sempre così, di primavera. Gonfio, ma calmo, quasi verde e ora tutto barbagli; sotto il ponte schiumava un po', siccome fa un balzo alla pescaja di Santa Rosa, quando tocca San Frediano. Dall'altro capo, sullo slargo dove incominciano via dell'Antonella e via Bronzino, c'era la stessa gente di tutte le sere, ma era come se stesse ferma ad aspettare qualcuno o qualcosa che sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro. Era i fascisti che aspettavano: gliel'avevano mandato a dire, non si sapeva da chi, non si sanno mai queste cose, che sarebbero tornati stasera: "E prima di buio, giacché al Pignone si vuol rialzar la testa e lanciano le sfide, questi puzzolenti, queste bucaiole". Ora pretendevano che il Masi gli facesse il saluto. « Abbiamo sistemato San Frediano, con la teppa che c'é, figurati se non pieghiamo il Pignone! ».
San Frediano, l'avevano messo a posto come nemmeno la Pa lizia c'era mai riuscita; e pigliandolo di sotto e di sopra, dalle spalle [...]
[...]. Ma perché lui si peritava di guardare, non perché essi nascondessero la faccia. Non li guardava, ma li avrebbe potuti riconoscere, anche loro, uno per uno. Tutti dei ragazzi, comunque, che avevano fatto appena in tempo ad assaggiare la trincea; e si vedeva, non nascevano dal nulla. Del resto, nessuno glielo comandava, di andare a bastonar la gente, a purgarla, a buttare all'aria le Case del Popolo. Se rischiavano, come rischiavano, era per qualcosa più forte di loro, dovevano credere di far bene. E perché erano dei fegatacci e gli piaceva intimorire la gente. Forse, in guerra, erano stati negli Arditi. Andavano e tornavano cantando. Quando stavano zitti, non erano sui camion, erano in meno e venivano a due o tre per volta, a piedi o con un'automobile; allora succedeva qualcosa di grosso, che dopo, a stento si riusciva a sapere. Da queste spedizioni, che chiamavano punitive, non tornavano mai a vuoto, mai senza aver usato le mani; e i manganelli che ci tenevano penzoloni. Le rivoltelle le avevano dentro la fascia che gli reggeva la vita. Non avevano paura di farsi riconoscere; cantavano e il più delle volte erano in divisa. La camicia nera aperta sul petto anche di gennaio; o col collo alto che gli pigliava tutta la gola; i pantaloni da soldato, coi gambali, o con le mollettiere. Chi in calzoni a righe, chi vestito di tutto punto, con la lobbia che davvero pareva un[...]
[...]graffio, senza una lividura. Da allora, era diventato una jena. Aveva cambiato espressione; prima rideva sempre e ora aveva sempre il muso. Non rispettava più nemmeno gli operai di suo padre. Passava con quello dei basettoni e l'altro, il Pomero perché rosso di pelo, uno per fianco, ed era come si aprisse il vuoto davanti a loro. Tuttavia, a fondare il Fascio del Pignone non s'era azzardato. Doveva essere la sua rabbia e la sua pena; era la sola cosa che minacciasse e non si decidesse a fare. E ora, siccome dopo l'ultima spedizione contro la Casa del Popolo, quelli del Pignone non si sa, loro, cosa vogliano fare, Folco gli ha mandato a dire, che verrà una di queste sere, quando va giù il sole e con una squadra, la Disperata o le Fiamme Nere, come tre mesi fa in San Frediano. « Una di coteste sere può essere stasera, s'annusa nell'aria, non bastasse il resto, figlioli. E una domenica nata male. Scoppiata quella bomba, dicono in mezzo a via dei Tornabuoni: qui non si può sapere, qui si sa quello che chi passa ti vuol raccontare, e meno si sa meglio si vive: la città
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é deserta e come sottosopra, é una contraddizione. Chi é stato? Gli anarchici, chi vuoi siano stati ? »[...]
[...] a cercarli stasera ». E sembra, ora, che una per una, si siano vuotate le case, di lá dal ponte.
Ecco, il sole è digiá mezzo affogato in Arno, dopo l'Indiano. Come tutte k sere, il cielo é un fuoco, percui ci si vede meno che se fosse mezzanotte. I due carabinieri di guardia al ponte, quelli dalla parte del Pignone, non si distinguono proprio, forse più che il riflesso li coprono i piloni. Ma si vede quella gente che sta ferma sulla piazza.
« Cosa stanno per tramare ? », si domandava il Masi.
Egli era più vecchio di quanto non sembrava; al Pignone lo dovevano capire, invece di star 11 fermi a guardarlo, lontani quant'è lungo il ponte che pareva l'avessero più di sempre e soltanto con lui. Era più vecchio dei suoi sessant'anni e dei suoi capelli bianchi, anche se non aveva bisogno del bastone. Gli premeva il posto che occupava; la pensione o lo sborso che l'Impresa, se non l'Impresa il Comune, gli avrebbe dovuto dare. Non s'augurava venisse cotesta ora, si spaventava a pensare come avrebbe impiegato la giornata, ma non voleva, una volt[...]
[...]ciamo. Sembra che una parola sia passata da porta a porta, da un davanzale a un finestrino, da un reparto all'altro della Fonderia, di strada in strada, e come una goccia dentro l'alambicco porta a galla i veleni e fa precipitare le buone intenzioni, viceversa, ecco, dopo l'ultima devastazione della Casa del Popolo, si
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sono dati convegno sulla piazza, nelle strade vicine, e aspettano. Non lo sanno nemmeno loro che cosa; ma li aspettano, si vedrà cosa succede. Stanno sugli usci, le donne: le giovani come le anziane; o alle finestre, appoggiate sui gomiti, e tenendosi una mano sul petto, senza dirsi una parola. Guardano i loro uomini riuniti a gruppi sulla piazza, agli angoli di via dell'Anconella e via Bronzino, davanti alle botteghe e al caffé, le spalle contro gli stipiti delle porte, contro i muri, anche loro in silenzio. E né le une gli raccomandano di non trascendere, né gli altri di rientrare nelle stanze. Soltanto i ragazzi, che non sono tuttavia sul fiume questa sera, né sugli argini o i prati delle Cascine, ma li, intorno, sulla p[...]
[...]i Gavagnini. È stata un'ingenuità, ma c'erano preparati, hanno voluto tentare. Questo, piuttosto che disorientarla, ha fatto diventare di pietra la gente del Pignone. Non é un popolo gentile, nodavvero; é capace di commuoversi per nulla: a una parola, a un gesto che lo tocchi nell'intimo del cuore; e per la stessa ragione, ha già pronto il cazzotto. Il suo equilibrio é fatto di intransigenza e di sopportazione, non conosce le mezze misure. « Una cosa di mezzo non é un uomo; e non troverebbe una donna che gli stesse vicino ». L'ingiustizia, o la subiamo o ci si ribella; rassegnarcisi non é possibile.
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E una folla; e in mezzo ad essa, c'é il buono e il cattivo; non hanno nulla da difendere se non la loro quiete; e i piú, le loro idee di giustizia che non le registra né lo Statuto né il codice dei Tribunali. Non ancora. Anzi, le leggi che ci son ora, e che dovrebbero essere uguali per tutti, non passa giorno che non s'accorgano, una circostanza diventata per loro proverbiale, gli son contrarie. Tanto meno ci hanno qualcos[...]
[...]bile.
16 VASCO PRATOLINI
E una folla; e in mezzo ad essa, c'é il buono e il cattivo; non hanno nulla da difendere se non la loro quiete; e i piú, le loro idee di giustizia che non le registra né lo Statuto né il codice dei Tribunali. Non ancora. Anzi, le leggi che ci son ora, e che dovrebbero essere uguali per tutti, non passa giorno che non s'accorgano, una circostanza diventata per loro proverbiale, gli son contrarie. Tanto meno ci hanno qualcosa da. guadagnare. Cotesta attesa non li intimorisce e non li esalta. Sai, quando il cuore é diventato pietra e ne senti il peso? Masticano il mezzo toscano, accendono la sigaretta, sbucciano i due soldi di lupini che hanno comperato; o si aggiustano i capelli dietro la nuca, le camicette sul seno, i grembiulini di casa sopra la vita. E questi e quelle sembrano sfuggirsi anche con gli occhi, guardano davanti fisso, ciascuno di loro, come occupato da un pensiero che è come una parola d'ordine che ciascuno dà a se stesso, non venuta di fuori, non fatta circolare. Ma sua propria, privata. Ed in que[...]
[...]reno ».
« La legge é tutta dalla parte loro ».
« Mentre per noi, basta si muova un dito, si spalancano le
Murate ».
« Se non la fossa. Come per Spartaco, oggi ».
« Per Spartaco Gavagnini e per tutti quelli morti come lui ».
« E perché chi ci dovrebbe rapresentare non è buono che a
dire: State calmi, non li provocate ».
« Anche loro, via, l'altr'anno, quando si presero le fabbriche,
dettero a vedere d'aver la cacca al culo ».
« Era ogni cosa nostra, si fece una colata che non se ne aveva
memoria ».
« Erano con noi anche i soldati ».
Quando non mancava che fare i sovieti e difendere la nostra,
delle rivoluzioni, ci dissero: Tornate a casa, non è ancora l'ora ».
« Spartaco era calmo, ma si capiva avrebbe dato la testa nel
muro ».
<c Disse: questo ci ridimostra chi sono i socialisti, bisognerà
crescere e togliere di mezzo anche loro ».
« E siccome noi siamo con queste idee e non ci si può mutare ».
« Ci si muta la faccia? ».
« Ci si muta il cognome? ».
« Ci si possono tagliare i coglioni ? ».
c< E il bolscevismo è come [...]
[...]rbé si era fermato. Raccolse la rivoltella; e gli disse:
«
E tutto qui il tuo coraggio, capitano? ».
« Non ti mettere a provocar me, Tarbé, sii buono! Io li conosco, so con chi ho da fare ».
Agli spari, era seguito un ondeggiamento della folla, come un fuggi fuggi subito ricomposto. Folco gridò:
« Vi do tempo due minuti per sgomberare la piazza. Mandate a casa le donne. O spariamo addosso anche a loro. Vi si disfà, stasera ».
E accadde qualcosa di cui il Masi non si sarebbe « mai capacitato »; di cui anche Folco, che pure li conosceva, si sorprese, e per la prima volta nella sua vita, gli fece gelare il sangue nelle vene. Erano trascorsi dieci minuti, nemmeno, dall'arrivo dei fascisti, e tutto finora, si era svolto « in un battibaleno, come un volo di pallonetto che con l'occhio non gli stai dietro ». Ora incominciavano i secondi dieci minuti, un quarto d'ora che sarebbe sembrato eterno, e poi, « poi da mettersi le mani sugli occhi davvero ».
Stasera vi si concia per le feste », urlò il Pomero.
E Folco: « Ho guardato l'orologio, s[...]
[...] giornata dentro il sacchetto: l'Impresa, egli pensava, avrebbe considerato le ragioni per cui abbandonava il posto avanti dell'orario.
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Solo, in disparte, era rimasto Tarbé. Il berretto tirato sulla fronte ora, gli occhi balenanti acciaio, si rivolse a Folco, e li fermò tutti:
« Scappate così? Siete dei bei pusillanimi ».
Folco scese dalla macchina e lo affrontò. « Vuoi un par di schiaffi anche te? Su, fila ». Lo trascinò per il braccio: « Cosa vuoi fare? Un'altra bambinata ? ».
Tarbé gli resistette; e Folco, come ritrovando la calma, guardandolo negli occhi, gli disse: « Ogni secondo che si resta qui, se non si rischia la pelle, ci si va vicino. Quelli stanno salendo dalle Cascine col barcone, e sulla piazza... ».
« Insomma tu scappi », Tarbé disse.
« Non scappo, non sono mai scappato. Non dubitare che ï conti li regolo anche da me solo. È gente mia, e la voglio vedere con la bocca per terra. A cominciare da stanotte quando tornerò a casa, per tua norma, capito? ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 29
« Ma intanto scappi ».
[...]
[...] », affondò lentamente, e per sempre.
Era notte ormai; c'era il chiaro di luna; e rapido più d'ogni altro il Masi, fino allora nascosto tra spalletta e pilone, come in una segreta, scantonò sul lungarno e sul Prato. Carezzava le sue tortore, mentre beccavano le molliche ch'egli aveva sparso sul tavolo; e chiuso nella sua casa, il doppio paletto, la doppia mandata, si domandava: « Domattina, io li bisogna sia. Mi verranno a interrogare. Dimmi tu cosa dovrò dire, dimmi tu cosa gli dovrò inventare? ».
VASCO PRATOLINI