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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Cosa è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1143Analitici , di cui in selezione 33 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Vasco Pratolini, Firenze, marzo del ventuno in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...] uscivano dal loro convento, situato dirimpetto al fiume e alla porta Carrìa. Costi, essendo il ponte che incontravano per primo, facevano capo i carri provenienti dal contado, nel tempo in cui il porto di Firenze era più a valle, ed una grossa pigna di pietra, che i fiorentini digià chiamavano il pignone, serviva all'attracco dei barconi.
Questa era la città e i suoi ponti nel giro della terza cerchia;
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 3
e qui, ora cosa c'è di cambiato ? La natura del fiorentino, no. Il suo spirito non l'hanno ammorbidito né le tarde Signorie né i Granducati. Ma sempre si conquista qualcosa, che si è pagato sempre troppo caro. È per questo che ogni volta c'é qualcosa di cambiato.
Firenze medesima, al di là della sua terza cerchia, non può non essere mutata. Essa non si é estesa soltanto nei suoi entroterra, rispetto al fiume, ma si é allungata. Quartieri operai hanno fatto corpo con le antiche Mura. Ora l'Arno entra in città alla Nave a Rovezzano dove c'è un traghetto, percorre sei chilometri non uno, per trovare l'altro traghetto, al di là delle Cascine. E ai due estremi della città, da un secolo o quasi, ci sono due ponti nuovi.
Sono due ponti provvisori che da novant'anni servono all'uso cui sono destinati. Li progettarono degli ingegneri di cui s'é [...]

[...]e bene. Li ha distinti spartendo i due aggettivi. Uno é il ponte di Ferro che dà sui viali di San Niccolò; l'altro è il ponte Sospeso che immette nel quartiere del Pignone. Li regalò a Firenze, Leopoldo di Lorena, ossia un'impresa privata a cui Leo poldo li aveva appaltati e che malgrado il passaggio e delle dinastie e delle istituzioni, si fa ancora pagare il pedaggio. Del resto, cos'è un soldino?
È dall'epoca di questi nuovi ponti che c'é qualcosa di cambiato. La gotta di Gian Gastone aveva estinto la discendenza e il potere dei Medici. Per un momento, come tutta l'Europa, si fu un . feudo di Napoleone; quindi vennero i Lorena. Leopoldo era stato l'ultimo padrone. Lo si ricorda con simpatia; durante i vent'anni del suo granducato, egli non si limitò a commissionare i ponti nuovi, ma costruì le prime strade ferrate, la Fonderia del Pignone, la
4 VASCO PRATOLINI
Manifattura di San Pancrazio com'è ora; e portò l'acqua, allargò le strade. I fiorentini lo chiamavano babbo, chi con venerazione chi con ironia. Gli dettero qualche pedata qua[...]

[...]prime strade ferrate, la Fonderia del Pignone, la
4 VASCO PRATOLINI
Manifattura di San Pancrazio com'è ora; e portò l'acqua, allargò le strade. I fiorentini lo chiamavano babbo, chi con venerazione chi con ironia. Gli dettero qualche pedata quando non ne poterono proprio fare a meno: nel Quarantotto e poi, una definitiva, all'alba del Cinquantanove. Ma non appena Firenze diventò Capitale, si accorsero che averlo barattato con un Savoja, fu una cosa giusta, non certo un affare. « Oh, si, un bel bollo » dicevano. Mentre i Medici avevano vegetato trecento anni, al sol di luglio della gloria, della ricchezza e delle nefandezze ammassate da Cosimo I e da Lorenzo, Leopoldo, al contrario, quest'austriaco di poco sego, si era reso conto che il mondo camminava e che i fiorentini non sarebbero rimasti indietro. Sotto di lui Firenze si era rimessa, dopo tanti anni, in moto. I piemontesi la ornarono di viali stupendi, di belvederi meravigliosi, di fontane, di giardini; e una volta presa Roma al Papa, la lasciarono « con gli occhi per piangere e i d[...]

[...] era calato dopo l'ultima piena, ma era ancora alto da coprire metà degli argini. È sempre così, di primavera. Gonfio, ma calmo, quasi verde e ora tutto barbagli; sotto il ponte schiumava un po', siccome fa un balzo alla pescaja di Santa Rosa, quando tocca San Frediano. Dall'altro capo, sullo slargo dove incominciano via dell'Antonella e via Bronzino, c'era la stessa gente di tutte le sere, ma era come se stesse ferma ad aspettare qualcuno o qualcosa che sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro. Era i fascisti che aspettavano: gliel'avevano mandato a dire, non si sapeva da chi, non si sanno mai queste cose, che sarebbero tornati stasera: "E prima di buio, giacché al Pignone si vuol rialzar la testa e lanciano le sfide, questi puzzolenti, queste bucaiole". Ora pretendevano che il Masi gli facesse il saluto. « Abbiamo sistemato San Frediano, con la teppa che c'é, figurati se non pieghiamo il Pignone! ».
San Frediano, l'avevano messo a posto come nemmeno la Pa lizia c'era mai riuscita; e pigliandolo di sotto e di sopra, dalle spalle [...]

[...]. Ma perché lui si peritava di guardare, non perché essi nascondessero la faccia. Non li guardava, ma li avrebbe potuti riconoscere, anche loro, uno per uno. Tutti dei ragazzi, comunque, che avevano fatto appena in tempo ad assaggiare la trincea; e si vedeva, non nascevano dal nulla. Del resto, nessuno glielo comandava, di andare a bastonar la gente, a purgarla, a buttare all'aria le Case del Popolo. Se rischiavano, come rischiavano, era per qualcosa più forte di loro, dovevano credere di far bene. E perché erano dei fegatacci e gli piaceva intimorire la gente. Forse, in guerra, erano stati negli Arditi. Andavano e tornavano cantando. Quando stavano zitti, non erano sui camion, erano in meno e venivano a due o tre per volta, a piedi o con un'automobile; allora succedeva qualcosa di grosso, che dopo, a stento si riusciva a sapere. Da queste spedizioni, che chiamavano punitive, non tornavano mai a vuoto, mai senza aver usato le mani; e i manganelli che ci tenevano penzoloni. Le rivoltelle le avevano dentro la fascia che gli reggeva la vita. Non avevano paura di farsi riconoscere; cantavano e il più delle volte erano in divisa. La camicia nera aperta sul petto anche di gennaio; o col collo alto che gli pigliava tutta la gola; i pantaloni da soldato, coi gambali, o con le mollettiere. Chi in calzoni a righe, chi vestito di tutto punto, con la lobbia che davvero pareva un[...]

[...]graffio, senza una lividura. Da allora, era diventato una jena. Aveva cambiato espressione; prima rideva sempre e ora aveva sempre il muso. Non rispettava più nemmeno gli operai di suo padre. Passava con quello dei basettoni e l'altro, il Pomero perché rosso di pelo, uno per fianco, ed era come si aprisse il vuoto davanti a loro. Tuttavia, a fondare il Fascio del Pignone non s'era azzardato. Doveva essere la sua rabbia e la sua pena; era la sola cosa che minacciasse e non si decidesse a fare. E ora, siccome dopo l'ultima spedizione contro la Casa del Popolo, quelli del Pignone non si sa, loro, cosa vogliano fare, Folco gli ha mandato a dire, che verrà una di queste sere, quando va giù il sole e con una squadra, la Disperata o le Fiamme Nere, come tre mesi fa in San Frediano. « Una di coteste sere può essere stasera, s'annusa nell'aria, non bastasse il resto, figlioli. E una domenica nata male. Scoppiata quella bomba, dicono in mezzo a via dei Tornabuoni: qui non si può sapere, qui si sa quello che chi passa ti vuol raccontare, e meno si sa meglio si vive: la città
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é deserta e come sottosopra, é una contraddizione. Chi é stato? Gli anarchici, chi vuoi siano stati ? »[...]

[...] a cercarli stasera ». E sembra, ora, che una per una, si siano vuotate le case, di lá dal ponte.
Ecco, il sole è digiá mezzo affogato in Arno, dopo l'Indiano. Come tutte k sere, il cielo é un fuoco, percui ci si vede meno che se fosse mezzanotte. I due carabinieri di guardia al ponte, quelli dalla parte del Pignone, non si distinguono proprio, forse più che il riflesso li coprono i piloni. Ma si vede quella gente che sta ferma sulla piazza.
« Cosa stanno per tramare ? », si domandava il Masi.
Egli era più vecchio di quanto non sembrava; al Pignone lo dovevano capire, invece di star 11 fermi a guardarlo, lontani quant'è lungo il ponte che pareva l'avessero più di sempre e soltanto con lui. Era più vecchio dei suoi sessant'anni e dei suoi capelli bianchi, anche se non aveva bisogno del bastone. Gli premeva il posto che occupava; la pensione o lo sborso che l'Impresa, se non l'Impresa il Comune, gli avrebbe dovuto dare. Non s'augurava venisse cotesta ora, si spaventava a pensare come avrebbe impiegato la giornata, ma non voleva, una volt[...]

[...]ciamo. Sembra che una parola sia passata da porta a porta, da un davanzale a un finestrino, da un reparto all'altro della Fonderia, di strada in strada, e come una goccia dentro l'alambicco porta a galla i veleni e fa precipitare le buone intenzioni, viceversa, ecco, dopo l'ultima devastazione della Casa del Popolo, si
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 15
sono dati convegno sulla piazza, nelle strade vicine, e aspettano. Non lo sanno nemmeno loro che cosa; ma li aspettano, si vedrà cosa succede. Stanno sugli usci, le donne: le giovani come le anziane; o alle finestre, appoggiate sui gomiti, e tenendosi una mano sul petto, senza dirsi una parola. Guardano i loro uomini riuniti a gruppi sulla piazza, agli angoli di via dell'Anconella e via Bronzino, davanti alle botteghe e al caffé, le spalle contro gli stipiti delle porte, contro i muri, anche loro in silenzio. E né le une gli raccomandano di non trascendere, né gli altri di rientrare nelle stanze. Soltanto i ragazzi, che non sono tuttavia sul fiume questa sera, né sugli argini o i prati delle Cascine, ma li, intorno, sulla p[...]

[...]i Gavagnini. È stata un'ingenuità, ma c'erano preparati, hanno voluto tentare. Questo, piuttosto che disorientarla, ha fatto diventare di pietra la gente del Pignone. Non é un popolo gentile, nodavvero; é capace di commuoversi per nulla: a una parola, a un gesto che lo tocchi nell'intimo del cuore; e per la stessa ragione, ha già pronto il cazzotto. Il suo equilibrio é fatto di intransigenza e di sopportazione, non conosce le mezze misure. « Una cosa di mezzo non é un uomo; e non troverebbe una donna che gli stesse vicino ». L'ingiustizia, o la subiamo o ci si ribella; rassegnarcisi non é possibile.
16 VASCO PRATOLINI
E una folla; e in mezzo ad essa, c'é il buono e il cattivo; non hanno nulla da difendere se non la loro quiete; e i piú, le loro idee di giustizia che non le registra né lo Statuto né il codice dei Tribunali. Non ancora. Anzi, le leggi che ci son ora, e che dovrebbero essere uguali per tutti, non passa giorno che non s'accorgano, una circostanza diventata per loro proverbiale, gli son contrarie. Tanto meno ci hanno qualcos[...]

[...]bile.
16 VASCO PRATOLINI
E una folla; e in mezzo ad essa, c'é il buono e il cattivo; non hanno nulla da difendere se non la loro quiete; e i piú, le loro idee di giustizia che non le registra né lo Statuto né il codice dei Tribunali. Non ancora. Anzi, le leggi che ci son ora, e che dovrebbero essere uguali per tutti, non passa giorno che non s'accorgano, una circostanza diventata per loro proverbiale, gli son contrarie. Tanto meno ci hanno qualcosa da. guadagnare. Cotesta attesa non li intimorisce e non li esalta. Sai, quando il cuore é diventato pietra e ne senti il peso? Masticano il mezzo toscano, accendono la sigaretta, sbucciano i due soldi di lupini che hanno comperato; o si aggiustano i capelli dietro la nuca, le camicette sul seno, i grembiulini di casa sopra la vita. E questi e quelle sembrano sfuggirsi anche con gli occhi, guardano davanti fisso, ciascuno di loro, come occupato da un pensiero che è come una parola d'ordine che ciascuno dà a se stesso, non venuta di fuori, non fatta circolare. Ma sua propria, privata. Ed in que[...]

[...]reno ».
« La legge é tutta dalla parte loro ».
« Mentre per noi, basta si muova un dito, si spalancano le
Murate ».
« Se non la fossa. Come per Spartaco, oggi ».
« Per Spartaco Gavagnini e per tutti quelli morti come lui ».
« E perché chi ci dovrebbe rapresentare non è buono che a
dire: State calmi, non li provocate ».
« Anche loro, via, l'altr'anno, quando si presero le fabbriche,
dettero a vedere d'aver la cacca al culo ».
« Era ogni cosa nostra, si fece una colata che non se ne aveva
memoria ».
« Erano con noi anche i soldati ».
Quando non mancava che fare i sovieti e difendere la nostra,
delle rivoluzioni, ci dissero: Tornate a casa, non è ancora l'ora ».
« Spartaco era calmo, ma si capiva avrebbe dato la testa nel
muro ».
<c Disse: questo ci ridimostra chi sono i socialisti, bisognerà
crescere e togliere di mezzo anche loro ».
« E siccome noi siamo con queste idee e non ci si può mutare ».
« Ci si muta la faccia? ».
« Ci si muta il cognome? ».
« Ci si possono tagliare i coglioni ? ».
c< E il bolscevismo è come [...]

[...]rbé si era fermato. Raccolse la rivoltella; e gli disse:
«
E tutto qui il tuo coraggio, capitano? ».
« Non ti mettere a provocar me, Tarbé, sii buono! Io li conosco, so con chi ho da fare ».
Agli spari, era seguito un ondeggiamento della folla, come un fuggi fuggi subito ricomposto. Folco gridò:
« Vi do tempo due minuti per sgomberare la piazza. Mandate a casa le donne. O spariamo addosso anche a loro. Vi si disfà, stasera ».
E accadde qualcosa di cui il Masi non si sarebbe « mai capacitato »; di cui anche Folco, che pure li conosceva, si sorprese, e per la prima volta nella sua vita, gli fece gelare il sangue nelle vene. Erano trascorsi dieci minuti, nemmeno, dall'arrivo dei fascisti, e tutto finora, si era svolto « in un battibaleno, come un volo di pallonetto che con l'occhio non gli stai dietro ». Ora incominciavano i secondi dieci minuti, un quarto d'ora che sarebbe sembrato eterno, e poi, « poi da mettersi le mani sugli occhi davvero ».
Stasera vi si concia per le feste », urlò il Pomero.
E Folco: « Ho guardato l'orologio, s[...]

[...] giornata dentro il sacchetto: l'Impresa, egli pensava, avrebbe considerato le ragioni per cui abbandonava il posto avanti dell'orario.
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Solo, in disparte, era rimasto Tarbé. Il berretto tirato sulla fronte ora, gli occhi balenanti acciaio, si rivolse a Folco, e li fermò tutti:
« Scappate così? Siete dei bei pusillanimi ».
Folco scese dalla macchina e lo affrontò. « Vuoi un par di schiaffi anche te? Su, fila ». Lo trascinò per il braccio: « Cosa vuoi fare? Un'altra bambinata ? ».
Tarbé gli resistette; e Folco, come ritrovando la calma, guardandolo negli occhi, gli disse: « Ogni secondo che si resta qui, se non si rischia la pelle, ci si va vicino. Quelli stanno salendo dalle Cascine col barcone, e sulla piazza... ».
« Insomma tu scappi », Tarbé disse.
« Non scappo, non sono mai scappato. Non dubitare che ï conti li regolo anche da me solo. È gente mia, e la voglio vedere con la bocca per terra. A cominciare da stanotte quando tornerò a casa, per tua norma, capito? ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 29
« Ma intanto scappi ».
[...]

[...] », affondò lentamente, e per sempre.
Era notte ormai; c'era il chiaro di luna; e rapido più d'ogni altro il Masi, fino allora nascosto tra spalletta e pilone, come in una segreta, scantonò sul lungarno e sul Prato. Carezzava le sue tortore, mentre beccavano le molliche ch'egli aveva sparso sul tavolo; e chiuso nella sua casa, il doppio paletto, la doppia mandata, si domandava: « Domattina, io li bisogna sia. Mi verranno a interrogare. Dimmi tu cosa dovrò dire, dimmi tu cosa gli dovrò inventare? ».
VASCO PRATOLINI



da (Nove domande sullo stalinismo) Giuseppe Chiarante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1956 - 5 - 1 - numero 20

Brano: [...] denunciasse la degenerazione, la involuzione illiberale.
Ma, a mio avviso, così non é. La tesi staliniana sull'edificazione del socialismo rappresenta — almeno a me pare — l'accertamento scientifico di una situazione storica per molti aspetti non prevista da Marx o da Lenin, e che era tale, per le sue concrete condizioni,. da comportare una forma molto rigida di gestione del potere.
Certo questa « novità » della posizione staliniana viene faticosamente in luce, oscurata come é dagli sforzi di Stalin stesso e di
GIUSEPPE CHIARANTE 19
tutta la cultura sovietica, che ha teso per lunghi anni a negare ogni soluzione di continuità, sia pure formale, fra la linea e la dottrina di Lenin e quelle del suo continuatore. Ma ove si sbarazzino gli scritti dello statista georgiano dalle necessità tattiche e formali che la dura lotta contro le deviazioni ha loro imposto, non é difficile cogliervi la grande innovazione che egli ha portato all'interno della dottrina marxistaleninista.
E a tutti nota (e Stalin stesso fu sempre costretto a riconoscerlo[...]

[...]izione marxiana sul carattere internazionale della rivoluzione.
«Ecco la questione difficile per noi: sul continente la rivoluzione è imminente e prenderà anche subito un carattere socialista. Non sarà necessariamente battuta, in questo piccolo angolo di mon do, dato che il movimento della società borghese è ancora ascendente su un'area molto maggiore? » (1). Questa posizione, del resto, fu ripresa infinite volte ed anche accentuata da Engels.
Cosa mai è poi sopravvenuto a confutarla ? Lo stesso Stalin ce lo chiarisce con precisione: « Zinoviev dimentica che la citazione di Marx si riferisce al periodo del capitalismo monopolistico quando il capitalismo nel suo insieme si sviluppava secondo una linea ascendente... Altra cosa è il capitalismo imperialistico, quando il mondo è già stato spartito tra i gruppi capitalistici, quando lo sviluppo a sbalzi del capitalismo esige nuove ripartizioni del mondo già spartito, mediante conflitti militari, quando i conflitti e le guerre tra i gruppi imperialistici che sorgono su questo terreno indeboliscouo il fronte mondiale del capitalismo, lo rendono facilmente vulnerabile e creano la possibilità di aprire una breccia in singoli paesi » (2).
In altri termini, la dottrina leninista sul passaggio del capitalismo alla sua « fase suprema », mentre costituiva la teoria sulla qual[...]

[...]comprendere come l'innovazione staliniana, al di là del suo contenuto specifico, rappresentasse anche un importante e difficile passo in avanti del movimento operaio nel senso di liberare la sua dottrina così dalle eredità metafisicheggianti della sua origine hegeliana come dalle interpolazioni meccanicistiche che, in quando ideologia di una
22 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
classe subalterna, essa non aveva potuto in un primo periodo non subire.
Cosa distingue infatti la posizione di Stalin da quella, ad esempio, di un Trotzki se non proprio la primaria importanza che il primo attribuisce agli elementi forniti dall'indagine obiettiva e scientifica, in contraposto al procedimento ideologistico e astratto, letterale e scolastico del secondo ? Non é questa, metodologicamente, una nuova e ancor più decisiva battaglia (anche se simile a quella condotta da Lenin sul problema della pace di BrestLitowsk contro l'astrattismo dottrinario di un Bukarin) per ridurre realmente il marxismo alla sua esatta funzione di c scienza dello sviluppo della soci[...]

[...]socialismo, di eliminare la divisione sociale della società in classi, di fare di tutti i membri della società dei lavoratori, di togliere la base ad ogni sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Questo scopo non può essere raggiunto di colpo: esso esige un periodo abbastanza lungo di transi
(8) Lenin, Opere, vol. XXIII pag. 354.
34 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
zione dal capitalismo al socialismo, perché la riorganizzazione della produzione è cosa difficile, perché occorre del tempo per operare delle trasformazioni radicali in tutti i campi della vita, perché la forza enorme dei costumi economici piccoloborghesi può essere superata soltanto attraverso una lotta lunga e accanita » (9).
e) Infine, non va dimenticato che lo Stato socialista si viene edificando sotto la pressione della borghesia internazionale che fa gravare su di esso una continua minaccia di guerra; e ciò comporta inevitabilmente restrizioni e sacrifici.
Questo lungo richiamo alle tesi di Lenin e Stalin sulla dittatura del proletariato mi è parso necessario perché rite[...]

[...] un più largo respiro al processo rivoluzionario, così che questo possa svilupparsi in modo da riassorbire e riqualificare le migliori conquiste della civiltà liberale (dalla pluralità dei partiti giustificata in base non a contrapposizione di classe ma a distinzioni di correnti ideali, alla non identificazione fra partito e Stato, al rispetto dell'autonomia delle diverse dimensioni in cui si viene svolgendo la vita della società civile). Ma una cosa non va dimenticata: ed è che se oggi un tale allargamento di respiro del movimento proletario é possibile, senza che questo significhi corrompimento opportunistico o cedimento all'egemonia borghese, ciò é solo perché esiste ormai un saldo punto d'appoggio costituito da quel mondo socialista che proprio la gigantesca tenacia di Stalin ha consentito di edificare.
Ma se così stanno le cose, non diviene del tutto retorico e letterario vedere nell'opera staliniana solo la dittatura contrapposta alla democrazia, il terrore che conculca la legalità, l'inclinazione autocratica del capo che soffoca l[...]

[...]nto, sempre riguardo a questo secondo problema, mi pare importante mettere in luce: ed é che, nonostante le contrarie apparenze, proprio Stalin ha posto con la sua politica alcune importanti basi teoriche per uno sviluppo in senso sempre più liberale del concetto di dittatura del proletariato. Tale è infatti il significato obiettivo della lotta contro Trotzki per la difesa dell'alleanza operaicontadini, come formula di base della dittatura.
Che cosa comporta, in effetti, la formula staliniana ? Essa sta a indicare due cose:
a) che la dittatura del proletariato non può essere concepita come l'oppressione di una minoranza sul resto della popolazione, ma deve trovare la sua giustificazione nel fatto di esprimere gli interessi della grande maggioranza del popolo;
b) che la dittatura del proletariato non é il dominio esclusivo di una sola classe, ma é essenzialmente una formula di alleanza, in cui il proletariato é egemone, tra forze distinte (forze che possono essere semplicemente classi sociali diverse, come é stato il caso della Russia, [...]



da Giudizi di Antonio Gramsci su Benedetto Croce in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 1 - giugno

Brano: [...]uale, doro quella del 6 giugno circa la colla borazione oggettiva tra il filosofo idealista e coloro che ufficialmente lo combattevano, impose a Gramsci di non più scrivere su questo argomento I La necessità di ottenere che le lettere superassero lo scoglio della censura spiega la par,. ticolare terminologia impiegata dal nostro compagno.
N. tr. R.
ha permesso agli intellettuali italiani di riannodare i rapporti con gli intellettuali tedeschi, cosa che non è stata e non é facile per i francesi e i tedeschi, quindi l' attività crociaua é stata utile allo Stato italiano nel dopoguerra quando i motivi più profondi della storia nazionale hanno portato alla cessazione dell'alleanza militare francoitaliana e a uno spostamento della politica contro la Francia per il riavvicinamento alla Germania. Così il Croce, che non si è mai occupato di politica militante nel senso dei partiti, è diventato ministro dell'istruzione pubblica nel governo Giolitti nel 192021. Ma é finita la guerra ? Ed è finito l' errore di innalzare indebitamente criteri parti[...]

[...]i. giornali, nella vita di ogni giorno e si ha una grande quantità di c crociani > che non sanno di esserlo e che magari non sanno neppure che Croce esiste. 'Così negli scrittori cattolici è penetrata una certa somma di elementi idealistici da cui essi oggi cercano di liberarsi senza però riuscirvi, nel tentativo di presentare il tomismo come una concezione sufficiente a sè stessa e sufficiente alle esigenze intellettuali del mondo moderno .. .
Cosa penale di Turi, 2 maggio 1932
... Ti posso ancora fissare qualche punto di orientamento per un lavoro sul libro del Croce (che non ho ancora letto nel volume): anche se queste note sono un po' scucite, perìso che ti potranno essere utili lo stesso. Penserai poi tu a organizzarle per conto tuo, ai fini del tuo lavoro. Ho già accennato alla grande importanza che il Croce .assegna alla sua attività teorica di revisionista e come, per sua stessa ammissione esplicita, tutto il suo lavorio di pensatore in questi ultimi venti anni sia stato guidato dal fine di completare la revisione fino a farla d[...]



da Pier Paolo Pasolini, Saggio per una antologia con poesie di Francesco Leonetti, Pier Paolo Pasolini, Elio Pagliarani, Roberto Roversi in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]ri di vecchiezza, anch'io vivessi
come il mio nonno!
sul comodino mio padre lo tenne,
oh da fanciulli misterioso male,
oh morte che si fa
un saluto nel caos: un troncamento,
dell'opera il finale, che s'impara
che tutto il senso
dell'opera sarà.
Come mi piace
l'antico oriuolo,
vorrei solenne averlo con onore
al mio panciotto se il panciotto ancora
fosse di moda,
senza eccentricità;
vi giuocherà mia figlia... ovvero, un giorno,
che cosa dico? ormai
vi giuocherà suo figlio. Che darà
SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA 41
dopo autentici amori, al suo bisnonno
il conforto del ritmo
di una famiglia vera... e più
piú regolare e piú
solida d'ogni cuor...
Eh no, non va, perché
all'orecchio lo porta, ma lei sogna,
signore, cosa crede? E che pretende?
non si cammina sempre.
(Il solito cliente:
o petulante o strambo).
Ognuno creperà.
Oh, certamente; crepi l'astrologo.
E costa quanta?
Evviva l'astronauta.
La vita che sarà.
Come è poi già.
Come sarà.
E chi lo sa?
Io non lo so, però... restituendo
le istituzioni in noi...
permette ? io sono...
io, della scienza a fianco,
lavoro ad un congegno,
il cuore umano,
piú giusto e meno stanco...
Non si spaventi, oh via;
e se lo tenga,
il pendolo, lei si accontenta...
per forza! è come il suo. Ah, ah.
Buonasera.
42 SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA
LE VACCHE DEL CI[...]

[...]notti per la camera,
tirandosi i cuscini... ah! mi diverte
questa pudica favola.
Un tempo aveva, forse, nome e lagrime;
e silenzio, onesti, fiele, preghiere;
e il gas. Ora mi segue
a denudarmi pronta
se un attimo mi astraggo. Ed approfitta
della mia smania, che m'impaccia tanto,
di comparire come fussi uguale
a un'intellettuale.
Crede la proprietà, che mi è intestata,
e fino dal Decalogo è la madre
della cultura, della civiltà,
sia cosa sua.
Povera e nuda vai... È meglio, é meglio,
chè usare per la pelle non occorrono
44 sAGGIO PER UNA ANTOLOGIA
le cure d'ogni dama: obbligo
della beltá che attornia, con inviti,
la mia cara caverna.
Dio me l'ha data, e io me la conservo.
Ora, a voler ridire
ciò che disse un poeta, é presto detto:
questa, o signori, che é una vecchia pelle,
é stabilito
o prima o poi
per un tamburo serve.
PARTITA A SCOPONE
— Beh, ti decidi, o che fai?
— Toh.
— E allora
io metto la scopa.
— La donna ce l'hai?
La vedo adesso.
Se c'era prima, fesso,
e ti si offriva, allora
perché non l'hai [...]

[...] che é una vecchia pelle,
é stabilito
o prima o poi
per un tamburo serve.
PARTITA A SCOPONE
— Beh, ti decidi, o che fai?
— Toh.
— E allora
io metto la scopa.
— La donna ce l'hai?
La vedo adesso.
Se c'era prima, fesso,
e ti si offriva, allora
perché non l'hai presa?
tu, con gli errori...
— E se indugiavo perché
si disponesse per me?
E così, asso. Amare
vuole così,
e veramente bene
é da maiale allora
che a lei non pare tale.
Cosa dice il compare,
che ha il mazzo? si sa
come l'ho sano
SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA 45
io, quando voglio, il pazzo.
— Bravo, ti dico; basta.
— Incassa, piglia
tacitamente.
Silenzio si sente.
— E credo siam fuori,
o colle carte o gli ori.
— Lo vuoi stuzzicare?
non vedi che stizza?
a casa sta zitto...
— Ma in faccia agli imbrogli,
mi arrendo, andate,
andate all'inferno,
il giuoco scompiglio!
— Che imbrogli? che cosa...
— Che cosa farfugli?
— È isterico, oh dio...
boia di un papa.
Scocciatore.
— Eh già, con tutti i suoi;
la casa bianca avrà;
che vada là.
Almeno, ad Avignone.
Non pare a voi?
— Io ci vedo!
— Io ti meno!
— Carogne!
— Coglione!
— I segni vi fate;
perché dondolate?
— Avanti, lasciatelo.
E poi gli passerà.
Lo dice anche il medico...
— Un pugno é la cura,
se io glielo dessi, buffone.
46 SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA
Così lo curerei;
ma non mi metto
con un malato, è per questo.
— T'ho detto, una scena invece che a casa, la fa...
— Ma si dispiace dello scatto, io ci scommetto...
e tu finisc[...]

[...] assiste, fa.
L'uomo pensante.
E come tale, ognuno.
Lo chiameremo Peirce,
lo chiameremo Schlick ?
il nome come squillo, ancora, Marx
s'impone al nostro simbolo.
Egli si leva a un tratto
con tale convinzione
che nello scatto
dei soliti principi
la tavola rovescia.
La tavola che é invasa
dalla ragione stessa
travolge la veranda,
48 SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA
che spinge la scaletta...
é questa ecco la bomba
(la vita vita intera,
la cosa intesa vera)
che scoppia nella tromba
delle pulite scale,
dell'ordine che sale
fino al divino inteso
mistero tutelare...
Divino invece vale
fra le cose e il pensiero
un profondo legame.
È questa ecco la pietra
che lo studente afferra,
che l'operaio prende:
dopo che sta
al banco o al tornio
fuori del vero se,
ed analizza il mondo
fra sensazioni e idee
nell'ora che fumando
solo la via rifà...
non é per niente esatto
che egli non pensi:
va accanto a quello
che giusto ascolta, in quanto
poi pensa meglio.
E nel tumulto adempie
al razionale moto
con sacro fuoco,
contro al[...]

[...]eo, un po' malandro, trovato a Porta Portese, andando a cercare mobili per la nuova casa. Colori,
53
SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA
pochi, la stagione é così acerba: ori
leggeri di luce, e verdi, tutti i verdi...
Solo un po' di rosso, torvo e splendido,
seminascosto, amaro, senza gioia:
una rosa. Pende umile
sul ramo adolescente, come a una feritoia,
timido avanzo d'un paradiso in frantumi...
Da vicino, é ancora più dimessa, pare
una povera cosa indifesa e nuda,
una pura attitudine
della natura, che si trova all'aria, al sole,
viva, ma di una vita che la illude,
e la umilia, che la fa quasi vergognare
d'essere così rude
nella sua estrema tenerezza di fiore.
Mi avvicino più ancora, ne sento l'odore...
Ah, gridare é poco, ed é poco tacere:
niente può esprimere una esistenza intera!
Rinuncio a ogni atto... So soltanto
che in questa rosa resto a respirare,
in un solo misero istante,
l'odore della mia vita: l'odore di mia madre...
Perché non reagisco, perché non tremo
di gioia, o godo di qualche pura angoscia?
Perché non r[...]

[...]abbia, come un giovane
che di sé non sa altro che è nuovo,
e si accanisce contro i.l vecchio mondo;
E, come un giovane, senza pietà
o pudore, io non nascondo
questo mio stato: non avrò pace, mai.
Dolce, per te, è restare inespressa,
SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA 55
rosa che sei la stessa ormai riapparsa
tante primavere! È arsa
in te tanta mia vita, nata
ogni volta con te. Ora, tu rinasci,
e io, che per capirti ti ho straziata,
non so che cosa aspetto, non so che cosa lascio.
(Aprile 1960)
ELIO PAGLIARANI
CONFERENZA DIBATTITO SULLA QUESTIONE MERIDIONALE (*)
a Guido Mazzali
— Primo: non hanno voglia di lavorare
— Ma tu tua figlia a un cafone calabrese
(Dov'è Shylock, mercante di Venezia,
una libbra di sangue se valse un'arancia
— morte per acqua —
a Mussomeli?)
La civiltà si è trasferita al Nord
al seguito dell'industria
industria alle origini
volle dire ferro e carbone
delle miniere
del passo di Calais, Belgio, Ruhr, Slesia, Svezia, Galles
ferro e carbone. Industria pesante
per molti, e ai fini del nostro discorso in termini economici va [...]

[...]ale: Ha ragione il monopolio!
se non facciamo confusione
fra costi e prezzi — ma di ciò altra volta. Nasce la FIAT coi suoi
settantamila
operai, può chiudere la FIAT? Si può buttare
sul lastrico operai settantamila? Non si può piú. Teniamocela la
FIAT.
E se c'é la Volkswagen che fa concorrenza
mettiamo le dogane alte.
(Il MEC condurrà l'acciaio all'allineamento
mille lire il prezzochilo?)
— Sei fuori strada, resta nel tema, il Sud che cosa c'entra?
C'entra perché
chi compra un'auto
al Nord o al Sud
paga di più
trecentomila lire,
trecentomila lire
gli son rubati.
Con questa differenza:
al Nord quei soldi
in parte tornano
sotto la voce
SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA 57
salari operai
che i bravi operai
fan circolare.
Al Sud invece
niente ritorna
perdita secca
ecco perché é legittimo
dire che il Sud
al Nord si sfrutta.
(E non c'é colpa
o abilità,
se non nelle strutture
per legge irresponsabili) (1).
Un accenno ai prezzo politico del grano: nei nostri porti
cost insurance freight senza dogane il grano costerebb[...]

[...]sie, smemorata, lieve,
con il corso del fiume avanti a sé,
tutto nuovo il cammino
non nn breve momento
non un frammento spento,
roso dai topi come il mio.
Azure gloom of an Italian night
é povero il suo inglese:
pomeriggi vissuti ad ascoltare
i dischi, le voci alterne
dell'uomo e della donna B. B. C.,
il fruscio che debilita,
la punta " sottile nel grammofono,
un progredire monotono
d'anima spenta in acque salse e nere,
immaginare cosa sarà la vita
(la propria vita) nei prossimi trent'anni.
Pensa: oramai sono alle corde,
65
SAGGIO PER UNA ANTOLOGIA
resta poca al mio osso (palpitare
d'animale ferito), tra noi l'amore
sarà presto finito, come é
finito presto ogni altro mio amore.
Una saponetta nel lavabo
tagliata grossa col coltello,
le porte dell'albergo son6 bianche,
sporche, sottili; contra i muri
duri segni di mani forestiere,
conficcate nel legno le specchiere,
l'impronta di labili presenze
sui tappeti con rose di Venezia,
la desolazione dei cassetti,
dentro i letti un freddo da frontiera;
una luce fio[...]



da m. s., Sentiti a Padova dieci nuovi testi: ulteriori sviluppi [sopratitolo: Sempre più vasto il fronte delle operazioni giudiziarie antiterrorismo] [sottotitolo: Fais replica seccamente all'attacco anticomunista del collegio di difesa degli imputati] in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1979 - - maggio - 27

Brano: [...]icilio padovano del prof. Luciano FerrariBravo, docente a scienze politiche, imputato a Roma degli stessi reati attribuiti a Tony Negri.
I testi sentiti si sono inoltre aggiunti a quei «quindici testimoni di buon livello», come li aveva definiti l'altro giorno un magistrato, ex militanti di «Potere operaio» e «Autonomia», che avevano fornito notizie «dall'interno» sulla struttura della organizzazione autonoma e su singoli episodi terroristici.
Cosa abbiano detto i nuovi testi non si sa: stavolta i giudici hanno evitato ogni dichiarazione. Segno che sono stati raggiunti risultati importanti? Può farlo pensare anche una dichiarazione del procuratore capo Aldo Fais, il quale ieri, nel corso di una conferenza stampa, ha detto: «Alle volte scopriamo più di quanto cerchiamo...». Ed ha aggiunto: «L'inchiesta avrà ulteriori sviluppi, anche territoriali».
Fais si è incontrato con i giornalisti in una specie di «supplenza» della conferenza stampa settimanale dei giudici che il titolare dell'istruttoria, Palombarini, ha temporaneamente sospeso, i[...]

[...]ganizzata dal PCI per criminalizzare ogni dissenso.
Ai difensori ha replicato ieri Fais con durezza: «Quando i militanti del PCI hanno avuto notizie utili in riferimento ad attentati e ad episodi specifici, le hanno sempre riferite alla magistratura, come hanno fatto anche altre persone, ad esempio i membri della consulta provinciale per l'ordine democratico. Questo è il preciso dovere di ogni cittadino: vorrei che tutti facessero così. Ma è una cosa ben diversa dalla strumentalizzazione. Quella della difesa è una montatura in malafede».



da Giovanni Frediani, Poesia dialettale ieri, oggi [relazione conferenza 1951 ca a Domodossola] in Relazione dattiloscritta probabile 1951

Brano: [...]e questioni che, sembrano assai gravi:
1) La poesia dialettale ha ragion d' essere, e, nella affermativa, a quali soggetti deve restringersi, qual è il suo grado artistico?
2) Il poeta dialettale deve essere esatto e storico riproduttore della vita e del carattere di quel popolo di cui adopera il dialetto?
Ma io non le ho trattate perché le stimo oziose, poste male, provocanti false risposte; e dirò in breve il perché di questo mio pensiero. Che cosa significa contestare i diritti della poesia dialettale? Come si puo' impedire di comporre e poetare in dialetto? Molta parte dell'anima nostra è dialetto, come tant'altra è fatta di greco, latino, tedesco, francese, o di antico linguaggio italiano. Il dialetto non è veste perché la lingua non è veste: suono e immagine si compenetrano interamente...
E più avanti:
quando un artista sente in dialetto (ossia concepisce quelle immagini foniche che i grammatici poi classificano con tale nome), egli deve esprimersi con quei suoni.
Benedetto Croce 3° volume letteratura



Argomenti comuni ai poeti d[...]

[...]L' AMORE DE LI MORTI
A sto paese tutti li penzieri,
tutte le loro carità cristiane
sò pe' li morti; e appena more un cane,
je se smoveno tutti li braghieri.

E cataletti e moccoli e incenzieri
E asperge e uffizzi e musiche e campane
E messe e catafarchi e bonemane
E indurgenze e pitaffi e cimiteri!...

E intanto pe' li vivi, poveretti!
Gabbelle, ghijottine, passaporti,
manoreggie, galerre e cavalletti.

E li vivi poi, boni o cattivi,
sò quarche cosa mejo de li morti:
nun fuss'antro pe' questo che so' vivi.
G.G.Belli

Ed il Fucini,
Da "LA REPUBBRIA"
............................
Così non pol' anda', te l'assiuro:
chi lavora, lo vedi? 'un si satolla;
e 'r mi' padrone, pezzo di figuro,
sgranocchia sempre tordi e pasta frolla.

Da " ER CAMPOSANTO"
.............................
Cosa 'mporta studià' 'n della sapienza?
Cerca d'arrabattà quarche miglione,
e poi, se crepi: "E' morta su' eccellenza!"

Da " MISERIA SERENA"
.............................
Che vita fo? La vita der signore!
Sarvo la differenza solamente,
che loro mangian sempre alle su' ore,
e alle mi' ore io nun mangio niente.

E non manca il Trilussa
Da "ER SORCIO DE CITTÀ E ER SORCIO DE CAMPAGNA"
..............................
Ma qui, si rubbi, nun avrai rimproveri:
le trappole so' fatte pe' li micchi:
ce vanno drento li sorcetti poveri,
mica ce vanno li sorcetti ricchi!

Ed il vivente Enzo Guerra emiliano (14 [...]

[...]" ce se' stati un' ora;
e cantata accusì, sangue dell' ua!,
quer "magna" è una parola che innamora.

Prima l'ha detta un musico, poi dua,
poi tre, poi quattro; e tutt' er coro allora
j' ha dato giù: "misericordian tua".
G. G. Belli

ER CIMITERIO DE LA MORTE
Come tornai da la Madondell'orto?,
co' quer pizzicarolo de la cesta,
agnêde poi còr mannataro storto
ar Cimiterio suo che c'è la festa.

Ner guardà quelli schertri io me so' accorto
d'una grancosa, e sta gran cosa è questa;
che l'omo vivo, come l'omo morto;
ha unatestademorto in de la testa.

E ho scuperto accusì che o belli, o brutti,
o préncipi o vassalli o menzignori,
sta testa che dich'io ce l'hanno tutti.

Dunque, ar monno, e li boni e li cattivi,
li matti, li somari e li dottori
so' stati morti prima d'èssé vivi.
G. G. Belli

ER CAPITOLO
Li frati ereno trenta; e fra costoro,
venuto er giorno de creà er guardiano,
prima pranzorno, eppoi doppo lo spano
calorno in fila tutt' e trenta in coro.

E lì, a uno a uno, ognun de loro
(comincianno, s'intenne, dar più anziano)
co una cartina siggillata in man[...]

[...]n fila tutt' e trenta in coro.

E lì, a uno a uno, ognun de loro
(comincianno, s'intenne, dar più anziano)
co una cartina siggillata in mano
annò a ficcalla in un bussolo d'oro.

Fatto questo se venne a la lettura:
fra Matteo, fra Taddeo, fra Benedetto,
fra Elìa, fra Beda, fra Bonaventura...

Insomma un doppo l'antro un terremoto
de nomacci, e 'r guardiano nun fu eletto,
perché tutti li frati èbbeno un voto!
G. G. Belli

LA CUCINA DER PAPA
co la cosa ch'er coco m'è compare
m'ha vorsuto fa vede stamattina,
la cucina santissima. Cucina?
Che cucina! Hai da dì porto de mare.

Pile, marmitte, padelle, callare,
cosciotti de vitella e de vaccina,
polli, ova; latte, pesce, erbe, porcina,
caccia, e gni sorte de vivanne rare.

Dico: "Pròsite a lei, sor Padre Santo".
Dice: "Eppoi nun hai visto la dispenza,
che de grazzia de Dio ce n' è antrettanto".

Dico: "Eh, scusate, povero fijolo!
Ma cià a pranzo co lui quarch' eminenza?"
"Noo dice er papa magna sempre solo".
G.G.Belli

Da "DISGRAZII DE GIUANNIN BONGEE"
..........................................[...]

[...]lla famm che sta dessora lì?
Mi, muso duro tant e quant a lû,
respondi: ovì, ge suì muà, perché?
Perché, 'l repìa, voter famm, monsù,
l' è trè giolì, sacre Dioeu, e me plé.
O giolì o no, ghe dighi, l'è la famm
de muà de mi: coss'hal mo de contamm?
C. Porta

Da "ER VOTO UNIVERSALE"
......................................
O cos' è questo voto? "Ene un diritto
come 'r quale lo 'iamano le schiere
che 'un s' ammattisce perch' è bell' e scritto".

O a cosa serve? "Questo 'un s'ha a sapere:
so che se fo a su' modo e se sto zitto
ci ho già sei che mi pagano da bere.
R. Fucini

Da "LA 'ORTE D'ASSISE"
.........................................
No: vo' prutestare
che 'r delitto nun è premeditato,
perché avanti lo feci anco avvisare.
R. Fucini

Da "ER VAIOLO"
.........................................
Dice: assarva la vita... una saetta!
Scusi: un le l'innestonno ar signor Tito?|
Ma quando viense giù da un quarto piano,
lo sa 'a po' po' ? Rimase lì stecchito!
R. Fucini

Da " ER TERNO"
....................................
...................invece[...]

[...]ta 'e mille lire.
Tuorne 'a matina:
'a mille lire 'a truove, che te crire?
'Nzevata
ma sta llà!
Eduardo De Filippo

Psicologia Alle poesie di questo tipo, ricche di filosofia spicciola si possono aggiungere moltissime altre poesie, favolette moderne che con simpatica spregiudicatezza e acume psicologico ci forniscono spesso degli esempi di autentica poesia. Vi leggo questa del Fucini
"IL DRAMMA DI IERSERA"
Se ci siam divertite? Da impazzare!
Una cosa, mio Dio... c'è l'urtim' atto,
quando lui trova lei... creda, un affare!
Su, su, mi dica... o in che consiste ir fatto?

A un bel circa è così: Lui va per mare,
ma invece finge e torna tutt' a' n tratto,
e scopre che quell' artro, a quanto pare...
lei l' avesse già dato 'r su' ritratto.

Allora lui che fa? Va dar su' zio,
senza 'appello... Immagini 'he scena!
E dice: O morto lui, o morto io!

Lei che risà ugni 'osa, dalla pena,
viene con un vestito come 'r mio,
ma che bellezza...nero! E s' avvelena.
Fucini

Ricordi Questa del vicentino Ferdinando Palmieri, poeta e giornalista vivente,(1B) ma[...]



da Massimo Robersi, Turchia: una democrazia debole [sopratitolo: L'esperimento parlamentare di Ismet Inonu] in KBD-Periodici: Rinascita - Settimanale ('62/'89) 1962 - numero 13 - luglio - 28

Brano: [...]nomica. Le iniziative che lo Stato prenderà saranno quelle che non possono essere realizzate dal settore privato... Gli investimenti del settore privato e del settore pubblico devono essere aumentati al massimo... facilitazioni saranno concesse alla nostra industria per permetterle di esportare in condizioni più vantaggiose... La nostra stabilità economica in uo programma di democrazia occidentale sarà assicurata dai paesi ami
ci e alleati ».
Cosa dunque potrà fare un governo parlamentarmente debole contro lo strapotere dei proprietari terrieri e dei finanzieri cittadini, in un paese terribilmente arretrato e con un programma di riforme basato sui più evidenti compromessi?
Infine numerosi dati oscuri riguardano la politica estera. La dichiarazione programmatica recentemente diffusa ribadisce, in sostanza, l'appoggio alla NATO e alla CENTO; tuttavia, in maniera molto significativa, non viene fatto neanche un accenno ai rapporti con il blocco sovietico e con gli Stati neutrali. Sorge perciò il quesito di come sia possibile, per un paese[...]



da Massimo Mila, L'antico e il progresso nel carteggio tra Verdi e Boito in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]arteggio VerdiBoito, a cura di Mario Medici e di Marcello Conati, fu resa possibile da una catena generosa d’atti di mecenatismo. Ci fu anzitutto la donazione delle lettere di Verdi a Boito, che quest’ultimo aveva piamente conservato e poi, morendo senza eredi diretti, affidato al proprio esecutore testamentario Luigi Albertini, ultimo direttore del « Corriere della Sera » prima del fascismo. Questi aveva sposato la seconda figlia di Giuseppe Giacosa, legato a Boito da lunga amicizia, e tra la giovane coppia e il vecchio poeta e musico s’era stretto un legame d’affetto che durò fino alla scomparsa del maestro, nel 1918. Fu il 4 novembre 1973 che i figli di Luigi Albertini, Leonardo ed Elena, consegnarono il prezioso lascito all’istituto di studi verdiani nella sua sede di palazzo Marchi a Parma. Si trattava di 141 lettere.

Altre lettere di Verdi a Boito, precisamente trentuno, vennero all’istituto dal lascito del musicologo inglese Frank Walker, molto legato all’istituto stesso, tanto che dopo la sua morte il fratello consegnò all’isti[...]

[...]bicchiere alla mano, dove si brinda « Alla salute dell’Arte italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / Dalla cerchia del vecchio e del cretino ». E si aggiungeva: « Forse già nacque chi sovra l’altare / Rizzerà Parte, verecondo e puro, / .Su quell’altar bruttato come un muro / Di lupanare ». Con riferimento al festeggiato Faccio, ma fors’anche con un segreto pensierino a se stesso e all’embrionale progetto del Mefistofele.

Purtroppo la cosa non si fermò 11, nell’allegria un po’ goliardica d’un banchetto fra giovani artisti. L’Ode venne pubblicata, il 22 novembre, nel « Museo di famiglia » dell’editore Treves. Verdi la lesse e incassò. In una lettera a Tito Ricordi commentò asciutto asciutto: « Se anch’io, tra gli altri, ho sporcato l’altare egli lo netti ed io sarò il primo a venire ad accendere un moccolo » (citato in: Giuseppe Verdi, Autobiografia dalle lettere, a cura di Carlo Graziosi [ma: Aldo Oberdorfer], Milano, Mondadori, 1946, pag. 4178, n. 1).

Questo spiega facilmente perché manchino in principio molte lettere di Bo[...]

[...]o svegliare un poco il nostro Verdi! (...) Io ho il presentimento che Verdi abbia messo un po’ a dormire il moro! » (prefazione, pag. xxx).

Una lettera di Giuseppina Verdi Strepponi a Ricordi, volta a ritardare la decisiva visita di Boito, tanto patrocinata da Ricordi, illustra bene la situazione:

Ella sa, come avvenne l’affare per questo perfido Jago. Si può dire che Verdi è entrato alla cieca e senza volerlo in questa specie di rete. Una cosa ne ha chiamata un’altra e da un niente, da una semplice parola lanciata col bicchiere dell’allegria alla mano, è nato un libretto. Verdi lo ha preso, e benché senza impegno l’ho più volte sentito dire, non senza malumore; Io mi lego troppo

— le cose vanno troppo avanti ed assolutamente non voglio esser costretto a fare, quello che non vorrei, etc. etc. (note alla Lettera 2).

(Si noti, incidentalmente, in questa lettera l’espressione « da una semplice parola lanciata col bicchiere dell’allegria alla mano ». Può darsi che sia una sopravvivenza inconscia. Ma Giuseppina era abbastanza donn[...]

[...] accettò le scuse, con una certa degnazione.

Lietissimo di questa nostra spiegazione, che era però meglio fosse avvenuta quando tornaste da Napoli. Ripeto anch’io le vostre parole, per ciò che riguarda Otello. Se n’è parlato troppo! Troppo il tempo trascorso! Troppo i miei anni d’età! E troppo i miei anni di servizio1.!! Che il pubblico non abbia a dirmi troppo evidentemente ‘ Basta ’!

La conclusione si è che tutto questo ha sparso qualche cosa di freddo su quest’Otello, ed ha irrigidita la mano, che aveva cominciato a tracciare alcune batture (Lettera 47).

Era vero che, sebbene Boito gli mandasse subito per Jago « una specie di Credo scellerato (...) in un metro rotto e non simetrico » (Lettera 48), e Verdi lo ringraziasse a volta di corriere (« Bellissimo questo credo: potentissimo e shaesperiano [sic] in tutto »), tuttavia continua ancora nel maestro il distacco che da tre anni gli aveva, come diceva lui, irrigidita la mano. « Intanto è bene lasciare un po’ tranquillo quest’Otello, che è anch’esso nervoso, come siamo Noi; Voi [...]

[...]f (Lettera 121).

Ci vollero tre anni perché Verdi potesse scrivere, il 20 settembre 1892: « Ho consegnato a Tito il terzo atto di Falstaff » (Lettera 200). La composizione si era svolta abbastanza lentamente, con frequenti soste non dovute, questa volta, ad altre occupazioni, come per l'Otello, ma per vera e propria stanchezza senile. « In quanto al pancione Ahi ahi!!! Non ho fatto nulla!! » (Lettera 154). Oppure: «Ho lavorato poco ma qualche cosa ho fatto » (Lettera 156). « Il pancione non va avanti. Sono sconcertato e distratto » (Lettera 159). Di « quattro mesi perduti » si parla in una lettera di Boito a Verdi (Lettera 162 e n.) e in una di Verdi a Ricordi, e sono i mesi che vanno dal novembre 1890 al marzo 1891,l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

161

quando Verdi, tra l’altro, aveva dovuto accompagnare la moglie a Milano perché si sottoponesse alle cure del prof. Todeschini. L’8 settembre 1891 Boito scrive tutto allegro: « Ho sentito dire che il Falstaff è terminato. Evviva!! » (Lettera 180), e Verdi è c[...]

[...]rgli il frutto dei germi ch’egli seminò nel mio pensiero » (note alla Lettera 2).

Altro che sopraffazione di Boito su Verdi! Tra l’altro, si badi, tutte le discussioni, proposte, soppesamenti, battono solo sul versante drammaturgico dell’operazione. Mai che Boito metta bocca sull’aspetto specifico della creazione musicale. Verdi fa, disfà, innova, conserva, tutto per conto suo. Anzi, a volte Boito era costretto a chiedere di poter sentire qualcosa. Nove ottobre 1885, quando il quarto Atto à!Otello era finito, ma il dannatissimo terzo no: « Io non potrò compier bene quel breve lavoro di connessione che Lei aspetta da me, per quella scena, senza prima aver udito gli accenti e i ritmi notati da Lei » (Lettera 61). Figurarsi il povero Piave se avrebbe avuto di queste necessità!

Nessun traviamento, dunque, del genio musicale e drammatico di Verdi, ad opera delle seduzioni intellettualistiche di Boito, ma una collaborazione ad armi pari, almeno sul secondo versante, quale certo non sarebbe mai stata pensabile con Piave né con Solerà, e ne[...]

[...]usicista, dà una piccola lezioncina al collega: « La pregherei di cambiarmi il verso o i versi del Padre per evitare la parola aureola. Io non sono difficile per le parole, ma in un Cantabile quelleo... danno un suono nasale, gutturale antipatico » (Lettera 10).

Nel rifacimento del Boccanegra il comando delle operazioni è saldamente nelle mani di Verdi. Siamo tal quale nella vecchia situazione del rapporto con Piave: il compositore chiede qualcosa di preciso (« mi faccia tre o quattro versi sciolti chiari e netti », Lettera 17) e il poeta eseguisce, versificando le parole messe giù in prosa dal musicista e limando le frasi più volte, a richiesta. « Otto versi son troppi per Amelia (...). Per me vanno benissimo i primi quattro, ma Ella forse vorrà cambiare il secondo per la rima » (Lettera 22). La stesura del libretto è interamente governata e determinata dall’invenzione musicale. Nel Finale primo, scrive Verdi, « l’orchestra rugge, ma rugge piano. È necessario, però, che alla fine anche l’orchestra faccia sentire la sua formidabile voc[...]

[...]cezione di Boito segna un punto a proprio favore.

Verso quel benedetto terz’Atto, Verdi mostrava chiaramente qualche riluttanza, poco persuaso dalle dotte disquisizioni boitiane sul comico e sul tragico (« D’accordo perfettamente con Voi sulle esigenze e sull’indole della Tragedia e della Commedia (...). Ma se nella commedia (...) c’è un punto in cui si dice in platea: è finita e sulla scena non è finita ancora; bisogna allora trovare qualche cosa che possa legare fortemente l’attenzione o dal lato comico o dal lato musicale», Lettera 124). Che sia da ravvisare qui, per inciso, la prima idea della fuga finale: « qualche cosa che possa legare fortemente l’attenzione o dal lato comico o dal lato musicale »?

Par di capire che sotto sotto non gli andasse mica tanto il ribaltamento dell’interesse nell’azione del terzo Atto da Falstaff sull’idillio di Fenton e Nannetta e sul trionfo della gioventù. « Bene scriveva Verdi la parte fantastica colla Canzone delle Fate. Bene il Monologo di Falstaff: E bene l’interrogatorio a suon di legnate et... Ma dopo i matrimoni interrompono l’attenzione che dovrebbe essere tutta rivolta a Falstaff, e raffredda l’azione ». Ossia, il vecchio operista era ben persuaso che in un’opera[...]

[...]i lavorate spero? Il più strano si è che lavoro anch’io!... Mi diverto a fare delle fughe!... Si signore: una fuga... ed una fuga bufa... che potrebbe star bene in Falstaff!... Ma come una fuga buffa? perché buffa? direte Voi?... Non so come, né perché ma è una fuga buffai », Lettera 128).

Boito s’affrettò ad approvare. « Una fuga burlesca è quella che ci vuole, non mancherà il posto di collocarla. I giuochi dell’arte sono fatti per l’arte giocosa » (Lettera 129). In Boito c’era un pizzico di dannunzianesimo avanti lettera. Non per niente aveva preceduto l’immaginifico nel letto, diciamo nei favori di Eleonora Duse. E chi dubitasse della sua venerazione per Verdi e della sincerità delle attestazioni dirette che gliene faceva, dovrebbe considerare le dichiarazioni a terze persone, in particolare all’attrice cui lo legava allora una passione ciclonica, dichiarazioni opportunamente riferite in alcune delle note apposte a questo carteggio dai curatori. Recandosi a conferire con Verdi a Sant’Agata il 4 novembre 1889 (« Arriverò lunedi ventu[...]

[...]a bestemmia ». Sempre c’era in Boito questa volontà di rottura col passato, che Verdi non condivideva. L’arrabbiatura che si prese quando il critico Noseda riferì sul « Corriere della Sera » da Berlino, dove

il Falstaff era stato rappresentato il 6 marzo 1894: « Fa piacere annunciare un vero successo del Falstaff senza il bis del Quand’ero paggio »! (Il Noseda firmava i suoi articoli con uno pseudonimo ch’era tutto un programma: Misovulgo.) « Cosa vogliono questi avveniristi, questi i... », insorse Verdi (Lettera 214).

E perché in un’opera comica non si potrà fare una cosa leggera e brillante? In che offende l’estetica quel piccolo squarcio? Lascio da parte il motivo musicale, ma è in situazione. Falstaff deriso per la grossa pancia dice quando ero paggio ero sottile... È scritto bene per la voce; è istromentato leggermente; lascia sentire tutte le parole non disturbate dai soliti contrappunti (mal educati) che interrompono il discorso principale: armonizzato correttamente... Che male c’è dumque [sic] s’è riuscito popolare?!!... E così si fa la critica! Poco male per me che ho finito, e poi io non ci bado come non vi ho badato mai: Ma è un male per i giovani ch[...]



da Alessio Tolstoi, I diavoli dell'audacia in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 2 - luglio

Brano: [...]te, caro, svegliati ,. E Petrov : c Smettetela, ragazzi, non ci sarà nessuno che mi coglierà a sonnecchiare in caso di bisogno...
— Ma, compagno Zhabin, come diavolo riusciste a gironzolare con venticinque uomini per tanti giorni dietro le linee fasciste e ritornarvene senza neanche un graffio ? — chiese l'uomo con un'agenda sul ginocchio.
Zhabin si volse sull'altro fianco.
— Il mio chauffeur è veramente acuto. Gli chiesi un giorno : c Ma che cosa mai ti indusse ad andartene in giro per il mondo al volante di una macchina, vecchio Shmelkov ? Tu saresti stato bene all'università, alla facoltà di fisica e matematica... ,. c Andò da sè, rispose egli, vi scivolai dentro, quasi da ragazzo... r.. Voi volete sapere come andammo a finire al di là delle linee tedesche ? Beh, mi si. era ordinato di concentrare nel villaggio di P. tutto il nostro armamento e di mantenerci in contatto col Q. G. fino all'ultimo istante. Di conseguenza mi trovai circondato. Al crepuscolo due camion pieni zeppi di fascisti se ne vennero senza sospetto a Dubki. Lascia[...]

[...]fiore, un luogo meraviglioso da viverci. Era vuoto, gli abitanti erano fuggiti. In una macchina aperta, presso una minuscola chiesa di legno, sedeva un ufficiale tedesco dal viso rinsecchito e dal collo floscio che studiava una carta geografica al lume di una lampada tascabile. Feci appena in tempo ad afferrare il braccio di Petrov che, sporgendosi dalla cabina, stava per lanciare una delle sue bombe a mano. Parve che l'ufficiale sospettasse qualcosa. Avevamo oltrepassato il villaggio quando una motocicletta di 20 HP con un mitragliatore nella carrozzetta ci raggiunse. Questa volta Petrov adoperò le sue bombe a mano: e tanto beneche il mitragliere fu sbalzato in direzione nostra per circa un paio di metri, come se volesse sbrigarsi a dirci qualche cpsa: il conducente e la motocicletta andarono a sfracellarsi a capofitto nel fossato.
c Continuammo ad andare a lumi spenti. I bagliori di un grande incendio all'orizzonte gettavano un'orrida luce sull'oscura brughiera innanzi a noi... Ecco un fiumicello con un ponte di legno... Rallentammo. S[...]

[...]isvegliato i sospetti. Scorgemmo a destra un viale di betulle. Shmelkov afferrò la situazione a volo e sterzò. Di qua e di là i tronchi degli alberi, imbiancati, balenavano alla luce dei nostri fari. Avanzammo direttamente nel cortile di un sovkhos. Shmelkov voltò la macchina ed incominciò a far marcia indietro come se intendesse rifornirsi di benzina. Parecchi soldati tedeschi vennero correndo ad aprire le porte del garage. F; proprio una bella cosa che Hitler non abbia insegnato loro a far uso dei loro cervelli con una certa prontezza... Shmelkov girò la macchina e coi fari spenti si precipitò pel viale di betulle col secondo camion alle spalle. Dietro di noi sentimmo un urlo e degli spari, ma noi eravamo ormai di nuovo nella strada dove continuava ad avanzare l'autocolonna. Continuammo a camminare come persone a cui spettasse questo diritto dopo essersi appena riforniti: superammo i carri armati e lasciammo la strada . addentrandoci in un campo dove il grano era alto' All'alba raggiungemmo un bosco dove la nostra provvista di carburant[...]

[...]edemmo a mangiare un boccone. Improvvisamente Petrov con una galletta tra i denti rizzò la testa, saltò in piedi e si slanciò nel folto del bosco dove si era sentito un grido : ed eccolo ritornare trascinandosi dietro pel braccio un ragazzetto di circa nove anni coi capelli cortissimi, il naso all'insù e gli occhi accesi. (Che fate? Ma non vedete che sono uno dei vostri? Lasciatemi — strillava il ragazzetto — vi avevo scambiati per fascisti >. c Cosa fai qui, ragazzaccio prepotente ? > c Sono un pioniere, lavoro col nonno Oksen... >. Venimmo a sapere che questo ragazzetto ed altri cinque monelli come lui erano rimasti a casa insieme all' ottantenne nonno Oksen. Gli uomini e le donne, portandosi dietro i bambini e un po' di masserizie e di cibarie se ne erano andati nella boscaglia paludosa e di 11 facevano la guerriglia.
< La casa di nonno Oksen serviva loro di quartier generale. I sei ragazzi girellavano per la contrada tutto il giorno non temendo di spingersi sin dove erano i tedeschi e lamentandosi con loro come se chiedessero un tozz[...]

[...] riuscivamo a tenergli dietro. Lì, sull'orlo del bosco, vi erano delle autocisterne di carburante
e cinque apparecchi da caccia.
Risolvemmo la faccenda in un batter d'occhio. Quando i colpi sparati dai miei rintronarono e le sentinelle tedesche che evevano fino allora passeggiato su e giù presso le trincee si gettarono a terra, balzammo fuori dei cespugli gridando urrah / Questo nostro grido ha sempre un pessimo effetto sui nervi dei tedeschi, cosa che non si può dire che facciano le loro bombe urlanti sui nervi dei nostri uomini. I fascisti si buttarono fuori dalle loro buche, alcuni di essi alzarono subito le mani, altri scapparono qua e là come se fossero impazziti, sparando coi fucili mitragliatori. Da una delle carlinghe tirammo fuori per le cinghie del paracadute un aviatore. Appiccammo il fuoco alle autocisterne ed agli apparecchi e ce ne ritornammo nel bosco. Il ragazzo ci disse : — Io scappo. Arrivederci. Raeconterò tutto questo al nonno che aveva intenzione
di mandar qui un grosso gruppo di armati
c Rimanemmo tutto il giorn[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Dal Sasso, Il rapporto struttura-poesia nelle note di Gramsci sul decimo canto dell'Inferno in Studi gramsciani

Brano: [...] se lo giudica malato « un po' della malattia professionale dei dantisti » 3, continua a stimare il Cosmo. La sua polemica si rivolge dunque contro una mentalità, contro un vizio proprio della cultura italiana. E anzi, per il timore di dar credito egli medesimo a tale malattia, ritrae subito anche il progetto di compilare un contributo « dantesco » : « La letteratura dantesca è cosí pletorica e prolissa che l'unica giustificazione a scrivere qualcosa in proposito mi pare sia quella di dire qualcosa di veramente nuovo, con la maggior possibile precisione e con il minimo di parole possibili » , mentre sua intenzione, data anche l'impossibilità di profittare dell'apparato bibliografico necessario, è di scrivere qualcosa per proprio conto, « per passare il tempo » 4,
1 L. C., p. 132.
2 L. C., p. 138.
3 L. C., p. 1734.
4 L. C., p. 1734.
Rino Dal Sasso 131
pattuglia piú guerrafondaia, interventista e sciovinista: Gramsci ne parla in altra occasione, a proposito del soprannome che questo eroe si era scelto: Rastignac. E precisamente ne park là dove esamina l'origine dei nicciani italiani. Costoro, si chiede, derivano davvero la loro concezione o il loro atteggiamento nicciani dalla lettura e dalla conoscenza di Nietzsche? Sono davvero, queste concezioni «superumane », il prodotto « di una elaborazione di p[...]

[...] Morello in L. V. N., pp. 3842. I corsivi sotto di Gramsci.
132 I documenti del convegno
sette anni. « Se è vero (continuava il Morello) che i morti non possono conoscere da sé i fatti dei vivi, ma soltanto per mezzo delle anime che
li avvicinano, o degli angeli o dei demoni, Farinata può non conoscere la sua parentela con Guido e rimanere indifferente alle sorti di lui, se nessuna anima o nessun angelo o demone gliene abbian portata notizia. Cosa che non pare avvenuta » .
Il « brano è strabiliante », scrive Gramsci: non è infatti vero che gli eresiarchi ignorano i fatti dei vivi. Essi ignorano solo i fatti « che si approssimar e son », cioè il presente e l'immediato passato. Ma « nei personaggi di un'opera d'arte, andare a cercare le intenzioni oltre la portata della espressione letterale dello scritto... è proprio da dilettante ». Il Morello « pensa realmente alla vita concreta d'i Farinata nell'inferno oltre il canto di Dante, e pensa persino poco probabile che i demoni o gli angeli abbiano potuto, a tempo perso, informare Farinata[...]

[...]a d'arte, andare a cercare le intenzioni oltre la portata della espressione letterale dello scritto... è proprio da dilettante ». Il Morello « pensa realmente alla vita concreta d'i Farinata nell'inferno oltre il canto di Dante, e pensa persino poco probabile che i demoni o gli angeli abbiano potuto, a tempo perso, informare Farinata di ciò che gli era ignoto. È la mentalità dell'uomo del popolo che quando ha letto un romanzo vorrebbe sapere che cosa hanno fatto ulteriormente tutti i personaggi »; mentalità ben adatta alle pseudonimo morellesco; e in sé non sarebbe certo gran male se non fosse accolta a braccia aperte dalla cultura ufficiale. Ma tralasciamo le altre « superficialità e contraddizioni » del Morello. Che cosa ne conclude Gramsci?
All'inizio della scheda dei Quaderni, nello stendere lo schema della nota dantesca, scrive: « Lettura di Vincenzo Morello come corpus vile » . Il Morello è dunque un caso limite. Ma quanto accreditato lo stesso Gramsci neppure sospettava. La sua « strabiliante » conferenza è stata letta alla « Casa romana di Dante ». E se Gramsci afferma che « Rastignac conta meno che un fuscello nel mondo culturale ufficiale » 1, come, si chiede sempre Gramsci, fu permessa la lettura? Non ci vuole davvero « rnolta bravura per mostrarne l'inettitudine e la zerità». Ma intanto essa fu acc[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Cosa, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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