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Il segmento testuale Così è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 2421Analitici , di cui in selezione 91 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da La barbarie prussiana nel giudizio di Marx ed Engels in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 2 - luglio

Brano: 1!
to LA RINASCITA
La barbarie prussiana nel
giudizio di Marx ed Engels
Perchè la reazione è sempre stata così forte in Germania e il popolo tedesco così spesso impotente nella lotta contro di essa ? Perchè, nelle ore decisive della storia tedesca, il popolo è caduto sotto l' influenza e sotto il potere della reazione'? Perchè i problemi nazionali decisivi per la Germania sono stati così spesso decisi dalla reazione contro gli interessi del popolo tedesco, e non dagli elementi progressivi della società e a favore del popolo stesso? La risposta a questa domanda assume un interesse particolare nel momento presente, in cui l' hiderismo ha risuscitato quanto di più odioso ed infame vi è stato nella storia della Germania, ha fatto propri e spinto all'estremo i tratti più reazionari del prussianesimo e dato libero corso agli istinti più feroci della cricca militare tedesca. Ed è per noi particolarmente interessante trovare questa risposta negli scritti di Marx e di Engels, i quali [...]

[...]i o nani, fecero una politica che rifletteva gli interessi di classi reazionarie. Estraneo ad ogni compito progressivo di interesse nazionale, l'assolutismo diventò una tirannide che soffocò ogni manifestazione di iniziativa e di attività delle masse, una tutela meschina e ringhiosa che incatenò le forze vive del popolo. Esso creò una burocrazia estesissima di funzionari, il cui potere sulla vita della nazione venne sempre più aumentando. Sorse così lo spirito burocratico specificamente tedesco, prono alla lettera della legge e ai voleri dei governanti reazionari.
Marx ha dato una definizione caratteristica di questo regime : c ... Con questa pidocchiosa sovra nità dei principati si è creata una speciale a sog' gezione p tedesca, che faceva tanto dei contadini quanto dei cittadini i c servi s del sovrano...; nei rapporti con 1' estero la Germania faceva intanto ben trista figura... s
Nato in queste condizioni, il primo movimento
F. ENGELS, Note diverse sulla Germania.
s F. ENGELS, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania. 9 K. MAR[...]

[...]nte contro i contadini. In pari tempo la rivoluzione religiosa borghese viene castrata al punto da fare il giuoco dei principi, ai quali essa
conferisce la funzione dirigente Approfittando
dell'appoggio della borghesia, i principi schiacciarono l' insurrezione contadina con barbara crudeltà, sterminando i contadini in massa, devastando regioni intiere, gettando il paese nella più grande miseria e le masse popolari in una disperazione profonda. Così la prima grande battaglia rivoluzionaria del popolo tedesco, terminò con la disfatta di quest'ultimo. I principi ne trassero profitto per impadronirsi dei beni e delle terre più ricche del clero e i contadini furono assoggettati a un doppio giogo. La potenza delle classi reazionarie si accrebbe, mentre le forze rivoluzionarie popolari per un lungo periodo di tempo furono esauste.
La guerra dei trent' anni tra il potere centrale dell' Impero tedesco e i piccoli. principati ebbe per effetto di devastare ancor più il paese, di ridurre in cenere città e villaggi, saccheggiati dalle truppe mercen[...]

[...]er c grande a) ha tradito una prima volta la Polonia : alleato dapprima con la Polonia contro la Svezia, passa improvvisamente dalla parte della Sve
zia per meglio saccheggiare la Polonia... , Con
gli stessi metodi l'erede dell'elettore, Federico III, comprò il titolo di re di Prussia col sangue dei suoi soldati, che vendette all'Imperatore d'Austria per le sue guerre dinastiche. c La storia mondiale—scriveva Marx,—non ha mai prodotto nulla di così miserabile come la storia della Prussia. La lunga storia della Francia, circa il modo come i re di nome divennero re di fatto, abbonda pure di piccole battaglie, tradimenti e intrighi. Ma si trattava in questo caso della storia dell'origine di una nazione... In Prussia, niente di simile ) s.
La storia della Prussia non fu la storia della formazione di una nazione, perche questo paese, sorto come colonia militare, conservò questo carattere per tutto il corso del suo sviluppo. La nobiltà prus
siana, casta militare di c alta nascita obbligava i
suoi contadini a servir nell'esercito pur contin[...]

[...]i serve come di alleati > X.
La politica di perfidia verso i suoi alleati e ditradimento della Germania si manifestò particolarmente nella guerra di Federico II contro l'Austria e gli altri Stati tedeschi per la Slesia e nella guerra dei sette anni, in cui alla fine, battuto dai russi che arrivarono a occupare Berlino, egli fu salvato dal voltafaccia di Pietro III. c La storia mondiale,—dice Marx,—non conosce un altro re i cui scopi siano stati così meschini! Che cosa poteva essere di (grande > nei piani di un elettore di Brandeburgo, re per cortesia altrui, che agisce non a nome di una nazione, ma nell'interesse del suo patrimonio, che cerca .di arrotondare e ingrandire i suoi domini a carico dei territori della nazione... Trasformare il regno e mettersi alla sua testa era cosa molto al di sotto della sua ambizione 3. Tutta la politica interna di Federico 1I fu subordinata ai suoi scopi di conquista. Su. 16 milioni di talleri del suo bilancio, 13 erano spesi per l'esercito, i cui membri, secondo il giudizio di Scharnhorst, erano recluta[...]

[...]erano spesi per l'esercito, i cui membri, secondo il giudizio di Scharnhorst, erano reclutati tra c i vagabondi, gli ubriaconi, i ladri, i fannulloni e, in generale, i criminali di tutta'la Germania i,, o tra contadini servi e cittadini poveri arrolati per forza, con delle vere cacce all' uomo. c Federico,—osservava Engels,—ha posto le basi di quel pedantismo e di quell'allenamento brutale che da allora ha sempre distinto i prussiani. Egli li ha così preparati alla vergogna senza pari di Jena e Auerstaedt 4.
La politica di perfidia, di violenza e di usurpazione propria di Federico II si manifestò particolarmente nei riguardi della Polonia. In alleanza con lo zarismo russo, Federico partecipò al saccheggio e alla spartizione di questi paesi. I junker prussiani si comportarono nei territori polacchi come solo lo potevano i precursori degli odierni banditi hitleriani. c Dopo aver occupato le province limi
K. MARX, I Prussiani (le canagliel.
r Ibid.
3 A id.
c La nuova enciclopedia americana, vol. IX, 1860 e Fan
tena , pag. 520.
trofé p[...]

[...]tro questo paese
e ricevendone in cambio Thorn, Danzica e Posen. La germanizzazione di questi paesi si fece coi metodi tradizionali degli Hohenzollern. c La paterna benevolenza prussiana per i polacchi si manifestò prima di tutto con la confisca dei beni della corona e del clero... Avventurieri, favóriti delle amanti del re, creature di ministri, complici da tacitare vennero gratificati dei più ricchi e considerevoli domini del paese devastato. Così si impiantarono gli cinteressi tedeschi > e la c proprietà fondiaria tedesca predominante tra i polacchi . Infine, nel 1795, un nuovo pezzo di Polonia venne attribuito ai prussiani. c Così, scrive Marx, — lo Stato prussiano deve la sua esistenza alla decadenza della Polonia
e al tradimento di questo paese da parte degli Hohenzollern, che fino ad oggi nutrono contro di esso un odio inestinguibile di rinnegati » °..E nell'articolo c I prussiani (le canaglie) , aggiunge: (Le eccezionali bassezze della Prussia verso la Polonia derivano dal fatto che la Prussia è un servo' di ventato padrone, e non può cancellare il ricordo del sub vecchio, stato se non con la bassezza ,.
In pari tempo Marx sottolinea con forza che i veri interessi della Germania nei confronti della Polonia non p[...]



da Ernesto De Martino, Perdita della presenza e crisi del cordoglio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...] (1). E un’altra malata: « Di tanto in tanto la mia persona se ne va, io perdo la mia persona. E’ una cosa bizzarra e

(1) P. Janet, De Vangoisse à Vextase, Paris, 1928, II, p. 56.52

ERNESTO DE MARTINO

ridicola, ma è come se un velario cadesse e tagliasse in due la mia personalità. Le altre persone non se ne accorgono perché io posso parlare e rispondere correttamente. In apparenza per voi io sono la stessa, ma per me le cose non stanno così » (2). E ancora un altro malato: « Ciò che mi manca sono io stesso, è terribile sfuggire a se stesso, vivere e non essere se stesso» (3). A queste esperienze della perdita della presenza fanno riscontro quella della perdita del mondo, che è avvertito come strano, irrelativo, indifferente, meccanico, artificiale, teatrale, simulato, sognante, senza rilievo, inconsistente, e simili. Diceva un malato di P. Janet: « Io intendo, vedo, tocco, ma non sento come un tempo, gli oggetti non si identificano col mio essere, un velo spesso, una nuvola cambia il colore e l’aspetto dei corpi » (4). E un altr[...]

[...]senza può essere avvertito o nel dominio del divenire oggettivo, o per singoli pensieri e affetti, ovvero in rapporto alla presenza in quanto tale. Il rischio di alienazione del dominio oggettivo com
(8) Sechehaye, op. cit., p. 21.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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porta l’esperienza di una disposizione maligna delle cose e degli eventi, di un « esseragitoda » che si sostituisce « all’agire su » della oggettivazione. Si apre così una vicenda di oscuri disegni e di subdole macchinazioni, di rimproveri e di accuse, di insidie e di influenze: e le cose diventano cause, non già nel senso fisico del termine, ma propri in quello giuridico di cause intentate ai danni del malato. L’alienarsi di singoli pensieri o affetti dà luogo alla interpretazione che altri li manovrino, li influenzino, li rubino, o ne siano padroni: a un grado più profondo di alienazióne si avvertono i propri pensieri in atto di staccarsi dal flusso interno del pensare, per ripetersi per loro conto, a guisa di eco psichica, sino a risuonare pubblicamente [...]

[...]ale, e perciò sterili anche sul piano tecnico sul quale si muovono.

(11) Arieti, op. cit., p. 121 sg.60

ERNESTO DE MARTINO

Analoghe considerazioni valgono per le difese improprie orientate verso il «fare». Qui i conati di recuperare la presenza riescono solo ad una caricatura ed una contraffazione della esigenza del trascendimento, in quanto ciò che dovrebbe stare sempre come materia, la vitalità, pretende di assolvere compiti formali. Così il « far passare nel valore », che comporta ima appropriazione interiore a un far morire ideale, cede il luogo, in questa forma della crisi, alla appropriazione materiale di oggetti privi di significato attuale, alla mania del raccogliere e del conservare, alla incorporazione nelle cavità naturali del corpo, alla fame insaziabile di cibo e alla ingestione di oggetti anche non commestibili, allo sfrenato erotismo, al furore distruttivo e omicida. I momenti delFinnalzamento alla forma, cioè l’appropriazione, la conservazione ed il superamento formali, sono qui contraffatti sull’improprio piano [...]

[...]ibili, allo sfrenato erotismo, al furore distruttivo e omicida. I momenti delFinnalzamento alla forma, cioè l’appropriazione, la conservazione ed il superamento formali, sono qui contraffatti sull’improprio piano materiale della vitalità in atto, chiusa in sé stessa e adialettica rispetto al destino formale dell’uomo: diabolus simia Dei. La egemonia del vitale che pretende di surrogare la risoluzione formale si manifesta nel modo più netto nella cosiddetta eccitazione maniaca. Qui la presenza in crisi si limita a prestare alla accelerazione vitale l’inerte contenuto di rappresentazioni e di sentimenti che simulano, ma non sono, valori reali. Lo psichiatra Giorgio Dumas riferisce di un tal Victor, capitano dell’esercito francese e appartenente a una famiglia tradizionalmente legata al culto della gioire e della patrie, il quale nei suoi eccessi maniaci si abbatteva al suolo, ventre a terra, gridando: «A me il granito! », alzandosi poi lentamente e guardando intorno a sè con aria di sfida. Interrogato successivamente dal Dumas, durante un p[...]

[...]orno a sè con aria di sfida. Interrogato successivamente dal Dumas, durante un periodo di remissione, gli rese questa spiegazione: « Sì, mi ricordo; era per me una manifestazione di spirito patriottico, un appello alla vecchia terra francese, riboccavo di amor patrio e desideravo farne mostra ». Un’altra volta il capitano Victor accolse il Dumas ruggendo come un leone e roteando furiosamente gli occhi. Ecco la sua spiegazione successiva: « Sì, è così, era in onore di mio padre, ufficiale prima di me nelParmata d’Africa. Ruggendo come un leone africano credevo di incarnare il patriottismo della nostra famiglia, quello di mio padre ed il mio: oggiPERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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però la dimostrazione mi sembra debole». In altra occasione il capitano Victor aveva detto al Dumas che cercava di sentirgli il polso: «Prendi la mia pelle, se vuoi!». Spiegazione successiva: «Era il sacrificio della mia vita che io offrivo al mio paese ». È sin troppo evidente che, in un caso come questo, determinati valori culturali come la g[...]

[...] moderne, o al crudo dispotismo degli stati dittatoriali, capitalistici o socialistici che siano. Ma nel complesso il nostro incommensurabilmente più alto distacco dalle condizioni naturali e la ampiezza delle realizzazioni civili in tutti i domini, e gli abiti morali e le persuasioni razionali che ne abbiamo acquistato, ci fanno molto più preparati a superare i momenti critici dell’esistenza, patendo senza dubbio il rischio, ma non più nei modi così estremi che nelle civiltà primitive e nel mondo antico minacciano di continuo la vita dei singoli e quella della comunità. Infatti nelle civiltà primitive e nel mondo antico il rischio della presenza assume una gravità, una frequenza e una diffusione tali da obbligare la civiltà a fronteggiarlo per salvare se stessa. Nelle civiltà primitive e nel mondo antico una parte considerevole della coerenza tecnica dell’uomo non è impiegata nel dominio tecnico della natura (dove del resto trova applicazioni limitate), ma nella creazione di forme istituzionali atte a proteggere la presenza dal rischio d[...]

[...]e ferma nella metastoria mitica l’alienazione irrelativa della crisi e che realizza la reintegrazione del divino nell’umano.

Ma il sacro manifesta la sua coerenza tecnica anche in altro modo: in quanto nesso miticorituale esso maschera il divenire storico nella iterazione rituale di modelli mitici in cui su un pianoPERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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metastorico il mutamento è ammesso e al tempo stesso reintegrato: ne nasce così un particolare regime di esistenza protetta, nel cui ambito per un verso si entra in rapporto con le alienazioni della crisi, mentre per un altro verso si inaugura una dinamica che sospinge alla riconquista delle forme di coerenza culturale a vari livelli — storicamente determinati — di autonomia e di consapevolezza. Questa dialettica di ripresa e reintegrazione dei rischi di alienazione è caratterizzata dalla coerenza tecnica della destorificazione miticorituale che si fa mediatrice del ridischiudersi delle altre forme di coerenza culturale, dalla economia aH’ordinamento sociale, giuridico e[...]

[...]l genere si pensi al capitolo che apre la Storia d’Europa del Croce, e che si intitola « La religione della Libertà », dove si ritrova anche la seguente giustificazione teorica dell’impiego della qualifica di « religione » a proposito dell’ideale liberale consustanziale al moderno pensiero dialettico e storico: « Ora chi raccolga e consideri (i tratti) dell’ideale liberale, non dubita di denominarlo, qual esso era, una ’ religione ’: denominarlo così, ben inteso, quando si attenda all’essenziale ed intrinseco di ogni religione, che risiede sempre in una concezione della realtà e in un’etica conforme, e si prescinda dall’elemento mitologico, pel quale solo secondariamente le religioni si differenziano dalle filosofie» (p. 23 sg.). Ora l’essenziale e l’intrinseco di ogni religione sta, come si è detto, proprio nella destorificazione miticorituale come tecnica mediatrice di determinati orizzonti umanistici, e pertanto mal si attaglia la qualifica di religione ad una concezione essenzialmente laica della vita e del mondo. Nei nostri studi poi[...]

[...]ome quello formulato dal Croce può introdurre soltanto una serie di equivoci dannosi, o quanto meno vale a restringere il compito dello storiografo soltanto a quel settore circoscritto che è l’enuclearsi della ' visione del mondo ' dal mito, lasciando fuori della considerazione proprio la ierogenesi come tecnica, e decurtando e oscurando in tal modo il processoPERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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dialettico della vita religiosa così come è stato qui sommariamente delineato.

Se tuttavia è da respingere la tendenza panlogistica che risolve la religione in una sorta di philosophia inferior non è nemmeno da accogliere la esigenza irrazionalistica di una autonomia formale della vita religiosa. La religione, ove sia intesa correttamente come nesso miticorituale, non è un apriorv. il tentativo di R. Otto di completare le tre critiche kantiane con una quarta attinente al ' sacro ' deve considerarsi fallito. Apriori però è certamente la potenza tecnica dell’uomo, sia che si volga al dominio della natura con la produzione dei b[...]

[...]el mondo antico (per tacere naturalmente delle civiltà primitive) la crisi del cordoglio assume invece ordinariamente, sia nell’individuo che nella collettività, modi estremi che hanno riscontro nella nostra civiltà solo in casi individuali eccezionali e palesemente morbosi, e più diffusamente appena in quelle poche aree folkloriche che per certi aspetti riproducono ancora condizioni di esistenza in qualche modo simili a quelle del mondo antico. Così ove prescindano dalla risoluzione poetica di Omero, la crisi di Achille per la morte di Patroclo si manifesta

(12) Sul concetto di sacro, vita religiosa, destorificazione miticorituale, e sui rapporti fra religione e magia, e fra religione e storiografia religiosa ci permettiamo rinviare alle nostre due monografie Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, in « AutAut », 1955, n. 31 e Irrazionalismo e storicismo nella storia delle religioni in « Studi e Materiali di Storia delle Religioni», XXVIII, 1957, fase. I, pp. 89 sgg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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in mo[...]

[...]I, 1957, fase. I, pp. 89 sgg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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in modi « eccessivi » che noi oggi non saremmo disposti a concedere a un uomo « normale », e che possiamo al più tollerare con varia disposizione d’animo nelle contadine dell’Italia meridionale o della penisola balcanica. Tuttavia noi qui dobbiamo analizzare proprio i modi « eccessivi » della crisi del cordoglio, cioè il rischio che essa comporta quando tocca per così dire il fondo.

Quando la caduta della potenza oltrepassante consuma sino in fondo il suo rischio, la contradizione esistenziale in cui la presenza si irretisce assume il modo estremo della assenza totale e della degradazione dell’ethos della presenza nella scarica meramente meccanica di energia psichica. In generale la situazione luttuosa è tale solo nell’atto o nel tentativo del trascendimento formale, e d’altra parte la presenza si distacca da questa situazione, e si costituisce come presenza, nella misura in cui va dispiegando lo sforzo del trascendimento. Ciò significa che nel crollo c[...]

[...]Eur., Ale., vv. 861864.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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nientata, prima di inaugurare la lamentazione pronunzia analoghe parole di smarrimento: «Che debbo tacere? / Che cosa non tacere? / Su che lamentarmi...» (15).

Nella carenza della energia formale della presenza i tentativi di ripresa si risolvono in vani conati, in trascendimenti impropri, in cui la vitalità prevarica la funzione formale che non le può mai spettare: così il «far morire i morti in noi», che è un faticoso processo interiore e ideale, si può manifestare nella modalità più impropria, cioè nella aggressività contro il cadavere, o nel bisogno di vendicare il morto con una nuova uccisione operata su altri, o con l’insorgenza di un indiscriminato furore distruttivo; l’interiorizzazione del morto mercè dell’appropriarsi della sua opera per continuarla ed accrescerla si può degradare nella incorporazione materiale della necrofagia o della fame insaziabile; il compito di instaurare con colui che non è più un nuovo rapporto affettivo alimentato da una be[...]

[...] se appartenessero al presente e non al passato: poi, conclusa la crisi che aveva bruscamente interrotto la vita psichica, le scene e la situazione luttuosa erano di nuovo dimenticate (17).

4. Di alcune teorie psicologiche sul cordoglio.

Nel complesso la moderna psicologia non ha dedicato alla crisi del cordoglio tutta l’attenzione che sarebbe stata desiderabile, in parte perché nel mondo moderno la crisi del cordoglio non presenta aspetti così pericolosi come nel mondo antico (per tacere delle civiltà primitive), ed in parte perché è sembrato che l’evento luttuoso come tale non giustifichi una considerazione psicologicamente unitaria, potendo occasionare a seconda delle disposizioni individuali le più diverse nevrosi o psicosi. Tuttavia la moderna psicocologia ha talora toccato il problema del cordoglio e delle reazioni anormali alla morte della persona cara. Pierre Janet interpreta

(17) La descrizione del caso si trova in P. Janet, L’état meritai des hystérìques, 19233, pp. 55 sg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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la crisi del cordoglio come il prodotto della necessità di sopprimere un certo numero di condotte ormai non più impiegabili verso la persona morta, e di instaurare nuovi comportamenti che tengano conto del fatto della morte: ora questa soppressione e questa instaurazione comportere[...]

[...]to amato » la melancolia è in rapporto con una perdita «che si sottrae in qualche modo alla coscienza» (21). Ciò posto il lavoro compiuto dal lutto consisterebbe nel distacco della energia libidica dall’oggetto perduto, e nel reimpiego di tale energia per nuovi investimenti: ora il distacco e il reimpiego possono non riuscire, e la libido può restar legata al vecchio oggetto, che più non esiste, determinando una separazione della realtà e una psicosi allucinatoria del desiderio (22). Nella melancolia invece la perdita dell’oggetto amato (che non è necessariamente una morte fisica, ma in generale una impossibilità di fatto di continuare il rapporto con l’oggetto amato) costringe la libido ad abbandonare l’oggetto, e a ritirarsi nell’io: qui però, in mancanza di impiego, la libido toglie a suo oggetto l’io stesso, con la conseguenza che la perdita dell’oggetto si tramuta nella perdita nell’io, e che l’abbassamento e l’avvilimento dell’io sta in luogo dell’abbassamento e dell’avvilimento dell’oggetto perduto, dell’idolo infranto: come dice F[...]

[...]rduto, senza che alla coscienza emerga che cosa propriamente fu perduto nel mondo oggettivo, mentre nel cordoglio

— a meno di ima sua degenerazione melancolica — non è mai del tutto smarrito il rapporto cosciente con l’oggetto, e l’identificazione immediata col morto ritiene una importanza relativamente limitata (26). Un ulteriore sviluppo della teoria psicoanalitica del cordoglio fu determinata dalla considerazione dei rituali funerari delle cosiddette civiltà primitive, e anche di quelli del mondo antico (per tacere dei relitti folklorici che in generale restarono fuori dell’interesse dei psicoanalisti): qui la differenza fra cordoglio e melancolia sembra ancor più attenuarsi, perché quei rituali mostrano in larga misura le autoaccuse, le autoflagellazioni e le autopunizioni che caratterizzano il comportamento melancolico. D’altra parte le « vendette », le esplosioni di aggressività verso l’esterno, le orgie sessuali e alimentari che chiudono il periodo di lutto richia
(24) Freud, Op. cit., p. 552 sg.

(25) Freud, Ges. Schr., VI, [...]

[...]) Freud, Op. cit., p. 552 sg.

(25) Freud, Ges. Schr., VI, p. 374. Cfr. K. Abraham, Obie\tsverlust und Introjek.' non in den normcden Trauer in abnormen psychischen Zustànden, in Versuch einer Entwicklungsgeschichte der Libido, 1924, pp. 22 sgg. e C. Musatti, Trattato di psicanalisi, 1950, II, p. 271.

(26) K. Abraham, op, cit., p. 27.78

ERNESTO DE MARTINO

mano la fase maniacale che segue a quella malancolica nella forma clinica della cosiddetta psicosi maniacadepressiva. Le affinità fra cordoglio primitivo (o antico) e il quadro clinico della melancolia spinsero Géza Roheim a tentare una nuova interpretazione del cordoglio e delle forme di depressione melancolica o di aggressività maniacale che possono accompagnarlo. Se le autoaccuse e le autopunizioni del melancolico sono originariamente dirette a un’altra persona che ora è stata identificata con l’io, le autoaccuse e le autopunizioni che hanno luogo durante la crisi del cordoglio, e che si manifestano con particolare evidenza nei rituali del mondo primitivo e di quello antico, dovevano es[...]

[...]venuto padre », dando luogo a un conflitto endopsichico fra «io ideale» e «io attuale», e quindi a una fase di depressione melancolica, con relative autoaccuse e autoflagellazioni. Il conflitto fu sciolto mercé la sua proiezione all’esterno, cioè dando sfogo alle tendenze parricide che continuavano ad operare, ma volgendole a un oggetto surrogato, cioè al nemico, che era mangiato e divorato in una spedizione guerresca. La fase maniacale chiudeva così la fase melancolica, proprio come nella psicosi maniacodepressiva: e i rituali funerari primitivi sembravano ad ogni morte ripetere questa vicenda, sia pure in forma abbreviata, poiché il periodo di lutto si chiudeva in essi molto spesso con una spedizione di « vendetta », o con un’orgia sessuale o alimentare. Allo stesso modo la zoofobia e il totemismo sarebbero stati un altro modo di proiettare all’esterno, in questo caso sull’animale, il conflitto interno (27).

Più recentemente Melarne Klein ha ripreso il problema del cordoglio al di fuori delle istanze prevalentemente etnologiche che

(27) Geza Roheim, Nach dem Tode des Urvarter, [...]

[...]no (27).

Più recentemente Melarne Klein ha ripreso il problema del cordoglio al di fuori delle istanze prevalentemente etnologiche che

(27) Geza Roheim, Nach dem Tode des Urvarter, in « Imago », IX (1923), pp. 83 sgg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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avevano indotto il Roheim a formulare la sua interpretazione. Per la Klein ogni lutto rinnova in generale il bisogno di restaurare dentro di sé la persona amata e perduta, così come avevano già detto il Freud e l’Abraham: ma al tempo stesso ogni lutto mette in pericolo gli oggetti amati per primi — in ultima analisi i « buoni genitori » — e pertanto obbliga a restaurare in sé anche il mondo interno, che sta perdendo il suo equilibrio e sta andando in rovina. Il cordoglio è un lavoro che provvede a questa duplice restaurazione: ma vi provvede riattivando e ripetendo — sebbene in diverse circostanze e con diverse manifestazioni — gli stessi processi maniacodepressivi che sono propri dell’epoca infantile. Il lavoro del cordoglio non riesce quando la persona non ha potu[...]

[...]di proprietà altrui, vorremmo morire con i nostri morti: codesti sentimenti, chi non li ha, purtroppo, sofferti o amaramentePERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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assaggiati? La diversità o la varia eccellenza del lavoro differenzia gli uomini: l’amore e il dolore li accomuna; e tutti piangono ad un modo. Ma con l’esprimere il dolore, nelle varie forme di celebrazione e culto dei morti, si supera lo strazio, rendendolo oggettivo. Così cercando che i morti non siano morti, cominciamo a farli effettivamente morire in noi. Né diversamente accade nell’altro modo col quale ci proponiamo di farli vivere ancora, che è il continuare l’opera a cui essi lavorarono, e che è rimasta interrotta... (29).

In effetti questo passo del Croce racchiude una esattissima e umanissima verità: per grande che possa essere il dolore di una perdita subito si impone a noi, nella piena stessa del dolore e con tanto maggiore urgenza quanto più siamo prossimi alla disperazione, il compito di evitare la perdita più irreparabile e decisiva, quella di n[...]

[...]e perennemente risorgente, innegabilmente da quel mito si svolse questo pensiero, per filiazione diretta e secondo itinerari culturali dimostrabili. D’altra parte la interpretazione del Croce non vale soltanto per la civiltà cristiana, e per il cristiano culto dei morti, ma può essere estesa a tutte le possibili civiltà religiose. Anzi la più sicura conferma della sostanziale verità della formulazione del Croce sembra provenire addirittura dalle cosiddette civiltà primitive, ove i rituali funerari mostrano nel modo più crudo e diPERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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retto il momento dell’oblio dell’evento luttuoso, e l’espressione simbolica — nel rito come nel mito — della separazione del morto dai viventi e della difesa dei viventi dalle funeste insidie del morto. Presso i Feugini p. es. il tema dell’oblio trova espressione in numerosi tratti del rituale funerario. « Niente deve ricordarci più il nostro morto», dicono, gli indigeni (30): e in conformità a questo proposito immobilizzano il cadavere affinché non torni come[...]

[...]ione in numerosi tratti del rituale funerario. « Niente deve ricordarci più il nostro morto», dicono, gli indigeni (30): e in conformità a questo proposito immobilizzano il cadavere affinché non torni come spettro a tormentare i viventi, cercando in vario modo di dissimulare e di rendere irriconoscibile il luogo della inumazione, si inibiscono di pronunziare il nome del defunto, bruciano la sua capanna e gli oggetti che gli appartennero in vita, così, e così via (31). Fra i riti funerari dei gruppi Aranda osservati da Strehlow ve ne è uno particolarmente istruttivo a questo proposito: viene tessuto un cordone con i capelli del morto, e il fratello minore nel corso del rituale funerario pone uno dei capi di questo cordone in bocca ad un uomo, premendo l’altro capo sul proprio addome, dove cioè avverte l’angoscia. Quindi l’uomo morde il cordone, a significare la cessazione dell’angoscia: la stessa procedura è successivamente ripetuta per tutti i membri della comunità in lutto, prima con gli uomini, poi con la vedova e infine con le altre donne (32)[...]

[...]cominciano col più arcaico e con l’idealmente più remoto da noi, per giungere poi sino a noi in un vano conato di storia universale, ma — al contrario — debbono partire dal certo e dal vero della nostra attuale consapevolezza storiografica per allargarsi nella direzione di quel passato culturale più prossimo dal quale la civiltà alla quale apparteniamo è nata per filiazione diretta (34). L’approfondimento che ci proponiamo di eseguire si orienta così in modo del tutto naturale verso il mondo antico, e cioè verso le antiche civiltà che si affacciarono al Mediterraneo, o

California Publications in America Archeology and Ethnology », XXXIII (1932), n. 3, pp. 296 sgg.

(34) Una delle difficoltà che si oppongono alla storicizzazione della ricerca etnologica è da ricercarsi nel fatto che i popoli illetterati attualmente viventi non rappresentano allatto fasi culturali per le quali l’umanità più progredita sarebbe un tempo passata, ma sviluppi di una storia che si è svolta a lungo indipendentemente dalla nostra, e che solo in lontanissimi p[...]

[...] molesta e grave » — per dirla col Vico — ed il superamento di ostacoli notevoli sia nella formulazione dell’esatto problema storiografico, sia nel reperimento dei documenti necessari per la ricostruzione, Cfr. la nostra monografia Religionsethnologic und Historizismus in « Paideuma» Mitteilungen zur Kulturkunde, Bd. II, Héft 4/5, Sept. 1942.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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che comunque gravitarono verso questo piccolo mare così importante per la storia dell’uomo. La civiltà cristiana si riattacca immediatamente a queste civiltà, ed è anzi sorta come loro vibrante negazione polemica: in tale polemica noi siamo ancora in un certo senso impegnati, e ne portiamo il documento interno nelle nostre persuasioni e nei nostri comportamenti, nelle nostre avversioni e nelle nostre preferenze. Si tratta di un passaggio avvenuto una sola volta nella storia, e che vive nella nostra coscienza culturale come conflitto fra cristianesimo e paganesimo, e in particolare — per l’argomento che qui ci interessa — come urto fra ideologia cr[...]

[...]a qulnà profetica, alimentando in Grecia l’epos, la tragedia e la Urica della morte, e da per tutto collegandosi con determinati valori politici e sociali (lamentazioni collettive per il re o per il signore o per l’eroe). Ma c’è di più: il lamento funebre rituale si collega saldamente, nel mondo antico, al mito del nume che muore e che risorge, cioè a uno dei temi più importanti delle antiche civiltà religiose del Mediterraneo: questo rapporto è così organico da impedire di considerare l’antico lamento per i morti al di fuori del grandioso orizzonte mitico del nume morto e risorto, sia esso Osiride o Tamùz o Baal o Adone o Dioniso o Kore, e quindi al di fuori del pianto rituale e86

ERNESTO DE MARTINO

del giubilo che nel rito attualizzavano la vicenda mitica di questi numi. Nel che troviamo una conferma che il pianto rituale rappresenta nel mondo antico non soltanto un importante momento dei rituali funebri, ma proprio il tema centrale di quel particolare saper piangere davanti alla morte che fu proprio delle civiltà religiose medit[...]

[...]à religiose mediterranee. La crisi decisiva di questo istituto culturale fu inaugurata col Cristianesimo: il quale su tutta l’area della sua diffusione si scontrò col lamento funebre e aspramente lo combatte, respingendolo non già nei suoi eccessi parossistici o per ragioni suntuarie — come era già avvenuto nel mondo antico —, ma proprio sul terreno religioso e in quanto costume pagano antitetico alla ideologia cristiana della morte. Si ingaggiò così, anche per tale ambito circoscritto, una lotta fra Cristianesimo e eredità del mondo antico, una lotta storica, avvenuta una sola volta, ed esattamente individuabile in senso storiografico, col risultato che il lamento cessò, per entro la civiltà cristiana, di far parte organica del rapporto fra morti e sopravvissuti, e di partecipare a un vario e importante processo di plasmazione, per scadere — anche se lentamente — a episodi relativamente secondari di circolazione culturale, e infine a relitti folklorici più o meno inerti e disgregati. D’altra parte vi è una seconda più particolare ragione[...]



da Georg Lukacs, Problemi della coesistenza culturale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]Entrambi poterono sorgere soltanto sul fondamento per cui il mondo intero é diventato sul piano economico, e per ciò stesso anche politico, una struttura intrinsecamente interdipendente. In entrambi vi é la tendenza a modellare il mondo secondo la propria forma specifica, né possono rinunziare a questo tentativo obbiettivamente necessario senza contemporaneamente rinunziare a se stessi. Di conseguenza, il problema reale può essere posta soltanto così: dal momento che
i
2 GEORG LUKACS
la guerra atomica, e con essa ogni guerra capace di sovvertire il mondo, esce dall'ambito delle possibilità reali, con quali mezzi queste
tendenze di sviluppo totalmente universalistiche possono operare per realizzarsi ? Pertanto, un modo pratico e razionale di rapporta tra questi due grandi sistemi può essere cercato soltanto sulla base del presupposto di queste attività necessariamente universali.
Ciò significa che la coesistenza dei due sistemi — dopo aver eliminato dapprima di fatto e poi su un piano sempre più decisamente istituzionale la possibilit[...]

[...]ccidentali pervengano alla convinzione che anche la loro posizione, sia che venga esaminata nel campo della politica e dell'economia, della filosofia o dell'estetica, é una posizione di classe e non già la « rivelazione» di una ragione posta al difuori della società. Da tale convinzione non scaturisce affatto che i dialoganti debbano intendere il proprio punto di vista in modo relativo. Possono benissimo continuare a considerarlo l'unico giusto, così come facciamo noi marxisti; il riconoscimento teorico dell'inevitabilità del fondamento di classe nella pretesa di universalità sociale da parte dell'avversario, non deve portare ad un relativismo autocritico, giacché tale pretesa, pur essendo riconosciuta inevitabile sul piano sociale ed economico, può essere criticata su quello teorico come contraddittoria e insostenibile, così come avviene per l'ideologia capitalistica del punto di vista del marxismo. Di conseguenza, non si tratta di compiere ritirate né concessioni, ma soltanto di comprendere storicamente la posizione reale dell'avversario, di polemizzare contro ciò che egli realmente intende e deve necessariamente intendere, partendo dal suo punto di vista.
Il principio realmente attivo che determina la tendenza all'universalità di una 'formazione sociale, risiede naturalmente
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE 3
nella struttura e nella dinamica della sua economia. Pertanto, una analisi veramente ampia ed es[...]

[...] egli realmente intende e deve necessariamente intendere, partendo dal suo punto di vista.
Il principio realmente attivo che determina la tendenza all'universalità di una 'formazione sociale, risiede naturalmente
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE 3
nella struttura e nella dinamica della sua economia. Pertanto, una analisi veramente ampia ed esauriente della coesistenza dovrebbe prendere le mosse di qui. Ma poiché il nostro obbiettivo non è cosí ampio, dobbiamo limitarci su questo problema ad alcune osservazioni, per poter giungere al più presto al nostro tema specifico. Innanzi tutto, una eliminazione istituzionale. della guerra prima o poi dovrà portare all'abbandono di qualsiasi discriminazione nelle relazioni economiche. Tali discriminazioni, infatti, sono sostanzialmente una preparazione economica della guerra, e il fatto che potenti organizzazioni monopolistiche possano sfruttare una situazione di questo tipo per propri interessi più ristretti, non muta sostanzialmente il quadro complessivo, anche perché tutte le misure discrim[...]

[...] alla grande forza spirituale di attrazione della Rivoluzione socialista negli anni venti, in un'epoca nella quale
GEORG LUKACS
dal punto di vista economico non erano stati neppure riparati i danni prodotti dalla guerra. Per il presente, questo problema viene posto in primo piano anche soltanto perché l'ultima fase dello sviluppo capitalistico ha conferito al tempo libero, all'ozio un'importanza mai verificatasi prima in una misura socialmente così ampia. E ciò in due direzioni. Da un lato, il costante aumento quantitativo del tempo libero é insito nella tendenza di sviluppo dell'economia, dall'altro, la sua utilizzazione da parte dell'uomo non avviene con la naturalezza e la semplicità (non problematicità) in cui avveniva nella vita delle precedenti classi dominanti. Questi due aspetti, l'enorme aumento del numero di coloro che partecipano del tempo libero, e la crescente incapacità di utilizzarlo in modo umano, creano uno dei problemi culturali di fondo del nostro tempo, del quale i teorici del mondo borghese cominciano ad occuparsi s[...]

[...]e divenuta astratta del loro sviluppo umano, non si profila alcun modello socialista, non viene prospettata una via d'uscita socialista. Inoltre — e ancora una volta si tratta di un fatto di somma importanza — non esiste alcun sostituto immanente al capitalismo per la mancanza di una prospettiva socialista come modello e via d'uscita.
Ai nostri fini, é sufficiente aver indicato ,i contorni più generali di questo nodo di problemi. Abbiamo inteso così soffermare l'attenzione sul fatto che, nell'evoluzione prevedibile dell'immediato futuro i problemi della cultura saranno chiamati a svolgere un ruolo qualitativamente piú rilevante che in epoche precedenti, cioè in uno stadio inferiore di sviluppo del capitalismo
II
Abbiamo definito la coesistenza culturale una forma della lotta di classe. Naturalmente, in tal modo non si é detto nulla di nuovo. Fin da quando sono esistite le classi, la classe dominante ha. sempre cercato di imporre agli sfruttati una concezione del mondo ad essa conveniente. Questa funzione della religione, della scuola e[...]

[...]ro marxismo è ben lontano da tale concezione. Esso sa benissimo che, da un lato, ciascun ideologo è nato e cresciuto in un determinato Paese, in un.a determinata epoca, in una determinata classe. Le impressioni ed influenze che formano la sua personalità si rivelano, di necessità, in tutto il suo modo di pensare e di sentire e quindi anche nella sua produzione. Questo effetto dell'ambiente sociale può naturalmente essere anche di tipo repulsivo; così, ad esempio, Federico Engels, figlio di un industriale, divenne comunista.
Ciò modifica in modo sostanziale il contenuto di classe nel singolo, ma non può sopprimere il carattere di classe dell'intero complesso. Ma la genesi sociale delle opere di cultura è soltanto una componente — e neppure decisiva — della loro essenza sociale. Indipendentemente dalle intenzioni del suo creatore, la creazione esercita una determinata influenza sulla vita sociale del suo tempo e eventualmente anche in quella posteriore. A prescindere dall'atteggiamento personale di Copernico, Kepler° e Galilei verso i prob[...]

[...]ponente — e neppure decisiva — della loro essenza sociale. Indipendentemente dalle intenzioni del suo creatore, la creazione esercita una determinata influenza sulla vita sociale del suo tempo e eventualmente anche in quella posteriore. A prescindere dall'atteggiamento personale di Copernico, Kepler° e Galilei verso i problemi religiosi del loro tempo, le loro opere hanno distrutto una ontologia religiosa che durava da più di un millennio, dando così una nuova fisionomia a tutte le lotte sociali sul terreno della concezione del mondo.
Se si vuole addivenire ad una valutazione realistica di tali lotte nel presente, bisogna intendere il concetto di concezione del mondo in senso assai vasto, ben oltre l'ambito della filosofia in senso stretto. Questa tendenza è sempre stata presente in modo assai accentuato nel marxismo, ma non certo esclusivamente in esso. Ad es., William James iniziò le sue lezioni sul pragmatismo con una citazione di Chasterton, il cui contenuto approvava senza
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE 7
riserve. Chasterton[...]

[...]ostrare la funzione di queste concezioni del mondo nel decidere sulle alternative della vita, in particolare su quelle che riguardano l'accettazione o il rifiuto del mondo sociale nel quale l'uomo vive, ed eventualmente — ciò che nella pratica é assai frequente — l'astensione dal giudizio su questo problema, astensione che pub essere rassegnata, cinica etc.
Per influenza del neopositivismo, in Occidente é assai diffusa l'opinione che soltanto i cosidetti sistemi totalitari diano importanza alla concezione del mondo, mentre il ((mondo libero» per principio sarebbe privo di concezione del mondo, e in ciò consi
sterebbe appunto la sua forza. Naturalmente, contro questa definizione forse un po' troppo rozzamente sintetica alcuni avanzeran
no obbiezioni. Ma dovrebbero tener presente che i maggiori
neopositivisti per principio eliminano dal campo di ciò che può essere colto scientificamente o anche soltanto razionalmente tutto
ciò che sfugge ad una manipolazione matematica dei fenomeni. Cos', in un'opera celebre come il Trattato di Wittgen[...]

[...] si legge: ((La maggior parte delle affermazioni e delle domande che sono
GEORG LUKACS
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state scritte su oggetti filosofici non sono false ma prive di senso. Perciò a domande di questo genere non possiamo affatto rispondere ma soltanto accertare la loro mancanza di senso... E non c'è da stupirsi del fatto che i problemi piú profondi in sostanza non siano veri problemi ». Ed egli ne trae, con coraggio e coerenza, tutte le conseguenze. Così dice: «Per questo motivo, non vi possono essere proposizioni etiche », e più altre, « Noi sentiamo che anche se vi fosse una risposta per tutte le possibili domande scientifiche, i problemi della nostra vita non ne sarebbero affatto toccati ». A questo modo, Wittgenstein ha relegato tutti i problemi essenziali per l'uomo nel campo del non razionalizzabile, nell'irrazionale, e appunto con questo rifiuto radicale di tutti i problemi relativi alla concezione del mondo ne indica l'inevitabiltà praticoreale: gettandoli fuori della porta della filosofia, essi rientrano dalla finestra. Perciò non é [...]

[...]l'insostenibilità. C:iò deriva dal fatto che in questo contesto l'elemento fondamentale è il legame ideologico dell'individuo col suo sistema sociale, e l'ontologia ha la funzione di rafforzare questo legame. Naturalmente, lo stimolo a dissolvere la vecchia concezione del mondo può anche venire dal lato ontologico; in tali casi, si tratta sempre dell'incontro tra trasformazioni sociali e scoperte teoriche, come, ad esempio, nel caso di Galilei.
Così la lotta di classe è anche sempre una lotta tra diverse concezioni del mondo. Ma sarebbe una volgarizzazione troppo semplicistica ritenere che esse rivestano qui il ruolo di un epifenomeno. In pratica, non lo crede nessuno. Appunto per questo, l'epoca staliniana mirò a mantenere tutta la sua inteilighenzia — intesa nel senso più ampio — lontana dalla conoscenza di altre concezioni del mondo. Formalmente, un atteggiamento simile é estraneo alla cultura occidentale, tuttavia non si dimentichi che proprio su
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questo terreno é possibile una manipolazione q[...]

[...]'uno dall'altro; colui che è alleato su un campo può facilmente essere un avversario su un altro campo e viceversa, anzi, é possibile che la stessa teoria, applicata o interpretata in madi diversi, serva di sostegno ora all'uno all'altro partner della discussione. Si pensi, ad esempio, alla seconda metà del secolo scorso, quando il darwinismo nelle sue linee principali appoggiava gli ideologi progressisti, ma contemporaneamente — ad esempio, nel cosiddetto darwinismo sociale — poteva costituire un ausilio per la reazione ideologica, e così via.
Date le circostanze, obbiettivamente non é contraddittorio che noi da un lato partiamo dal fatto che tutta la coesistenza culturale sia una grandelotta tra la concezione del mondo socialista e quella borghese, ma dall'altro, e contemporaneamente, nei singoli dibattiti che costituiscono gli elementi concreti di questa totalità, ammettiamo che la funzione volta per volta attuale di singole dottrine, teorie, metodi etc. sia del tutto diversa, anzi passa operare in senso opposto. Una concezione monoliticounivoca della lotta di classe tra concezioni del mondo di sistemi sociali in concorrenz[...]

[...]ersa, anzi passa operare in senso opposto. Una concezione monoliticounivoca della lotta di classe tra concezioni del mondo di sistemi sociali in concorrenza conduce ad una incomprensione totale della sua essenza. Questo non é meramente il risultato di singole innovazioni scientifiche etc., estremamente complesse, ma scaturisce piuttosto dall'essenza di ciascuna trasformazione sociale. Già nel 1916, Lenin si faceva beffe dei seguaci di una teoria così monolitica. «Le cose starebbero così » scriveva: « da una parte si raduna un esercito e dichiara: ' Noi siamo per il socialismo', e da un'altra parte si raduna un altro esercito e dichiara: ' Noi siamo per l'imperialismo', e questa è poi la rivoluzione sociale! » Giustamente egli definiva questo « un punto di vista ridicolo e pedante ». E' evidente che quanto più un fenomeno ideologico é lantano dalla lotta di classe immediata, tanto maggiormente conferma con i suoi effetti l'esattezza di queste parole di Lenin.
Ma ciò ha conseguenze di grande importanza per la lotta ideologica all'interno della coesistenza culturale. Per poter[...]

[...]nte monolitico.
La concezione monolitica é cieca tanto di fronte allo sviluppo ineguale dei differenti campi di cultura quanto alle controversie reali all'interno di un sistema particolare. Soltanto respingendola si può arrivare a comprendere come le posizioni da noi sostenute possano sempre trovare alleati totali o parziali, anzi, che può accadere addirittura di assimilare criticamente la dottrina o il metodo di un ideologo dell'altro sistema. Così, ad esempio, Marx ha incorporato Darwin o L. H. Morgan nella sua concezione del mondo, che ne è risultata arricchita e concretizzata. Ovviamente, oggi non si riesce a scorgere un'analogia con questo esempio, ma ciò non significa affatto che un marxista possa ignorare i contrasti ideologici esistenti in Occidente, per esempio le posizioni assai contraverse sul problema dell'alienazione, la coraggiosa posizione di Sartre in tutte le questioni coloniali, i suoi tentativi di assimilare il materialismo storico, l'onesto comportamento di N. Hartmann verso le questioni ontologiche della filosofia de[...]

[...]smo storico, l'onesto comportamento di N. Hartmann verso le questioni ontologiche della filosofia della natura, verso i problemi della teleologia, le ricerche di Werner Jäger sulla vita spirituale greca, le concezioni archeologiche di Gordon Childe, etc., che rivelano in modo assai chiaro alcuni di questi contrasti. Ma non si deve dimenticare che antitesi di questo genere non di rado possono essere presenti anche all'interno di una stessa opera: così, in A. Gehlen troviamo, da un lato, preziose e feconde osservazioni
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antropologicosociologiche e dall'altro, miti del tutto correnti e al la moda. Paragonando ad esempio N. Hartmann con Heidegger o con i neopositivisti, Werner Jäger o Gordon Childe con gli sproloqui mistificatori di Jung o di Kerényi, appare chiaro da quale parte stiano gli avversari reali e da quale altra i possibili alleati su problemi particolari.
Per l'ideologia occidentale, il superamento del giudizio culturale monolitico si concentra intorno alla comprensione della vera essenza [...]

[...] loro importanza sarà maggiore che nei pre cedenti passaggi da una forma sociale all'altra. Vi contribuisce, innanzi tutto, la scomparsa della guerra, e il fatto che con ciò non siano ancora eliminate in linea di principio le guerre civili non muta nulla questa crescente importanza sociale delle questioni che concernono la concezione del mondo, anzi può ulteriormente rafforzare tali tendenze. Le forme concrete di questi passaggi sono oggi ancora così imprevedibili che non é il caso di parlarne. Infatti proprio l'acuirsi dei contrasti interni di classe é un fatto che fa emergere alla superficie della vita umana la capacità di resistenza o la fragilità, l'elasticità e la rigidezza delle concezioni del mondo. Naturalmente, l'agire reale degli uomini — in ultima analisi — viene determinato dal loro essere sociale. Ma il paSsaggio dall'essere alla coscienza é non soltanto inevitabile e significativo ma anche assai complesso, dialetticamente contraddittorio, ineguale. E in questo passaggio, a nostro giudizio, il ruolo delle concezioni del mondo[...]



da Liliana Magrini, Il silenzio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]rbottò Teresa. Con aria esasperata, guardò l'orologio. Ecco, erano già le otto, e aveva ancora da buttare la pasta. Per forza, aveva lavorato tutto il pomeriggio per loro.
Antonio non rispondeva. Immobile, sfiorava con la punta delle dita il legno, come a giudicare al tatto la linea che aveva intagliata. Poi sollevò un attimo la testa, guardando vagamente verso Teresa. L'attenzione che gli affinava il viso chino sembrò smarrirsi in quegli occhi così chiari tra le palpebre arrossate. Poi abbassò di nuovo la testa.
Ad un tratto, Marco avverti nella stanza il silenzio teso che segue una domanda o un ordine cui non é stata data risposta. Teresa s'era fermata. Egli sentiva gli occhi della madre fissarlo, dall'ombra. « Accendi. Dico a te! ».
Marco si voltò verso l'interruttore. Stette a guardarlo come se calcolasse quanti movimenti gli sarebbero occorsi per raggiungerlo. Poi vi si diresse piano. « Insomma! » insisté Teresa irritata. Marco portò la mano alla chiavetta. Ora, si disse, lo avrebbero guardato e si sarebbero accorti. Lo dirò, si d[...]

[...], per sentire se avesse la febbre; una mano che interrogava in modo ben più incalzante dello sguardo.
« No, sei fresco », concluse Teresa con aria rassicurata. « E guarda in che stato ti sei ridotto i pantaloni! », aggiunse dopo un momento. Ne scosse la polvere con la mano, Marco si senti oscillare come un fantoccio. « Tutto il giorno che mi sfinisco a lavare e stirare, e guarda come ti riduci! »
E Marco provò quasi piacere a vederla irritarsi così, senza che sapesse. E un senso di forza, appena alterato da un gusto amaro di vendetta.
Antonio mandò un sospiro. « Lascialo stare », disse. «È stanco ».
Lavorava sull'asticciola che aveva piallato prima, già incisa di foglie. L'altro pezzo di legno non era più sul tavolo. Il suo viso, piattamente illuminato dalla lampada, era stanco, le sue mani sembravano mortificarsi con impazienza a quel minuzioso lavoro. Teresa diceva che non ne poteva più, Marco non sapeva di che. Antonio depose l'asticciola sul tavolo e la sua mano, serrandosi lentamente, s'alzò greve come se dovesse battere un pugno[...]

[...]foglie. L'altro pezzo di legno non era più sul tavolo. Il suo viso, piattamente illuminato dalla lampada, era stanco, le sue mani sembravano mortificarsi con impazienza a quel minuzioso lavoro. Teresa diceva che non ne poteva più, Marco non sapeva di che. Antonio depose l'asticciola sul tavolo e la sua mano, serrandosi lentamente, s'alzò greve come se dovesse battere un pugno per accompagnare un violento « basta! »
Ma poi si rilassò e ricadde.
Così impalliditi, nel crepuscolo che tutto intorno scuriva la valle in una morbida densità quasi notturna, i muri d'Oregina facevano avvertire a Marco la presenza di quel mare fermo e ancora bianco, spalancato alle sue spalle.
Stava appoggiato contro la sua casa. Sul campo di calcio, che ave
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vano un po' alla volta intagliato sul colle, e dove la terra si scopriva rossa e polverosa, dei ragazzi giocavano. Non lo videro.
Dall'entrata venne un rumore di passi, e la voce di Teresa gli gridò di non allontanarsi, che era quasi pronto. Non si mosse. Del pianterreno dei Cataldo non sco[...]

[...]rbe scricchiolavano sotto il piede come sterpi : « Va via! » aveva gridato,
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fuggendo subito più in lá. Quando era riapparso, dopo, s'era messo a giocare al pallone con lui senza dir niente.
Costanza Cataldo usci, venne vivacemente incontro a Giacomo, e lo prese a braccio. A Filippo Bertolli gettò un « Buonasera » squillante,
quasi di sfida, poi si mise a parlare con Giacomo : aveva un viso scherzoso, ma il suo sorriso era così in contrasto con l'aria tetra del suo compagno che finiva col sembrare forzato.
« Come fa, poi... Eccola lá. Sempre allegra! » disse Filippo, con un tono di untuosa e stupita riprovazione, quando furono scomparsi.
Sempre allegra. Anche Teresa lo diceva spesso, di Costanza, e con la stessa aria di biasimo. Un tempo, la domenica mattina, partivano tutt'e due sulla bicicletta di Giacomo, Costanza seduta sul ferro. I bambini li aspettavano sulla strada: ogni volta, ne portavano uno giù di volata per la discesa, a freni sciolti. Come rideva, Costanza! Quando passavano, Antonio si faceva alla fin[...]

[...], ne portavano uno giù di volata per la discesa, a freni sciolti. Come rideva, Costanza! Quando passavano, Antonio si faceva alla finestra : appena raso, con quell'aria linda delle mattine di domenica. Si, era allegra, Costanza. E non stava mai in casa, adesso : anche questo lo diceva sempre, Teresa, e che quel mestiere di vendere sigarette giù al porto una donna onesta non l'avrebbe fatto, lo aveva scelto solo perché le piaceva stare in giro. E così, nessuno sapeva mai dove fosse Michele. Rientrava quando voleva, anche a sera, talvolta. Del resto, lo faceva apposta a star fuori, per non trovarsi solo con suo padre. Era per questo, che ora i Cataldo potevano non preoccuparsi del ritardo, sentirsi tranquilli. Eppure, Marco non sapeva sentire del risentimento per Costanza: aveva solo voglia di piangere udendo il suo riso. Ma gli altri, no. Si sentiva gonfio d'odio contro tutti. Contro Nino che aveva paura. Contro gli altri, così distratti, così pigri a rendersi conto.
La cena era stata come tutte le sere. Luigi Stura, il fratello maggiore [...]

[...]Michele. Rientrava quando voleva, anche a sera, talvolta. Del resto, lo faceva apposta a star fuori, per non trovarsi solo con suo padre. Era per questo, che ora i Cataldo potevano non preoccuparsi del ritardo, sentirsi tranquilli. Eppure, Marco non sapeva sentire del risentimento per Costanza: aveva solo voglia di piangere udendo il suo riso. Ma gli altri, no. Si sentiva gonfio d'odio contro tutti. Contro Nino che aveva paura. Contro gli altri, così distratti, così pigri a rendersi conto.
La cena era stata come tutte le sere. Luigi Stura, il fratello maggiore di Marco, era rientrato come sempre all'ultimo momento. Eri poco tempo che aveva un lavoro fisso: solo un anno prima, faceva qualcosa qua e lá come avventizio, e il resto della giornata Io passava a pedalare su e giù per i colli, perché diceva di voler diventare un corridore. Poi, s'era trovato la ragazza, e lei l'aveva convinto a cercarsi un posto giù ai cantieri: per potersi sposare, diceva. Ma era mutato, da allora: parlava poco, e non stava mai con Marco. Anche stasera era uscito di nuovo, dop[...]

[...]ata Io passava a pedalare su e giù per i colli, perché diceva di voler diventare un corridore. Poi, s'era trovato la ragazza, e lei l'aveva convinto a cercarsi un posto giù ai cantieri: per potersi sposare, diceva. Ma era mutato, da allora: parlava poco, e non stava mai con Marco. Anche stasera era uscito di nuovo, dopo mangiato l'ultimo boccone.
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IL SILENZIO
Era già un sollievo, l'essersi alzati da tavola. Mai le pause erano parse a Marco così lunghe. Quella sensazione gli era diventata cosí greve che s'era domandato, per un attimo, se sapessero già, e facessero apposta, aspettando che lui dicesse ciò a cui tutti pensavano. Fini per non liberarsene più nemmeno mentre parlavano : gli pareva che anche i loro discorsi lenti, distratti, fossero quelli di chi pensa ad altro. Poi Antonio s'era fatto stranamente allegro, raccontava delle storie che facevano ridere Luigi; e allora Marco aveva pensato che se il padre avesse saputo non avrebbe scherzato : e che forse era sempre così, solo che di solito lui faceva meno attenzione.
Appena preso il caffè, anche Antonio s'era alzato dicendo c[...]

[...]timo, se sapessero già, e facessero apposta, aspettando che lui dicesse ciò a cui tutti pensavano. Fini per non liberarsene più nemmeno mentre parlavano : gli pareva che anche i loro discorsi lenti, distratti, fossero quelli di chi pensa ad altro. Poi Antonio s'era fatto stranamente allegro, raccontava delle storie che facevano ridere Luigi; e allora Marco aveva pensato che se il padre avesse saputo non avrebbe scherzato : e che forse era sempre così, solo che di solito lui faceva meno attenzione.
Appena preso il caffè, anche Antonio s'era alzato dicendo che andava alla Grotta. Teresa aveva scrollato le spalle senza rispondere. Marco rimase là in un angolo ad ascoltare lo sciacquio e i colpi duri delle stoviglie sull'acquaio. Teresa taceva. Quando la vide prossima a finire, si senti smarrito. Guardò il letto dove dormiva con i suoi. Poteva sdraiarsi, fingere il sonno. Ma Teresa lo avrebbe certo raggiunto : l'avrebbe sentita rivoltarsi tra le lenzuola come faceva quando Antonio non c'era. Con uno sforzo, disse che andava fuori a giocare. [...]

[...]e stette un po' a guardare di lontano i compagni che giocavano a calcio. Poi tornò indietro : voleva sapere se Giacomo e Costanza erano ancora là.
Arrivò, strisciando lungo il muro, fino al punto dal quale si vedeva dentro al pianterreno dei Cataldo. Non poté scorgere che la nonna, in piedi in un angolo della stanza. Il suo viso, chiuso nel fazzoletto nero, aveva, nella sua fissità, un'espressione di solitaria vigilanza. Ma l'aveva sempre vista così; non significava niente, neppure che fosse veramente sola: sola nella stanza, cioè, e non di quella solitudine che era la sua da quando il marito le era morto, e il figlio maggiore era stato ucciso in guerra, e Giacomo era diventato una specie di straccio. Per lo niù stava seduta, senza un gesto, nello stesso angolo, più polveroso degli altri perché non lo lasciava neppure quando Costanza scopava. Non sembrava occuparsi di qualche cosa che quando vegliava, per delle ore, il figlio ubriaco.
Fuggi per non vederla piú, senza neppure pensare agli altri due. Aveva paura.
Una qualunque porta d'os[...]

[...]nicipio, usci con loro. Marco aspettava di sentir parlare suo padre con lo stesso imbarazzo di quando pensava che avrebbe cantato. Gli pareva dovesse farlo in modo diverso dal solito, con Spinola: sapeva che si trovavano spesso insieme alla Grotta. Per un po' tacquero. Poi Antonio domandò come stava Caterina. Al solito, disse Spinola. Più avanti, osservò che era proprio una bella sera; doveva esserci stato un temporale lontano, perché l'aria era così pulita. Si, disse Antonio, era raro vedere tante stelle. Meno male, disse Spinola; perché nella giornata, in quelle sale chiuse del municipio, si soffocava. Poi li lasciò. Andava a cercare una farmacia aperta, disse. Doveva prendere una medicina per Caterina.
« Sei amico di Spinola ? », chiese quasi involontariamente Marco, con voce timida. « ...Si », rispose Antonio in tono un po' stupito. Parve voler aggiungere qualche cosa. Ma poi tacque.
Il passo d'Antonio era lento, mentre salivano il colle, ma non più goffo: era un modo pacato di posare il piede, calcandolo bene, come per sentire le [...]

[...]prendere una medicina per Caterina.
« Sei amico di Spinola ? », chiese quasi involontariamente Marco, con voce timida. « ...Si », rispose Antonio in tono un po' stupito. Parve voler aggiungere qualche cosa. Ma poi tacque.
Il passo d'Antonio era lento, mentre salivano il colle, ma non più goffo: era un modo pacato di posare il piede, calcandolo bene, come per sentire le asperità e la levigatezza di quel vecchio asfalto tormentato. Eppure parve così breve, a Marco, la strada, e così animata la notte, piena di cigolii di tram, di brusii che salivano dai vicoli lontani della città, attorcigliati come i meandri di una conchiglia e punteggiati di lumi. Davanti a lui, fissi in un rettangolo bianco contro il nero dei dossi, s'avvicinavano i fanali d'Oregina, diversi e soli.
Fissò un cespuglio che stava più avanti, e si disse con calma certezza che quando vi fossero giunti avrebbe parlato. In quel momento Antonio, gettando indietro la testa, ebbe un respiro fondo, come accogliesse l'aria della notte. Di nuovo la sua mano toccava piano nella tasca. « Si sta bene », disse. Non f[...]

[...]sulla soglia, quasi nascondendosi dietro il padre, con lo stesso volto che aveva sul greto, il ciuffo ritto e il mento un po' rientrante. Una smorfia convulsa gli tendeva all'indietro fra i denti aguzzi il labbro inferiore.
Fu il pasticcere a parlare, a quel suo modo accurato e circostanziato. Michele non era rientrato, Giacomo e Costanza cominciavano ad essere inquieti... Era la scena che Marco attendeva: ma tutto si stava svolgendo in un modo così stranamente diverso! Non osava alzare gli occhi' su Costanza, che gli stava di fianco, vicino al muro. Per quanto si dicesse che non era possibile, le immaginava sul volto il solito sorriso.
Giacomo s'era accasciato su una sedia; col viso chino, muto. Lo aveva visto spesso così: di nuovo, in lui, c'era soltanto il modo con cui teneva di traverso, senza preoccuparsi di dare intralcio a chi volesse passare, quella sua lunga e rigida gamba di legno, che egli stesso aveva pazientemente digrezzato e piallato. Di solito, aveva una cura così attenta di tirarla in disparte.
Quando erano entrati, Antonio s'era alzato vivacemente, lasciando il suo tavolaccio per andar loro incontro; ma s'era subito fermato. Mentre Filippo Bertolli parlava, il suo volto sembrava appesantirsi : l'alta fronte stempiata si raccoglieva in due rughe tra le sopracciglia, e due pieghe più fonde gli scavavano gli angoli della bocca. Guardo infine verso Costanza, con un'espressione dolorosa e quasi incredula, mentre
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la sua destra, in modo quasi insensibile, s'alzava verso la tasca. Ma subito la lasciò ricadere, e abbassò gli occhi. Marco vi[...]

[...]azzata, Filippo spegneva tra le dita la sigaretta appena acccesa.
Costanza continuava a singhiozzare.
Marco vide suo padre stringersi una mano contro l'altra, come ansioso di fare qualche cosa, e non sapesse che. Fece un passo avanti. Anche Marco, involontariamente, s'avvicinò.
S'udì infine Antonio chiamarla piano per nome : « Costanza ».
Fu suo padre, ora, a parlare. Avevano taciuto tutti, si diceva Marco. Perché proprio lui, adesso, faceva così? Con una voce sorda, la supplicava d'aspettare, che non poteva essere accaduto niente, che se voleva sarebbe andato lui a cercare.
Dapprima tremante, la voce di Antonio si faceva via via più pacata. Ma il padre non credeva a quello che diceva, si disse Marco. Lui sapeva perché suo padre parlava. Voleva soltanto che Costanza non piangesse.
Singhiozzando piano, Costanza scuoteva la testa. Anche Teresa e Filippo avevano ripreso a parlare.
Quando Costanza aveva cominciata a piangere, Giacomo s'era na
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scosto il viso tra le mani. Non s'era più mosso. Ma un grido improvviso di C[...]

[...]va forte alle tempie. «Pensavamo solo a correre », si disse. «Non un momento, ci è venuta l'idea che Michele avesse bisogno che lo aspettassimo. Di questo, avevamo colpa ». Ma Dio, perché gettarla tutta su loro, la colpa, fare che fossero soli a portarla?
Rivide il viso maligno di Nino nel nuoto, e quelle braccia intrise di fango, che quando s'erano screpolate asciugandosi, parevano coperte d'una pelle malata. « Non volevo che nascondesse tutto così... come... come degli assassini ». Aridi singhiozzi lo scuotevano. Perché, perché lui solo doveva essere legato a quello sguardo di Nino, a quelle braccia viscide di fango, mentre gli altri, tutti, potevano difendersi, accusare?
S'era alzato dal letto, vagava inquieto per la stanza: come sempre, i fondi di caffè nella pentola, e i piatti, e la brillantina che Luigi si metteva in testa la sera, ne restava nell'aria un odore dolciastro; e di nuovo i rigidi, stupidi fiori pazientemente incisi da Antonio. Prese in mano una delle asticciole, stette a guardarla un momento, poi la gettò bruscamente[...]

[...]dersi, accusare?
S'era alzato dal letto, vagava inquieto per la stanza: come sempre, i fondi di caffè nella pentola, e i piatti, e la brillantina che Luigi si metteva in testa la sera, ne restava nell'aria un odore dolciastro; e di nuovo i rigidi, stupidi fiori pazientemente incisi da Antonio. Prese in mano una delle asticciole, stette a guardarla un momento, poi la gettò bruscamente sul tavolo.
Si decise a uscire. Trovò d'improvviso la notte: cosi lieve di brezza, e intera tutt'intorno, come se dalla sorgente scura dei colli s'inarcasse, intrisa di polverii luminescenti, fino a quella voce piena e segreta che ritmicamente saliva oltre il groviglio di case, appena mascherate da lumi. Il mare. Un'oscurità piana e fonda. Al limite, la città allineava i fanali del porto, che non proiettavano al di là luce alcuna.
Il cigolio solitario di un tram gli riportò all'improvviso l'odore caldo dei pomeriggi domenicali nella vettura diretta allo stadio, e l'immagine viva di Michele: col suo viso breve, gli occhi maliziosi. Si sporgevano insieme dal[...]

[...]
Molto più in basso, delle forme apparirono muovendosi vagamente, come si svincolassero piano dall'oscurità del suolo : una figura di donna vestita di bianco; e piú scura, una svelta figura d'uomo. Riconobbe il fratello, dopo qualche momento, alla risata un po' brusca; e subito Maria, la sua ragazza: leggera nei movimenti, mentre salivano a fianco il pendio.
Si fermarono abbastanza vicino. Pensò di scappare, ma avrebbe fatto rumore; del resto, cosí fermo contro il colle, i due non potevano vederlo. Luigi si voltò verso la ragazza, nascondendola al suo sguardo. Li udì mormorare, poi all'improvviso sulla schiena scura del fratello, appena profilata contro la notte, vide apparire due braccia pallide, e scorrere inquiete. « Si abbracciano », disse per tranquillizzarsi: ma quasi lo sbigottivano, quelle mani separate e come spaurite. Non sapeva staccarne gli occhi: sembravano cercare a tentoni un appoggio, premevano con le dita divaricate, s'avvinghiavano, scorrevano ancora a quel modo cieco e ansioso, si rizzavano come a schermo di un colpo.[...]

[...]dere, diceva Teresa; non era vero, che non poteva accadere? Lei gli stava attenta, Marco lo sapeva che era sempre attenta. Gli voleva troppo bene, perché potesse accadergli la cosa che era accaduta a Michele, Non era vero, che era sempre preoccupata di lui?
Gli parlava, ma non aspettava risposta, come se lo supponesse in un vago dormiveglia o come a un bimbo molto piccolo. Era stanca, diceva ora, tanto stanca; e poi, poi, oh, perché Antonio era così? Ma Marco no, Marco non l'avrebbe mai abbandonata. Non era vero che sarebbe rimasto lá, sempre, con lei? Il suo Marco.
Marco si sentiva avvolgere dal calore che emanava dal corpo di
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sua madre, e da quell'odore noto e vivo, un odore di stanchezza e di lagrime. Il corpo angoloso dì Teresa si faceva, da vicino, ampio e molle. E Marco si sentiva sempre più tendere dal bisogno di appoggiarvisi, di lasciarvisi andare: di piangere, forse. Sentiva il proprio corpo, rigido dalla punta dell'alluce alle palme tese, cedere lentamente. Si disse duramente di no. Non doveva. Ora, dovev[...]

[...]ualche cosa ».
« Te l'ho detto, non so niente », rispose stancamente Giacomo. « Perché io? Perché io e non tu? Perché non eri là, a chiedergli dove era che andava? Ne avevi abbastanza ,di vedermi, non è vero? Forse, se tu fossi stata qui... Avevi il diritto di stare in giro, no? Perché sei giovane, è questo che pensavi? E io, non lo ero come te? E anche colpa tua ». La sua voce era diventata tagliente. « Tu, si... E anche colpa tua, se è andata così ».
Così?! allora tu lo sai. Lo sai! ». C'era dell'odio, in quella voce, una collera trattenuta che lo fece rabbrividire.
La risposta di Giacomo, stanca e come lontana, si fece attendere.
« L'altra sera... l'altra sera quando è tornato, tu non c'eri... Mi ha detto: vado via e non torno piú. Mi guardava, mi guardava in un modo... Ho paura. Non poteva voler dire questo: ma se penso a come mi guardava... ho paura ».
Non vi fu altra risposta che un gemito, una specie di rantolo. Costanza usci di corsa, e si fermò là, contro il muro, il corpo rattrappito, le mani strette al viso.
Usci anche Giacomo, do[...]

[...]e chiare, tra le palpebre. Sulla facciata di fronte, dei panni stesi s'agitavano sotto lievi raffiche. Era lo stesso vento di quel giorno, ma più molle, estenuato. Sarebbe andato bene ugualmente l'elicottero, si disse Marco. Poi si vergognò di averci pensato : e lo stupì che potesse venire in mente a Caterina.
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Non capiva più che cosa fosse venuto a cercare lá. Si chiese perfino se fosse stata proprio lei a gettare quel grido : cosi stremata come era.
Alle spalle di Marco, la porta del pianerottolo s'aperse piano. Qualcuno si avvicinava, si fermava incerto sulla soglia : poi entrò. Antonio. Evitando di guardare Marco, si diresse verso la seggiola accanto al letto. Sedette con pesante lentezza.
« Ecco », disse questa volta Caterina.
Per un attimo, il respiro di lei parve più rapido. Una lieve contrazione degli zigomi fece risaltare più duramente, nel viso scarno, il suo naso affilato. Poi si rilassò.
« Fa lo stesso », disse.
Antonio gettò di sfuggita sul figlio uno sguardo quasi timoroso. Si coperse gli occhi con la [...]

[...] non lo diceva; e quando veniva a cercarlo all'improvviso, in certe ore di sole in cui non si vedeva in giro che qualche cane appiattito sul selciato, e gli proponeva di salire sul Righi o dì andare a rubare la frutta
in qualche orto, era perché aveva paura Giacomo, e non lo diceva.
E non avrebbe tollerato che lui lo dicesse.
Ma in questo non c'era niente di cui si potesse parlare. Eppure, ormai, non sapeva pensare ad altro. Tutto s'era fatto così confuso. Riandò con la memoria a quel grido : non sapeva più ritrovarlo.
Caterina aveva lo sguardo fisso alla cresta del Righi. Si vedevano ora lassù, nitide, lontanissime, due persone : una delle tante coppie che salivano con la funivia e vagavano per il colle.
La mano d'Antonio gli premeva di nuovo la spalla, guidandolo verso la porta. Lo segui.
Gli parve, mentre scendevano le scale, che il padre cercasse le parole per dirgli qualche cosa. « Dio, Dio, Dio... » si limitò a borbottare tra i denti.
C'era sulla strada un assembramento di gente, appena fuori del quartiere. Guardò, attraverso[...]

[...]lche cosa. « Dio, Dio, Dio... » si limitò a borbottare tra i denti.
C'era sulla strada un assembramento di gente, appena fuori del quartiere. Guardò, attraverso la finestra aperta, nel pianterreno dei Cataldo : deserto. Capi che qualcuno della questura doveva essere arrivato. « Ora m'interrogheranno », si disse « e sarà finita ».
Nino era tra altri ragazzi che, dietro agli adulti, si serravano per vedere: pallidissimo, ma avevano tutti un'aria così spaurita. L'agente, un uomo dal viso bruno e pigro e dalle palpehre pesanti sugli occhi molto neri, sembrava sorridere mentre parlava : ma forse era solo un'im
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pressione che veniva dall'atteggiamento naturale delle sue lunghe labbra sinuose. Si rivolgeva a Giacomo, che stava seduto su di un paracarro; ma più di lui rispondeva Filippo Bertolli, l'aria premurosa e perfettamente a suo agio, agitando con più circospezione del solito quelle sue caute mani. L'agente teneva in mano un taccuino, e ogni tanto vi scriveva, inumidendo sulla punta della lingua la matita, che vi lasciava[...]

[...]su di un paracarro; ma più di lui rispondeva Filippo Bertolli, l'aria premurosa e perfettamente a suo agio, agitando con più circospezione del solito quelle sue caute mani. L'agente teneva in mano un taccuino, e ogni tanto vi scriveva, inumidendo sulla punta della lingua la matita, che vi lasciava una piccola traccia violacea.
Antonio era rimasto un po' indietro, e guardava Costanza che stava a lato del marito, una mano posata sulla sua spalla. Così accasciato, Giacomo pareva piegare sotto quel peso, eppure Costanza non si appoggiava : lo guardava ritta e pallida, tosi tesa che, sembrò a Marco, un colpo l'avrebbe trovata dura come il macigno, o rovesciata di schianto
come un'antenna.
« Ora chiamerà noi », pensò Marco. Invece l'agente si voltò verso Costanza. Di profilo, il suo viso mutava stranamente. L'orecchio piatto e allungato, come stirato dal basso verso l'alto, gli dava, a contrasto con la pigrizia dei lineamenti, una bizzarra espressione di vigilanza animale. Marco capi che faceva delle domande sul mestiere di Costan
za. Lei [...]

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lo avesse ormai scavato, lasciandolo duro e asciutto e compatto come un ciottolo levigato dall'acqua.
Un aroma forte saliva intorno, insieme a un leggero crepitio, dalle erbe corte e dure. Più tardi si levò il vento: il cielo sembrò indurirsi.
Già impallidiva, quando Marco senti venire di lontano il solito grido: « All'erta! ». S'alzò, aggrappandosi con le mani all'orlo della trincea. Il grido s'avvicinava, meno fitto del solito: così isolata, ogni voce sembrava chiara, e fragile, in quella cerchia nuda. Non c'era più nessuno sulla strada. In fondo, tra le facciate scialbe, i vetri chiusi di Caterina mandavano un riflesso verdastro. Il grido si fermi). Una lunga lunga pausa : le trincee vicine dovevano essere vuote, certo mancavano tutti i ragazzi d'Oregina. L'eco del grido pareva essersi fissata nell'aria. Attese, trattenendo il respiro, che qualcuno lo continuasse; come sperso in quel vuoto in cui la catena si spezzava. All'improvviso — e quasi non riconobbe la propria voce — si senti rispondere: «All'erta! ». Lo ripeté [...]



da Roberto Longhi, Proposte per una critica d'arte in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: ROBERTO LONGHI

PROPOSTE PER UNA CRITICA D'ARTE

Si ascrive di solito a pregio, o almeno a distinto carattere, della cultura italiana l’accordo che esisterebbe fra noi circa la perfetta identità di critica e di storia artistica. E sarebbe certo un punto importante se l’accordo esistesse, preventivamente, anche su quel che storia e critica, così conglomerate, abbiano ad essere. Ma dubito che sia così.

Per un esempio. In una storia della critica d’arte scritta recentemente da un italiano, si è pensato di far consistere il compito principale nella dichiarazione e, talvolta, ammetto, nella confutazione, di quella parte delle dottrine filosofiche che, d’epoca in epoca, avrebbe, per dir così, autorizzato il relativo giudizio critico sull’opera d’arte.

C’è però da domandarsi se, per questa strada, la migliore critica abbia ad incontrarsi spesso. Le dottrine procedono in assenza delle opere, o tutt’al più sbirciandole di lontano, la critica soltanto in presenza. Il loro convegno è perciò difficile e tutto a vantaggio delle parti astrattive che subito correranno a sforbiciare, ad amputare le facoltà più immediate e sensibili; tanto che i critici più diretti han preferito quasi sempre tenersi a buona distanza da quelle ‘nevi eterne del pensiero’ come le chiamava, con uno dei suoi [...]

[...]otti più brillanti, il Thibaudet. E sarà vero che la critica dovrà pure sboccare al kantiano ‘giudizio subbiettivo con pretesa di validità universale’; purché si soggiunga, però, che vi sbocca per superfluità logica; quando già il suo percorso si è rivelato piuttosto illuminazione acerrima, terebrante, che non giudizio di esistenza: ove non sia quello soluto nella stessa bontà del discorso e presunto già nella scelta dell’opera da illuminare.

Così quella storia della critica d’arte, a rifarla sincera, potrebbe alla fine convertirsi in una storia di evasioni, riuscite o no, dalle chiuse dottrinali. E come non sarebbe se l’arte stessa ha dovuto faticare per sopravvivere ai principi che, lungo tanti secoli, ricusarono alla creazione figurativa una pur discreta autonomia? C’è bisogno di rifar la storia delle arti ‘servili’? Chi dice che anche Socrate non ne abbia qualche colpa con l’accenno al vasaio? Sopprimer l’arte è certo più difficile, tanto essa adorna6

ROBERTO LONGHI

ed accarezza quasi ogni assetto sociale, ma la filosofia, q[...]

[...]eferenza per sentito dire e si ammanta di retorica antica, inefficiente.

Boccaccio, Sacchetti? Essi non riflettono che opinioni degli studi sul peso civile della pittura circostante. Semplici dichiarazioni di voto favorevole, e non più. Alla fine del secolo, Villani vorrebbe fare qualcosa di meglio, ma finisce per modellare i caratteri dei grandi pittori trecentisti sulla falsariga di Plinio. Comincia la parte meno brillante dell’umanismo.

Così, dopo il supremo accenno di Dante, in tutta la critica del Trecento non trovo di schietto, per l’antologia, che il nome di Bruno Datini, figlio di un mercante pratese. Si era alla fine del secolo quando Niccolò di Pietro Gerini, pittore di Firenze, gli andava vantando un suo Crocefisso ‘che, se venisse Giotto, non potrebbe megliorarlo’. Secco secco gli risponde Bruno: ‘Tu di’ vero? A me sembra di legno’. E perchè anche oggi, conoscendo bene il Gerini, sappiamo che Bruno aveva ragioni da venPROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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dere stroncandolo a quel modo, ma salvando in pari tempo Giotto[...]

[...]ne misticoplatonica del ‘disegno5 ‘da quando esso apparve in tavola o in sassi5 ; ma dove, fingendo di descrivere un drammatico tramonto sulla laguna, rende da grande prosatore (e perchè non anche da critico?) il caos coloratissimo della pittura di Tiziano.

Venuti al Seicento e a veder che strazio anche maggiore qui si faccia della verità, verrebbe voglia di rovesciare il tavolo e parlare addirittura dalla parte del cuore, che sta a sinistra. Così! Il Bellori, il Félibien e i loro adepti, gli uomini che hanno oppresso e spregiato tutti i grandi rivoluzionari fondatori della pittura moderna, Caravaggio, Rembrandt, Velazquez e, poco manca, anche Rubens,PROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

Bernini, Cortona e Borromini, son questi su cui ha da fondarsi la storia della buona critica ? Perchè hanno principi ? Gran principi i sacchi sfiatati della vecchia idea platonica, ora alleatasi al razionalismo cartesiano, i sacchi del decoro, deirinvenzione che porta alla pittura a programma letterario, della composizione in astratto, e simili! Braccio [...]

[...]one in astratto, e simili! Braccio secolare, c5è da rispondere, imprimatur e quel che segue. Ma, anche a rileggerli senz’astio, si trova di peggio e cioè che costoro non intesero neppure i pittori che si volevano glorificare. Perchè nè i Caracci nè Poussin hanno mai pensato di anticipare Mengs e David, Canova e l’avello neoclassico; ma la critica di costoro vi ci porta difilato; è anzi già, per esteso, tutto il programma del neoclassicismo*

E così, dove cercare? Fra i collezionisti e mercanti, di Caravaggio, di Rembrandt e Velazquez? Anche lì certamente. Nel gesto di Rubens che libera i frati della Scala dal grave incomodo della ‘Morte della Vergine’ del Caravaggio, acquistandola per il Duca di Mantova, c’è più critica che in tutto il Bellori. Ma v’è anche la lingua degli studi che cresce ad ogni costo. Non soltanto la parola ‘naturalisti’ che si pronuncia su tutti i toni, dal deprecativo all’elogiastico, ma tante altre, immaginose, come ‘macchia, tocco, impasto, sprezzatura, lumi, fierezza’, che circolano dappertutto. O le immagini cr[...]

[...]

Il Falconet, polemizzando agilmente in favore della scultura ‘pittorica5, mette nel sacco nientemeno che il tedesco Herder e per primo giustifica criticamente tutto il migliore barocco dal Bernini in poi.

Persino una teoria falsa come quella delPornato, serve, chi lo crederebbe?, al Fénélon per concludere che c5è un mezzo per far buona architettura, quello cioè di voltare in ornamento proprio le parti costruttive delPedificio. Un aforismo così geniale, come annotava cinquantanni fa, riscoprendolo, Rémy de Gourmont, da sconvolgere tutte la dottrine classicistiche e, soggiungiamo, da riammettere stabilmente l5architettura in seno alla ‘figurazione5. Questo era saper maneggiare idee che servano alla buona critica.

Non senza merito del xvm&ne cresce infatti la gloria dell5Ottocento francese. Perchè, sùbito dopo il congedo offerto severamente da Hegel a tutta Parte figurativa, scoppia egualmente la grande pittura romantica e accanto le combatte la grande critica romantica.

SainteBeuve trovava miracoli di aderenza nelle tante descr[...]

[...]era saper maneggiare idee che servano alla buona critica.

Non senza merito del xvm&ne cresce infatti la gloria dell5Ottocento francese. Perchè, sùbito dopo il congedo offerto severamente da Hegel a tutta Parte figurativa, scoppia egualmente la grande pittura romantica e accanto le combatte la grande critica romantica.

SainteBeuve trovava miracoli di aderenza nelle tante descrizioni di dipinti stese da Théophile Gautier che oggi ci sembrano così smorte; ma allo scrittore che ha saputo colpire talora nel segno, come quando definiva le presuntePROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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caricature di Leonardo: ‘une arabesque anatomique ayant des muscles comme rinceaux’ non si può certo negare la qualifica di vero critico d’arte.

E, sotto il fuoco, al di là del satanismo e del ‘dandysmo’ ostentati da Baudelaire, che bilancia mentale! \ Chi crederebbe sua questa piana definizione del nostro argomento: ‘La meilleure critique est un beau tableau réfléchi par un esprit intelligent et sensible’? Resta da giustificare il seguito immediato, e[...]

[...]écrite ou non, immédiate ou méditée est indivisible de ce qui pousse l’homme à produire \ Necessità dunque anche per noi di servirci di questa via di grande comunicazione.

Seconda obiezione. Dato, e non concesso, che la migliore critica d’arte sia la diretta e riuscita espressione (e irx quanto tale anch’essa inevitabilmente ‘letteraria’) dei sentimenti sollecitati da un dipinto, dove trovare il punto di consenso possibile sul nuovo risultato così ottei6

ROBERTO LONGHI

nuto? Ma se Parte stessa è storicamente condizionata, come non lo sarebbe la critica che la specchia, la specula ? E di questo le si dovrebbe far carico ? Qtliì è anzi il punto per battere in breccia quegli ultimi relitti metafisici che sono i principi del capolavoro assoluto e del suo splendido isolamento. L’opera d’arte, dal vaso dell’artigiano greco alla Volta Sistina, è sempre un capolavoro squisitamente ‘relativo’. L’opera non sta mai da sola, è sempre un rapporto. Per cominciare: almeno un rapporto con un’altra opera d’arte. Un’opera sola al mondo, non sareb[...]

[...]llora il progresso nell’intendere quasi ad infinitum la trama dei rapporti, si trova che anche qui il maggior merito dell’arricchimento spetta soprattutto ai prosatori o poeti (non importa come chiamarli). Per un esempio: la costruzione quasi molecolare del destino terrestre del pittore Elstir nel poema (o romanzo storico) di Proust può servire di eccellente modello al critico (dunque allo storico) dell’arte permeglio intrecciare ad infinitum le cosiddette ‘biografie spirituali5 dei suoi protagonisti, in una vera e propria ‘rePROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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cherche du temps perdu’. E chi dice che quell’esempio non abbia già fruttificato?

Per citare pochi esempi: la mediocre eleganza di un J.Emile Bianche come pittore non è, io credo, ragion sufficiente per dimenticare la sua eccellenza di memorialista, di evocatore di atmosfere per l’arte francese del tardo Ottocento. Ricordate il suo brano su Lautrec? 6Degas... et puis enfin, Lautrec vint! Il apparut avec les « Girls » maigres aux triples jupons que relèvent et bousculent de[...]



da Osvaldo Bayer, Il cimitero dei generali prussiani in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]e, c’era il nostro generale Riccheri. Al tavolo del fabbricante di cannoni non c’erano differenze di patria, o di razza o di mentalità. Erano tutti associati nella funebre liturgia delle armi. Con una sola differenza: gli uni erano venditori, e gli altri compratori. Questi guadagnavano e quelli le facevano pagare ai loro popoli. Tutti insieme furono gli inventori dei « conflitti di frontiera », delle « provocazioni » e delle diverse teorie della cosiddetta « sicurezza nazionale ».

Il trionfo di Bismarck sulla Francia di Napoleone ih avrebbe avuto, perciò, funeste conseguenze per i paesi alleati dell’Europa, come per esempio l’Argentina. La tecnologia militare prussiana cominciò ad invadere i mercati dei nuovi paesi che si andavano liberando nel secolo xix. La sciagurata trinità di politica, militarismo e industria delle armi dell’epoca bismarckiana (l’autentica rivoluzione industriale bellica) impose a quei paesi il modello prussiano. « La Nazione in armi » ma non per contribuire alla soluzione dei problemi sociali, piuttosto per conso[...]

[...]olidare la « sicurezza interna », i privilegi di classe. Tutto è sicurezza: non solo l’industria, le materie prime, le rotte marittime, la rete fluviale e quella stradale, le frontiere interne ed esterne, il rifornimento della popolazione, ma anche l’educazione, la religione, la cultura, la politica. Per difendersi dal nemico esterno bisogna eliminare il nemico interno che ormai si introduce furtivamente perfino nell’educazione dei bambini e può cosi corrodere le fon128

OSVALDO BAYER

damenta della nazione. Tutto è sicurezza, e la sicurezza deve stare dappertutto a vigilare su tutta la vita dei popoli. Il maresciallo di campo prussiano Colmar von der Goltz, autore del libro La nazione in armi, divenne, dalla sera alla mattina, il filosofo dei nuovi ufficiali argentini. Gli uomini d’arme hanno il dovere ineluttabile di vigilare sulla Patria, essi rappresentano la Nazione, sono la Nazione, in costante allerta. Gli insegnamenti dei militari prussiani che arrivano nel Cono Sud latinoamericano: il generale Korner in Cile, il colonnello A[...]

[...]e avrebbero potuto essere esempi di pace e di convivenza nel mondo intero. I Krupp ed i loro cannoni furono i veri padri dell’adozione del servizio militare obbligatorio in paesi che avrebbero potuto eliminare le frontiere fra di loro poiché non c’erano e non ci sono problemi di razza, di lingua, di cultura o di origine. I « cooperanti per lo sviluppo » mandati dall’esercito prussiano introdussero la tecnologia militare in quei paesi e li resero così dipendenti. Così come gli inglesi nella marina da guerra. Repentinamente, cominciarono a spuntare come funghi i conflitti fra popoli fratelli, e i cannoni di Krupp o i fucili di Mauser cominciarono a trovarsi faccia a faccia sulle montagne, nei boschi e nelle selve e nei fiumi dell’America Latina.

Durante il Secondo Reich, quello di Bismarck, il Ministero degli Aìfari Esteri si convertì in un centro di contatti rapidi ed efficaci fra le forze armate e l’industria bellica. Il potere politico ed il potere militare, a servizio del capitale armamentista. L’affare fu straordinario. Quell’« aiuto allo sviluppo »[...]

[...]ascorsi nove anni dall’adozione del servizio militare obbligatorio auspicato da Riccheri. Von der Goltz scrive:

Tutti i festeggiamenti argentini hanno avuto un carattere serio e solenne (...). In questo senso il potere armato ha avuto un ruolo di protagonista con i suoi picchetti e con le sue guardie d’onore, le scorte, le bande di musica, ecc. Battaglioni di scolari hanno sfilato per le strade dando espressione — e vorrei proprio descriverla così al militarismo, che in Argentina è molto latente,IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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poiché nello straordinario progresso della repubblica nel campo materiale, non ha perso di vista la necessità di fomentare e rafforzare lo stile militare, quello guerresco (...). Voglio qui spendere due parole sull’educazione militare dei soldati argentini. Tutto ciò che costituisce marce e sfilate è assai apprezzato a Buenos Aires. Fra noi tedeschi si parla troppo della severità delPistruzione militare; ebbene, prima di parlare dovrebbero andare in Argentina a vedere come vengono istruiti i soldat[...]

[...]tta di carne da presidio che la polizia andava arrestando qua e là. Mi facevano notare, inoltre, che, quando si riempiva, cominciava un viaggio turistico verso la Terra del Fuoco dove venivano sbarcati. E lf veramente potevano fare tutto il casino che volevano. Si è parlato molto di uno sciopero generale che avrebbe dovuto cominciare con delle irregolarità nelle numerose linee di tram elettrici, indispensabili mezzi di comunicazione in una città cosi estesa. Ma prima ancora che cominciasse, c’erano già i soldati appostati davanti e dietro ai veicoli, con il fucile carico e, dalle precedenti esperienze, si sapeva benissimo che quelle guardie non esitavano a premere il grilletto. Così che le agitazioni furono rimandate e fino ad oggi non sono state messe in pratica. Ma, forse, la misura più efficace messa in opera dal capo della polizia di Buenos Aires è stata, prima del giorno prefissato, aver fatto arrestare un gran numero di agitatori anarchici e averli messi in galera con Pavvertimento che di fronte al più piccolo turbamento della festa del centenario avrebbe aperto le porte della prigione e li avrebbe messi nelle mani della popolazione esasperata. Fu permesso ai prigionieri di informare di questa decisione gli amici che si trovavano ancora in libertà. In questo modo l[...]

[...]enario avrebbe aperto le porte della prigione e li avrebbe messi nelle mani della popolazione esasperata. Fu permesso ai prigionieri di informare di questa decisione gli amici che si trovavano ancora in libertà. In questo modo li avrebbero potuti pregare di far uso di tutta la loro influenza perché fosse mantenuta la calma. Io vorrei che anche noi tedeschi imitassimo ogni tanto un po’ di questo vigore originale ed edificante e non fossimo sempre così riguardosi!

L’uniforme, il pennacchio e le decorazioni in fin dei conti coprivano il corpo di un carceriere, di un assassino vestito a festa. Cosi la pensava Puomo che ci era stato mandato dalla « terra di poeti e di filosofi » per rappresentarla nel Centenario del giorno in cui i creoli, al grido di « uguaglianza, fraternità e libertà », si erano liberati dal colonialismo spagnolo, Lo stesso von der Goltz, tre anni dopo, sarebbe stato uno dei più130

OSVALDO BAYER

importanti esecutori del massacro mondiale del 1914, nella sua qualità di comandante in capo del fronte turco.

Ma non solamente uomini di questo stampo hanno seminato nel nostro paese. Vi fu anche chi vi trapiantò l’utopia. Furono i socialdemocratici, i quali a causa[...]

[...]stabilimenti industriali, come in Europa, ma qui vi è, anche, il più grande sfruttamento del lavoro di donne e bambini (« Vorwàrts », 26.3.1892).

Durante tutta la permanenza in Argentina del maresciallo tedesco conte von der Goltz, il colonnello argentino José Felix Uriburu ne fu l’accompagnatore. Venti anni dopo, nel 1930, quel colonnello, ormai con i galloni di generale, realizzerà il primo « golpe » militare contro la democrazia argentina. Così il generale Uriburu ha vinto anche lui la sua guerra. Era un militare convinto che le guerre fossero utili all’umanità. Nel 1915, in un’analisi fatta a tavolino della guerra europea, scriveva: « Ci fa piaceIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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re dichiarare che all’interesse militare che risveglia in noi questa guerra, va aggiunta una profonda attrazione che deriva dalla grandezza della lotta e dall’eroismo di coloro che l’affrontano ». Ovviamente, il generale Uriburu morì nel suo letto.

Lascio la parte più solenne del cimitero ed entro in un limbo: le tombe dei soldati. Centinaia [...]

[...]ostra resa non ci sono stati suicidi. Alcuni generali prussiani sepolti qui si fecero saltare le cervella portando alle estreme conseguenze il loro macabro ruolo, in cui erano entrati a quattordici anni, quando fecero il loro ingresso in accademia. Sono stati coerenti. Non tutti, la maggior parte è morta nel suo letto sognando di vincere a tavolino la battaglia perduta. Il maresciallo conte von der Goltz descrivendo la battaglia di Gorze, scrive così: « Abbiamo perso molte vite. Ma per quanto ciò ci rattristi, dobbiamo sopportarlo perché la Patria lo esige. Un popolo che vuole essere grande e difendere il proprio onore, non deve avvilirsi per quelle perdite ». Il maresciallo von der Goltz morì nel suo letto, con tre medici al capezzale, a 73 anni. (La domanda più intelligente che ho inteso fare da un giornalista è quella rivolta da Oriana Fallaci al generale Galtieri: Lei è mai stato in guerra?)134

OSVALDO BAYER

Mi allontano dalla tomba dei soldati del 14. In primavera, dei rampicanti pieni di spine gli danno un aspetto da piante d[...]

[...]care l’esattezza di quanto riferito nei rapporti ufficiali, ma fin’ora senza risultato.

Durante quell’incontro i denuncianti reagirono con violenza, accusando gli ufficiali loro interlocutori di averla uccisa, senza ottenere alcuna risposta. Il capitano si limitò a dire che il paese era in guerra e che la vittima « conosceva delle persone ».

Il governo argentino in una nota pervenuta a questa commissione dell’oEA, il 27 marzo 1980, rispose così:

« Rispetto alla comunicazione pervenuta al Governo Argentino da parte di codesta Commissione Interamericana dei Diritti Umani, rispetto al caso in oggetto, si precisa quanto segue:

Che Rosa Ana Frigerio è stata arrestata da forze legali nell’agosto del 1976 essendo l’arresto e il luogo di detenzione comunicati ufficialmente ai familiari dalle autorità corrispondenti e in vista di possibili legami con bande di delinquenti terroristi. Dato che la parte in causa confessò la sua militanza in detta banda senza tuttavia aver partecipato a eventi delittuosi, nonché la propria decisione di usc[...]

[...]ellenza. La persona aggressiva ha come valore fondamentale l’obbedienza. Cioè, « la custodia dei valori eterni » nel mio paese argentino, i militari e la loro corte civile la chiamano « valori occidentali e cristiani » oppure « essenza dell’argentinità » contro la problematicizzazione, la costante sfiducia verso l’autorità e i valori sottintesi e imposti, che non sono altro che i decaloghi delle classi dominanti. Sfiducia e ribellione contro i cosiddetti «codici d’onore». Questi codici con i rispettivi « tribunali d’onore » che servono sempre da coprivergogne alla corruzione degli « arrivati ». L’ipocrisia ed il fariseismo di tali codici d’onore vengono a nudo nella falsità di certi dettagli delle nórme di comportamentoIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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sociale. Per esempio, il colonnello Spohn, consigliere di « questioni d’onore », scriveva nel trattato Doveri professionali e sociali dell’ufficiale, nel 1915: « Le relazioni carnali con donne pubbliche sono permesse e non sono affatto riprovevoli in un ufficiale a condizione [...]

[...] stata condotta dalla Giunta Militare del mio paese attraverso gli Stati Maggiori (...) Guerra cui ho partecipato per Grazia di Dio »).

I marescialli Keitel e Jodl, comandante in capo e capo dello Stato Maggiore della Wehrmacht durante l’ultima guerra impostarono tutta la loro difesa personale al Tribunale di Norimberga sul grande alibi dell’obbedienza agli ordini superiori.

(Interrogati dalle Madri di Plaza de Mayo sul perché reprimessero cosi delle donne disarmate, gli ufficiali della Polizia Federale rispondevano invariabilmente con il tabù « obbediamo agli ordini »).

Sfiducia ed odio verso i critici esterni, e come contrapposizione, un acceso spirito di corpo. Alcuni anni dopo Tultima guerra cominciarono le pratiche di commilitanza fra ex ufficiali nemici. Gli aviatori da caccia inglesi per esempio — che avevano difeso Londra dalla Blitzkrieg aerea tedesca, si danno appuntamento ogni quattro anni con gli ex aviatori dei bombardieri nazisti, loro ex nemici. Li accompagnano le loro mogli ed a volte anche i loro nipotini. Passa[...]

[...]i, prendono il tè. I nipotini giocano con « Mirages » e « Super Etendard » in miniatura. C’è un che di idilliaco, la pace che si conquista in vecchiaia quando si è compiuto il proprio dovere. Che è la cosa più difficile e scabrosa. La difficoltà consiste nel comportarsi bene nei confronti dell’umanità e di se stessi. Nel 1914 si compiva il proprio dovere usando la pala della fanteria infilata nella Mauser e, nel corpo a corpo, si doveva tagliare così la gola del nemico. Con la baionetta si doveva infilzare il ventre, un poco più sù, il colpo era perfetto quando raggiungeva lo sterno. Nel 1920, generali inglesi, francesi e tedeschi si riunirono per mettere a frutto un’idea: progettare cimiteri comuni per i soldati caduti; tedeschi, inglesi e francesi, tutti insieme, tutti mischiati. Unirli nella morte. Questa parve loro un’idea geniale. E i giornali pubblicarono brillanti editoriali che inneggiavano al valore « umanistico » di una simile idea. Il poeta anarchico tedesco Erich Miihsam propose, invece, di costruire un’unica tomba per tutti i[...]

[...]e gli sta di fronte tranne gli irregolari, i guerriglieri, i civili armati è solamente l’avversario della sfida. Gli inglesi in questo sono maestri. Danno alla guerra un certo tono sportivo. Furono loro a inventare il carisma di Rommel ed a dargli il soprannome di « volpe del deserto »: il maresciallo tedesco che compariva e scompariva con i suoi carri armati, un mago che innovava tutta la scienza militare. Tutto ciò sotto la formula: se lui è così abile e noi lo sconfiggiamo, è segno che noi siamo migliori.

(Quando, nella seconda guerra mondiale ad Anzio e a Nettuno in Italia, la colonna di testa dell’invasione alleata era in pericolo, gli inglesi parlarono del146

OSVALDO BAYER

valore degli aviatori italiani fino a quel momento nemici che con voli radenti cercavano di spiazzare i cannoni antiaerei della flotta. Sempre gli inglesi furono i primi ad elogiare tramite i portavoce e gli addetti stampa del Ministero della Difesa gli aviatori argentini chiamandoli coraggiosi e temerari. Cominciava cosi un’altra leggenda. Solamen[...]

[...]ttuno in Italia, la colonna di testa dell’invasione alleata era in pericolo, gli inglesi parlarono del146

OSVALDO BAYER

valore degli aviatori italiani fino a quel momento nemici che con voli radenti cercavano di spiazzare i cannoni antiaerei della flotta. Sempre gli inglesi furono i primi ad elogiare tramite i portavoce e gli addetti stampa del Ministero della Difesa gli aviatori argentini chiamandoli coraggiosi e temerari. Cominciava cosi un’altra leggenda. Solamente a guerra finita, nel rapporto finale, gli inglesi espressero la loro sorpresa per i falsi obiettivi scelti dall’aviazione argentina. Invece di concentrare gli attacchi sui grandi convogli di trasporto truppe e far fallire l’attacco si contentarono di attaccare le naviscorta, con effimeri trionfi; arrivarono ai bordi esterni ma non osarono arrivare al centro. Prima di definirli coraggiosi e temerari bisognerebbe ridefinire quei valori. È forse più coraggioso colui che ha una maggiore carica di aggressività, chi vede la sua grande opportunità di emergere nell’unico [...]

[...]a » quando andò in Germania, nel 1982, espresse il personale desiderio di incontrare Ernst Jùnger, il geniale e raffinato scrittore, il grande ammiratore della guerra come atteggiamento di virilità e di purificazione, lo stesso che, come tenente dello Stato Maggiore aveva partecipato alla prima guerra mondiale, poi nei corpi paramilitari dando la caccia agli operai e poi nella seconda guerra mondiale come alto ufficiale. Jùnger, il creatore del cosiddetto « nihilismo eroico » concepì letterariamente la raffinatezza per eccellenza, il non plus ultra dei piaceri, il grande bagno di sangue, di fuoco e di acciaio, il gusto di partecipare alla guerra come a uno spettacolo, la guerra come azione igienica e poetica per il maschio. Ebbe la fortuna (secondo lui) di partecipare alle due guerre. Tormenta d’acciaio è uno dei suoi libri esegetici sul massacro degli esseri umani. Contiene frasi profonde e ben espresse del tipo di questa sulla partenza per il fronte: « Domani, sì, forse domani mi schizzerà il cervello fra le fiamme ». Mentre il poeta T[...]

[...]entre il poeta Trakl non resisterà al dolore di fronte al massacro di Grodek, a Ernst Jùnger gli effluvi della polvere, del sangue, delle viscere incancrenite dei morti e della merda delle trincee lo riempivano di aromi e scriveva:

« Il sangue vorticava nel cervello e nelle vene come prima di una notte d’amore violentemente desiderata, anzi, in forma ancora più calda e stravolgente. Il battesimo del fuoco! L’aria era carica di una mascolinità così debordante che ogni respiro ubriacava, tanto che avremmo potuto scoppiare in pianto senza sapere perché. Oh! cuori maschi che siete potuti arrivare a provare tutto questo! ».

L’ex militare Jùnger, il portavoce dell’estetica della destra, parla con sincerità e fermezza virile: « Ovviamente, noi ci sentiamo più a nostro agio con un nemico di razza che non con un pacifista o con un internazionalista. E certamente, ciò che facciamo in un campo di battaglia, uccidendoci fra di noi, è più importante che finire col formar parte di un enorme purè ». Con la parola purè, Jùnger allude al miscuglio d[...]

[...]lassi, alla repubblica, in una parola, al socialismo. Più tardi Jùnger si rassegnerà e si dedicherà ad esaltare i valori dell’individualismo. Sempre contro il « purè » ma ormai senza più bisogno del fuoco e dell’acciaio. L’individuo, come una roccia che si oppone al mare, al flusso, all’inondazione. La lunga conversazione fra questi due aristocratici della vita e della parola, JungerBorges, fu di una tenera e cortese nostalgia. Borges realizzava così il suo sogno argentino di parlare con l’ammirato europeo di cui aveva letto Tormenta d’acciaio. L’europeo lo ricevette con educata condiscendenza. Più tardi dichiarerà di non essere molto aggiornato sulla letteratura latinoamericana, ma che tuttavia « per me è stato un piacere conversare con il signor Borges » pronunciato con la g francese).

Mi sembra che sia già suonato l’Angelus. Ora chiuderanno il cimitero. È Torà in cui nei monumenti funebri pieni di fenditure si danno appunta148

OSVALDO BAYER

mento i generali prussiani per spiegare le loro battaglie perdute. Sono vecchi, consu[...]



da Nicola Chiaromonte, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Arte e comunismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]ede comunista fosse, in senso proprio, una fede comune, oppure un'insegna di comando, pertinenza esclusiva delle supreme gerarchie. A questa domanda, la risposta era già: venuta, era negli atti e nei fatti, nonché negli argomenti impiegati a giustificare gli atti e i fatti: la fede comunista — se di fede si poteva parlare —. era da riporre nei fatti compiuti e da compiere; li era la certezza, non nel regno vano delle « idee ». Le idee erano, per così dire, già avvenute, e servi vano, una volta per sempre, a rendere inflessibile il corso dell'azione, a consacrare i fatti. Il comunismo, per sua dichiaratissima essenza, era volontà d'organizzazione e d'imperio. In esso, fede, dogma e disciplina erano una stessa e medesima cosa. La sua ortodossia riguardava gli atti e il comportamento, non un'inconcepibile realtà intellettuale superiore ai fatti e agli atti. Per l'artista e per il o chierico », come per ogni altro suddito, non c'era quindi altro da fare che eseguire con infinita sollecitudine gli ordini e le ordinazioni che scendevano per via[...]

[...]ionario e non, com'è, il soldato di un potere ideocratico, di fronte all'arte egli dovrebbe sa
74 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
per ripetere l'oltraggio dei rivoluzionari russi del 1860: cc Meglio un ciabattino che Shakespeare ». Chi si è dedicato alla redenzione degli oppressi, può anche disprezzare l'arte, o non curarsene. Ma quell'oltraggio era una sfida e un atto di fede, oltre che una negazione. Il comunista non può permettersi gesti così inconsulti. Tutto può giovare al potere, e il contrario di tutto. Quindi sola é permessa al buon comunista la convinzione che l'aspetto ufficiale delle cose è l'unico vero, che il mondo, cioè, è popolato di oggetti da manipolare, o da eliminare. L'imitazioné inflessibile della verità ufficiale è il canone della sua etica come della sua estetica.
Dice Hegel che, nel Medio Evo, anche un pittore miscredente avrebbe potuto dipingere una Madonna; tanto irrefutabile per la mente, tanto chiara, tanto obbiettivamente vera per tutti e, si direbbe, tanto desiderosa di nuovi aspetti, era, nella comunit[...]

[...]la comunità e per la comunità, l'immagine della Madre di Dio. Ma il pittore sovietico che si cimenta a dipingere le parvenze di Stalin dipinge nell'evidente irrefragabile terrore di dipingere altro che la piega dei suoi baffi e quella dei suoi pantaloni, nella cura infinita di evitare ogni accenno a uno Stalin comunque vero. Onnipresente attorno a lui, il Sommo Gerarca non é presente alla sua mente ma la occupa, come un esercito occupa un paese. Così, quello sciagurato facente funzione di artista ci obbliga visibilmente a constatare due fatti: la sua totale incapacità di credere all'esistenza reale dell'uomo Stalin e l'indifferenza non solo, ma l'altissimo inesorabile sospetto di Stalin lui medesimo per la sua propria figura e natura di uomo, nonché per la natura umana in genere. Tali sono le vie del o realismo socialista ».
***
Naturalmente, queste considerazioni sembreranno non solo eccessive, ma anche fanaticamente ostili, ai molti che, in Occi dente, credono ancora possibile conciliare l'ideocrazia comunista con quella libertà inter[...]

[...]duo dei temi di vi sione, di riflessione o di azione morale, ma degli oggetti obbliga tori a proposito dei quali la sola libertà che gli sia concessa è quella di trovare il modo di muovere determinati affetti in un senso anch'esso determinato.
La Natività, la Passione, la Resurrezione sono temi della libertà cristiana; il Sacro Cuore, la Madonna Addolorata, le virtù esemplari dei Santi della controriforma sono oggetti della devozione cattolica. Così, i temi della rivolta si trovano spontanei in tutta la letteratura e l'arte del secolo XIX, da Stendhal a Tolstoi, da Goya a Van Gogh, e non hanno bisogno di esser classificati « socialisti » per nutrire quel rifiuto del mondo « così com'è » che è uno dei grandi motivi della coscienza moderna. Ma l'Operaio, la Costruzione Socialista, la Pace, il Popolo, eccetera, sono gli oggetti (mutevoli, per giunta) della devozione comunista. Il comunismo stesso, per trovarlo visto, descritto, amato, odiato, vissuto come esperienza e come tema, bisogna ricorrere ai libri degli excomunisti: Malraux, Silone, Koestler, Orwell. Se l'ideocrazia comunista avesse potuto ammettere altro che la retorica edificante, la propaganda e la bigotteria, essa sarebbe forse riuscita a trattenere quegli uomini irrequieti nella sua orbita, così come il cri[...]

[...]ono gli oggetti (mutevoli, per giunta) della devozione comunista. Il comunismo stesso, per trovarlo visto, descritto, amato, odiato, vissuto come esperienza e come tema, bisogna ricorrere ai libri degli excomunisti: Malraux, Silone, Koestler, Orwell. Se l'ideocrazia comunista avesse potuto ammettere altro che la retorica edificante, la propaganda e la bigotteria, essa sarebbe forse riuscita a trattenere quegli uomini irrequieti nella sua orbita, così come il cristianesimo seppe, per lungo tempo, tollerare e dominare non solo l'anticlericalismo, ma anche una grande quantità di elementi perfettamente estranei al
76 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
l'ispirazione cristiana. Senonché, gli oggetti di devozione non sono soltanto dei temi prescritti: é prescritto, in essi, anche il senso in cui devano essere sentiti e interpretati, e quindi il modo di trat tarli. A questo punto, per quanto si dica e si faccia, non c'è piú posto che per una più o meno abile accademia: la mente, infatti, si trova in stato di paralisi forzata. Certo, l'accademia[...]

[...]giore. Usata a tal fine, la tradizione naturalistica (dato che corrisponda a qualcosa di preciso) si trasforma immediatamente in «poncif », e non può servire che alla produzione di « bestsellers ». La ragione é che é impossibile ridurre a un qualsiasi denominatore comune una «tradizione» che comprende Balzac e Gogol, Dickens e Manzoni, Tolstoi e Melville, Goya e Courbet, Delacroix e Renoir, Daumier e Van Gogh. Il solo punto d'incontro di artisti così diversi, dato che sia lecito formularlo, non è né nello «stile» né nel (( soggetto», ma nella temeraria avventura del reale, nella libera interrogazione, nel rifiuto preliminare delle forme stabilite, nella solitaria ricerca del (( significativo». Formulare questo in una «regola» qualsiasi, estetica, sociale o morale, significa rendere obbligatori i postulati del filisteismo, elevare a dignità di modello i (( valori» formali e sostanziali dell'arte borghese della fine del secolo: l'imitazione amorfa, il conformismo e il rispetto delle «convenienze ».
E ben certo che molti militanti, specie g[...]

[...]potente compagnia cui sono aggregati. Una tale adesione fredda, voluta, e «negativa », è anzi caratteristica dei partiti comunisti del dopoguerra, e costituisce forse il fondo della loro tenacia come della loro debolezza.
Si può pensare che, per questi giovani, arte comunista significhi in sostanza — e astrazion fatta dalle prescrizioni ufficiali — un'arte di realismo corrosivo, che descriva e denunci la corruzione del mondo borghese, additando così, implicitamente o esplicitamente, i «valori sani» da istaurare. Questo sarebbe, all'incirca, il senso profondo del «realismo socialista ».
Ma qui c'è una madornale ingenuità, e un grossolano errore di prospettiva. S'immagifia, cioè che il realismo aspro e negatore, la poesia della denuncia e dello « svelamento spietato che è uno dei filoni più profondi dell'arte moderna, possa più facilmente accordarsi con le intenzioni prestabilite e con l'ortodossia, ed esiga insomma una libertà meno illimitata di punto di vista che, poniamo, l'arte estetizzante, sensuale, o formalistica. Naturalmente, è v[...]

[...]è uno dei filoni più profondi dell'arte moderna, possa più facilmente accordarsi con le intenzioni prestabilite e con l'ortodossia, ed esiga insomma una libertà meno illimitata di punto di vista che, poniamo, l'arte estetizzante, sensuale, o formalistica. Naturalmente, è vero il contrario. Negare, in senso autentico, non significa inveire; negare significa vivere la negazione e patirla; soffrire la nausea e l'orrore del reale; cercare, nel mondo così com'è, un senso e non trovarlo; sentirsi prigioniero ¿lell'incubo e del grottesco, vittima. di una libertà intollerabile, ossesso: solo. Insomma, i mostri di Goya sono veri mostri, e l'universo di Kafka una spaventosa assenza; ma l'inferno dei Padri Gesuiti, per paura che faccia ai ragazzi, rimane profondamente scemo.
Se poi si parla di «realismo» nel senso in cui è lecito dire che Omero, Velazquez e Tolstoi sono dei grandi realisti, allora siamo lontanissimi da ogni passione negatrice o polemica, in una: zona che è forse la zona suprema dell'arte: quella dell'armonia spontanea fra gli ogget[...]

[...] fatti sociali, non più gratuiti né capricciosi degli altri. S'immagina un'assurda libertà d'indifferenza per cui l'artista, invece di fermarsi a quello che gli appare significativo, e cioè a quelle sole cose che egli sa e può fare, dovrebbe (con un pa' di volontà) potere, per esempio, spostare leggermente la sua attenzione e «vedere» gli oggetti « morali» invece di quelli « immorali », il « lato positivo» invece di quello «negativo» delle cose. Così ragionano (e non solo a proposito d'arte) fanatici, filistei e burocrati, gente alla quale lo sforzo dell'individuo per perseverare nel proprio essere appare necessariamente come (a dir poco) un'ostinazione sospetta. Qui, però, non si nega la libertà (la quale, anzi, si presume data nel modo più vacua e «idealistico »), ma le condizioni proprie di ogni lavoro umano.
In fondo a simili pretese, c'è sempre la stessa stortura: l'idea che gli oggetti della mente: forme, immagini, emozioni e pensieri, non hanno una realtà propria e una propria necessità, non sono, cioè, parte integrante del reale,[...]



da Saverio Tutino, Lettera da Cuba. All'Avana o in provincia il romanzo della rivoluzione? in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1964 - - ottobre - 18

Brano: [...]olti altri negano l'esistenza. Senonché il critico ha commesso lo errore di spostare la polemica su «un terreno secondario, quello di un preteso contrasto fra la provincia, sana e rivoluzionaria,simbolzzata da Santiago di Cuba e dagli scrittori di Santiago, e la capitale, corrotta e quasi controrlvduzionaria, dove vanno di moda le formule straniere, il «nouveau roman» o «l'ultimo tartamudeo mentale di Sathalie Sarraute o di Alain Robbe Grillet». Così la polemica ha cominciato a deviare verso falsi scopi.
La replica è venuta da Ambrogio Fornet, sulla «Gazeta de Cuba» — un foglio letterario che si pubblica nella capitale. Da «provinciale a provinciale» il giovane Fornet rimprovera a Portuondo di voler suggerire — temi che non è compito del critico —, di non capire il valore della nuova versione della realtà contenuta nella esperienza del nuovo romanzo francese, di essere troppo vecchio per capire I giovani e di lasciarsi trascinare dalla irritazione del provinciale contro la capitale in una polemica
«complessata» priva di giustificazioni [...]

[...]zazione, una vita più complessa e dinamica che alla lunga seppellirà quello che Portuondo chiama la "purezza fondamentale del provinciale».
Portuondo si era probabilmente lasciato trasportare dalla polemica e aveva toccato un tasto sbagliato. Fornet ne ha approfittato, non senza una o due battute di sapore volgare («per interpretare certi fenomeni — come per far l'amore o pilotare un Mig — avere più di cinquantanni è un serio inconveniente»). Cosi la' discussione si è conclusa male. Con sacrosanta fierezza Portuondo ha risposto a Fornet dalle colonne di 'Cultura '84' edito a Santiago, che «si ha l'età che si esercita» e che «vi sono prodotti dello esercizio di menti giovanili (dal punto di vista anagrafico) che si dissolvono per pura senilità»
Quanto al fondo del problema, che Fornet ha eluso, il promotore della polemica è tornato ad esprimere la sua opinione, ma stavolta in maniera esasperata. Così è venuto fuori il solito schema secondo cui i giovani scrittori dovrebbero cercare di ispirarsi al mondo del lavoro, per esempio ai volon[...]

[...]cussione si è conclusa male. Con sacrosanta fierezza Portuondo ha risposto a Fornet dalle colonne di 'Cultura '84' edito a Santiago, che «si ha l'età che si esercita» e che «vi sono prodotti dello esercizio di menti giovanili (dal punto di vista anagrafico) che si dissolvono per pura senilità»
Quanto al fondo del problema, che Fornet ha eluso, il promotore della polemica è tornato ad esprimere la sua opinione, ma stavolta in maniera esasperata. Così è venuto fuori il solito schema secondo cui i giovani scrittori dovrebbero cercare di ispirarsi al mondo del lavoro, per esempio ai volontari che studiano a Minas del Frio (seimila maestri si stanno preparando nelle disagiate condizioni di un accantonamento di montagna, a più di mille metri sul livello del mare.
La polemica sul romanzo è stata però più importante di quello che può sembrare. Nonostante tutto i giovani intellettuali che hanno seguito gli articoli di " Cultura 64" e della "Gazeta de Cuba" devono avere percepito un certo stimolo ad una ricerca artistica e culturale positiva. Q[...]

[...]tuondo ha dato come già esistente — già nata — una nuova coscienza e ha invitato gli scrittori a raggiungerla. Non ha visto cioè la necessità di definire in maniera unitaria il processo di una coscienza collettiva in formazione(e non già formata) e di far capire che l'impegno politico dello scrittore dovrebbe essere appunto quello di partecipare a questa formazione, in piena libertà rispetto alla scelta dei temi, alla ricerca formale, eccetera. Così ha provocato una rivolta inutile contro un'imposizione che non esiste da parte della direzione politica del paese e che sorge unicamente dallo zelo di singoli. Rimane aperto il problema di una ricerca artistica che sia stimolata interiormente da una sensibilità rivoluzionaria più adeguata a quello che già il paese, rinnovandosi rapidamente, esige. Vi sono attualmente progetti che tendono ad affermare questa esigenza, in modo oggettivo e sereno, con obbiettivi di libertà e di impegno politico serio. Ma di questo si potrà parlare quando i progetti si, realizzeranno.
Saverio Tutino



da Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, I minatori maremmani (con tre documenti) [documenti: Lettera del Sindacato Minatori aderente alla CGIL, al Distretto Minerario di Grosseto del 7-8-1953 in cui si prospettano i pericoli derivanti dai metodi di conduzione della miniera, e in particolare dal cosiddetto metodo dei franamenti del tetto, firmata in calce «per la segreteria» Betti Duilio; Lettera di risposta del Distretto Minerario di Grosseto del 29 Ottobre 1953 firma in calce «L'ingegnere capo» Tullio Segu... in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]verticale, capace di profitti difficilmente calcolabili, dato che si realizzano alla fine del ciclo di lavorazione, ma che non dovrebbero essere inferiori, per il 1953, e per il solo bacino piritifero maremmano, ai 2 miliardi di lire (1).
La più antica fra le miniere di pirite maremmane é quella di Gavorrano : la sua scoperta risale al 1898. Ma già nella prima metà del secolo scorso aveva destato interesse un ammasso ferruginoso di limonite (il cosiddetto « brucione »), che poi era niente altro che lo strato affiorante del giacimento, con le relative alterazioni prodotte dagli agenti atmosferici. Si era tentato già allora di utilizzare il brucione in siderurgia, per la fabbricazione della ghisa, ed un piccolo stabilimento era sorto a questo scopo in località Bagno di Gavorrano; ma il fallimento dell'impresa troncb i lavori di escavazione, che erano stati molto superficiali e non avevano dato quin
(1) Per determinare i profitti delle Società ci siamo basati sui dati forniti dalle Commissioni Interne.
I MINATORI MAREMMANI 3
di la possib[...]

[...]ori vengono poi dai paesi vicini, Scarlino, Ravi e Caldana : il trasporto é oggi effettuato a mezzo di autobus della Società. I dirigenti sindacali ci hanno fatto osservare la sospetta puntualità con cui gli autobus arrivano e ripartono : allo scopo, si dice, di impedire i contatti tra i minatori di Gavorrano e quelli degli altri paesi. Ma di queste « astuzie » avremo modo di parlare in seguito. Una ottantina di operai scapoli abitano infine nei cosiddetti «:camerotti », vecchie costruzioni già allestite per alloggiare prigionieri di guerra.
A Boccheggiano la pirite si cominciò ad estrarre nel 1910: anche in questo caso l'attenzione dei ricercatori fu in un primo tempo attratta dalla limonite affiorante in superficie. La miniera pareva destinata ad un rapido esaurimento, quando le ricerche misero in evidenza nuovi filoni : i recentissimi lavori per la costruzione di una galleria di scolo delle acque di miniera, lunga 7 chilometri, nonché la costruzione di nuovi impianti per lo sfruttamento integrale del minerale scartato negli anni passa[...]

[...]rò sono ammessi solo gli operai direttamente impiegati nella produzione, cioè i minatori e gli armatori. Gli altri ricevono solamente 75 lire giornaliere a titolo di indennità per mancato cottimo. Agli impiegati, sia tecnici che amministrativi, spetta un premio di produzione, proporzionale al tonnellaggio mensile di minerale estratto.
Il calcolo dei cottimi non é casa semplice. È regolato da un accordo, che stabilisce i minimi di produzione (la cosiddetta « produzione ad economia »), che occorre superare per poter beneficiare del cottimo. Una compagnia, che nel giro di un turno lavorativo estragga un quantitativo di minerale inferiore all'economia, viene punita con multe, ed a lungo andare il rimanere al disotto dell'economia può anche essere motivo di licenziamento. Ma la produzione a cottimo non viene retribuita con gli stessi criteri della produzione ad economia. Dato che la paga giornaliera è la somma di cifre rispondenti a voci diverse, nel calcolo del valore della produzione a cottimo si parte non dalla cifra totale, ma da una infe[...]

[...]viene punita con multe, ed a lungo andare il rimanere al disotto dell'economia può anche essere motivo di licenziamento. Ma la produzione a cottimo non viene retribuita con gli stessi criteri della produzione ad economia. Dato che la paga giornaliera è la somma di cifre rispondenti a voci diverse, nel calcolo del valore della produzione a cottimo si parte non dalla cifra totale, ma da una inferiore (di recente un accordo la fissava in 850 lire). Così, se la norma di produzione ad economia è di 3 vagoncini a minatore per turno lavorativo, un vagoncino in più sarà compensato con una somma pari ad un terzo delle 850 lire. Accade in definitiva che un vagoncino prodotto in economia vien pagato 400 lire, mentre prodotto a cottimo non raggiunge le 200. Non solo, ma gli oneri sociali vengono computati solo sul lavoro ad economia, per cui i profitti della Montecatini si realizzano maggiormente proprio sul lavoro a cottimo. E si evade in questo modo la norma generale secondo la quale il lavoro straordinario deve essere retribuito meglio di quello o[...]

[...] Storia del PCI », quella di Bellini e Galli, i minatori maremmani sono indicati, accanto agli operai di Sesto San Giovanni, fra le più combattive avanguardie del Partito Comunista Italiano.
12 LUCIANO BIANCIARDI CARLO CASSOLA
Una prima agitazione contro la Montecatini risale agli anni precedenti la guerra d'Africa, ed oggi se ne parla con tono di leg genda, mentre mancano del tutto documenti precisi accessibili. Ad ogni modo le cose andarono così : alla fine del '31 la Montecatini intese introdurre il sistema Bedaux, che è una specie di metodo Taylor applicato al lavoro di miniera. Ogni operazione lavorativa veniva analizzata e cronometrata : si stabiliva in questo modo un minutissimo sistema di punteggio corrispondente ad una giornata lavorativa media. Fissato un minimo di punti, le differenze in più o in meno si traducevano in multe od in premi.
Questa storia non piacque alle maestranze sin dall'inizio: le operazioni di rilevazione dei tempi vennero eseguite senza avvertire prima gli operai del motivo per cui si facevano : la prese[...]

[...]rai entrarono a forza negli uffici della direzione, sfasciando imposte e mobilio : le spese maggiori le fecero, com'era logico, le odiate macchine che calcolavano il Bedaux e compilavano il foglio paga; impiegati e direttori scapparono dalle finestre. Le autorità non se la sentirono di arrestare i sediziosi, anzi, furono gli stessi gerarchi fascisti del luogo ad intromettersi in favore degli operai.
I MINATORI MAREMMANI 13
Il Bedaux non superò così la fase sperimentale, e fu messo in disparte.
Durante la guerra gli operai, fra i quali le idee antifasciste erano assai diffuse, parteciparono attivamente alla lotta partigiana. Quando i tedeschi iniziarono la ritirata, per impedire azioni di sabotaggio nella miniera di Niccioleta furono disarmati i repubblichini e venne costituito un servizio di vigilanza sulle installazioni della miniera. La rappresaglia fascista fu sproporzionata e feroce : un reparto italotedesco di S.S. massacrò 83 minatori (1314 giugno 1944).
Nel dopoguerra pareva che la Montecatini si fosse fatta più aperta e compre[...]

[...]ondo.
La più forte repressione si realizza a Ribolla, dove ai motivi generali di malcontento si aggiunge, come abbiamo victo, la continua minaccia di smobilitazione. Un ultimo licenziamento, di 45 operai, provocó, nell'aprile del 1953, una vasta agitazione. Un gruppo di operai si cal?) nei pozzi e non volle uscir fuori. La direzione chiese l'intervento della forza pubblica, che si calò anch'essa in miniera, e, diretta dal dott. Riccardi, attuo (così si espressero allora certi giornali) la « brillante operazione » di arrestare gli operai sotto la imputazione di « violazione di domicilio ». Il Riccardi volle che gli operai uscissero dai pozzi ammanettati, « per dare l'esempio ».
La situazione sindacale dimostra una netta prevalenza della CGIL, che peraltro regredì un poco dopo la lotta dei cinque mesi. Assai scarsa la forza della CISL, assente addirittura in alcune miniere; più consistente quella della UIL.
Nelle ultime elezioni per la commissione interna, avvenute nel '52, la situazione era la seguente, nelle principali miniere:
Gavorr[...]

[...]gli incidenti. A Gavorrano si sono avuti quattro morti nel 1953: si tratta degli operai Emilio Signori, Francesco Grippa, Antonio Anedda e Gino Malossi. In questo primo trimestre del '54 son morti gli operai Giacomo Petrocchi e Carlo Bartolini. Nel caso di quest'ultimo la società ha dichiarato che la morte è avvenuta per paralisi cardiaca, e quindi al di fuori della sua responsabilità. Ma il fatto é che il Bartolini era gravemente affetto da silicosi : impegnato in un lavoro pesante, con aria impura, é stato preso da uno svenimento, durante il quale é sopraggiunta la paralisi. Se nelle miniere di lignite c'é il rischio professionale dei reumatismi e degli scoppi di grisou, in quelle di pirite la silicosi é, per i minatori, praticamente inevitabile. La silicosi é la conseguenza del lavoro sulla piastra, cioè sugli strati silicei che separano i filoni del minerale. Sotto l'azione dei perforatori si leva una gran polvere di silicio che, respirata, attacca i polmoni dei minatori provocando traumi, e preparando il terreno alla tbc. Una percentuale del 25 per cento, fra i ricoverati nel sanatorio di Grosseto, é costituita da minatori.
Anche a Ribolla gli incidenti vanno aumentando, ed il medico della società li attribuisce ad una causa più psicologica che tecnica. In realtà i rapporti delle C. I. e delle organizzazioni sindacali han spesso denunciato co[...]

[...]clusioni definitive. Nd frattempo, crediamo opportuno pubblicare tre documenti, a nostro giudizio impressionanti, perché rivelano coane tra le maestranze fosse diffuso id timore di quello che poi purtroppo é accaduto.
>I documenti sono:
1) una lettera del Sindacato Minatori aderente alla COIL, al Distretto Minerario di Grosseto. In questa lettera si (prospettano i periteli derivanti dai metodi dei conduzione della miniera, e in particolare dal cosiddetto metodo dei franamenti del tetto;
2) la risposta, di tono complessivamente tranquillante, del Distretto Minerario di Grosseto;
3) una seconda lettera del Sindacato Minatori, ohe si dichiara insoddisfatto dei chiarimenti forniti e ribadisce il proprio punto di vista sullo stato di pericolo esistente nella miniera di Ribolla.
RIBOLLA Ribalta, 781953
All'Ispettorato del Lavoro Roma Al Distretto Minerario Grosseto Al Signor Prefetto Grosseto All'Ufficio del Lavoro . Grosseto Alla Direzione Soc. Montecatini Alla Camera del Lavoro Grosseto Alla C. I. S. L. Grosseto
Alla U. I. L. Gro[...]

[...] si è presentato in alcuni cantieri nelle zone vecchie di coltivazione (es. zona di coltivazione dell massiccio di protezione .del pozzo n. 7 e zone contigue) ove cantieri del tipo nuovo a fondo cieco si sono inseriti fra la zona di coltivazione ripiena per lo spoglio dei pilastri, sparirà nel prossimo futuro nedle zone nuove.
Infatti per es. sono stati creati con ventilazione indipendente i cantieri 71, 72, 73, 74, della zona del divello 225 e così, nasceranno gli altri cantieri, salvo qualche eventuale difficoltà per ora non prevedibile.
È doveroso far rilevare che i tracciamenti per la ventilazione indipendente sono stati iniziati mesi prima che fosse stata segnalata la presunta infrazione.
Incendi. — Il carbone di Ribolla, ricco di materie volatili e con presenza di pirite sotto forma di sottili placcature, è facilmente incendiabile e la situazione (già pesante da questo punto di vista) minaccia di diventare ancora peggiore nel prossimo futuro perché nella parte sud del giacimento, dove si indirizzano i nuovi lavori, la lignite è p[...]

[...]he la produzione mende si mantiene costante. Il materiale di cantiere viene parzialmente ricuperato prima della chiusura (per quel che è possibile senza compromettere la sicurezza e senza fare perdere tempo the favorirebbe l'estendersi del fuoco) e per il resto viene recuperato alla ripresa. Anche per questo argomento è doveroso fare osservare che gli incendi e la chiusura di cantieri sono un malcomune alle miniere di carbone di tutto il mondo e così sono frequenti le perdite di quantitativi ingenti di carbone. In Francia, per esempio, nel 1951, sono state compromesse nella chiusura di cantieri incendiati tonnellate 207.050 di carbone (si cita l'ultimo dato reperibile nelle statistiche). Dinanzi a questa cifra e pur considerando che una parte di detto tonnellaggio sarà probabilmente stata recuperata in seguito si riduce alle sue reali modeste proporzioni ill tonnellaggio perduto a Ribolla, quantitativo che corrisponde alla produzione di due soli giorni delllla miniera.
Smobilitazione delle miniere. — Alla fine dell'ultima guerra mondiale[...]

[...]r esempio al livello 225 del pozzo Raffo, diramato in due gallerie dove una di queste si alimenta di aria naturale proveniente dalia rimonta staccata al' livello 260, ove in cima è situato ill cantiere dellla compagnia 21. Pertanto, solo questo ha l'aria indipendente, mentre le compagnie 20,25 e 59 bis, situate nella stessa zona, devono prendere il riflusso e cioè la 20 quello della 21, la 25 quello della 20 e 21, la 59 quello dalia 25,20 e 21 e così dicasi per le compagnie 71727374 situate nella stessa zona e, citate come esempio nel documento.
Analoga situazione esiste in diversi altri cantieri della miniera e questo non comporta solo il forte disagio ai lavoratori ma se, come è possibile, dovesse verificarsi uno scoppio di grisou in uno di questi cantieri per il collegamento d'aria come sopra decritto, ila esplosione si propagherebbe a tutti gli altri, con l'inevitabile morte degli operai che vi lavorano.
In riferimento poi all'art. 28 della (legge idi polizia mineraria 1907 n. 152, messo in risaltò nel documento, per la frase conte[...]

[...]parte della Direzione, davanti al tubo della ventola, senza tener conto che l'operaio per svolgere il proprio lavoro é costretto a percorrere tutto ii cantiere; malgrado però questi metodi di misurazione, la temperatura supera, quasi nella totalità dei cantieri, i 36 gradi.
Infatti, al pozzo Camorra si hanno: 38 gradi e / nella compagnia 10, 36 gradi e / nella compagnia 13, 36 gradi e / nella compagnia 12, 37 gradi e % nella compagnia 15 ecc... così si pub dire di altri cantieri della miniera.
Il'
fatto che .il contratto di lavoro e geli accordi sindacali aziendali stabiliscono i1 pagamento dell'indennità di temperatura fino a 37 gradi, non preclude che siano presi i dovuti provvedimenti per eliminarla o contenerla, eliminando in primo luogo i fondi ciechi, per il bene e la salute delle maestranze.
Preparazioni. — Basta considerare il numero di operai addetti alle grandi preparazioni per rendersi conto di come vengono eseguite. I tracciamenti accennati nel documento non rientrano nelle grandi preparazioni di nuovi cantieri, che solo p[...]

[...]0 al mese, con un aumento del 42,8 % rispetto al 1951; 2.400 infortuni leggeri sono avvenuti nello stesso anno a Ribolla, pari a 500 al mese con un aumento del 33,33 % rispetto al 1951; l'infortunio mortale del Brizzigatti Giovanni, avvenuto nel Gennaio c. a. si sarebbe evitato se il tronco di galleria inoperoso dalla parte opposta al pozzo fosse stato sbarrato come prescrive l'art. 13
34 LUCIANO BIANCIARDI CARLO CASSOLA
parte II della legge. Così l'infortunio grave dell'operaio Corbelli Gennaro, se si fossero presi i dovuti provvedimenti come prescrive l'art. 14 parte II della stessa legge.
Altrettanto dicasi per d'infortunio di Pallini Giovanni e Bianciardi Aroldo se fossero stati applicati gill articoli 27 e 28 della suddetta legge. Così poteva essere eliminato l'ultimo infortunio mortale se ci fosse stato sud posto e nella galleria adiacente il legname occorrente per riparare la frana, in base all'art. 14 della legge stessa.
Conclusione. — Quanto esposto dimostra:
1) ehe id giacimento di lignite di proprietà statale non viene razionalmente coltivato come potrebbe essere e che le leggi di prevenzione e di sicurezza non vengono rispettate.
II) che codesto Distretto Minerario non è sufficientemente informato, come dovrebbe essere, sulla reale situazione della miniera di Ribolla e quindi non è in grado di assolvere ai propri[...]

[...]lvere ai propri compiti, non sappiamo se per insufficienza di personale o per altri motivi.
I!II) che l'attuale sistema di coltivazione danneggia il giacimento e mette in pericolo la sicurezza dei lavoratori e ehe tale sistema non si giustifica con la necessità di aumentare il rendimento poiché i dati di fatto su esposti dilmostrano inequivocabilmente che quando il sistema di coltivazione era a ripiena, si aveva una maggiore produzione.
Stando così le cose, a nostro avviso, debbono essere attuati immediati provvedimenti, quali: la revisione del sistema di coltivazione, l'applicazione delle norme di sicurezza, l'apertura di nuovi cantieri e l'ampliamento delle preparazioni per poter assicurare, date le possibilità e l'utilità pubblica, la vita e lo sviluppo della miniera di Ribolla.
Saremmo lieti se a tali provvedimenti si arrivasse dopo una discussione con le organizzazioni dei lavoratori, i dirigenti dell'azienda e rappresentanti degli Uffici Governativi.
Distinti saluti.
p/la Segreteria BEn's DUILIO



da Vittorio Lanternari, Discorso sul messianismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: DISCORSO SUL MESSIANISMO
La tradizione occidentale d'origine giudaicocristiana ha così profondamente e univocamente improntato il nostro corredo di idee circa i fenomeni religiosi, che può facilmente sembrare improprio — se non irriverente — parlare di messianismo in un senso che di proposito trascende il filone religioso giudaicocristiano. Recentemente uno studioso cattolico mi faceva osservare che il termine « messianismo » non può legittimamente applicarsi a fenomeni religiosi che non siano in qualche modo legati all'ambiente culturale originario da cui il termine stesso (cc messia », dall'ebraico máshiah = « l'unto » (di Dio), ossia « l'eletto ») trae la sua vera radice eti[...]

[...]i faceva osservare che il termine « messianismo » non può legittimamente applicarsi a fenomeni religiosi che non siano in qualche modo legati all'ambiente culturale originario da cui il termine stesso (cc messia », dall'ebraico máshiah = « l'unto » (di Dio), ossia « l'eletto ») trae la sua vera radice etimologica. In proposito, c'è da osservare anzitutto che lo stesso termine ebraico aveva originariamente un significato talmente generico e — per così dire — extramessianico (nel senso cristiano), che con esso indicavasi ugualmente un sommo sacerdote, un monarca israelita, in quanto cerimonialmente investiti di un'alta dignità, o perfino un alienigena pagano come il persiano Ciro, liberatore degli Ebrei deportati in Babilonia. Vero è che il termine poteva anche applicarsi a quel personaggio annunciato ed atteso per un tempo futuro dal ceppo d'Israele, da cui, secondo numerosi passi profetici, sarebbe stato determinato l'avvento dell'epoca aurea, apportatrice di libertà, pace, concordia, giustizia. Ma soltanto per effetto della successiva tr[...]

[...]a storia, avendo mutato nel tempo la portata della propria accezione, da un significato generico ad uno ristretto e individuale. L'identificazione messiaGesù è sancita in Occidente da una tradizione bimillenaria;
14 vITTORIo LA_NTERNARI
ma non pare ora scientificamente illegittimo — anche alla luce della storia stessa del termine — riestendere il significato di questo ultimo, almeno dal punto di vista di una storia comparativa delle religioni, così da abbracciare una serie ben ampia di manifestazioni corrispondenti: salvo l'obbligo — ben s'intende — di ravvisare, al di là delle analogie, anche le differenze concrete fra i vari tipi di manifestazioni «messianiche ». Del resto, lo stesso complesso messianico germogliato in ambiente giudaico e riconfermato in ambiente cristiano, con la figura di un futuro salvatore, non nasce dal nulla, né é frutto d'improvvisa, miracolosa intuizione ad opera di questo o quel profeta: esso bensì rivela radici profonde e lontane, che affondano certamente fino allo strato mosaico, e assai presumibilmente piú[...]

[...]o scenderà un di sulla terra per ripristinare il regno del bene (2). Come si vede, l'attesa di un ente sovrannaturale che dovrà venire o tornare, a coronamento di un intero ciclo di esistenza degli uomini, per aprire un'era nuova liberatrice, é comune ad altre religioni fuori del filone giudaicocristianoislamico. In tutti i casi é interessante notare fin d'ora che l'attesa messianica viene promossa nell'ambito di movimenti religiosi di salvezza, così come Zoroastrismo, Buddismo, Mosaismo, Profetismo ebraico dell'esilio, Cristianesimo: e che tali movimenti sorsero a volta a volta in ottemperanza di bisogni reali di rinnovamento e catarsi, per effetto di uno stato di oppressione, angoscia, conflitto a livello collettivo e sociale (3).
Ma converrà meglio, per avvicinarci al problema di fondo, chiederci ancora: quali sono le forme concrete, fuori dalle « grandi religioni storiche », in cui si manifesta un corrispondente, o almeno embrionale atteggiamento messianico; e ancora: su quale terreno culturalesociale il messianismo alligna in misura[...]

[...]ofetico. Si pensi in proposito al movimento del profeta Nörane (Tukuna) in cui il fondatore trasse il primo impulso alla propria missione profetica dalla visione di Dyei, eroe culturale che gli prescrisse le norme del nuovo culto. Si pensi al Peiotismo, e all'esperienza visionaria di John Rave come è descritta dal Radin. Rave oniricamente si identificò con l'eroe culturale Hare, e sperimentò su di sé, in visione, la morte per opera del serpente, così come il mito narrava di Hare, inghiottito dal serpente. Ora il serpente divorava John Rave (9).
Dunque, nei movimenti sincretistici ii mito dell'eroe culturale si rinnova caso per caso in guise variabili: l'eroe fondatore ritorna fra gli uomini come rinnovatore del mondo (= messia, salvatore); ovvero sono gli uomini che si danno a perseguire le tracce dell'eroe culturale migrando verso il suo mitico paese_ ; infine l'eroe culturale rivive nella visione ispirata del profeta.
È stato detto da alcuni (Bastide) che la mitologia dell'eroe
(7) Sui miti di Nanabhozo, cfr. Handbook of American Ind[...]

[...]l mito originario. Come si vede, c'è una libertà infinita nelle possibilità creative della storia religiosa. Un altro mito messianico é riportato dal P. Loupias dal Ruanda. L'eroe culturale dei Watutzi, Mutabazi, scese in terra — secondo il mito —, per preghiera degli uomini, come ambasciatore dell'essere supremo Imana; e portò agli uomini ogni sorta di beni. Ma gli uomini a un certo punto gli si rivoltarono contro e lo inchiodarono a un albero, così ch'egli mori. Fin qui il mito presenta riconoscibili influenze cristiane. Allorquando le sventure piombano sul paese — continua subito dopo il mito suddetto —, lo spirito
(10) R. BASTIDE, Le monde non chretien, 1950, 15, pp. 3018.
(11) H. A. STAYT, The Batienda, London, 1931, p. 13.
20 VITTORIO LANTERNARI
di Mutabazi viene ad abitare nel corpo di uno dei figli del re, che diviene così Mutabazi, e il paese é liberato dalle calamità (12). Quest'ultimo elemento del mito rivela una radice locale e precristiana.
Un altro esempio di eroe culturale del quale il mito originario annunciava il ritorno é Nanabhozo (= Manabhozo). Di lui, il mito dice che dopo compiute le innumerevoli gesta con cui salvò l'umanità da mostri, finita la sua opera di demiurgo e superate infinite peripezie, si ritirò su un isolotto di ghiaccio, nel mare settentrionale. Ivi egli avrebbe dovuto permanere, senza porre piede di nuovo in terra: quando egli fosse tornato fra gli uomini, una repentina conflagraz[...]

[...]frica, all'impero incaico, alla monarchia, all'impero dei Mongoli, alla stessa Sion). In tutti i casi si hanno altrettante riplasmazioni religiose spontanee sia del mito sia della storia, in funzione di esigenze di rinnovamento.
Infatti il passaggio dalla storia al mito, presso le civiltà a livello etnologico è impercettibile e pressoché continuo. Né solamente la storia remota è soggetta al processo di mitizzazione; bensì anche quella presente. Così avviene che attuali figure di profeti e fondatori diventano protagonisti di un'attesa millenaristica: si attende ch'essi ritornino in terra, apportatori dell'ambita salvezza, redentori dei mali. Tale è il caso di André Matsua, capo rivoluzionario congolese: il quale precisamente dopo che fu morto divenne esponente mitico di una millenaristica attesa. E' anche il caso dell'eroe nazionale dell'indipendenza di Haiti, Macandal: il cui spirito secondo le credenze popolari si sarebbe salvato dalle fiamme del rogo sul quale venne arso vivo. Nei movimenti profetici giavanesi si attendeva messianicame[...]

[...]igione popolare brasiliana moderna si ha il caso del profeta Joao Maria e di Padre Cicero: di costoro, i quali fondarono i movimenti profetici già menzionati, si attende tuttora vivamente il ritorno: essi ripristineranno il regno di pace e giustizia. Anche il grande filone dei movimenti mahdisti, in Africa ed Asia, esprime con periodicità ricorrente l'identica attesa di un ripristino di condizioni più antiche. In generale, lo stesso Cristo Negro così diffuso nelle religioni profetiche dell'Africa nera, rappresenta la reincarnazione messianica, proiettata in futuro,
(29) Op. cit., Cap. VI.
DISCORSO SUL MESSIANISMO 29
di altrettante, attuali figure di profeti nativi, dei quali si attende dunque il ritorno come liberatori. Alla morte di Isaiah Shembe, fondatore del movimento Sionista sudafricano, si diffuse l'opinione che sarebbe risorto (30). Altro caso è quello di Kanakuk, profeta dei Kikapu. Quando egli mori (1852) per una epidemia di vaiolo, si diffuse la voce che sarebbe risorto; ed alcuni seguaci in fidente attesa ne vegliarono il c[...]

[...]da un presente insostenibile. Il fatto si è che l'esperienza religiosa tende per sua
natura tanto più nelle società aventi scarsa organizzazione sa
cerdotale —, a uscire dalla dimensione della storicità e dal piano dell'iniziativa civile. Nella coscienza collettiva si attende dunque una scadenza immediata che urge alle porte, ma insieme — e contraddittoriamente — lontana e, per la sua stessa radicalità sconvolgente, sperimentata come paurosa.
Così, nel passato dei primordi e nel futuro escatologico, risulta mitizzata l'evasione da un presente penoso. E in tali forme mitiche si esprime un programma religioso di riordinamento del mondo secondo principi soddisfacenti.
In effetti, il programma dei movimenti profetici è sempre un programma rivoluzionario, rinnovatore e riformatore: insomma un programma anticosmico, o volto contro l'ordine stabilito. Ma esso non esprime un bisogno puramente mistico, n6 una semplice nostalgia di epoche mitiche e di condizioni trascorse (33). V'è una dinamica storica, nei movimenti profetici, che non va dimen[...]

[...]iò che più conta nei movimenti profetici, al di là e contro il loro conservatorismo apparente, é l'avvio, che in essi si pone, al rinnovamento della vita religiosa, ed anche culturale, socia
(33) Mircea Eliade, il grande storico delle religioni, è fautore di un'interpretazione del tutto misticheggiante e conservatrice, di tali movimenti religiosi. Secondo l'E. la reintegrazione dello stato paradisiaco, che si esprime nei movimenti messianici (e così pure ugualmente nelle cerimonie religiose tradizionali, feste di Capodanno, Iniziazioni) ha un senso ed una funzione assolutamene autonoma; anzi essa darebbe senso all'intera storia, anche politica, delle civiltà religiose. Nei culti messianici, l'uomo agirebbe, secondo l'E., conformemente a un bisogno interiore di coerenza rispetto al cosmo, e non sotto la stretta di prementi esigenze esistenziali (M. ELIADE, Dimensions religieuses du renouvellement cosmique, Eranos Jahbuch 1960, pp. 2745). L'E., come sempre, separa la vita religiosa dalle distinte esperienze storiche ed esistenziali che ad [...]

[...]un nucleo religioso embrionalmente già vivo nel « paganesimo », cioè a miti e riti di attesa di salvezza (34). Infatti, al di là delle peculiarità legate ai differenti contesti storici e culturali da cui sorge ciascun movimento, in tutti può riconoscersi un nucleo genetico, comune ad essi anche nelle religioni più arretrate. In tal senso esiste a nostro avviso, e conviene sia qui ribadita, una ininterrotta continuità di sviluppo fra le religioni cosiddette primitive e le grandi religioni storiche, compreso il Cristianesimo: talché ad un attento e spregiudicato esame, in queste ultime possono riconoscersi ï vari complessi mitici e rituali di origine antica, ripresi, rielaborati e trasformati via via in rapporta ai diversi sviluppi storicoculturali, e alle differenti, sempre rinnovate esigenze culturali e religiose.
In realtà, se si ripensa all'obiezione mossa dallo studioso cattolico di cui sopra dicevasi, contro il tentativo da noi operato di unificare — in senso fenomenologico e comparativo — sotto un comune denominatore « messianico » [...]

[...]ve essere il primo passo verso la storia, un fenomeno storicoreligioso dato per unico autentico, assolutamente valido, prodotto di una vera, obiettiva rivelazione (per es. il messianismo giudaicocristiano), con fenomeni storicoreligiosi ritenuti assolutamente (e non solo storicamente) altri da esso, prodotti da ispirazioni soggettive, episodiche, inautentiche (35).
Ora, in sede prettamente storica risulta per noi inconsistente il problema della cosiddetta autenticitá o meno di un'ispirazione religiosa. Invece il problema essenziale consiste nell'individuare, comparando fra loro innumerevoli movimenti dotati d'un comune aspetto messianico, le origini sociali, culturali, storiche dei mo
(35) Tale « diversità fra un messianismo autentico e altri movimenti a carattere solo tendenzialmente messianico » (« Verschiedenheit zwischen echtem Messianismus und allen jenen anderen Bewegungen, die nur tendenziell messianisch sind ») è sancita in G. GUARIGLIA, op. cit., pp. 26, 33. Iyi si assume, come elemento essenziale dei movimenti « propriamente m[...]

[...]he, e infine monoteistiche: ma tali differenze debbono riportarsi non ad « alterità » congenita dei « veri » o « inautentici » messianismi: sebbene al differente sviluppo religioso e culturale, in genere, delle varie civiltà.
Quanto poi alla « storicità » della persona del messia (il G. ritiene che il messia debba essere una persona « storica », ib., p. 26), si è già detto come storia e mito s'intreccino continuamente nei movimenti di salvezza, cosicché personaggi mitici vengono pensati e attesi come coloro che discenderanno « storicamente », cioè attualmente, fra gli uomini, e viceversa personaggi storici vengono mitizzati come persone che risusciteranno e apporteranno l'atteso paradiso.
34 VITTORIO LANTERNARI
vimenti messianici stessi: sia che in essi si annunci un ritorno di anonimi morti, o di un eroe culturale, o altro ancora, o infine di una figura d'uomo divino. Un secondo problema sarà di distinguere, secondo uno sviluppo storico progressivo, i differenti livelli del messianismo, in rapporto alle differenziate fasi culturali in[...]

[...]essianico» è in generale un movimento collettivo di fuga dal presente, di attesa di salvezza, promosso ad opera di un profetafondatore, in seguito ad ispirazione misticoestatica: movimento che vuol dare inizio a un rinnovamento del mondo, attuabile in prospettiva escatologica come ritorno ad un'epoca primigenia, paradisiaca. In realtà altrettante ispirazioni misticoestatiche sono caratteristiche di tutti i profeti fondatori, a livello etnologico così come nelle grandi religioni storiche: da Kimbangu a Wowoka, John Wilson, Handsome Lake, TeUa ecc. ecc. Si tratta di esperienze fondamentali, fondate volta a volta su una o piú visioni, transe o « sogni » che dir si voglia. Su un piano fenomenologico, esse equivalgono in tutto e per tutto a fenomeni per noi piú familiari, quali l'« illuminazione » del Budda, l'« apocalisse » di San Giovanni, la « rivelazione » di Mosè o Gesù.
Per quanto riguarda lo sviluppo storico del messianismo, esso si adegua del tutto al differente grado di sviluppo sociale e culturale delle comunità portatrici. Presso c[...]

[...]uale di una cultura autocosciente e in declino, posta di fronte al problema dell'esistenza: e sanciva una via di salvezza ormai trascendentale.
Tali in sintesi gli sviluppi storici concreti del messianismo, dai suoi germi embrionali nelle religioni a livello etnologico, fino alle manifestazioni più avanzate e complesse. Ma qui importa anche rispondere all'altra domanda già postaci: su quale terreno storicosocialeculturale il messianismo alligna così da dar luogo a nuovi, autentici movimenti di salvezza? Si pub affermare, sulla base di una documentazione amplissima, che l'annuncio di un c salvatore » imminente, o di un complesso di enti ed eventi attesi come apportatori di bene, accompagna e segue altrettante situazioni di alta tensione, crisi, precarietà esistenziale. Tali situazioni sono dovute via via ad eventi calamitosi come detribalizzazione, occupazione di terre, deculturazione (da parte dei bianchi), deportazioni e catastrofi collettive, a conflitti contro istituzioni o gruppi oppressivi da parte di gruppi subordinati, ad esigenze[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Così, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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