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Il segmento testuale Come è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 522Analitici , di cui in selezione 21 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Dacia Maraini, La mia storia tornava sotto l'albero carrubo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]
Da diversi giorni udivo la stessa frase da Ulisse, « cara calmati, calmati, calmati cara, cara malati calmanti calati », non so più. Potevo prevedere già, quando lo vedevo, che avrebbe fatto saltare quella corda e non un'altra; ma ho avuto modo di notare che Ulisse mi considerava piuttosto lenta di riflessi, per non dir imbecille. E vero che gli ho chiesto più volte di ripetere quando ha detto « calmati » perché non afferravo il senso; ma non é come lui pensava, che io non capissi il significato materiale delle parole, quello non mi preoccupava, solo il significato particolare che ogni persona dà alle parole che pronuncia, questo mi appassionava e perciò più volte lasciavo passare degli interi minuti prima di rispondere ad una domanda; soprattutto se posta da Ulisse, perché io vivevo con lui ed ho avuto agio di notare quanto egli mutasse il significato originale delle parole. Così quando mi disse t calmati », la prima volta, credo di essermi concentrata molto sulla parola, sia per ché era rivolta direttamente a me, sia perché cercavo d'i[...]

[...] Ulisse detestava il disordine, ma realmente non mi venne in mente di smettere, così credo, continuai per un pezzo finché non ci fu più un goccio d'acqua nella brocca, solo allora mi accorsi che stavo ancora stringendo il manico di vetro verde e allentai la stretta. Ulisse urlava, ma anche volendo, non posso ricordare cosa dicesse perché stavo ancora meditando sulle due parole che avevo già sentito la mattina del giorno prima, le quali suonavano come t calmati cara »
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o e cara calmati », non importa. Credo che mi avrebbe anche picchiata, ma si trattenne; non era una sorpresa per me perché' tante volte aveva afferrato la prima cosa che gli capitasse sotto mano per tirarmela, però non l'aveva mai fatto; si tratteneva all'ultimo momento. Ma non potevo evitare ai miei nervi di scattare, lo sapevo, non potevo frenare la scos. sa delle mie spalle e lo sbattere delle palpebre. Ora che ci penso forse era proprio questo movimento delle mie spalle a fermarlo; é la prima volta che ci penso, ma in verità i fatti si collegano bene; [...]

[...]a quasi sembrare che dormissi; ma non passava un'ora che aprivo gli occhi per accertarmi che non fosse trascorso troppo tempo, non che avessi niente dà fare, ma ecco che ero sveglia e sapevo di non avere dormito perché non provavo alcun sollievo alla mia stanchezza.
Fissai la gamba di Ulisse e decisi di dormire; ma ecco: mi venne in mente la mamma. Non capisco perché dovessi ricordare la mamma proprio in quel momento, ma non potei evitarlo. Era come se lei piagnucolasse là nella sua sedia a sdraio; mi misi ad ascoltarla tanto per curiosità, ma dopo poco mi distrassi perché la mamma non aveva cambiato in nulla le sue parole ed i suoi lamenti, sempre quelli da quando la ricordavo. Credo che ce l'avesse con me, come al solito, e con il proprio corpo che non faceva che cresere e gonfiarsi. Ulisse, lui, era fuori discussione, tanto andava bene qualunque cosa facesse. Era mancina la mam
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ma, l'unico schiaffo che ricevetti da lei nella sua vita, me lo diede con la mano sinistra; ma questo accadeva quando poteva ancora camminare per la casa e piegarsi su di me sebbene fosse già grassa da far paura.
Diceva che io la volevo morta, e che era tutta colpa mia se era diventata così grassa. Lo diceva ogni volta che poteva, ma Ulisse non l'ascoltava. Del resto Ulisse[...]

[...] casa; credo che la mamma fosse addolorata soprattutto di non vederlo mai, ma non lo rimproverava perché era lui che guadagnava, Ulisse non faceva che ripeterlo e non voleva essere scocciato.
Infine la mamma disse che se ne andassero tutti al diavolo, e marl senza cadere dalla sua sedia a sdraio.
Pensai che aveva smesso di lamentarsi: ma ecco che fissando la gamba di mio fratello, l'udii che ricominciava a piagnucolare sulla sua sedia a sdraio come se non si fosse mai mossa da li: mi aspettavo che chiedesse di essere aiutata a mettersi a letto.
La gamba di Ulisse era vestita di un panno grigio a righe bianche e sottili, alquanto distanti l'una dall'altra. Pensai che in quel momento avrei potuto addormentarmi, il mio respiro si andava appesantendo, notai che il sapore che avevo in bocca era esattamente lo stesso di quello che potevo sentire la notte, quando mi svegliavo, come di saliva vecchia e di chiuso. Pensai che non avevo altro da fare che aspettare; un poco alla volta avrei dormito veramente.
La mamma cominciò a lamentarsi non so dove, nella casa: ecco questo era strano, che la mamma non fosse sprofondata nella sua sedia a sdraio, come aveva fatto ad alzarsi da sola? Aprii gli occhi per curiosità, e capii che avevo inventato ogni cosa per non dormire: la mamma era morta.
Come se Ulisse non l'avesse detto e ripetuto più volte: « Ora che la mamma é morta... »; ma io non gli credevo perché avevo notato che spesso si divertiva a confondermi le idee. Così quando non sapevo distinguere la finzione dalla realtà, preferivo non credergli liberandomi in tal modo dalle sue parole che altrimenti mi avrebbero ossessionato per giorni e giorni. Bé ora mi aspettavo che dicesse un po' sempre e cara calmati o calmati cara », e non stavo più tranquilla perché ancora non capivo che diavolo intendesse dire con quelle parole.
Lo vidi pigliare il giornale e tenerlo piegato fra le mani,[...]

[...]a confondermi le idee. Così quando non sapevo distinguere la finzione dalla realtà, preferivo non credergli liberandomi in tal modo dalle sue parole che altrimenti mi avrebbero ossessionato per giorni e giorni. Bé ora mi aspettavo che dicesse un po' sempre e cara calmati o calmati cara », e non stavo più tranquilla perché ancora non capivo che diavolo intendesse dire con quelle parole.
Lo vidi pigliare il giornale e tenerlo piegato fra le mani, come una tazza di the caldo, senza spostare le mani né in su né in giù, quasi avesse temuto di versare il liquido sui pantaloni. Quando apri il giornale per leggerlo mi ero già stancata di guardarlo e voltai la testa verso il muro.
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Mi fermai al foro di un chiodo che probabilmente Ulisse aveva piantato per appendere una fotografia o un quadro, che so io; adesso era rimasto il foro nel centro del muro, e due metri da terra, o forse poco piú. Il chiodo sarà caduto per il peso eccessivo del quadro, pensai; ecco che avevo indovinato che era un quadro. I quadri hanno sempre una corni[...]

[...]dro, con ogni probabilità aveva avuto la cornice d'oro. I quadri, quei pochi che conoscevo io, raffiguravano la madonna o il pastore in montagna, anzi avevo visto più pastori nelle montagne che madonne.
Il quadro rappresentava dunque certamente un pastore visto di spalle, non ricordo di avere mai visto un pastore ritratto di faccia, e questo pastore era intento a guardare il sole, oltre naturalmente a badare alle sue pecore. Il sole può esserci come no; in genere riempie quel triangolo in alto sul quadro, là dove all'orizzonte le colline si confondono con il cielo. Avevo già appeso con il pensiero il quadro al suo chiodo quando mi venne in mente che qualcuno, per esempio la mamma, poteva averlo staccato volontariamente dal muro, avendo bisogno del chiodo come di uno stuzzicadenti, per esempio, o di una punta per pulirsi le unghie.
Non che m'importasse molto, anzi le cose come i fori mi stancavano e non mi davano alcuna soddisfazione; aspettavo che Ulisse uscisse per girare tranquillamente da una stanza all'altra, come facevo di solito.
Ciò che amavo nella casa erano i libri, ciò che non amavo gli specchi, non perché mi ricordassero me stessa, non m'importava gran ché, ma perché dopo tanti anni non sapevo ancora prevederli e quando mi imbattevo in uno di essi facevo un salto all'indietro. Mi prendeva alla sprovvi_ sta, ecco tutto, specie se la stanza non era illuminata, allora potevo anche spaventarmi di gridare e poi dovevo inghiottire un'intera bottiglia di sciroppo per calmarmi.
Gli specchi no, ma i libri, ecco i libri erano la mia compagnia; alle volte qualcosa di più alle volte qualcosa di meno della[...]

[...] smise più finché mori seduta nella sua sedia a sdraio. Se si può dire che "la mamma stesse seduta; che io ricordi non si piegava mai né indietro né in avanti, era tutta curva e protesa lontano da quelle che dovevano essere le sue ossa,
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ammesso che la mamma avesse delle ossa. Ë lei che me l'ha detto, anzi ricordo che lo ripeteva sempre. Fra gli altri lamenti accennava al fatto dell'insegnamento, come se smaniasse per la voglia di tornare a fare la maestra. Lei non permetteva che io toccassi i suoi libri, questo no; disse che prima di morire li avrebbe gettati tutti nel fuoco pur di non lasciarli a me, ma poi non ne fece nulla perché le sarebbe costata troppa fatica, ed io non l'avrei aiutata, no di certo, a bruciare i suoi libri.
Sapevo di potere contare sulla generosità di Ulisse: infatti lasciò che io prendessi i libri appena mori la mamma, perché, disse, non sapeva che farsene. Io li contai, prima di tutto, e constatai che erano dodici, non uno di più non uno di meno, di cui cinque ne[...]

[...]molto importante, perché i libri io capivo lo stesso e quasi li conoscevo a memoria. Soprattutto quando osservai che Ulisse non leggeva mai un libro, capii che non doveva essere molto importante saperlo fare oppure no. Per i giornali si; ecco, credo proprio che per leggere i giornali bisogna sapere leggere, perché io non li capivo e Ulisse si.
Una volta riuscii a decifrare l'intera facciata di un giornale credo dicesse qualcosa, se ben ricordo, come tienilo forte per la coda, se davvero credi in lui; parlo del diavolo, s'intende. Per il resto mi bastava sentire i commenti che Ulisse faceva ad alta voce quando alzava gli occhi dal giornale, per capire che erano tutte cose che mi potevano interessare poco.
Ulisse diceva ad ogni occasione « cara calmati », o « calmati cara »; non so dove avesse pescato questa frase. Aspettavo che smettesse così come era cominciata, ormai non mi faceva più né caldo né freddo, solo che come tutte le cose ripetute era diventata un po' noiosa.
Del resto Ulisse si ripeteva anche la natte, quando miagolava con la sua donna; ero costretta a sentirli per via del muro che è sottile fra la mia stanza e la sua. Alle volte Ulisse ruggiva come se avesse scoperto sapore di carote sul collo della sua donna e volesse mangiarla, addentando la carne; alle volte piagnucolava sotto voce come un topo preso in trappola con la pancia piena di formaggio dolce. Oppure stavano zitti tutti e due, allora tentavo di dormire, ma ecco che si mettevano a ridere con tutte e due le bocche spalancate e il loro ridere era simile ad un urlo di bestie.
Per fortuna questo succedeva solo poche volte al mese, le altre notti sentivo il russare di Ulisse, ma a quello era abituata e non mi dava più
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fastidio: era un rumore monotono come il graffiare di un cane dietro la porta o l'acqua che passa a scatti attraverso il tubo di scarico.
Che Ulisse russasse non mi dava noia, era il rumore di sirena e di acqua che faceva la sua donna a non farmi dormire. Tanto che finivo per andare a prendere un libro in uno dei tanti nascondigli e lo portavo con me nel letto. Prendevo un libro colorato in questi casi perché lo preferivo, juesto l'ho già detto; inoltre i libri colorati si vedono meglio quando c'è poca luce e gli occhi sono velati per il sonno.
Questo mi ricorda quella volta che diventai completamente cieca e feci cadere tutto [...]

[...] juesto l'ho già detto; inoltre i libri colorati si vedono meglio quando c'è poca luce e gli occhi sono velati per il sonno.
Questo mi ricorda quella volta che diventai completamente cieca e feci cadere tutto ciò che avevo fra le braccia; posso ricordare il rumore che fecero quei cartocci spaccandosi in terra, con le uova per la mamma e le patate e le cipolle. Mi proposi di raccogliere quella roba, ma non ci vedevo più e questo mi impensieriva, come se mi fossi infilate le dita negli occhi, o forse lo feci. Ma è certo che non vedevo più e cosí sedetti per aspettare di vedere ancora. Qualcuno chiamò Ulisse o fece qualcosa di simile perché quando ci vidi di nuovo mi trovai a casa con la pezza bagnata sulla fronte; la mamma disse qualcosa che continuò a ripetere a lungo, sulle uova e la verdura.
Aspettavo dunque che Ulisse uscisse per mettermi a girare da una stanza all'altra. Dovevo cambiare di posto ai miei libri; alcuni non avevano più la copertina, ma vorrei proprio sapere se la mancanza di una pagina su trecento, e per giunta quella c[...]

[...]ella che non ha numero, possa avere alcuna importanza oppure no. Io avevo progettato una cosa geniale, cioè di riunire tutte le copertine dei dodici libri, perché le copertine non hanno numero e quindi che ci siano o no, non ha alcuna importanza, e di fare così un tredicesimo libro. Avrei arricchito la mia biblioteca; era un'idea che mi piaceva molto e studiavo il modo di metterla in atto un giorno o l'altro; perché la cosa non era così semplice come sembra. Innanzi tutto le copertine sono fatte di cartone anziché di carta come le pagine solite dei libri; quindi il libro rischiava di non essere un libro come si deve; poi come metterle insieme? Devo dire che questo era il problema più grosso. Che il libro fosse un po' diverso dagli altri non mi preoccupava gran ché; ma un libro di pagine sparpagliate, non incollate insieme, questo si, mi preoccupava, perché allora non potevo proprio dire che fosse un libro, nessuno mi avrebbe creduto e io non avrei potuto dargli torto.
Tutti sappiamo infatti che i libri sono fatti in un dato modo e nessuno può negare che le pagine di un qualsiasi libro sono fra loro incollate in maniera che si possano sfogliare senza perderle; questa è la verità
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[...]ciò torna a suo vantaggio.
Ma io non volevo negare la verità, volevo soltanto che il mio tredicesimo libro assomigliasse il più possibile agli altri dodici. E questo non
secondo la mia sola opinione, ma secondo la verità conosciuta da tutti, senza lasciarmi influenzare dal fatto che un tredicesimo libro era assolutamente necessario alla mia biblioteca, e quindi farmi travisare la veriti per il mio tornaconto personale.
Era una cosa necessaria come la storia delle scarpe; dico così per dire che è assolutamente necessario che le due scarpe siano una destra e una sinistra, anche se non dovessimo fare lunghe camminate; io per esempio non ne facevo mai, perché qualunque calzolaio si metterebbe a ridere se gli chiedeste di vendere due scarpe sinistre anziché una destra e una sinistra, non perché ognuno non sia libero di comprare le scarpe che vuole, ma perché non esiste un calzolaio che venda due scarpe uguali, anche se lo cercaste dappertutto non lo trovereste mai perché proprio non esiste. Anche se io avessi due piedi identici fra di loro.[...]

[...]la e aspettavo che tacessero per addormentarmi anch'io. Intanto leggevo il mio libro, quello colorato, o, più spesso, pensavo al progetto del mio tredicesimo libro da aggiungere agli altri dodici che già possedevo.
Da una frase di Ulisse avevo appreso la parola « giocoforza », l'avevo imparata perché trovavo che proprio suonava bene, e la ripetevo fra me. Non sapevo che cosa significasse ma era piacevole, infine credetti di poterla interpretare come una cosa che fa piacere, non un oggetto ma qualche cosa di astratto, come si direbbe felicità o vanagloria. Giocoforza insomma esprimeva una cosa piacevole e forse anche un po' aspra, come quando si soffre e si ha piacere nello stesso tempo.
Ma questo accadeva, credo, all'epoca in cui conobbi Trento, il ragazzo del lattaio, credo di si, perché Trento veniva su tutti i giorni a casa, eccetto la domenica, poco dopo che Ulisse era uscito.
Il solo uomo che conoscevo era Ulisse e non é che mi interessassi molto a lui. Trento non gli somigliava per niente e questo mi piacque, anche perché mi fece pensare che esistono tanti uomini e tutti diversi, ciò mi consolava molto. Con lui non parlavo perché non ce n'era bisogno; al massimo dicevo «giocoforza» perché lui mi faceva pensare all'[...]

[...], non credo che avrebbe raccattato un libro neanche se l'avesse pestato con un piede, voglio dire che se ne infischiava anche se lui sapeva leggere ed era perfino andato a scuola.
Non tentavo più di risolvere il problema del tredicesimo libro, non che me ne fossi dimenticata, ma mi premeva di meno, ecco tutto. Probabilmente perché avevo cominciato a pensare a tutt'altre cose, a cui prima non avevo dato alcuna importanza; per esempio a me stessa come persona, anzi come donna e credo di essere diventata molto furba e maliziosa. Si perché Ulisse non si accorse di niente ed io continuai a vedere Trento tutti i giorni. Non che fosse difficile ingannare Ulisse, a causa del suo disinteresse per tutto ciò che non lo riguardava, o almeno che non riguardava i suoi denari; non mi guardava mai perciò non sapeva se fossi rossa o bianca; era facile, a dire la verità, ingannare Ulisse. Non so poi perché volessi ingannarlo, ma credevo di indovinare che non avrebbe mai approvato ciò che facevo; anzi con molta probabilità avrebbe smesso di bere latte e avrebbe picchiato Tre[...]

[...]fficile ingannare Ulisse, a causa del suo disinteresse per tutto ciò che non lo riguardava, o almeno che non riguardava i suoi denari; non mi guardava mai perciò non sapeva se fossi rossa o bianca; era facile, a dire la verità, ingannare Ulisse. Non so poi perché volessi ingannarlo, ma credevo di indovinare che non avrebbe mai approvato ciò che facevo; anzi con molta probabilità avrebbe smesso di bere latte e avrebbe picchiato Trento sulla testa come faceva. con la sirena; lo immaginavo anche se non né ero proprio sicura.
Mi interessai improvvisamente agli specchi, anzi si può dire che li cercavo, ma in casa non ce n'era neanche uno piccolo e così dovetti rinun_ ziare. Non volevo vedere la mia immagine, ho sempre considerato inutile vedere se stessi, non m'interessava; volevo solo osservare ciò che Trento vedeva. Ero molto curiosa, a questo punto devo dirlo, di vedere il colore dei miei occhi perché io vedevo i suoi che passavano con facilità dal giallo al marrone e mi chiedevo come diavolo facesse. Scoprii inoltre che indossavo della bi[...]

[...]mprovvisamente agli specchi, anzi si può dire che li cercavo, ma in casa non ce n'era neanche uno piccolo e così dovetti rinun_ ziare. Non volevo vedere la mia immagine, ho sempre considerato inutile vedere se stessi, non m'interessava; volevo solo osservare ciò che Trento vedeva. Ero molto curiosa, a questo punto devo dirlo, di vedere il colore dei miei occhi perché io vedevo i suoi che passavano con facilità dal giallo al marrone e mi chiedevo come diavolo facesse. Scoprii inoltre che indossavo della biancheria indecente; non che Trento si occupasse minimamente di ciò che avessi indosso o meno, ma la mia maglia di lana era bucata, lo vedevo bene e mi vergognavo; anche se Trento non mostrava di accorgersene. Una maglia con due o tre buchi e delle sfi lacciature non era poi una cosa grave; Trento non ce l'aveva affatto la maglia, per esempio: ma chissà perché, dal giorno che conobbi Trento cominciai a vergognarmi della maglia bucata, che fino a quel giorno avevo portato con naturalezza, senza minimamente pensare che il fatto di essere buc[...]

[...], probabilmente perché era tutto ciò che portavo sotto il vestito e avrei sentito freddo a togliermela. Così cercavo di non pensarci, ma devo dire che avrei volentieri
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cambiato il mio pianoforte per una maglia nuova. Di chiederne una ad Ulisse non mi azzardavo, tanto sapevo già che avrebbe detto di no; del resto, obbiettivamente, finché durava quella che avevo addosso, che
ragione avevo di pretenderne un'altra? Sarebbe stato come fare un capriccio e Ulisse detestava i capricci, per quello che ne so io, soprattutto in fatto di oggetti nuovi da comprare.
Trento era molto alto. A me dava l'impressione che fosse piccolo, e soprattutto leggero; lo sostenevo come un uccello ancora incapace di volare, e a dire la verità avevo bisogno di contare le sue dita per rendermi conto che fosse proprio li, nel mio letto. Il fatto che fossero dieci, mai una di più o una di meno, mi dava sicurezza, perché quando cominciavo a contare non ero mai del tutto certa di arrivare a dieci. Le contavo con emozione e traevo un sospiro quando arrivavo alla fine. Erano dieci, almeno tutte le volte che le contavo io; non avrei giurato però che lo fossero sempre e ciò mi spingeva a ricominciare da capo. Quando entrava dalla porta della cucina, ecco, allora era alto, come se non [...]

[...]l mio letto. Il fatto che fossero dieci, mai una di più o una di meno, mi dava sicurezza, perché quando cominciavo a contare non ero mai del tutto certa di arrivare a dieci. Le contavo con emozione e traevo un sospiro quando arrivavo alla fine. Erano dieci, almeno tutte le volte che le contavo io; non avrei giurato però che lo fossero sempre e ciò mi spingeva a ricominciare da capo. Quando entrava dalla porta della cucina, ecco, allora era alto, come se non avessi mai potuto raggiungerlo a quell'altezza e ciò mi angustiava. Erano i momenti in cui rimpiangevo di non essermi nutrita abbastanza; la mamma diceva che le mie ossa non si erano sviluppate del tutto, e quando diceva ossa guardava la mia testa come per dire che non era colpa mia se ero scema: colpa delle ossa che non si erano sviluppate completamente.
Non lo diceva, ma so che lo pensava perché quando diceva ossa guardava la mia testa e non era uno sguardo allegro, bensì piuttosto di disgusto.
Qualunque cosa dicesse Trento da quell'altezza, ma in genere non diceva niente, ebbene io non lo capivo perché improvvisamente pensavo alle mie ossa poco sviluppate. « Bevi il latte », al massimo ripensavo a queste parole della mamma, « Bevi il latte »; ma io odiavo il latte, l'avevo detto anche a Trento, a lui non importava affatto, ma io glielo[...]

[...]affatto, ma io glielo dicevo lo stesso perché avevo piacere di conversare con lui e gli parlavo anche dei miei libri che tenevo nascosti; a lui non importava, che io ricordi, ma a me faceva piacere lo stesso.
Avrei voluto che non puzzasse di latte, perché io odio il latte, questo l'ho già detto. Quando Trento mi stringeva, tutto cadeva nel latte, anche la mia bocca, che cercavo di tenere chiusa, si riempiva e in un attimo ero affogata nel latte come una fetta di pane. Per fortuna non durava molto perché Trento si metteva a fumare e l'odore del tabacco assorbiva un poco quello acido del latte.
Mi piaceva vedere il fumo viola che scappava fuori dalle sue narici,
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dagli angoli della bocca semichiusa. Aspettavo che aspirasse di nuovo dal suo cartoccio bianco per vedere il fumo dondolare nell'aria e poi rotolare verso il soffitto.
Lasciavo che chiudesse le imposte anche se ciò non mi permetteva più di vederlo; forse non amava guardarmi, io pensavo, seppure non glielo abbia mai chiesto. Lo pe[...]

[...]va guardarmi, io pensavo, seppure non glielo abbia mai chiesto. Lo pensavo perché chiudeva le imposte con un colpo, piegando insieme i polsi verso il petto e poi si coricava sopra di me; per quanto aprissi gli occhi non riuscivo a vedere che viso avesse. Quello che mi dava noia era il non poter sapere di quale colore fossero i suoi occhi; perché un momento prima che chiudesse le imposte erano grigi, li avevo notati; ma ora potevano essere gialli come viola, e questa incertezza mi faceva stare inquieta. A volere vedere per forza nel buio non guadagnavo niente; me ne accorsi presto; i lineamenti di Trento mi sfuggivano e i suoi colori si annullavano tutti nel nero. In quel momento avrebbe potuto essere un negro ed io non l'avrei saputo; non che mi importasse se era nero o meno, tanto più che non avevo visto un uomo di colore nella mia vita; ma per me Trento era bianco, quasi colore del latte e nel buio non ero più tanto sicura che conservasse il suo colore, ecco tutto. I miei occhi finivano per empirsi di disegni, avrei detto di materia lum[...]

[...] annullavano tutti nel nero. In quel momento avrebbe potuto essere un negro ed io non l'avrei saputo; non che mi importasse se era nero o meno, tanto più che non avevo visto un uomo di colore nella mia vita; ma per me Trento era bianco, quasi colore del latte e nel buio non ero più tanto sicura che conservasse il suo colore, ecco tutto. I miei occhi finivano per empirsi di disegni, avrei detto di materia luminosa colorata, o anche bianchi e neri come ombre frettolose lungo un muro. Ricordo le dita gialle e rosa che s'intrecciavano e si snodavano moltiplicandosi all'infinito. Questa immagine mi turbava, ricordo, perché tutte le mie forze cercavano di fermare il movimento delle dita; volevo che per azione della mia volontà cessassero di moltiplicarsi, ma quelle sfuggivano al mio controllo e s'intrecciavano sempre più velocemente, finché non mi veniva da urlare, e allora mi mordevo un labbro e le dita svanivano del tutto per lasciare posto ad altri disegni e ombre lucide nel buio.
Trento si addormentava su di un fianco, potevo vedere la sua[...]

[...]e dita svanivano del tutto per lasciare posto ad altri disegni e ombre lucide nel buio.
Trento si addormentava su di un fianco, potevo vedere la sua bocca aperta e la saliva che colava lungo il mento. Era il momento in cui la sveglia cominciava a farsi sentire; voglio dire che il suo ticchettio, che di solito non udivo, cresceva di volume, fino a riempire tutta la stanza, che pulsava con essa, dilatandosi e restringendosi, aspirando e soffiando come un largo corpo malato seduto sulle nostre persone distese.
Non tentavo di allontanare quel rumore, lo accettavo così com'era, cercando di nascondere la testa sotto il braccio di Trento, ma Trento non voleva essere toccato mentre dormiva e mi spingeva con forza lontano da sé.
Trento respirava basso come una foca affannata, temevo che una
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volta o l'altra facesse scoppiare tutto con il suo fiato dai colpi precisi. La mattina che Trento non venne, non era una mattina di domenica perché la domenica non veniva mai ed io non mi sarei meravigliata della
sua assenza, era mercoledì o giovedì, non importa. Tre o quattro volte
andai alla porta perché Trento aveva suonato ma ogni volta scappava appena andavo ad aprire, o forse non aveva suonato affatto, ed era un
prodotto della mia immaginazione. Ma io andavo lo stesso ad aprire perché sapevo che Trento era dietro la porta e aspet[...]

[...]i, ma non diceva niente di nuovo, erano due parole che già conoscevo, .e non mi facevano più né caldo né freddo, ma solo noia: diceva a calmati cara » o « cara calmati », non so.
Lasciai che parlasse a vuoto, tutt'al più ridevo piano fra me perché mi divertiva il modo con cui Ulisse allungava i denti fuori della bocca per dirmi « cara calmati ». Ma Ulisse non sopportava assolutamente che io ridessi di lui; me lo fece capire, a modo suo, urlando come faceva di solito, ed io lo lasciavo urlare, al massimo ridevo piano fra me.
Lui allora faceva il gesto di tirarmi qualche oggetto ma anche questa era una cosa vecchia e continuavo a ridere fra me, perché tanto sapevo che non avrebbe tirato un bel niente.
Se mi fermavo a guardare la sua gamba, soprattutto quando vestiva quel suo abito a righe bianche distanti l'una dall'altra, mi ricordavo della mamma. Ormai lo sapevo ed evitavo di fissare la sua gamba a righe, ma quelle righe mi attraevano e finivo per guardarle perché era proprio il fatto di non volere guardare che mi invogliava a farlo; a[...]

[...]a, mi ricordavo della mamma. Ormai lo sapevo ed evitavo di fissare la sua gamba a righe, ma quelle righe mi attraevano e finivo per guardarle perché era proprio il fatto di non volere guardare che mi invogliava a farlo; avevo notato che questo mi succedeva sempre. Quel giorno che Trento non venne, ecco era martedì, ora lo ricordo; quel giorno pensai alle mani della mamma; ricordai che le fissava perché avrebbe voluto vederle sporche d'inchiostro come quando andava a scuola. Era un pensiero nuovo e lo analizzai volentieri: ecco perché la mamma si guardava sempre le mani con tenerezza, adesso lo sapevo, naturalmente poteva anche non essere vero affatto, la mamma poteva guardarsi le mani per altri motivi, ma era un pensiero nuovo e feci finta che fosse vero, anche se non potevo provare che lo fosse.
Mio fratello tornò dal viaggio; si perché era andato in viaggio con la sirena, non so dove. Tornò totalmente mutato: mi aveva lasciato chiu. sa in casa e quando aprì la porta con la chiave che teneva solo lui, sapevo già che non era più Ulisse, [...]

[...]evo, naturalmente poteva anche non essere vero affatto, la mamma poteva guardarsi le mani per altri motivi, ma era un pensiero nuovo e feci finta che fosse vero, anche se non potevo provare che lo fosse.
Mio fratello tornò dal viaggio; si perché era andato in viaggio con la sirena, non so dove. Tornò totalmente mutato: mi aveva lasciato chiu. sa in casa e quando aprì la porta con la chiave che teneva solo lui, sapevo già che non era più Ulisse, come quando era partito, ma un altro, Gio
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varani o Amedeo, faceva lo stesso. Aveva perso l'impiego, questo lo so, non perché me l'abbia detto, ma perché non usciva più la mattina né dopo colazione. Con questo non voglio dire che stesse sempre in casa, ma Usciva irregolarmente, con la barba lunga e senza cappello, per cui potevo dedurre senz'altro che la sua mèta non era l'ufficio.
La sirena non venne piú, anche lei come Trento.
Ulisse non metteva il vestito a righe, cosicché non avevo piú occasione di ricordare la mamma. Non osavo girare per la [...]

[...]to, ma un altro, Gio
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varani o Amedeo, faceva lo stesso. Aveva perso l'impiego, questo lo so, non perché me l'abbia detto, ma perché non usciva più la mattina né dopo colazione. Con questo non voglio dire che stesse sempre in casa, ma Usciva irregolarmente, con la barba lunga e senza cappello, per cui potevo dedurre senz'altro che la sua mèta non era l'ufficio.
La sirena non venne piú, anche lei come Trento.
Ulisse non metteva il vestito a righe, cosicché non avevo piú occasione di ricordare la mamma. Non osavo girare per la casa mentre c'era pure lui, ma alla fine, vedendo che non usciva quasi mai, mi tolsi le scarpe e vagai per casa come facevo prima quando Ulisse era uscito. Ora mi dicevo « Amedeo é di lá che beve »; non successe mai che mi scoprisse durante i miei giri per le stanze in quel periodo. Oppure mi dicevo « Giovanni è in cucina che beve », e potevo stare tranquilla perché lui sarebbe rimasto li per lungo tempo.
Mi domandavo alle volte come facesse .a bere tanto, una bottiglia dopo l'altra: le allineava tutte in camera sua, sopra la scrivania, quelle vuote, s'intende; perché quelle piene le teneva dentro il letto, proprio sotto le coperte, e le stappava una per volta, con cura.
Ma era una domanda senza risposta, Ulisse stesso ovvero Amedeo non avrebbe saputo rispondermi. Era chiaro, per lui il problema non esisteva: beveva e basta, come io leggevo e non mi chiedevo come facessi, non m'importava. Del resto avevo notato che molto spesso le domande non ottengono risposte; oppure ne ricevon molte una diversa dall'altra, per cui non si sa mai qual é quella esatta.
Che la porta sia aperta o chiusa, é sempre li che gira sui suoi cardini, di questo puoi star sicuro; tosi io sapevo che Amedeo poteva essere nella sua camera, o al bagno o in cucina, ma pur sempre abbracciato alla sua bottiglia, su questo non avevo dubbi. Lo stesso, però, mi rendevo conto che qualcosa non andava. Non era una situazione, insomma che la mamma avrebbe sopportato senza piagnucolare come un[...]

[...]altra, per cui non si sa mai qual é quella esatta.
Che la porta sia aperta o chiusa, é sempre li che gira sui suoi cardini, di questo puoi star sicuro; tosi io sapevo che Amedeo poteva essere nella sua camera, o al bagno o in cucina, ma pur sempre abbracciato alla sua bottiglia, su questo non avevo dubbi. Lo stesso, però, mi rendevo conto che qualcosa non andava. Non era una situazione, insomma che la mamma avrebbe sopportato senza piagnucolare come una gatta, e sbraitare contro di me, anche se io, questa volta, non avevo colpa.
Avrebbe proibito che io leggessi i suoi libri, ma infine la mamma era morta e i libri erano in mano mia.
Non so perché né quando cominciò a picchiarmi; forse lo fece perché non aveva più la sirena con cui sfogarsi, o forse perché gli feci notare che la casa era piena di bottiglie vuote.
La prima volta che alzò le mani gridai a voce altissima perché non me l'aspettavo; ma poi ricordai che quello che mi afferrava per i capelli
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non era Ulisse ma Amedeo o Giovanni; per cui smisi di piangere e l[...]

[...]i sfogarsi, o forse perché gli feci notare che la casa era piena di bottiglie vuote.
La prima volta che alzò le mani gridai a voce altissima perché non me l'aspettavo; ma poi ricordai che quello che mi afferrava per i capelli
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non era Ulisse ma Amedeo o Giovanni; per cui smisi di piangere e lo guardai da sotto, per indovinare se avrebbe continuato a lungo.
Non riuscii ad indovinare perché i suoi occhi non erano più due occhi come tutti gli altri, ma due pozzetti senz'acqua, viscidi e privi di espressione, avrei potuto chiamarli scatole o boccette, senza modificarne in nulla la qualità. La barba gli puzzava di alcol, insomma, tutto dimostrava che Ulisse era ben morto lasciando al suo posto un sacco pieno di vino, che io chiamavo Amedeo, ma dargli un nome era già troppo, era come renderlo vivo.
In seguito imparai a difendermi, cioé mi raggomitolavo su me stessa in modo che Amedeo non potesse farmi troppo male; ma all'inizio non conoscevo ancora questi trucchi. Infatti Amedeo mi ruppe un braccio e poi mi fece sbattere la testa contro lo spigolo del tavolo della cucina. Dopo quella volta non ci vidi più tanto bene, come se una rete avesse avvolto il mio occhio; le immagini urtavano fra loro e si fondevano tutte in un solo cerchio, così che perdevo continuamente l'equilibrio.
In seguito imparai a difendermi bene, come ho già detto: di ogni stanza conoscevo gli angoli più protetti dove riparavo appena Ulisse, no, appena Amedeo si alzava, avendo posato la bottiglia sul tavolo. Anzi posso dire che già sapevo quando mi sarebbe saltato addosso, lo potevo prevedere dal livello della bottiglia, perché finché c'era del liquido dentro, potevo star certa che non si sarebbe mosso, ma appena finiva la bottiglia, appena la posava sul tavolo, ecco, potevo correre al mio angolo perché fra poco mi avrebbe picchiata.
Un'altra volta che voleva battermi, mi ero chiusa nella mia stanza, convinta che non avrebbe mai potuto sf[...]

[...] dal livello della bottiglia, perché finché c'era del liquido dentro, potevo star certa che non si sarebbe mosso, ma appena finiva la bottiglia, appena la posava sul tavolo, ecco, potevo correre al mio angolo perché fra poco mi avrebbe picchiata.
Un'altra volta che voleva battermi, mi ero chiusa nella mia stanza, convinta che non avrebbe mai potuto sfondare la serratura; ma si sarebbe detto che Amedeo fosse felice di trovare un simile ostacolo, come se l'avessero invitato a giocare con le palline. Non ruppe neanche la porta; con dolcezza svitò i cardini e piegò il legno come fosse gomma; senza fracasso scivolò in camera e mi trascinò per i capelli fino alla cucina. « Ho fame », disse e mi batté la testa contro il tavolo. Non credo di essere svenuta perché ricordo il braccio che andava per conto suo; io decidevo di voltarlo a sinistra e il gomito faceva perno a vuoto, mentre l'avambraccio slittava come spinto verso il lato opposto. Mi venne da ridere per questa novità, ma forse fu allora che svenni perché sentii sapore di sangue in bocca e poi più niente. Credo che rimasi li in terra per un pezzo; mio fratello si stancava di me dopo un po', in genere; anche quella volta mi lasciò stare.
Usci e stette fuori due giorni, non so dove andasse. Il secondo giorno
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 137
non mangiai perché in casa non c'era più niente e fuori non potevo andare perché Amedeo chiudeva a chiave la porta quando usciva. Pensai
che sarei morta di fame; preparai i miei dodici [...]

[...]o perché volevo che morissero con me, poi mi addormentai e mi svegliai la mattina dopo al rumore della porta che sbatteva.
Era tornato. « Amedeo », dissi, « sono contenta che tu sia tornato »; ero seduta, anzi sdraiata sul tavolo, nella cucina. Aspettavo che entrasse dalla porta per vederlo bene e reclinavo la testa sulla spalla, spostandomi un poco sul fianco.
Quando entrò, vidi che era Ulisse; aveva la barba rasa e gli occhi rotondi e chiari come quando si svegliava al mattino di buon umore. « Ecco che è tornato Ulisse », pensai; ed ero contenta; gli domandai se avesse portato del caffè.
Ulisse si avvicinò al tavolo e mi mise una mano sotto la gonna. Improvvisamente capii che avevo sbagliato tutto, come al solito. Tentai di alzare la mano destra dimenticando che era quella che non obbediva piú, il braccio tremò un poco e poi si fermò. Ricordai che era rotto e mi faceva male; c'era anche l'altra mano, ora che ci penso, ma ero troppo confusa per ricordarlo e rimasi immobile. Amedeo mi prese in braccio e mi posò sul letto; poi si distese sopra di me senza spogliarsi.
La mamma piagnucolava nella sua sedia a sdraio, la sentivo appena perché mio fratello faceva molto rumore. Notai che non somigliava per niente a Trento; ecco che adesso conoscevo due uomini diversi, ed era strano che in tanti anni[...]

[...]che l'altra mano, ora che ci penso, ma ero troppo confusa per ricordarlo e rimasi immobile. Amedeo mi prese in braccio e mi posò sul letto; poi si distese sopra di me senza spogliarsi.
La mamma piagnucolava nella sua sedia a sdraio, la sentivo appena perché mio fratello faceva molto rumore. Notai che non somigliava per niente a Trento; ecco che adesso conoscevo due uomini diversi, ed era strano che in tanti anni non avessi mai pensato ad Ulisse come uomo. Era più forte di Trento, questo si, e sorrisi ricordando che questo lo sapevo giá da prima, da quando mi aveva picchiata per la prima volta ed avevo scoperto che si chiamava Amedeo o Giovanni, fa lo stesso.
Il braccio mi faceva male, molto; come se qualcuno me lo stesse torcendo e piegando fino a fare un nodo più su del gomito. Il treno nel braccio, ecco, c'era un treno che faceva manovre sui binari vivi delle mie vene. « Lascia stare la corda », gridavo. Capii che gridavo perché mio fratello mi tappava la bocca con la sua e mi cacciava le mani nel collo.
Quella notte venne nel mio letto; poi, il giorno dopo, avevo la febbre, questo lo so perché la mamma diceva che si hanno i brividi quando viene la febbre ed io sentivo brividi per tutta la schiena. Il mio braccio gonfiò in quei giorni, fino a tendere al massimo la pelle, poi cominc[...]

[...]to ma conoscevo attraverso i miei libri. « Una massa d'acqua vasta e sconfinata dal colore del cielo », cosi era descritto; ma in altri libri era presentato in altro modo, tanto che io mi chiedevo se non ci fossero più specie di mari.
I diversi autori non parevano d'accordo sul colore, uno diceva che é azzurro, un altro parlava del viola intenso, oppure del verde; io non so tuttora cosa pensare, ma ciò non mi impediva di sognare sempre il mare, come un misto di colori.
In fondo la qualità dei colori non mi interessava, perché il mare era II a farsi bere da me, e amavo il suo sapore, un sapore che non assomigliava a nessun altro.
Infine Ulisse riportava il vassaio in cucina e lasciava che mi addormentassi, con la coperta fin sopra la testa perché la luce mi dava noia. Non speravo di chiudere le persiane fino a che non fossi guarita al braccio e ormai mi ero abituata alla luce. La sola difesa che avessi escogitato era di nascondermi gli occhi sotto le coperte e allora potevo anche avere la sensazione che nella stanza ci fosse buio; cosi [...]

[...]e buio; cosi mi addomentavo. Era sempre Ulisse che mi svegliava; lo sapevo appena sentivo il contatto freddo della sua gamba che scivolava accanto alla mia. Non piangevo perché Ulisse non voleva. Cercavo di tenere il mio braccio lontano dal suo corpo, perché non lo toccasse; ma finiva sempre per urtarlo col mento o con la spalla ed io mi trattenevo per non piangere. Un giorno che Ulisse era uscito provai a muovere il gomito e vidi che rispondeva come prima. Non sentivo più quel dolore lungo la schiena, i treni si erano fermati, forse ne erano usciti per sempre. Ero contenta e mi alzai per andare a chiudere le persiane; ma poi pensai che non avevo più voglia di stare a letto. Andai in cucina per bere dell'acqua e li trovai Ulisse che dormiva accanto alla sua bottiglia vuota, con la testa appoggiata al tavolo.
Era mezzo nudo e teneva le gambe divaricate sotto il tavolo; la pelle delle sue mani era chiazzata di nero. Notai che avevamo lo stesso colore di pelle, di un bianco quasi disgustoso. Osservai come dormissero im
LA MIA STORIA TORNAV[...]

[...]re. Ero contenta e mi alzai per andare a chiudere le persiane; ma poi pensai che non avevo più voglia di stare a letto. Andai in cucina per bere dell'acqua e li trovai Ulisse che dormiva accanto alla sua bottiglia vuota, con la testa appoggiata al tavolo.
Era mezzo nudo e teneva le gambe divaricate sotto il tavolo; la pelle delle sue mani era chiazzata di nero. Notai che avevamo lo stesso colore di pelle, di un bianco quasi disgustoso. Osservai come dormissero im
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mobili quelle mani sudice accanto alla nuca reclinata sul tavolo; quelle mani bianche come le mie e chiazzate di nero. Ogni giorno mi toccava con quelle mani, sapevo come si muovevano, potevo indovinare il loro calore e il loro peso sui miei seni. Pensai che non le avrei più sopportate. Desiderai tagliarle e farle morire lì, senza sangue. In quel momento udii il respiro di mio fratello e con gli occhi seguii la linea delle sue gambe distese rigide sotto il tavolo.
Dal mio braccio ormai guarito sentii crescere in me una forza immensa. Sapevo che cosa dovessi fare perché Ulisse non entrasse più nel
mio letto e lo feci. Adesso mi rendo conto che adoperai il coltello ma allora non Io sapevo, perché presi la prima cosa che mi capitò fra le mani e colpii finché Ul[...]

[...] dovessi fare perché Ulisse non entrasse più nel
mio letto e lo feci. Adesso mi rendo conto che adoperai il coltello ma allora non Io sapevo, perché presi la prima cosa che mi capitò fra le mani e colpii finché Ulisse non cadde dal tavolo e sbatté la testa contro il pavimento.
La mamma prese ad inseguirmi per la casa, credo che volesse schiaf_ feggiarmi, ma non mi avrebbe mai raggiunta perché era troppo grassa e si muoveva con difficoltà.
Mai come allora desiderai il mare, perché la mia sete cresceva col passare dei giorni e anche senza sognare, ormai, vedevo la massa d'acqua, viola o verde che fosse, precedermi sempre di pochi passi. E ciò che mi faceva venire il mal di stomaco, era la coscienza di non potere mai raggiungere quel mare.
Quando vennero a prendermi, chiesi che mi portassero al mare, ma non mi ascoltavano; anzi seppi poi che volevano linciarmi, quelli della casa, e anche Trento. Sono certa che ci fosse anche lui perché l'ho visto io stessa lanciarsi contro di me imprecando e tutti gli altri lo seguivano.
Nel trambusto n[...]

[...]voglio sempre conoscere i nomi delle cose. In quel caso, poi, dopo avere dormito due notti abbracciata da quelle fasce, era giusto che io chiedessi e ottenessi la risposta: ecco, ero chiusa nella camicia di forza, in una stanza dai muri imbottiti. Mentre cercavo di addormentrmi rotolando su me stessa, infagottata a quel modo, mi ricordai improvvisamente dei miei libri. Mi alzai a sedere e cercai di appoggiarmi in modo da non cadere all'indietro. Come avevo fatto a dimenticare i miei libri durante quei giorni? Me lo chiesi tante volte,
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ma non trovavo una risposta che potesse soddisfarmi. Infine rinunziai a capire perché mi fossero usciti di mente; la cosa più urgente a questa punto era di scoprire il mezzo di riaverli presso di me.
Per non abbandonare questo pensiero che mi appassionava, non tentai neppure di dormire quella notte. La mattina dopo avevo preso la decisione di tornare a casa subito, per prendere i libri. Se non mi avessero lasciato andare, sarei scappata, ancora non sapevo come, ma ero certa di trovare il[...]

[...]avo una risposta che potesse soddisfarmi. Infine rinunziai a capire perché mi fossero usciti di mente; la cosa più urgente a questa punto era di scoprire il mezzo di riaverli presso di me.
Per non abbandonare questo pensiero che mi appassionava, non tentai neppure di dormire quella notte. La mattina dopo avevo preso la decisione di tornare a casa subito, per prendere i libri. Se non mi avessero lasciato andare, sarei scappata, ancora non sapevo come, ma ero certa di trovare il modo: mi ero accorta che si occupavano poco di me. Ma era urgente che mi sciogliessero quelle bende, e mi togliessero la camicia. di forza, perché costretta a quel modo non c'era nemmeno da pensare ad una fuga, lo capivo bene.
Venne una donna bianca a parlarmi; come fossi una bambina di pochi anni, ripeteva le parole avvicinando il suo viso al mio e facendo schioccare la lingua contro il palato. La guardai attratta da quei rumori e forse mi misi a ridere perché lei alzò la voce e minacciò di lasciarmi in quella stanza ancora per molti giorni. Questo mi fece ricordare la. fuga che avevo progettato e allora presi a farle domande molto accurate sulle persone che abitavano nei paraggi e come potessi raggiungere la uscita senza essere notata. Ma evidentemente non fui abbastanza prudente perché la donna bianca capì ciò che avevo intenzione di fare e disse con chiarezza che da li non sarei uscita mai, certamente non per mia volontà_ Questo concetto lo ripeté varie volte come per imprimerlo bene nella mia mente. Le risposi che non ero scema; mi guardò con tenerezza ma nello stesso tempo si teneva lontana da me come se temesse che potessi graffiarle il viso. Il suo bel viso di donna bianca che forse doveva ricordarmi la mamma, ma non trovai nessuna somiglianza per quanto cercassi. Le dissi che non somigliava alla mamma. Lo dissi perché si era creato un silenzio nella conversazione e cercavo un argomento qualsiasi per continuare a chiacchierare. «Lei non somiglia alla mamma », dissi_ Lei sorrise come un angelo, o almeno credo che volesse apparirmi tale sebbene a me non importasse niente che sorridesse oppure no. Disse che era venuta per togliermi la camicia; siccome le ero sembrata buona, continuò, avrebbe chiamato senz'altro il suo compagno per aiutarmi a togliere la camincia. Usci dalla porta da cui era entrata, una porta nascosta dalla tapezzeria dei muri, ragione per cui io non l'avevo notata prima„ tornò poco dopo col suo compagno. Vidi subito che era Trento, ma non dissi niente perché lui faceva finta di non conoscermi e, pensai, se agiva in quel modo, aveva le sue ragioni: forse era venuto a liberarmi_ Cosi mi limitai a guardarlo, senza fissarlo troppo apertamente però„
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 141
e aspettavo che mi rivolges[...]

[...]agione per cui io non l'avevo notata prima„ tornò poco dopo col suo compagno. Vidi subito che era Trento, ma non dissi niente perché lui faceva finta di non conoscermi e, pensai, se agiva in quel modo, aveva le sue ragioni: forse era venuto a liberarmi_ Cosi mi limitai a guardarlo, senza fissarlo troppo apertamente però„
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e aspettavo che mi rivolgesse uno sguardo d'intesa, o una parola sottovoce, come « ci sono qua io », oppure « zitta per carità », « fai finta d~ non conoscermi ».
Le mie braccia erano di nuovo libere; notai che il polso rotto si era gonfiato ma non mi faceva più male, così finii per non pensarci piú. Trento recitava così bene la sua parte che la donna non si accorse di niente; quasi la dava a bere pure a me.
Mi fecero salire le scale e traversare corridoi. Vidi altre donne bianche come quella dal sorriso d'angelo, e tutte sorridevano come lei, verso Trento, verso me, o verso i muri. Camminavano sulla punta dei piedi
e passavano rasentandoci senza quasi farsi notare, non emettendo alcun
rumore.
Nella stanza in cui mi portarono c'erano già quattro ragazze più
meno giovani di me, come vidi subito alla prima occhiata; loro per) erano vestite di grigio, con i capelli tagliati o raccolti dietro la testa. Subito capii che anch'io avrei vestito di grigio come loro e capii pure che fra noi ragazze e le donne bianche dal sorriso d'angelo c'era una grossa differenza : nessuno ci avrebbe chiesto di sorridere come loro.
Devo confessare che ancora una volta dimenticai i miei dodici libri per dedicarmi alle quattro ragazze che stavano nella stanza con me.
Adesso sentivo crescere in me una gioia profonda, e se da principio non avrei saputo dire da che cosa derivasse, poi scoprii che ero felice proprio per via di quelle quattro ragazze, tanto da dimenticare improvvisamente i miei libri per i quali prima avevo desiderato di fuggire.
Allora la mia più grande paura fu che mi togliessero di li. Guardai la mia accompagnatrice cercando di indovinare i suoi progetti nei miei riguardi, avrei voluto pregarla che[...]

[...]bbe finito di preparare il letto, prima di andarsene, mi prese le mani e mi disse un'infinità di cose, non importa quali; ciò che volevo sapere l'avevo capito da me quindi lasciai che parlasse, annuendo
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con la testa quando lo ritenevo opportuno. Lei parve contenta di me e si avvicinò alla porta senza però lasciare le mie mani che continuava a stringere fra le sue. Disse ancora qualcosa a proposito della bontà; parlava proprio come un angelo e le sue mani erano calde e morbide. Credo che finii per sorridere anch'io.
Imparai subito che le campane erano molto importanti in quell'istituto e che se non si ubbidiva al loro segnale c'era da rimanere senza cena o addirittura di buscare la frusta sulle gambe. Io dovevo fare uno sforzo per ricordare cosa volesse dire quel suono; mi prendeva sempre alla sprovvista, perciò i primi giorni non sapevo mai cosa fare. Ma bastava che seguissi le altre giù per il corridoio, che loro mi guidavano; finivo per fare sempre così senza rendermi conto se fosse l'ora di cena. o della messa. Non[...]

[...] delle braccia. Cantava canzoni di cui inventava le parole mano a mano che svolgeva il motivo, ma non alzava mai troppo la voce. Non so perché fosse li né glielo chiesi mai, amavo pensare che fosse una regina e la guardavo con curiosità ma anche ammirazione. Lei non guardava mai nessuno in faccia e si voltava verso il muro ogni volta che qualcuno entrasse nella stanza.
Tutto il giorno giocava con i propri capelli e la notte si agitava nel letto come se avesse caldo; una volta ricordo di avere sentito il battito dei suoi denti.
Mi accorsi presto che qualcun altro la guardava così attentamente come la guardavo io: era la spia, la ragazza che dormiva nel letto accanto al mio. Mi disse Lode, con cui feci subito amicizia, che la spia era innamorata di Coccoletta e cercava sempre di avvicinarsi al letto di lei.
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 143
Lode insisteva per raccontarmi la storia di tutte le ragazze che incontravamo anche casualmente per i corridoi. lo mi annoiavo ad ascoltarla, forse perché parlava troppo in fretta e diceva quasi sempre le stesse cose. Allora brontolavo di avere un dolore alla testa che non mi faceva respirare e nascondevo la faccia sotto il cuscino. [...]

[...]nziosa per un po', ma poi riprendeva a parlare ed io andavo al gabinetto per sfuggirle e vi rimanevo finché non sentivo la campana del pranzo o la voce della suora che chiamava dal corridoio.
La finestra del gabinetto era quasi sotto il soffitto ed io non avrei mai potuto raggiungerla, ma mi bastava sapere che era li a creare un contatto fra me e l'esterno. A volte potevo sentire il ruggito continuo dei tram, a volte lo scoppio di un'automobile come una pietra gettata nell'acqua; più spesso il grido sordo di un'altra, che poteva anche essere un pipistrello o anche la voce di una delle «malate». Io sapevo bene che erano pazze ma non l'avrei detto per nulla al mondo; seguivo l'esempio delle donne angelo e quando volevo alludere a quelle ragazze in grigio che si rotolavano sui letti, dicevo, « le ammalate »; al massimo lanciavo un'occhiata a Lode che era la sola con cui osavo parlare in termini chiari.
Fu Lode che mi raccontò che la Bambina dormiva con la cerata sotto le lenzuola, perché se la faceva addosso ogni notte; « Ha ventotto anni [...]

[...]bene che erano pazze ma non l'avrei detto per nulla al mondo; seguivo l'esempio delle donne angelo e quando volevo alludere a quelle ragazze in grigio che si rotolavano sui letti, dicevo, « le ammalate »; al massimo lanciavo un'occhiata a Lode che era la sola con cui osavo parlare in termini chiari.
Fu Lode che mi raccontò che la Bambina dormiva con la cerata sotto le lenzuola, perché se la faceva addosso ogni notte; « Ha ventotto anni e piange come se ne avesse cinque », mi spiegò Lode; e la sentii anch'io, due notti dopo, che ingoiava lagrime affrettando sempre più il respiro, e piangeva senza forza, lamentosa, come una bambina assonnata. Di giorno giocava col cuscino, abbracciandolo e cullandolo come se fosse una bambola di pezza. Rideva per niente, ma se le si chiedeva qualcosa spalancava gli occhi spaurita e non riusciva ad aprire bocca. Ogni mattina Lode si sedeva accanto a lei per intrecciarle i capelli e poi sorrideva soddisfatta, guardando verso di me; « ecco pronta la Bambina » diceva, e le carezzava la fronte.
Non sapevo cosa pensare di Lode perché sembrava gentile e generosa con tutti, ma poi si divertiva a raccontarmi qualunque segreto di cui per caso si trovasse in possesso, e quando raccontava mi guardava con la bocca piena di saliva, l'espressione estatica, non peritandosi d[...]

[...]AINI
é bella, e poi, quei capelli... un giorno o l'altro le salterà addosso » mi sussurrò. E credo che non aspettasse altro.
Ero stata così presa da questi fatti che non avevo pensato affatto a me; da allora mi abituai a scappare più spesso al gabinetto per liberarmi di Lode e li meditavo su tutte le novità della mia vita.
Evitavo di pensare ad Ulisse perché più di una donna angelo mi aveva spiegato la gravità di ciò che avevo fatto. E parole come fratello, figlio dei Signore, morte dell'innocente, erano entrate nella mia mente e la loro presenza mi dava fastidio.
A Trento avevo rinunciato: dopo il suo ultimo tradimento e abbandono, lo avevo dimenticato; o forse cercavo di farlo senza riuscirvi del tutto, ma pensavo a lui molto poco. Questo era bene perché altrimenti avrei sofferto di stare in quella casa, mentre in realtà non mi dispiaceva affatto, anzi avevo cominciato ad affezionarmi a Lode, e come lei, prendevo gusto a tormentare la Bambina, seguivo il movimento delle mani di Coccoletta e gli sviluppi dell'amore della spia per lei[...]

[...] figlio dei Signore, morte dell'innocente, erano entrate nella mia mente e la loro presenza mi dava fastidio.
A Trento avevo rinunciato: dopo il suo ultimo tradimento e abbandono, lo avevo dimenticato; o forse cercavo di farlo senza riuscirvi del tutto, ma pensavo a lui molto poco. Questo era bene perché altrimenti avrei sofferto di stare in quella casa, mentre in realtà non mi dispiaceva affatto, anzi avevo cominciato ad affezionarmi a Lode, e come lei, prendevo gusto a tormentare la Bambina, seguivo il movimento delle mani di Coccoletta e gli sviluppi dell'amore della spia per lei.
Nella buona stagione ci portarono fuori ed io conobbi per la prima volta un giardino. Dimenticai del tutto i miei libri e Trento; né mi sovvenni più di Ulisse.
Coccoletta si scopriva i seni con la scusa del caldo; si riparava all'ombra degli alberi con un . ciuffo di capelli in bocca e la gonna arrotolata sulle ginocchia. La spia si accovacciava non lontano da lei, giocava con le pietre é le buttava via con rabbia. Le suore la tenevano d'occhio perché non [...]

[...]e pietre é le buttava via con rabbia. Le suore la tenevano d'occhio perché non si avvicinasse troppo a nessuna di noi; ma di non poterci avvicinare poco importava alla spia; le sarebbe bastato potersi accostare solo a Coccoletta.
Io mi ero tanto abituata alle chiacchiere di Lode che potevo udirla parlare ininterrottamente senza percepire una frase.
Chissà perché i miei libri non mi avevano rivelato l'esistenza di un giardino, un vero giardino, come quello in cui trascorrevo le mattinate accanto a Lode che mi raccontava gli ultimi pettegolezzi della notte. A sentir lei, quel pezzo di terra non era degno di chiamarsi giardino, in quanto del giardino non aveva neanche l'aspetto; ma per me andava bene e pensavo con terrore alla stagione fredda che ci avrebbe costrette in quelle stanze buie del piano superiore.
Ero sicura che la finestra del nostro gabinetto desse sul giardino, ma non sono mai riuscita a provarlo, perché dalla finestra del gabinetto non potevo guardare; d'altra parte, viste da sotto, tutte le finestre sembravano uguali e no[...]

[...]tagione fredda che ci avrebbe costrette in quelle stanze buie del piano superiore.
Ero sicura che la finestra del nostro gabinetto desse sul giardino, ma non sono mai riuscita a provarlo, perché dalla finestra del gabinetto non potevo guardare; d'altra parte, viste da sotto, tutte le finestre sembravano uguali e non avrei mai saputo quale fosse quella del ba
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 145
gno. Ma amavo pensare che fosse così come io volevo e, quando ero nel gabinetto, mi consolavo all'idea che la finestra sopra il mio capo, in cima al soffitto, dominasse il giardino, anzi osavo quasi immaginare, che una volta affacciati alla finestra, si potessero scorgere al di là di essa delle montagne, dei campi, e chissà, forse anche il mare. Il giardino era poco più grande del nostro refettorio, alcuni lo chiamavano cortile, ma naturalmente sbagliavano perché non ho mai visto né sentito che in un cortile crescessero degli alberi, come avveniva nel nostro. E poi, in certe giornate calde, spuntavano le violacciocche lungo i muri, e[...]

[...]avo all'idea che la finestra sopra il mio capo, in cima al soffitto, dominasse il giardino, anzi osavo quasi immaginare, che una volta affacciati alla finestra, si potessero scorgere al di là di essa delle montagne, dei campi, e chissà, forse anche il mare. Il giardino era poco più grande del nostro refettorio, alcuni lo chiamavano cortile, ma naturalmente sbagliavano perché non ho mai visto né sentito che in un cortile crescessero degli alberi, come avveniva nel nostro. E poi, in certe giornate calde, spuntavano le violacciocche lungo i muri, ed io dico che il luogo dove crescono le violacciocche si può senz'altro chiamare giardino, e così lo chiamavo parlandone con Lode, sebbene lei tirasse fuori la lingua in segno di disprezzo.
Nel giardino c'erano tre alberi, ma i posti all'ombra erano regolarmente occupati dalle ragazze del secondo reparto che scendevano con l'anticipo di pochi minuti rispetto a noi. Solo Coccoletta riusciva a mettersi al riparo dai rami, non so se fosse per merito della sua bellezza di regina che incuteva rispetto [...]

[...]sse, si aveva l'impressione che i muri non stessero più in equilibrio e crollassero addosso a noi. Lode aveva paura e diceva che non voleva guardare, io pure avevo paura ma ero affascinata da quel movimento e buttavo la testa indietro, fino a sentire con la nuca l'attaccatura delle spalle. Alle volte Lode approfittava di questa mia posizione per farmi il solletico al collo e allora non la potevo sopportare, anzi la odiavo e pensavo di ammazzarla come avevo ammazzato Ulisse; ma bastava che lei sorridesse con i suoi denti all'infuori, che cessavo immediatamente di odiarla. Rideva tirando fino a farle diventare pallide, le labbra sui denti troppo numerosi e sporgenti per la sua bocca. Mi diceva in un orecchio che ero la sua sola amica, e secondo lei avrei dovuto essere contenta perché prima o poi lei mi avrebbe fatto uscire di li. « Come farai? » le chiedevo, tanto per parlare, sapendo già che erano chiacchiere inutili; « Vedrai », mi sussurrava soffiando dentro l'orecchio, e prendeva ad aggiustarsi la gonna sopra le ginocchia aguzze, sporgenti dalle gambe magre e storte.
Quando aveva finito di parlarmi della vita e delle nostre compagne, inventando storie complicate ed inverosimili, di cui rendeva protagoniste le ragazze che aveva più in antipatia nel nostro reparto, decideva di insegnarmi dei giochi che era solita fare al suo paese.
Il gioco dei papaveri piaceva anche a me. Bisognava scommettere se il colore del fiore fos[...]

[...]ceva anche a me. Bisognava scommettere se il colore del fiore fosse rosso o bianco; poi si apriva il bocciolo, e se i petali si spiegavano polverosi e rossi, aveva vinto uno, se si mostravano bianchi, vinceva l'altro. Era appassionante.
Vinceva quasi sempre Lode ed io mi accanivo per prendere la rivincita, ma presto ci stancavamo per la completa mancanza di papaveri nel giardino. Lode diceva che al suo paese c'erano dei campi addirittura rossi, come macchie di sangue, per la grande quantità di papaveri di quel colore. Io non sapevo se crederle o meno perche cono,scevo la sua capacità di inventare storie che non avevano niente di vero; ma per giocare a quel gioco sarebbe stato molto comodo un intero cam
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po di papaveri e, pur rimanendo diffidente, mi lasciavo sedurre da quell'immagine.
Il gioco della biscia era molto più complicato e non saprei mai ripeterne il meccanismo, sebbene Lode me l'abbia ripetuto tante volte; forse perché non avevo mai visto una biscia in vita mia e poi Lode cono[...]

[...] bisce, e altre cose del genere. Mi veniva in mente il quadro del pastore,
o il mercato vicino a casa; ma erano tutte cose ferme e prive di colori. Del resto non importava perché il gioco della biscia non si poteva fare
e quindi era una scusa di Lode per parlare difilato durante tutta l'ora di ricreazione. Se le dicevo di stare ,un po' zitta, allora tirava fuori la storia delle nipoti, a Sono zia di tre nipoti » diceva, e sorrideva trion fante come se avesse rivelato di essere madre. Le sue tre nipoti vivevano in campagna e una volta l'anno venivano a trovarla con una ruota di formaggio e delle arance. Venivano con Lilla, la sorella di Lode,
e se ne andavano molto prima che facesse buio per non perdere la corriera.
Un giorno la spia tentò di uccidersi; Lode aveva capito tutto, naturalmente, fin dalla sera prima; fiutava l'aria come se avesse due antenne al posto degli occhi, sensibili e mobilissime; mi aveva detto di stare all'erta che ci sarebbero state delle novità. Infatti, quando ci svegliammo la mattina al suono della campana, la spia non era nel suo letto; ed io non mi meravigliai affatto di scoprire che neanche Lode era nel suo letto: era stata lei a salvare la spia che si era tagliuzzata i polsi nel tentativo di recidersi le vene.
La suora invocava Gesù e Maria, non sapeva cosa fare. Vidi entrare la donna angelo e poco dopo non ci fu più traccia di ciò che era successo: la spia fu portata in infermeria e con po[...]

[...], la spia non era nel suo letto; ed io non mi meravigliai affatto di scoprire che neanche Lode era nel suo letto: era stata lei a salvare la spia che si era tagliuzzata i polsi nel tentativo di recidersi le vene.
La suora invocava Gesù e Maria, non sapeva cosa fare. Vidi entrare la donna angelo e poco dopo non ci fu più traccia di ciò che era successo: la spia fu portata in infermeria e con poche parole la donna. bianca ci rasserenò; sorridendo come solo lei sapeva fare..
La Bambina non aveva smesso di piangere, però; raggomitolata sotto le coperte ripeteva all'infinito un verso, con ritmo uguale e preciso. Solo Coccoletta non si era voltata per guardare e le sue mani disfacevano con grazia i nodi che si erano formati durante la notte fra i suoi capelli lunghi e fini, simili a ragnatele senza colore. Lode era agitata e rideva per ogni nonnulla; disse che non era successo niente,
quella scema! » ripeté più volte, e indicava il letto ancora macchiato di sangue; ma io vedevo che era pallida e le sue risate continue mi innervosivano.
148 [...]

[...]Non pensa che ai suoi capelli e al suo grasso corpo addormentato », disse. Mentre parlava guardava verso il carrubo con le sopraciglia aggrottate. Lontano potevo vedere Coccoletta che si appoggiava al tronco, con le braccia lungo i fianchi, le spalle zbbandonate su se stesse, e il collo piegato morbidamente sul cuscino dei capelli biondi. Pensai che non sapevo di che colore fossero i suoi occhi, non li avevo mai notati. «Infatti», disse Lode, «è come se non li avesse: Più che occhi sono buchi per vedere, e il colore dei buchi è indefinito, scuro e lontano ».
Mi informò che la spia era quasi guarita. «Non sono grandi ferite le sue », mi spiegò, « ma ha il cervello sconvolto, per lo shock ». Pronunciò questa parola con serietà, soffiando fra i denti; ed io non osai chiederle cosa significasse, sebbene potessi immaginarlo, più o meno.
La spia tornò a dormire nel suo letto dopo pochi giorni, ma se prima era scontrosa, adesso non le si poteva parlare affatto. Non sopportava di essere guardata, odiava tutte noi, eccetto Coccoletta, la quale p[...]

[...]avevo creduto, e poi me ne ero completamente dimenticata, specialmente al tempo del suicidio della spia. Perciò mi meravigliai quando venne la donna bianca a prendermi e mi disse di infilare il grembiule pulito.
Cercai Lode ma in quel momento non era nella stanza. Non chiesi niente perché della donna angelo mi fidavo poco; tanto sapevo già che mi avrebbe rassicurata con uno dei suoi sorrisi e molte parole buone ma poco chiare e anche poco vere, come avevo avuto modo di constatare altre volte.
La seguii per i corridoi fino alla stanza della direttrice; mi presentò all'avvocato. « Siedi li », disse, « e rispondi con attenzione alle domande che ti farà questo signore ».
Tutti e tre mi guardavano con curiosità; l'avvocato prese a passeggiare e per la stanza, la direttrice disse che ero ana brava ragazza. Par. RI di me come se non fossi presente, dicendo che ero un elemento quieto, disse proprio così, e che con un po' di studio se ne poteva cavare un bel processo. Tanto « l'infermità mentale » é stata riconosciuta. « Rimarrà sotto la nostra tutela », disse senza guardarmi, come se parlasse di uno dei suoi trecento lavandini che andava sturato.
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 149
L'avvocato si fece portare del caffè, intanto rideva di qualcosa con la direttrice. Li guardavo ma non stavo ad ascoltarli per via dei pensieri che si affollavano nella mia mente; in quei cinque minuti erano talmente cresciuti di numero che non sapevo quale prendere in considerazione per prima; mi sentivo confusa. L'avvocato continuava a ridere e pareva starnutisse, tanti versi faceva col naso e con la lingua fra i denti; la direttrice si teneva il petto con una mano e con l'a[...]

[...]ualcosa con la direttrice. Li guardavo ma non stavo ad ascoltarli per via dei pensieri che si affollavano nella mia mente; in quei cinque minuti erano talmente cresciuti di numero che non sapevo quale prendere in considerazione per prima; mi sentivo confusa. L'avvocato continuava a ridere e pareva starnutisse, tanti versi faceva col naso e con la lingua fra i denti; la direttrice si teneva il petto con una mano e con l'altra nascondeva la bocca, come se avesse avuto vergogna di spalancarla; la donna bianca era sparita senza fare rumore. Notai che la sedia su cui ero seduta cedeva sotto il mio peso facendo scricchiolare le giunture di vimini ormai slegate e rotte; allungando una gamba avrei potuto toccare l'ombrello dell'avvocato che era appoggiato al muro in equilibrio instabile. Se davo un colpo col piede, l'ombrello sarebbe caduto attirando l'attenzione della direttrice e dell'avvocato; avrebbero smesso di ridere e forse mi avrebbero anche sgridata; mi venne voglia di farlo; allungai un poco la gamba. Ma perché mi perdevo in simili pens[...]

[...]nti problemi da considerare?
Improvvisamente l'avvocato spostò una sedia, vi si sedette in modo che i nostri ginocchi quasi si toccassero e prese a farmi domande su domande. Credo che facesse apposta per confondermi le idee, si perché non mi lasciava il tempo di pensare e mi colpiva con le sue interrogazioni, quasi fossi una macchina che scatta appena si pigia un bottone.
Io guardavo le sue labbra per non perdere le parole che scappavano fuori come gatti infuriati, ma per quanti sforzi facessi rimanevo indietro rispetto alle sue domande e finivo per non capire più niente.
Vidi che la direttrice prendeva appunti su di un foglio che teneva aperto davanti a sé. Una goccia di sudore era sospesa poco sopra le mie orecchie, all'attaccatura dei capelli; aspettavo che scivolasse giù per la guancia, ma pareva che si fosse cristallizzata fra i capelli; così alzai una mano per cessare quella lieve sensazione di solletico; ma poi guardandomi le dita, vidi che erano macchiate di sangue. La direttrice disse che se avessi continuato mi avrebbe caccia[...]

[...] fumo dalle narici. « Ciascuno ha la sua mamma », disse, « Ed è la persona che più ci vuol bene. Chissà quanto ti amava la tua mamma! E adesso ti guarda dal cielo e piange per te ».
Non so che altro disse sul cielo, sui pianti della mamma e gli sguardi dal paradiso. Io chinavo la testa ad ogni affermazione, perché così mi avevano insegnato, ma avevo voglia di dormire: quell'avvocato mi aveva stancata. Pensai per un momento al corpo della mamma, come io ero solita vederla, dal lato opposto della stanza, sprofondata nella sua sedia a sdraio; ma pensare a lei non mi consolava affatto e cercai di trovare il metodo per abbreviare quel colloquio.
La direttrice però sembrava si fosse abbandonata al caldo suono delle proprie parole; e dalla mia mamma era passata a parlare della madre in generale. Forse anche della madonna che chiamava madre di tutte le donne, o vergine santa del cielo, protettrice delle anime nostre e così via.
Non volevo proprio addormentarmi, sapevo che sarebbe stato poco gentile verso la direttrice, non era mia intenzione, [...]

[...]a tra quattro infermieri, mentre la direttrice gridava qualcosa e agitava la testa dai capelli ben pettinati; credo dicesse « Ingrata » o forse « Pazza! », non so.
Mentre mi portavano via per il corridoio, mi parve di vedere l'avvocato che camminava appogiandosi all'ombrello con l'impugnatura
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 151
dalla testa di cane; cercai di avvicinarmi a lui per parlargli ancora della sirena, volevo raccontargli come Ulisse la battesse, perché prima non avevo avuto il tempo di dirglielo. Ma l'avvocato fuggi correndo e l'infermiere che stringeva il mio braccio allentò la stretta un attimo per prendere la mia testa con tutte e due le mani e sbatterla contro il muro due o tre volte. Può darsi che preso dall'entusiasmo giocasse con la mia testa per più di un quarto d'ora, ma io sentii solo tre colpi netti, come se assaggiassi il muro con la lingua; e un sapore di calce farinosa si diffuse nella mia bocca; quindi smisi di pensare perché avevo troppo sonno.
Nella camera di sicurezza trovai la spia; le chiesi che cosa facesse li ma lei non rispose. Ciò che mi colpi fu l'odore di gabbia che riempiva la stanza; un odore troppo dolce di bestie sudate e aspro di disinfettante. Cercai una finestra, ma, non trovandola, poggiai la testa contro le mie braccia e cercai di dormire.
Durante la notte vennero a prendermi; pensai che mi portassero nella mia stanza, avevo voglia di vedere Lode per parlarle delle mi[...]

[...]n quel momento pensai che le descrizioni della mia compagna erano molto precise.
Vidi i due buchi della canna che puntavano esattamente contro il mio viso.
Ebbi la coscienza per un attimo che tutta quella scena non fosse vera, fui sul punto di liberarmi di me stessa, ma ripiombai subito dopo nella realtà e recitai la mia parte sino all'ultimo.
Potei appena respirare ancora una volta, poi qualcuno bussò contro il mio ventre; due leggeri tocchi come punture; e mi trovai a terra
152 DACIA MARAINI
col viso contro la corteccia umida di resina. Scoprii che era quello l'odore che avevo sentito prima, e allungai una mano per toccare la base dell'albero; ma non credo che vi arrivai perché tutto si fermò di colpo in me e il mio corpo era muto come di legno. Potevo pensare cd i pensieri salivano a galla come pesci vivi e mobili sotto la superficie limpida dell'acqua di un fiume.
Pensai che da diversi giorni Ulisse si rivolgeva a me con la stessa frase, « cara calmati » o « calmati cara », « cara malati calmati calanti », non so più; potevo prevedere già quando lo vedevo che avrebbe fatto saltare quella corda e non un'altra. La sirena muggiva sotto il braccio di lui, nella notte, ed io portavo il mio libro colorato dentro il letto perché non potevo dormire per via di quelle bestiole nella stanza accanto.
Lo lasciai parlare.
Era la mia storia che tornava e colava giù dai buchi del cervello perde[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Dal Sasso, Il rapporto struttura-poesia nelle note di Gramsci sul decimo canto dell'Inferno in Studi gramsciani

Brano: [...] arrivo di una ricerca precedente e di una intuizione fruttuosa. Ma è possibile stabilire con certezza il momento in cui Gramsci comincia a interessarsi al X canto e alla questione ad esso collegata?
Gramsci stesso, sia nelle Lettere che nei Quaderni, cerca di ricostruirne la storia, dalle soglie del periodo univesitario. E ricorda che l'argomento era stato tema di discussioni « negli anni passati », mentre a proposito di uno dei problemi che, come vedremo, stanno proprio al centro dell'indagine, il problema dell'inespresso, egli si rifà al corso di storia dell'arte tenuto da Toesca nel 1912, oltre, in genere, all'autorità e all'insegnamento di Cosmo: « Ricardo che la prima volta pensai a quella interpretazione leggendo il ponderoso lavoro di Isidoro Del Lungo sulle Cronache fiorentine di Dino Compagni, dove il Del Lungo per la prima volta fissò la data della morte di Guido Cavalcanti » 1.
Si tratta dell'opera Dino Compagni e la sua Cronica (la cui terza parte era apparsa nel 1887): ma la relazione è ancora indiretta perché, come nota [...]

[...]l 1912, oltre, in genere, all'autorità e all'insegnamento di Cosmo: « Ricardo che la prima volta pensai a quella interpretazione leggendo il ponderoso lavoro di Isidoro Del Lungo sulle Cronache fiorentine di Dino Compagni, dove il Del Lungo per la prima volta fissò la data della morte di Guido Cavalcanti » 1.
Si tratta dell'opera Dino Compagni e la sua Cronica (la cui terza parte era apparsa nel 1887): ma la relazione è ancora indiretta perché, come nota Gramsci, il Del Lungo non aveva collegato la datazione della morte di Guido con il X canto 2. Benché sia impossibile stabilire la data esatta della lettura gramsciana, essa è comunque anteriore al 1918. La definizione del problema si ha invece con sicurezza, sempre per ammissione di Gramsci, quand'egli può leggere La poesia di Dante di Croce.
1 L. C., p. 166.
2 L. V. N., p. 18.
126 I documenti del convegno
Quando? Anche questo è difficile stabilirlo. Tra i libri del carcere si trova la terza edizione dell'opera crociana, del 1922. A Turi il volume deve per forza essere entrato dopo i[...]

[...]religioni di un qualche poeta o scrittore e ne celebrano degli strani riti filologici, lo penso che una persona intelligente e moderna deve leggere i classici in generale con un certo " distacco", cioè solo per i loro valori estetici, mentre 1"` amore " implica adesione al contenuto ideologico della poesia: si ama il "proprio" poeta, si "ammira" l'artista in generale. L'ammirazione estetica può essere accompagnata da un certo disprezzo "civile", come nel caso di Marx per Goethe » 1. E la distinzione fra « amore » e « ammirazione » ribadisce un anno dopo in un'altra lettera alla moglie: « io ho distinto il godimento estetico e il giudizio positivo di bellezza artistica, cioè lo stato d'animo di entusiasmo, per l'opera d'arte come tale, dall'entusiasmo morale, cioè dalla compartecipazione al mondo ideologico dell'artista, distinzione che mi pare criticamente giusta e necessaria. Posso ammirare esteticamente Guerra e Pace di Tolstoi e non condividere la sostanza ideologica del libro; sei fatti coincidessero Tolstoi sarebbe il mio vademecum, le livre de chevet. Cosí si può dire per Shakespeare per Goethe e anche per Dante » 2.
E a questo proposito corregge anche un precedente giudizio limitativo
1 L. C., p. 125.
2 L. C., p. 205.
128 I documenti del convegno
su Leopardi: il cui « pessimismo » ora non gli pare privo d[...]

[...]ioso nel senso positivo della parola » 2.
La risposta di Cosmo deve essere stata addolorata e risentita se Gramsci tiene a precisargli che non intendeva « neanche pensare un giudizio su di lui che ponesse in dubbio la sua rettitudine, la dignità del suo carattere, il suo senso del dovere ».
Il giudizio rifletteva, infatti, l'impressione che le ultime pagine del volume del Cosmo, soprattutto, avevano suscitato in lui, tanto piú che lo ricordava come un uomo moderno, schierato sulla medesima trincea della sua battaglia culturale e morale: « Mi pareva che tanto io come il Cosmo, come molti altri intellettuali del tempo (si può dire nei primi quindici anni del secolo), ci trovassimo su un terreno comune che era questo: partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere
1 L. C., p. 125.
2 L. C., p. 1145.
Rino Dal Sasso 129
senza religione e si intende senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altrimenti si vuol dire ».
Le ultime pagine della Vita di Dante di Cosmo indicano invece come il suo autore si sia allontanato di [...]

[...]ntellettuali del tempo (si può dire nei primi quindici anni del secolo), ci trovassimo su un terreno comune che era questo: partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere
1 L. C., p. 125.
2 L. C., p. 1145.
Rino Dal Sasso 129
senza religione e si intende senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altrimenti si vuol dire ».
Le ultime pagine della Vita di Dante di Cosmo indicano invece come il suo autore si sia allontanato di molto da quel « terreno comune » : indicano adesione a quanto di mistico vi è nel mondo dantesco e addirittura concludono con un'invocazione all'al di là. Il fatto che tali pagine siano, forse, state dettate da entusiasmo verso il « divino poeta » non nega, anzi conferma, la tesi gramsciana che l'adorazione di un classico diviene adesione al suo contenuto ideologico ed è possibile per una sostanziale debolezza ideologica e filosofica dello studioso. Come era possibile, con tale cultura pronta a ogni cedimento, riformare moralmente e intellettualmente un pae[...]

[...]o da quel « terreno comune » : indicano adesione a quanto di mistico vi è nel mondo dantesco e addirittura concludono con un'invocazione all'al di là. Il fatto che tali pagine siano, forse, state dettate da entusiasmo verso il « divino poeta » non nega, anzi conferma, la tesi gramsciana che l'adorazione di un classico diviene adesione al suo contenuto ideologico ed è possibile per una sostanziale debolezza ideologica e filosofica dello studioso. Come era possibile, con tale cultura pronta a ogni cedimento, riformare moralmente e intellettualmente un paese come il nostro, malato da secoli proprio di insicurezza ideale, e di profondo scetticismo? Né a Gramsci pareva, dun que, un caso che il vecchio professore avesse accettato di compilare, insieme a un fervente cattolico, il Gerosa, « un'antologia di scrittori latini dei primi secoli della Chiesa per una casa editrice cattolica » 1. Tutto ciò, naturalmente, non vietava a Gramsci di sottoporre al Cosmo la sua nota affinché, « come specialista in danteria », gli sappia dire se ha fatto « una falsa scoperta o se veramente meriti la pena di compilarne un contributo, una briccica da aggiungere ai milioni e milioni di tali note che sono già state scritte » 2.
Gramsci infatti, anche se lo giudica malato « un po' della malattia professionale dei dantisti » 3, continua a stimare il Cosmo. La sua polemica si rivolge dunque contro una mentalità, contro un vizio proprio della cultura italiana. E anzi, per il timore di dar credito egli medesimo a tale malattia, ritrae subito anche il progetto di compilare un contributo « dantesco[...]

[...]rinti delle vecchie congetture, che la incompleta informazione storica e le deficiente disciplina intellettuale3 gareggiavano nel costruire e rendere inestricabili ». A Gramsci non è difficile dimostrare « che egli ha letto superficialmente lo stesso canto decimo e non ne ha compreso la lettera piú evidente » 4.
La prima tesi del Morello è che il canto decimo è « per eccellenza politico ». Al che Gramsci ribatte che « il canto decimo è politico come politica è tutta la Divina Commedia, ma non è politico per eccellenza. Ma al Morello questa affermazione fa comodo per non affaticare le meningi; poiché egli si reputa grande uomo politico e grande teorico della politica ».
La seconda perla raccolta da Gramsci è la spiegazione data dal Morello dell'impassibilità di Farinata mentre Dante e Cavalcante parlano fra di loro. Morello sostiene che Farinata resta immobile e impassibile « perché ignora la persona di Guido », « perché ignora che Guido ha stretto matrimonio con sua figlia » e perché è morto quando Guido aveva
1 L. V. N., p. 122.
2 Il[...]

[...]zo vorrebbe sapere che cosa hanno fatto ulteriormente tutti i personaggi »; mentalità ben adatta alle pseudonimo morellesco; e in sé non sarebbe certo gran male se non fosse accolta a braccia aperte dalla cultura ufficiale. Ma tralasciamo le altre « superficialità e contraddizioni » del Morello. Che cosa ne conclude Gramsci?
All'inizio della scheda dei Quaderni, nello stendere lo schema della nota dantesca, scrive: « Lettura di Vincenzo Morello come corpus vile » . Il Morello è dunque un caso limite. Ma quanto accreditato lo stesso Gramsci neppure sospettava. La sua « strabiliante » conferenza è stata letta alla « Casa romana di Dante ». E se Gramsci afferma che « Rastignac conta meno che un fuscello nel mondo culturale ufficiale » 1, come, si chiede sempre Gramsci, fu permessa la lettura? Non ci vuole davvero « rnolta bravura per mostrarne l'inettitudine e la zerità». Ma intanto essa fu accolta con favore. Gramsci si domandava: « Come è stata giudicata la conferenza dai dantisti? Ne ha parlato 11 Barbi... per mostrarne la deficienza? » 2. Sí, il Barbi ne ha parlato, ma non proprio per mostrarne la deficienza. Nel volumetto che, nella lettera del 3 aprile del 1933, Gramsci chiedeva con tanto calore, egli avrebbe trovato motivo ulteriore
1 L. V. N., p. 45.
2 L. V. N., p. 45.
Rino Dal Sasso 133
di sconforto o di riso. dl Barbi infatti, proprio in quel volume, non esitava a elogiare « l'autorità del naine e l'abilità del critico », sino a definire lo scritto del Morello « lettura bella ed eloquente» 1.
Cosí, allorché scri[...]

[...]
1 L. V. N., p. 45.
2 L. V. N., p. 45.
Rino Dal Sasso 133
di sconforto o di riso. dl Barbi infatti, proprio in quel volume, non esitava a elogiare « l'autorità del naine e l'abilità del critico », sino a definire lo scritto del Morello « lettura bella ed eloquente» 1.
Cosí, allorché scriveva che « il modo migliore di presentare questeosservazioni sul canto decimo pare debba essere proprio quello polemico, per stroncare un ,filisteo classico come Rastignac, per dimostrare, in modo drammatico e fulminante e sia pure demagogico, che i rappresentanti di un gruppo sociale subalterno possono fare le fiche, scientificamente e come gusto artistico, a ruffiani intellettuali come Rastignac »2, Gramsci trascina nella condanna una porzione non modesta né di scarso rilievo della cultura italiana, e non solo un caso limite. Questo è il primo contenuto critico della « nota » gramsciana, che coincide con la sua. battaglia ideale, culturale e politica piú generale. Alla cultura retorica dominante per decenni nel nostro paese (e certo neppure ora, anche se travestita, scomparsa), che di Dante stesso ha fatto un mito, spesso senza comprenderlo nella lettera, una specie di icone mummificata, Gramsci contrappone la funzione rinnovatrice e moderna della classe operaia, la visione[...]

[...]o terreno, Gramsci si incontrasse con_ Benedetto Croce. E comincia col chiedersi: il metodo crociano porta. a risultati migliori, anche nel caso particolare del X canto, della scuola storica? E cioè, ricostruisce con maggiore verità e aderenza il mondo, sensibile e storico del poeta, sa interpretare con maggiore rispetto il linguaggio stesso con cui si esprime? Nel caso del X canto, l'interpretazione crociana si differenzia dai precedessori? No. Come anche il De Sanctis, e come gli eruditi della scuola storica, se pure sulla base di diversi principi e metodologie, anche il Croce vede il X canto come il canto di Farinata, il canto dell'uomo di parte, del combattente politico,. la cui fierezza resta intatta nella condanna, plastica sintesi dei piú pro
1 BARBI, Dante Vita, fortuna, opere, Firenze, 1933, p. 207 passim.
2 L. V. N., p. 45. Il corsivo è nostro.
134 I documenti del convegno
fondi e autentici sentimenti di Dante. La forza con cui è rappresentato, lo sdegno che emana dalle sue parole, i caldi sentimenti di amore patrio, pongono appunto perciò la sua figura tra le piú imponenti e reali dell'Inferno. $ vero che sul finire del canto la sua parola di fuoco si illanguidisce nella [...]

[...]ibile appunto perché il canto X è « il canto di Farinata ». Ma vediamo se veramente è cosí, se davvero è il canto in cui si svolge solo il dramma di Farinata.
Si ricordi lo svolgimento dell'episodio: incontro con Farinata, apparizione di Cavalcante, profezia di Farinata dell'esilio di Dante e infine soluzione, sempre ad opera di Farinata, del « nodo » che inviluppa la mente di Dante. Dal verso 100 al verso 108 Farinata si fa, appunto, pedagogo, come diceva De Sanctis. Oppure, per dirla con le parole di Croce, quel « che tien dietro » alla profezia dell'esilio «dettato da ragioni strutturali... non ha intima vita » 2. È davvero cosí? O piuttosto la didascalia detta da Farinata illumina e Chiarisce un dramma che si è compiuto poco prima nel volgere di un dialogo fulmineo? E questa la
piccola scoperta » di Gramsci. Al Croce (non meno che alla scuola storica) era sfuggito il significato letterale e drammatico del X canto. È sfuggito Che questo canto non contiene un dramma solo, quello di Farinata, ma due: di Farinata e di Cavalcante. E anzi[...]

[...]l sentir parlar fiorentino si solleva per sapere se Guido è vivo o morto in quel momento... Il dramma diretto di Cavalcante è rapidissimo, ma di una intensità indicibile. Egli subito domanda di Guido e spera che egli sia con Dante, ma quando da parte del poeta, non informato della pena, sente " ebbe ", il verbo al passato, dopo un grido straziante, " supin ricadde, e piú non parve fuori" » 2.
Farinata partecipa indirettamente a questo dramma o, come avverte Gramsci, avendo in « gran dispitto » le stesse leggi infernali. Vi partecipa, però, per quanto lo consente la sua figura. E con molto acume, in
1 L. C., p. 141.
2 L. C., p. 142.
10.
136 .1 documenti del convegno
vagii spunti Gramsci indica il rapporto figurativo tra Farinata e Caval cante: « esplicitamente, dopo l'" ebbe ", Dante contrappone Farinata a Cavalcante nell'aspetto fisicostatuario che esprime la loro posizione morale; Cavalcante cade, si affloscia... Farinata " analiticamente " non muta aspetto né muove collo né piega costa ».
E vi partecipa, oltre Che figurativamente[...]

[...]momento poetico non potrebbe esprimersi senza il momento strutturale: « Dante non interroga Farinata solo per " istruirsi "; egli lo interroga perché è rimasto colpito dalla scomparsa di Cavalcante. Egli vuole che gli sia sciolto il nodo che gli impedí di rispondere a Cavalcante; egli si sente in colpa dinanzi a Cavalcante. Il brano strutturale non è solo struttura, è anche poesia, è un elemento necessario del dramma che si è svolto » 1.
Dante, come già Gramsci aveva scritto nel lontano corsivo del
1 L. V. N., p. 36.
Rino Dal Sasso 137
l'Avanti!, è poeta colto: le intuizioni proprie della immaginazione popo lare in lui, per forza, tendono a complicarsi. Egli a volte suggerisce il dramma, a volte la sua poesia è difficile, come in questo canto nel quale il dramma di Cavalcante, appunto « per essere compreso, ha bisogno di riflessione, di ragionamento; che agghiaccia per la sua rapidità e intensità, ma dopo esame critico ».
A Gramsci pare dunque « che questa interpretazione leda in modo vitale la tesi del Croce su la poesia e la struttura della Divina Commedia. Senza la struttura non ci sarebbe poesia e quindi anche la struttura ha valore di poesia ».
6. Ma quali obiezioni potrebbero venir mosse all'interpretazione gramsciana e alle conclusioni che ne trae?
L'episodio di Cavalcante, risponderebbe il Croce, non ha [...]

[...], ma di cui rimangono tracce esteriori nel meccanismo della struttura » 1.
Stabilito che la incompiutezza del dramma di Cavalcante non ha la
1 L. V. N., p. 36.
138 I documenti del convegno
medesima natura delle « rinunzie descrittive », quali spesso si incontrano nel Paradiso 1, dipende essa allora da una volontaria rinunzia a rappresentare nella sua pienezza quel dramma? È avvenuto in Dante quello che talvolta avviene nei Promessi sposi?: « come quando Renzo, dopo aver errato alla ricerca dell'Adda e del confine pensa alla treccia nera di Lucia: " ... e contemplando l'immagine di Lucia! non ci proveremo a dire cid che sentisse: il lettore conosce le circostanze: se lo figuri". Si potrebbe anche qui trattare di cercare il " figurarsi " di un dramma, conoscendone le circostanze? » 2.
Certamente no: non vi è « niente di comune tra questi modi di espressione di Dante e qualcheduno del Manzoni » 3. Quest'ultimo « si propose di non parlare dell'amore sensuale e di non rappresentarne le passioni nella loro pienezza per ragioni di " morale [...]

[...] ", per cosí dire, e non rinunziò volontariamente a nulla » 5.
L'incompiutezza dell'episodio di Cavalcante non dipende da inibizioni o da rinunce dettate da motivi pratici: quell'episodio esprime un dramma nei termini e nei modi tradizionali per Dante, secondo una tecnica e un linguaggio storicamente dati. D'altro canto, neppure la figura di Farinata è tutta espressa nelle terzine in cui si è soliti rinchiudere l'episodio. Abbiamo già accennato come la sua forza risulti piú evidente, e pienamente si giustifichi, dal seguito del canto, sino al punto in cui
anche Farinata si rivela legato alla condanna infernale: e questo a far intendere anche il suo « gran dispitto ». Il dramma di Cavalcante è
dunque incompiuto non per povertà di fantasia e di forza creatrice, o perché sia intervenuta una preoccupazione pratica, ma perché Dante l'ha concepito in quei termini, « adoperando » il linguaggio che gli era solo possibile adoperare. Ma è possibile ricostruire e criticare una poesia
1 L. V. N., pp. 4245. Gramsci sembra aderire alla tesi del Rus[...]

[...]l sentimento di Dante.
2 L. V. N., p. 36. Corsivi di Gramsci.
3 L. C., p. 142.
4 L. V. N., p. 36.
5 L. V. N., p. 37.
Rra o Dal Sasso 139
se non nel mondo dell'espressione concreta, del linguaggio storicamente realizzato? «Dante non rinunzia a rappresentare il dramma direttamente, perché questo è appunto il suo modo di rappresentarlo. Si tratta di un " modo di espressione " e penso che i " modi di espressione " possono mutare nel tempo cosí come muta la lingua propriamente detta ».
Esempi di tale « modo di espressione » (dell'incompiuto) se ne possono trovare infiniti nell'arte del passato: Gramsci stesso, sin dalla prima lettera che abbiamo citato, credeva di dover condurre una ricerca in questo senso. Fer poter stendere « una nota di questo genere », scriveva, « dovrei rivedere una certa quantità di materiale (per esempio, la riproduzione delle pitture pompeiane) che si trova solo nelle grandi biblioteche. Dovrei cioè raccogliere gli elementi storici che provano come, per tradizione, dall'arte classica al Medioevo, i pittori rifiu[...]

[...]ll'incompiuto) se ne possono trovare infiniti nell'arte del passato: Gramsci stesso, sin dalla prima lettera che abbiamo citato, credeva di dover condurre una ricerca in questo senso. Fer poter stendere « una nota di questo genere », scriveva, « dovrei rivedere una certa quantità di materiale (per esempio, la riproduzione delle pitture pompeiane) che si trova solo nelle grandi biblioteche. Dovrei cioè raccogliere gli elementi storici che provano come, per tradizione, dall'arte classica al Medioevo, i pittori rifiutassero di riprodurre il dolore nelle sue forme piú elementari e profonde (dolore materno): nelle pitture pompeiane, Medea che sgozza i figli avuti da Giasone è rappresentata con la faccia coperta da un velo, perché il pittore ritiene sovrumano e inumano dare un'espressione al suo viso » .
E piú tardi ricorda le lezioni di storia dell'arte udite nel lontano 1912, in cui il Toesca affermava « che questo era un modo di esprimersi degli antichi e che Lessing nel Laocoonte (cito a memoria da queste lezioni) non riteneva ciò un artif[...]

[...]ostituisce il brano strutturale vero e proprio, è invece staccata dal processo creativo? E dettata da ragioni pratiche?
7. Siamo al secondo problema cui dava luogo la possibile obiezione della critica estetica.
La soluzione, a guardar bene, Gramsci l'ha già data quando ha avvertito che Dante non interroga Farinata per « istruirsi » ma perché è « rimasto colpito dalla scomparsa di Cavalcante ». Né la didascalia è innaturale in bocca a Farinata, come sosteneva il De Sanctis: essa è resa necessaria da tutto lo svolgimento dell'episodio, dall'atteggiamento dei protagonisti, i quali tutti (Dante compreso) rimarrebbero in parte o del tutto oscuri senza quei versi. Ed è logico che sia proprio Farinata a pronunciare la didascalia, arricchendo la forza della sua figura e l'unità ispiratrice del canto.
Può aver dunque anche la didascalia un valore artistico? Può rispondere a esigenze poetiche, anzi che pratiche, come assolutamente afferma il Croce? Gramsci pone il problema cosí: « quistione... delle didascalie nel dramma: le didascalie hanno un [...]

[...]e Sanctis: essa è resa necessaria da tutto lo svolgimento dell'episodio, dall'atteggiamento dei protagonisti, i quali tutti (Dante compreso) rimarrebbero in parte o del tutto oscuri senza quei versi. Ed è logico che sia proprio Farinata a pronunciare la didascalia, arricchendo la forza della sua figura e l'unità ispiratrice del canto.
Può aver dunque anche la didascalia un valore artistico? Può rispondere a esigenze poetiche, anzi che pratiche, come assolutamente afferma il Croce? Gramsci pone il problema cosí: « quistione... delle didascalie nel dramma: le didascalie hanno un valore artistico? contribuiscono alla rappresentazione dei caratteri? In quanto limitano l'arbitrio dell'attore e caratterizzano piú concretamente il personaggio, certamente » 1.
L. V. N., p. 34. Per i brani successivi su Shaw, dr. L. C., p. 143 e L. V. N., p. 34, e passim.



da Ernesto De Martino, Apocalissi culturali e Apocalissi Psicopatologiche in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]zza nel circoscrivere l'argomento in modo non arbitrario e nel precisare la qualità dell'interesse che vi si porta. Tale rinnovato interesse non è un fe
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nomeno casuale, ma trae alimento in modo decisivo dal fatto che almeno una parte della cultura della società borghese si trova oggi variamente impegnata in una particolare modalità storica di apocalittica, cioè di perdita e di distruzione del mondo: una apocalittica che, come si è già accennato, si riflette nella vita culturale e nella disposizione degli animi e delle menti. Al tempo stesso il marxismo, in quanta teoria rivoluzionaria della fine di un mondo, il mondo capitalistico, e dell'avvento del mondo socialista e comunistico, racchiude senza dubbio una apocalittica, anche se di carattere nettamente diverso da quello che esprime la crisi della società borghese e la perdita di senso del suo proprio mondo. Se a ciò si aggiunge la varia reazione della stessa tradizione escatologica giudaicocristiana di fronte a queste due apocalittiche della nostra epoca, e se s[...]

[...]e le finalità con cui dovrà essere istituito un confronto fra essi.
In quanto tema di una ricerca storicoculturale e antropologica, la (( fine del mondo » rinvia al confronto fra quattro tipi distinti di documenti. In funzione di stimolo inaugurale della ricerca, e di permanente centro di riferimento, di unificazione e di controllo, sta innanzi tutto il documento apocalittico nell'occidente moderno e contemporaneo, e cioè il tema della fine sia come espressione diretta della crisi della società borghese (1), sia come fine della società borghese nella prospettiva delle apocalitica marxista. In seconda luogo sta il documento apocalittico della tradizione giudaicocristiana della letteratura paleo e neotestamentaria e dei ricorrenti millenarismi della storia cristiana dell'occidente, nel quadro escatologico di una immagine unilineare della storia umana (2). In terzo luogo sta il documento apocalittico
(1) A proposito della già vasta letteratura relativa alla analisi e alla interpretazione della Stimmung apocalittica della società borghese in crisi nelle sue diverse manifestazioni culturali (letterarie, artis[...]

[...]es 1962 (Annales du Centre d'Etude des religions, 2).
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logico più generale. Ora proprio per non smarrire questa prospettiva antropologica unitaria, acquista valore euristico decisivo un quinto tipo di documento apocalittico, quello psicopatologico, che ci mette in rapporto con un comune rischio umano di crisi radicale, rispetto al quale le diverse apocalittiche culturali, comunque atteggiate, si costituiscono tutte come tentativi, variamente efficaci e produttivi, di mediata reintegrazione in un progetto comunitario di essercinelmondo (5). Affinché sia chiaro il valore euristico del documento psicopatologico nel quadro di una ricerca storicoculturale e antropologica sulle apocalissi, occorre in via preliminare chiarire che cosa propriamente si intende per «apocalisse psicopatologica », tanto più che si possono avanzare seri dubbi sulla opportunità di considerare unitariamente, sotto questa denominazione, stati psichici morbosi cui la psichiatria attribuisce un diverso significato clinico. I vissuti di depers[...]

[...]tto questa denominazione, stati psichici morbosi cui la psichiatria attribuisce un diverso significato clinico. I vissuti di depersonalizzazione e di derealizzazione a carattere semplicemente psicastenico (nel senso di Janet), i vissuti deliranti primari di un oscuro mutamento di senso della realtà nella schizofrenia incipiente, il vero e proprio delirio schizofrenico di fine del mondo, il delirio di negazione nella melancolia, la fine del mondo come elemento allucinatorio di uno stato crepuscolare epilettico o come pensiero dominante in una psiconevrosi ossessiva, non sembra che possano essere considerati, senza molteplici arbitri e distorsioni, secondo la prospettiva unitaria delle «apocalissi psicopatologiche ». Allo stesso modo non sembra lecito, in una prospettiva strettamente psichiatrica, tentare di stringere in una stessa unità discorsiva il «mutamento pauroso» nella schizofrenia, la fine del mondo come occasionale e fugace «come Se» interpretativo (« é come se fosse la fine del mondo »), la fine in quanto catastrofe cosmica vissuta nella sua sgomentante imminenza e incombenza, la fine come già avvenuta e indicibilmente disforica, la fine accompagnata da un delirio eufo
(5) Per gli aspetti psicopatologici attinenti al nostro tema e per la compilazione della note (6) e (7) ci siamo avvalsi della collaborazione del dott. Giovanni Jervis, che nella sua qualità di psichiatra fu già nostro collaboratore nella ricerca intorno al e tarantismo pugliese ». Siamo inoltre debitori di alcune indicazioni bibliografiche al prof. Bruno Gallieri della Clinica delle malattie nervose e mentali della Università di Roma.
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rico di palingenesi e di reintegrazione, e la fine c[...]

[...] la compilazione della note (6) e (7) ci siamo avvalsi della collaborazione del dott. Giovanni Jervis, che nella sua qualità di psichiatra fu già nostro collaboratore nella ricerca intorno al e tarantismo pugliese ». Siamo inoltre debitori di alcune indicazioni bibliografiche al prof. Bruno Gallieri della Clinica delle malattie nervose e mentali della Università di Roma.
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rico di palingenesi e di reintegrazione, e la fine come fantasma persistente e come reazione catastrofica aggressiva in quella modalità psicotica che é stata definita «paranoia di distruzione », ovvero, con immagine biblica, «reazione di Sansone» (6). Eppure nella prospettiva di una ricerca storicoculturale e antropologica sulle apocalissi culturali il problema di una valutazione unitaria delle apocalissi pSicopatalogiche é imposta dal carattere stesso della ricerca. Nella prospettiva strettamente psichiatrica si tratta di individuare entità nosografiche e nessi eziologici ai fini della diagnosi e della terapia: si comprende quindi come la psichiatria tenda a mettere l'accen[...]

[...]e », ovvero, con immagine biblica, «reazione di Sansone» (6). Eppure nella prospettiva di una ricerca storicoculturale e antropologica sulle apocalissi culturali il problema di una valutazione unitaria delle apocalissi pSicopatalogiche é imposta dal carattere stesso della ricerca. Nella prospettiva strettamente psichiatrica si tratta di individuare entità nosografiche e nessi eziologici ai fini della diagnosi e della terapia: si comprende quindi come la psichiatria tenda a mettere l'accento sulla distinzione dei diversi modi psicotici di rapportarsi alla catastrofe del mondano, e a ordinare questi modi secondo malattie psichiche diverse o, quanto meno, secondo diverse declinazioni abnormi dell'inderWeltsein e del Mitsein. Ma nella prospettiva storicoculturale e antropologica si tratta di conquistare criteri definiti per distinguere le apocalissi culturalmente produttive da quelle psicopatologiche, o più esattamente per valutare le apo
(6) Nella casistica psichiatrica il tema delirante della « fine del mondo », in quanto esplicito contenu[...]

[...]duttive da quelle psicopatologiche, o più esattamente per valutare le apo
(6) Nella casistica psichiatrica il tema delirante della « fine del mondo », in quanto esplicito contenuto della coscienza, non è molto frequente, mentre estremamente ricorrenti sono le esperienze di estraniamento, di depersonalizzazione (e di derealizzazione), di perdita della realtà mondana, soprattutto per quanto concerne le fasi iniziali della schizofrenia. Tuttavia — come viene ulteriormente chiarito nel testo— in una prospettiva storicoculturale e antropologica, queste esperienze e quel tema (che la psichiatria per i suoi fini tiene accuratamente distinti) possono essere legittimamente valutati in modo unitario nella loro comune qualità di rischio psicopatologico che minaccia in varia misura la diverse apocalittiche culturali. Nel quadro di una bibliografia essenziale sulle apocalissi psicopatologiche — nel senso ampio che qui è stato chiarito — sono innanzi tutto da ricordare i dati relativi alla « perdita della funzione del reale », al « senso di stranezza [...]

[...] il futuro. Per quanto clinicamente diverso possa essere il modo di manifestarsi di questo precipitante finire, e diverso il modo col quale il malato si rapporta ad esso, ció che qui denuncia il carattere morboso è la caduta della energia della valorizzazione della vita, il mutamento di segno della stessa possibilità dell'umano su tutto il fronte dell'umanamente e intersoggettivamente valorizzabile. Qui dunque noi siamo di fronte alla apocalisse come rischio di non poterci essere in nessun mondo possibile, in nessuna operosità socialmente e culturalmente validabile, in nessuna intersoggettività comunicante e comunicabile. Il documento psicopatologico della fine mette a nudo tale rischio con una evidenza esemplare, e già solo con ciò consente di valutare più concretamente la qualità tendenzialmente opposta delle apocalissi culturali, almeno nella misura in cui la loro dinamica rende percepibile una mediata restituzione di operabilità del mondo, una riapertura di fatto verso determinate prospettive co
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munitar[...]

[...] misura in cui la loro dinamica rende percepibile una mediata restituzione di operabilità del mondo, una riapertura di fatto verso determinate prospettive co
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munitarie di nuove valorizzazioni della vita (quale che sia poi il modo e il grado di coscienza che di questo fatto hanno gli operatori storici impegnati in una determinata apocalittica). D'al tra parte se il dramma delle apocalissi culturali acquista rilievo come esorcismo solenne, sempre rinnovato, contra l'estrema insidia delle apocalissi psicopatologiche, é anche vero che questo esorcismo può riuscire in varia misura, e di fatto può sbilanciarsi sempre di nuovo verso la crisi radicale: ma appunto per effettuare di volta in volta tale misurazione e per diagnosticare il grado di rischiosa prossimità alla nuda crisi di talune apocalissi culturali, o in talune epoche della loro storia (o in taluni singoli protagonisti che le rappresentano), lo storico della cultura e l'antropologo debbono giovarsi delle indicazioni euristiche che provengono dal documen[...]

[...]arativa, è in rapporto al fatto che della apocalittica d'oggi possiamo parlare in prima persona, cioè in quanto occidentali e in quanto u borghesi» che vivono e combattono i rischi della loro epoca e che sono partecipi di una storia culturale che quei rischi ha maturati. Ciò comporta la possibilità di utilizzare un documento interno di comprensione che soltanto con minore immediatezza è raggiungibile a proposito di altre apocalittiche culturali, come p. es. quella del protocristianesimo o quelle delle grandi religioni storiche o dei popoli cosiddetti primitivi (8).
Tentativi di confronto fra la apocalittica d'oggi e il documento psicopatologico non mancano nella letteratura scientifica, sia in prospettiva storicoculturale che in prospettiva psicopatologica: basterebbe ricordare a questo proposito, e nei limiti di una valutazione dell'arte moderna, le notazioni che si ritrovano nelle
diosi della psiche malata. D'altra parte con le ricerche promosse dalla Cultural Anthropology, dalla psichiatria sociale e dalla etnopsichiatria, come anche[...]

[...]o fra la apocalittica d'oggi e il documento psicopatologico non mancano nella letteratura scientifica, sia in prospettiva storicoculturale che in prospettiva psicopatologica: basterebbe ricordare a questo proposito, e nei limiti di una valutazione dell'arte moderna, le notazioni che si ritrovano nelle
diosi della psiche malata. D'altra parte con le ricerche promosse dalla Cultural Anthropology, dalla psichiatria sociale e dalla etnopsichiatria, come anche con i lavori ispirati al neofreudismo americano, il rapporto fra malattie mentale e cultura (e fra malattie mentali e società) è entrato in una nuova fase, orientandosi sia verso la problematizzazione degli irrelati corporativismi specialistici tradizionali e dei limiti europeocentrici della psichiatria classica, sia verso la ricerca di una metodologia della ricerca interdisciplinare. Per la problematica sociopsichiatria ed etnopsichiatria, e per la già vasta bibliografia sull'argomento, si veda: CH. ASTRUP, Nervöse Erkrangunken und soziale Verhältnisse, Berlino 1956; M. K. Opler (ed.),[...]

[...]tre apocalissi storicoculturali e i loro corrispondenti rischi psicopatologici.
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opere di Hans Sedlmayr e di Robert Volmat (9). Manca tuttavia un confronto sistematico e metodologicamente fondato tra le diverse manifestazioni della apocalittica dì oggi — non solo nell'arte, ma nella musica, nella poesia, nel romanzo, nel teatro, nella filosofia, nel costume — e la corrispondente documentazione psicopatologica, così come manca, in un argomento così tipicamente 'interdisciplinare, l'impiego di chiare formule metodologiche di collaborazione interdisciplinare fra lo storico della cultura e l'antropologo da una parte e lo psichiatra dall'altra. Nei limiti di questo saggio, e con l'intenzione di fornire più la proposta di un progetto di ricerca che una ricerca in sé compiuta con k relative conclusioni, saranno qui allineati e commentati alcuni pochi testi indicativi, sufficienti almeno ad impostare il problema: seguirà poi il confronto col documento psicopatologico.
* * *
Un testo letterario che, per la confluen[...]

[...]e punto 'di partenza e al tempo stesso la guida e il punto di riferimento dell'ulteriore discorso analitico, é senza dubbio La Nausée di. Sartre (10). Il diario di Antonio Roquentin si apre con la notifica di un mutamento esistenziale esperito in un certo giorno del gennaio 1932. In un foglio non datato che precede il diario vero e proprio, il protagonista fa cenno a vissuti di mutamento affiorati improvvisamente e accompagnati da una vaga paura come dal nascente e ancor incerto proposito di annotare diaristicamente quanto gli sta capitando:
(9) Hans Sedlmayr accenna espressamente, in Verlust der Mitte, p. 165, al documento' psicopatologico come strumento atto ad illuminare da un nuovo lato alcuni caratteri a sin—tomatici » della cosiddetta sarte moderna u, quali si manifestano nell'espressionismo, nel futurismo, nel cubismo e nel costruttivismo, nel surrealismo e nell'arte onirica, etc. R. VoLMAT, in L'art psychopathologique dedica, in una prospettica prevalentemente psicopatologica, un intero capitolo alla posizione dell'arte moderna (pp. 215 sgg.). Cfr. anche G. ROSOLATO, in Confina Psychiatrica, 1964, fasc. 4°.
(10) J. P. SARTRE, La nausée, Paris 1938. La traduzione in italiano dei vari passi segue per lo più quella del Fonzi (M[...]

[...]e G. ROSOLATO, in Confina Psychiatrica, 1964, fasc. 4°.
(10) J. P. SARTRE, La nausée, Paris 1938. La traduzione in italiano dei vari passi segue per lo più quella del Fonzi (Milano 1961). I passi riportati in corpo tipografico diverso si ritrovano rispettivamente alle pp. 11 sg., 15, 101 sg., 105, 159 sg. e 153 sg. dell'ed. francese e alle pp. 7 sg., 10, 84 sg., 86, 136 sg., e 171 sg., della trad. italiana.
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Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poiché è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente la estensione e la natura di questo cambiamento... Sabato i ragazzini giuocavano a far rimbalzare i ciottoli sul mare ed io avrei voluto imitarli, ma d'un tratto mi sono arrestato, ho lasciato cadere il ciottolo e me ne sono andato. Dovevo avere un'aria smarrita, probabilmente, poiché i ragazzini mi hanno riso dietro. Questo esteriormente. Ciò che è avvenuto in me non ha lasciato chiare tracce. Debbo aver visto qualcosa che mi ha disgustato ma non so più se g[...]

[...]oquentin cerca ancora di minimizzare « la piccola crisi di pazzia » e di appellarsi al regolare e al domestico della vita quotidiana, per esempio al rumore dei passi del commerciante di Rouen che ogni fine settimana viene in albergo e ne sale le scale alla stessa ora. A queste annotazioni non datate segue il diario vero e proprio, in cui il vissuto di mutamento inaugura la vicenda:
Mi è accaduto qualcosa, non posso più dubitarne. E' sorto in me come una malattia, non come una certezza ordinaria, come un'evidenza. S'è insinuata subdolamente, a poco a poco: mi sono sentito un pò strano, un pò impacciato, ecco tutto. Una volta installata non s'è più mossa, è rimasta cheta, ed io ho potuto persuadermi che non avevo nulla, che era un falso allarme... Ma ecco che ora si espande...
Ma che cosa e in che senso è mutato? Roquentin avverte un mutamento oscuro nei suoi atti più abitudinari e nelle cose più familiari, per esempio nel modo di prender la pipa o la forchetta e forse nel modo con cui la forchetta si fa prendere. La maniglia di una porta si denunzia nella sua mano come un oggetto freddo c[...]

[...] installata non s'è più mossa, è rimasta cheta, ed io ho potuto persuadermi che non avevo nulla, che era un falso allarme... Ma ecco che ora si espande...
Ma che cosa e in che senso è mutato? Roquentin avverte un mutamento oscuro nei suoi atti più abitudinari e nelle cose più familiari, per esempio nel modo di prender la pipa o la forchetta e forse nel modo con cui la forchetta si fa prendere. La maniglia di una porta si denunzia nella sua mano come un oggetto freddo che attira la sua attenzione « con una specie di personalitá », il volto dell'autodidatta, figura familiare da anni, è riconosciuta nella sua identità solo dopo alcuni secondi, e nel
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salutarlo con la consueta stretta di mano avverte in quella dell'autodidatta e nel suo braccio che ricade mollemente dopo la stretta, una sorta di estraneità e di bizzarria che accenna al deforme e all'orrido. Nelle strade «il y a une quantité de bruits louches qui traînent », al caffè evita di guardare un bicchiere di birra sul tavolo perché si viene sottraendo a[...]

[...]e un bicchiere di birra sul tavolo perché si viene sottraendo al suo ovvio significato domestico per spaesarsi nel nulla. L'intero diario ritesse variamente questa tematica del crollo degli enti intramondani, della perdita della loro ovvietà quotidiana, e si dispiega in una successione di episodi esistenziali in cui è vissuto lo spaesamento del familiare. L'avventura apocalittica, inauguratasi subdolamente con il ciottolo della spiaggia, investe come per contagio ambiti sempre nuovi del mondano, che entrano in travaglio disfacendosi di ogni evidenza, sicurezza, certezza. Così al caffé le bretelle color malva di Adolfo, cancellate e come nascoste per l'azzurro della camicia, denunziano «una falsa umiltà », son travagliate da uno sforzo incompiuto di esser se stesse, che resta però a mezza strada e che le mantiene in una irritante sospensione: era «come se, partite per diventar viola, si fossero arrestate a mezza strada senza rinunziare alla loro pretesa », sollecitando in Roquentin una scongiurante richiesta di decisione e di compiutezza: « Verrebbe voglia di dir loro: Avanti, diventate viola e non se ne parli più ». Gli oggetti infatti si manifestano a Roquentin affetti da una interna debolezza che li dissolve in uno scenario fittizio, artificiale, irreale, riboccante di terrorizzanti possibilità verso ulteriori naufragi. In modo esemplare questo vissuto è diaristicamente annotato nell'episodio della biblioteca pubblica di Bouville, quando[...]

[...]mente annotato nell'episodio della biblioteca pubblica di Bouville, quando Roquentin, osservando i libri già altre volte accettati nella ovvietà dei loro attributi (i libri «tozzi e pesanti ») e delle loro relazioni con gli altri oggetti dell'ambiente (p.es. con gli scaffali in cui sono allineati, con la stufa, i finestroni, le scale a piuoli), si accorge che ora essi vanno perdendo il loro carattere di rassicurante argine verso l'avvenire, così come tutto l'ambiente della biblioteca, le appaesate relazioni tra i suoi oggetti, sta abbandonan
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do la sua funzione di fissare i limiti degli accadimenti verosimili che vi posson aver luogo:
...Ebbene, oggi, [questi libri] non fissavano proprio niente: sembrava che la loro stessa esistenza fosse discutibile e che facessero la più gran fatica a passare da un istante all'altro. Stringevo con forza, tra le mani, il volume che stavo leggendo: ma anche le sensazioni più violente erano smussate. Niente pareva reale: mi sentivo circondato da uno scenario di cartone, che poteva [...]

[...]riere! Immagino sia per pigrizia che il mondo si rassomigli tutti i giorni. Oggi aveva l'aria di voler cambiare. E allora tutto, tutto poteva accadere.
Percosso da questa apocalisse degli oggetti, Roquentin fugge dalla biblioteca, percorrendo Bouville in un disperato vagabondaggio alla ricerca di un ambito familiare della realtà che gli permettesse di ricostituire il mondo in atto di perdersi: un espediente al quale del resto aveva già ricorso, come quando aveva ten
tato di difendersi dai primi vissuti di mutamento ascoltando il rassicurante rumore dei passi del commerciante di Rouen. Ma questa volta l'espediente é meno efficace:
Al principio di via Tournebride mi sono voltato e ho contemplato con disgusto il caffè illuminato e deserto. Al primo piano le persiane erano chiuse. Un vero e proprio panico si è impossessato di me. Non sapevo più dove andavo. Son corso lungo i docks, ho girovagato lungo le strade deserte del quartiere Beauvoisis: le case mi guardavano correre con i loro occhi spenti. Mi ripetevo con angoscia: dove andare? Do[...]

[...] Temevo s'aprissero da sole. Ho finito col camminare in mezzo alla strada...
Il mondo familiare, appaesato, dell'utilizzabile, appare dunque, nell'apocalisse vissuta da Roquentin, recedere verso l'assurdo. Questa recessione é inaugurata in modo improvviso e indominabile, a proposito di occasioni estielnamente banali. L'avventura esistenziale di Roquentin, iniziatasi d'un tratto, in un certo giorno del gennaio 1932, a proposito di episodi minuti come quello del sassolino sulla spiaggia, prosegue con episodi altrettanto minuti e occasionali, come l'incontro con l'autodidatta, col bicchiere di birra, con le bretelle di Adolfo e con i libri della biblioteca pubblica di Bouville. Come dice Albert Camus in Le mythe de Sisyphe, la sensibilità assurda ha «un inizio derisorio », «una nascita miserabile », esplodendo senza nessuna preparazione apparente nella più comune quotidianità della vita: (( La sentiment de l'absurdité au detour de n'importe quelle rue peut frapper à la face de n'importe quel homme» (11). In modo analogo si configura la «noia» di Moravia, salvo la diversa sfumatura dell'epressione letteraria (12):
La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà. Per adoperare una metafora, la realtà,
(11) A. CAMUS, La [...]

[...]: un momento tutto è chiaro ed evidente, qui sono le poltrone, i divani, più in là gli armadi, le consolle, i quadri, i tendaggi, i tappeti, le finestre, le porte: un momento dopo non c'è più che buio e vuoto. Oppure, terzo paragone, la mia noia potrebbe essere definita una malattia degli oggetti, consistente in un avvizzimento o perdita di vitalità quasi repentina... Il sentimento della noia nasce in me da quello di una assurdità di una realtà, come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della sua effettiva esistenza. Per esempio può accadermi di guardare con una certa attenzione un bicchiere. Finché mi dico che questo bicchiere è un recipiente di cristallo o di metallo fabbricato per metterci un liquido e portarlo alle labbra senza che si spanda, mi sembrerà di avere con esso un rapporto qualsiasi, sufficiente a farmi credere alla sua esistenza e, in linea subordinata, anche alla mia. Ma fate che il bicchiere avvizzisca e perda la sua vitalità al modo che ho detto, ossia che mi si palesi come qualche cosa di estraneo, col[...]

[...]uardare con una certa attenzione un bicchiere. Finché mi dico che questo bicchiere è un recipiente di cristallo o di metallo fabbricato per metterci un liquido e portarlo alle labbra senza che si spanda, mi sembrerà di avere con esso un rapporto qualsiasi, sufficiente a farmi credere alla sua esistenza e, in linea subordinata, anche alla mia. Ma fate che il bicchiere avvizzisca e perda la sua vitalità al modo che ho detto, ossia che mi si palesi come qualche cosa di estraneo, col quale non ho nessun rapporto, cioè, in una parola mi appaia un oggetto assurdo e allora da questa assurdità scaturirà la mia noia, la quale, in fine dei conti, non è che incomunicabilità e incapacità di uscirne. Ma questa noia, a sua volta, non mi farebbe soffrire tanto se non sapessi che pur non avendo rapporti col bicchiere, potrebbe forse averne, cioè che il bicchiere esiste in qualche paradiso sconosciuto nel quale gli oggetti non cessano un solo istante di essere oggetti. Dunque la noia, oltre che incapacità di uscire da me stesso, è la consapevolezza teoric[...]

[...] in qualche paradiso sconosciuto nel quale gli oggetti non cessano un solo istante di essere oggetti. Dunque la noia, oltre che incapacità di uscire da me stesso, è la consapevolezza teorica che potrei forse uscirne, grazie a non so quale miracolo.
E
n, ancora :
La noia, per me, era simile a una specie di nebbia nella quale il mio pensiero si smarriva continuamente, intravvedendo soltanto a intervalli qualche particolare della realtà; proprio come chi si trovi in un denso nebbione e intravveda ora un angolo di casa, ora la figura di un passante, ora qualche altro oggetto, ma solo per un istante e l'istante dopo sono già scomparsi.
Questo spaesarsi del mondo si presenta con una tonalità ed una elaborazione ancora diverse in un altro documento importan
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te per le origini della sensibilità apocalittica moderna, nella lettera che Hugo von Hoffmannsthal immagina scritta da Filippo Lord Chandos a Francesco Bacone da Verulamio per discolparsi con lui del totale abbandono dell'attività letteraria (13). Lord Chan[...]

[...]ocumento importan
APOCALISSI CULTURAL1 ECC. 121
te per le origini della sensibilità apocalittica moderna, nella lettera che Hugo von Hoffmannsthal immagina scritta da Filippo Lord Chandos a Francesco Bacone da Verulamio per discolparsi con lui del totale abbandono dell'attività letteraria (13). Lord Chandos narra all'amico la condizione di apatia e di distacco in cui é caduto rispetto al mondo quotidiano, e la radicale sfiducia nella «parola » come strumento di partecipazione alla realtà e di comunicazione intersoggettiva: «Le parole astratte, di cui la lingua si serve naturalmente per qualsiasi giudizio durante la giornata, mi si spappolavano in bocca come funghi marciti ». Non gli era più possibile esercitare, nei minuti rapporti sociali di ogni giorno, «il semplificante sguardo dell'abitudine », e a dispetto di agni astrazione concettuale tutti i contenuti della conversazione si venivano disgregando in parti, e queste di nuovo in altre parti, in una vertigine di disarticolazioni in fondo alle quali era il vuoto. Fu cosí indotto in un genere di esistenza grigia, che — dice Lord Chandos — a mala pena si distingueva « da quello dei miei vicini, dei miei parenti e della maggior parte dei nobili proprietari di terre di questo impero». Da siffatta [...]

[...] Lord Chandos — a mala pena si distingueva « da quello dei miei vicini, dei miei parenti e della maggior parte dei nobili proprietari di terre di questo impero». Da siffatta « noia della parola», che qui copre la perdita di senso dei rapporti sociali e del monda quotidiano nella società absburgica declinante, Lord Chandos si traeva fuori solo in alcuni rari momenti previlegiati, e a proposito di alcune impressioni assolutamente futili e casuali, come un inaifiatoio abbandonato sotto un noce, un erpice nel campo, un cane al sole, un poveraccio deforme, e simili: in tali istanti felici e vivificanti il contenuto futile e casuale diventava la coppa di una rivelazione inaudita, da cui sgorgava come un'onda di vita superiore che investiva qualsiasi fenomeno dell'ambiente quotidiano: una rivelazione tuttavia troppo viva perché la parola potesse esprimerla compiutamente, così come troppo spento era per la parola il grigio mondo di ogni giorno che precedeva questi fugaci istanti beatificanti e che inesorabilmente si richiedeva su
(13) H. v. HOFFMANNSTHAL, Der Brief des Lord Chandos, in Prosa, II, Frankfurt a. M.. 1951, p. 7.
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di essi. In questa modalità apocalittica ritroviamo i'l «derisorio» che inaugura l'esperienza di Roquentin, ma in termini rovesciati poiché infatti in Roquentin il mondo appaesato entra improvvisamente in crisi di spaesamento in occasione di eventi irrilevanti, mentre in Lord Chandos il mondo stabilmente immerso in una diff[...]

[...]fabile casualità. In Roquentin irrompe, attraverso il casuale, la malattia degli oggetti: in Lord Chandos un mondo malato viene di tanto in tanto recuperato nella sua oggettività attraverso un oggetto casuale che malgrado la sua irrilevanza acquista la carica sublime di ineffabile oggettarecupero, di cifratissimo e idoleggiatissimo simbolo del significante.
Ma torniamo alla avventura di Roquentin. Il rapporto con la realtà é qui caratterizzato, come si é detto, dal fatto che gli oggetti diventano strani, bizzarri, deboli, gratuiti, incerti, indecisi, artificiali, arbitrari, superflui, assurdi, in atto di separarsi dal loro nome e dal loro significato e di precipitare nello spessore opaco di una esistenza «nuda », senza memoria di domesticazione umana. Questa esistenza indigesta che resta sullo stomaco e che nella vertigine del significante suscita la nausea, coinvolge tutti gli enti intramondani, gli altri uomini non meno delle cose, e infine se stesso (Si ricordi il vissuto di estraneità di Roquentin nel guardarsi nello specchio: « ciò [...]

[...]el guardarsi nello specchio: « ciò che vedo é ben al di sotto della scimmia, al confine del mondo vegetale, al livello dei polipi »).
A questo vissuto di insufficienza della oggettivazione in generale si collega in modo organico quello di un vero e proprio eccesso, di una tensione interna, che travaglia gli oggetti. Nella misura in cui gli oggetti si separano dalla rete di relazioni da mestiche, dalle memorie culturali latenti che li mantengono come ambiti ovvii, come solidi e definiti punti di appoggio per la prassi variamente utilizzante, si fa valere il rischio di un loro caotico relazionarsi, di un loro eccedere dai limiti consueti, secondo una forza oscura e perversa che ora li deforma e li sospinge verso il mostruoso, e ora li trasforma in altro e in altro ancora, in una
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vicenda inarrestabile di assurde coinonie. Alla possibilità di una esperienza del genere si riferisce Roquentin nelle sue annotazioni diaristiche a proposito del sedile del tram, sul quale si trova seduto:
Appoggio la mano sul sedile, ma la ritiro p[...]

[...]la quale sono seduto, sulla quale appoggiavo la mano si chiama sedile. L'hanno fatta apposta perché uno possa sedersi, hanno preso dei cuoi, delle molle, delle stoffe, e si son messi al lavoro con l'idea di fare un sedile, e quando l'hanno fatto era questo che avevano fatto. L'hanno portato qui, in questa scatola, e adesso la scatola rotola e traballa, coi vetri che tremano, e porta nei suoi fianchi questa cosa rossa. Mormoro: è un sedile, un pò come un esorcismo. Ma la parole mi resta sulle labbra; rifiuta di andarsi a posare sulla cosa. Questa rimane quella che è, con la sua felpa rossa, con migliaia di striscette rosse, tutte rigide, che sembrano zampette morte. Questo enorme ventre che fluttua in questa scatola, nel cielo grigio, non è un sedile. Potrebbe essere altrettanto bene un asino morto, per esempio, gonfiato dall'acqua, e che fluttua alla deriva, a pancia all'aria, in un gran fiume d'inondazione: ed io sarei seduto sul ventre dell'asino, ed i miei piedi sarebbero a bagno nell'acqua chiara... Il bigliettaio mi sbarra la strada:[...]

[...] capitasse qualcosa? Se d'un tratto si mettesse a palpitare? Allora s'accorgerebbero della sua presenza e gli sembrerebbe di sentirsi scoppiare il cuore. A che cosa gli servirebbero, allora, le loro dighe, i loro argini, le loro centrali elettriche, i loro alti forni, i loro magli a va
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pore? Ciò potrebbe succedere in qualunque momento, magari subito: i presagi ci sono.
La apocalisse immaginata da Roquentin si sconfigura come irruzione del mostruoso: i vestiti avvertiti come viventi, la lingua che diventa un millepiedi vivo, l'occhio beffardo che la madre scopre nella screpolatura della carne rigonfia del bambino, l'apparizione di cose nuove per le quali occorrerà trovare nomi nuovi, come l'occhio di pietra, il gran braccio tricorno, l'allucegruccia, il ragnomascella. Lo stesso andamento dell'annunzio apocalittico ricorda quello delle profezie bibliche: «E si accorgeranno che le loro vesti sono divenute cose viventi. E un altro si accorgerà che qualcosa lo solletica nella bocca... ». Oppure Roquentin immagina la catastrofe come una oScura notifica senza mutamenti apprezzabili nelle cose: solo che una mattina la gente, aprendo le persiane, avvertirà «un senso orribilmente posato sulle case», una minacciosa immobilità carica di latenti tensioni esplosive.
Di questo u universo in tensione » — ovvero di questa « esplosione» del mondo — sarebbe sin troppo facile addurre esempi nella varia apocalittica moderna e contemporanea, soprattutto nella poesia. Basterà qui ricordare il rimbaudiano Nocturne Vulgaire (14), in cui proprio ciò che di piú familiare appartiene alla nostra vita quotidiana — le pareti, i tetti, i focolar[...]

[...]nacciosa immobilità carica di latenti tensioni esplosive.
Di questo u universo in tensione » — ovvero di questa « esplosione» del mondo — sarebbe sin troppo facile addurre esempi nella varia apocalittica moderna e contemporanea, soprattutto nella poesia. Basterà qui ricordare il rimbaudiano Nocturne Vulgaire (14), in cui proprio ciò che di piú familiare appartiene alla nostra vita quotidiana — le pareti, i tetti, i focolari, le vetrate — appare come percosso da un soffio di uragano che inaugura una vicenda allucinatoria di metamorfosi e trascina il « veggente » al centro dei suoi evanescenti episodi:
Un souffle ouvre des brèches opéradiques dans les cloisons / brouille le pivotement des toits rongés / disperse les limites des foyers / éclipse les croisées...
* * *
L'avventura di Roquentin costituisce — come si é detto — un testo esemplare per esplorare la sensibilità apocalittica della
(14) A. RIMBAUD, Oeuvres, ed. Garnier, p. 286.
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nostra epoca. Ma dato questo punto di partenza, il viaggio esplorante può prendere tuttavia varie direzioni. Si può valutare così in che modo tale sensibilità riceva una particolare valorizzazione culturale nell'unità della Nausée in quanto opera letteraria definita e nel quadro dell'esistenzialismo sartriano in quanto corrente filosofica del pensiero contemporaneo. Ovvero si può prendere come spunto la ricca confluenza di temi apocali[...]

[...]res, ed. Garnier, p. 286.
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nostra epoca. Ma dato questo punto di partenza, il viaggio esplorante può prendere tuttavia varie direzioni. Si può valutare così in che modo tale sensibilità riceva una particolare valorizzazione culturale nell'unità della Nausée in quanto opera letteraria definita e nel quadro dell'esistenzialismo sartriano in quanto corrente filosofica del pensiero contemporaneo. Ovvero si può prendere come spunto la ricca confluenza di temi apocalittici che il testo della Nausée rappresenta per ricostruire la storia culturale moderna e contemporanea che condiziona questo testo e che ci aiuta a meglio comprendere la sua unità e il suo significato irripetibili, la sua specifica Einmaligkeit (valutazioni analoghe possono ovviamente essere condotte a proposito degli altri testi apocalittici riportati e, in generale, a proposito di qualsiasi prodotto culturale della apocalittica d'oggi). Ma la ricerca può prendere anche una terza direzione, cioè quella del confronto con le apocalissi psicopatologich[...]

[...](valutazioni analoghe possono ovviamente essere condotte a proposito degli altri testi apocalittici riportati e, in generale, a proposito di qualsiasi prodotto culturale della apocalittica d'oggi). Ma la ricerca può prendere anche una terza direzione, cioè quella del confronto con le apocalissi psicopatologiche. Sia detto ancora una volta: tale confronto non significa affatto assumere che il personaggio letterario Roquentin possa essere valutato come un caso clinico (ovviamente solo persone reali possono essere in una prospettiva medica valutate come casi clinici), né d'altra parte tale confronto significa che si intende ridurre La nausée ad un sintomo o ad una serie di sintomi utili per concorrere a formulare una diagnosi relativa alla persona reale del suo autore. Tuttavia fra l'apocalisse di Roquentin e quelle variamente attestate dal documento psicopatologico sussistono a somiglianze» tali da porre in modo non eludibile un problema di confronto e di rapporto, un problema che non può essere risolto con la dogmatica affermazione che si tratta di casuali somiglianze e di sostanziali diversità. Ancor meno il problema può essere eluso con [...]

[...]perte verso il futuro. Si legge in A la recherche du temps perdu (17):
Un uomo che dorme tiene in cerchio intorno a lui il filo delle ore,. l'ordine delle annate e dei mondi. Nel risvegliarsi egli li consulta d'istinto e in un istante vi legge il punto della terra che occupa, il tempo che è passato sino al suo risveglio: ma questo ordine può confondersi, franare.
Il crollo di quest'ordine può talora essere vissuto al risveglio. Proust descrive come qualche volta gli accadeva di risvegliarsi nel cuor della notte ignorando dove si trovasse e non sapendo neppure chi fosse, in un disorientamento totale in cui esperiva l'esistere con la primordiale elementarità con cui un animale sente fremere le sue viscere. Dal fondo di questo abisso esistenziale, in cui si apprendeva « piú spoglio dell'uomo delle caverne », una serie di rapide evocazioni lo aiutavano a ricomporre la ovvietà del mondo attuale e di se stesso:
Allora il ricordo — non ancora del luogo dove ero ma di qualcuno di quelli che avevo abitato e in cui avrei potuto essere — veniva d[...]

[...]n cui esperiva l'esistere con la primordiale elementarità con cui un animale sente fremere le sue viscere. Dal fondo di questo abisso esistenziale, in cui si apprendeva « piú spoglio dell'uomo delle caverne », una serie di rapide evocazioni lo aiutavano a ricomporre la ovvietà del mondo attuale e di se stesso:
Allora il ricordo — non ancora del luogo dove ero ma di qualcuno di quelli che avevo abitato e in cui avrei potuto essere — veniva da me come un soccorso dall'alto per tirarmi fuori dal nulla dal quale non sarei potuto uscire da solo: risalivo in un istante secoli di civiltà e l'immagine confusamente intravista di lampade a petrolio, poi di un camice col collo ribattuto, ricomponevano a poco a poco i tratti originali del mio io.
Nella vertigine del disorientamento totale, tutto girava intorno a lui nella oscurità, «le cose, i paesi, le annate ». Ma ecco
(17) M. PROUST, A la recherche du temps perdu, Bibl. de la Pléiade, I, pp. 5 sgg.
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che faticosamente veniva cercato e ritrovato il cammino che lo riconduce[...]

[...]ulturale dell'agire, il sicuro orizzonte per entro il quale emerge il problema operativo che di volta in volta viene posto, entrano qui in una crisi radicale, mettendo a nudo il ri
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schio di non poterci essere in nessun mondo culturale possibile e di non pater essere disponibili per nessuna effettiva ripresa valorizzante. Il circuito di memorie latenti che sostiene la rocca dell'ovvietà (cioè quanto attualmente sta come fedeltà non problematica che rende disponibili di volta in volta per la relativa infedeltà della iniziativa egemonica secondo valore) si viene rischiosamente interrompendo, e il progressivo franare di questa rocca, la sua incalzante catastrofe, segna sempre un punto di vantaggio sui disperati conati anastrofici di rimettere pietra . su pietra. Una penosa inversione di segno viene in tal modo guadagnando gli ambiti percettivi più ovvi e familiari, che ora sembrano strani, bizzarri, artificiali, teatrali, irreali, meccanici, fuori quadro, assurdi: e questa inversione di segno, questo moto eccen[...]

[...]e un punto di vantaggio sui disperati conati anastrofici di rimettere pietra . su pietra. Una penosa inversione di segno viene in tal modo guadagnando gli ambiti percettivi più ovvi e familiari, che ora sembrano strani, bizzarri, artificiali, teatrali, irreali, meccanici, fuori quadro, assurdi: e questa inversione di segno, questo moto eccentrico che coinvolge lo sfondo dell'aperabile e rende vacillante qualsiasi punto di appoggio per mantenersi come reale centro operativo, riflettono la caduta della energia presentificante su tutto il fronte della possibile valorizzazione. « Vi è un mondo reale, che deve esistere in qualche parte: prima lo vedevo, ma ora dov'è? », diceva una malata di Janet (18) riecheggiando a suo modo quel u paradiso degli oggetti» che il protagonista della Noia istituiva come nostalgica contropartita della loro attuale ((malattia ». La riconquista di questo paradiso dopo una temporanea ecclisse della domesticità del mondo, è delineata con particolare evidenza nel seguente caso (19):
La malata va al mercato e tutto le appare nuovo e artificiale: le case di cartone, le frutta di gesso. Prende in mano un pomodoro, lo guarda incuriosita, e pur riconoscendolo perfettamente, dice fra sé: « Come sono strani i pomodori ». « Vede quella casa li di fronte? —dice la stessa malata — Per me è solo facciata con niente dentro ». Quando la malata viene dimessa, assicura di sentire tutto come prima:
(18) P. JANET, 1928, II, p. 63; cfr. 1903, pp. 289290, 294, 297, 314 (e perte de la fonction du réel » e « sentiment d'étrangeté » ).
(19) C. G. REDA, Perdita della visione mentale e depersonalizzazione nella psicosi depressiva, in Atti del Symposium di Rapallo, 1960, citato da Vella, 1960, p. 56. Per la «banalità» degli ambiti percettivi coinvolti nel vissuto di mutamento e di spaesamento (p.es. alcune sedie messe in fila, il riflesso del sole sulla strada, tre tavole bianche in un caffè), cfr. MEYERGRoss, Clinical Psychiatry, London 1958, p. 238.
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tocca, con[...]

[...]INO
tocca, con un certo compiacimento, la scrivania, la macchina da scrivere, il tavolo, ne descrive la materia. Poi prende in mano un portacenere e dice: « Adesso lo sento vivo nelle mie mani, so chi è di maiolica: prima sembrava finto ».
L'inizio della crisi di spaesamento, oltre che repentino, é — per riprendere la notazione di Camus — «derisorio », «miserabile »: tutto pub cominciare dal più ovvio e dal più banale, dai pomodori del mercato come — nell'avventura di Roquentin — dal sassolino della spiaggia. La destrutturazione dello sfondo di domesticità implica appunto questa continua dissipazione nel derisorio, questo restar senza margine di ripresa davanti a dati banali, senza potersi mai raccogliere in quel centro operativo che alimenta il suo calore esistenziale non soltanto con la intenzionalità attuale ma anche con le ovvietà immerse nell'ombra e nell'ombra guardiane di immensi tesori di fedeltà all'umano. Questa dissipazione nel «derisorio» manifesta il suo esatto significato se si tien conto che qui non é propriamente in giuo[...]

[...]he li sospinge verso il deforme e il mostruoso, accennando a caotiche mescolanze. Vien fatto qui di pensare alla «strano eccesso» della radice di castagno esperito da Roquentin, al minaccioso andar oltre di questa radice in una apparente (( dovizia» che tuttavia (( finiva per diventare confusione ». Ovvero vien fatto di pensare, sempre a proposito di Roquentin, alla irruzione del caos nella immaginata catastrofe del mondano, ai vestiti avvertiti come viventi, alla lingua che diventa un millepiedi vivo, all'occhio beffardo che la madre scopre nella screpolatura della carne rigonfia del suo bambino, all'apparizione dell'occhio di
pietra, del gran braccio tricorno, dell'allucegruccia, del ragnomascella. 'Ma per tornare al documento psicopatologico ecco co
me questa polarità di difetto e di eccesso di semanticità si riflette nel racconto reso da René, la schizofrenica di Mme Séchehaye (21:)
Per me la follia era come un paese, opposto alla realtà, dove regnava una luce implacabile, che non dava alcun posto all'ombra e che accecava. Era una [...]

[...]a che diventa un millepiedi vivo, all'occhio beffardo che la madre scopre nella screpolatura della carne rigonfia del suo bambino, all'apparizione dell'occhio di
pietra, del gran braccio tricorno, dell'allucegruccia, del ragnomascella. 'Ma per tornare al documento psicopatologico ecco co
me questa polarità di difetto e di eccesso di semanticità si riflette nel racconto reso da René, la schizofrenica di Mme Séchehaye (21:)
Per me la follia era come un paese, opposto alla realtà, dove regnava una luce implacabile, che non dava alcun posto all'ombra e che accecava. Era una immensità senza limiti, sconfinata, piatta, piatta, un paese minerale, lunare, freddo... In questa distesa tutto era immutabile immobile, irrigidito, cristallizzato. Gli oggetti sembravano disegni di uno scenario, collocati qua e là, come cubi geometrici che avessero perduto ogni significato. Le persone si muovevano bizzarramente. Erano fantasmi che circolavano in questa pianura infinita, schiacciati dalla luce spietata della elettricità. Ed io ero perduta lì dentro, isolata, fredda, nuda sotto la luce e senza scopo. Un muro di bronzo mi separava da tutto e da tutti. Nessun soccorso mi veniva da nessuno... In questo silenzio infinito e in questa immobilità tesa avevo l'impressione che
(21) SÉCHEHAYE, 1950, p. 20 sg. Anche nel caso di René l'accadere psicotico si inaugura con un inizio a derisorio »: essa infatti patisce il su[...]

[...]da tutto e da tutti. Nessun soccorso mi veniva da nessuno... In questo silenzio infinito e in questa immobilità tesa avevo l'impressione che
(21) SÉCHEHAYE, 1950, p. 20 sg. Anche nel caso di René l'accadere psicotico si inaugura con un inizio a derisorio »: essa infatti patisce il suo primo vissuto di irrealtà una volta, in campagna, udendo un canto di bambini tedeschi: n ...corsi nel nostro giardino e mi misi a giuocare per far tornare le cose come tutti i giorni » (p. 4).
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qualche cosa di spaventoso stava per prodursi, rompendo il silenzio: qualche cosa di atroce, di sconvolgente. Attendevo, trattenendo il respiro soffocata dall'angoscia, e nulla accadeva. L'immobilità si faceva sempre più immobile, il silenzio sempre più silenzioso, gli oggetti e le persone diventavano ancora più artificiali, staccati gli uni dagli altri, senza vita, irreali. E la mia paura aumentava, sino a diventare inaudita, indicibile, atroce.
La polarità di difetto e di eccesso di semanticità dell'universo in tensione, in quanto riflette [...]

[...]nto di sé, un esser esposti irresistibilmente alla perdita di qualsiasi intimità ed a un continuo deflusso dissipatore nel mondo esterno. Per tale connotazione é di particolare interesse il caso di una schizofrenica 'di Storch, che avvertiva t< di non essere più in vita per forza propria», e che viveva la distruzione della propria presenza a'1 mondo sotto la specie di un vero e proprio spossessamento: «Con uno sguardo possono prendersi il mio io come il mio mantello ». E ancora: «Non posso più avere per me nessun pensiero, e nasconderlo agli altri... Io mi perdo negli altri come se dovessi offrirmi come vittima ». L'alterità irrompe nella malata, senza lasciarle margine di libertà, e la malata defluisce nel mondo, é «fuori col vento» (22).
A partire dal vissuto di mutamento come ideale punto di riferimento per la comprensione delle varie modalità dell'accadere psicotico, può acquistare un rilievo dominante non tanto la incal
(22) STORCH, 1950, p. 286 sg.
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zante minaccia apocalittica che grava sugli oggetti, quanto piuttosto il già consumato annientamento del proprio corpo e della propria persona, il miserando nonesserci esistenziale di cui si porta il peso immane e la colpa inespiabile. Il trapasso dall'una all'altra accentuazione si rende particolarmente comprensibile in determinati casilimite fra le due. Diceva una malata di Esquirol[...]

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zante minaccia apocalittica che grava sugli oggetti, quanto piuttosto il già consumato annientamento del proprio corpo e della propria persona, il miserando nonesserci esistenziale di cui si porta il peso immane e la colpa inespiabile. Il trapasso dall'una all'altra accentuazione si rende particolarmente comprensibile in determinati casilimite fra le due. Diceva una malata di Esquirol: « Intendo, vedo, tocco, ma non sento come prima, gli oggetti non si identificano col mio essere, una nebbia cambia il colore e lo aspetto dei corpi» (23). E una malata di Janet, entrando a braccia tese nel laboratorio, come un cieco che procede a .tastoni: «E' come una nebbia, una nuvola davanti agli occhi che mi impedisce di vedere realmente le cose: mi sembra che le cose stiano per scomparire, che presto non vedrò più nulla e che sono sempre sul punto di diventare completamente cieca ». Qui la «malattia degli oggetti » (si ricordi il passo della Noia più sopra riportato: «La noia per me era simile a una specie di nebbia... ») accenna già ad una malattia del vedere, ad una sorta di cecità affettiva interiore. Se questo ritorno su di sé diventa dominante, l'accento dell'accadere psicotico cadrà non tanto sulla perdita degli oggetti quanto sulla propria [...]

[...] nebbia... ») accenna già ad una malattia del vedere, ad una sorta di cecità affettiva interiore. Se questo ritorno su di sé diventa dominante, l'accento dell'accadere psicotico cadrà non tanto sulla perdita degli oggetti quanto sulla propria miseria esistenziale. « Io non ho più cuore morale, c'è un velo fra me e gli oggetti», dichiarava un'altra malata di 'Lauret (24): nel contesto di questa notificazione la perdita del « cuore morale» non sta come una semplice metafora, ma propria come pregnante esplicitazione del mutamento di segno della stessa energia presentificante. Nel cosiddetto delirio di negazione il vissuto di annientamento esistenziale concerne innanzi tutto la propria personalità morale e intellettuale, per inve stire poi il proprio corpo, gli 'altri, il mondo. Non si ha più pensiero, cuore, sentimenti, nome, età; non si ha più stomaco, lingua, cervello, testicoli, sangue, pene; non si ha più parenti, amici; tutto porta il segno della morte, terra, stelle, alberi, stagioni. Nella perdita di ogni possibile progettazione secondo valori intersoggettivi, l'orizzonte [...]

[...]e e il nostalgico paradiso del
23) JANET 1928, II, p. 47.
24) JANET 1928, II, p. 51.
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l'esistenza si riduce alla struggente memoria del passato in cui il mondo c'era ancora, sino al momento in cui il tempo si é rattrappito e il divenire si é fermato. Ecco un esempio particolarmente rappresentativo di questo stato psicotico (25):
— Che età avete?
— Che ne so. Quando il mondo si è inabissato credevo di avere 52 anni.
Come vi chiamate?
— Mi facevo chiamare Celina... Ma ora non ho più nome.
— Siete sposata?
— Vivevo con un uomo chiamato Giovanni. Lo chiamavo mio marito, e non poteva esserlo. Avevamo stabilito di restare insieme 28 anni, sino alla fine del mondo.
— Avete figli?
— Avevo un figlio che dicevo il figlio di Giovanni, ma non era mio figlio.
— Che età ha vostro figlio?
— A quel momento [la fine del mondo] aveva 25 anni: è morto come tutti.
— Perché sembrate così inquieta?
— Ah! Quant'è sciocca, quant'è sciocca questa Celina, essa è dannata, essa ha ucciso tutti.
Diceva una malata di Janet: «Avvenga qualunque cosa, non importa quando, questo non mi riguarda, il tempo non esiste per me in nessun modo, il mio orologio rotto segna sempre la stessa
ora ». Ma la stessa malata non mancava di contrapporre nostalgicamente al suo tempo rattrappito, quella fluido che aveva smar
rito, cioè «il tempo dell'anima, irregolare per eccellenza », nei quale «si può vivere un minuto terrestre che valga per noi un numero incalcolabile di[...]

[...]resì il compito di indicare quando questo messaggio é incerto o assente, e quando infine, nel silenzio di ogni effettiva comunicazione, ricalca i modi stessi della crisi: ma proprio per assolvere questo compito, lo storico della cultura e l'antropologo non possono non avvalersi del sussidio euristico del documento psicopatologico.
D'altra parte il confronto della apocalittica d'oggi con le apocalissi psicopatologiche giova a mettere in evidenza come nella
apparizioni post mortem di Gesù agli apostoli e ai discepoli. Ma questi « ritorni del mortorisorto », che indirettamente testimoniano di una apocalisse imminente che rischiava di non lasciar più nessun margine operativo mondano, appaiono nel Vangelo riplasmati nel senso di restituire progressivamente respiro a quel margine, e di consentire quindi il dispiegarsi di una « civiltà cristiana ». Così l'Ascensione chiude il ciclo delle apparizioni di Gesù, suggellandone la fine con l'invito di non guardar più verso il cielo nell'attesa dell'immediato compimento della promessa: e con l'ultima[...]

[...]gellandone la fine con l'invito di non guardar più verso il cielo nell'attesa dell'immediato compimento della promessa: e con l'ultima apparizione di Gesù non la data della parusia viene comunicata, ma l'annunzio di una opera da compiersi sino agli estremi confini della terra mercè dello Spirito Santo e della dynamis da esso conferita. In questa riplasmazione gli stessi « ritorni del mortorisorto » vissuti nel periodo della crisi vengono assunti come prova della Risurrezione, e l'ultima apparizione e la Pentecoste acquistano il significato di garanzia del ritorno definitivo di Gesù, senza dubbio certissimo, ma abbastanza indeterminato nel suo « quando » da lasciare aperta l'epoca della testimonianza cristiana in questo mondo, l'epoca della Chiesa di Cristo. Si venne così istituendo quella caratteristica tensione cristiana fra il « già » avvenuto (la morte, la risurrezione, la promessa del Cristo) e il « non ancora » (la seconda parusia), una tensione nella quale si iscrive il «
qui » e l'« ora» della testimonianza nel mondo, secondo una [...]

[...] mondo ovvio, familiare, appaesato, abitudinario, quotidiano. Senza dubbio la deliberata rimessa in causa di ogni feticizzazione naturalistica del mondo, la presa di coscienza che l'uomo non é riducibile ad oggetto fra oggetti, l'attiva demistificazione di quanto a noi si presenta col pigro prestigio dell'autorità e della tradizione, la deliberata riconquista della soggettività variamente alienata, costituiscono un salutare esercizio in un'epoca come la nostra: in un'epoca, cioè, in cui le contraddizioni della società borghese, i pericoli connessi alla feticizzazione della tecnica, all'uomomassa e alla smaniante mediocrità del scñorito satifecho, e infine la difficoltà di adeguare il quadro dei valori alle rapidissime trasformazioni dei regimi tradizionali di esistenza, prospettano il non eludibile compito di una più umana valorizzazione dell'ordine economico e sociale e la fondazione di una consapevolezza umanistica che, al di là dei prestigi ineccepibili e irreversibili della tecnica e della scienza, preveda e legittimi altre valorizzaz[...]

[...]anano da noi... Questo spessore e questa estraneità del mondo, ecco l'assurdo.
((Per un istante, noi non lo comprendiamo più)): ma questo istante critico racchiude già una possibilità di dilatazione morbosa, cioè di declinarsi secondo le modalità delle apocalissi psicopatologiche, dato che queste apocalissi irrompono appunto quando su tutto il fronte dell'operabile vengono meno le «figure » e i ((disegni », cioè le varie intenzioni, che stanno come appoggio latente e come fedeltà implicita di una particolare esplicita problematiz
(31) CAMUS, Op. dt., p. 28.
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zazione e di un particolare esplicito impegno operativo secondo valore: quando cioè viene meno, o recede, o si destruttura, la stessa potenza della vita culturale, lo stesso ethos primordiale che, novello Atlante, sostiene il cielo e gli impedisce di precipitare sulla terra. L'artificio di cui parla Camus non è che la stessa possibilità della cultura umana: e la confessione che ormai ci mancano le forze per adoperarlo pub acquistare il pericoloso senso che la cultura è ormai irrevo[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte seconda: Orgosolo e lo stato in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]lmente, a penetrarlo: si sono limitati dapprima ad attaccarlo, costretti a tenerlo a bada circondato con truppe; a contenerlo poi, una volta occupato, con un continuo regime di polizia. Da secoli i rapporti tra Orgosolo e lo Stato sono fondamentalmente gli stessi: conflitti, guerre, tensione, ostilità.
Questo assedio militare e poliziesco ha un'importanza decisiva per la storia del paese: da un lato ne assicura, ne conserva la vita antichissima come in un paradossale museo; dall'altro ne rende permanente, ne stabilizza la turbolenza.
Se la turbolenza di Orgosolo ha radici nella struttura economica e sociale odierna comune a tutto il mondo dei pastori di Barbagia e si manifesta in forme proprie e gravi per la sopravvivenza di residui di
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una struttura economica e sociale più antica, di un mondo di « cacciatori », proprio l'assedio militare e poliziesco — questo anello che impe
disce apertura, scambio, trasformazione è il fattore decisivo che
consente quella sopravvivenza e fa si che il paese rimanga oggi una eccezi[...]

[...] Dindorf. Vol. II, /889, Lipsia, Teubner, VIII, 17, p. 22627.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 147
ritirati, certo sconfitti, di fronte alla difficoltà della repressione (4). Stra bone, per il 6020 a. C., scrive: «I comandanti di polizia che sono loro opposti in parte provvedono ed in parte negligono anche perché non si può tenere a lungo le truppe in si infette terre. Resta la stagione calda per condurre le spedizioni. Aspettano allora quando i barbari, come é loro costume, si riuniscono in banchetti, ed assalitili con questo stratagemma, molti ne conducono in cattività » (5). Una successiva spedizione militare e di polizia é indicata da Tacito nel 19 d. C. quando parla di 4000 Ebrei deportati in Barbagia per distruggere « briganti s> (6). Giustiniano, il 435, tra le sue leggi, stabilisce che il territorio sia circondato da una cintura militare permanente (7).
Per il periodo bizantino (VVI sec. d. C.) il papa Gregorio I Magno ci informa che una campagna militare e di polizia fu quivi condotta dal generale Zabarda dal 594 al 599 d. C. (8).
Si tr[...]

[...]orio I Magno ci informa che una campagna militare e di polizia fu quivi condotta dal generale Zabarda dal 594 al 599 d. C. (8).
Si tratta, sino a qui, di azioni contro tutto un territorio, contro popoli stranieri.
Per il periodo dell'autonomia sarda o del regno dei Giudici di Sardegna (IV sec. 1410) sappiamo che in questo periodo Orgosolo entra a far parte per la prima volta di un vero e proprio Stato, il Giudicato di Arborea (ma non sappiamo come), ed é allora certamente che per la prima volta si costituiscono veri e propri rapporti, codificati, tra il paese e lo Stato. E da questo periodo non abbiamo che notizie di polizia.
Confrontando l'Atto di pace del 1388 tra Eleonora Giudichessa di Arborea e don Giovanni di Aragona (in cui si nomina per la prima volta esplicitamente Orgosolo) (9) con il contemporaneo codice legislativo della « Carta de Logu » (10), sappiamo che esisteva nel paese, formalmente, un posto di polizia con un « Majore de villa » e cinque
(4) ib. Titi Livi ab Urbe condita a cura di Wilhelm Weissenhorn. Vol. V, 1899,[...]

[...]ecc. Graegori 1 Papae Registrum Epistolarum a cura di Paul Ewald, Berlino, Weidmann 1887, Liber I, p. 260261.
(9) cfr. p. 83.
(10) cfr. p. 52, n. 8.
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« Juratos » che lo aiutavano. Sappiamo, sempre dalla « Carta de Logu » quali fossero i compiti specifici di questo corpo: perseguitare, catturare e condannare omicidi, grassatori, uccisori e danneggiatori di bestiame, ladri di campagna e di abitazioni, incendiari; perquisire come misura preventiva contro i furti tutte le case, una volta al mese quelle di semplici cittadini, due volte al mese quelle di sospetti; ed, infine, assicurare qualche riscossione di tributi. La situazione della criminalità locale, molto grave, può desumersi, indirettamente, dalla gravità delle pene cornminate dalla « Carta de Logu »: per l'omicidio la decapitazione; per le ferite taglione e pene pecuniarie; per la grassazione la forca; per il furto pene pecuniarie, l'estrazione di un occhio, l'accecamento, la forca; per i danneggiamenti di bestiame e di campagna taglione e pene pecuniarie; per [...]

[...]te, dalla gravità delle pene cornminate dalla « Carta de Logu »: per l'omicidio la decapitazione; per le ferite taglione e pene pecuniarie; per la grassazione la forca; per il furto pene pecuniarie, l'estrazione di un occhio, l'accecamento, la forca; per i danneggiamenti di bestiame e di campagna taglione e pene pecuniarie; per gli incendi taglio della mano, rogo, pene pecuniarie ecc.
I paragrafi 6 e 7 della « Carta de Logu » ci fanno intendere come, in quel momento, altrettanto, il rapporto tra lo Stato ed il paese si configura per la prima volta come problema del «banditismo ». Il banditismo, infatti, non é un fenomeno che si generi immediatamente, direttamente dalla struttura economica e sociale locale in sé isolata come la « vendetta » e la «bardana », ma è solo un prodotto dell'incontro, dell'attrito tra l'antica struttura economica e sociale indigena e quella nuova ed estranea dello Stato.
In quei paragrafi per la prima volta compare la definizione giuridica statale di bandito (« isbandidu »). Era tenuto per tale ogni accusato di reato che si sottraesse a giudizio o, catturato, evadesse. Si imponeva a tutto il paese, insieme al corpo di polizia, l'obbligo di catturare il
bandito entro un mese, pena, altrimenti, una multa di 100 lire sarde per la collettività, 10 per il Majore e 5 per ogni Juratu. I beni [...]

[...]OSOLO 149
ni poi, una profonda trasformazione viene a colpire la vita del paese. I pastori, che sino a quel momento usavano liberamente del pascolo, devono ora, per « diritto », pagare un tanto per capo al signore, oltre ad altri diritti che abbiamo elencato in altro luogo (11). Questo rapporto provoca una crisi di sistema che porta con sé, per secoli, un aggravamento generale della situazione criminale. Per il periodo del feudalesimo spagnolo, come per quasi tutti i paesi di Sardegna, non abbiamo documenti particolari per Orgosolo, e, naturalmente, di polizia, poiché gli spagnoli per prudenza li avevano distrutti o trasportati nella loro terra. Ci possiamo fare però un'idea abbastanza precisa dei vaghi rapporti tra Orgosolo e lo Stato, studiando le leggi criminali spagnole e qualche superstite editto particolare, le « grida ».
Come é noto, il sistema di giustizia spagnolo si preoccupava soprattutto della riscossione di tributi. La giustizia era affidata privatamente ai signori, rappresentati da un delegato locale che la amministrava in Curie private e la faceva eseguire da milizie private. Non c'é bisogno di dire di che specie di giustizia si trattasse. Non dissimile deve essere stata la vita di Orgosolo da quella di tutti i paesi della Sardegna sotto quel tristo potere spagnolo. Il sistema abituale di procedura, si sa, era solo la tortura. Le pene, quelle della « Carta de Logu » che gli spagnoli avevano lasciato in Sar[...]

[...]e condannato, pur non sapendolo si sottraesse, o, se catturato, evadesse. I suoi beni andavano al signore, al Delegato, agli sgherri (Prammatica 26, 1). Tali «banditi », insieme a loro compagni considerati fuoriusciti (« foragits ») imperversavano in tutte le campagne. « Son le terre inquiete e tormentate da uomini facinorosi che vanno in squadriglie uccidendo, rubando senza fine » (Prammatica 26, 2). Il favoreggiamento di « tali banditi » era — come conferma la stessa Prammatica (26, 2) — « da parte di tutta la popolazione ». Era punito con 1000 ducati e 10 anni di galera, con l'esenzione dei soli parenti pros
(11) cfr. p. 8384.
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simi (Prammatica 26, 5). Innumerevoli «grida» proibivano di portare armi, di andare a volto coperto, con barbe lunghe. Due istituti parti colari : la « taglia » ed il « guidatico » sono i più importanti del periodo spagnolo. I « banditi » ritenuti tali erano proposti a pubblica punizione: tutti potevano colpirli impunemente e, portandoli vivi o morti, percepivano una « taglia » di 25 ducati[...]

[...]i spagnoli nel dominio della Sardegna (17211849) non avevano modificato in nulla il feudo, conservando persino 'i feudatari spagnoli e limitandosi ad introdurne altri piemontesi, né avevano modificato sostanzialmente il sistema locale di giustizia, conservando la « Carta de Zogu », le « Prammatiche », le Curie private e la polizia baronale. L'innovazione fondamentale del periodo piemontese consiste nel fatto che lentamente, al potere dei baroni, come non aveva fatto il re di Spagna, si va sostituendo il potere centrale, del re di Sardegna. E proprio nella lotta « al brigantaggio », divenuto in Sardegna sin dall'ingresso piemontese il problema più grave dell'isola, alle truppe dei baroni si vanno sostituendo, esautorandole, le truppe statali. Il ministro Bogino, uomo di punta della borghesia piemontese presso il re, è il promotore e l'organizzatore di grandi campagne contro « il brigantaggio n. 11 173537 il viceré marchese di Rivarolo conduce una vasta repressione, proseguita il 174851 dal viceré marchese di Valguarnera e ripresa ancora il[...]

[...] borghesi. Anche Orgosolo subisce il contraccolpo di questa situazione. Non abbiamo notizie sul paese per questo periodo ma la sua situazione ed il suo destino non possono essere diversi da quelli di tutti gli altri paesi di Sardegna. Il nome di Bogino, deformato in « bozzinu » significa ancor oggi in Orgosolo
boia » e « su re » (il re) significa principalmente « esercito ».
Interrotta dallo scoppio della rivoluzione francese (che in Sardegna, come in nessun'altra parte d'Europa, passa ignorata nelle campagne) e, successivamente, dall'ondata feudale della controrivoluzione europea, 'quella « primitiva accumul.ázioné borghese » riprende il 182131 solo sotto il regno di Carlo Felice, circondato quasi solo, ormai, da consiglieri borghesi. Poiché le truppe servono ora per la conquista di nuovi mercati in continente, per l'espansione della borghesia piemontese, né si può far conto della «leva » tra sardi, che viene adesso introdotta, la borghesia piemontese si 'serve in quegli anni dei criminali delle proprie prigioni organizzati in « Corpo [...]

[...]rietà privata », che deve servire a creare qui le condizioni « legali» per uno sviluppo locale della proprietà piemontese e per la creazione di una sarda. Si tenta con questo, anche, di formare una classe borghese indigena fedele e subordinata a quella piemontese. La legge delle «Chiudende» (1821) che consente la proprietà privata dei territori solo che siano cintati con muro, ' e le leggi di abolizione del feudalesimo (18311840) che riconoscono come solo 'diritto quello della proprietà privata, abolendo i vecchi codici ed uniformandoli
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con i codici piemontesi — a differenza di tutti i paesi di Sardegna —sembrano inoperanti in. Orgosolo. Non si può dire neppure che qui si verifichi un particolare incremento della turbolenza criminale, come avviene invece in tutti i paesi vicini, sintomo di una crisi di sistema paragonabile a quella dell'introduzione del feudo. Nessuna « chiudenda » si costruisce in Orgosolo per il collettivo rifiuto dei pastori che si vedono spogliati dell'antichissimo pascolo comune; né può dire che i pastori quasi si accorgano di essere stati liberati dal signore, il marchese di Orani, poiché i diritti che a lui pagavano devono ora pagare ad un altro signore, lo Stato, che li richiede come rimborso delle riforme (legge prediale) e per sue leggi generali.
L'ingresso e l'affermarsi della « proprietà privata »,[...]

[...] i paesi vicini, sintomo di una crisi di sistema paragonabile a quella dell'introduzione del feudo. Nessuna « chiudenda » si costruisce in Orgosolo per il collettivo rifiuto dei pastori che si vedono spogliati dell'antichissimo pascolo comune; né può dire che i pastori quasi si accorgano di essere stati liberati dal signore, il marchese di Orani, poiché i diritti che a lui pagavano devono ora pagare ad un altro signore, lo Stato, che li richiede come rimborso delle riforme (legge prediale) e per sue leggi generali.
L'ingresso e l'affermarsi della « proprietà privata », che coincide con l'inclusione della Sardegna nel nuovo Regno d'Italia (1849), e con l'inizio del nuovo periodo del dominio italiano é contrassegnato in tutta la Sardegna da una sempre crescente pressione fiscale, da una continua richiesta di soldati (per le guerre risorgimentali) e, contemporaneamente, da una sistematica spogliazione dei boschi e dallo scorporo di terreni comunali ad opera non piú di soli piemontesi ma di ogni sorta di italiani. Il paese di Orgosolo, come [...]

[...]lusione della Sardegna nel nuovo Regno d'Italia (1849), e con l'inizio del nuovo periodo del dominio italiano é contrassegnato in tutta la Sardegna da una sempre crescente pressione fiscale, da una continua richiesta di soldati (per le guerre risorgimentali) e, contemporaneamente, da una sistematica spogliazione dei boschi e dallo scorporo di terreni comunali ad opera non piú di soli piemontesi ma di ogni sorta di italiani. Il paese di Orgosolo, come ce lo descrivono per es. l'abate Angius ed il padre Bresciani il 1841 edil 1847 (13) rimane invece chiuso in sé, circondato di lontano da un assedio militare. Negli anni successivi, sino al 1880 circa, di fronte alle crescenti esigenze del nuovo Stato, il «brigantaggio » di Orgosolo diventa intenso, endemico (come ci fanno intendere le notizie generali) ed un assedio permanente rinchiude il paese, che si può dire il solo, o almeno il principale in Sardegna, che si sottragga, in qualche modo, alle tasse, alle leve, alla spogliazione dei boschi e dei terreni comunali, ancora oggi conservati.
La storia dei rapporti tra Orgosolo e lo Stato moderno, lo Stato borghese, — a differenza di tutti i paesi di Sardegna — si può dire che si apra non dal 1849 ma dal 1880 circa, in coincidenza con il passaggio della borghesia italiana nella fase imperialista. Compiuta l'unità italiana, la unificazione dei mercati naz[...]

[...]o di concorrenza con tutti i paesi europei, dopo la sconfitta in Abissinia — la borghesia italiana, necessitosa di conquistare
(13) cfr. pp. 8890 e p. 87.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 153
nuovi mercati, non trova altra via che quella di riversarsi nei proprio territorio in paesi o mercati « vergini » ancora ricchi o, meglio, non ancora troppo sfruttati, che può trovare ancora e solo nel Mezzogiorno e nelle isole. Orgosolo si presenta in quel momento come un paese o mercato « vergine », ricco, non troppo sfruttato. Il problema di conquistarlo si pone, innanzitutto, come problema di eliminare la turbolenza ed il brigantaggio secolare che ne impediscano l'ingresso e lo sfruttamento eventuale. E in questo momento che la borghesia italiana, tramite lo Stato che controlla, inizia nei riguardi di Orgosolo una politica continua di guerra, di guerra coloniale — o, se si vuole, subcoloniale — che é quella, esattamente, che costituisce la storia « italiana » del paese dal 1880 circa sino ai nostri giorni. L'intensificarsi di questa guerra coincide sempre con i periodi di impoverimento nazionale, con i periodi di « ritorno in sé » dopo crisi economiche, guerre, ecc.: p[...]

[...]intensità di questa guerra è costituita dal fatto che si può dire anche direttamente proporzionale, con il sentimento nazionale: infatti, piú che in ogni altro sito d'Italia, il divario, tra classi ricche e classi povere, tra paesi e regioni ricche e paesi poveri — prodotto della formazione infelice dell'Unità d'Italia a vantaggio di una classe, la borghesia, e di un insieme territoriale, l'Italia settentrionale e centrale, — si presenta qui non come un contrasto di sole classi, di territori, ma, addirittura come un contrasto di vere e proprie civiltà, e un contrasto da sanare. Una civiltà allo stato primitivo si contrappone ad una civiltà evoluta nell'ultima fase borghese.
Si può trovare una legge fissa delle crisi; ne elenco qui le principali: In coincidenza con la crisi economica dal 1880, dopo la guerra di Etiopia, sino al 1900, assistiamo ad una guerra dello Stato contro 200 bande di orgolesi e barbaricini che da tutta la regione si concentrano, come estrema roccaforte, nel territorio di Orgosolo. Tutti i sistemi della guerra coloniale vengono impiegati dallo Stato. Si usa l'esercito e la polizia con battaglie campali come quella svoltasi nella foresta orgosolese di Murgugliai il 1899 tra 200 soldati, poliziotti e carabinieri contro la banda dei briganti SerraSanna di Nuoro e Giuseppe Lovicu di Orgosolo. Negli scontri, durati per vent'anni tra lo Stato ed i pastori muoiono oltre 100 carabinieri ed un numero imprecisato, di certo maggiore, di pastori.
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154 FRANCO CAGNETTA
Interi paesi nel 1899 vengono rastrellati e deportati, ed in una sola volta sono presi nella regione e nel paese di Orgosolo 800 uomini, donne e bambini, di cui 790 sono poi rilasciati. I tribunali, che condannano indiscriminatamente, siedo[...]

[...]é la situazione presente del paese?
Ho cercato, nelle pagine che seguono, di ricostruirne l'ambiente attraverso alcuni dati, considerazioni e, soprattutto, attraverso testimonianze dirette di orgolesi, di cui posseggo il testo scritto o che mi sono state dettate e trascritte parola per parola. Sino ad oggi si é parlato in Italia degli orgolesi ma mai, se non nei tribunali o su qualche giornale sardo, hanno parlato gli orgolesi.
La situazione — come giudicherà il lettore é molto grave. I metodi di guerra coloniale usati dal nostro Stato contro il paese di Orgosolo ripugnano alla coscienza di ogni uomo civile. Dopo aver visto e constatato .direttamente nel corso della mia inchiesta non posso più sottrarmi con un silenzio che sarebbe un reato.
INCHIE'STA SU oRCOSbLo 155 '
ELENCO DEGLI OMICIDI AVVENUTI IN ORGOSOLO
NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI (195054)
1950
1) Floris Antonio Maria, pastore, 1' 18 aprile 1950.
2) Massola Giovanni, contadino, t maggio 1950.
3) Pichireddu Maria Antonia, casalinga, t 1 luglio 1950.
4) Biscu Alfonso, pastore[...]

[...]le, pastore, ad anni 30.
2) Dettori Giuseppe, pastore, ad anni 30.
158 FRANCO CAGNETTA
3) Piras Antonio, contadino, ad anni 17.
4) Catgiu Salvatore, bracciante, ad anni 19.
5) Lereu Giovanni Andrea, pastore, ad anni 20.
6) Moro Pasquale, pastore, ad anni 26.
E altri.
ET.FNCO DEI LATITANTI DI ORGOSOLO NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI
(195054)
Gli orgolesi alla macchia, di volta in volta, devono considerarsi quasi tutti gli uomini di Orgosolo o come dogau (latitanti per timore di essere perseguiti) o come latitanti veri e propri. Pertanto un catalogo esatto e stabile si rende impossibile.
Tra i latitanti veri e propri hanno avuto fama negli ultimi anni :
1) Liandru Giovanni Battista, pastore, arrestato.
2) Dettori Giuseppe detto Liandreddu, pastore, arrestato.
3) Floris Antonio Maria, pastore.
4) Floris Raffaele, pastore.
5) Tanteddu Pietro, pastore, deceduto.
6) Tanteddu Pasquale, pastore.
Attualmente sono latitanti ed hanno fama :
I) Tanteddu Pasquale.
2) Floris Raffaele, dogau.
Per « favoreggiamento » di banditi si possono considerare, di volta in volta, colpiti da arresto, confi[...]

[...] 1953). Queste opinioni razziste trovavano sviluppo nella richiesta dell'applicazione di sistemi coloniali : il Prefetto di Nuoro, dott. Goffredo Volpes, dichiarava che, riprendendo i metodi di Mussolini, si poteva ottenere la pace impiccando i banditi sulle piazze e deportando gli orgolesi in continente (Messaggero, 1 dicembre 1953); il Questore di Nuoro, dott. Cassiano Scribano, dichiarava che bisognava aggravare le misure di polizia ed usare, come qualcuno gli scriveva, i lanciafiamme (Messaggero, 29 dicembre 1953); il giornale governativo Il Messaggero, con articolo di fondo, richiedeva una spedizione punitiva contro Orgosolo del tipo di quelle condotte nel Gebel dal « maresciallo » Graziani (1 dicembre 1953); ed il Quotidiano sardo, con articolo di fondo, proponeva : « Spazziamo Orgosolo! Facciamola scomparire come entità geografica » (27 novembre 1953).
INCHIESTA SU ORGOSOLO 161
Non c'è da stupirsi perciò se troppo spesso si sentono da alcuni carabinieri, poliziotti e funzionari mandati in Orgosolo giudizi su quella popolazione come, ad es.: « razza criminale », « sangue assassino », « delinquenti nati », « belve umane », ecc.
Da 50 anni é questo il principale clima ideologico e la quasi sola preparazione culturale di quanti lo Stato italiano invia a rappresentarlo, a combattere i crimini, a tutelare la legge.
I metodi di prevenzione e di repressione dei frequenti delitti di Orgosolo trovano troppo spesso giustificazione in teorie razziste e la loro pratica è coloniale.
Durante il corso della mia inchiesta ho raccolto molte testimonianze di orgolesi che qui pubblico in n. di 25 e che, più di ogni spiegazione, provano [...]

[...] della polizia per casi isolati e contro efferati delinquenti, ma per tutto, un paese e contro pacifici cittadini. Si tratta quasi di un sistema. Queste dichiarazioni raccolte da ogni parte — da uomini e donne di ogni eta e di ogni ceto sociale — erano più numerose ma non posso pubblicarle tutte poiché alcuni temono, con la pubblicita, rappresaglie. Rendo onore a questi orgolesi che, in una situazione di terrore, hanno voluto parlare e li indico come esempio di alto sentire civile e di grande coraggio.
Il triste dibattito che sono costretto a riaprire (e che nel passato e nel presente troppe volte si é dovuto riaprire in Italia) chiama in causa i fondamenti stessi della nostra civilta, del nostro Stato: il rispetto della personalità, della liberta individuale, dell'integrita fisica dell'individuo. Chi li minaccia non sono soltanto i banditi e i criminali ma troppo spesso, purtroppo, anche molti carabinieri, poliziotti, coloro cioè che dovrebbero invece difenderli e tutelarli.
Per quanto quei diritti, conquistati in altro tempo dalla bor[...]

[...]ra stessa legislazione, col richiamo ad articoli (per altre ragioni formulati) che si definiscono u di urgenza », « di eccezione ».
Ma vediamo le manifestazioni piú evidenti di questa progressiva dimenticanza » nell'ambito della pratica usata contro Orgosolo: il quadro che ne risulta non é meno grave della pratica peggiore usata già da noi contro la Libia, l'Abissinia ecc.
La situazione criminale di Orgosolo per le ragioni più profonde e cioè, come abbiamo visto, per ragioni di struttura economica e sociale, è indublmente, molto grave: i delitti sono continui. Trascurando il problema dell'origine della criminalità, del suo nascere dalla struttura economica e sociale, lo Stato italiano si preoccupa invece e soltanto del locale « banditismo », dei « banditi » che esistono in Orgosolo: del fenomeno piú appariscente della situazione cioè, e del piú apparentemente comprensibile, poiché si verifica anche in altre regioni, ma che, certamente, è, al tempo stesso, l'aspetto derivato, secondario, « superficiale ». Trascurando il problema dell'ori[...]

[...]i.
Per lo Stato questi banditi costituiscono un solo problema veramente grave: essi non sono odiati dalla popolazione ma, direi, amati: ricevono protezione, aiuto, quasi da tutti. E questo, certamente, il solo problema veramente grave per lo Stato.
Il suo compito principale che consiste (o dovrebbe consistere) nell'isolare dalle popolazioni quei banditi, nel conquistare l'appoggio della popolazione contro i banditi, si cerca oggi di ottenere — come già ieri nell'Africa italiana — con i seguenti sistemi:
Stato d'assedio periodico e rastrellamenti generali
E misura che, di tanto in tanto, è presa in Orgosolo in occasione di delitti che colpiscono i « bianchi », cioè continentali, rappresentanti di forze di polizia, o, secondariamente, amici dei «bianchi »; confidenti di polizia. L'elencazione di questa misura dal 1880 ad oggi comprenderebbe troppe pagine. Mi limito qui ad indicare gli esempi ultimi e più gravi:
1) I1 20 dicembre 1949, in occasione di un omicidio di un proprietario di Orotelli, 150 carabinieri armati di mitra e di fucil[...]

[...]i vengono caricati su 15 camions, 20 camionette e qualche automobile e condotti nelle carceri di Nuoro. « Un arresto in massa che ingorgò le carceri — scrive il giornale l' Unione sarda —. Il registro di matricola carceraria era illeggibile per la fretta con la quale si era dovuto compilarlo per il fermo di quasi tutto il paese ». Dopo giorni o mesi di carcere 200 uomini venivano rilasciati e
12 inviati a confino, senza avere commesso il fatto, come poi risultò da sentenza della Corte di Assisi di Sassari.
3) 1 gennaio 1954. 500 carabinieri ed agenti di polizia, in occasione dell'omicidio dell'ing. Capra, armati di mitra e fucili, circondano il paese di notte. Sono perquisite tutte le case, compresa quella del sindaco. Centinaia di uomini, condotti a mano in alto sotto la minaccia delle armi vengono stipati nel caseggiato scolastico. Gravissimi maltrattamenti avvengono durante il rastrellamento, come dalle accluse testimonianze nn. 1624.
Le donne sono tenute in casa sotto la minaccia delle armi. Dopo controlli sommari sono fermati, si [...]

[...]sultò da sentenza della Corte di Assisi di Sassari.
3) 1 gennaio 1954. 500 carabinieri ed agenti di polizia, in occasione dell'omicidio dell'ing. Capra, armati di mitra e fucili, circondano il paese di notte. Sono perquisite tutte le case, compresa quella del sindaco. Centinaia di uomini, condotti a mano in alto sotto la minaccia delle armi vengono stipati nel caseggiato scolastico. Gravissimi maltrattamenti avvengono durante il rastrellamento, come dalle accluse testimonianze nn. 1624.
Le donne sono tenute in casa sotto la minaccia delle armi. Dopo controlli sommari sono fermati, si vedrà, un 14enne, un deficiente ecc. Il racconto di questo avvenimento si ricostruisce dalle testimonianze da me raccolte.
Battute periodiche e perquisizioni in campagna
Le battute e le perquisizioni in campagna sono all'o.d.g.: a scopo « preventivo » o « repressivo ». Quello che può avvenire é, per es., dichiarato nelle testimonianze n. 1624. Si svolgono con una periodicità di 1520 giorni. È tale la situazione che gli uomini, per paura, per lunghi giorni[...]

[...]ruisce dalle testimonianze da me raccolte.
Battute periodiche e perquisizioni in campagna
Le battute e le perquisizioni in campagna sono all'o.d.g.: a scopo « preventivo » o « repressivo ». Quello che può avvenire é, per es., dichiarato nelle testimonianze n. 1624. Si svolgono con una periodicità di 1520 giorni. È tale la situazione che gli uomini, per paura, per lunghi giorni non vanno in campagna. E la disoccupazione forzosa che ne consegue, come si può pensare, è forte spinta ai crimini.
Altre misure generali sono:
Rilievo di foto, impronte digitali e cartellini segnaletici di tutta la popolazione
Dal 3 marzo c. a. in tutta la provincia di Nuoro la polizia costringe cittadini incensurati e pregiudicati a farsi fotografare negli uffici di p. s. con un cartellino numerato attaccato al collo, dopo di che si procede a rilievo di impronte digitali e dati di identificazione. Queste misure di guerra, perfettamente inutili in una zona in cui manca una polizia « scientifica » ed i cui reati più frequenti sono omicidi di lontano e
INCHIEST[...]

[...]ettamente inutili in una zona in cui manca una polizia « scientifica » ed i cui reati più frequenti sono omicidi di lontano e
INCHIESTA SU ORGOSOLO 165
furti di pecore, hanno sollevato fortissima indignazione tra la popolazione. Lo ha denunciato per es. alla Camera dei Deputati l'on. Ignazio Pirastu il 9 marzo 1954.
Cani poliziotti
Da qualche anno in Orgosolo la polizia é stata dotata di cani poliziotti per snidare a banditi ». Abbiamo visto come Manio Pomponio li avesse usati con poco risultato il 231 a. C. In una situazione in cui il delinquente muta continuamente, sono inutili. Di contrapposto, e con migliori risultati, gli orgolesi hanno, per es., addestrato cani che, in paese
o in campagna, abbaiano solo alla vista di una divisa. Un cane poliziotto costa allo Stato, per mantenimento, L. 400 giornaliere : il salario di un bracciante in Orgosolo é di L. 400. Attualmente i cani sono 10
o 15: potrebbero con quella spesa vivere 10 o 15 disoccupati. E si eviterebbe uno spettacolo che ricorda inoltre, le SS. di macabra memoria. come h[...]

[...]trapposto, e con migliori risultati, gli orgolesi hanno, per es., addestrato cani che, in paese
o in campagna, abbaiano solo alla vista di una divisa. Un cane poliziotto costa allo Stato, per mantenimento, L. 400 giornaliere : il salario di un bracciante in Orgosolo é di L. 400. Attualmente i cani sono 10
o 15: potrebbero con quella spesa vivere 10 o 15 disoccupati. E si eviterebbe uno spettacolo che ricorda inoltre, le SS. di macabra memoria. come ha avuto a denunciare al Senato l'on. Emilio Lussu il 16 dicembre 1953.
Sistemi di inquisizione della polizia. Fermi, arresti, maltrattamenti, tortura, perquisizioni domiciliari
La grave situazione, comune in tutt'Italia, determinata dal fatto che la polizia troppo frequentemente si sostituisce alla magistratura, assumendosi le attribuzioni che a questa spettano nelle limitazioni del fermo, arresto ecc., nella istruttoria delle testimonianze, confronti ecc. si riproduce, dilatata, in Orgosolo. Questo può spiegare, in piccola parte, come nel corso delle inquisizioni sommarie possa giungersi [...]

[...]izione della polizia. Fermi, arresti, maltrattamenti, tortura, perquisizioni domiciliari
La grave situazione, comune in tutt'Italia, determinata dal fatto che la polizia troppo frequentemente si sostituisce alla magistratura, assumendosi le attribuzioni che a questa spettano nelle limitazioni del fermo, arresto ecc., nella istruttoria delle testimonianze, confronti ecc. si riproduce, dilatata, in Orgosolo. Questo può spiegare, in piccola parte, come nel corso delle inquisizioni sommarie possa giungersi a casi di maltrattamento, di tortura, di sevizie come comprovano le testimonianze da me raccolte. Casi di abusi sono documentati, di tanto in tanto, nei tribunali sardi.
L'indifferenza di una parte della magistratura, che qualche volta, purtroppo, abdica ai suoi diritti e alle sue competenze, è causa, altrettanto, della gravità della situazione.
Far() qui, ad es., il caso speciale delle perquisizioni domiciliari, ad una delle quali ho personalmente assistito in Orgosolo : per quanto si tratti di azioni formalmente legali é presto evidente che nella smodata pratica che se ne fa risultano contrarie allo spirito di giustizia.
Le perquisizioni ne[...]

[...]a colpi di calcio di mitra cominciano a bussare e quasi abbattono la porta. «Chi è? Chi è? ». «Aprite o vi arrestiamo tutti! ». Entrano: Qui c'è il latitante! Vi mandiamo in galera tutti ». « Questo solo sapete dire agli orgolesi ». Cominciano a perquisire e trovano una borraccia: « Questa è la prova della presenza del latitante ». « Ma una borraccia può averla chiunque! ». I carabinieri stessi ridono. Gli orgolesi restano freddi, impenetrabili, come inglesi. « Signorina, vi abbiamo disturbato presto questa mattina. Stavate facendo bei sogni? ». «Stavo sognando che mandavano i carabinieri di Orgosolo all'ergastolo ». I carabinieri smettono di ridere. Entrano anche nella stanza dove dormo. E c'era un « pistola » di macchina cinematografica. « È un mitra! Correte! È un mitra! ». E' un pezzo di macchina cinematografica ». Se ne vanno senza salutare. Perquisiscono ora le case vicine. Bussa a calcio di mitra, ribussa. « State zitti, per carità. Ci sono due bambine ammalate ». « E noi entriamo lo stesso. Per questo non muoiono... ». Continuano [...]

[...]da 1 a 5 anni, in una colonia penale speciale dello Stato (Ustica ecc.) o in un comune diverso da quello di residenza.
Questi provvedimenti non colpiscono coloro che sono autori di un reato, ma coloro che sono sospettati di esser autori di reati, o che potrebbero diventarlo. La larghezza di reati contemplati da questo Tribunale speciale è, altrettanto, un indice del suo grande potere. Per l'ammonizione (secondo l'art. 165), si contemplano reati come omicidio, grassazione, furto, resistenza all'autorità ecc.; per il confino gli stessi (secondo l'art. 165), oltre la trasgressione all'Ammonizione (art. 181,1) e un reato chiaramente politico che consiste nel: « proposito di svolgere una attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti dallo Stato o a contrastare o a ostacolare l'azione dei poteri dello Stato », (art. 182,3). Oggi si interpreta questo ultimo passo come « favoreggiamento di banditismo », benché, tra i numerosissimi reati citati nel testo non ve ne sia mai la menzione; e, per [...]

[...]e, furto, resistenza all'autorità ecc.; per il confino gli stessi (secondo l'art. 165), oltre la trasgressione all'Ammonizione (art. 181,1) e un reato chiaramente politico che consiste nel: « proposito di svolgere una attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti dallo Stato o a contrastare o a ostacolare l'azione dei poteri dello Stato », (art. 182,3). Oggi si interpreta questo ultimo passo come « favoreggiamento di banditismo », benché, tra i numerosissimi reati citati nel testo non ve ne sia mai la menzione; e, per la elasticità della formula, come scrive Mario Berlinguer, «qualunque irriverenza, qualunque molestia anche verso il più umile tra i pubblici ufficiali dovrebbe portare nientemeno che il confino di polizia » (14).
Ma vediamo, ora, le mostruosità giuridiche di questo Tribunale:
Innanzitutto esso non è composto da giudici naturali, magistrati, ma da membri della polizia: il, Questore, il Comandante dei Carabinieri, il Prefetto; un privato cittadino; cui si aggiungono due magistrati. Su denuncia del Questore — che diviene cosí insieme accusatore, inquisitore e giudice — l'imputato viene chiamato in questura per l'Am
(14) Mari[...]

[...]mera dei Deputati, pp. 1213.
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monizione; e per il Confino tradotto in stato d'arresto davanti alla Commissione.
La maggior mostruosità giuridica di questo Tribunale consiste nel fatto che per una condanna non si richiede la prova di reato ma (incredibile a dirsi) il solo sospetto di reato. Dice infatti testualmente la legge che con l'Ammonizione ed il Confino possono essere colpite « le persone designate dalla voce pubblica come socialmente pericolose » o «diffamate » (art. 164). Per « voce pubblica », di cui si rispetta sempre l'anonimato, devono intendersi abitualmente e quasi solo, nemici personali, confidenti di polizia. Devono essere molti — si giustificano i fautori: ma ci vuole poco a concertare molte di simili denunzie. In base a queste si umilia, si arresta un cittadino: e dando fede a una denuncia anonima, ad un nemico, a un confidente di polizia!
Non vi è bisogno di mettere in evidenza la mostruosità e la illegalità di questo principio che é un'aperta violazione di tutti i principi della attuale Costituzi[...]

[...]di Nuoro, dott. Luigi Pintor con una sentenza 5 giugno 1950 ne metteva in evidenza la incostituzionalità.
Ma vediamo quali altre mostruosità giuridiche ci presenta questo Tribunale nel simulacro di processo penale che conduce. Lascio qui la parola alla grande esperienza giuridica di Mario Berlinguer che piú volte con i sen. Pietro Mastino, Spano e gli on. Lussu, Laconi, Pirastu ecc. si sono battuti e si battono in Parlamento per l'abolizione: « Come può difendersi un innocente? Non si procede ad istruttoria. Il cittadino, spesso incensurato, vien tratto in arresto e, per il confino, tradotto davanti alla Commissione Provinciale. Il prefetto, il questore, il comandante dei carabinieri son coloro che lo hanno denunciato o che hanno impartito le istruzioni per la denuncia e diventano giudici. Testimoni? Prove a discolpa? Non conosco casi in cui un confinando abbia potuto presentarne in quel singolare giudizio. E come si svolge tale giudizio? Ah, si, vi è un difensore talvolta che di solito non conosce gli atti; egli può parlare, ecco tutto;[...]

[...]nnocente? Non si procede ad istruttoria. Il cittadino, spesso incensurato, vien tratto in arresto e, per il confino, tradotto davanti alla Commissione Provinciale. Il prefetto, il questore, il comandante dei carabinieri son coloro che lo hanno denunciato o che hanno impartito le istruzioni per la denuncia e diventano giudici. Testimoni? Prove a discolpa? Non conosco casi in cui un confinando abbia potuto presentarne in quel singolare giudizio. E come si svolge tale giudizio? Ah, si, vi è un difensore talvolta che di solito non conosce gli atti; egli può parlare, ecco tutto; ma poi viene allontanato dalla sala e si chiama il maresciallo dei carabinieri che ha presentato la denuncia, lo si consulta a porte chiuse, in assenza del difensore; e la commissione irroga
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il confino. È vero, esiste l'Appello. Il confinato fa appello alla Commissione centrale ed è proprio a questo punto che accade l'incredibile: il Prefetto, cioè colui che ha pronunziato la condanna trasmette gli atti alla commissione centrale con un suo p[...]

[...] ed è proprio a questo punto che accade l'incredibile: il Prefetto, cioè colui che ha pronunziato la condanna trasmette gli atti alla commissione centrale con un suo parere motivato sulla opportunitá che la commissione centrale confermi o meno il provvedimento. Immaginatevi voi un presidente di tribunale il quale scriva, ufficialmente, al presidente della corte che deve giudicare in secondo grado su una causa da lui decisa, consigliando la corte come deve regolarsi? Siamo nel caos del diritto processuale, nell'anarchia delle competenze, nel regno dell'arbitrio. Ma il culmine non è ancora raggiunto : si va ancora oltre poiché il prefetto, oltre a formulare il parere in favore di se stesso, non esita ad inserire nel suo rapporto alla commissione centrale nuove circostanze che non sono state vagliate dalla commissione di primo grado, senza naturalmente indicarne le fonti e spesso in contrasto con gli stessi accertamenti della polizia e dei carabinieri » (15). Istituto cioè tipicamente fascista. Non per niente il solo difensore di esso alla C[...]

[...]ssi accertamenti della polizia e dei carabinieri » (15). Istituto cioè tipicamente fascista. Non per niente il solo difensore di esso alla Camera e con aperta motivazione fascista è stato, appunto, il fascista on. Angioy del M. S. I. Con esso si può considerare imputato chi si vuole per « favoreggiamento di banditismo ». E, si noti, fa osservare ancora Mario Berlinguer che: « se taluno è chiamato in giudizio per rispondere di favoreggiamento non come sospetto ma sulla base di prove precise, lo si condanna a pochi mesi; la legge penale autorizberebbe un giudice inesorabile a giungere fino al limite massimo della pena : 4 anni. (art. 378 C. P.). Se invece è soltanto investito da un sospetto di favoreggiamento gli si irrogano 5 anni di confino » (16).
L'uso, anzi l'abuso smoderato che dell'Ammonizione e del Confino si fanno per il paese di Orgosolo è testimoniato ampiamente dagli elenchi premessi dei confinati ed ammoniti (17) e dalle accluse testimonianze n.18, 14, per es. che denunciano le gravi conseguenze nel paese. È la rovina economic[...]

[...]da un sospetto di favoreggiamento gli si irrogano 5 anni di confino » (16).
L'uso, anzi l'abuso smoderato che dell'Ammonizione e del Confino si fanno per il paese di Orgosolo è testimoniato ampiamente dagli elenchi premessi dei confinati ed ammoniti (17) e dalle accluse testimonianze n.18, 14, per es. che denunciano le gravi conseguenze nel paese. È la rovina economica per il pastore di Orgosolo che per presentarsi agli uffici di p.s. in paese, come prescritto, se è ammonito deve abbandonare il lavoro in campagna : il mestiere; e, ancora piú, se confinato deve abbandonare per anni le sue pecore, e senza sapere a volte, neppure a chi: intere famiglie risultano infatti confinate in Orgosolo!
Si consideri, ancora, che i maggiori latitanti, per es. Pasquale Tan
(15) ib. pp. 910.
(16) ib. p. 11.
(17) cfr. pp.
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teddu, sono diventati tali proprio per sottrarsi a questa imposizione. E se la delinquenza non trova incentivo in questo modo, lo trova altrettanto con il rancore che un innocente prova verso la polizia, lo Stat[...]

[...]fu per es. il 1905 in un famoso processo ad Oristano che ingenerò la « disamistade » di Orgosolo e nel quale si assolse l'assassino; e così é stato nel 1953 nel famoso processo di Cagliari per «Monte Maore » (Villagrande) e per « Sa verula », imbastito solo su basi indiziarie, e nel quale, solo in base ad un riconoscimento fotografico di un pregiudicato, Sebastiano Mereu, furono condannati all'ergastolo ben 11 orgolesi. Certamente molti di essi, come tutti sanno in Sardegna, sono innocenti: auguriamo che l'Appello saprà riparare a questi torti. Questo ha denunziato anche l'on. Velio Spano al Senato il 13 dicembre 1953.
Ostaggi
Da qualche tempo la polizia in Orgosolo ha iniziato una misura gravissima. I famigliari di un latitante, genitori, coniugi, figli (e senza distinzione di sesso e di età) vengono arrestati e deportati col. confino per « favoreggiamento ». Neppure nel medioevo la legislazione normale prevedeva per i famigliari prossimi un simile « reato », e tanto meno lo prevede il nostro Codice penale. La estensione di questa misu[...]

[...] vendette successive.
Oltre a queste cause di incremento del delitto dirette ed indirette
i confidenti odiati quanto nessun altro in Orgosolo, considerati quasi
spie dello straniero, Giuda del proprio sangue e del paese — sono il principale motivo degli omicidi. Negli ultimi 4 anni, sui 27 omicidi avvenuti in Orgosolo almeno 20 con certezza possono essere considerati esecuzioni di confidenti. E la loro morte é accolta quasi con soddisfazione, come l'esecuzione di una spia nemica in periodo di guerra.
Il parere degli orgolesi sui confidenti — ed il termine più ingiu
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rioso nel paese é appunto « s'ispia » — é qui espresso nella sua forma più abituale dalla acclusa testimonianza n. 9.
Oggi lo Stato per mantenere confidenti in Orgosolo spende forse la somma più alta che si impieghi per il paese: questo denaro, che potrebbe servire a migliorare la situazione di miseria, non si riduce ad altro che ad un involontario finanziamento di nuovi delitti.
Taglie sui banditi
Oltre ai confidenti non vi é probabilmente siste[...]

[...]esi.. Da questi risulta la composta dignità delle donne ed il calore scomposto di qualche indegno bellimbusto:
Carabinieri: — Venite con noi, che vi portiamo a Nuoro in macchina. Ragazze: — Non siamo abituate a trattare con voi e non ci piace stare con i carabinieri.
Carabinieri: — Ma guardateci, guardateci — e si arricciano i baffetti. Ragazze: — Le ragazze di Orgosolo non se la fanno con i carabinieri. Carabinieri: — Voi ci offendete. Badate come parlate!
Ragazze: — Lasciateci stare e rispettateci.
Carabinieri: — Siete più delinquenti degli uomini. Vi domeremo con lo strumento.
Ragazze: — Ma chi credete di essere, o vanitosi! Pensate a domare voi stessi con la giustizia.
***
Quale é la conseguenza di questa politica razzista, coloniale?
La divisione completa tra il paese e lo Stato, lo stato di vera e propria paura reciproca e continua che esiste tra la popolazione e le forze di polizia, la sfiducia completa degli orgolesi per ciò che é statale e non è orgolese.
E questo l'ambiente che genera essenzialmente il « banditismo ».
[...]

[...]roca e continua che esiste tra la popolazione e le forze di polizia, la sfiducia completa degli orgolesi per ciò che é statale e non è orgolese.
E questo l'ambiente che genera essenzialmente il « banditismo ».
Per la minima mancanza o reato commessi, per la minima minaccia o per il solo amichevole avviso che un nemico personale, un confidente, un poliziotto ecc. stanno per denunciarlo all'autorità statale, l'orgolese si dà alla macchia. Lo fa, come qui si dice (e questo denuncia chiaramente la situazione) non per sfuggire alla giústizia ma per « sfuggire all'ingiustizia ».
In Orgosolo esiste una intera categoria di incensurati, neppure a volte colpiti da misure di p.s., che vive in una singolare condizione di semilatitanza. Impauriti, si nascondono alla polizia e vivono tra il paese e la campagna le loro tristi giornate. La frequenza e l'estensione del fenomeno é cosí vasta che esiste a Orgosolo persino un termine speciale per indicare un semilatitante: su dogau. E si può dire che, almeno una volta nella vita, ogni orgolese, o quasi, s[...]

[...]la rapina (la bardana) : questo é il modo più largo, generale. Ma anche il ricatto é altrettanto largo, generale.
Ai proprietari della zona, piccoli o grandi, viene chiesto direttamente dal bandito o da chi per lui, di tanto in tanto, una somma in denaro, in bestiame ecc. secondo le possibilità. Il ricattato, nella stragrande maggioranza dei casi paga senza fiatare per evitare il sequestro di persona, l'omicidio. Ma, in verità, bisogna dire che come la rapina é ritenuta qui naturale, altrettanto si considera il ricatto in Orgosolo. Nessuno, o quasi mai, ricorre allo Stato.
Di fronte alle persecuzioni, ai mali enormi che vengono dallo Stato, persino il ricatto é considerato un male minore: una sorta di « tassa u che non si paga allo Stato ma si paga al bandito, e più volentieri poiché domani su di lui, si può, eventualmente, contare, mentre sullo Stato non si può contare purtroppo, né per protezione, né per la propria pace.
I rapporti tra la popolazione e il bandito in Orgosolo (e in generale in tutta la Barbagia) sono profondamente div[...]

[...]tare purtroppo, né per protezione, né per la propria pace.
I rapporti tra la popolazione e il bandito in Orgosolo (e in generale in tutta la Barbagia) sono profondamente diversi da quelli tra la
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popolazione ed il bandito di città. « Voi pensate probabilmente a un bandito della Barbagia nei termini in cui concepite un qualunque delinquente di città », ha detto Renzo Laconi. « Un delinquente in città non é riconosciuto come proprio dalla società che lo circonda, é isolato nella vita di un paese civile; ma per il bandito in Barbagia é un'altra cosa. La società lo riconosce come suo : non lo teme. Qui si parla dell'omertà che vi è intorno ai banditi e si pensa che tra questa società che circonda i banditi e i banditi stessi non vi é rottura morale. Ogni pastore sa che si potrà trovare nella situazione in cui dovrà diventare un bandito, e ogni bandito sa di non essere altro se non un pastore « sfortunato » che ha avuto una disavventura » (19) Ed il bandito nei lineamenti essenziali della tradizione di Orgosolo (e della Barbagia) non é un rinnegato del suo mondo. Diviene latitante per sfuggire solo alla legge dello Stato, ma si sente impegnato a rispettare la legge del[...]

[...]lie il galeotto che, se non ha vendette da compiere, torna pacifico alla sua vita, al suo lavoro. Essere stato latitante, essere latitante non ha significato di rimprovero, non é motivo che ripugna. Al contrario!
Il bandito anzi, in generale, viene persino eroizzato, mitizzato. Egli, se é libero, è una specie di rappresentante del potere esecutivo del paese contro il potere esecutivo dello Stato. È il « Giustiziere », iI « Vendicatore ». E qui, come in ogni società primitiva, conta sempre chi vince, chi è il più forte: e non é, quasi mai, lo Stato. Il bandito orgolese resta alla macchia anche 20, 30 anni. Lo aiuta, certamente, il
(19) Renzo Laconi Ignazio Pirastu, Il banditismo in Sardegna e le sue cause sociali. (Discorsi pronunciati alla Camera dei Deputati nelle sedute del 20, 25 maggio e del 3 giugno 1954). Tip. della Camera dei Deputati, pp. 5455.
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territorio; il Supramonte per es. Ma il latitante orgolese, per es., abitualmente non vive in campagna: ma in paese.
Per la enorme parentela che quasi sempre conta[...]

[...]osi; meandri; interrati e soffitti; botole ecc., costruiti di proposito. La protezione al bandito é tale, che egli pub, con qualcne precauzione, passeggiare persino per le vie del paese, sotto il naso di carabinieri e di poliziotti. E molto raro che il bandito sia denunziato, e, se questo avviene, avviene per beghe personali, non per timore od amore dello Stato.
Il silenzio di fronte alla polizia é legge generale, rispettata e fatta rispettare, come il « codice locale ». Non esiste probabilmente altro paese in Italia in cui il silenzio popolare — la omertà, per usare un termine statale — é tanto vasto. È il prodotto di una storia secolare, profondissima. « La verità — dichiarava per es. l'anno scorso il comandante dei carabinieri della provincia di Nuoro, magg. Onofrio Casano — é che interrogare gli orgolesi é perfettamente inutile. E tutto tempo perso. Anche messi davanti all'evidenza dei fatti gli orgolesi non parlano se non in un caso su dieci milioni. Essi si lasciano condannare a volte pur di non fare il nome di un bandito accusato.[...]

[...]n alibi fortissimo, meno uno. Messo a confronto con un teste, un cugino che diceva di odiarlo, riconosciuto, non avendo neppure accennato una risposta, benché non vi fosse nessuna prova contro di lui, questi era stato condannato. L'avvocato difensore, di fronte a quell'insano comportamento, era disperato. Il condannato sta due anni in carcere, poi scrive al Procuratore: ricorda, finalmente, dove si trovava il giorno della rapina : era andato a Macomer in treno, conservava il biglietto ferroviario, anzi era stato multato, aveva un testimone che lo poteva riconoscere, un prete che aveva viaggiato con lui. L'avvocato difensore, sia pur irritato contro lo stesso imputato, fa riaprire il processo: si constata che la multa, intestata al nome dell'imputato, corrisponde al giorno della rapina, il prete lo riconosce e viene assolto. In camera charitatis l'avvocato difensore ora chiede all'orgolese : « Come è possibile che tu avevi dimenticato un alibi così formidabile? ». « Eccellenza — risponde l'orgolese — io ho partecipato a quella rapina di cu[...]

[...]in treno, conservava il biglietto ferroviario, anzi era stato multato, aveva un testimone che lo poteva riconoscere, un prete che aveva viaggiato con lui. L'avvocato difensore, sia pur irritato contro lo stesso imputato, fa riaprire il processo: si constata che la multa, intestata al nome dell'imputato, corrisponde al giorno della rapina, il prete lo riconosce e viene assolto. In camera charitatis l'avvocato difensore ora chiede all'orgolese : « Come è possibile che tu avevi dimenticato un alibi così formidabile? ». « Eccellenza — risponde l'orgolese — io ho partecipato a quella rapina di cui ero imputato. Mio cugino, quello stesso che mi ha accusato, é partito per conto mio quel giorno in treno a Macomer, si é fatto multare dando il mio nome, si é fatto notare da quel prete. Se parlavo al processo la multa risultava ma il prete non avrebbe riconosciuto me, come ha fatto ora dopo due anni: avrebbe riconosciuto mio cugino che mi somiglia ».



da Osvaldo Bayer, Il cimitero dei generali prussiani in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...] in un angolo isolato. Un cimitero dimenticato e scomodo. Anacronistico. Una testimonianza di ciò che fu. I tedeschi cercano di nasconderlo con vergogna. Non figura in nessuna guida turistica. È un villaggio senza vita, di morti. Ciò spiega perché la ex grande capitale europea abbia una ferita che non si rimargina, una ferita per tutta la vita. Quelli che hanno assistito alla sua sconfitta non vogliono vivere di ricordi. E i giovani si dividono, come sempre, fra quelli che vogliono vivere la loro vita e quelli che combattono per un mondo nuovo.

Mi trovo di fronte alla tomba della famiglia Triitzchler von Falkenstein. Un perfetto monumento all’oblio. Le pareti scrostate del tempietto, le neglette corone d’alloro di ferro. Gli operai del cimitero italiani, portoghesi con senso pratico lo hanno scelto come deposito di falci e carriole e sacchi di concime. Mio generale! Generale Louis Triitzchler van Falkenstein, vi hanno proprio dimenticato! Neanche un soldato che sia venuto a portare un fiore al suo generale! E neppure i braccianti dei suoi antichi latifondi ad est dell’Elba si ricordano più del loro Junker, del loro « Giovin Signore ». Con tutto quell’orgoglio, con tutte quelle spalline dorate e gli stivali di cuoio, l’uniforme di taglio impeccabile e il suo monocolo in modo che l’occhio potesse lanciare fulminei sguardi di aquila! Dove è finito tutto questo? I suoi discorsi sulla patria e po[...]

[...]bre liturgia delle armi. Con una sola differenza: gli uni erano venditori, e gli altri compratori. Questi guadagnavano e quelli le facevano pagare ai loro popoli. Tutti insieme furono gli inventori dei « conflitti di frontiera », delle « provocazioni » e delle diverse teorie della cosiddetta « sicurezza nazionale ».

Il trionfo di Bismarck sulla Francia di Napoleone ih avrebbe avuto, perciò, funeste conseguenze per i paesi alleati dell’Europa, come per esempio l’Argentina. La tecnologia militare prussiana cominciò ad invadere i mercati dei nuovi paesi che si andavano liberando nel secolo xix. La sciagurata trinità di politica, militarismo e industria delle armi dell’epoca bismarckiana (l’autentica rivoluzione industriale bellica) impose a quei paesi il modello prussiano. « La Nazione in armi » ma non per contribuire alla soluzione dei problemi sociali, piuttosto per consolidare la « sicurezza interna », i privilegi di classe. Tutto è sicurezza: non solo l’industria, le materie prime, le rotte marittime, la rete fluviale e quella stradal[...]

[...]ere esempi di pace e di convivenza nel mondo intero. I Krupp ed i loro cannoni furono i veri padri dell’adozione del servizio militare obbligatorio in paesi che avrebbero potuto eliminare le frontiere fra di loro poiché non c’erano e non ci sono problemi di razza, di lingua, di cultura o di origine. I « cooperanti per lo sviluppo » mandati dall’esercito prussiano introdussero la tecnologia militare in quei paesi e li resero così dipendenti. Così come gli inglesi nella marina da guerra. Repentinamente, cominciarono a spuntare come funghi i conflitti fra popoli fratelli, e i cannoni di Krupp o i fucili di Mauser cominciarono a trovarsi faccia a faccia sulle montagne, nei boschi e nelle selve e nei fiumi dell’America Latina.

Durante il Secondo Reich, quello di Bismarck, il Ministero degli Aìfari Esteri si convertì in un centro di contatti rapidi ed efficaci fra le forze armate e l’industria bellica. Il potere politico ed il potere militare, a servizio del capitale armamentista. L’affare fu straordinario. Quell’« aiuto allo sviluppo » militare lasciò orme indelebili nella vita dei sudamericani. Nel mio paese nacque il [...]

[...]rio progresso della repubblica nel campo materiale, non ha perso di vista la necessità di fomentare e rafforzare lo stile militare, quello guerresco (...). Voglio qui spendere due parole sull’educazione militare dei soldati argentini. Tutto ciò che costituisce marce e sfilate è assai apprezzato a Buenos Aires. Fra noi tedeschi si parla troppo della severità delPistruzione militare; ebbene, prima di parlare dovrebbero andare in Argentina a vedere come vengono istruiti i soldati e come vengono esercitati!

Il maresciallo europeo, che qui si è compiaciuto per la buona riuscita che gli hanno fatto i soldati argentini, si esalta addirittura di puro godimento, quando descrive come vengono repressi gli operai in Argentina:

Questo paese è amministrato da un governo molto pratico e di ordine. Sinceramente, mi ha fatto molto bene vedere con che vigore reprime qualsiasi tentativo di creare disturbi nello sviluppo della vita pubblica. Nella darsena sud, alla foce del Riachuelo, era ancorata una nave piuttosto grande che, a quanto mi riferirono con eloquenti sorrisi, si stava poco a poco popolando di una ciurma fatta di carne da presidio che la polizia andava arrestando qua e là. Mi facevano notare, inoltre, che, quando si riempiva, cominciava un viaggio turistico verso la[...]

[...]oro comincia alle 6 di mattina e dura fino alle 6 del pomeriggio, con un’interruzione di un’ora e mezza a mezzogiorno. Il lavoro viene fatto a cottimo lavoro a cottimo = lavoro criminale —. Un lavoratore zelante può guadagnare « l’enorme » somma di 10 pesos di carta alla settimana, mentre le ragazze non più di 6 pesos. Si producono dodicimila paia di scarpe di corda al giorno. Cioè in Argentina non solo esistono grandi stabilimenti industriali, come in Europa, ma qui vi è, anche, il più grande sfruttamento del lavoro di donne e bambini (« Vorwàrts », 26.3.1892).

Durante tutta la permanenza in Argentina del maresciallo tedesco conte von der Goltz, il colonnello argentino José Felix Uriburu ne fu l’accompagnatore. Venti anni dopo, nel 1930, quel colonnello, ormai con i galloni di generale, realizzerà il primo « golpe » militare contro la democrazia argentina. Così il generale Uriburu ha vinto anche lui la sua guerra. Era un militare convinto che le guerre fossero utili all’umanità. Nel 1915, in un’analisi fatta a tavolino della guerra e[...]

[...], scriveva: « Ci fa piaceIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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re dichiarare che all’interesse militare che risveglia in noi questa guerra, va aggiunta una profonda attrazione che deriva dalla grandezza della lotta e dall’eroismo di coloro che l’affrontano ». Ovviamente, il generale Uriburu morì nel suo letto.

Lascio la parte più solenne del cimitero ed entro in un limbo: le tombe dei soldati. Centinaia e centinaia di morti allineati, come in fila per una parata. Solo che stanno in orizzontale e non c’è musica. E non ci sono nemmeno uccellini gorgheggianti e pianti. Soli con una luce grigia che si riflette fra nubi senza forma. Le lapidi sono corrose dal tempo. Fra poco finiranno nell’anonimato. Solo con un certo sforzo si possono ricostruire dei nomi: Anton Mayer, 17 anni; Eberhard Schmit, 18 anni; Josef Kronhuber, 20 anni. Centinaia di lapidi, ma in nessuna frasi come «mai con la frivolezza della plebe » (la plebe è frivola ma è quella che viene mandata al fronte), o come «a te l’immortale corona dell’onore». È strano» d’inverno le tombe restano per mesi coperte dalla neve e al posto delle lapidi ci sono dei buchi naturali, come se un calore interno sciogliesse una

o due dita di quella neve. È solamente una differenza di temperatura o c’è qualcosa di più, una protesta calda come il sangue o un grido disperato per uscire da sotto terra? Da quella terra con cui furono ricoperti quando cominciavano appena a percepire i profumi, ad accarezzare la pelle dell’amore, a guardare il cielo e ad ascoltare la pioggia? Non ho mai avuto il coraggio di farlo, ma un giorno mi piacerebbe gridar loro: andiamocene! Lasciate i generali nel loro cimitero! Disertate una buona volta! Disertare, la parola del coraggio civile e della ribellione! Ormai siamo a maggio e le api hanno cominciato a far dischiudere i fiori e ci sono labbra rosee e vino e sieste, e il lavoro e l’amicizia, e i figli[...]

[...]li della nave da guerra argentina « Libertad ». (Nei cantieri di Brema vengono costruite le fregate per l’Argentina, un affare importante che deve essere curato con attenzione attraverso le relazioni pubbliche). Il giorno del ricevimento, un numeroso gruppo di studenti tedeschi si mette di fronte alla nave da guerra argentina ed inalbera uno striscione con una sola parola: mòrder. Ci sono 63 tedeschi « desaparecidos » in Argentina dal 1976. Nomi come Massera, Lambruschini, Astiz, Lombardo, Alberto Lorenzo Padilla (il comandante della « Libertad ») e posti come la Scuola Meccanica delle Forze Navali, la Base Navale di Mar del Piata, la Base Navale di Bahia Bianca sono ormai un triste simbolo in tutto il mondo. La reazione degli ufficiali e dei cadetti argentini contro la manifestazione silenziosa fu immediata: scesero dalla nave e aggredirono a suon di botte e di calci gli studenti tedeschi, dei quali la metà erano donne. Costoro non risposero agli insulti ed alle botte ma mantennero spiegato per tutto il tempo il mòrder. Più tardi, gli ufficiali argentini diranno ai contriti funzionari ufficiali che « era tutta colpa degli esiliati argentini tradit[...]

[...]
Il silenzio che sale dalle tombe dei soldati mi distoglie da ricordi e da cavilli. I caduti del 1914 hanno lapidi migliori di quelli morti nel 1918. La pietra era di migliore qualità al principio della guerra; poi tutto divenne scadente, perfino la morte. Prima si moriva uno alla volta, poi aIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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dozzine. I soldati. Si chiamava Jorge Aguila, visse a Neuquén, Argentina. Era pastore di pecore a cavallo, o come diciamo noi, pecoraio. Aveva i tratti dell’indio araucano. Manteneva, col suo lavoro, la mamma e il nonno materno. Appena compì 18 anni gli misero l’uniforme e in aprile del 1983 lo mandarono alle Georgine del Sud. Appena arrivato si beccò una pallottola. Lo seppellirono lì. Ecco la storia di un soldato argentino classe 63.

A cento metri da casa mia c’è un enorme edificio di mattoni rossi. È l’ex caserma della guardia dei corazzieri del Kaiser. Oggi c’è la polizia ed è il posto dove si consegnano le patenti per le automobili di Berlino. Su una parete c’è una targa che nessuno legge più: « [...]

[...]attacco ». Penso, in questo caso sono caduti gli ufficiali e sono tornati i soldati. Nelle Malvine sono caduti i soldati e sono tornati gli ufficiali. Ad ogni modo, due aspetti della stessa irrazionalità. Una, l’aggressività montata su falsi valori superficialmente eroici; l’altra, una scorza fatta solo di parole e di atteggiamenti, che viene allo scoperto alla prima cannonata.

La tomba del soldato Aguila viene anch’essa ricoperta dalla neve, come quella di questi giovani morti in uniforme; non morti, uccisi. I generali prussiani se ne restano protetti dalla tettoia dei loro monumenti signorili in cui ogni notte si apre una nuova fenditura e dove — quando non passano gli aerei nordamericani che atterrano e decollano a Tempelhof

si sentono i pezzi di intonaco che cadono sulle tombe. In questo momento i generali argentini delle Malvine stanno facendo la prima colazione. Nella nostra guerra e nella nostra resa non ci sono stati suicidi. Alcuni generali prussiani sepolti qui si fecero saltare le cervella portando alle estreme conseguen[...]

[...]emmeno più a scuola. Ormai non hanno più un volto. Sono soldati senza figli perché sono morti quasi bambini. Forse è ancora viva qualche sorella che li ricorda in due o tre scene: la strada fino a scuola, il pranzo con i genitori, il giorno dell’addio quando partirono per il fronte. I fiori nella canna del fucile. Il Kaiser al balcone, con i suoi movimenti da burattino e le eterne parole di Patria, Dio e Fino all’ultima Goccia di Sangue. Proprio come altri burattini truculenti apparsi in altri balconi di altre latitudini. E i giornali, tutti i giornali. E il popolo, tutto il popolo. Tranne gli incorreggibili. Quelli che von der Goltz chiama con arrogante ironia: « gli ‘ apostoli ’ della pace ».

Decido di aspettare il crepuscolo perché è questa l’ora di Georg Trakl per la sua poesia « Grodek », la pagina letteraria che in diciassette versi dice più di un’intera biblioteca contro la guerra: « Nel crespuscolo rimbombano i boschi autunnali / di armi mortali / ...la notte copre ormai soldati moribondi, / il selvaggio lamento delle loro bocc[...]

[...]e fossero oggetto di rappresaglia da parte dell’organizzazione terrorista a cui aveva appartenuto Rosa Ana Frigerio, per vendicarsi della sua defezione. Per questa ragione la summenzionata fu ospitata in un luogo dove collaborò con il personale responsabile dell’antiterrorismo. L’8 marzo 1977, in base ad informazioni ottenute dalle autorità, vennero effettuati vari sopralluoghi nelle località che Ana Rosa Frigerio ed un altro detenuto indicarono come rifugio della banda e come depositi di armi ed esplosivi. Entrambi accompagnarono le forze legali per un sopralluogo, ma arrivati a breve distanza da una casa che essi avevano indicato come localizzata nella via Mario Bravo, angolo con via Esteban Echeverrìa, a Mar del Piata, prov. Buenos Aires, vennero ricevuti da una fitta scarica di armi da fuoco di grosso calibro proveniente dall’interno della casa, fatto che provocò la morte in situ di Rosa Ana Frigerio. Nella stessa occasione morì l’altro detenuto ed un ufficiale venne gravemente ferito. Bisogna far presente che nessuna di queste circostanze vennero comunicate in quel momento attraverso le normali vie come misura tattica di controinformazione. A posteriori, le autorità informarono la famiglia di Rosa Ana Frigerio sull’ac[...]

[...]Bravo, angolo con via Esteban Echeverrìa, a Mar del Piata, prov. Buenos Aires, vennero ricevuti da una fitta scarica di armi da fuoco di grosso calibro proveniente dall’interno della casa, fatto che provocò la morte in situ di Rosa Ana Frigerio. Nella stessa occasione morì l’altro detenuto ed un ufficiale venne gravemente ferito. Bisogna far presente che nessuna di queste circostanze vennero comunicate in quel momento attraverso le normali vie come misura tattica di controinformazione. A posteriori, le autorità informarono la famiglia di Rosa Ana Frigerio sull’accaduto e comunicarono il luogo dove era seppellito il suo cadavere.138

OSVALDO BAYER

Dobbiamo far notare che il Giudice Federale di Mar del Piata autorizzò, il

25.4.1979, la famiglia a portare via il corpo di Rosa Ana Frigerio per metterlo nel cimitero che gli sembrasse più opportuno, cosa che fin’ora non è accaduta J. Questo spiacevole episodio, tipico di una aggressione non convenzionale, com’è quella che stava vivendo l’Argentina, va interpretato nel contesto della [...]

[...]cevole episodio, tipico di una aggressione non convenzionale, com’è quella che stava vivendo l’Argentina, va interpretato nel contesto della lotta che il popolo argentino insieme alle sue autorità, ha dovuto affrontare contro il flagello del terrorismo ».

La Commissione dell’oEA, il 9.4.1980, nel suo 49° ciclo di sedute ha studiato il caso, alla luce delle informazioni ottenute durante Pindagine ‘ in loco * oltre a quelle già in suo possesso, come pure della risposta del Governo Argentino anteriormente citata, ed ha adottato una risoluzione che nelle sue parti analitiche e risolutive recita:

« Considerando

1. Che alla luce degli antecedenti ricordati si deduce che la signorina Rosa Ana Frigerio è stata arrestata da forze legali il 25 agosto 1976, e che lo era ancora quando è morta P8 marzo 1977.

2. Che la risposta del Governo Argentino non chiarisce i fatti denunciati né smentisce le dichiarazioni rese dal denunciante.

3. Che il Governo Argentino non ha fornito alla Commissione nessun’informazione che permetta di arguire[...]

[...]a impegnata a costruire un mondo migliore ». Rosa, colei che scrisse questa frase: « Libertà per i sostenitori del governo, i membri di un partito anche di maggioranza non è libertà. Libertà è sempre e solo la libertà di chi pensa in modo diverso».

Con gli anni si seppe tutto. I nomi dei militari assassini divennero pubblici. I componenti i gruppi paramilitari ebbero sorti diverse. Alcuni vennero assassinati dai loro stessi compagni d’arme, come « traditori ». La democrazia di Weimar fu assai debole con loro, parlamentò, accettò, protesse. Il risultato fu che la maggior parte di loro tornò allo scoperto con Hitler facendo anche carriera. Il comandante Hoss, per esempio, entrò nel 1933 nelle ss; diventerà il comandante del campo di concentramento di Auschwitz. È finito sulla forca il 16.4.47.

Nel cimitero dei generali prussiani sono seppelliti alcuni di quegli ufficiali dei « Freikorps », nelle tombe di famiglia. I loro nomi non compaiono nelle lapidi. Perfino i loro figli ne hanno vergogna. Tutte quelle uniformi, quelle fiaccolate[...]

[...] e accigliati per la rabbia e tutte spettinate. Continuarono a minacciarci coi bastoni, con sassi, con pale ed altri attrezzi. Sputavano, grugnivano, gridavano; le donne sono quanto di peggio in questi casi. Gli uomini fanno a botte; ma le donne sputano e strillano anche ed è dura dare loro un pugno in piena faccia.

(Hebe Pintos de Bonafini, presidente delle Madri della Plaza de Mayo: « Ci cacciarono dalla Piazza con le mitragliatrici cariche come se stessimo in guerra e sono arrivati al punto di dare Tordine di caricare! Allora noi abbiamo risposto Fuoco! »).

Quello di von Salomon è un linguaggio tipico della destra che ha trovato la sua massima espressione nel nazismo che userà l’indefinibile e ambigua parola « virilità » fino alla noia. Nella frase del militarescrittore Ernst Junger si nasconde una vera e propria chiave psicologica: « Benché

10 non sia nemico delle donne, mi irritava sempre il tipo femmina quando

11 destino della guerra mi conduceva in ospedale. Dalle azioni maschili, energiche e logiche della guerra, entra[...]

[...]in ospedale. Dalle azioni maschili, energiche e logiche della guerra, entravo in un’atmosfera di indefinite irradiazioni ».

(Archivio del fdcl, Centro di Ricerca e Documentazione per P America Latina di Berlino. Trovo una lettera del generale argentino Albano Harguindeguy, ministro degli Interni di Videla, alla professoressa Hilde Kaufmann, direttrice del Dipartimento di Criminologia dell’Università di Colonia, nella Germania federale. Chiedo come ha fatto ad arrivare fin lì questa lettera. L’archivista mi dice che è stata mandata dalla professoressa Kaufmann poco prima di morire, nel 1982. L’Università tedesca di Colonia si era interessata nel 1976 di un prigioniero politico argentino: il professor Roberto Bergalli, specialista inIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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criminologia, arrestato per ordine di Harguindeguy. Il crimine del professor Bergalli consisteva nell’aver difeso con coerenza i diritti umani. Dopo il suo arresto fu sottoposto a brutali castighi nel carcere de La Piata. L’ultima volta che fu picchiato ne usci in[...]

[...]. L’ultima volta che fu picchiato ne usci in grave stato. Sia in Germania federale che in Spagna che in Italia, il professor Bergalli è conosciuto negli ambienti universitari dove ha tenuto delle lezioni della sua disciplina. L’Università di Colonia incaricò la professoressa Kaufmann di andare in Argentina e di chiedere li, a Videla e ad Harguindeguy, di concedere il visto di uscita al detenuto. L’Università di Colonia aveva deciso di designarlo come cattedratico nel suo claustro. A Buenos Aires la professoressa parlò con Harguindeguy. Costui promise che « si sarebbe occupato del caso ». Dopo circa sei mesi senza ulteriori notizie, la professoressa Kaufmann scrisse al generale argentino in termini assolutamente corretti ed umili, ma con molta fermezza per ricordargli la promessa fatta. Il militare argentino montò virilmente in collera e, il 31 dicembre 1976, le rispose testualmente:

« Come ufficiale dell’Esercito Argentino non posso tollerare che Lei, Signora, nonostante la sua condizione di donna, che io rispetto, possa ricordare a me qual è il valore della parola data. A un ufficiale di un esercito che ha un concetto della stessa che va molto oltre ciò che taluni stranieri possono immaginare sul valore della parola data per un ufficiale dell’Esercito Argentino. Un esercito che ha sempre usato le sue armi per liberare i popoli. Che non si è mai valso della propria forza per soggiogarli o per commettere genocidi. Signora: non ho bisogno, come Generale [sic, con la maiuscola] de[...]

[...], che io rispetto, possa ricordare a me qual è il valore della parola data. A un ufficiale di un esercito che ha un concetto della stessa che va molto oltre ciò che taluni stranieri possono immaginare sul valore della parola data per un ufficiale dell’Esercito Argentino. Un esercito che ha sempre usato le sue armi per liberare i popoli. Che non si è mai valso della propria forza per soggiogarli o per commettere genocidi. Signora: non ho bisogno, come Generale [sic, con la maiuscola] della Nazione e come individuo civile o militare con un cognome onorevole ereditato dai miei genitori e che io cerco di lasciare ai miei figli altrettanto onorevolmente, le torno a ripetere, non ho bisogno che nessuno mi ricordi che ho impegnato la mia parola d’onore per un azione futura che riguarda il caso di cui si tratta ».

Come un vero uomo. I nostri generali forse non combattono fino alla promessa « ultima goccia di sangue » ma sanno come rispondere ad una « signora » soprattutto se è straniera. Le frasi che scrive dipingono a tutto tondo questo generale forgiato nei safari in Africa del Sud e nei campi di polo che è anche uno degli esecutori fondamentali della guerra sporca. Ma il generale è magnanimo con le signore, per questo aggiunge:

« Tuttavia, per sua tranquillità éd al fine di tranquillizzare la sua emotività, le ripeto che non appena saranno esaurite tutte le pratiche legali e sia trascorso il tempo previsto dalla legge perché il Potere Esecutivo possa riunire tutti i dati necessari per la soluzione del caso, il mi[...]

[...]ani, cercano di sovvertire e di cambiare i regimi al fine di, una volta realizzato ciò, annullare la libertà e non permettere la benché minima sopravvivenza di un qualsiasi diritto per i cittadini »).

Il cimitero comincia ormai a tingersi del colore dell’ombra. Assomiglia ad un immenso monumento all’aggressione e all’obbedienza, le due caratteristiche essenziali della vita militare, dell’educazione castrense. La ripetizione stentorea di frasi come « Si vis pacem para bellum », « La guerra è una continuazione della politica con altri mezzi », « La guerra è la madre di tutte le cose » e quelle del generale von Seeckt: « L’onore dell’ufficiale non consiste nel sapere meglio o nel voler di più, consiste nell’obbedienza », trova nel cimitero dei generali la sua migliore espressione, la sua sintesi. Ma c’è ancora una sintesi migliore di questa filosofia militare, ed è l’altro cimitero a circa ottocento metri da questo, dove sono sepolte le vittime dei bombardamenti di Berlino, dal 1943 al 1945. Li ci sono delle lapidi che coprono una madre c[...]

[...]esco Josef Leifert la classe sociale dominante, utilizzando l’etica professionale tradizionale, possiede il mezzo migliore per una felice manipolazione degli ufficiali ». Lo slogan delle forze paramilitari hitleriane, le ss, era un’emozionalizzazione del principio militare dell’obbedienza: « Il mio onore è la fedeltà ». Obbedienza ed aggressione contro pacifismo e ribellione. Il pacifismo è la ribellione per eccellenza. La persona aggressiva ha come valore fondamentale l’obbedienza. Cioè, « la custodia dei valori eterni » nel mio paese argentino, i militari e la loro corte civile la chiamano « valori occidentali e cristiani » oppure « essenza dell’argentinità » contro la problematicizzazione, la costante sfiducia verso l’autorità e i valori sottintesi e imposti, che non sono altro che i decaloghi delle classi dominanti. Sfiducia e ribellione contro i cosiddetti «codici d’onore». Questi codici con i rispettivi « tribunali d’onore » che servono sempre da coprivergogne alla corruzione degli « arrivati ». L’ipocrisia ed il fariseismo di ta[...]

[...]iprovevoli in un ufficiale a condizione che avvengano nell’intimità. Ma il militare mette in pericolo il suo onore d’ufficiale se, per esempio, si mostra pubblicamente al braccio di una di queste donne. Con questo comportamento schiaffeggia la società e l’ingiuria tanto più se commette la sfacciataggine di salutare, in questa condizione, le signore che incontra. Quest’ultimo caso è offensivo e ferisce l’onore ».

I codici d’onore, l’obbedienza come principio, fanno si che l’abito faccia il monaco. L’uniforme, le spalline, i segni visibili del rango per mezzo di nastrini e di allori, sono dei mezzi per imporre l’autorità. Il rango affoga qualunque dubbio, qualunque insicurezza, qualunque critica. Non è, pertanto, necessario imporre il proprio parere con l’idea, la discussione, la persuasione fondata su argomenti. Imporsi con questo metodo e questi attributi è già di per sé un’aggressione. « L’aggressione scrive Leifert nei militari è qualcosa di sottinteso ed è una necessità categorica. La famosa frase del maresciallo von Moltke: ‘ La[...]

[...]gli ufficiali dell’Esercito prima di cominciare a mangiare alzavano il primo bicchiere per brindare in onore dello sconfitto Kaiser che chiamavano « nostro vero comandante ». Avevano bisogno della verticalità, tenevano in sospetto la Repubblica e ne temevano il pluralismo. E ciò accadeva nonostante che quegli ufficiali avessero giurato la difesa della costituzione della nuova democrazia. Questo spergiuro non costituiva per loro mancare all’onore come invece lo era passeggiare sotto braccio di una ragazza « disonorata ». Lo stesso generale Baudissin sottolinea che questa posizione « nazionale » come viene chiamata contro la democrazia fu fatale, perché quegli ufficiali, nella grande maggioranza, nel 1933 passarono armi e bagagli al fascismo hitleriano. Il 2 agosto 1934 dal più alto maresciallo all’ultimo soldato dovettero giurare obbedienza incondiziona144

OSVALDO BAYER

ta al Ftihrer in cerimonie ad hoc. Da questo momento, l’esercito tedesco fu una pedina in più nel programma e nella politica di sterminio di Hitler. L’investigazione storicoscientifica attuale sulla base della documentazione ritrovata è giunta alla conclusione che l’esercito non solo era ben informato dei massacri[...]

[...] capo e capo dello Stato Maggiore della Wehrmacht durante l’ultima guerra impostarono tutta la loro difesa personale al Tribunale di Norimberga sul grande alibi dell’obbedienza agli ordini superiori.

(Interrogati dalle Madri di Plaza de Mayo sul perché reprimessero cosi delle donne disarmate, gli ufficiali della Polizia Federale rispondevano invariabilmente con il tabù « obbediamo agli ordini »).

Sfiducia ed odio verso i critici esterni, e come contrapposizione, un acceso spirito di corpo. Alcuni anni dopo Tultima guerra cominciarono le pratiche di commilitanza fra ex ufficiali nemici. Gli aviatori da caccia inglesi per esempio — che avevano difeso Londra dalla Blitzkrieg aerea tedesca, si danno appuntamento ogni quattro anni con gli ex aviatori dei bombardieri nazisti, loro ex nemici. Li accompagnano le loro mogli ed a volte anche i loro nipotini. Passano due o tre giorni in case di campagna, al mare o in montagna fraternizzando sui temi della guerra e ricordando le prodezze reciproche. Le riviste settimanali documentano tali inco[...]

[...]ogni quattro anni con gli ex aviatori dei bombardieri nazisti, loro ex nemici. Li accompagnano le loro mogli ed a volte anche i loro nipotini. Passano due o tre giorni in case di campagna, al mare o in montagna fraternizzando sui temi della guerra e ricordando le prodezze reciproche. Le riviste settimanali documentano tali incontri e pubblicano fotografie di anziani sorridenti che mimano con i gesti immaginarie battaglie aeree. Titoli nostalgici come « I veterani dimenticano i rancori », « In fondo, eravamo tutti dei soldati », o « Le aquile uniscono le loro ali ». I bambini sepolti dalle macerie, i corpi orribilmente bruciati dal fosforo, il terrore delle donne incinte, la vulnerabilità dei vecchi di fronte al vile attacco dall’alto, tutto ciò non conta. Il disperatoIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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che lancia una bomba in mezzo alla strada è un terrorista, colui che lancia mille volte quella bomba dal cielo può perfino essere un eroe, o per lo meno uno che « obbedisce agli ordini ». La formula è facile. Ora perfino il termin[...]

[...]ne di « guerra sporca » è onorevole. Il generale Videla — cercando di dare un tono serio e responsabile alla sua voce — ha parlato di guerra sporca per spiegare sequestri e torture ed assassini, liquidazione di intere famiglie, furti di beni altrui. « Guerra sporca » è ora un salvacondotto per la morale, un permesso universale. L’ex pilota di bombardiere tiene le mani alla stessa altezza, una dietro l’altra e racconta — sorridente e nostalgico — come riuscì a lanciare tutte le sue bombe prima che uno « Spitfire » gli mitragliasse la coda. Le mogli dei veterani lavorano all’uncinetto e, sorridenti, prendono il tè. I nipotini giocano con « Mirages » e « Super Etendard » in miniatura. C’è un che di idilliaco, la pace che si conquista in vecchiaia quando si è compiuto il proprio dovere. Che è la cosa più difficile e scabrosa. La difficoltà consiste nel comportarsi bene nei confronti dell’umanità e di se stessi. Nel 1914 si compiva il proprio dovere usando la pala della fanteria infilata nella Mauser e, nel corpo a corpo, si doveva tagliare co[...]

[...]rancesi, tutti insieme, tutti mischiati. Unirli nella morte. Questa parve loro un’idea geniale. E i giornali pubblicarono brillanti editoriali che inneggiavano al valore « umanistico » di una simile idea. Il poeta anarchico tedesco Erich Miihsam propose, invece, di costruire un’unica tomba per tutti i generali, senza differenze di nazionalità, per seppellirceli vivi insieme ai fabbricanti di armi. Questa idea fu esecrata dai pulpiti delle chiese come prodotto di una mentalità malata ed eversiva.

Riunioni di affratellamento fra ex nemici. Il fatto è che nelle norme morali e di condotta del militare, il militare che gli sta di fronte tranne gli irregolari, i guerriglieri, i civili armati è solamente l’avversario della sfida. Gli inglesi in questo sono maestri. Danno alla guerra un certo tono sportivo. Furono loro a inventare il carisma di Rommel ed a dargli il soprannome di « volpe del deserto »: il maresciallo tedesco che compariva e scompariva con i suoi carri armati, un mago che innovava tutta la scienza militare. Tutto ciò sotto la[...]

[...]e al centro. Prima di definirli coraggiosi e temerari bisognerebbe ridefinire quei valori. È forse più coraggioso colui che ha una maggiore carica di aggressività, chi vede la sua grande opportunità di emergere nell’unico modo in cui sia capace, cioè sparando all’impazzata, chi, forse, ha collezionato più insuccessi nella sua vita privata e di relazioni? O si tratta della semplice emozionalizzazione della guerra

questa pericolosa seduttrice, come l’ha chiamata Anna Seghers perché altrimenti, come spiegare il fatto che migliaia di semplici soldati si siano lanciati cantando all’attacco delle trincee nemiche nella Grande Guerra? Erano diventati all’improvviso tutti coraggiosi? Il mondo cambierà quando insegneremo nelle scuole il coraggio civile, cioè la capacità spontanea di ribellarsi contro un’ingiustizia? Il « valore » degli aviatori argentini non fu notato affatto durante la brutale repressione di VidelaMasseraAgosti. Nessuna voce di brigadiere o di sottotenente si alzò a protestare contro i brutali trasporti aerei dei prigionieri politici argentini che durante il volo venivano umil[...]

[...]L CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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(Jorge Luis Borges, l’intellettuale che nel 1976 aveva detto che « i militari argentini erano dei gentiluomini » che però quattro anni dopo, quando il progetto militare cominciò a mostrarsi perdente, passò clamorosamente alla « resistenza » quando andò in Germania, nel 1982, espresse il personale desiderio di incontrare Ernst Jùnger, il geniale e raffinato scrittore, il grande ammiratore della guerra come atteggiamento di virilità e di purificazione, lo stesso che, come tenente dello Stato Maggiore aveva partecipato alla prima guerra mondiale, poi nei corpi paramilitari dando la caccia agli operai e poi nella seconda guerra mondiale come alto ufficiale. Jùnger, il creatore del cosiddetto « nihilismo eroico » concepì letterariamente la raffinatezza per eccellenza, il non plus ultra dei piaceri, il grande bagno di sangue, di fuoco e di acciaio, il gusto di partecipare alla guerra come a uno spettacolo, la guerra come azione igienica e poetica per il maschio. Ebbe la fortuna (secondo lui) di partecipare alle due guerre. Tormenta d’acciaio è uno dei suoi libri esegetici sul massacro degli esseri umani. Contiene frasi profonde e ben espresse del tipo di questa sulla partenza per il fronte: « Domani, sì, forse domani mi schizzerà il cervello fra le fiamme ». Mentre il poeta Trakl non resisterà al dolore di fronte al massacro di Grodek, a Ernst Jùnger gli effluvi della polvere, del sangue, delle viscere incancrenite dei morti e della merda delle trincee lo riempivano di aromi e scriveva:

« Il sangue vortica[...]

[...]i umani. Contiene frasi profonde e ben espresse del tipo di questa sulla partenza per il fronte: « Domani, sì, forse domani mi schizzerà il cervello fra le fiamme ». Mentre il poeta Trakl non resisterà al dolore di fronte al massacro di Grodek, a Ernst Jùnger gli effluvi della polvere, del sangue, delle viscere incancrenite dei morti e della merda delle trincee lo riempivano di aromi e scriveva:

« Il sangue vorticava nel cervello e nelle vene come prima di una notte d’amore violentemente desiderata, anzi, in forma ancora più calda e stravolgente. Il battesimo del fuoco! L’aria era carica di una mascolinità così debordante che ogni respiro ubriacava, tanto che avremmo potuto scoppiare in pianto senza sapere perché. Oh! cuori maschi che siete potuti arrivare a provare tutto questo! ».

L’ex militare Jùnger, il portavoce dell’estetica della destra, parla con sincerità e fermezza virile: « Ovviamente, noi ci sentiamo più a nostro agio con un nemico di razza che non con un pacifista o con un internazionalista. E certamente, ciò che faccia[...]

[...]cciamo in un campo di battaglia, uccidendoci fra di noi, è più importante che finire col formar parte di un enorme purè ». Con la parola purè, Jùnger allude al miscuglio di razze, di nazioni, all’eliminazione delle classi, alla repubblica, in una parola, al socialismo. Più tardi Jùnger si rassegnerà e si dedicherà ad esaltare i valori dell’individualismo. Sempre contro il « purè » ma ormai senza più bisogno del fuoco e dell’acciaio. L’individuo, come una roccia che si oppone al mare, al flusso, all’inondazione. La lunga conversazione fra questi due aristocratici della vita e della parola, JungerBorges, fu di una tenera e cortese nostalgia. Borges realizzava così il suo sogno argentino di parlare con l’ammirato europeo di cui aveva letto Tormenta d’acciaio. L’europeo lo ricevette con educata condiscendenza. Più tardi dichiarerà di non essere molto aggiornato sulla letteratura latinoamericana, ma che tuttavia « per me è stato un piacere conversare con il signor Borges » pronunciato con la g francese).

Mi sembra che sia già suonato l’Ang[...]

[...]lessandra Riccio

Osvaldo Bayer

* El cementerio de los generales prusianos: dal prossimo volume Exilio, Buenos Aires, Legasa, redatto a Berlino, ove Bayer nel 1976 prese dimora dovendo lasciare PArgentina. Nato nel 1927 a Santa Fe da famiglia di origineIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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tedesca, studiò a Buenos Aires ed Amburgo, segretario di redazione di « Garin » e responsabile del Sindacato dei giornalisti, è autore di scritti come la biografia di Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia, Los Anarquistas e Los vengadores de la Patagonia tràgica in quattro volumi; il film di Bayer La Patagonia rebelle, sul massacro dei braccianti nel 1921, fu presentato e premiato a Berlino nel 1974.

Le citazioni che figurano nel testo sono state tratte da:

Paul von Schmidt, Das deut sche Offizierskorps, Berlin 1904; Colmar Graf von der Goltz, Reiseeindrucke aus Argentinien, Berlin 1911 e Denkwiirdigkeiten> Berlin 1929; José Félix Uriburu, La guerra actual, prefacio, Buenos Aires 1915; Friederich Freksa, Kapitàn Ehrhardt,[...]



da (Nove domande sullo stalinismo) Arturo Carlo Jemolo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1956 - 5 - 1 - numero 20

Brano: [...] ha un curioso sapore moralistico. Altri termini, più aderentemente politici, si sarebbero potuti usare, ad es. «dittatura personale ». E ciò anche a costo di prestare il fianco ad una provvisoria soddisfazione dei sociologhi descrittivi alla Monnerot, i quali potrebbero pensare di aver finalmente trovata una verifica a qualcuna delle loro astoricistiche e vuote equazioni di uguaglianza fra tutte le dittature. Del resto il termine « dittatura », come ognuno sa, non ha mai spaventato il forse duro, ma reali stico, linguaggio marxista. La « dittatura del proletariato » fu, dal marxismo, pronosticata e realizzata come inevitabile punto di passaggio, strettoia obbligata della conquista del potere della classe operaia per giungere, nello slargo, all'eliminazione delle classi ed alla realizzazione della società socialista prima, e comunista poi.
Ma il termine « dittatura del proletariato » non è, nei classici del marxismo, mai considerato come un termine da accettarsi integralmente ma, piuttosto, da usarsi in senso paradossale: sotto
` lineatura sprezzante di una fase necessaria, ma da superarsi appena possibile, punto in cui la liberazione dalla stratificazione della società in dominio di classe ha un estremo bisogno di un ultimo dominio di classe capovolto: gli oppressi governano gli oppressori. Un male alla rovescia e, perciò, in definitiva, un bene, purché sappia, a sua volta, raddrizzarsi, per essere finalmente un bene autentico e senza residui.
(*) Nota; La numerazione dei capitoli non ê progressiva, ma corrisponde a quella[...]

[...], un bene, purché sappia, a sua volta, raddrizzarsi, per essere finalmente un bene autentico e senza residui.
(*) Nota; La numerazione dei capitoli non ê progressiva, ma corrisponde a quella delle domande cui ciascun capitolo si riferisce.
44 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
Tuttavia non si potrebbe, credo, sostenere che il termine « dittatura del proletariato » chiarisca limpidamente la coincidenza dei mezzi e dei fini e che lo Stato di dittatura, come si é realizzato in URSS, sia possibile intenderlo alla maniera gramsciana di Stato futuro « in nuce », anticipazione sostanziale dello Stato autenti camente socialista. Rimane, inutile negarlo, e la sincerità del termine ci aiuta, nella « dittatura del proletariato » sovietica una « contradictio in adjecto » in una certa misura irreparabile. Contraddizione, che nel leninismo e nel primo stalinismo prese forma nella teoria: mano a mano che il potere dittatoriale della classe operaia si sarebbe andato affermando, tanto più violenta sarebbe diventata la resistenza della classe exdominante, ora o[...]

[...]la resistenza della borghesia, Stalin teorizzò il problema dell'« accerchia
ROBERTO GUIDUCCI 45
mento capitalistico », facendone la base anche per la politica interna.
Stalin, nel Rapporto al XVIII Congresso del Partito (1939) si chiede: «Non è forse sorprendente che dell'attività spionistica e dei complotti del gruppetto dirigente dei trotskisti e dei bukhariniani siamo venuti a conoscenza soltanto in questi ultimi tempi, nel 193738, mentre, come attestano i documenti, questi signori erano agenti dei servizi di spionaggio stranieri e complottavano fin nei primi giorni della Rivoluzione di ottobre ? ». « Come si spiega questo abbaglio ? Si spiega con una sottovalutazione delle forze e dell'importanza del meccanismo degli Stati borghesi che ci circondano e dei loro organi di spionaggio, i quali cercano di sfruttare le debolezze degli uomini, la loro vanità, la loro mancanza di carattere, per avvolgerli nelle proprie reti di spionaggio, e per avvolgere in queste reti gli organi dello Stato sovietico » (« Q.d.L. », cit., vol. II, pag. 345). E ne deduce la necessità del perdurare, anche oltre vent'anni dalla rivoluzione, dell'identico apparato d'emergenza che ne aveva caratterizzato la prima fase.
Be[...]

[...]zzato la prima fase.
Ben diversamente è oggi concepita « chez les chinois » la dittatura del proletariato. La «borghesia nazionale » è ammessa, provvisoriamente legittimata, e così pure la figura del kulak ». I capitalisti e i piccoli proprietari sfilano regolarmente e ufficialmente davanti a Mao, rappresentante della classe operaia, con le loro brave bandiere, poi passano dietro il palco e ritornano fuori (cambiatisi tranquillamente i costumi) come elementi « integrati ». (La nazionalizzazione totale dell'industria e la cooperativizzazione e la statalizzazione dell'agricoltura sono in atto e saranno interamente completate anche prima del previsto 1960).
Dunque, niente affatto accentuarsi della resistenza delle antiche classi, niente ultimi, e perché ultimi, disperati e pericolosissimi guizzi della borghesia per tornare nellle vecchie acque privilegiate, ma estinzione graduale, persuasione, assorbimento nelle acque comuni, pacificate. Il proletariato, liberando se stesso, libera l'intero genere umano dalla macchina capitalistica che lo [...]

[...] ma lotta esterna. Esterne sono tutte le posizioni che non coincidono con la « linea », e perciò nemici, « altri », stranieri, coloro che non le corrispondono appieno. Non esistono differenze, ma neppure sfumature fra il nemico o l'obbiettore o il proponitore di varianti. Ma decidere la « linea » netta non è cosa di poco momento, bisogna accentrarla, non lasciare margini o frange alla sua forza aguzza, alla sua potenza unidirezionale.Nel partito come avanguardia ideologica sta il centro delle deliberazioni, in esso non possono esistere frazioni, divergenze, che lo indebolirebbero verso l'avversario. Il partito decide e costruisce, versando via via nello Stato, suo strumento, le conquiste effettuate sul campo. La Costituzione è il sacco in cui si mettono le prede belliche, Io Stato è l'oggettivazione del già fatto, dell'acquisito.
Il Partito va avanti, apre sempre, la sua intransigenza è la garanzia del fine. Il Partito è attivo, lo Stato passivo. Il Partito anticipatore, lo Stato muro alle spalle. Il Partito è il massimo, lo Stato è il m[...]

[...]ui, ottenuto lo sviluppo quantitativo e risolti i problemi strutturali, la stessa effi
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cienza produttiva sarebbe stata condizionata da maggiori libertà; al momento, in breve, in cui la dittatura del proletariato, otte nuto il ricupero storico dell'arretratezza in cui versava la vecchia Russia, si sarebbe trovata di fronte alla necessità, per continuare il suo cammino, di produrre, nella nuova Russia, una democrazia organica come strumento di lavoro e di progresso.
Ma, per ottenere questo, occorreva spezzare la macchina degli opposti su cui si reggeva il sistema della dittatura del proletariato: la lotta di classe era finita nell'Unione Sovietica, si poteva dar luogo alla collaborazione, al gioco di tesi strumentali diverse, si dovevano aprire la fantasia, l'inventiva. La verità poteva essere una somma di verità: c'era posto di esperimentazione per tutti. Bastava un qualunque a senza partito » a criticare gli opportunisti e gli arrivisti. La polizia segreta si stava ormai rivelando come un inutile bagaglio. Le spie a[...]

[...]si reggeva il sistema della dittatura del proletariato: la lotta di classe era finita nell'Unione Sovietica, si poteva dar luogo alla collaborazione, al gioco di tesi strumentali diverse, si dovevano aprire la fantasia, l'inventiva. La verità poteva essere una somma di verità: c'era posto di esperimentazione per tutti. Bastava un qualunque a senza partito » a criticare gli opportunisti e gli arrivisti. La polizia segreta si stava ormai rivelando come un inutile bagaglio. Le spie americane, posto che fossero arrivate a Mosca, potevano essere consegnate da attivi boysscouts ai vigili urbani. L'enorme apparato di pressione comincia a girare a vuoto. Non c'è ormai proporzione fra lo sforzo ed il numero di t< pud » di grano che si producono in più. Anzi, essi diminuiscono. Le leve della storia sono ormai altre, più indirette, dal braccio più lungo. Lo stalinismo si esaurisce nella morte fisica di Stalin ed ha inizio il « nuovo corso ». Sarà la competizione pacifica, l'emulazione autentica basata sui verificabili risultati del lavoro a produrre[...]

[...]candidati è praticamente controllata dal Partito o da organizzazioni a loro volta da esso controllate, per cui è certo, in ogni caso, che le massime cariche dello Stato andranno a membri del Partito.
2) che la posizione del Partito in quanto tale è preminente su quella dello Stato.
Ne discende che lo Stato è uno strumento del Partito e che la rappresentanza è relativamente diretta nel Partito, ed estremamente indiretta nello Stato. Ciò quadra, come abbiamo detto sopra, con il concetto generale di « dittatura del proletariato » e con quello di « centralismo democratico ». Il Partito è l'organo supremo di direzione della classe operaia che, attraverso di esso, instaura la sua dittatura impadronendosi dello Stato come strumento coercitivo sulle vecchie classi in dissoluzione. Corrisponde questo schema alla realtà sovietica di oggi ? Il XX Congresso critica in questo schema la degenerazione della direzione collegiale
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in direzione personale. E sta bene. Ma il concetto di collegialità fin dove si deve estendere ? Quale é il grado di compartecipazione direzionale che si intende raggiungere ? In breve, come devono essere considerati i 193 milioni di sovietici che rientrano genericamente nel gruppo dei « senza partito » ? Se di fatto i termini dell'antagonismo di classe sono superati, quale senso ha la. preminenza partitica sullo Stato? Non deve tendere, viceversa, lo Stato ad oggettivare, appunto, questa assenza di suddivisione di classe in un « corpus » omogeneo ed egualitario di cittadini, i quali nei quaranta anni di socialismo si sono formati una coscienza ed una responsabilità sociale sulla cui esistenza non ci possono essere più dubbi ?
E qui le nostre domande vengono a confluire con quel[...]

[...]a cui esistenza non ci possono essere più dubbi ?
E qui le nostre domande vengono a confluire con quelle poste da Nenni nel suo saggio «Luci ed ombre del Congresso di Mosca » (« Avanti! », 2531956), domande che interamente sottoscriviamo. « E ancora il partito, nella sua struttura attuale, lo strumento adeguato per coordinare e guidare l'azione creativa (non nel solo senso manuale o tecnico) di codesti milioni di uomini ? Il partito deve stare, come sta, sopra lo Stato ? » « A quarant'anni dalla Rivoluzione d'ottobre la ' vita nuova ', che nell'Unione Sovietica non è più una aspirazione ma una realtà, può essere contenuta nei vecchi ordinamenti ? » « Da quali nuove forme, in quali nuove articolazioni concrete troverà piena espansione la democrazia socialista, peraltro espressa nella originaria concezione leninista dello Stato dei Soviet e nella Costituzione del 1936? » « In quali forme nuove la democrazia sovietica si esprimerà nell'avvenire, non solo all'interno del partito, ma nello Stato ? ».
È chiaro che non ha senso rispondere imme[...]

[...]ste domande, per una ragione di principio culturale. La cultura (e per cultura in
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tendiamo un atteggiamento creativo e critico a tutti i livelli) anche x1el marxismo (soprattutto nel marxismo) ha diritto di esaminare e studiare le forme della politica anche nel momento in cui si manifestano e si muovono. Il « controllo democratico » non è limitato a verificare soltanto se i funzionari o i dirigenti fanno il loro dovere così come è stabilito, ma si estende a verificare se le forme in cui operano gli organi legislativi ed esecutivi sono le più adatte e rispondenti ai bisogni, alla situazione, alla natura democratica che pretendono avere. Lo Stato socialista non può quindi essere concepito come il deposito dei risultati sociali definitivamente conseguiti, ma come un organismo vivente in continuo aggiornamento ad opera dell'intero corpo dei cittadini.
I quali cittadini, mentre sul piano politico legiferano, eseguono ed amministrano giustizia attraverso i loro rappresentanti, in sede scientifica hanno il diritto di esame delle stesse forme in cui si manifesta la loro volontà, per proporre la conferma o modifica o superamento degli istituti ogni qualvolta lo trovino necessario.
Sembra che il Congresso del PCUS veda ancora la risoluzione di molti problemi in forma quantitativa: più democrazia, più collegialità, più legalità, senza ancora veder chiaro ch[...]

[...]condo il suo lavoro), superabili solo nella società comunista teorizzata da tutti i classici del marxismo (da ciascuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni). E probabile che, appunto per evitare le possibilità del formarsi di correnti interessate nel proprio « particulare » (ad esempio, questione dei contadini rispetto agli operai), nell'URSS si tenga così fermo il
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principio del Partito unico, come depositario di una solidarietà generale senza concessioni. In questo senso l'unicità del Partito supera appunto la pluralità esistente nella società borghese, che esprime una gamma di precisi interessi e li rappresenta. Caso nel quale non si può certo affermare che la volontà generale si possa esprimere perché esiste la pluralità dei partiti. Al contrario, la pluralità non esprime che la rottura delle volontà, degli interessi antagonistici e di classe. Sgomberato perciò il campo dalla trappola parlamentaristica con tutti i corollari della libertà apparente, rimane, in campo marxista, il probl[...]

[...]e, che esprime una gamma di precisi interessi e li rappresenta. Caso nel quale non si può certo affermare che la volontà generale si possa esprimere perché esiste la pluralità dei partiti. Al contrario, la pluralità non esprime che la rottura delle volontà, degli interessi antagonistici e di classe. Sgomberato perciò il campo dalla trappola parlamentaristica con tutti i corollari della libertà apparente, rimane, in campo marxista, il problema di come rappresentare non già rinnovati particolarismi, pur in una società senza classi, ma autentiche e diverse alternative costruttive.
Qualche marxista ortodosso potrebbe, a questo punto, obiettare che il marxismo è scienza e quindi la sua determinazione, nascendo da un piano di scientificità, esclude le alternative, risolte ogni volta in una determinazione oggettivamente fondata. Occorre rispondere subito che qui affiora uno degli aspetti più sottili e pericolosi dello stalinismo ideologico: la scienza è una ed é quella che si fa, così che le altre alternative vanno eliminate perché non possono [...]

[...]ia, necessaria nella società borghese anche per il socialismo, finché perdurino i termini della lotta di classe), quanto, piuttosto, in una alternativa di correnti, rappresentative non già di interessi, ma di possibilità realizzative diverse di un fine che resta comune. Il che comporta il presupposto di una solidarietà non intaccabile, oggettivata nello Stato prima, nel costume poi, e una diversa concezione della scienza (e della cultura) intesa come strumentalità pluralistica.
Si giunge così immediatamente al concetto di sviluppo democratico come può essere concepito nel socialismo: non piú come composizione di forze strutturali precise, di cui quella economicamente dominante è anche necessariamente la risultante e la vincitrice (società borghese), né come forza unica, solidale e disinteressata, in ogni caso, appunto perché unica (solidarietà nel positivo e nell'errore), tipica dello stalinismo, ma come sviluppo in cooperazione, disinteressato perché solidale, ma pluralistico nelle iniziative e nell'esperimentazione consentita (purché fondata su ricerche di fatto e scientificamente documentate) fra cui trascegliere via via il meglio e generalizzarlo (mediazione fra autonomia e pianificazione).
Dunque, forse, non pluralità partitica, né gioco fra governo e opposizione, quanto pluralità di iniziative, nel quadro di una
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pianificazione funzionale, nella costruzionedissoluzione dello Stato socialista (1).
(1) Leggendo questo saggio inI bozze l'amico Fortini mi ha[...]

[...] quanto pluralità di iniziative, nel quadro di una
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pianificazione funzionale, nella costruzionedissoluzione dello Stato socialista (1).
(1) Leggendo questo saggio inI bozze l'amico Fortini mi ha dato la seguente nota che ottimamente contribuisce ad approfondire il punto in questione:
Invece di ripetere le tesi puerili di chi afferma la inevitabilità e la necessità di tutto quel che è accaduto nell'età stalinista come di chi, negan dole, non pub più arrestarsi sulla via delle ipotesi retroattive, è meglio domandarsi (come ha fatto recentemente un giovane filosofo marxista, A. Mazzone) quale sia oggi ii senso, alla luce delle esperienze sovietiche e nostre, del « fondamento obiettivo dell'accordo tendenzialmente unanime di un gruppo sociale omogeneo dal punto di vista di classe » e del « principio regolativo della produzione di decisioni universalmente valide ». Infatti lo stalinismo è meno un regime, un costume, una 'tirannia' che una accelerazione (parzialmente erronea: origine pratica dell'errore) della teoria della necessità
o meglio della 'tendenziale unanimità' che è di Marx e di Lenin. Anzi è probabilme[...]

[...]rammatica serietà, vuol dire precludersi la comprensione di un secolo di comunismo. Bisogna ripetere ancora l'irriducibilità della differenza tra la dottrina liberale che, proprio perché nacque storicamente quale mediatrice fra conflitti insolubili, lì rese istituzionali, e quella marxista, che in nome della dialettica e del salto qualitativo, afferma la trasformabilità qualitativa dei conflitti dopo averli identificati, nelle società classiste, come conflitti di classe. Si che la 'volontà generale' liberale è sintesi astratta (le souverain) mentre quella marxista è, almeno tendenzialmente, concreta, cioè tendenzialmente unanime. Questa pretesa marxista sembra uscire sconfitta dall'età stalinista; l'unani
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4) Per un linguaggio (e un'ideologia) socialista.
Purtroppo gli Atti del XX Congresso del PCUS non offrono un discorso chiaro sui pur tanto cruciali punti toccati, e diremmo, anzi, che se tutto il Congresso rappresenta un termine di passaggio che codifica, come vedremo meglio più avanti, tutta una serie di provvedi[...]

[...]n) mentre quella marxista è, almeno tendenzialmente, concreta, cioè tendenzialmente unanime. Questa pretesa marxista sembra uscire sconfitta dall'età stalinista; l'unani
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4) Per un linguaggio (e un'ideologia) socialista.
Purtroppo gli Atti del XX Congresso del PCUS non offrono un discorso chiaro sui pur tanto cruciali punti toccati, e diremmo, anzi, che se tutto il Congresso rappresenta un termine di passaggio che codifica, come vedremo meglio più avanti, tutta una serie di provvedimenti empirici, esso sottintende sempre una nuova impostazione ideologica, ma non la esplicita o non vuole esplicitarla.
Il vizio rilevato, in quasi tutti gli interventi, di giustificare posizioni nuove con citazioni vecchie é, viceversa, ancora prati
mità stalinista era infatti una caricatura e le elezioni al 99,99% una cerimonia mistificata; ma sembra soltanto, ché il dominio dell'uomo sulla natura e la società, o regno dell'uomo, esige la risoluzione dei conflitti alla radice, trasformandoli in conflitti prima quantitativamente poi qu[...]

[...]antitativamente poi qualitativamente diversi. La societa sovietica ed il movimento operaio internazionale hanno pagato con gli errori dell'età stalinista, ad esempio, la fretta con la quale si è dato per risolto il conflitto fra città e campagna; ma è confrontabile tale conflitto attuale con quello che opponeva contadini e cittadini russi durante la guerra civile o la liquidazione dei kulaki? Anche per questo è improprio impiegare termini eguali come 'partito', 'opposizione', 'parlamento' per indicare cose diverse (e, fra parentesi, che v'è di comune fra la nozione di partito in Francia o in Italia e quella in USA o in India?).
Si vuol dire che la società socialista non ha trovato o ha trovato imperfettamente le forme istituzionali per l'espressione dei suoi particolari conflitti? Ne conveniamo. Ma, dopo aver rimproverato lo scarso storicismo del XX Congresso, non pecchiamone noi stessi. L'offerta che un Bevan (e altri da noi) fa all'URSS di sperimentati apparecchi liberali di antica fabbricazione inglese per evitare, ad esempio, gli abu[...]

[...]rsale e perciò adatti a tutte le tensioni; ma ci vuol poco a immaginare che la diversità dei conflitti cui dovranno applicarsi non è più una mera diversità storicoetnica, ma una diversità qualitativa, non foss'altro per la presenza del Piano. Il pessimismo machiavellico e humiano sull'uomo è sfiducia nel fondamento obiettivo dell'accordo tendenzialmente unanime, ossia nella 'tirannia della ragione'; e quindi ogni neoilluminismo fondato sull'uomo come singe malfaisant non potrà che arretrare di fronte alle note, hegeliane, conseguenze di ogni illuminismo del genere, e farsi conservatore; e d'altra parte l'ottimismo marxista fallisce nella misura in cui ignora tutta la microscopica complessità dei conflitti umani, e affrontando meccanicamente il rapporto fra strutture e sovrastrutture dimentica il carattere universale della contraddi
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cato senza esclusioni. La ripresa leninista, oltre che un valore sentimentale, è un modo di ottenere una autorevole e insindacabile conferma dei passi in avanti, delle aperture e[...]

[...]fra novatori ed eventuali resistenti sta la ben più fragorosa battaglia celeste fra le figure mitiche di Lenin e di Stalin. Ed in questo senso, accanto alla denuncia degli errori d'ortodossia, sta una serie di premurose raccomandazioni a non ideologizzare, a non staccare la teoria dalla pratica, ad occuparsi del concreto. Questo fatto da un lato apre una possibilità positiva: il far cessare l'uso confermativo dell'ideologia ortodossa e classica, come copertura di una realtà tattica, mobile, eterodossa che non le corrisponde, ma dall'altro rischia il ripiegamento empiristico, minuto, contingentistico, ancora tanto poco libero da aver bisogno di altri, anche se diversi, e più ampi, aiuti classici. Così di volta in volta ci si copre ancora con una figura: Marx giovane, Marx vecchio, Lenin di u un passo avanti », Lenin di « due passi indietro ».
zione (come, forte dell'insegnamento di Mao, il P. C. Cinese ha soavemente ricordato ai sovietici). Ma é un fallimento 'in avanti'; e come agli errori della democrazia — diceva Masaryk — si rimedia solo con un di più di democrazia, così agli errori della obiettività e razionalità (o scientificità) dello sviluppo socialumano si rimedia solo con un di più di obiettività e razionalità. Nella sua lotta per l'attuazione di una totalità umana (e quindi 'tendenziale unanimità' o unità del genere umano) il marxismo può scambiare la parte per il tutto, e quindi errare; ma questo non accadrà, mai alla concezione liberale, per la quale la parte ha da rimaner sempre tale e l'uomo e la società in se stessi spartiti e divisi, si che il rappor[...]

[...]ismo può scambiare la parte per il tutto, e quindi errare; ma questo non accadrà, mai alla concezione liberale, per la quale la parte ha da rimaner sempre tale e l'uomo e la società in se stessi spartiti e divisi, si che il rapporto maggioranzaminoranza sia appena un remedium concupiscientiae, un retaggio della colpa originale. E dunque le strumentazioni liberali che, giorno dopo giorno, paiono introdursi nel mondo socialista non si interpretino come riconoscimento che il libero gioco dei gruppi di interessi, fondati in ultima istanza sulla parte di appropriazione del prodotto sociale, sia utile e perciò necessario e infine universalmente e perennemente valido; ché prima s'ha da mutare il fondamento di quegli interessi; ma vi si legga solo il passaggio, per noi pieno di insegnamento, da una 'cattiva unanimità', ad una unanimità più autentica o autentica.
FRANCO FORTINI
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Nella giusta direzione intrapresa di abbandonare la sterilità dogmatica, ci sono invece ancora due passi avanti da compiere: 1) non valersi mai dell'[...]

[...]terminandosi scientificamente, il linguaggio potrà tornare ad avere un senso univoco e preciso e l'ideologia riprenderà fiato e potrà modellarsi senza equivoci ed ambivalenze.
Diciamo costruirsi e non semplicemente ricostruirsi sia del linguaggio, sia dell'ideologia. Lo stalinismo presenta uno iato nell'elaborazione dell'ideologia socialista; la sua identificazione dell'avversario con tutti gli avversari (con il peggiore degli avversari), visti come statici, sagome fisse e nere tutte uguali nell'uguaglianza dell'essere per « essere colpite », non gli consenti lo sviluppo di una dialettica « sublimata » all'interno, che desse una nuova dimensione alle contrapposizioni, una nuova « teoria dell'errore », una diversa verifica della verità. Per questo il suo linguaggio è rimasto un linguaggio bellico, alle volte da trincea (ed anche alcuni suoi atti). Per noi marxisti occidentali una delle peggiori pene è oggi constatare che alcune sue azioni (e definizioni di queste azioni) abbiano trovato una, anche se solo formale, rispondenza di verità ne[...]

[...]lle volte da trincea (ed anche alcuni suoi atti). Per noi marxisti occidentali una delle peggiori pene è oggi constatare che alcune sue azioni (e definizioni di queste azioni) abbiano trovato una, anche se solo formale, rispondenza di verità nei commenti di allora del « Corriere della Sera ». Che cioè il comunismo sia sceso per qualche momento ad un punto tale da poter essere giudicato, con una certa verosimiglianza, dal peggiore anticomunismo.
Come è possibile che il giudizio su alcuni processi delittuosi che oggi danno le pubblicazioni sovietiche, concordi, almeno nella
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forma, ai giudizi (non della migliore), ma della, ancor fresca di fascismo, nostra democrazia borghese apparente ? È che l'ideologia e la prassi socialiste erano, in alcune loro parti, scadute al livello dell'avversario, che contavano, con falsa astuzia, di eliminare usando le sue stesse armi. Ma per l'ideologia e per la prassi marxista ogni uomo è infinitamente recuperabile, non esiste limite al rifarsi una vita, alla riabilitazione. Per[...]

[...]nostro lavoro originale da compiere e tutta una eredità civile da conservare trasponendola al di là del salto qualitativo.
Un lavoro per noi e per altri (anche per i sovietici) dacché crediamo che, oggi, solo una ripresa panoramica, una risistemazione dei valori, una reinterpretazione del « nuovo mondo » per mutarlo di « nuovo », potrà consentire quel radicale passo avanti che speriamo, che ci occorre.
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56) Stato dei Soviet come Stato funzionale e democrazia socialista come pianificazione organica.
Il potere personale di Stalin non è semplicisticamente riducibile né ad un fatto . geografico, né ad uno etnografico. Il caso « Cina », cosi diverso dal russo, potrebbe essere prova sufficiente per sfrondare le ipotesi sociologiche « orientalistiche » sul « fenomeno » sovietico adottate spesso dal Deutscher. La verità è naturalmente ancora una volta strutturale e sovrastrutturale insieme: ' economia e ideologia. Ed è secondo questi parametri che occorre esaminare le vicende sovietiche in tutte le loro particolarità (tradizione, ambiente, ecc., inclusi). Leggendo atte[...]

[...]a: governo autoritario, controllo autoritario. Esiste una ragione in questa « reductio ad unum » ? Esisteva. Fra le possibili vie di una « dittatura di classe » necessaria nel periodo di trapasso, si era scelta la più breve e tradizionale: quella del potere concentrato. L'idea della scientificità, data per implicita e scontata nel marxismo, oscurò la possibile visione di una organizzazione scientifica da costruirsi. Oggi, di fronte al quesito di come possa accadere che in una fabbrica sovietica, diretta da tecnici eccellenti, sollecitata politicamente, e dove l'operaio dá piena adesione al lavoro fino alle forze più « eroiche » di stakanovismo, la produttività sia più bassa che negli Stati Uniti (vedi ad es. rapporto di Krusciov pag. 117, per l'agricoltura) non si potrebbe che rispondere: mancanza di organizzazione scientifica.
L'ideologia si muoveva su due piani distinti: l'uno, altissimo depositario di valori fissi, l'altro molto terrestre, empirico, quotidiano. Sollecitatore della macchina era il Partito. Ed i funzionari di Partito, c[...]

[...] fino alle forze più « eroiche » di stakanovismo, la produttività sia più bassa che negli Stati Uniti (vedi ad es. rapporto di Krusciov pag. 117, per l'agricoltura) non si potrebbe che rispondere: mancanza di organizzazione scientifica.
L'ideologia si muoveva su due piani distinti: l'uno, altissimo depositario di valori fissi, l'altro molto terrestre, empirico, quotidiano. Sollecitatore della macchina era il Partito. Ed i funzionari di Partito, come oggi rileva chiaramente Krusciov, non erano certo dei competenti in tecnica organizzativa specifica (Krusciov li rimanda addirittura allo studio elementare dell'economia). E poiché l'organizzazione scientifica é l'unica possibilità di risolvere il problema degli incentivi senza ricorrere all'immediata pressione od al timore di rappresaglie o punizioni, la macchina staliniana, interpretando pessimisticamente il mondo produttivo, anziché mutarlo scientificamente, prese la strada dell'incentivo di pressione. Cosicché il Partito premeva sullo Stato e lo Stato sulle singole unità dipendenti. Press[...]

[...]e dell'economia). E poiché l'organizzazione scientifica é l'unica possibilità di risolvere il problema degli incentivi senza ricorrere all'immediata pressione od al timore di rappresaglie o punizioni, la macchina staliniana, interpretando pessimisticamente il mondo produttivo, anziché mutarlo scientificamente, prese la strada dell'incentivo di pressione. Cosicché il Partito premeva sullo Stato e lo Stato sulle singole unità dipendenti. Pressione come strumento.
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E l'apparato di Partito e soprattutto dello Stato come « cinghie di trasmissione », si appesantiva di funzionari (oggi ne sono stati allontanati come primo provvedimento 750.000), anziché consolidare, come richiede appunto una organizzazione scientifica del lavoro, la équipe dirigente specifica di ogni unità produttiva, per disimpegnare la maggior mole di lavoro tecnicooperativo che una impostazione razionale della produzione richiede. Naturalmente, nel tempo, i movimenti dovevano farsi sempre più lenti: nel Partito, per la staticizzazione funzionariale corrispondente all'appiattimento ideologico; nello Stato, per l'appesantimento burocratico; nei luoghi di produzione, per il peso gravante degli organismi sovrapposti e le difficoltà di operare in modo agile e tempestivo.
Allora agivano, riatti[...]

[...]imento ideologico; nello Stato, per l'appesantimento burocratico; nei luoghi di produzione, per il peso gravante degli organismi sovrapposti e le difficoltà di operare in modo agile e tempestivo.
Allora agivano, riattivando la circolazione, le pressioni dall'alto. Ma ad un punto in cui l'intera macchina stava per arenarsi si doveva giungere (Mikoian lo afferma a proposito dell'agricoltura), allorché la giustificazione della lotta, intesa ancora come eliminazione di un nemico incombente o nascosto nelle file, si sarebbe svuotata di significato. Ciò non poteva accadere che quando, ormai esaurite le differenze di classe, la società sovietica, raggiunto un maggior benessere materiale ed una elevazione culturale, si fosse fatta cosciente della sua nuova misura.
Finito lo stalinismo, gli eredi hanno preso non poche contromisure che già stanno dando (le statistiche confermano) i loro frutti:
1) Dalle forme di « controllo » meramente sollecitativoautoritario si sta passando a forme di « controllo operativo». Dice, ad esempio, Krusciov a propos[...]

[...]« La pianificazione é un enorme vantaggio del sistema economico socialista ». Tuttavia « non si deve assolutamente esercitare, nei confronti delle repubbliche federate, una tutela meschina. Esse devono, nel quadro definito dei piani economici in tutta l'Unione, decidere autonomamente le questioni concrete concernenti lo sviluppo di questo o quel settore della loro economia » (Krusciov, pag. 148149). E ne seguono provvedimenti tecnici importanti, come quello degli autofinanziamenti settore per settore, fabbrica per fabbrica.
4) Ne discende un primo passo verso la sburocratizzazione dello Stato con la rimozione di centinaia di migliaia di funzionari da cariche parassitarie (puri luoghi di trasmissione passiva del potere) per reinserirli nel processo produttivo. Mentre una parte della retribuzione dei tecnici e dei dirigenti d'azienda dipenderà direttamente dalla produttività del lavoro del settore loro affidato.
5) Pur confermando la necessità della priorità dell'industria pesante, viene offerta una nuova attenzione al consumo, al tempo l[...]

[...]orme di un « controllo operativo » anticipante forme complete di « autocon
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trollo tecnico » nel quadro dell'organizzazione scientifica generale. (E val la pena forse di aggiungere qui, a scanso di possibili equivoci, che quando parliamo di scienza o di tecnica o di organizzazione scientifica o di strumenti tecnici intendiamo questi termini all'interno del concetto marxista secondo il quale la scienza e la tecnica, come del resto tutta la cultura, non sono fatti « neutri » o « neutrali », ma sempre politicamente determinati, anche se aperti a diverse alternative).
2) L'autocontrollo ha la sua essenza e la sua intrinseca possibilità di funzionamento a patto che il cittadino si senta e sia oggettivamente corresponsabile del piano. Tale corresponsabilità nasce quando egli partecipa alla determinazione ed alla verifica del piano. Determinazione e verifica del piano possono essere infatti i due punti di partenza e di arrivo del grande cerchio della nuova ed originale democrazia socialista che dovrà garantire l'e[...]

[...]namento a patto che il cittadino si senta e sia oggettivamente corresponsabile del piano. Tale corresponsabilità nasce quando egli partecipa alla determinazione ed alla verifica del piano. Determinazione e verifica del piano possono essere infatti i due punti di partenza e di arrivo del grande cerchio della nuova ed originale democrazia socialista che dovrà garantire l'efficienza ed insieme la libertà dell'intero sistema.
Il piano potrà nascere come raccolta quantitativa di dati, li sistemerà, confronterà le richieste, le medierà, e tecnicamente tradurrà l'iniziale raccolta in un quadro organico qualitativo, che terrà conto delle esigenze generali. Ma non è a questo punto che il piano passerà all'attuazione. A questo livello elaborativo dovrà tornare all'origine per la prima verifica: quella dell'impostazione. Ognuno potrà e dovrà osservare se la sua prima richiesta (e per quali motivi) avrà o non avrà trovato posto nell'inquadramento generale, se e come alcuni aspetti saranno stati eventualmente ridotti ed altri aumentati, se e perché d[...]

[...]richieste, le medierà, e tecnicamente tradurrà l'iniziale raccolta in un quadro organico qualitativo, che terrà conto delle esigenze generali. Ma non è a questo punto che il piano passerà all'attuazione. A questo livello elaborativo dovrà tornare all'origine per la prima verifica: quella dell'impostazione. Ognuno potrà e dovrà osservare se la sua prima richiesta (e per quali motivi) avrà o non avrà trovato posto nell'inquadramento generale, se e come alcuni aspetti saranno stati eventualmente ridotti ed altri aumentati, se e perché dovrà sopportare alcuni sacrifici od avere imprevisti vantaggi. E non è detto che non si rileveranno imperfezioni e valutazioni non rispondenti alla realtà, che non si potranno proporre varianti e correggere errori e che, infine, non ci si possa persuadere, venendo a conoscere anche l'opinione di centinaia di milioni di altri cittadini (espressa nei dati del primo rilievo e rispecchiata dal piano), su alcune necessità, anche dure da superare e da sostenere, per ragioni di solidarietà comune.
Così annotato e di[...]

[...]so potrà essere oggetto di verifica, e di correzione. Il piano é il percorso stesso della nazione: ad essa dovrà essere in ogni momento il più possibile aderente.
Concluso il periodo realizzativo, i risultati del piano saranno riassunti dagli organismi tecnici e riportati alla base per un esame critico generale. In questo esame avrà già origine il nuovo piano. Così che le scelte individuali di primo grado (« protocollari ») non saranno, dunque, come si sarebbe potuto sospettare, arbitrarie o bizzarre, ma già rese coscienti dei termini complessivi che il piano tende a includere e mediare.
In tal modo il piano può essere contemporaneamente lo strumento di determinazione della « volontà generale » e l'attuazione responsabile di essa nell'autogoverno civile.
Lo stalinismo, nato e formatosi nel periodo primo e più aspro 'dell'instaurazione dall'alto della pianificazione, non aveva forse sufficientemente avvertita la maturità del cittadino sovietico, non aveva calcolato, o saputo calcolare, o giustamente misurare, il livello di capacità dell[...]

[...]dere i requisiti generali necessari una volta che sapesse valersi degli strumenti statuali fondamentali: i Soviet. E appunto nei Soviet, organismi di potere diretto, ma già collettivo, che potrà realizzarsi la decisiva mediazione fra piano e autonomia.
4) Ciò dà una nuova figura al Soviet, coopera alla sua ricostruzione da semplice associazione fra le altre, controllata dal Partito nell'epoca staliniana, a forma di autogoverno. Il Soviet si fa, come abbiamo visto, centro dell'autocontrollo, dell'autonomia collegata ad una pianificazione democratica ed operativa. Il Soviet ritorna a governare non più come mezzo originario della rivoluzione, ma come fine di essa, sua realizzazione completa.
5) E, nello stesso tempo in cui il Soviet ritorna a governare su scala diretta, forte della strumentalità pianificatrice generale acquisita responsabilmente, lo Stato dei Soviet, come alto apparato, come apparato funzionariale, si assottiglia. Il Soviet ha bisogno di tecnici vicini, non di burocrati lontani. Il decentramento è anche qualificazione, capacità specifica, conoscenza scientifica. Il funzionario a questo livello è direttamente controllabile e revocabile. La misura del pane di tutti deve essere la misura del suo pane, secondo quanto, anche per il suo esplicito contributo, si riesce a fare. Scompare la figura giudicante e insieme irresponsabile. La grande piramide staliniana sta per rovesciarsi. In alto, i Soviet. In basso, le apparecchiature coordinatrici, funzionali, operative, del[...]

[...]buto, si riesce a fare. Scompare la figura giudicante e insieme irresponsabile. La grande piramide staliniana sta per rovesciarsi. In alto, i Soviet. In basso, le apparecchiature coordinatrici, funzionali, operative, del piano a servizio dei Soviet.
6) Si può parlare dell'inizio dell'estinzione dello Stato ? Di primo passaggio dalla fase inferiore alla superiore ? Dal socialismo
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al comunismo ? La concezione staliniana era, come abbiamo prima accennato, basata su due cardini. Necessità del sistema centralistico della dittatura del proletariato per far fronte alla « latta di classe » prima, all'«accerchiamento capitalistico » poi.
Fin dal 1936 Stalin stesso chiariva essersi estinta ogni lotta di classe nell'URSS (e la Costituzione era la codificazione di questa vittoria), oggi Krusciov afferma: «si é formata sull'arena internazionale una vasta ' zona della pace ' che comprende, oltre i paesi socialisti, gli Stati non socialisti, europei e asiatici, amanti della pace. Questa zona abbraccia vaste estensioni del globo t[...]

[...]forma sovietica di Stato », ci dice lo stesso Stalin, «facendo partecipare in modo continuo e incondizionato le organizzazioni di massa dei lavoratori e degli sfruttati al governo dello Stato, é in grado di preparare quella estinzione dello Stato, che é
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uno degli elementi essenziali della futura società senza Stato, della società comunista » (Q.d.L. pag. 49, vol. II). Lo Stato, estinguendosi, non annulla se stesso come organizzazione, ma come istituto coercitivo. Lo Stato autoritario della dittatura del proletariato si scioglie (non si liberalizza) in uno « Stato funzionale », in una nuova forma organizzativa, operativa e quindi democratica senza residui. « Invece del governo sugli uomini, si avrà l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi di produzione » commenta Engels nell'« An.tidühring ».
L'antica concezione roussoiana della <« volontà generale », passata attraverso il marxismo, trova finalmente la sua incarnazione reale nella pianificazione organica, dove l'esercizio della sovranità e l'educazione alla libertà[...]

[...], si avrà l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi di produzione » commenta Engels nell'« An.tidühring ».
L'antica concezione roussoiana della <« volontà generale », passata attraverso il marxismo, trova finalmente la sua incarnazione reale nella pianificazione organica, dove l'esercizio della sovranità e l'educazione alla libertà convergono e coincidono.
6) Passato e futuro del Partito
Il « Partito » concepito, secondo Lenin, come « forma suprema dell'unione di classe del proletariato » e, secondo Stalin, come « corpo politico della classe operaia », « stato maggiore di lotta del proletariato », « parte inseparabile della classe » e, insieme, « reparto organizzato di essa », « necessario al proletariato per conquistare e mantenere la dittatura », « strumento della dittatura » (Q.d.L., pag. 8492), sede, dunque, direttiva e ideologica della rivoluzione, viene ad assumere nelle circostanze attuali un aspetto diverso. Con lo sciogliersi dello Stato coercitivo in Stato amministrativofunzionale il compito del Partito inteso come creatore, ordinatore, sollecitatore dello Stato viene ad attenuarsi. Il crit[...]

[...]el proletariato », « parte inseparabile della classe » e, insieme, « reparto organizzato di essa », « necessario al proletariato per conquistare e mantenere la dittatura », « strumento della dittatura » (Q.d.L., pag. 8492), sede, dunque, direttiva e ideologica della rivoluzione, viene ad assumere nelle circostanze attuali un aspetto diverso. Con lo sciogliersi dello Stato coercitivo in Stato amministrativofunzionale il compito del Partito inteso come creatore, ordinatore, sollecitatore dello Stato viene ad attenuarsi. Il criterio di determinazione e di scelta del proprio destino si spartisce nelle infinite volontà del cittadino sovietico, educato per quasi mezzo secolo al socialismo, ed ormai adulto.
L'evoluzione del socialismo non può più essere una evoluzione guidata e tutelata dall'alto. Il nemico interno, l'avversario oggettivo, forte della forza inerziale ed oppósitiva delle cose, è scomparso.
Stalin diceva già nel rapporto al XVII Congresso del Partito: « Invocare le cosiddette condizioni oggettive non è più ammissi
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[...]n nelle cause ' oggettive ', ma in noi stessi e solo in noi stessi » (Q.d.L. pag. 205, vol. II, cit.).
Dunque le deficienze e le difficoltà erano ed ancor oggi (dice Krusciov: « nel paese vi sono ancora molte deficienze e una mancanza di organizzazione nella edificazione economica e culturale », pag. 195) sono dovute non più alla forza delle cose o dell'avversario, ma ad una ancora non completa organizzazione generale.
Ed il Partito ha ancora, come elemento dirigente, da assolvere per intero a questo compito. Ma non più sotto la forma sollecitativa, attivizzante, più o meno generica, (oggi decisamente condannata), ma in senso tecnico specifico. Il peso e l'insufficienza del Partito staliniano si rivelano qui: nell'essere strumento autoritario, di tutela e di controllo, anziché essere strumento tecnicoscientifico di una organizzazione socialista, modernamente concepita.
Staccato dai diretti compiti produttivi, il Partito aveva corso il rischio di girare a vuoto, di assumere una figura astratta, sovrastrutturale. Ma il Partito, inserendo[...]

[...]te condannata), ma in senso tecnico specifico. Il peso e l'insufficienza del Partito staliniano si rivelano qui: nell'essere strumento autoritario, di tutela e di controllo, anziché essere strumento tecnicoscientifico di una organizzazione socialista, modernamente concepita.
Staccato dai diretti compiti produttivi, il Partito aveva corso il rischio di girare a vuoto, di assumere una figura astratta, sovrastrutturale. Ma il Partito, inserendosi, come oggi viene stabilito, nell'organizzazione diretta, non può neppure essere il doppio dello Stato, la sua controfigura.
Il suo portarsi a livello operativo deve comportare anche una sua diversa concezione dei rapporti con lo Stato: ridurre la sua tutela in esso per aver modo di parteciparvi concretamente. Non sovrapporsi ai Soviet, ma entrarvi « costituzionalmente ».
Se lo Stato sta smobilitando gli apparati centrali, non sarà più possibile agendo su di essi agire su tutta la nazione. Lo Stato sta andando nei Soviet bassi, decentrati, sempre più autonomi. Ë là
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[...]

[...]ebbe aggiungere che il « processo critico » era a sua volta basato su un «processo reale », di modifiche sostanziali, di fatto, il quale, dalla morte di Stalin, ormai si estendeva all'intera Unione Sovietica. Prima che dal Congresso, il processo al « culto della personalità » era stato condotto e verificato dall'attività del paese. Ma se il modo dell'annuncio del nuovo corso (ed il suo linguaggio) è an
cora un modo in certo senso « staliniano » come si può pensare che lo superi di fatto ? Occorre ricordare che una verità che cerca
di esprimersi d'un tratto, per la prima volta, tende a manifestarsi con il linguaggio della vecchia, e perciò non è ancora interamente la nuova verità, ma l'esplicazione della sua potenzialità, il suo
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primo passo, l'antitesi, la negazione. Se i discorsi del XX Congresso ed i dialoghi in corso in URSS non sono l'espressione di una forma, seppur diversa, di stalinismo, ma una prima codificazione di una realtà di fatto, oggettiva, di una nuova impostazione sociale e di civiltà, Krusciov non [...]

[...]er un lungo periodo fu) quello della unidirezionalità rigorosamente disciplinata.
Krusciov oggi, di fronte ad una deflessione produttiva in certi settori agricoli, manda là centinaia di migliaia di tecnici, non di semplici agitatori o uomini d'ordine. Il passo avanti é notevole: il tecnico non avrà solo una funzione di sollecitazione politica
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generica o di pressione, ma avvertirà i problemi reali, ,tenderà a risolverli. Siccome il contadino non avrà ragioni di principio da opporre, ma questioni particolari da affrontare, il conflitto o la protesta potranno felicemente essere conclusi (e lo sono, da quanto dicono le statistiche). Resta il problema di come evitare che la denuncia di deficienza o di malcontento debba assumere le forme volontarie o involontarie (dettate dalla sfiducia o dalla impossibilità concreta) di una diminuzione dell'efficienza e della partecipazione attiva.
Siamo rimandati al grande e centrale problema delle forme di espressione dal basso non solo contro il culto della personalità, ma contro ogni errore o difetto o abuso direzionale anche piccolo, anche secondario. Ne derivano una diversa « teoria dell'errore », seconda la quale sono le somme dei piccoli errori non denunciati a ricreare le « cause oggettive » dei grandi, [...]

[...]ensabile per uscire dalle difficoltà di un'evoluzione a salti, indice di una società che non ha ancora superato le forme di un progresso contradditorio, pur avendo superato la contraddizione di classe.
Ma l'evoluzione lineare comporta una radicale realizzazione di una struttura sociale democratica non basata certamente su una generica liberalità, ma su una completa, cosciente e responsabile tecnica organizzativa. Ê il traguardo della democrazia come scientificità generale.
7) Sul dogmatismo e sui processi.
Può servire come « reattivo » di partenza per qualche successiva osservazione anche sui legami fra politica del Partito comunista sovietico (e di conseguenza URSS) e politica delle democrazie popolari e dei partiti comunisti occidentali la domanda,
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che spesso si va facendo in questi ultimi tempi: «a cosa si attribuisce il fatto che i comunisti di tutto il mondo abbiano creduto alla versione staliniana ufficiale sui processi e le cospirazioni ».
Il curioso della domanda è che non si chiede « se » i comunisti di tutto il mondo abbiano creduto alla versione ufficiale sovietica de[...]

[...]LINISMO
che spesso si va facendo in questi ultimi tempi: «a cosa si attribuisce il fatto che i comunisti di tutto il mondo abbiano creduto alla versione staliniana ufficiale sui processi e le cospirazioni ».
Il curioso della domanda è che non si chiede « se » i comunisti di tutto il mondo abbiano creduto alla versione ufficiale sovietica delle epurazioni, ma, dato per scontato che i comunisti vi abbiano creduto, ci si meraviglia e si chiede il come mai, il perché.
Ebbene, noi non crediamo assolutamente che i comunisti abbiano creduto alla versione ufficiale dei processi epurativi. E ciò per la ragione, apparentemente semplicissima, in realtà la più seria e la più sostanziale, che non potevano crederci pena il vanificare, dentro di sé e fuori di sé, il loro stesso lavoro, i loro stessi sacrifici, il loro stesso operare e lottare per un mondo diverso. Se i « mostri del genere umano » fossero realmente esistiti in URSS, se il sistema socialista li avesse veramente prodotti o sopportati ai più alti posti di responsabilità negli anni della [...]

[...]itazioni, ecc. Ed ogni elemento non solo di vertice, ma anche di base, pensava ad una base a lui sottostante, che non avrebbe potuto capire se non in questi termini, e questi termini quindi accettava e trasmetteva nella loro formulazione, minima, inferiore. E a questo livello inferiore si
doveva necessariamente adeguare tutta l'ideologia, perché qualsiasi apertura di discorso critico avrebbe immancabilmente aperto anche quello sulle epurazioni (come oggi avviene), e non si sarebbero più potute sopportare quelle spiegazioni ufficiali che a qualsiasi razionalità erano estranee e ripugnavano. Così il « caso dei processi » ebbe i riflessi più gravi forse proprio in questo: l'estremo limite di una posizione autocratica, mentre avviliva il socialismo compiendo questi atti, con la spiegazione che ne imponeva e l'omertà conseguente, lo portava, come ogni connivenza, al silenzio.
La controprova di questa spiegazione della « credenza non creduta » ci é stata data dal modo in cui furono accolte in « privato » da molti comunisti le « riabilitazioni ». Esse sono considerate verità note da tempo, ossia ovvietà che, finalmente, una nuova situazione consente di dire. Se ieri per le condanne non furono chieste prove perché non sarebbero state date, oggi non si chiedono le controprove che sarebbero date volentieri, perché ciò comporterebbe una fatica inutile. È certo per tutti che la verità é la seconda.
Non è il caso di insistere troppo su ques[...]

[...]tazioni ». Esse sono considerate verità note da tempo, ossia ovvietà che, finalmente, una nuova situazione consente di dire. Se ieri per le condanne non furono chieste prove perché non sarebbero state date, oggi non si chiedono le controprove che sarebbero date volentieri, perché ciò comporterebbe una fatica inutile. È certo per tutti che la verità é la seconda.
Non è il caso di insistere troppo su questo argomento: vorremmo solo aggiungere che come ieri non credemmo, oggi non crediamo, se non ci saranno date incontrovertibili prove, che « gli imperialisti riponevano particolari speranze nel loro vecchio agente Beria, che si era perfidamente insinuato nei posti dirigenti del partito e dello Stato » (Relaz. Krusciov, pag. 16465), né, in ogni caso, che la sua eliminazione ed il modo di essa sia « una grande vittoria del Partito, una vittoria della sua direzione collegiale ». Al contrario. Pensiamo che Beria può aver commesso determinati errori politici, od anche colpe, ma dubitiamo di quella per cui sarebbe stato da sempre agente dell'impe[...]

[...] un non docu
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mentato operare di una direzione collegiale, sia pure teso ad abolire precisamente gli arbitrii passati. E un'altra considerazione ci sembra utile fare sul problema generale. I riabilitati in URSS non solo sono stati riconosciuti innocenti degli addebiti penali a suo tempo loro attribuiti, ma addirittura non responsabili neppure di errori politici che, anche se commessi, avrebbero potuto comportare come pena non certo la morte o una lunga detenzione, ma la semplice perdita delle cariche o la diminuzione del grado.
Da questi fatti si può concludere che anche la loro «politica », poiché una ne conducevano e non staliniana, é stata riconosciuta come una possibilità positiva. Il che ci chiarisce ancora una volta come la corn presenza di diverse teorie, autenticamente basate e documentate, sarebbe stata possibile per i singoli casi e problemi. Di conseguenza, poiché non ci sentiamo certo di affermare che, nel suo complesso, la politica staliniana non abbia dato risultati estremamente importanti e costruttivi, come ieri non pensavamo che la politica di Stalin escludesse quella di Rajk, oggi non pensiamo che la riabilitazione della politica di Rajk neghi in blocco quella di Stalin.
9) Sulla politica estera e sull'internazionalismo.
La compresenza di ipotesi e di sforzi può, in un razionale coordinamento e in una unitarietà di intenti, cooperare ed anche accelerare il processo cui si vuol tendere, anche piú di una unitarietà forzata e costretta. È quanto, dopotutto, accadde nella « politica estera » del periodo staliniano in cui, pur essendo preminente la linea della conservazione e dell'irrobustimento [...]

[...]rvazione e dell'irrobustimento della « politica interna » (« socialismo in un solo paese »), l'URSS concorse e cooperò alla conservazione della democrazia e alla estensione delle rivoluzioni comuniste negli altri paesi, anche se questo le poté costare di fatto la « guerra mondiale » prima e la « guerra fredda » poi. E la « ricerca della sicurezza », che rimase il carattere saliente di tutta la politica estera staliniana, non si può far ricadere, come fa ad es. volentieri il Deutscher, in una forma di « egoismo » russo via via sacrificante ogni rivoluzione altrui per la con
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servazione della propria. Anche il pur riservatissimo Beloff ammette che « i capi sovietici... mai hanno operato durante tali periodi di collaborazione con potenze non sovietiche in maniera tale da sacrificare vantaggi a lunga scadenza. La lavagna ideologica é stata mantenuta incontaminata, e non é stata abbandonata la costruzione dei quadri per l'azione internazionale » (« La politica estera della Russia sovietica » Vallecchi, vol. II, pag. 774, 1[...]

[...] concrete degli altri paesi comunisti, evitando anche che essi risolvessero in una avventura, con perdita generale, i loro slanci. È forse chiaro oggi che la politica staliniana, prevalentemente introversa, e tesa alla propria stabilizzazione fino a raggiungere il livello produttivo « sommato » dei paesi capitalistici, fu molto, probabilmente troppo, prudente verso i movimenti altrui. Ma quando questi giocarono le loro carte vincendo la partita (come la Cina), l'URSS diede loro aiuto anche sacrificando gravi interessi diplomatici con l'Occidente.
È stato un destino dell'URSS di essere stata, nonostante tutto, costretta a dare in anticipo quello che sarebbe stata disposta ad offrire spontaneamente ad un certo traguardo di potenza economica interna pienamente conseguita. Malgrado la prudenza staliniana, un'imprudenza rivoluzionaria di fatto accompagnò la politica estera dell'URSS. Tale imprudenza oggi si ribalta in sicurezza e se il più diretto « accerchiamento socialista », la zona « neutrale », l'alleanza pacifica della « maggioranza » m[...]

[...]avano molti anni or sono: non potersi parlare genericamente di tutti i totalitarismi, ma doversi distinguere quelli di vera origine rivoluzionaria (nel significato che il termine ha in Europa da quasi due secoli), da altri di origine, magari popolare, ma di diverso colore (controrivoluzionario: la storia francese spagnola italiana conosce numerosi moti popolari controrivoluzionari). Nel bolscevismo vedevamo un moto suscettibile di evolvere, così come aveva avuto evoluzioni molteplici, con azioni e reazioni, ondeggiamenti, sacrifici di capi, la rivoluzione francese che pure, vista da lontano, appare moto organico e con una sua unità. Nel fascismo, nel franchismo, nel salazarismo, vedevamo movimenti con possibilità di durare magari a lungo, ma non di avere sensibili evoluzioni.
2. Teoricamente é possibile una volontà popolare che non dia luogo a partiti, in un clima di generale consenso (un unico ovile); in pratica non ci è possibile concepire, presso popoli che abbiano raggiunto una qualche maturità, un regime libero senza molteplicità di[...]

[...] ammirare loro «il personaggio », c'é già un pericolo per il liberalismo, che è tutto equilibrio, moderazione, rispetto delle idee altrui. Il fascino che emana dalla persona di Crispi intorno al 1890 segna la prima incrinatura nella coscienza liberale italiana.
Mi pare si debba appunto osservare che la crisi del liberalismo ai nostri giorni é contrassegnata in gran parte d'Europa da questo culto delle personalità. Luigi Salvatorelli ha indicato come una delle caratteristiche della vita della Chiesa negli ultimi cento anni l'introdursi del culto per la persona del Pontefice regnante, che per l'innanzi era ignorato.
Direi che occorra rilevare tutto questo prima di affermare che la dittatura personale di Stalin s'inserisca nella tradizione russa, pensando ad una continuazione della figura degli zar.
5. Dubito che i comunisti di tutto il mondo (od almeno gli intellettuali comunisti) abbiano veramente creduto alla versione ufficiale staliniana sui processi e le cospirazioni, abbiano potuto credere alle autoaccuse.
Penso piuttosto ad una te[...]



da Alberto Moravia, La ciociara in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]canzone:
Quando la ciociara si marita
a chi tocca lo spago e a chi la ciocia.
Ma io diedi tutto a mio marito, spago e ciocia, perché era mio marito e anche perché mi portava a Roma ed ero contenta di andarci e non sapevo che proprio a Roma mi aspettava la disgrazia. Avevo la faccia tonda, gli occhi neri, grandi e fissi, i capelli neri che mi crescevano fin quasi sugli occhi, stretti in due trecce1tte fitte simili a corde. Avevo la bocca rossa come il corallo e qua do ridevo mostravo due file di denti bianchi, regolari e stretti. Ero forte allora e sul cercine, in bilico sulla testa, ero capace di portare fino a mezzo quintale. Mio padre e mia madre erano contadini, si sa, però mi avevano fatto un corredo come ad una signora, trenta di tutto : trenta lenzuoli, trenta federe, trenta fazzoletti, trenta camicie, trenta mutande. Tutta roba fine, di lino pesante filato e tessuto a mano, dalla mamma stessa, al suo telaio, e alcune lenzuola ci avevano anche la parte che si vede tutta ricamata con molti ricami tanto belli. Avevo anche i coralli, di quelli che valgono di piú, rosso scuro, la collana di coralli, le buccole d'oro e di coralli, un anello d'oro con un corallo, e persino una bella spilla anch'essa d'oro e di coralli. Oltre i coralli ci avevo alcuni oggetti d'oro, di famiglia e avevo un medaglion[...]

[...] li e poi ritornare e discutere ancora e alla fine non prendere nulla. Qualcuno di quei venditori mi faceva anche la corte, lasciandomi capire che mi avrebbe dato la roba gratis se gli davo retta; ma io gli rispondevo in modo che capiva subito che non aveva a che fare con una di quelle. Sono sempre stata fiera e ci vuol poco a farmi montare il sangue alla testa, allora vedo rosso ed é una fortuna che le donne non portino in saccoccia il coltello come gli uomini perché altrimenti sarei anche
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capace di ammazzare. Ad uno dei venditori che mi dava più fastidio degli altri e s'intignava a farmi delle proposte e voleva regalarmi la roba per forza un giorno gli corsi dietro con uno spillone e per fortuna intervennero le guardie, altrimenti glielo piantavo nella schiena.
Basta, tornavo a casa contenta, e dopo aver messo su l'acqua a bollire per il brodo, con gli odori e qualche osso e qualche pezzetto di carne scendevo subito a bottega. Anche li ero felice. Vendevamo un po' di tutto, pasta, pane, riso, legumi secchi, vino, olio,[...]

[...]larmi la roba per forza un giorno gli corsi dietro con uno spillone e per fortuna intervennero le guardie, altrimenti glielo piantavo nella schiena.
Basta, tornavo a casa contenta, e dopo aver messo su l'acqua a bollire per il brodo, con gli odori e qualche osso e qualche pezzetto di carne scendevo subito a bottega. Anche li ero felice. Vendevamo un po' di tutto, pasta, pane, riso, legumi secchi, vino, olio, scatolame e io stavo dietro il banco come una regina, con le braccia nude fino al gomito e il mio medaglione col cammeo appuntato al petto : prendevo, pesavo, facevo il conto svelta svelta con un pezzo di matita e un pezzo di carta gialla, impacchettavo, porgevo. Mio marito, lui, era più lento. Parlando di mio marito, dimenticavo di dire che era già quasi vecchio quando lo sposai e ci fu chi disse che l'avevo sposato per interesse e certo non sono mai stata innamorata di lui ma, quant'è vero Dio, gli sono sempre stata fedele, sebbene lui, invece, non lo fosse con me. Era un uomo che aveva le sue idee, poveretto, e la principale era c[...]

[...]uasi vecchio quando lo sposai e ci fu chi disse che l'avevo sposato per interesse e certo non sono mai stata innamorata di lui ma, quant'è vero Dio, gli sono sempre stata fedele, sebbene lui, invece, non lo fosse con me. Era un uomo che aveva le sue idee, poveretto, e la principale era che lui piaceva alle donne, mentre invece non era vero. Era grasso, ma non di un grasso sano, con gli occhi neri picchiettati di sangue e tutta la faccia gialla e come macchiata di briciole di tabacco. Era bilioso, chiuso, sgabato e guai a contraddirlo. Si assentava continuamente dal negozio e io sapevo che andava a trovare qualche donna, ma ci giurerei che le donne non gli davano retta se non quando lui gli dava dei soldi. Coi soldi si sa, si ottiene tutto, persino che una sposina alzi la gonnella. Io capivo subito quando l'amore gli andava bene, perché allora era quasi allegro e perfino gentile. Quando invece non ci aveva donne, diventava cupo, mi rispondeva male e qualche volta persino mi menava. Ma io glielo dissi una volta : « Tu va con le mignotte qua[...]

[...], si ottiene tutto, persino che una sposina alzi la gonnella. Io capivo subito quando l'amore gli andava bene, perché allora era quasi allegro e perfino gentile. Quando invece non ci aveva donne, diventava cupo, mi rispondeva male e qualche volta persino mi menava. Ma io glielo dissi una volta : « Tu va con le mignotte quanto ti pare, ma non toccarmi perché altrimenti ti lascio e torno a Vallecorsa ». Io non volevo amanti, invece, sebbene molti, come ho già detto, mi stessero dietro; tutta la mia passione la mettevo nella casa, nel negozio e quando mi nacque la bambina, nella mia figlia. Dell'amore non m'importava e anzi, forse forse, per via che non avevo conosciuto se non mio marito così
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vecchio e brutto, mi faceva quasi schifo. Volevo soltanto star tranquilla e non mancare di nulla. Del resto una donna deve essere fedele al marito qualsiasi cosa avvenga, anche se il marito, come era il caso non è fedele a lei.
Mio marito con gli anni non trovava più donne che gli dessero retta, neppure per denaro, ed era diventato[...]

[...] detto, mi stessero dietro; tutta la mia passione la mettevo nella casa, nel negozio e quando mi nacque la bambina, nella mia figlia. Dell'amore non m'importava e anzi, forse forse, per via che non avevo conosciuto se non mio marito così
44 ALBERTO MORAVIA
vecchio e brutto, mi faceva quasi schifo. Volevo soltanto star tranquilla e non mancare di nulla. Del resto una donna deve essere fedele al marito qualsiasi cosa avvenga, anche se il marito, come era il caso non è fedele a lei.
Mio marito con gli anni non trovava più donne che gli dessero retta, neppure per denaro, ed era diventato proprio insopportabile. Da un pezzo io non facevo più l'amore con lui e poi ad un tratto, forse perché non aveva donne, lui si incapricciò di nuovo di me e voleva costringermi a fare l'amore di nuovo, ma non come marito e moglie, così, semplicemente, ma come lo fanno le mignotte con i loro amanti, per esempio acchiappandomi per i capelli e tentando di farmelo prendere in bocca, che è una cosa che non mi piacque mai e non avevo mai voluto fare, neppure quando venni a Roma la prima volta, sposina, ed ero così felice che quasi quasi mi illudevo di essere innamorata di lui. Glielo dissi che non volevo far più l'amore con lui né al modo delle spose né a quello delle mignotte; e lui la prima volta mi menò, facendomi persino uscire il sangue dal naso; poi, vedendo che ero proprio risoluta, cessò di starmi dietro, ma prese ad odiarmi ed a perseguitarmi i[...]

[...]ce male; e il prete, da vero prete, mi consigliò di aver pazienza e di dedicare le mie sofferenze alla Madonna. Intanto avevo preso in casa una ragazza per aiutarmi, una certa Bice, che aveva quindici anni e i parenti me l'avevano affidata, perché era quasi una bambina; e lui si mise a farle la corte e quando vedeva che ero impicciata con i clienti, lasciava il negozio, saliva quattro a quattro la scala e andava in cucina e le si gettava addosso come un lupo. Questa volta m'impuntai e gli dissi di lasciar stare la Bice e poi siccome lui insisteva a tormentarla, la licenziai. Lui per questo prese ad odiarmi più che mai e fu allora che cominciò a chiamarmi burina: « È tornata la burina?... dov'è la burina? ». Insomma era una gran croce e quando si ammalò sul serio, debbo confessarlo, quasi quasi provai sollievo. Però lo curai con amore, come si deve curare il marito quando è ammalato; e tutti lo sanno che non mi occupavo più del negozio e stavo sempre accanto a lui
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e ci avevo perduto persino il sonno. Mori, alla fine; e allora io mi sentii di nuovo quasi felice. Avevo il negozio, avevo l'appartamento, avevo mia figlia che era un angiolo e proprio non desideravo più nulla dalla vita.
Furono quelli gli anni più felici della mia vita : 1940, 1941, 1942, 1943. E vero che c'era la guerra, ma io della guerra non sapevo nulla, siccome non avevo che quella figlia, non me ne importava nulla. S'ammazzassero pure quanto vo[...]

[...]o che non mi occupavo più del negozio e stavo sempre accanto a lui
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e ci avevo perduto persino il sonno. Mori, alla fine; e allora io mi sentii di nuovo quasi felice. Avevo il negozio, avevo l'appartamento, avevo mia figlia che era un angiolo e proprio non desideravo più nulla dalla vita.
Furono quelli gli anni più felici della mia vita : 1940, 1941, 1942, 1943. E vero che c'era la guerra, ma io della guerra non sapevo nulla, siccome non avevo che quella figlia, non me ne importava nulla. S'ammazzassero pure quanto volevano, con gli aeroplani, con i carri armati, con le bombe, a me mi bastava il negozio e l'appartamento per essere felice, come infatti ero. Del resto sapevopoco della guerra, perché sebbene sappia fare i conti e magari mettere la firma su una cartolina illustrata, a dire la verità non so leggere bene e i giornali li leggevo soltanto per i delitti della cronaca nera, anzi me li facevo leggere da Rosetta. Tedeschi, inglesi, americani, russi, per me, come dice il proverbio, ammazza ammazza, é tutta una razza. Ai militari che venivano a bottega e dicevano : vinceremo là, andremo qua, diventeremo, faremo, io gli rispondevo : per me tutto va bene finché il negozio va bene, E il negozio andava bene sul serio, benché ci fosse quell'inconveniente delle tessere e Rosa ed io stessimo tutto il giorno con le forbici in mano come se fossimo state sarte e non negozianti. Andava bene il negozio perché io ero brava e sul peso riuscivo sempre a guadagnarci un poco e poi anche perché, siccome c'era il tesseramento, facevamo tutte e due un po' di borsa nera. Rosetta ed io ogni tanto si chiudeva il negozio e si andava al paese, a Vallecorsa oppure in qualche altra località più vicina. Ci andavamo con due grandi valigie di fibra, vuote; e le riportavamo indietro piene di tutto un po': farina, prosciutti, uova, patate. Con la polizia annonaria mi ero messa d'accordo, perché avevano fame anche loro e così era più quello che vendevo sotto banco che quello che vendevo a viso aperto. Uno della polizia, però un giorno si mise in testa di ricattarmi. Venne e disse che se io non facevo all'a[...]

[...]e di tutto un po': farina, prosciutti, uova, patate. Con la polizia annonaria mi ero messa d'accordo, perché avevano fame anche loro e così era più quello che vendevo sotto banco che quello che vendevo a viso aperto. Uno della polizia, però un giorno si mise in testa di ricattarmi. Venne e disse che se io non facevo all'amore con lui, mi avrebbe denunziato : Io gli dissi, calma calma: « Va bene... passa più tardi a casa mia ». Lui si fece rosso, come se gli fosse venuto un colpo, e se ne andò senza dir parola. All'ora fissata lui venne, lo feci passare in cucina, aprii un cassetto, presi un
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coltello e glielo puntai d'improvviso al collo dicendo: « Tu denunziami, ma io prima ti scanno ». Lui si spaventò e disse in fretta che ero matta e lui aveva fatto per scherzo. Aggiunse: « Ma tu non sei fatta come le altre donne? Non ti piacciono gli uomini? ».
Gli risposi: « Queste sono cose che devi andare a dire alle altre... io sono vedova, ci ho il negozio, e non penso che al negozio... per me l'amore non esiste, ricordatelo per regola tua ». Lui non ci credette subito e per un pezzo continue) a farmi la corte, rispettosamente, peri. E invece io avevo detto proprio la verità. L'amore, dopo la nascita di Rosetta, non mi aveva più interessato e forse neppure prima. Sono fatta così che non ho mai potuto soffrire
che qualcuno mi metta le mani addosso; e se i miei genitori non mi avessero a suo temp[...]

[...]ste, ricordatelo per regola tua ». Lui non ci credette subito e per un pezzo continue) a farmi la corte, rispettosamente, peri. E invece io avevo detto proprio la verità. L'amore, dopo la nascita di Rosetta, non mi aveva più interessato e forse neppure prima. Sono fatta così che non ho mai potuto soffrire
che qualcuno mi metta le mani addosso; e se i miei genitori non mi avessero a suo tempo combinato il matrimonio, credo che ancora oggi sarei come mamma mi ha fatto.
Ma all'apparenza inganno, perché piaccio agli uomini e sebbene sia un po' bassina e con gli anni mi sia inquartata, ho la faccia spianata, senza una ruga, con gli occhi neri e i denti bianchi. In quel periodo che come ho detto fu il più felice della mia vita non si contano gli uomini che mi chiesero di sposarmi. Ma io sapevo che tiravano al negozio e all'appartamento, anche quelli che pretendevano di amarmi sul serio. Forse non lo sapevano neppure loro che più di me gli premeva il negozio e l'appartamento e si ingannavano sopra se stessi; ma io giudicavo da me stessa e pensavo : « Io darei qualsiasi uomo per il negozio e l'appartamento... perché mai loro dovrebbero essere diversi da me?... siamo tutti fatti della stessa pasta ». E almeno fossero stati non dico ricchi ma benestanti; ma no, certi disperati c[...]

[...]a, ma i contadini non volevano venderla al governo perché il governo gliela pagava poco e aspettavano noialtri della borsa nera che gliela pagavamo a prezzo di mercato. Molta roba, oltre che nelle valigie ce la mettevamo addosso : ricordo che una volta tornai a Roma con qualche chilo di salsicce legate intorno la vita, sotto la gonnella, che sembravo incinta. E Rosetta si metteva le uova in seno che poi quando le tirava fuori, erano calde calde, come se fossero uscite allora dalla gallina. Questi viaggi però erano lunghi e pericolosi; e una volta, dalle parti di Frosinone, un aeroplano mitragliò il treno, e il treno si fermò in aperta campagna e io dissi a Rosetta di scendere e di nascondersi dentro il fossato, io però non discesi perché ci avevo le valigie piene di roba e nello scompartimento c'erano certe facce poco rassicuranti e una valigia si fa presto a rubarla. Così mi sdraiai in terra, tra i sedili, con i cuscini dei sedili sul corpo e sulla testa, e Rosina discese con gli altri e si nascose nel fossato. L'aeroplano, dopo averci m[...]

[...]mento c'erano certe facce poco rassicuranti e una valigia si fa presto a rubarla. Così mi sdraiai in terra, tra i sedili, con i cuscini dei sedili sul corpo e sulla testa, e Rosina discese con gli altri e si nascose nel fossato. L'aeroplano, dopo averci mitragliato quella prima volta, fatto un giro per il cielo tornò alla carica, volando basso sul treno fermo, con un fracasso terribile del motore
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e il ticchettio fitto fitto, come di grandine, delle mitragliatrici. Passò, si allontanò e poi ci fu silenzio e finalmente tutti tornarono nello scompartimento e il treno riparti. Quella volta mi mostrarono anche le pallottole, erano lunghe un dito e chi diceva che erano gli americani e chi diceva che erano i tedeschi. Io però dissi a Rosetta : « Tu devi farti il corredo e la dote. Tornano i soldati dalla guerra, no? Eppure in guerra gli sparano addosso tutto il tempo e si ingegnano in ogni modo di ammazzarli... ebbene torneremo anche noi da queste gite che facciamo ». Rosetta non diceva nulla, oppure diceva che lei andava do[...]

[...]il marito li per li mi pagò e mentre toglieva il denaro dal portafogli le mani gli tremavano dalla gioia e non faceva che ripetere: « Appena ci ha qualche cosa di buono, si ricordi di noi... siamo disposti a pagare il venti e anche il trenta per cento più degli altri D.
Insomma tutti volevano roba da mangiare e pagavano senza fiatare qualsiasi prezzo e così fu che io non pensai a fare le provviste, perché mi ero abituata a considerare il denaro come la cosa più preziosa mentre invece il denaro non si può mangiare e quando venne la carestia non ci avevo proprio niente. Nel ñegozio le scansie erano vuote, non era restato che qualche rotolo di pasta e poche scatole di sardine di cattiva qualità. Avevo, si, i soldi e non li tenevo più in banca ma a casa per precauzione perché dicevano che il governo voleva chiudere le banche e prendersi i risparmi della povera gente; ma adesso i soldi non li voleva più nessuno e d'altra parte mi sapeva d'amaro, dopo aver fatto i soldi vendendo in borsa nera, di spenderli in borsa nera coi prezzi che andavano[...]

[...] i soldi vendendo in borsa nera, di spenderli in borsa nera coi prezzi che andavano alle stelle. Intanto erano tornati i tedeschi e i fascisti e passando per Piazza Colonna una mattina vidi il bandierone nero dei fascisti che pendeva dal balcone di un palazzo e tutta la piazza era piena di uomini in camicia nera, armati fino ai denti e tutti quelli che avevano fatto quel fracasso la notte del venticinque luglio, adesso scappavano rasente i muri, come tanti topi quando arriva il gatto. Io dissi allora a Rosetta: « Speriamo che ora vincano presto la guerra e che si possa mangiare di nuovo ». Era il mese di settembre e una mattina mi dissero che c'era una distribuzione di uova dalle parti di via della Vite. Ci andai, e c'erano infatti due camion pieni di uova. Ma non distribuivano niente e c'era un tedesco in mutande e in camiciola, con il fucile mitragliatore a tracolla che sorvegliava lo scarico delle uova. La gente intorno si era raggruppata e guardava scaricare le uova senza dir nulla, ma con gli occhi fuori della testa, da veri affamati[...]

[...] e c'era un tedesco in mutande e in camiciola, con il fucile mitragliatore a tracolla che sorvegliava lo scarico delle uova. La gente intorno si era raggruppata e guardava scaricare le uova senza dir nulla, ma con gli occhi fuori della testa, da veri affamati qual erano. Il tedesco si vedeva che aveva paura che gli saltassero addosso perché non
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faceva che voltarsiintorno, la mano sul fucile mitragliatore, con certi salti di lato come una ranocchia in riva ad un pantano. Era giovane, grasso e bianco, tutto arrossato per il sole, con le scottature sulle cosce e sulle braccia come dopo una giornata passata al mare. La gente vedendo che le uova non le distribuivano, cominciò a mormorare prima piano e poi sempre più forte e il tedesco allora che si vedeva lontano un miglio che aveva paura, prese il fucile e lo puntò contro la folla dicendo : « Via, via, via ». Allora io persi la testa anche perché duella mattina non avevo mangiato niente e ci avevo fame e gli gridai: « Tu dacci le uova e noi ce ne andiamo ». Lui ripeté: « via via », puntandomi contro il fucile e allora io feci un gesto come per dire che avevo fame, portando la mano alla bocca. Ma lui non se ne diede per [...]

[...] non le distribuivano, cominciò a mormorare prima piano e poi sempre più forte e il tedesco allora che si vedeva lontano un miglio che aveva paura, prese il fucile e lo puntò contro la folla dicendo : « Via, via, via ». Allora io persi la testa anche perché duella mattina non avevo mangiato niente e ci avevo fame e gli gridai: « Tu dacci le uova e noi ce ne andiamo ». Lui ripeté: « via via », puntandomi contro il fucile e allora io feci un gesto come per dire che avevo fame, portando la mano alla bocca. Ma lui non se ne diede per inteso e tutto ad un tratto mi piantò la canna del fucile proprio sullo stomaco, spingendomela dentro, così che mi fece male e allora mi venne la rabbia e gridai: « Avete fatto male a mandarlo via, Mussolini... si stava meglio con lui... da quando ci siete voialtri, non si mangia piú ». Non so perché, a queste parole la gente si mise a ridere e molti mi gridarono: « burina », proprio come mio marito e uno mi disse: « A Sgurgola, i giornali non li leggete? ». Risposi, invi perita: «Sono di Vallecorsa e non di Sgur[...]

[...] fame, portando la mano alla bocca. Ma lui non se ne diede per inteso e tutto ad un tratto mi piantò la canna del fucile proprio sullo stomaco, spingendomela dentro, così che mi fece male e allora mi venne la rabbia e gridai: « Avete fatto male a mandarlo via, Mussolini... si stava meglio con lui... da quando ci siete voialtri, non si mangia piú ». Non so perché, a queste parole la gente si mise a ridere e molti mi gridarono: « burina », proprio come mio marito e uno mi disse: « A Sgurgola, i giornali non li leggete? ». Risposi, invi perita: «Sono di Vallecorsa e non di Sgurgola... e poi a te non ti conosco e non ti parlo ». Ma quelli continuavano a ridere e anche il tedesco quasi quasi sorrideva. E intanto le uova le tiravano giù nelle cassette aperte, tutte bianche e belle, e le portavano dentro il magazzino. Io allora gridai: « Ah frocio, le uova vogliamo, hai capito... vogliamo le uova ». Dalla folla usci un vigile e mi ingiunse: « su, vattene che sarà meglio ». Io gli risposi: « Hai mangiato tu?... io no ». Lui allora mi diede uno sc[...]

[...]rà più scappare in campagna, ci ammazzeranno tutti con i bombardamenti... oh mamma, ho tanta paura... e Gino non mi scrive più da un mese e non so più niente di lui D. Io cercai di consolarla dicendogli le solite cose che anch'io ormai sapevo che non erano vere : che a Roma c'era il Papa, che i tedeschi avrebbero vinto presto la guerra, che non c'era da aver paura. Ma lei singhiozzava forte e dovetti alla fine prenderla tra le braccia e cullarla come quando aveva due anni. Mentre l'accarezzavo e lei continuava a singhiozzare e a ripetere: « ho tanta paura, mamma », io pensavo che non rassomigliava davvero a me che non avevo paura di niente né di nessuno. Anche fisicamente, del resto, Rosetta non mi rassomigliava : aveva un viso come di pecorella, con gli occhi grandi, di espressione dolce e quasi struggente, il naso fine che le scendeva un poco sulla bocca e la bocca bella e carnosa che sporgeva però sul mento ripiegato, proprio come quella delle pecore. E i capelli ricordavano il pelo degli agnelli, di un biondo scuro, fitti fitti e ricci, e aveva la pelle bianca, delicata, sparsa di nei biondi, mentre io ci ho i capelli neri e la carnagione scura, come bruciata dal sole. Finalmente per calmarla le dissi: u Tutti dicono che gli inglesi é questione di giorni e poi verranno e non ci sarà più la carestia... intanto sai che facciamo? Ce ne andiamo dai nonni a Vallecorsa e li aspettiamo la fine della guerra. Loro la roba da mangiare ce l'hanno, hanno fagioli, hanno uova, hanno maiali. E poi in campagna qualche cosa si trova sempre ». Lei domandò allora: « E l'appartamento? ». Io risposi: « Figlia mia anche a questo ci ho pensato... lo affittiamo a Giovanni, per modo di dire però... e,quando torniamo, lui ce lo rende tale e quale... il negozio, in[...]

[...]un omaccione grande e grosso, calvo, con la faccia rossa, i baffi ispidi e l'occhio dolce. Quando mio marito viveva ancora, lui gli era compagno la sera all'osteria, con altri negozianti del quartiere. Era sempre vestito con certi abiti larghi e rilasciati, un mezzo sigaro spento e freddo stretto tra i denti sotto i baffi e l'ho sempre veduto con un taccuino e un lapis in mano, non faceva che far conti e prendere note e appunti. Aveva le maniere come l'occhio, dolci, affettuose, familiari e quando mi vedeva, ai tempi che Rosetta era piccola, mi domandava sempre: « Come sta la pupa?... che fa la pupa? ». Dirò una cosa ma non ne sono tanto sicura però, perché certe cose quando accadono poi uno dubita che siano accadute, specie se la persona che le ha fatte, come fu il caso, non ne riparla più e si comporta come se non fossero mai accadute. Giovanni, dunque, quando mio marito era ancora vivo, sali un giorno a casa, che stavo cucinando, con non ricordo piú che pretesto
e sedette in cucina mentre io stavo dietro ai fornelli e cominciò a parlare del più e del meno e alla fine venne a parlare di mio marito. Io credevo che fossero amici e perciò immaginatevi la—raia sorpresa quando, tutto ad un tratto, lo udii dire: «Ma di un po' Cesira, che te ne fai di quella carogna? ». Disse proprio così :
« carogna » e io quasi non credetti alle mie orecchie e mi voltai a guardarlo: stava seduto, dolce, tranquillo,[...]

[...]solo al quale potessi rivolgermi.
Dunque andai da Giovanni che trovai nel suo seminterrato nero, pieno di fascinotti e di sacchi di carbonella, la sola merce che si trovasse a Roma quell'estate. Gli dissi quello che volevo e lui mi ascoltò in silenzio, strizzando gli occhi sul sigaro semispento. Finalmente disse: « Sta bene... ti terrò d'occhio il negozio e l'appartamento per tutto il tempo che starai fuori... sono grattacapi, e specie in tempi come questi... non so davvero perché lo faccio... mettiamo che lo faccio per la buon'anima ». Io a queste parole ci rimasi male perché mi pareva ancora di udire la sua voce che diceva : « che te ne fai di quella carogna? »; e quasi non credevo alle mie orecchie, ancora una volta. Ad un tratto mi scappò detto : « Spero che lo farai anche per me »; e non so perché lo dissi, forse perché ero convinta che lui mi volesse bene e in quel
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momento difficile mi avrebbe fatto piacere che lui avesse detto che lo faceva per me. Lui mi guardò un momento, quindi si tolse il sigaro di bocca e lo [...]

[...]li scalini, la chiuse e ci mise la sbarra col chiavistello, così che tutto ad un tratto rimanemmo al buio completo. Io avevo capito adesso e non fiatavo e il cuore mi batteva forte e non posso dire che la cosa mi dispiacesse: mi sentivo tutta turbata. Immagino che fossero le circostanze, con tutta Roma sottosopra e la carestia e la paura e la disperazione di lasciare il negozio e l'appartamento e il sentimento di non aver un uomo nella mia vita, come tutte le altre donne, che in una situazione simile, mi aiutasse e mi facesse coraggio. Fatto sta che per la prima volta in vita mia, mentre lui, al buio, mi veniva incontro, mi sentii come slegare e diventare fiacco e arrendevole il corpo; quando lui mi venne accosto, sempre al buio e mi prese tra le braccia, il mio primo impulso fu di stringermi a lui e di cercare la sua bocca con la mia che ansimava forte. Così lui mi spinse sopra certi sacchi di carbon dolce, e io mi diedi a lui e sentii mentre mi davo a lui che era la prima volta che mi davo veramente ad un uomo e con tutto che quei sacchi fossero duri e lui fosse pesante, provai un .sentimento come di leggerezza e di sollievo e dopo che fu finito e lui si era allontanato da me, rimasi un bel pezzo distesa sui sacchi intont[...]

[...]e fiacco e arrendevole il corpo; quando lui mi venne accosto, sempre al buio e mi prese tra le braccia, il mio primo impulso fu di stringermi a lui e di cercare la sua bocca con la mia che ansimava forte. Così lui mi spinse sopra certi sacchi di carbon dolce, e io mi diedi a lui e sentii mentre mi davo a lui che era la prima volta che mi davo veramente ad un uomo e con tutto che quei sacchi fossero duri e lui fosse pesante, provai un .sentimento come di leggerezza e di sollievo e dopo che fu finito e lui si era allontanato da me, rimasi un bel pezzo distesa sui sacchi intontita e felice, e mi pareva quasi quasi di essere tornata giovane, al tempo che ero venuta a Roma con mio marito e avevo sognato di provare un sentimento simile e invece non l'avevo provato e mi era venuto lo schifo degli uomini e dell'amore. Basta, alla fine lui domandò al buio se me la sentivo di parlare del nostro affare e io mi rialzai e dissi di si e allora lui accese una lampadina gialla gialla e io lo vidi, seduto al tavolo, come prima, come se niente fosse succes[...]

[...]ui sacchi intontita e felice, e mi pareva quasi quasi di essere tornata giovane, al tempo che ero venuta a Roma con mio marito e avevo sognato di provare un sentimento simile e invece non l'avevo provato e mi era venuto lo schifo degli uomini e dell'amore. Basta, alla fine lui domandò al buio se me la sentivo di parlare del nostro affare e io mi rialzai e dissi di si e allora lui accese una lampadina gialla gialla e io lo vidi, seduto al tavolo, come prima, come se niente fosse successo, il sigaro sotto i baffi, l'occhio dolce socchiuso. Io gli dissi avvicinandomi: « Giurami che non dirai mai a nessuno quello che è avvenuto oggi... giuralo ». E lui sorrise e rispose: « Io non so niente... che dici?,Manco ti capisco... sei venuta per questa faccenda della casa e el negozio, no? ». Di nuovo provai quel sentimento che ho già detto, di aver sognato e se non ci avessi avuto ancora le vesti scomposte e i segni del carbone un po' dappertutto,
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per essermi girata e rigirata su quei sacchi, davvero avrei potuto pensare che niente era succe[...]

[...]ne in cui io dicevo che gli affittavo casa e negozio per la durata di un anno e me la fece firmare. Mise il foglio in un cassetto, andò ad aprire la porta e disse:
« Siamo intesi... oggi vengo per la consegna e domani mattina verrò a prendervi tutte e due e vi accompagnerò alla stazione ». Stava presso la porta e io gli passai davanti per uscire e lui allora nel momento che passavo mi diede con la palma aperta una manata sul sedere, sorridendo, come per dire: « siamo intesi anche per quest'altra faccenda ». Pensai dentro di me che ormai non avevo più il diritto di protestare, che non ero più una donna onesta
e pensai pure che questo era davvero un effetto della guerra e della carestia, che una donna onesta, ad un certo momento si sente dare una manata sul sedere e non può più protestare perché, appunto, ormai non é più onesta.
Tornai a casa e cominciai subito a fare i preparativi per la partenza. Mi piangeva il cuore di lasciare quella casa in cui avevo passati gli ultimi vent'anni, senza mai allontanarmene, salvo che per i viaggi dell[...]

[...]ntimento non soltanto di un'assenza più lunga ma anche di qualche cosa di triste che mi aspettasse nell'avvenire. Io non mi ero mai occupata di politica
e non sapevo niente dei fascisti, degli inglesi, dei russi e degli americani: tuttavia a forza di sentirne parlare intorno a me, non dico che avessi capito qualche cosa, perché a dire la verità non avevo capito niente, ma avevo capito che non c'era niente di buono per l'aria per la povera gente come noi. Era come in campagna quando il cielo si fa nero per un temporale e le foglie degli alberi si rivoltano tutte dalla stessa parte e le pecore si mettono l'una contro l'altra e con tutto che sia estate, da non so dove viene un vento freddo che soffia rasente terra: avevo paura ma non sapevo di che;
e mi stringeva il cuore al pensiero di lasciare la mia casa e il mio
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negozio cose se avessi saputo di certo che non l'avrei mai più rivisti. Dissi però a Rosetta: a Guarda di non portare tanta roba che saremo fuori non più di due settimane e fa ancora caldo >>. Eravamo infatti verso il quindi[...]

[...]vo l'ora di andarmene. Anche perché negli ultitni tempi, tra gli allarmi aerei, la mancanza di roba da mangiare, l'idea di partire e tante altre cose, la vita per me non era più una vita, perfino non avevo più voglia di pulire la casa, io che di solito mi buttavo a ginocchioni in terra per lustrare i pavimenti e mi facevo mancare il fiato a forza di lustrarli e di renderli simili a uno specchio. Mi pareva insomma che la vita si fosse sgangherata come una cassa che casca giù da un carretto e si sfascia e tutta la roba si sparge per la strada. E se pensavo a quel fatto di Giovanni e a come lui mi aveva dato quella manata sul sedere, mi sentivo anch'io sgangherata come; la vita, e ormai capace di fare qualsiasi cosa, anche rubare, anche ammazzare, perché avevo perduto il rispetto di me stessa e non ero più quella di prima.
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Mi consolavo pensando a Rosetta che era un fiore e che almeno lei ci aveva sua madre a proteggerla. Lei almeno sarebbe stata quello che ormai io non ero più. Ah davvero la vita è fatta di abitudini e anche l'onestà è un'abitudine; e una volta che si cambiano le abitudini, la vita diventa un inferno e noialtri tanti diavoli scatenati senza più il rispetto di noi stessi e degli altri.
Rosetta, poi, era anche preoccupat[...]

[...]o la vita è fatta di abitudini e anche l'onestà è un'abitudine; e una volta che si cambiano le abitudini, la vita diventa un inferno e noialtri tanti diavoli scatenati senza più il rispetto di noi stessi e degli altri.
Rosetta, poi, era anche preoccupata per il suo gatto, un bel soriano che lei aveva trovato per strada, ancora piccolino e se l'era tirato su a mollichelle e la notte dormiva con lei e di giorno la seguiva da una stanza all'altra come un cagnolino. Le dissi di affidarlo alla portiera dello stabile accanto e lei disse che l'avrebbe fatto. Adesso sedeva in camera sua, ai piedi del letto sul quale stava la valigia già chiusa, tenendo il gatto sulle ginocchia e lo accarezzava pian piano e il gatto, poveretto, che non sapeva che h padrona stava per abbandonarlo, faceva le fusa, gli occhioni chiusi. A me venne compassione perché capivo che lei soffriva e le dissi: « Figlia santa... lascia passare questo brutto momento e poi vedrai che tutto andrà bene... finirà la guerra, tornerà l'abbondanza e tu ti sposerai e starai con tuo ma[...]

[...]do il gatto sulle ginocchia e lo accarezzava pian piano e il gatto, poveretto, che non sapeva che h padrona stava per abbandonarlo, faceva le fusa, gli occhioni chiusi. A me venne compassione perché capivo che lei soffriva e le dissi: « Figlia santa... lascia passare questo brutto momento e poi vedrai che tutto andrà bene... finirà la guerra, tornerà l'abbondanza e tu ti sposerai e starai con tuo marito e sarai felice ». Proprio in quel momento, come per darmi una risposta, ecco suonare h sirena d'allarme, quel rumore maledetto che mi pareva che portasse iettatura e mi faceva ogni volta sprofondare il cuore. Allora mi venne non so che rabbia e aprii la finestra che dava sul cortile e alzai il pugno verso il cielo e gridai: « Che tu possa mori ammazzato e chi ti ci manda e chi ti ci ha fatto venire ». Rosetta che non si era mossa, disse: « Mamma perché ti arrabbi tanto? Tu stessa hai detto che tutto tornerà a posto ». Allora, per ambre di quell'angiolo mi calmai, sebbene con sforzo e risposi: « Si, ma intanto noi dobbiamo andarcene da casa[...]

[...]n si era mossa, disse: « Mamma perché ti arrabbi tanto? Tu stessa hai detto che tutto tornerà a posto ». Allora, per ambre di quell'angiolo mi calmai, sebbene con sforzo e risposi: « Si, ma intanto noi dobbiamo andarcene da casa nostra e chissà che cosa succederà ancora ».
Quel giorno soffrii le pene dell'inferno. Non mi pareva più di essere me stessa : ora ripensavo a quello che era successo con Giovanni e al pensiero di avergli ceduto proprio come una zoc cola di strada, tutta vestita, sulle balle di carbone, mi sarei morsa le mani dalla rabbia; ora mi guardavo intorno per la casa che era stata la mia casa per vent'anni e adesso dovevo lasciarla e mi sen
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tivo disperata. In cucina il fuoco era spento, nella camera da letto dove dormivo nel letto matrimoniale insieme con Rosetta, le lenzuola erano rovesciate in disordine e io non mi sentivo la forza di rimettere a posto il letto, in cui sapevo che presto non avrei più dormito né di accendere il fuoco nei fornelli che da domani non sarebbero più stati i miei fornelli e io[...]

[...] rimettere a posto il letto, in cui sapevo che presto non avrei più dormito né di accendere il fuoco nei fornelli che da domani non sarebbero più stati i miei fornelli e io non ci avrei più cucinato. Mangiammo senza tovaglia, sul tavolo, pane e sardine; ogni tanto guardavo a Rosetta, così triste, e allora il boccone mi si fermava in gola perché mi faceva pena e avevo paura per lei e pensavo che non era stata fortunata a nascere e vivere in tempi come questi. Verso le due ci buttammo sul letto, sopra le coperte disfatte, e dormimmo un poco; o meglio dormi Rosetta, tutta acciambellata contro di me e io invece stetti ad occhi aperti pensando tutto il tempo a Giovanni, ai sacchi di carbone e alla manata che lui mi aveva dato sul sedere e alla casa e al negozio che stavo per lasciare. Finalmente suonarono alla porta e io mi sottrassi dolcemente al peso di Rosetta addormentata e andai alla porta. Era Giovanni, sorridente, il sigaro in bocca. Io non lo lasciai neppure rifiatare: « Senti », gli dissi con furore, « quello che é successo é successo[...]

[...]sedere e alla casa e al negozio che stavo per lasciare. Finalmente suonarono alla porta e io mi sottrassi dolcemente al peso di Rosetta addormentata e andai alla porta. Era Giovanni, sorridente, il sigaro in bocca. Io non lo lasciai neppure rifiatare: « Senti », gli dissi con furore, « quello che é successo é successo e io non sono più quella che ero prima, lo ammetto, e tu hai ragione a trattarmi cdme una mignotta... ma tu dammi un'altra manata come stamattina, e io, quanto é vero Dio, t'ammazzo... poi vado in galera ma di questi tempi può anche darsi che in galera ci si stia bene e io ci vado volentieri ». Lui inarcò appena appena le sopracciglia per la sorpresa, ma non disse nulla. Passò nell'anticamera pronunziando a fior di labbra : « Allora, facciamo questa consegna ».
Andai in camera da letto e presi un foglio sul quale avevo fatto scrivere a Rosetta tutta la roba che ci avevo nella casa e nel. negozio. Avevo fatto scrivere anche i più piccoli oggetti non tanto perché non mi fidassi di Giovanni ma perché é bene non fidarsi di ness[...]

[...]ntaspilli di velluto azzurro, una scatola di Sorrento che ad aprirla suonava un'arietta e il coperchio ci aveva un intarsio con il Vesuvio, due bottiglie per l'acqua con i relativi bicchieri, di vetro intagliato e massiccio, un vaso di fiori di porcellana colorata, in forma di tulipano, con tre penne di pavone, tanto belle, infilate in luogo di fiori, due quadri a colori, stampati, uno rappresentante la Madonna con il Bambino e l'altro una scena come di teatro con un moro e una donna bionda, che mi avevano detto che era di un'opera chiamata Otello e il moro appunto era Otello. Dalla camera da letto lo portai nella sala da pranzo che mi serviva anche da salotto e ci tenevo pure la macchina da cucire. Qui gli feci toccare con mano il tavolo rotondo, di noce scuro con il centrino ricamato, e un vaso di fiori compagno a quello della camera da letto e le quattro seggiole nel mezzo con il velluto verde e poi aprii la credenza e gli contai pezzo per pezzo tutto il servizio di porcellana a fiori e ghirlande, tanto bello, completo per sei, che ci [...]

[...]aceva più e aveva i nervi sottosopra e così mi rassegnai a lasciare la cena e a scendere in cantina, una precauzione che in fondo non serviva a niente perché se fosse cascata una bomba quella nostra casa tanto vecchia sarebbe andata in polvere e noi ci saremmo rimaste sotto. Così scendemmo nel rifugio e c'erano tutti quanti gli inquilini della casa e passammo tre quarti d'ora sedute sui banchi, al buio. Tutti parlavano del l'arrivo degli inglesi come di cosa di pochi giorni: erano sbarcati a Salerno che stava vicino a Napoli e da Napoli a Roma ci avrebbero messo forse una settimana anche ad andar piano, perché ormai tedeschi e fascisti_scappavano come lepri e non si sarebbero fermati che alle Alpi. Ma alcuni dicevano che a Roma i tedeschi avrebbero dato battaglia perché Mussolini ci teneva a Roma e lui non gliene importava niente di ridurla una rovina purché gli inglesi non ci entrassero. Io ascoltavo queste cose e pensavo che facevamo bene ad andarcene; Rosetta si stringeva contro di me e io capivo che lei aveva sempre paura ormai, e che non si sarebbe cal
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mata se non quando fossimo andate via da Roma. Ad un certo punto qualcuno disse: « Sai che dicono? Che lanceranno i paracadutisti e quelli entreranno nelle case e ne fa[...]

[...]nte di ridurla una rovina purché gli inglesi non ci entrassero. Io ascoltavo queste cose e pensavo che facevamo bene ad andarcene; Rosetta si stringeva contro di me e io capivo che lei aveva sempre paura ormai, e che non si sarebbe cal
LA CIOCIARA 63
mata se non quando fossimo andate via da Roma. Ad un certo punto qualcuno disse: « Sai che dicono? Che lanceranno i paracadutisti e quelli entreranno nelle case e ne faranno di tutti i colori ». « Come sarebbe a dire? ». « Beh, la roba e poi le donne ». Allora io dissi: « Voglio vedere chi avrà il coraggio di toccarmi ». Dal buio una voce che era quella di un certo Proietti, fornaio, un uomo stupido da non si dire e sempre molto greve nel linguaggio, che io non avevo mai potuto soffrire, disse con una risata: « A te magari non ti toccheranno perché sei troppo vecchia... ma tua figlia, si ». Risposi: « Guarda come parli... io ci ho trentacinque anni perché mi sono sposata a sedici e troppi ce ne sono che vorrebbero sposarmi... se non mi sono risposata, é che non ho voluto ». « Si », rispose lui, « la volpe e l'uva ». Io dissi allora, proprio arrabbiata : « Tu pensa piuttosto a quella mignotta di tua moglie... lei le corna te le mette già adesso che non ci sono i paracadutisti... figuriamoci quando ci saranno ». Credevo che la moglie fosse al paese, erano di Sutri e io l'avevo vista andar via qualche giorno prima; invece, guarda combinazione, stava anche lei nel rifugio e io non l'avevo veduta per via d[...]

[...]larme e allora uno accese la luce e ci trovammo l'una di fronte all'altra, scarmigliate e ansimanti, trattenute per le braccia e quelli che ci tenevano chi aveva la faccia sgraffignata e chi i capelli scomposti. Rosetta, in un angolo, singhiozzava.
Quella notte, dopo questa scenata ce ne andammo a letto mol to presto, senza neanche finire la cena che restò sul tavolo e la mattina dopo c'era ancora. Nel letto, Rosetta si rannicchio contro di me, come faceva quando era piccola e come da molto tempo non faceva più. Le domandai: «Ma che, hai ancora paura? ». Lei ri
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spose : « No, non ho paura, ma è vero mamma che i paracadutisti fanno quelle cose alle donne? ». E io: «Non dargli retta a quello scemo... non sa quello che dice ». « Ma è vero? » insistette lei. E io : « No, non è vero... e poi noi partiamo domani e andiamo in campagna e li non succederà proprio niente, sta tranquilla ». Lei stette zitta ancora un momento e poi disse: « Ma affinché noi possiamo tornare a casa, chi é che deve vincere: i tedeschi o gli inglesi? ». Io a questa domanda ci rimasi[...]

[...]sti fanno quelle cose alle donne? ». E io: «Non dargli retta a quello scemo... non sa quello che dice ». « Ma è vero? » insistette lei. E io : « No, non è vero... e poi noi partiamo domani e andiamo in campagna e li non succederà proprio niente, sta tranquilla ». Lei stette zitta ancora un momento e poi disse: « Ma affinché noi possiamo tornare a casa, chi é che deve vincere: i tedeschi o gli inglesi? ». Io a questa domanda ci rimasi male perché come ho detto i giornali non li leggevo e per giunta non mi ero mai interessata di sapere come andasse la guerra. Dissi: « Io non lo so quello che hanno combinato... so soltanto che sono tutti figli di mignotte, inglesi e tedeschi... e che le guerre loro le fanno senza domandarci niente a noialtri poveretti... ma sai che ti dico : che per noi bisogna che qualcuno vinca sul serio, così la guerra finisce... tedeschi o inglesi non importa, purché qualcuno sia il più forte ».
Ma lei insistette: « Tutti dicono che i tedeschi sono cattivi... ma che hanno fatto, mamma? ». Allora io risposi: « Hanno fatto che invece di stare al paese loro, sono venuti qui, a scocciarci a noi... per questo la [...]

[...].
Che brutta notte. Io mi svegliavo ad ogni momento e penso che Rosetta anche lei non chiudesse occhio tutta la notte, sebbene, per non inquietarmi, forse facesse finta di dormire. Talvolta mi pareva di svegliarmi ed invece dormivo e sognavo di svegliarmi, talaltra credevo di dormire ed invece ero sveglia e la stanchezza e il nervosismo mi illudevano di dormire. Gesù nell'orto, la notte prima che Giuda venisse a pigliarlo, non ha sofferto tanto come io quella notte li. Mi stringeva il cuore al pensiero di lasciare la casa dove avevo vissuto per tant'anni e poi pensavo che durante il viaggio potessero mitragliare il treno, oppure che il treno non ci fosse più, perché dicevano che da un giorno all'altro Roma poteva restare isolata. Pensavo anche a Rosetta e pensavo che era
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una vera disgrazia che mio marito fosse stato l'uomo che era stato e che fosse morto perché due donne sole al mondo senza un uomo che le guidi e che le protegga sono in certo senso come due cieche che camminano senza vederci e senza capire dove si trovan[...]

[...]ve avevo vissuto per tant'anni e poi pensavo che durante il viaggio potessero mitragliare il treno, oppure che il treno non ci fosse più, perché dicevano che da un giorno all'altro Roma poteva restare isolata. Pensavo anche a Rosetta e pensavo che era
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una vera disgrazia che mio marito fosse stato l'uomo che era stato e che fosse morto perché due donne sole al mondo senza un uomo che le guidi e che le protegga sono in certo senso come due cieche che camminano senza vederci e senza capire dove si trovano.
Una volta, non so che ora fosse, sentii sparare nella strada, io ci ero ormai abituata, sparavano tutte le notti, pareva di essere al tira segno, ma Rosetta si svegliò e domandò; cc Che c'è mamma? ». Io risposi: « Niente, niente.. sono quei soliti figli di mignotte che si divertono a sparare... e potessero ammazzarsi gli uni con gli altri ». Un'altra volta passò una colonna di camion, proprio sotto casa, e tutta la casa tremava e non finivano mai di passare e quando pareva che fosse finito ecco un altro camion che rotolav[...]

[...]n gli altri ». Un'altra volta passò una colonna di camion, proprio sotto casa, e tutta la casa tremava e non finivano mai di passare e quando pareva che fosse finito ecco un altro camion che rotolava con un fracasso da non si dire. Io mi tenevo Rosetta abbracciata, con la testa contro il mio petto, e ad un tratto, forse perché ci avevo la testa contro il petto, mi ricordai di quando era piccola e io l'allattavo, e avevo il petto gonfio di latte, come sempre noialtre ciociare che siamo conosciute come le meglio balie del Lazio e lei poppava tutto quel latte e diventava più bella ogni giorno ed era proprio un fiore di bellezza che la gente per la strada si fermava a guardarla
e mi dissi ad un tratto che sarebbe stato molto meglio che non fosse mai nata, se doveva poi vivere in un mondo come questo, tra gli affanni, i pericoli e la paura. Ma poi mi dissi che queste sono le idee che vengono di notte e che era peccato pensare queste cose e al buio mi feci il segno della Croce e mi raccomandai a Gesù e alta Madonna. Udii un gallo cantare nell'appartamento vicino che era l'appartamento di una famiglia che teneva tutto un pollaio nel cesso
e pensai allora che presto sarebbe stato giorno e credo che mi addormentassi.
Fui svegliata di soprassalto dal campanello della porta che suonava e suonava come se stesse suonando da un pezzo. Mi alzai al buio e andai nell'anticamera e aprii ed er[...]

[...]dissi che queste sono le idee che vengono di notte e che era peccato pensare queste cose e al buio mi feci il segno della Croce e mi raccomandai a Gesù e alta Madonna. Udii un gallo cantare nell'appartamento vicino che era l'appartamento di una famiglia che teneva tutto un pollaio nel cesso
e pensai allora che presto sarebbe stato giorno e credo che mi addormentassi.
Fui svegliata di soprassalto dal campanello della porta che suonava e suonava come se stesse suonando da un pezzo. Mi alzai al buio e andai nell'anticamera e aprii ed era Giovanni che entri dicendo: « salute che sonno... sarà un'ora che suono ». Ero in camicia e io ci ho il petto ancora adesso erto, che sta su senza reggiseni e allora ce l'avevo ancora più bello con le zinne pesanti
e solide e i capezzoli che si rivoltavano in su come se volessero per forza farsi notare sotto la tela della camicia e subito vidi che
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lui mi guardava al petto e che gli occhi gli si accendevano sotto le sopracciglia come due pezzi di carbonella sotto le ceneri. Capii che lui stava per acchiapparmi le zinne e gli dissi subito, tirandomi indietro: « No, Giovanni, no... per me tu non esisti più e devi dimenticare quello che è successo... se tu non fossi già sposato, ti sposerei... ma sei sposato e tra di noi non deve più esserci niente ». Lui non disse né si né no, ma si vedeva che si sforzava di controllarsi. Alla fine ci riuscì e disse con voce normale: «Hai ragione... ma speriamo che quella schifosa di mia moglie muoia durante questa guerra... così quando torni, io sono vedovo e ci sposiamo... muore tanta gen[...]

[...]i non disse né si né no, ma si vedeva che si sforzava di controllarsi. Alla fine ci riuscì e disse con voce normale: «Hai ragione... ma speriamo che quella schifosa di mia moglie muoia durante questa guerra... così quando torni, io sono vedovo e ci sposiamo... muore tanta gente sotto le bombe, perché non dovrebbe morire lei ? ». E io una volta di più ci rimasi male e fui stupita di sentirgli dire queste cose e quasi non credevo alle mie orecchie come quando aveva detto che mio marito era una carogna e fin'allora gli era stato amico e per così dire erano inseparabili. Conoscevo, infatti, la moglie di Giovanni e avevo sempre pensato che lui le volesse bene o per lo meno le fosse affezionato, essendo stati sposati tan'anni
e avendo avuto tre figli e invece, ecco qua, lui ne parlava con odio
e sperava che morisse e il modo con il quale ne parlava lasciava capire che l'odiava da chissà quanto tempo e ormai non provava per lei altro che odio seppure aveva mai provato qualche altro sentimento in passato. Dico la verità, provai quasi uno spaven[...]

[...]di la mia casa che faceva angolo nel quadrivio, con tutte le finestre chiuse e a pianterreno il negozio con le serrande abbassate. Di fronte c'era un'altra casa che faceva angolo anche quella e ci aveva al secondo piano una nicchia a medaglione, con la immagine della Madonna sottovetro, circondata di spade d'oro e con un lumino acceso perpetuamente. Pensai che quel lumino che ardeva anche in tempo di guerra, anche in tempo di carestia, era un pò come la mia speranza di tornare e mi sentii un poco sollevata : quella speranza avrebbe continuato a ricaldarmi una volta che fossi stata lontana. In quella luce grigia si vedeva tutto il quadrivio, come una scena di teatro vuota, dopo che gli attori se ne sono andati; e si vedeva che erano case di povera gente, casucce insomma, un po' storte come se si appoggiassero le une alle altre, un po' scalcinate specie ai pianterreni per via dei carretti e delle macchine, e proprio accanto al mio negozio c'era il negozio di carbone di Giovanni, e intorno la porta era tutta nero come la bocca di un forno e a quell'ora quel nero si vedeva e non so perché mi parve tanto triste. E non potei fare a meno di ricordarmi che durante la giornata, ai tempi belli, il quadrivio era pieno di gente, con le donne sedute sulle seggiole di paglia fuori delle porte, e i gatti che gironzolavano sui selci e i
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ragazzini che giocavano alla corda e al salto e i giovanotti che lavoravano nelle officine oppure entravano all'osteria che era sempre piena e pensando questo provai uno strappo al cuore e mi accorsi che quelle casucce e quel quadrivio mi erano cari, forse perché ci[...]

[...]i che era la bandiera di Mussolini. Domandai a Giovanni: «Ma che, è tornato Mussolini? ». Lui fumava il mezzo sigaro, e rispose con enfasi: «È tornato e speriamo che ci rimanga per sempre ». Rimasi a bocca aperta perché sapevo che lui ce l'aveva con Mussolini; ma già lui mi sorprendeva sempre, e non potevo mai prevedere quel che gli passasse per la testa. Poi mi sentii dar del gomito nelle costole e vidi che ammiccava in direzione del vetturino, come per dire che lui quelle parole le aveva dette per paura del vetturino. Mi parve esagerato
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perché il vetturino era un buon vecchietto, con una parrucca di capelli bianchi che gli scappavano da ogni parte da sotto il berretto e pareva tutto mio nonno e certo non avrebbe fatto la spia; ma non dissi nulla.
Prendemmo Via Nazionale e già l'aria si faceva meno grigia e in cima alla Torre di Nerone si vedeva uno spicchio rosa di sole. Ma come giungemmo alla stazione e vi entrammo, dentro era come se fosse ancora notte, con tutte le lampade accese e l'aria buia. La stazione era piena[...]

[...]r dire che lui quelle parole le aveva dette per paura del vetturino. Mi parve esagerato
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perché il vetturino era un buon vecchietto, con una parrucca di capelli bianchi che gli scappavano da ogni parte da sotto il berretto e pareva tutto mio nonno e certo non avrebbe fatto la spia; ma non dissi nulla.
Prendemmo Via Nazionale e già l'aria si faceva meno grigia e in cima alla Torre di Nerone si vedeva uno spicchio rosa di sole. Ma come giungemmo alla stazione e vi entrammo, dentro era come se fosse ancora notte, con tutte le lampade accese e l'aria buia. La stazione era piena di gente, in gran parte povera gente come noi, coi loro fagotti, ma c'erano anche molti soldati tedeschi, carichi di armi e di zaini, in piedi, raggruppati gli uni addosso agli altri negli angoli piú scuri. Giovanni andò a comprare i biglietti e ci lasciò li con le valigie nel mezzo della stazione. Mentre aspettavamo, ecco, tutto ad un tratto, con gran fracasso, proprio sotto la pensilina arrivare una decina di motociclisti, tutti vestiti di nero, come diavoli dell'inferno. Dopo il bandierone nero di Piazza Venezia, questi motociclisti vestiti anche loro di nero, mi ispirarono un sentimento di insofferenza, tanto che pensai: « Ma perché nero, perché tutto questo nero? Disgraziati figli di mignotte, con il loro nero maledetto hanno finito davvero per portarci iettatura ». I motociclisti fermarono le motociclette, le addossarono alle colonne dell'ingresso e si misero accanto alle porte, col viso chiuso nei caschi di cuoio nero e le mani sulle pistole che tenevano al cinturone. Tutto ad un tratto mi mancò il respiro dalla paura e prese a batte[...]

[...]davvero per portarci iettatura ». I motociclisti fermarono le motociclette, le addossarono alle colonne dell'ingresso e si misero accanto alle porte, col viso chiuso nei caschi di cuoio nero e le mani sulle pistole che tenevano al cinturone. Tutto ad un tratto mi mancò il respiro dalla paura e prese a battermi forte il cuore perché pen sai che quei motociclisti neri fossero venuti alla stazione per bloccare gli ingressi e arrestare tutti quanti, come spesso facevano e poi portavano via la gente nei loro camion e non se ne sapeva piú nulla. Così mi guardai intorno quasi cercando una via di uscita per scappare. Ma poi vidi che all'ingresso, dalla parte dei treni, arrivava un gruppo di persone mentre altri ripetevano: « largo, largo » e capii che quei motociclisti erano li per l'arrivo di qualche personaggio importante. Non lo vidi perché la folla me l'impediva, ma dopo un poco riudii il fracasso di quelle maledette motociclette e capii che se ne erano andati dietro la macchina di quel personaggio.
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Giovanni venne a prend[...]

[...], coi biglietti in mano dicendoci che erano biglietti fino a Itri : di qui poi, per le montagne, avremmo potuto raggiungere il paese. Uscimmo dalla stazione, andammo al treno, sotto la pensilina. Li c'era il sole in tanti raggi che si allungavano sopra i marciapiedi e parevano i raggi di sole che si vedono nelle corsie degli ospedali e nei cortili delle prigioni. Non si vedeva un cane e il treno, lungo lungo, sotto la pensilina, pareva vuoto. Ma come salimmo e cominciammo a percorrere i corridoi vidi che era pieno zeppo di soldati tedeschi, tutti armati, cogli zaini sulle spalle, il casco sugli occhi e il fucile tra le gambe. Ce n'erano non so quanti, passavamo da uno scompartimento all'altro e sempre vedevamo otto soldati tedeschi, con tutta quella roba addosso, fermi e zitti che parevano aver avuto l'ordine di non muoversi e di non parlare. Finalmente in uno scompartimento di terza trovammo gli italiani. Stavano ammucchiati nei corridoi
e negli scompartimenti, come bestie che vengono portate al macello e perciò non importa che stiano c[...]

[...] soldati tedeschi, tutti armati, cogli zaini sulle spalle, il casco sugli occhi e il fucile tra le gambe. Ce n'erano non so quanti, passavamo da uno scompartimento all'altro e sempre vedevamo otto soldati tedeschi, con tutta quella roba addosso, fermi e zitti che parevano aver avuto l'ordine di non muoversi e di non parlare. Finalmente in uno scompartimento di terza trovammo gli italiani. Stavano ammucchiati nei corridoi
e negli scompartimenti, come bestie che vengono portate al macello e perciò non importa che stiano comode tanto trappoco debbono morire; anche loro come i tedeschi non dicevano nulla, non si muovevano; ma si capiva che la loro immobilità e il loro silenzio erano dovuti alla stanchezza e alla disperazione mentre i tedeschi si vedeva che si tenevano pronti a saltar fuori del treno
e far subito la guerra. Dissi a Rosetta: « Vedrai che questo viaggio lo facciamo in piedi ». Infatti, dopo aver girato non so quanto, con quel sole che entrava attraverso i verti sporchi del treno e giâ arroventava le vetture, mettemmo anche noi le valigie nel corridoio, davanti la latrina, e ci accoccolammo alla meglio. Giovanni che ci aveva seguite nel treno, a que[...]

[...]iata contro le mie ginocchia. Rosetta dopo mezz'ora che
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stavamo così, senza parlare, accovacciate, domandò: « Mamma, quando si parte ? » e io le risposi: « Figlia mia, io ne so quanto te ». Stetti così ferma, con Rosetta accucciata ai miei piedi non so quanto tempo. La gente nel corridoio sonnecchiava e sospirava, il sole cominciava a scottare forte e fuori, dai marciapiedi non giungeva un solo rumore. Anche i tedeschi tacevano, come se non ci fossero neppure stati. Poi, tutto ad un tratto nello scompartimento più vicino, i tedeschi cominciarono a cantare. Non si può dire chè cantassero male, avevano certe voci basse e rauche però intonate ma io che avevo tante volte sentito cantare i soldati nostri, allegramente, come fanno quando sono in treno e viaggiano insieme, mi venne tristezza perché cantavano nella lingua loro qualche cosa che mi sembrava molto triste. Cantavano lentamente e pareva davvero che non ne avessero tanta voglia di andare a far la guerra perché il loro canto era veramente triste. Dissi a quell'uomo vestito di nero vicino a me : « Anche a loro la guerra non piace... sono uomini anche loro dopo tutto... senti come cantano tristemente ». Ma lui, ingrugnato, mi rispose: «Non te ne intendi... è il loro inno... é come da noi la Marcia Reale ». E poi dopo un momento di silenzio : « La tristezza vera ce l'abbiamo noialtri italiani ».
Finalmente il treno si mosse, senza un fischio, senza uno squillo di tromba, senza un rumore, come per caso. Avrei voluto raccomandarmi una ultima volta alla Madonna che proteggesse me e Rosetta da tutti i pericoli ai quali andavamo incontro. Ma mi era venuto un sonno così forte che non ne ebbi neppure la forza. Pensai soltanto: « Sti figli di mignotte... »; e non sapevo se pensavo ai tedeschi o agli inglesi o ai fascisti o agli italiani. Un pò tutti forse. Quindi mi addormentai.
ALBERTO MORAVIA



da Angus Wilson, Totentanz in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]io. I qua drati nitidi delle case borghesi settecentesche e le forme contorte delle grige, massicce ravine sulla sponda del lago ricuperavano i contorni che le nebbie rendevano indistinti. I ciuffi di violaL.ciocche oro e rame, che riempivano i crepacci dei muri, sembravano schernire la solennità delle cornacchie assembrate, che gracchiavano aspre rampogne sopra le loro teste. Le toghe degli studiosi, di quella famosa seta cilestrina, brillavano come aerostati argentei contro l'azzurro più fondo del cielo. In una giornata come quella, persino il più arrugginito, il più deluso dei docenti, la più nevrastenica e opprimente delle loro consorti, era capace di un impulso generoso, o per lo meno si spogliava di amarezza, si da rallegrarsi se uno dei compagni di prigionia veniva messo in libertà. Solo i
più giovani ed i più ingenui studenti potevano venir indotti dal sole a toglier la muffa dalle proprie speranze e ideali, ché se qualcun altro aveva ritrovato la strada verso le sue mete, bè, buona fortuna! Comunque i Capper, la signora in special modo, non avevano apportato che turbamento nelle acque della palude con le [...]

[...]odo, non avevano apportato che turbamento nelle acque della palude con le loro futili lotte, e quasi tutti erano ben lieti di vederli andar via. La moglie del Preside, sempre eccentrica nel suo ampio mantello adorno di frange, disse con la sua voce fonda:
((Proprio al momenta buono! voglio dire, per Isabella ».
u Il momenta buono davvero! » squittì la piccola miss Thurkill, lettrice di letteratura francese. «Io direi che per una grossa eredità come questa, tutti i momenti sono buoni! » e sogghignò. Effettivamente, quella vecchia diceva case così buffe, personali.
« Si, proprio il momento buono» ripeté la moglie del Preside, la quale si piccava di comprendere gli esseri umani e non si lasciava sfuggire un'occasione per interpretarli. «Ancora pochi mesi e sarebbe finita male ».
Nell'ampia apertura tra le punte del colletto alto e antiquato, alla Gladstone, il pomo d'Adamo del Preside si spostava continuamente, su e giù. Ad Oxford e a Cambridge, l'eccentricità della moglie avrebbe anche potuto essere un contributo prezioso, mentre lassù,[...]

[...]quale si piccava di comprendere gli esseri umani e non si lasciava sfuggire un'occasione per interpretarli. «Ancora pochi mesi e sarebbe finita male ».
Nell'ampia apertura tra le punte del colletto alto e antiquato, alla Gladstone, il pomo d'Adamo del Preside si spostava continuamente, su e giù. Ad Oxford e a Cambridge, l'eccentricità della moglie avrebbe anche potuto essere un contributo prezioso, mentre lassù, se non avesse saputo esattamente come isolarla, poteva diventare un motivo d'imbarazzo.
«Tipicamente femminile!» commentò, con quella sua voce blanda ma incisiva che convinceva tanti uomini d'affari e garanti d'aver a che fare con uno studioso con la testa sulle spalle.
«Tipicamente femminile, il prendere in considerazione soltanto l'eredità! E piacevole, s'intende, e sarà un valido aiuto nel loro
nuovo ambiente ». C'era un'ombra d'amarezza in queste parole, perché la fortuna di sua moglie, considerevole agli inizi della car
riera, era sfumata a furia di investimenti disgraziati. « Ma la cat
tedra di Capper a Londra, questa [...]

[...]Quell'omaccione rozzo e tutto cuore, dall'accento Glaswegian e l'alita fortemente impregnato di whisky, era colpito dall'entità del legato:
«Cinquecento mila sterline!» e dette un fischio. «Però! Non é una bazzecola! Benché, badi bene, questo Governo di ladri gliene porterà via una buona parte con le tasse. Però, sono proprio contento per la signora ». Chissà, pensava, che la signora Capper non darà una mano per far presentare Margaret a Corte. Come conosceva poco Isabella Capper; sua moglie non sarebbe caduta in un simile errore.
« E quella magnifica nomina che gli é piovuta addosso contemporaneamente! » osservò il Preside.
« Già » fece Sir George. Non aveva capito bene di che si trattava. «Non c'è dubbio, Cappel é proprio un giovane di valore ». Forse, pensò, il Consiglio era stato un po' lento, il Preside si fa ceva vecchio, avrebbero potuto aver bisogno d'un giovane intelligente, con la testa sulle spalle.
ct Eccoli qua! » gridò la signorina Thurkill, tutta eccitata.
«Devo dire che Isabella sembra proprio...» ma non riuscì
TOTEN[...]

[...] ceva vecchio, avrebbero potuto aver bisogno d'un giovane intelligente, con la testa sulle spalle.
ct Eccoli qua! » gridò la signorina Thurkill, tutta eccitata.
«Devo dire che Isabella sembra proprio...» ma non riuscì
TOTENTANZ 163
a trovar parole atte a descrivere l'aspetto di Isabella, tanto essa appariva sgargiante.
Il suo vestito raffinatissimo ultima moda, tipo vestaglia, il frivolo cappellino fiorito librato sulla testa, si addicevano come nessun altro a quel miscuglio di finezza e di ricercatezza Liberty che era Isabella Capper. Avanzava a passi ancora più lunghi per l'eccitazione, dal viso bianco e affilato era scomparsa ogni tensione e gli occhi color ambra brillavano di trionfo. Sul fondo a larghe strisce rosa e nero del suo vestito elaborato e frusciante, strideva il rosso fuoco dei capelli. Era un poco impaziente di fronte allo strascico finale d'un episodio che era ben lieta di chiudere, l'animo colmo di piani; eppure quella parata di vittoria, benché meschina e provinciale, era un inizio piacevole per una nuova vita. An[...]

[...]lo penso. A parte le kunstgeschichte, vecchio mio, lo sappiamo tu ed io che tutta questa faccenda é una montatura! Non
dico con questo però che non ho intenzione di cavarne qualche cosa di utile, e proprio su questo argomento vorrei consultarti un poco prima di partire ». Sorprendente, pensava Isabella, quanto lo aveva ravvivato la notizia: vivo, e così terribilmente scaltro,
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eppure modesto, e, dietró a tutto il resto, solido come una roccia, un giovane di quarant'anni che, certamente, sarebbe andato lontano.
Il suo metodo era molto più diretto, non aveva mai avuto le capacità innate da ciarlatano che aveva suo marito, anzi, a volte, le trovava ripugnanti. Non c'era più nessun bisogno di darsi pena per tutta quella gente, ormai, e lei non aveva la minima intenzione di farlo:
cc Sarebbe una sciocchezza dire che ci vedremo ancora, Sir George» gli disse, prima che lui potesse raccapezzarsi a rivolgerle qualche domanda. cc Soltanto nel prospero nord le arti vengono condotte su schemi puramente finanziari ». Todhurst, lo [...]

[...]da ciarlatano che aveva suo marito, anzi, a volte, le trovava ripugnanti. Non c'era più nessun bisogno di darsi pena per tutta quella gente, ormai, e lei non aveva la minima intenzione di farlo:
cc Sarebbe una sciocchezza dire che ci vedremo ancora, Sir George» gli disse, prima che lui potesse raccapezzarsi a rivolgerle qualche domanda. cc Soltanto nel prospero nord le arti vengono condotte su schemi puramente finanziari ». Todhurst, lo ignorò, come tutti gli altri professori giovani: «Dovete esser proprio felice! » le disse Jessi Colquhoun, la poetessa dei laghi. « Non potrò essere completamente felice» le rispose Isabel «fino a che non avremo passato il confine ». Alla moglie del Preside disse: ((Naturalmente, perderemo ogni contatto, ma non ne son così felice come lei pensa ». Infatti, pensava, se l'eccentricità di quella vecchia non fosse stata provinciale e scorbutica a quel punto, si poteva anche invitarla a Londra. Gli strali più velenosi, li serbò proprio per il Preside; mentre egli intonava: « Ci mancherà terribilmente, signora Capper! e il nostro Capper, l'uomo più capace della Facoltà! ». cc Mi piacerebbe tanto sapere che cosa dirà al Consiglio quando si renderanno conto della perdita che hanno fatto, il che avverrà inevitabilmente ». Rispose Isabella «Ci vorranno un mucchio di spiegazioni ».
Eppure, aveva proprio ragione la moglie del Preside[...]

[...]ultimi anni, Brian aveva cominciato a fare regressi impressionanti: il sorriso, dal qua le dipendeva tutto il suo fascino, era diventato troppo meccanico, ed una contrazione delle gengive lo faceva somigliare ad un cavallo. La soddisfazione di sé, che una volta lo rendeva amichevole con tutti, persone utili o no, aveva cominciato a parere grossolana indifferenza. Ai primi tempi del suo soggiorno nel nord, scivolava da un gruppo all'altro leggero come un peso piuma, inebriando i potenti con la lode, offrendo agli amareggiati il conforto d'una piccola adulazione, senza impegnarsi mai: avvincendo tutti
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cuori con la sua fede giovanile nell'Utopia, tanto più accettabile perché egli era così fondamentalmente concreto. Ma, con gli anni, la sua sorridente franchezza aveva cominciato a diventare dogmatismo; si permetteva di sostenere le proprie opinioni, e, spesso, erano tutt'altro che interessanti, anzi, a volte proprio stupide. I colleghi più giovani lo seccavano, sentiva che lo consideravano sorpassato, e, benché mirasse tuttora[...]

[...]no dalla Persia, di esploratori introvertiti, giovani Conservatori abili, Domenicani influenti, e romanzieri del continente di fama internazionale strappati dalle grinfie dell'O.G.P.U. — e, al centro, lei, la donna che contava. Il successo di Brian sarebbe stato un contributo, il denaro ancora di piú. Per il momento, il suo ruolo era passivo, le bastava farsi accettare e per questo era sufficiente il suo Anglocattolicismo chic — quasi domenicano come sapore teolo
gico, e quasi Gesuita Contro Riforma come gusto estetico — com binato con quel suo spirito maligno, le capacità mimiche e l'aspetto interessante. Nel frattempo, vigilava e imparava, riceveva con molta larghezza, era gentile con tutti e sceglieva accuratamente i pochi importanti destinati a portarla allo stadio successivo — le persone più influenti del loro ambiente attuale, ma non — e qui si moveva con cautela estrema — quelle che erano troppi gradini più in sù; questi sarebbero venuti in seguito. Per quando fosse omologata definitivamente quella clausola ridicola, insensata, del testamento, ella aveva già scelto le quattro persone c[...]

[...]tta la bellezza che avevano durante la vita » soleva dire «eppure, permane tutto l'odore dello sfacimento, la dolce immobilità della morte! ». Strano vecchio! Inoltre, pareva nutrisse per Isabella un'ammirazione sconfinata, la guardava ore ed ore con i suoi vecchi occhi da rettile: « Che meravigliosa ossatura!» diceva « si possono quasi vedere le ossa delle guance ». « Se ne vedono pochi, al giorno d'oggi, signora Capper, con un pallore perfetto come il suo! A volte si direbbe quasi livido».
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Isabella esitò più a lungo riguardo a Lady Maude: di donne anziane, ricche e dotate di parentele, che s'interessassero di storia dell'arte, ce n'era a josa, e di queste Lady Maude era certo fisicamente la mena incoraggiante. Con quegli occhietti miopi da majale, gli ampi cappelli precariamente appuntati su viluppi malsicuri di chiome color henné, il corpo immenso avviluppato di lontra, sarebbe sfuggita a qualsiasi occhio meno acuto di quelli di Isabella. Ma Lady Maude era stata dappertutto, aveva visto tutto. A lei erano stati rivel[...]

[...]vevan celato a qualsiasi altro sguardo occii dentale, milionari americani le avevano mostrato capolavori di provenienza talmente dubbia che non si potevano esporre pubblicamente senza complicazioni internazionali. Aveva passato ore ed ore a guardare i migliori falsificatori contemporanei all'opera. Aveva una memoria precisa e particolareggiata, e, benché le andasse calando la vista, le sue spesse lenti registravano ancora tutto quello che vedeva come se fosse stato fotografato da una macchina. All'infuori delle sue conoscenze d'arte, era intensamente cretina, e pensava solo a mangiare. Cercava di nascondere questa avidità furio sa, ma Isabella non tardò a scoprirla, e si propose di conquistarla mediante tutte le leccornie che il mercato nero poteva procurarle.
Assicuratisi cosí gusto e dottrina, Isabella cominciò a cercar di scovare un appoggio all'infuor del mondo accademico alla moda, un palo profondamente conficcato nella società. Le spine che circondavano l'eredità cominciavano a pungere. Si rifiutava ancora di credere che quella cla[...]

[...]inciampi non mancavano. Bisognava, ad esempio, che lasciassero il vasto appartamento mobiliato che avevano preso in Cadogan Street ed occupassero la stravagante dimora dello zio Giuseppe in Portman Square, ingombra della più varia paccottiglia piccolo borghese messa insieme sin dal 1890; il testamento su questo era perfettamente esplicito. Il quartiere, ella pensava, poteva andare. Ma davanti alla prospettiva di riempire quella casa, e riempirla come si deve, di mobilio, di persone di servizio, e, sopra tutto, di ospiti, esitava. Fu in quel momento che
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conobbe Guy Rice. Sin dal suo arrivo a Londra, aveva visto tanti bei giovani invertiti, tutti con le stesse identiche voci, cravatte, pettinature complicate e frasario, che ormai era incline ad ignorarli. Non dubitava che alcuni di essi fossero importanti, ma era ben difficile distinguere in mezzo a tale uniformità e desiderava non commettere errori. Guy Rice, però, stabili di conoscere lei; intuì subito quanto fosse malcerta, dura e decisa. Era proprio il ricco chiodo che g[...]

[...] funziona D. E seguitò a farle la lezioncina ed a darle consigli sui modo di comportarsi. Strano a dirsi, Isabella non se ne dispiacque affatto. Quando lui le disse: «Lei potrebbe essere così carina, mia cara, se si provasse, e sarebbe tanto piacevole, non trova? Tutti quei discorsi intelligenti, benissimo, ma quel che vuole la gente è di spassarsela un po', all'antica. Quel che desiderano? feste, quelle grandi riunioni perfettamente organizzate come si facevano in altri tempi » infatti, Guy era piuttosto anziano come giovanotto. «Divertirsi, capisce, da bambini, ma con raffinatezza ed anche con un pizzico di perfidia: e lei è proprio il tipo da offrir loro questo ». Le guardò da vicino il viso pallido, smunto. «Lo scheletro alla festa da ballo, ecco che cos'è lei ».
La loro sorprendente amicizia aumentò di giorno in giorno: andavano a far commissioni, a far colazione insieme, ma il piú delle volte bastava loro stare a sedere uno vicino all'altro davanti
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ad una tazza di the, perché andavano pazzi entrambi per due buone chiacchiere. Egli la mise al corrente sul conto di tutti, con. giudi[...]

[...]ersona utile. La lasci parlare, tesoro, non domanda di meglio. Forse, alle volte, si sente un po' sola, capita a tutti ». La rassicurò anche a proposito del marito.
« Cosa ne pensa di Brian? » gli aveva chiesto lei.
«Lo stesso preciso di quel che ne pensa lei, cara. Mi secca a morte. Ma non si preoccupi, c'é migliaia di persone che adorano quel genere. Ognuno ha i suoi gusti ».
Le scelse gli abiti, dicendo con un sospiro: «Oh, Isabella, cara, come é sciccosa! » fino a che ella perdette quella pennellata di ricercatezza eccessiva che la moglie del preside aveva notato subito. Con il suo aiuto, ella fece della casa di Portman Square uno scenario magnifico, forse un tantino troppo perfetto. Egli s'intendeva di arredamento come un autentico professionista, e avendo spazio e denari a sufficienza, lasciò briglia sciolta alla sua passione per le contaminazioni. Ebbe abbastanza buon senso da lasciare al professore ed a Lady Maude i pezzi da esposizione — Il Zurbaran, il Fragonard, i Samuel Palmers' ed i Braque — ma per il resto si lasciò andare. E così nacquero camere da letto Regency, uno studio vittoriano, una sala da pranzo barocco spagnuolo, una stanza secondo impero, qualche pezzo divertente d'arte moderna; ma il suo maggior trionfo fu un ampio bucataio con impianti tubolari, biancheria americana e piante grasse in[...]

[...]di senno quando scrissero il testamento, ma pare che la legge non se ne curi. Oh! è caratteristico d'un paese dove íI sentimentalismo regna sovrano, senza riguardo per l'autorità di Dio o nemmeno per le leggi di natura. Una coppia di vecchi pazzi e disutili, imbevuti di scempiaggini nonconformiste, decidono in un atto di ingerenza tirannica sul nostro futuro e tutto quel che sanno dire gli avvocati é che un cittadino inglese é libero di disporre come vuole del suo denaro. Per questo, le nostre vite — quella di Brian e la mia — debbono esser rovinate, e dobbiamo farci rider dietro da tutti. Sentité qui: use Il Grande Mietitore dovesse ritenere opportuno di raccogliere la mia cara moglie e me a sé mentre ci troviamo in alto mare o in qualsiasi altro modo che impedisca ai nostri resti mortali di venir raccolti per una acconcia sepoltura cristiana in luoghi ove i nostri cari nipoti o altri eredi possano decorosamente intrattenersi con noi e in altri modi comunemente approvati dimostrare l'affetto e la devozione che provano per noi, in questo [...]

[...]eglio,
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no: erano del gusto moderno più esageratamente semplice che un artigiano dilettante, secondo Eric Gill, potesse fare.
« Cara » disse Guy « sono due orrori » e Lady Maude osservò che proprio non erano quel tipo di cose che si ha mai voglia di aver sottocchio. Gli epitaffi, inoltre, erano vistosi, moderni, e molto artificiosi: su uno c'era scritto: « Giuseppe Briggs. Pronto all'appello »; sull'altro: «Gladys Briggs. Sincero come l'acciaio, retto come una lama, il Grande Artefice fece il mio compagno ».
Il professor Cadaver era desolato: « Ma come, nulla! nemmeno le ceneri. Un vero peccato! ». Pareva sentisse che era andata perduta una grande occasione. Nessuno aveva da proporre suggerimenti. La signora Mule conosceva i nomi di molti avvocati astutissimi e persino di un imprenditore criminale, ma non pareva che questo facesse parte delle loro_ competenze. Lady,Maude tra sé pensava che sino a che sala da pranzo e cucina potevano funzionare ugualmente, non c'era motivo di prendersela tanto. Erano tutti. li immersi nello sconforto, quando improvvisamente Guy esclamò: « Come avete detto che si chiamano gli avvocati? ».
(( Robertson, Naism[...]

[...]erduta una grande occasione. Nessuno aveva da proporre suggerimenti. La signora Mule conosceva i nomi di molti avvocati astutissimi e persino di un imprenditore criminale, ma non pareva che questo facesse parte delle loro_ competenze. Lady,Maude tra sé pensava che sino a che sala da pranzo e cucina potevano funzionare ugualmente, non c'era motivo di prendersela tanto. Erano tutti. li immersi nello sconforto, quando improvvisamente Guy esclamò: « Come avete detto che si chiamano gli avvocati? ».
(( Robertson, Naismith e White» rispose Isabella «ma non serve a niente, ci siamo già passati ». « Fidati del piccolo Guy, cara» le disse l'amica e dopo poco si udì la sua voce che discuteva concitatamente al telefono. Vi restò più di venti minuti, e gli altri riuscirono a . sentire ben poco di quel che andava dicendo, salvo una volta quando si mise a parlare piuttosto infuriato: «Non dite mai che l'ho detto io, l'ho detto io, l'ho detto io! » e almeno un paio di volte emise petulanti interiezioni di sprezzo. Quando tornò, mise la mano sulla spall[...]

[...]E esattamente il tipo di lancia spettacoloso che le ci vuole. Dopo di che, imballi ben bene quelle due porcherie, e presto, mia cara, si torna alla normalità! ».
La Totentanz fu il massimo trionfo di Isabel, ma, ahimé, l'ultimo. L'ampia sala fu parata in bianco e violetto, e contro quei paramenti spiccavano in forte rilievo gli immensi monumenti bianchi ed altre piccole lapidi sepolcrali espressamente preparate. Camerieri e barmen erano vestiti come scheletri bianchi o come complicati becchini vittoriani ornati di piume di struzzo nere. Il caminetto fu adattato a forno crematoria, sedie e tavolini erano bare di legnami vani. Furono saccheggiati gli archivi musicali per scovare musiche funebri di ogni epoca e di ogni paese. Una famosa contralto ebrea gemeva come si fa nel ghetto, un africano picchiava sul tam tam come si suona per i sacrifici umani, un tenore irlandese fece piangere tutti con le sue canzoni da veglia. Fu annunciata la cena dall'Ultimo Messaggero con la tromba e furono approntati carri funebri per riportare a casa gli ospiti.
Molti dei costumi erano veramente originali. La Signora Mule si presentò — banale ma molto appropriato — vestita da Vampiro. Lady Maude, con i capelli raccolti in un fazzoletto ed un abito informe, ebbe un successo prodigioso rappresentando Maria An tonietta pronta per la ghigliottina. Il Professor Cadaver, mascherato da Mangiatore di Cadaveri, fu efficace quando Bori[...]

[...]odello originale, cambiò idea; però, con capelli fluenti e fattezze marmoree, fu un riuscitissimo « Suicidio di Chatterton ». Parve ad Isabella che avesse l'aria un poco malinconica durante la serata, ma, quando gli chiese se aveva qualcosa, egli le rispose distrattamente: « No, cara, pro
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prio nulla. Forse, « un poco innamorato della morte clemente ». Voglio dire, i divertimenti risultano strazianti, quando ci si trova, no?». Ma, come la vide rabbuiarsi, le disse: « Ma no, non se la prenda, tesoro, lei è arrivata! » e, infatti, Isabella era troppo felice per pensare a qualcun altro oltre che a se stessa. Infatti, molte ore dopo che se n'era andato l'ultimo degli invitati, rimase tutta felice seduta davanti ai monumenti a farli a pezzi con un martello. E cantarellava tra sé e sé: cc Ve l"ho fatta, zio e zia carissimi! Spero che sia l'ultima volta che mi verrete a seccare qua dentro! ».
Entrando nel suo lussuoso appartamentino d'una camera, Guy si sentì vecchio e stanco. Si rendeva conto che Isabella non avrebbe ancora avut[...]

[...]lta che mi verrete a seccare qua dentro! ».
Entrando nel suo lussuoso appartamentino d'una camera, Guy si sentì vecchio e stanco. Si rendeva conto che Isabella non avrebbe ancora avuto bisogno di lui per molto tempo, ben presto sa rebbe stata avviata a sfere che oltrepassavano il suo raggio. C'erano tanti autentici giovani in grado di far la sua parte, in giro, tipi ai quali non capitava di sentirsi stanchi o seccati nel bel mezzo di una festa, come faceva lui. Improvvisamente, sul tappeto, scorse una lettera scritta nella calligrafia rozza che gli era familiare. Per un momento gli girò la testa e si appoggiò alla parete. Impossibile seguitare così, a caccia di quattrini, per sempre. Per questa volta, forse, poteva procacciarsene da Isabella, in fondo gran parte del successo lo doveva a lui, ma questo non avrebbe fatto che affrettare la rottura inevitabile con lei. E, anche se aveva il coraggio di mettere a tacere questa, ce n'erano tante altre richieste di denaro, in altrettante diverse scritture rozze, che tutto il sentimentalismo del [...]

[...]mase a lungo nell'ampia vasca verde, poi si mise a sedere di fronte allo specchio duplice per compiere una complicata manovra di creme e ciprie. Finalmente, indossò una vestaglia di seta bianca e rossa, e appese nel guardaroba la parrucca ed il costume di Chatterton. Quanto gli sarebbe piaciuto che Chatterton fosse lì per farci due chiacchiere. Poi, si diresse all'armadietto bianco dei medicinali, e ne tolse una boccetta di luminal. « In momenti come questi » disse ad alta voce cc nulla vale una buona doppia dose per rimetterti in piedi ».
Lady Maude si godé la festa immensamente. I piatti della
cena funebre erano deliziosi ed Isabella aveva avuto cura che la vecchia signora prendesse tutto quel che le piaceva. Rimase seduta sull'orlo dell'ampia letto a. due piazze, i capelli grigi scarmi gliati per le spalle, dondolando i grassi piedi bianchi dalle vene azzurre e nodose. La maionese di pollo e caviale, e l'Omelette Surprise le pesavano, ma s'accorse, come sempre, che l'indigestione serviva solo a stuzzicarle l'appetito. Le tornò alla m[...]

[...] per rimetterti in piedi ».
Lady Maude si godé la festa immensamente. I piatti della
cena funebre erano deliziosi ed Isabella aveva avuto cura che la vecchia signora prendesse tutto quel che le piaceva. Rimase seduta sull'orlo dell'ampia letto a. due piazze, i capelli grigi scarmi gliati per le spalle, dondolando i grassi piedi bianchi dalle vene azzurre e nodose. La maionese di pollo e caviale, e l'Omelette Surprise le pesavano, ma s'accorse, come sempre, che l'indigestione serviva solo a stuzzicarle l'appetito. Le tornò alla mente ad un tratto il pasticcio di lepre in dispensa. Infilò la vetusta vestaglia rosa imbottita e in punta di piedi scese da basso, era meglio che i Danbys non la sentissero, le persone di servizio hanno il dono di farvi sembrare assurdi. Ma, appena apri la dispensa, inorridì nel constatare che qualcuno l'aveba preceduta e che il delizioso, saporito pasticcio non c'era più. La povera lady delusa non impiegò molto tempo a individuare il ladro. Si recò pian piano in cucina e qui, seduto a tavolino, a rimpinzarsi ru[...]

[...]asticcio, c'era un giovinetto dai lunghi capelli biondi, che portava un grembiule a quadretti rossi e blù, una cravatta di seta bianca tutta cosparsa di fanciulle in costume da bagno scarlatta; aveva l'aria di soffrire di adenoidi. Lady Maude, nei suoi giornali preferiti, aveva letto molto a proposito di avventurieri e ladri, si che non rimase molto sorpresa. Se la avesse colto mentre portava via l'argenteria, sarebbe scappata atterrita, ma così come stavano le cose provò solo rabbia. Le parve che tutte le sue fondamenta sociali tremassero sotto l'impudente saccheggio del suo piatto pre ferito. Si precipitò immediatamente su di lui, gridando aiuto. L'uomo — era poco più d'un ragazzotto e moriva di paura — la colpi alla cieca con una grossa sbarra di ferro. Lady Maude cadde all'indietro sotto il tavolino, quasi incosciente, perdendo molto sangue, il ragazzo allora perse completamente la testa e, afferrata l'accetta di cucina, con pochi colpi furiosi le staccò la testa dal busto. Mori come una regina.
Solo la luna illumina i vasti spazi di[...]

[...]tto l'impudente saccheggio del suo piatto pre ferito. Si precipitò immediatamente su di lui, gridando aiuto. L'uomo — era poco più d'un ragazzotto e moriva di paura — la colpi alla cieca con una grossa sbarra di ferro. Lady Maude cadde all'indietro sotto il tavolino, quasi incosciente, perdendo molto sangue, il ragazzo allora perse completamente la testa e, afferrata l'accetta di cucina, con pochi colpi furiosi le staccò la testa dal busto. Mori come una regina.
Solo la luna illumina i vasti spazi di Brampton Cemetery, mostrando qua una tomba e lá un salice. Gli occhi del professor Cadaver roteavano e gli tremavano le mani mentre percorreva a passi silenziosi il viale centrale. Gli girava ancora la testa per i fumi della festa e mille belle salme gli turbinavano davanti agli
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occhi. Una sotterranea del mattino rimbombò in distanza ed egli affrettò il passo. Finalmente, giunse alla meta, una tomba appena scavata sulla quale erano ammucchiate travi di legno e ghirlande appassite. Il Professore si mise a gettarle via febbrilm[...]

[...]ani di Isabella sfumavano, cominciò a riempir la casa dei suoi amici, e, a volte, lo trovava dritto in piedi di faccia al quadro di Zurbaran intento a indicare con la pipa ad un gruppo di giovani fervidi, impettiti sulle sedie a piccolo punto. « Ah! » diceva tutto allegro «ma voi. non mi avete ancora dimostrato che quel famoso uomo medio non sia altro che un'invenzione» oppure «Guardate qui, Wotherspoon: non potete buttar giù alla leggera parole come `il bello'
o `disegno formale'. Bisogna definire i termini ». Una volta, ella trovò una borsa di tabacco ed un romanzo giallo di Dorothy Sayer su una delle sedie tubolari del « caro vecchio bucatalo D. Ma, se Brian aveva trasformato la casa in un centro di conferenze, ormai Isabella non protestava più. Rimaneva seduta tutto il giorno nel vasto salotto vuoto, ove i due immensi monumenti le proiettavano addosso la loro ombra gigantesca. Fumava una sigaretta dietro
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l'altra e beveva the su casse da imballaggio chiuse. Di, tanto in tanto, guardava gli epitaffi con uno sguardo d[...]

[...]ido. Miss Thurkill si strinse addosso la toga professorale sull'esile persona, mentre usciva dalla sala di conferenze, e si affrettò verso il Caffè Erica. Voltando l'angolo, presso la libreria Strachan, scorse la moglie del Preside che avanzava verso di lei. Malgrado la temperatura gelida, la vecchia signora si moveva lentamente, perché l'amara messe invernale di influenza e bronchite le aveva indebolito il cuore; ora, pareva grassa e vacillante come i suoi bulldogs.
« Ha avuto la nomina a Londra ? » gridò — domanda crudele, perché conosceva benissimo ld. risposta negativa. —. « Tornata nella tomba, eh? » prosegui « Bé, almeno qui sappiamo d'esser morti ».
Miss Thurkill sogghignò nervosamente: «Non si direbbe che a Londra siano molto più vivi » disse. (( Sono andata a trovare i Capper, ma non sono riuscita a farmi aprire la porta: si sarebbe detto che la casa fosse disabitata ».
cc Si . saranno presi la peste, immagino» disse la moglie del Preside « se la saranno portata via di qui ». E rise tra sé, allontanandosi bassa e tozza che par[...]

[...]rebbe che a Londra siano molto più vivi » disse. (( Sono andata a trovare i Capper, ma non sono riuscita a farmi aprire la porta: si sarebbe detto che la casa fosse disabitata ».
cc Si . saranno presi la peste, immagino» disse la moglie del Preside « se la saranno portata via di qui ». E rise tra sé, allontanandosi bassa e tozza che pareva un rospo.
«Isabella certo non ha avuto il successo che pensava» sibilò Miss Thurkill, contorcendosi tutta come un serpente maligno. « Bé, finirò morta assiderata se rimango qui! » aggiunse, e si allontanò in fretta.
Nel vento che soffiava vecchia signora: «Nessuno dicesse.
ANGUS WILSON
(Traduzione di Lidia Storoni)
nella strada, le giunse la voce della si accorgerà della differenza» pareva



da Raffaele Crivaro, Avventura di un commissario in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]ei uscito ieri sera... chi svolge il tuo lavoro non può fare vita di mondo ».
Così per dieci anni. Quando poi ebbi toccato i quaranta, mia madre decise per me il matrimonio. Cominciò ad accennarvi vagamente; poi prese a portarmi esempi di amici cari che adesso godevano di figli,
di affetti. Finalmente, adottò una specie martellante di lamento: le restavano pochi anni di vita, ripeteva a non finire, e non sarebbe morta contenta a sapermi « solo come un cane ». Inoltre, si rifaceva in continuazione a parenti o conoscenti « finiti in mano alla serva », o a casi di scapoli in un modo o nell'altro caduti e svergognati; ricordandomi i miei anni, e rinfacciandomi il mio temperamento portato ai comodi, ai sentimenti domestici.
Io, su questo punto, anche se dolendomene, ero assolutamente deciso a non obbedirle. Non volevo cambiare bruscamente la mia vita e mettermi a vivere con una donna; né volevo rinunziare alle mie abitudini, belle o brutte che fossero. Per esempio io chiamavo sempre Giuseppina per farmi fare il caffè (non bevo e fumo rarame[...]

[...]a e mettermi a vivere con una donna; né volevo rinunziare alle mie abitudini, belle o brutte che fossero. Per esempio io chiamavo sempre Giuseppina per farmi fare il caffè (non bevo e fumo raramente, il caffè é l'unica mia passione); e questo con la moglie, anche ad avere una cameriera efficiente quanto Giuseppina, non mi sarebbe stato possibile: mi sarei vergognato di farlo tanto spesso. E le stesse cure affettuose che mi venivano da mia madre, come le avrei sostituite? Non avrei potuto pretendere dalla moglie che la mattina mi riscaldasse il cerchio di legno della tazza. (Non é che fosse per me importante trovare il cerchio caldo anziché freddo, ma quell'azione di mia madre faceva parte della mia prima mattina). E poi portare d'inverno le mutande lunghe di lana, con un freddo clemente come quello di Roma, è una cosa che a quarantadue anni, quando si é sani e robusti come me, non si può fare: qualsiasi ragazza avrebbe riso. Invece a casa mia questo era pacifico: una mattina dei primi di novembre Giuseppina diceva «fa freddo », ed io in camera trovavo la biancheria dell'inverno.
Così, vivevo nell'agitazione: sempre ansiosamente combattuto fra la propensione ad obbedire comunque a mia madre e il proposito fermissimo di salvare la mia vita. Tuttavia, quando mia madre intraprendeva i
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discorsi matrimoniali, riuscivo a districarmi senza contraddirla: col farli cadere con garbo, o col fingere un appuntamento imminente, o una telefon[...]

[...] a rincorrermi per le scale. Io al pianterreno, dov'ero frattanto arrivato, ho aperto il cancello dell'ascensore e ho infilato di forza Giuseppina nella cabina, senza dire una parola.
Poi un giorno mia madre me ne ha fatto una grossa. Forse vedendo in pericolo la sua autorità, o imminente la mia rivolta, ha fatto venire a Roma zio Alfonso.
Zio Alfonso, fratello di mio padre, vive a Napoli, é scapolo e lavora in un'industria farmaceutica. Passa come la persona più autorevole della famiglia, certo per l'aspetto serio, ma soprattutto perché la sua passione é l'araldica (ha fatto tante ricerche sulla nostra famiglia e ne parla sempre). E affabile e misurato, ma confida troppo spesso ai parenti il suo pentimento di non essersi sposato.
E entrato nella mia stanza con un sorriso commosso e mi ha abbracciato. Poi mi ha detto che era venuto a Roma per alcune ricerche araldiche da compiere in Vaticano: si trattava di giustificare un «attacco» che ad un suo amico stava molto a cuore, a Napoli non gli sarebbe stato possibile. Ha continuato parland[...]

[...]ava molto a cuore, a Napoli non gli sarebbe stato possibile. Ha continuato parlandomi del suo lavoro in fabbrica,
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 113
poi mi ha detto che avrei fatto bene ad interessarmi un po' di più del mio nome. « Tu che hai tempo » ha sussurrato, « faresti bene ad insistere nel distinguerti partendo proprio dall'araldica ».
Io ho tenuto a precisargli che la mia libertà è una favola. Mi è venuto naturale di alzare la voce. « Siccome dopo la laurea sono stato quattro anni senza lavorare » gli ho detto sulla faccia, «tutti mi credono un perdigiorno, un dilettante che si diverte a fare lo spauracchio dei ladri. Invece passo almeno dieci ore del giorno in ufficio ».
« Statti queto, Nicò » ha detto lo zio. « Chi la mette in dubbio, la tua diligenza? ». Ha arrotondato le labbra, e mi ha guardato a lungo con una smorfia affettuosa.
Mi sono alzato e sono andato ad affacciarmi alla finestra. S'è alzato anche lui, e ha mosso qualche passo nella stanza. Quando mi sono voltato, m'è venuto incontro rapido, e mi ha messo le mani sul[...]

[...]è facile trovare lavoro ».
« Dove lavora ? » le ho chiesto.
« Al bar Corallo, in via Po... Faccio la cassiera ».
« Stia tranquilla, signorina » le ha sorriso il maresciallo.
Se n'é andata lanciandomi un altro sguardo lungo. Io sono andato a guardare il verbale e ho letto l'età : ventisei anni. Porzio mi ha detto : « Vedesse che tipo, il fidanzato... ».
La sera sono andato al bar Corallo. Appena mi ha visto Wanda mi ha sorriso con sicurezza, come se si aspettasse la mia visita. Subito ha chiamato il proprietario e me lo ha presentato, dicendogli con affettazione la mia professione. Il proprietario s'é inchinato, poi ci ha lasciato soli.
Wanda mi ha chiesto se il fidanzato era in carcere. Le ho detto che credevo di si, a disposizione dell'autorità giudiziaria; ma che presto sarebbe stato rimesso in libertà. « Con questo freddo... » ha detto lei ridendo. Ha sbagliato due volte nel dare il resto agli avventori, e quando quelli le hanno fatto notare l'errare mi ha sorriso.
Sono tornato a trovarla per quattro cinque sere. Ridacchiava bis[...]

[...]rada quando per il turno finiva a mezzanotte. Io annuivo, sorridevo, qualche volta replicavo; era contento che fosse lei a parlare.
Finalmente una sera mi ha detto : « Ancora non mi ha invitato a fare una passeggiata »._
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« Possiamo farla stasera » ho risposto. « A che ora finisce qui? ». « Alle nove ».
« Allora l'aspetto di fuori ».
Ho telefonato a mia madre e le ho detto che avrei cenato fuori con un collega di Bari. « Come si chiama?» ha detto mia madre. Io ho finto di aver capito se avevo le chiavi, e ho detto « sì, le ho in tasca, sta' tranquilla ». Poi ho interrotto la comunicazione.
Mi sono messo a passeggiare per via Po e ho sentito molto freddo. Alle nove Wanda è uscita. Siamo subito saliti in macchina e mi sono diretto verso Ponte Milvio. Passato il ponte ho imboccato la Cassia, poi ho preso una strada che mena alla Flaminia e mi sono fermato in un anfratto. Durante il tragitto siamo stati in silenzio.
Appena ho spento il motore Wanda mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato. Io mi sono sentito avvamp[...]

[...]ofumata male.
118 RAFFAELE CRIVARO
Quando l'ho accompagnata alla porta le ho detto « ti voglio bene ». Lei mi ha dato un bacio lascivo, e ha detto « non. ci credo ».
Nei giorni che sono seguiti l'ho vista con regolarità, e negli stessi giorni ho ricevuto una delle solite visite. La ragazza era leggermente zoppa e assai loquace. (Mia madre la mattina mi aveva detto: « Ha avuto la paralisi infantile ed ha un piccolo difetto, ma è carina »).
Siccome cominciavo a sentire Wanda anche affettuosa, una mattina, facendo colazione, ho deciso di invitarla a casa, questa volta per offrirle una tazza di té in salotto con tutte le regole. Ho subito chiamato mia madre, e l'ho avvertita. Lei ha capito che si trattava di una donna che non mi sarebbe stato leggero presentarle, e anche che ne ero preso; mi ha detto: « Non disperderti, guarda che i cinquant'anni sono alle porte ».
Quando Wanda ha suonato_ Giuseppina é andata ad aprire, e l'ha fatta aspettare nell'ingresso. Io avevo il respiro affannato e tremavo, già da mezz'ora. Mia madre é andata subi[...]

[...] subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 119
Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondario del centro ed ho prenotato una stanza. Poi ho mandato un agente a casa a prendere la mia roba. Gli ho ordinato di portarmi le valigie ad un bar prossimo all'ufficio, per evitare che mia madre potesse strappargli il mio indirizzo. Alle nov[...]

[...] documenti addosso.
Wanda è venuta spesso a prendermi in ufficio, in quei giorni. Una volta l'ho trovata che chiacchierava con Porzio, nell'anticamera. Lei era addossata al muro, Porzio le stava assai vicino e le parlava in una maniera ad un tempo ammiccante e languida, da corridoio di treno. Appena mi ha visto si é fatto serio e si é scostato.
Quelle visite mi seccavano, perché non mi pareva conveniente che in un commissariato venissero donne come Wanda a prendere i funzionari. Sicché un giorno l'ho pregata di non venire più; lei mi ha sorriso e mi ha detto « va bene ». Allora ha cominciato ad aspettarmi in un bar vicino, e presto ha fatto amicizia con la cassiera. Quando io arrivavo mi pareva che parlassero di me, con una certa complicità. Una sera ho spiegato a Wanda la necessità di una riservatezza assoluta, in un rapporto come il nostro. « Non parlare mai dei fatti nostri » le ho detto.
Abbiamo continuato a girare con la macchina, a fermarci in posti solitari, ad amarci come potevamo. Intanto, l'albergo mi disturbava sempre di più. Mi pareva di vivere in uno stabilimento industriale, per l'andirivieni continuo, il personale numeroso davanti al quale dovevo passare, il rumore delle macchine che la mattina pulivano i pavimenti. In più, dovevo scegliere fra lo stare nella sala in mezzo agli altri, e il ridurmi nella mia camera, dove non potevo fare nient'altro che non fosse il dormire. Sicché una sera, lungo l'Appia Antica, ho detto a Wanda: « Adesso cerchiamo un appartamento e andiamo a vivere insieme, se ti va ». Wanda
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mi ha guardato incredu[...]

[...]il nodo della cravatta.
Abbiamo visto insieme diversi appartamenti ammobiliati, ma presto ho capito che era impossibile fare quelle ricerche con Wanda. Per la verità alcuni di questi appartamenti ci erano mostrati da vecchie oscene, altri da gente svergognata; ma i modi di Wanda m'irritavano. Faceva gesti da strada contro i portieri non solleciti nell'aprirci l'ascensore, difendeva il mio denaro strillando, trattando i proprietari con acredine, come se fossero stati senz'altro dei ladri. Già entrando atteggiava la faccia a sopportazione, a disgusto.
Così ho deciso di girare da solo; e finalmente ho trovato questo appartamentino di via Lanciani, tranquillo e ridente, che è composto da una camera da letto matrimoniale e da una stanza per il soggiorno. Wanda ha disdetto subito la stanza di via Famagosta; e quando ha portato la sua roba nell'appartamento ha pianto. Ha spiegato che quella per lei era una gioia nuova. Quando poi le ho detto che avrebbe fatto la donna di casa, e che poteva lasciare il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. M[...]

[...]a di via Famagosta; e quando ha portato la sua roba nell'appartamento ha pianto. Ha spiegato che quella per lei era una gioia nuova. Quando poi le ho detto che avrebbe fatto la donna di casa, e che poteva lasciare il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. Mi ha abbracciato a lungo appoggiandomisi, mi ha bagnato tutta la faccia e mi ha appannato gli occhiali.
Mi sentivo adesso più libero e pieno, più affondato nella vita; mi pareva di esistere come una persona nuova. Quando la mattina mi alzavo Wanda dormiva ancora, Giuseppina era lontana ed io dovevo badarmi da me. Mi alzavo in una maniera svelta, quasi sportiva. Durante la toilette non pensavo; i particolari impiccianti del corso della vita non mi pungevano piú. Anche le parole che dicevo erano diverse, come se avessi buttato via tutto il vecchio repertorio. In ufficio ero allegro, e tutto dell'ambiente mi pareva accettabile: i mobili vecchi e scalfiti, la luce blanda e triste che filtrava attraverso i vetri opachi delle finestre, l'odore delle pratiche e dell'inchiostro per timbri. Analizzavo poco le cose, mettevo meno veleno nel comando, comprendevo di piú.
Ogni giorno, adesso, telefonavo a mia madre. Lei si limitava a chiedermi notizie sulla salute, e a domandarmi se il riscaldamento, dove mi trovavo, era sufficiente; al massimo accennava a qualche novità, che per solito riguardava i parenti:[...]

[...]di portarla a ballare. Io le ho detto di no, ma lei mi ha pregato. Allora ho mandato un agente a casa a prendere un vestito scuro che avevano dimenticato di mettermi nelle valigie; e ho aspettato il primo giovedì, perché in questo giorno si ballava in un locale prossimo alla Stazione del quale conosco il proprietario, e — inoltre — perché non volevo andare nei locali la notte. Siamo entrati nel dancing presto, insieme a quelli dell'orchestra. Siccome Wanda ballava con movenze insistite, mi sono limitato ad un tango.
Com'era diversa dalle ragazze che mía madre mi cacciava in casa! Si dondolava sulle sedie, si grattava dappertutto senza pudore, al telefono strillava. Mangiando sbatteva le labbra; un giorno le ho detto « fa' piano, mi sembri un cane », e lei ha riso.
Una volta mi ha detto che era nata alla Garbatella. Quando aveva dodici anni lavava le teste da un parrucchiere del Corso, e aveva imparato a fatica le strade del centro, in ispecie i vicoli la confondevano. Mi ha detto anche che allora c'erano gli Americani, e il Corso sembra[...]

[...]ona; la madre procurava ragazze ai soldati stranieri, e trafficava nelle cucine dei campi militari. Sicché lei la sera si comprava qualche cosa e mangiava sola. Poi cadeva sul letto, abbattuta dalla stanchezza. La mattina, quando si alzava, il padre e la madre erano usciti; qualche volta non li vedeva per una settimana.
Spesso ci aiutavamo a farci la doccia, e lei mi vezzeggiava. Dopo di avermi asciugato mi cospargeva tutto il corpo di talco; « come ai bam
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bini » diceva. Quando non uscivamo, la sera mi sdraiavo sul divano del soggiorno, lei attendeva alla cucina o rassettava la stanza da letto (era molto meticolosa nel pulire e lucidare). Ogni tanto veniva a sedermi accanto, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso a[...]

[...]inema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le pizze; ma talaltra volta mi guardava storto, chiaramente indignata per quella curiosità. Che non era, malsana, giacché quelle domande erano mosse da un sentimento di affetto, ed erano dirette ad inquadrarla, a capirla meglio.
Una volta prese lei l'iniziativa: come per scolpare Lucio, mi disse che non era stato lui a cominciarla all'amore; la scusassi, la sera della nostra prima uscita mi aveva detto una bugia. Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svinc[...]

[...]va bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi dal passato mio. Ne risultava una grande libertà: sempre di più si dileguava la paura di vivere. Non avevo più il gusto affannato di scandagliare le miserie delle donne, come quando dovevo accontentarmi di conoscerle nell'intuizione, in virtù degl'interrogatorî fatti a quelle che incappavano nel mio mestiere; non era più necessario che io fantasticassi sulla rovina di donne e di uomini, e me ne alimentassi per rabbonirmi. Adesso i racconti sereni che Wanda mi faceva, di stenti e di brutture, mi cancellavano ogni residuo di una giovinezza solitaria, e mi rendevano l'ansia passata accettabile come una cronaca.
Inoltre, se è vero che a sentirmi senza mia madre, così solo con Wanda di fronte alla vita, provavo qualche brivido di disperazione, tuttavia la voce di Wanda, o il suo lavarsi veloce, o il suo farsi scattare addosso le giarrettiere, o il suo girare discinta nello stesso spazio dove an
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ch'io vivevo, se appena vi badavo, mi ridavano subito la fede nella giornata, nella gente.
Ho continuato a giovarmi di questa vita; ed anche Wanda. Due mesi dopo l'inizio della convivenza, lei mi pareva parecchio mutata : aveva migliorato nell'educazione, nell'ab[...]

[...]ore gli ha alterato la faccia. L'ho fatto entrare nel soggiorno, e sedere.
Mi ha detto subito che quelli del commissariato, in occasione del mio compleanno, s'erano permessi di offrirmi un modesto segno di stima; eccetera. Ha fatto per aprire lo scatolone; ma è venuta Wanda, ha salutato Porzio, che si è alzato e si è inchinato, e ha voluto aprirlo lei. « E proprio bello » ha detto appena ha estratto il frullatore dall'involucro. « Vado a vedere come sta in cucina ».
Porzio mi ha ripetuto che quel regalo era una schiocchezza, ma che partiva dal cuore, ed io dovevo badare al pensiero.
Wanda è tornata e si è seduta. Porzio ha preso a parlarmi di certi lavori murari che in ufficio ormai urgevano, ma io non l'ho seguito perché Wanda aveva intanto accavallato le gambe e le stava muovendo, in maniera che la veste le salisse. Mi sono messo gli occhiali per seguire bene la moina, e ho guardato Wanda malamente. Porzio, continuando a parlare con la voce fattaglisi adesso fessa, ha fatto una faccia tragica: cercava di non guardare le cosce di Wand[...]

[...]l mio ingresso nella stanza; o addirittura una donna qualsiasi che gli avesse telefonato per motivi d'ufficio: una parente di un « fermato » per avere notizie, un'affittacamere o una negoziante per pratiche relative alla licenza. Ma in questo caso perché Porzio avrebbe salutato la donna tosi affrettatamente? Poteva chiudere la telefonata in un modo limpido! E se fosse stata proprio Wanda? Se si fosse camuffata bene agli occhi miei, mostrandomisi come una ragazza semplice, bisognosa d'affetto, e fosse invece una donnaccia sempre disponibile, pronta a rischiare tutto per un'ora d'amore con questo o con quello, con Porzio, per esempio, che in fondo avevo sorpreso una volta nel corridoio dell'ufficio che la avvinceva con le parole?
Non m'importava niente, a quel punto, che mia madre mi controllasse e tramasse con Porzio. Ma invece, ridisponendo le carte in mezzo al tavolo, volevo essere certo che fra Wanda e lui non corresse alcun rapporto; e che non si fossero mai parlati al telefono. Intanto, non avrei saputo bene quale condotta tenere il [...]

[...] folle.
Mi sono detto « basta » nel momento stesso in cui mi sono accorto di non essere guarito. La vita con Wanda mi aveva ravvivato, ma era vernice debole, facile a scrostarsi: nel fondo ero rimasto com'ero quando vivevo con mia madre.
Era tardi, mi sono alzato e mi sono diretto verso la stanza di Porzio. Nel corridoio badavo a non pestare le righe scure che dividevano le mattonelle. Ero nello scompiglio, ma nello stesso tempo legato ai fili come una marionetta; mi pareva che il baratro mi richiamasse. Non ho distinto due che incontrandomi si sono disgiunti per cedermi il passo, e mi hanno detto « ossequi, dottore ». Dalle stanze con la pörta aperta, insieme al rumore di macchine che battevano verbali, mi veniva un si
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lenzio insostenibile. Se quella era la vita, quando sarei riuscito a starci dentro? Quando sarei stato anch'io come Porzio? A cinquant'anni? O, non piuttosto, mai?
Porzio mi ha informato con garbo e competenza, assai concreto nella definizione dei lavori, del tutto scevro dal timore di poco prima. Ed io sono riuscito a parlargli serenamente, reprimendo bene il fondo tempestoso; gli ho offerto una sigaretta, e forse ho ecceduto nella cordialità : come il maestro che a scuola interroga il ragazzo che giudica malvagio, e si sforza di essere imparziale, e magari gli alza il voto perché non si sospetti prevenzione.
In uno dei giorni successivi ho ricevuto in ufficio una lettera di mia madre. Riconoscendo sulla busta la sua calligrafia, ho pensato ad una possibile conferma dell'ipotesi del suo complotto con Porzio. Ma il tenore della lettera non era cos' liberatorio. Su un foglio abbondantemente bordato di nero (giacché frattanto sua cugina era morta) era scritto: «Quanti anni credi che possa vivere ancora tua madre? Lo sai come vivi? Pensa a [...]

[...]ché non si sospetti prevenzione.
In uno dei giorni successivi ho ricevuto in ufficio una lettera di mia madre. Riconoscendo sulla busta la sua calligrafia, ho pensato ad una possibile conferma dell'ipotesi del suo complotto con Porzio. Ma il tenore della lettera non era cos' liberatorio. Su un foglio abbondantemente bordato di nero (giacché frattanto sua cugina era morta) era scritto: «Quanti anni credi che possa vivere ancora tua madre? Lo sai come vivi? Pensa a tuo padre che é morto, e torna ». Non c'era firma.
Mi sono messo a pensare. Certo, regalando un po' di soldi a Wanda e tornando da mia madre, potevo liberarmi dall'impiccio che mi aveva fatto passare un'intera serata ad analizzare le mosse possibili di Porzio. Del resto, avevo ormai capito che quella specie di gioia continuata era stata da me decisa, piú che raggiunta. Era infatti bastata quella telefonata per farmi ricadere nel pozzo. Ma il ritorno avrebbe dovuto essere di specie morale: voglio dire che in questo caso avrei dovuto lasciar decidere a mia madre tutta la mia vita[...]

[...]vedere se stessi per fargli più male. Aveva un profilo viscido, bruno. Sul pianerottolo gli ho dato un altro calcio, e una
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spinta. È stato per cadere a faccia avanti sugli scalini, ma ha ripreso equilibrio ed è scappato.
Sono tornato in casa avendo già deciso, nell'attimo in cui Lucio si riprendeva per fuggire, di spezzare a Wanda tutt'e due le braccia. Nel soggiorno una nebbia fitta mi ha offuscato la vista: vedevo Wanda come una lunga macchia scura. L'ho raggiunta. Si era rimessa il vestito e non piangeva piú. L'ho afferrata ai polsi. Lei s'è divincolata, s'è voltata e rapida ha aperto la finestra. Con uno strattone l'ho allontanata, e sono riuscito a chiudere la finestra prima che lei strillasse. Poi mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti dò un quarto d'ora di tempo per farti la valigia e andartene ». Poi sono uscito.
Con un tassi ho raggiunto l'ufficio. Ne ho guardato le finestre, ma nessuno vi era affacciato. Ho[...]

[...] mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti dò un quarto d'ora di tempo per farti la valigia e andartene ». Poi sono uscito.
Con un tassi ho raggiunto l'ufficio. Ne ho guardato le finestre, ma nessuno vi era affacciato. Ho preso la mia macchina e sono andato poco lontano, in una strada solitaria. Mi sono fermato all'ombra di un albero. Il cervello era come coperto dall'ovatta: la grande tensione partiva dal corpo, a lunghe linee, e si propagava per tutta la strada. La concatenazione possibile dei fatti mi pareva di averla nello stomaco. Mia madre aveva fatto sorvegliare Wanda e la casa, era chiaro. Era sapiente, lei. S'era informata su Wanda e aveva dedotto che non avrebbe potuto non tradirmi, e proprio in casa mia. E l'esecutore era stato certamente Porzio. Porzio conosceva Lucio, ed era bravo. Così, tutti mi avevano giocato poche settimane dopo la mia ribellione. La ribellione non mi era congeniale. Non aveva senso dire « mi sono mosso tardi [...]

[...] le hai telefonato ».
« Sissignore, secondo gli accordi ». S'è inchinato e ha fatto per andarsene.
« Aspetta un momento » l'ho fermato. « Lo sai com'è finita la cosa? ».
« Lo immagino... Ho visto prima uscire quel giovinastro, conciato male... Poi lei, e poi la signorina, che è salita su un tassi con la valigia ».
« E ti rendi conto di quello che hai fatto?... Quel giovanotto può andare a dire... ».
« Non si preoccupi... Quello lo schiaccio come un verme quando voglio... Dottore, mi prendo io tutta la responsabilità... Non volevo, ho resistito per tanti giorni... Poi sa com'è quando le vecchie piangono... Oh, scusi, volevo dire le signore anziane... Sua madre ha insistito, ha parlato con mia moglie... Ci ha invitati anche a pranzo, una volta... C'era un suo parente di Napoli.. ».
«Zio Alfonso » l'ho interrotto.
« Il nome non lo so... Era un signore distinto, magro; un fratello di suo padre, mi pare... Il piano l'ha fatto lui ».
« Quindi mia madre ti telefonava spesso, qui ».
« Sissignore ».
« E la signorina, non ti ha telefonato[...]



da Natalia Ginzburg, Le piccole virtù in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]ddetti. Usavano con noi un'autorità, che noi saremmo del tutto incapaci di usare. Forti dei loro prìncipi, che credevano indistruttibili, regnavano con potere assoluto su di noi. Ci assordavano di parole tuonanti; un dialogo non era possibile, perché appena sospettavano d'aver torto ci ordinavano di tacere; battevano il pugno sulla tavola, facendo tremare la stanza. Noi ricordiamo quel gesto, ma non sapremmo imitarlo. Possiamo infuriarci, urlare come lupi; ma in fondo alle nostre urla di lupo c'é un singhiozzo isterico, un rauco belato d'agnello.
Noi dunque non abbiamo autorità: non abbiamo armi. L'au
LE PICCOLE VIETÒ 3
torità, in noi, sarebbe un'ipocrisia e una finzione. Siamo troppo consapevoli della nostra debolezza, troppo malinconici e malsicuri, troppo consci delle nostre inconseguenze e incoerenze, troppo consci dei nostri difetti: abbiamo guardato troppo in fondo dentro di noi e abbiamo visto in noi troppe cose. E poiché non abbiamo autorità, dobbiamo inventare un altro rapporto.
Oggi che il dialogo é diventato possibile fra g[...]

[...]iamo: imperfetti; fiduciosi che loro, i nostri figli, non ci rassomiglino, che siano piú forti e migliori di noi.
Poiché siamo tutti assillati, in un modo o nell'altro, dal problema del danaro, la prima piccola virtù che ci viene in testa di insegnare ai nostri figli è il risparmio. Regaliamo loro un salvadanaio, spiegando com'è bello conservare il denaro invece di spenderlo, in modo che, dopo mesi, ce ne sia molto, un bel gruzzolo di denaro; e come sia bello resistere alla voglia di spendere, per poter comprare, alla fine, qualche oggetto di pregio. Ricordiamo d'aver ricevuto in regalo, nella nostra infanzia, un salvadanaio eguale; ma dimentichiamo che il denaro, e il gusto di conservarlo, era al tempo della nostra infanzia meno orribile e sudicio di oggi: perché il denaro, più passa il tempo, e più è sudicio. Il salvadanaio, dunque, è il nostro primo errore: abbiamo installato, nel nostro sistema educativo, una piccola virtù.
Quel salvadanaio di coccio dall'aspetto innocuo, a forma di pera o di mela, abita per mesi e mesi nella stanza[...]

[...] Il salvadanaio, dunque, è il nostro primo errore: abbiamo installato, nel nostro sistema educativo, una piccola virtù.
Quel salvadanaio di coccio dall'aspetto innocuo, a forma di pera o di mela, abita per mesi e mesi nella stanza dei nostri figli ed essi si abituano alla sua presenza; s'abituano al piacere di introdurre, giorno per giorno, il denaro nella fessura; s'abituano al denaro custodito là dentro, che là, nel segreto e nel buio, cresce come un seme nel grembo della terra; s'affezionano al denaro, dapprima con innocenza, come ci s'affeziona a tutte le cose che crescono grazie al nostro zelo, pianticelle o bestiole; e sempre vagheggiando quel costoso oggetto visto in una vetrina, e che sarà possibile comperare, come noi gli abbiamo detto, col denaro così risparmiato. Quando infine il salvadanaio viene infranto e il danaro speso, i ra
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gazzi si sentono soli e delusi: non c'è più il denaro nella stanza, custodito nel ventre della mela, e non c'è più nemmeno la rossa mela: c'è invece un oggetto a lungo vagheggiato in vetrina, e di cui noi gli abbiamo vantato l'importanza e il pregio: ma che ora, nella stanza, sembra grigio e disadorno, appassito dopo tanta attesa e dopo tanto denaro. Di questa delusione i ragazzi non incolperanno il denaro, ma l'oggetto stesso: perché il denaro perdu[...]

[...]o salvadanaio e nuovo denaro da custodire; e rivolgeranno al denaro dei pensieri e un'attenzione che è male gli siano rivolti. Preferiamo il denaro alle cose. Non è male che abbiano sofferto una delusione; è male che si sentano soli senza la compagnia del denaro.
Non dovremmo insegnare a risparmiare: dovremmo abituare a spendere. Dovremo dare spesso ai ragazzi un po' di denaro, piccole somme senza importanza, sollecitandoli a spenderle subito e come gli piace, seguendo un momentaneo capriccio: i ragazzi compreranno qualche minutaglia, che dimenticheranno subito, come dimenticheranno subito il denaro speso così in fretta e senza riflettere, e al quale non si sono affezionati. Trovandosi fra le mani quelle minutaglie, che saranno subito rotte, i ragazzi rimarranno un po' delusi, ma dimenticheranno rapidamente sia quella delusione e le minutaglie, sia il denaro; anzi associeranno il denaro a qualcosa di momentaneo e di stupido; e penseranno che il denaro è stupido, come è giusto nell'infanzia pensare.
E giusto che i ragazzi vivano, nei primi anni della loro vita, ignorando che cos'è il denaro. A volte questo è impossibile, se siamo troppo poveri; e a volte è difficile, perché siamo troppo ricchi. Tuttavia quando siamo molto poveri, quando il denaro è strettamente legato a un fatto di sopravvivenza quotidiana, a una questione di vita o di morte, allora esso si traduce così immediatamente agli occhi d'un bambino in cibo, carbone o panni, che non ha il modo di guastargli lo spirito. Ma se siamo così così, né ricchi né poveri, non è difficile lasciare che un ra[...]

[...]argli lo spirito. Ma se siamo così così, né ricchi né poveri, non è difficile lasciare che un ragazzo viva, nell'infanzia, senza saper bene che cos'è il denaro e senza curarsene affatto. E tuttavia è necessario, non troppo presto e non troppo tardi, spez
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zare questa ignoranza: e se abbiamo delle difficoltà economiche, è necessario che i nostri figli, non troppo presto e non troppo tardi, ne siano messi al corrente; così come è giusto che a un certo punto dividano con noi le nostre preoccupazioni, e le nostre ragioni di contentezza, e i nostri progetti, e tutto quanto concerne la vita famigliare. E abituandoli a considerare il denaro famigliare come una cosa che appartiene a noi e a loro in egual misura, e non a noi piuttosto che a loro, o al contrario, potremo anche invitarli ad essere sobri, a stare attenti al denaro che spendono: e in questo modo l'invito al risparmio non è piú rispetto per una piccola virtù, non è astratto invito a portare rispetto ad una cosa che non merita rispetto in se stessa, come il denaro; ma è un rièordare ai ragazzi che non è molto il denaro di casa, è un invito a sentirsi adulti e responsabili di fronte a una cosa che. appartiene a noi come a loro, una cosa non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane. Ma non troppo presto e non troppo tardi: e il segreto dell'educazione sta nell'indovinare i tempi.
Essere sobri con se stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giusto col denaro, essere liberi di fronte al denaro. E non c'è dubbio che, nelle famiglie dove il denaro viene guadagnato e prontamente speso, dove scorre come limpida acqua di fonte, e, praticamente, non esiste come denaro, è mena difficile educare un ragazzo ad un simile equilibrio, a una simile l[...]

[...]ro, una cosa non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane. Ma non troppo presto e non troppo tardi: e il segreto dell'educazione sta nell'indovinare i tempi.
Essere sobri con se stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giusto col denaro, essere liberi di fronte al denaro. E non c'è dubbio che, nelle famiglie dove il denaro viene guadagnato e prontamente speso, dove scorre come limpida acqua di fonte, e, praticamente, non esiste come denaro, è mena difficile educare un ragazzo ad un simile equilibrio, a una simile libertà. Le cose diventano complicate là dove il denaro esiste ed esiste pesantemente, acqua plumbea e stagnante che esala fermenti e odori. Presto i ragazzi avvertono la presenza in famiglia di questo denaro, potenza nascosta, di cui non si parla mai in termini chiari ma alla quale i genitori alludono, discorrendo fra loro, con nomi complicati e misteriosi, con una plumbea fissità negli occhi, con una piega amara sulle labbra; denaro che non è semplicemente riposto nel cassetto dello scrittoio, ma grandeggia ch[...]

[...]icchezza, della sua fragilità e delle viziose conseguenze che può portare: la vera difesa dalla ricchezza é l'indifferenza al denaro. Per educare un ragazzo a questa indifferenza, non c'é altro modo che dargli del denaro da spendere, quando esiste denaro: perché impari a separarsene senza cruccio e senza rimpianto. Mi si osserverà che così un ragazzo s'abitua ad avere denaro da spendere, e non potrà più farne senza; se domani non sarà più ricco, come farà? Ma é più facile non aver denaro quando abbiamo imparato a spenderlo, quando abbiamo imparato come vola via in fretta fra le mani; é più facile fare a meno del denaro quando l'abbiamo ben conosciuto, che non quando gli abbiamo tributato, nell'infanzia, reverenza e paura, abbiamo sentito la sua presenza all'intorno e non ci é stato permesso di alzare gli occhi a guardarlo in viso.
Appena i nostri figli cominciano ad andare a scuola, noi subito gli promettiamo denaro in premio, se studieranno bene. E un errore. Noi così mescoliamo il denaro, che é una cosa senza nobiltà, ad una cosa meritevole e degna, quale é lo studio e il piacere della conoscenza. Il denaro che diamo ai nostri figli, dov[...]

[...]o carattere, e la sua impotenza ad appagare i desideri più veri, che sono quelli dello spirito. Elevando il denaro alla funzione di premio, di punto d'arrivo, di obbiettivo da raggiungere, noi gli diamo un posto, un'importanza, una nobiltà, che non deve avere agli occhi dei nostri figli. Affermiamo implicitamente il principio — falso — che il denaro è il coronamento d'una fatica e il suo termine ultimo. Invece il denaro dovrebbe essere concepito come il salario d'una fatica: non il suo termine ultimo, ma il suo salario, cioè il suo legittimo credito: ed è evidente che le fatiche scolastiche dei ragazzi non possono avere un salario. E un errore minore — ma è un errore — offrire denaro ai figli in cambio di piccoli servizi domestici, di piccole prestazioni. È un errore perché noi non siamo, per i nostri figli, dei datori di lavoro: il denaro familiare è altrettanto loro quanta nostro: quei piccoli servizi, quelle piccole prestazioni dovrebbero essere senza compenso, volontaria collaborazione alla vita familiare. E in genere, credo si debba [...]

[...]olastico dei nostri figli siamo soliti dare una importanza che è_ del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio. Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la barriera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta una offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle
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loro proteste contra i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d'un'ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni. In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la [...]

[...]le e irrisorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, é necessario lasciargli intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d'essere continuamente incompresi e misconosciuti, e di esser vittime d'ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi. I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come essi dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. E' falso che essi abbiano il dovere, di fronte a noi, d'esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi é puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti. Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli, di mostrarci offesi n[...]

[...]a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati su un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell'energia e dell'ingegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito. Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell'insuc
10 NATALIA GINZBURG
cesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidirne la limpidità e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti. Siamo là per ridurre la scuola nei suoi umili ed angusti confini; nulla che possa ipotecare il futuro; una semplice offerta di strumenti, fra i quali forse é possibile sceglierne uno di cui giova[...]

[...] per sommi capi, e la vita religiosa, e la vita dell'intelligenza, e la vita affettiva, e il giudizio sugli esseri umani; noi dobbiamo essere, per loro, un semplice punto di partenza, offrirgli il trampolino da cui spiccheranno il salto. E dobbiamo essere là per soccorso, se un soccorso sia necessario; essi debbono sapere che non ci appartengono, ma noi sì apparteniamo a loro, sempre disponibili, presenti nella stanza vicina, pronti a rispondere come sappiamo ad ogni interrogazione possibile, ad ogni richiesta.
E se abbiamo una vocazione noi stessi, se non l'abbiamo tradita, se abbiamo continuato attraverso gli anni ad amarla, a ser
12 NATALIA GINZBURG
villa con passione, possiamo tener lontano dal nostro cuore, nell'amore che portiamo ai nostri figli, il senso della proprietà. Se invece una vocazione non l'abbiamo, o se l'abbiamo abbandonata e tradita, per cinismo o per paura di vivere, o per un malinteso amor paterno, o per qualche piccola virtù che si é installata in noi, allora ci aggrappiamo ai nostri figli come un naufrago al tro[...]

[...], se abbiamo continuato attraverso gli anni ad amarla, a ser
12 NATALIA GINZBURG
villa con passione, possiamo tener lontano dal nostro cuore, nell'amore che portiamo ai nostri figli, il senso della proprietà. Se invece una vocazione non l'abbiamo, o se l'abbiamo abbandonata e tradita, per cinismo o per paura di vivere, o per un malinteso amor paterno, o per qualche piccola virtù che si é installata in noi, allora ci aggrappiamo ai nostri figli come un naufrago al tronco d'albero, pretendiamo vivacemente da loro che ci restituiscano tutto quanto gli abbiamo dato, che siano assolutamente e senza scampo quali noi li vogliamo, che ottengano dalla vita tutto quanto a noi é mancato; finiamo col chiedere a loro tutto quanto può darci soltanto la nostra vocazione stessa: vogliamo che siano in tutto opera nostra, come se, per averli una volta procreati, potessimo continuare a procrearli lungo la vita intera. Vogliamo che siano in tutto opera nostra, come se si trattasse non di esseri umani, ma di opera dello spirito. Ma se abbiamo noi stessi una vocazione, se non l'abbiamo rinnegata e tradita, allora possiamo lasciarli germogliare quietamente fuori di noi, circondati dell'ombra e dello spazio che richiede il germoglio d'una vocazione, il germoglio d'un essere. Questa è forse l'unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l'amore alla vita genera amore alla vita.
NATALIA GINZBURG
AVVENTURA DI UN COMMISSAR[...]

[...]ei uscito ieri sera... chi svolge il tuo lavoro non può fare vita di mondo ».
Così per dieci anni. Quando poi ebbi toccato i quaranta, mia madre decise per me il matrimonio. Cominciò ad accennarvi vagamente; poi prese a portarmi esempi di amici cari che adesso godevano di figli,
di affetti. Finalmente, adottò una specie martellante di lamento: le restavano pochi anni di vita, ripeteva a non finire, e non sarebbe morta contenta a sapermi « solo come un cane ». Inoltre, si rifaceva in continuazione a parenti o conoscenti « finiti in mano alla serva », o a casi di scapoli in un modo o nell'altro caduti e svergognati; ricordandomi i miei anni, e rinfacciandomi il mio temperamento portato ai comodi, ai sentimenti domestici.
Io, su questo punto, anche se dolendomene, ero assolutamente deciso a non obbedirle. Non volevo cambiare bruscamente la mia vita e mettermi a vivere con una donna; né volevo rinunziare alle mie abitudini, belle o brutte che fossero. Per esempio io chiamavo sempre Giuseppina per farmi fare il caffè (non bevo e fumo rarame[...]

[...]a e mettermi a vivere con una donna; né volevo rinunziare alle mie abitudini, belle o brutte che fossero. Per esempio io chiamavo sempre Giuseppina per farmi fare il caffè (non bevo e fumo raramente, il caffè é l'unica mia passione); e questo con la moglie, anche ad avere una cameriera efficiente quanto Giuseppina, non mi sarebbe stato possibile: mi sarei vergognato di farlo tanto spesso. E le stesse cure affettuose che mi venivano da mia madre, come le avrei sostituite? Non avrei potuto pretendere dalla moglie che la mattina mi riscaldasse il cerchio di legno della tazza. (Non é che fosse per me importante trovare il cerchio caldo anziché freddo, ma quell'azione di mia madre faceva parte della mia prima mattina). E poi portare d'inverno le mutande lunghe di lana, con un freddo clemente come quello di Roma, è una cosa che a quarantadue anni, quando si é sani e robusti come me, non si può fare: qualsiasi ragazza avrebbe riso. Invece a casa mia questo era pacifico: una mattina dei primi di novembre Giuseppina diceva «fa freddo », ed io in camera trovavo la biancheria dell'inverno.
Così, vivevo nell'agitazione: sempre ansiosamente combattuto fra la propensione ad obbedire comunque a mia madre e il proposito fermissimo di salvare la mia vita. Tuttavia, quando mia madre intraprendeva i
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discorsi matrimoniali, riuscivo a districarmi senza contraddirla: col farli cadere con garbo, o col fingere un appuntamento imminente, o una telefon[...]

[...] a rincorrermi per le scale. Io al pianterreno, dov'ero frattanto arrivato, ho aperto il cancello dell'ascensore e ho infilato di forza Giuseppina nella cabina, senza dire una parola.
Poi un giorno mia madre me ne ha fatto una grossa. Forse vedendo in pericolo la sua autorità, o imminente la mia rivolta, ha fatto venire a Roma zio Alfonso.
Zio Alfonso, fratello di mio padre, vive a Napoli, é scapolo e lavora in un'industria farmaceutica. Passa come la persona più autorevole della famiglia, certo per l'aspetto serio, ma soprattutto perché la sua passione é l'araldica (ha fatto tante ricerche sulla nostra famiglia e ne parla sempre). E affabile e misurato, ma confida troppo spesso ai parenti il suo pentimento di non essersi sposato.
E entrato nella mia stanza con un sorriso commosso e mi ha abbracciato. Poi mi ha detto che era venuto a Roma per alcune ricerche araldiche da compiere in Vaticano: si trattava di giustificare un «attacco» che ad un suo amico stava molto a cuore, a Napoli non gli sarebbe stato possibile. Ha continuato parland[...]

[...]ava molto a cuore, a Napoli non gli sarebbe stato possibile. Ha continuato parlandomi del suo lavoro in fabbrica,
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poi mi ha detto che avrei fatto bene ad interessarmi un po' di più del mio nome. « Tu che hai tempo » ha sussurrato, « faresti bene ad insistere nel distinguerti partendo proprio dall'araldica ».
Io ho tenuto a precisargli che la mia libertà è una favola. Mi è venuto naturale di alzare la voce. « Siccome dopo la laurea sono stato quattro anni senza lavorare » gli ho detto sulla faccia, «tutti mi credono un perdigiorno, un dilettante che si diverte a fare lo spauracchio dei ladri. Invece passo almeno dieci ore del giorno in ufficio ».
« Statti queto, Nicò » ha detto lo zio. « Chi la mette in dubbio, la tua diligenza? ». Ha arrotondato le labbra, e mi ha guardato a lungo con una smorfia affettuosa.
Mi sono alzato e sono andato ad affacciarmi alla finestra. S'è alzato anche lui, e ha mosso qualche passo nella stanza. Quando mi sono voltato, m'è venuto incontro rapido, e mi ha messo le mani sul[...]

[...]è facile trovare lavoro ».
« Dove lavora ? » le ho chiesto.
« Al bar Corallo, in via Po... Faccio la cassiera ».
« Stia tranquilla, signorina » le ha sorriso il maresciallo.
Se n'é andata lanciandomi un altro sguardo lungo. Io sono andato a guardare il verbale e ho letto l'età : ventisei anni. Porzio mi ha detto : « Vedesse che tipo, il fidanzato... ».
La sera sono andato al bar Corallo. Appena mi ha visto Wanda mi ha sorriso con sicurezza, come se si aspettasse la mia visita. Subito ha chiamato il proprietario e me lo ha presentato, dicendogli con affettazione la mia professione. Il proprietario s'é inchinato, poi ci ha lasciato soli.
Wanda mi ha chiesto se il fidanzato era in carcere. Le ho detto che credevo di si, a disposizione dell'autorità giudiziaria; ma che presto sarebbe stato rimesso in libertà. « Con questo freddo... » ha detto lei ridendo. Ha sbagliato due volte nel dare il resto agli avventori, e quando quelli le hanno fatto notare l'errare mi ha sorriso.
Sono tornato a trovarla per quattro cinque sere. Ridacchiava bis[...]

[...]rada quando per il turno finiva a mezzanotte. Io annuivo, sorridevo, qualche volta replicavo; era contento che fosse lei a parlare.
Finalmente una sera mi ha detto : « Ancora non mi ha invitato a fare una passeggiata »._
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« Possiamo farla stasera » ho risposto. « A che ora finisce qui? ». « Alle nove ».
« Allora l'aspetto di fuori ».
Ho telefonato a mia madre e le ho detto che avrei cenato fuori con un collega di Bari. « Come si chiama?» ha detto mia madre. Io ho finto di aver capito se avevo le chiavi, e ho detto « sì, le ho in tasca, sta' tranquilla ». Poi ho interrotto la comunicazione.
Mi sono messo a passeggiare per via Po e ho sentito molto freddo. Alle nove Wanda è uscita. Siamo subito saliti in macchina e mi sono diretto verso Ponte Milvio. Passato il ponte ho imboccato la Cassia, poi ho preso una strada che mena alla Flaminia e mi sono fermato in un anfratto. Durante il tragitto siamo stati in silenzio.
Appena ho spento il motore Wanda mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato. Io mi sono sentito avvamp[...]

[...]ofumata male.
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Quando l'ho accompagnata alla porta le ho detto « ti voglio bene ». Lei mi ha dato un bacio lascivo, e ha detto « non. ci credo ».
Nei giorni che sono seguiti l'ho vista con regolarità, e negli stessi giorni ho ricevuto una delle solite visite. La ragazza era leggermente zoppa e assai loquace. (Mia madre la mattina mi aveva detto: « Ha avuto la paralisi infantile ed ha un piccolo difetto, ma è carina »).
Siccome cominciavo a sentire Wanda anche affettuosa, una mattina, facendo colazione, ho deciso di invitarla a casa, questa volta per offrirle una tazza di té in salotto con tutte le regole. Ho subito chiamato mia madre, e l'ho avvertita. Lei ha capito che si trattava di una donna che non mi sarebbe stato leggero presentarle, e anche che ne ero preso; mi ha detto: « Non disperderti, guarda che i cinquant'anni sono alle porte ».
Quando Wanda ha suonato_ Giuseppina é andata ad aprire, e l'ha fatta aspettare nell'ingresso. Io avevo il respiro affannato e tremavo, già da mezz'ora. Mia madre é andata subi[...]

[...] subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 119
Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondario del centro ed ho prenotato una stanza. Poi ho mandato un agente a casa a prendere la mia roba. Gli ho ordinato di portarmi le valigie ad un bar prossimo all'ufficio, per evitare che mia madre potesse strappargli il mio indirizzo. Alle nov[...]

[...] documenti addosso.
Wanda è venuta spesso a prendermi in ufficio, in quei giorni. Una volta l'ho trovata che chiacchierava con Porzio, nell'anticamera. Lei era addossata al muro, Porzio le stava assai vicino e le parlava in una maniera ad un tempo ammiccante e languida, da corridoio di treno. Appena mi ha visto si é fatto serio e si é scostato.
Quelle visite mi seccavano, perché non mi pareva conveniente che in un commissariato venissero donne come Wanda a prendere i funzionari. Sicché un giorno l'ho pregata di non venire più; lei mi ha sorriso e mi ha detto « va bene ». Allora ha cominciato ad aspettarmi in un bar vicino, e presto ha fatto amicizia con la cassiera. Quando io arrivavo mi pareva che parlassero di me, con una certa complicità. Una sera ho spiegato a Wanda la necessità di una riservatezza assoluta, in un rapporto come il nostro. « Non parlare mai dei fatti nostri » le ho detto.
Abbiamo continuato a girare con la macchina, a fermarci in posti solitari, ad amarci come potevamo. Intanto, l'albergo mi disturbava sempre di più. Mi pareva di vivere in uno stabilimento industriale, per l'andirivieni continuo, il personale numeroso davanti al quale dovevo passare, il rumore delle macchine che la mattina pulivano i pavimenti. In più, dovevo scegliere fra lo stare nella sala in mezzo agli altri, e il ridurmi nella mia camera, dove non potevo fare nient'altro che non fosse il dormire. Sicché una sera, lungo l'Appia Antica, ho detto a Wanda: « Adesso cerchiamo un appartamento e andiamo a vivere insieme, se ti va ». Wanda
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mi ha guardato incredu[...]

[...]il nodo della cravatta.
Abbiamo visto insieme diversi appartamenti ammobiliati, ma presto ho capito che era impossibile fare quelle ricerche con Wanda. Per la verità alcuni di questi appartamenti ci erano mostrati da vecchie oscene, altri da gente svergognata; ma i modi di Wanda m'irritavano. Faceva gesti da strada contro i portieri non solleciti nell'aprirci l'ascensore, difendeva il mio denaro strillando, trattando i proprietari con acredine, come se fossero stati senz'altro dei ladri. Già entrando atteggiava la faccia a sopportazione, a disgusto.
Così ho deciso di girare da solo; e finalmente ho trovato questo appartamentino di via Lanciani, tranquillo e ridente, che è composto da una camera da letto matrimoniale e da una stanza per il soggiorno. Wanda ha disdetto subito la stanza di via Famagosta; e quando ha portato la sua roba nell'appartamento ha pianto. Ha spiegato che quella per lei era una gioia nuova. Quando poi le ho detto che avrebbe fatto la donna di casa, e che poteva lasciare il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. M[...]

[...]a di via Famagosta; e quando ha portato la sua roba nell'appartamento ha pianto. Ha spiegato che quella per lei era una gioia nuova. Quando poi le ho detto che avrebbe fatto la donna di casa, e che poteva lasciare il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. Mi ha abbracciato a lungo appoggiandomisi, mi ha bagnato tutta la faccia e mi ha appannato gli occhiali.
Mi sentivo adesso più libero e pieno, più affondato nella vita; mi pareva di esistere come una persona nuova. Quando la mattina mi alzavo Wanda dormiva ancora, Giuseppina era lontana ed io dovevo badarmi da me. Mi alzavo in una maniera svelta, quasi sportiva. Durante la toilette non pensavo; i particolari impiccianti del corso della vita non mi pungevano piú. Anche le parole che dicevo erano diverse, come se avessi buttato via tutto il vecchio repertorio. In ufficio ero allegro, e tutto dell'ambiente mi pareva accettabile: i mobili vecchi e scalfiti, la luce blanda e triste che filtrava attraverso i vetri opachi delle finestre, l'odore delle pratiche e dell'inchiostro per timbri. Analizzavo poco le cose, mettevo meno veleno nel comando, comprendevo di piú.
Ogni giorno, adesso, telefonavo a mia madre. Lei si limitava a chiedermi notizie sulla salute, e a domandarmi se il riscaldamento, dove mi trovavo, era sufficiente; al massimo accennava a qualche novità, che per solito riguardava i parenti:[...]

[...]di portarla a ballare. Io le ho detto di no, ma lei mi ha pregato. Allora ho mandato un agente a casa a prendere un vestito scuro che avevano dimenticato di mettermi nelle valigie; e ho aspettato il primo giovedì, perché in questo giorno si ballava in un locale prossimo alla Stazione del quale conosco il proprietario, e — inoltre — perché non volevo andare nei locali la notte. Siamo entrati nel dancing presto, insieme a quelli dell'orchestra. Siccome Wanda ballava con movenze insistite, mi sono limitato ad un tango.
Com'era diversa dalle ragazze che mía madre mi cacciava in casa! Si dondolava sulle sedie, si grattava dappertutto senza pudore, al telefono strillava. Mangiando sbatteva le labbra; un giorno le ho detto « fa' piano, mi sembri un cane », e lei ha riso.
Una volta mi ha detto che era nata alla Garbatella. Quando aveva dodici anni lavava le teste da un parrucchiere del Corso, e aveva imparato a fatica le strade del centro, in ispecie i vicoli la confondevano. Mi ha detto anche che allora c'erano gli Americani, e il Corso sembra[...]

[...]ona; la madre procurava ragazze ai soldati stranieri, e trafficava nelle cucine dei campi militari. Sicché lei la sera si comprava qualche cosa e mangiava sola. Poi cadeva sul letto, abbattuta dalla stanchezza. La mattina, quando si alzava, il padre e la madre erano usciti; qualche volta non li vedeva per una settimana.
Spesso ci aiutavamo a farci la doccia, e lei mi vezzeggiava. Dopo di avermi asciugato mi cospargeva tutto il corpo di talco; « come ai bam
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bini » diceva. Quando non uscivamo, la sera mi sdraiavo sul divano del soggiorno, lei attendeva alla cucina o rassettava la stanza da letto (era molto meticolosa nel pulire e lucidare). Ogni tanto veniva a sedermi accanto, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso a[...]

[...]inema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le pizze; ma talaltra volta mi guardava storto, chiaramente indignata per quella curiosità. Che non era, malsana, giacché quelle domande erano mosse da un sentimento di affetto, ed erano dirette ad inquadrarla, a capirla meglio.
Una volta prese lei l'iniziativa: come per scolpare Lucio, mi disse che non era stato lui a cominciarla all'amore; la scusassi, la sera della nostra prima uscita mi aveva detto una bugia. Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svinc[...]

[...]va bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi dal passato mio. Ne risultava una grande libertà: sempre di più si dileguava la paura di vivere. Non avevo più il gusto affannato di scandagliare le miserie delle donne, come quando dovevo accontentarmi di conoscerle nell'intuizione, in virtù degl'interrogatorî fatti a quelle che incappavano nel mio mestiere; non era più necessario che io fantasticassi sulla rovina di donne e di uomini, e me ne alimentassi per rabbonirmi. Adesso i racconti sereni che Wanda mi faceva, di stenti e di brutture, mi cancellavano ogni residuo di una giovinezza solitaria, e mi rendevano l'ansia passata accettabile come una cronaca.
Inoltre, se è vero che a sentirmi senza mia madre, così solo con Wanda di fronte alla vita, provavo qualche brivido di disperazione, tuttavia la voce di Wanda, o il suo lavarsi veloce, o il suo farsi scattare addosso le giarrettiere, o il suo girare discinta nello stesso spazio dove an
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ch'io vivevo, se appena vi badavo, mi ridavano subito la fede nella giornata, nella gente.
Ho continuato a giovarmi di questa vita; ed anche Wanda. Due mesi dopo l'inizio della convivenza, lei mi pareva parecchio mutata : aveva migliorato nell'educazione, nell'ab[...]

[...]ore gli ha alterato la faccia. L'ho fatto entrare nel soggiorno, e sedere.
Mi ha detto subito che quelli del commissariato, in occasione del mio compleanno, s'erano permessi di offrirmi un modesto segno di stima; eccetera. Ha fatto per aprire lo scatolone; ma è venuta Wanda, ha salutato Porzio, che si è alzato e si è inchinato, e ha voluto aprirlo lei. « E proprio bello » ha detto appena ha estratto il frullatore dall'involucro. « Vado a vedere come sta in cucina ».
Porzio mi ha ripetuto che quel regalo era una schiocchezza, ma che partiva dal cuore, ed io dovevo badare al pensiero.
Wanda è tornata e si è seduta. Porzio ha preso a parlarmi di certi lavori murari che in ufficio ormai urgevano, ma io non l'ho seguito perché Wanda aveva intanto accavallato le gambe e le stava muovendo, in maniera che la veste le salisse. Mi sono messo gli occhiali per seguire bene la moina, e ho guardato Wanda malamente. Porzio, continuando a parlare con la voce fattaglisi adesso fessa, ha fatto una faccia tragica: cercava di non guardare le cosce di Wand[...]

[...]l mio ingresso nella stanza; o addirittura una donna qualsiasi che gli avesse telefonato per motivi d'ufficio: una parente di un « fermato » per avere notizie, un'affittacamere o una negoziante per pratiche relative alla licenza. Ma in questo caso perché Porzio avrebbe salutato la donna tosi affrettatamente? Poteva chiudere la telefonata in un modo limpido! E se fosse stata proprio Wanda? Se si fosse camuffata bene agli occhi miei, mostrandomisi come una ragazza semplice, bisognosa d'affetto, e fosse invece una donnaccia sempre disponibile, pronta a rischiare tutto per un'ora d'amore con questo o con quello, con Porzio, per esempio, che in fondo avevo sorpreso una volta nel corridoio dell'ufficio che la avvinceva con le parole?
Non m'importava niente, a quel punto, che mia madre mi controllasse e tramasse con Porzio. Ma invece, ridisponendo le carte in mezzo al tavolo, volevo essere certo che fra Wanda e lui non corresse alcun rapporto; e che non si fossero mai parlati al telefono. Intanto, non avrei saputo bene quale condotta tenere il [...]

[...] folle.
Mi sono detto « basta » nel momento stesso in cui mi sono accorto di non essere guarito. La vita con Wanda mi aveva ravvivato, ma era vernice debole, facile a scrostarsi: nel fondo ero rimasto com'ero quando vivevo con mia madre.
Era tardi, mi sono alzato e mi sono diretto verso la stanza di Porzio. Nel corridoio badavo a non pestare le righe scure che dividevano le mattonelle. Ero nello scompiglio, ma nello stesso tempo legato ai fili come una marionetta; mi pareva che il baratro mi richiamasse. Non ho distinto due che incontrandomi si sono disgiunti per cedermi il passo, e mi hanno detto « ossequi, dottore ». Dalle stanze con la pörta aperta, insieme al rumore di macchine che battevano verbali, mi veniva un si
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lenzio insostenibile. Se quella era la vita, quando sarei riuscito a starci dentro? Quando sarei stato anch'io come Porzio? A cinquant'anni? O, non piuttosto, mai?
Porzio mi ha informato con garbo e competenza, assai concreto nella definizione dei lavori, del tutto scevro dal timore di poco prima. Ed io sono riuscito a parlargli serenamente, reprimendo bene il fondo tempestoso; gli ho offerto una sigaretta, e forse ho ecceduto nella cordialità : come il maestro che a scuola interroga il ragazzo che giudica malvagio, e si sforza di essere imparziale, e magari gli alza il voto perché non si sospetti prevenzione.
In uno dei giorni successivi ho ricevuto in ufficio una lettera di mia madre. Riconoscendo sulla busta la sua calligrafia, ho pensato ad una possibile conferma dell'ipotesi del suo complotto con Porzio. Ma il tenore della lettera non era cos' liberatorio. Su un foglio abbondantemente bordato di nero (giacché frattanto sua cugina era morta) era scritto: «Quanti anni credi che possa vivere ancora tua madre? Lo sai come vivi? Pensa a [...]

[...]ché non si sospetti prevenzione.
In uno dei giorni successivi ho ricevuto in ufficio una lettera di mia madre. Riconoscendo sulla busta la sua calligrafia, ho pensato ad una possibile conferma dell'ipotesi del suo complotto con Porzio. Ma il tenore della lettera non era cos' liberatorio. Su un foglio abbondantemente bordato di nero (giacché frattanto sua cugina era morta) era scritto: «Quanti anni credi che possa vivere ancora tua madre? Lo sai come vivi? Pensa a tuo padre che é morto, e torna ». Non c'era firma.
Mi sono messo a pensare. Certo, regalando un po' di soldi a Wanda e tornando da mia madre, potevo liberarmi dall'impiccio che mi aveva fatto passare un'intera serata ad analizzare le mosse possibili di Porzio. Del resto, avevo ormai capito che quella specie di gioia continuata era stata da me decisa, piú che raggiunta. Era infatti bastata quella telefonata per farmi ricadere nel pozzo. Ma il ritorno avrebbe dovuto essere di specie morale: voglio dire che in questo caso avrei dovuto lasciar decidere a mia madre tutta la mia vita[...]

[...]vedere se stessi per fargli più male. Aveva un profilo viscido, bruno. Sul pianerottolo gli ho dato un altro calcio, e una
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spinta. È stato per cadere a faccia avanti sugli scalini, ma ha ripreso equilibrio ed è scappato.
Sono tornato in casa avendo già deciso, nell'attimo in cui Lucio si riprendeva per fuggire, di spezzare a Wanda tutt'e due le braccia. Nel soggiorno una nebbia fitta mi ha offuscato la vista: vedevo Wanda come una lunga macchia scura. L'ho raggiunta. Si era rimessa il vestito e non piangeva piú. L'ho afferrata ai polsi. Lei s'è divincolata, s'è voltata e rapida ha aperto la finestra. Con uno strattone l'ho allontanata, e sono riuscito a chiudere la finestra prima che lei strillasse. Poi mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti dò un quarto d'ora di tempo per farti la valigia e andartene ». Poi sono uscito.
Con un tassi ho raggiunto l'ufficio. Ne ho guardato le finestre, ma nessuno vi era affacciato. Ho[...]

[...] mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti dò un quarto d'ora di tempo per farti la valigia e andartene ». Poi sono uscito.
Con un tassi ho raggiunto l'ufficio. Ne ho guardato le finestre, ma nessuno vi era affacciato. Ho preso la mia macchina e sono andato poco lontano, in una strada solitaria. Mi sono fermato all'ombra di un albero. Il cervello era come coperto dall'ovatta: la grande tensione partiva dal corpo, a lunghe linee, e si propagava per tutta la strada. La concatenazione possibile dei fatti mi pareva di averla nello stomaco. Mia madre aveva fatto sorvegliare Wanda e la casa, era chiaro. Era sapiente, lei. S'era informata su Wanda e aveva dedotto che non avrebbe potuto non tradirmi, e proprio in casa mia. E l'esecutore era stato certamente Porzio. Porzio conosceva Lucio, ed era bravo. Così, tutti mi avevano giocato poche settimane dopo la mia ribellione. La ribellione non mi era congeniale. Non aveva senso dire « mi sono mosso tardi [...]

[...] le hai telefonato ».
« Sissignore, secondo gli accordi ». S'è inchinato e ha fatto per andarsene.
« Aspetta un momento » l'ho fermato. « Lo sai com'è finita la cosa? ».
« Lo immagino... Ho visto prima uscire quel giovinastro, conciato male... Poi lei, e poi la signorina, che è salita su un tassi con la valigia ».
« E ti rendi conto di quello che hai fatto?... Quel giovanotto può andare a dire... ».
« Non si preoccupi... Quello lo schiaccio come un verme quando voglio... Dottore, mi prendo io tutta la responsabilità... Non volevo, ho resistito per tanti giorni... Poi sa com'è quando le vecchie piangono... Oh, scusi, volevo dire le signore anziane... Sua madre ha insistito, ha parlato con mia moglie... Ci ha invitati anche a pranzo, una volta... C'era un suo parente di Napoli.. ».
«Zio Alfonso » l'ho interrotto.
« Il nome non lo so... Era un signore distinto, magro; un fratello di suo padre, mi pare... Il piano l'ha fatto lui ».
« Quindi mia madre ti telefonava spesso, qui ».
« Sissignore ».
« E la signorina, non ti ha telefonato[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Come, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---siano <---Così <---Diritto <---Storia <---Del resto <---Ecco <---Più <---Cosa <---Già <---Perché <---Pratica <---Però <---Voglio <---italiano <---Ciò <---Dialettica <---La sera <---Sei <---abbiano <---italiana <---italiani <---Dio <---Filosofia <---Hai <---socialista <---Andiamo <---Basta <---Certo <---Lenin <---Marx <---Povera <---Sarà <---Sulla <---comunisti <---fascismo <---ideologico <---marxismo <---Davanti <---Dei <---Dico <---Fisica <---Guarda <---Macché <---Mi pare <---Niente <--- <---Pochi <---Qui <---Stato <---anziane <---comunista <---cristiana <---fascista <---fascisti <---ideologia <---lista <---marxista <---marxisti <---materialismo <---socialismo <---Adesso <---Capitale <---Col <---Cominciò <---Fai <---Giù <---Gramsci <---La casa <---Lascio <---Logica <---Ma mi <---Meccanica <---Noi <---Non parlare <---Non voglio <---Oltre <---Poetica <---Quale <---Resta <---Sarai <---Tornò <---Va bene <---capitalismo <---comunismo <---cristiano <---d'Europa <---d'Italia <---dogmatismo <---gramsciana <---ideologica <---ideologiche <---ideologie <---imperialismo <---italiane <---leninista <---meccanicismo <---metodologia <---persiane <---socialisti <---storicismo <---Abbiamo <---Accendi <---Agraria <---Ahi <---Almeno <---Ancora <---Arrivò <---Aspettate <---Aut-Aut <---Bambino Gesù <---Benedetto Croce <---Bibliografia <---Bisogna <---Buoni <---Capo <---Cercò <---Chiesa <---Chiesi <---Chiuse <---Commissione <---Cosi <---D'Annunzio <---De Sanctis <---Dinamica <---Diplomatica <---Ditemi <---Divina Commedia <---Dogmatica <---Eccola <---Entro <---Entrò <---Famagosta <---Farmaceutica <---Farmacia <---Filosofia della storia <---Fonetica <---Fosse <---Fuori <---Garbatella <---Garnier <---Genetica <---Gettò <---Giunti <---Gli <---Guardò <---Hegel <---Il Capitale <---Il lavoro <---In ogni modo <---Infine <---La Nazione <---La lotta <---La notte <---Labriola <---Lanciani <---Lasciami <---Lasciò <---Lei <---Linguistica <---Meglio <---Metafisica <---Muovetevi <---Nicò <---Non lo so <---Ogni <---Paese <---Partito <---Passano <---Pensiero filosofico <---Ponte Milvio <---Portò <---Presto <---Psicologia <---RAFFAELE CRIVARO <---Ricominciò <---Rinascita <---Riuscì <---Russia <---Salutandola <---Salvemini <---Scese <---Senato <---Senti <---Sessanta <---Sistematica <---Stalin <---Statti <---Stia <---Tor <---Torino <---Troia <---Vado <---Van Gogh <---Zio Alfonso <---abbaiano <---artigiani <---artigiano <---autista <---autopiste <---bolscevismo <---cambiano <---centesimi <---colonialismo <---cominciano <---cristianesimo <---cristiani <---crociana <---crocianesimo <---crociano <---dell'Avanti <---dell'Italia <---denunciano <---diano <---facciano <---fenomenologica <---filologico <---hegelismo <---idealismo <---illuminismo <---individualismo <---leninismo <---marxiste <---metodologiche <---metodologici <---metodologico <---mutismo <---nazismo <---nell'Africa <---pessimismo <---pluralismo <---psicologica <---razionalismo <---riconquista <---ruffiani 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