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Il segmento testuale Ciò è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 3816Analitici , di cui in selezione 123 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Seroni, La distinzione fra «critica d'arte» (estetica) e «critica politica» in Gramsci, il concetto di «lotta culturale» e le indicazioni metodiche per un nuovo storicismo critico in Studi gramsciani

Brano: [...]cazione » sarò necessariamente breve: procederò per indicazioni, non pretendendo offrire soluzioni organiche con la conseguente ampiezza dimostrativa. Le citazioni saranno ridotte all'essenziale.
Gli elementi fondamentali del problema che ci interessa sono:
a) « critica e storia dell'arte » 1, oppure « fatti di carattere estetico, o di arte pura » 2;
b) « critica politica » o « critica del costume » 3 oppure « fatti di " politica culturale " (cioè di politica senz'altro) » 4;
c) la necessaria « fusione » , e lo studio dei modi in cui essa può avvenire perché si abbia il « tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi » 5.
Per discorrere attorno a questi tre elementi e alla loro relazione, dobbiamo, in limine, precisare che la interdipendenza dialettica fra i due « distinti » è immediatamente fissata da Gramsci in un passo dal
1 L. V. N., p. 6.
2 L. V. N., p. 12.
3 L. V. N., p. 6.
4 L. V. N., p. 12.
5 L. V. N., pp. 7, 1921.
260 1 documenti del convegno
quale abbiamo tolto la prima citazione, nel passaggio da [...]

[...] Il rapporto artistico mostra, specialmente nella filosofia della prassi, la fatua ingenuità dei pappagalli che credono di possedere, in poche formulette stereotipate, la chiave per aprire tutte le porte (queste chiavi si chiamano propriamente " grimaldelli "). Due scrittori possono rappresentare (esprimere) lo stesso momento storicosociale, ma uno può essere artista e l'altro un semplice untorello. Esaurire la questione limitandosi a descrivere ciò che i due rappresentano o esprimono socialmente, cioè riassumendo, piú o meno bene, le caratteristiche di un determinato momento storicosociale, significa non sfiorare neppure il problema artistico. Tutto ciò può essere utile e necessario, anzi lo è certamente, ma in un altro campo: in quello della critica politica, della critica del costume, nella lotta per distruggere e superare certe correnti di sentimenti e credenze, certi atteggiamenti verso la vita e il mondo; non è critica e storia dell'arte, e non può essere presentato come tale, pena il confusionismo e l'arretramento o la stagnazione dei concetti scientifici, cioè appunto il non conseguimento dei fini inerenti alla lotta culturale » 1.
Proviamoci a rifare il ragionamento, nel citato passo gramsciano evidentemente polemico nei confronti del positivismo, mettendo in rilievo il passaggio conclusivo. Accortamente, a nostro parere, Gramsci pone in primo piano il concetto di lotta culturale e dei fini ad essa conseguenti; e in ciò fare distingue nettamente la critica politica e la critica del costume dalla lotta culturale: cioè la critica politica e la critica del costume non sono che aspetti parziali della lotta culturale, i cui fini pertinenti consistono nella vivificazione e precisazione dei concetti scientifici (nel nostro caso dei principi del giudizio estetico). Ora, che Gramsci ponga l'accento sulla lotta culturale è fatto naturale, logico diremmo, in un marxista, dal momento che la lotta per il rinnovamento della società non può non condurre il soggetto attivo della lotta a dover scontrarsi con la cultura della vecchia società e con lo spirito e il « mondo » espresso dalle stesse opere d'arte nate in quella[...]

[...]
Storia della letteratura italiana del Vallardi, pubblicata sotto la direzione di Pasquale Villari (si pensi, soprattutto, a quell'esempio clamoroso che è la Storia della letteratura italiana nel sec. XVI del Canello), ci balza evidente il progresso che segna, nei confronti del positivismo, la notazione crociana. Ma è altrettanto evidente che la distinzione del Croce fra arte ed estraneo all'arte finiva per negare una qualsiasi relazione attiva (cioè dialettica) fra i due ordini di fatti, cristallizzandoli sia in schema di giudizio estetico (poesia e non poesia), sia in schema di metodologia storica (storia dell'arte pura, altre storie nelle quali le opere d'arte sono assunte allo stato documentario). Il rapporto introdotto da Gramsci e il suo concetto della fusione ricostituiscono l'unità fra critica estetica o puramente artistica e lotta per una nuova cultura; non solo, ma, attraverso l'elemento lotta culturale, come s'è visto, anche con la lotta politica generale. Ecco il concetto come è espresso da precise parole di Gramsci: « il tip[...]

[...]l rapporto introdotto da Gramsci e il suo concetto della fusione ricostituiscono l'unità fra critica estetica o puramente artistica e lotta per una nuova cultura; non solo, ma, attraverso l'elemento lotta culturale, come s'è visto, anche con la lotta politica generale. Ecco il concetto come è espresso da precise parole di Gramsci: « il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi... deve fondere la latta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » 1.
La preminenza da noi concessa alla necessità della lotta culturale ci par ribadita in questa citazione; e del resto trova una piú certa conferma attraverso la lettura del paragrafo dedicato ai criteri metodici della critica letteraria 2; dove, chiaramente, al principio crociano della distinzione astratta fra poesia e non poesia è opposto il metodo della tendenza culturale (« Pare certo che [...]

[...]lla distinzione astratta fra poesia e non poesia è opposto il metodo della tendenza culturale (« Pare certo che l'attività critica debba sempre avere un aspetto positivo, nel senso che debba mettere in rilievo, nell'opera presa in esame, un valore positivo, che se non può essere artistico, può essere culturale e allora non tanto varrà il singolo libro, salvo casi eccezionali, quanto i gruppi di lavoro messi in serie per tendenza culturale » 3. È ciò che si è fatto da noi, in questi anni del dopoguerra, in direzione del « realismo », cioè della creazione di una letteratura e di un'arte che tendesse al « nazionalepopolare »; ed è opera stata fatta con coraggio e talora
1 L. V. N., p. 7.
2 L. V. N., pp. 1921.
3 L. V. N., p. 20.
Adriano Seroni 263
intelligenza; quel che non si è fatto, troppo spesso, è stata la sperimentazione del giudizio estetico, ragion per cui si è dato patenti di « opere d'arte » anche ad opere che interessavano soltanto per la loro tendenza culturale).
Gioverà ora introdurre alcune serie di esempi, positivi e negativi, per saggiare, nel corpo vivo degli scritti gramsciani, la consistenza della proble[...]

[...]le:
a) l'uomo guicciardiniano. Gramsci, riprendendo il noto tema, insiste a mettere in guardia il lettore, che non si tratta dell'arte dello scrittore, ma di un atteggiamento morale del critico determinato dalle necessità di una lotta culturale diretta contro certi vizi tradizionali dell'intellettuale italiano 2;
b) lo Zola di De Sanctis. Non mancano ancora oggi lettori frettolosi che attribuiscono al De Sanctis della conferenza al Circolo t'ilciogico di Napoli e dei noti saggi su Zola un ripensamento circa la. portata del caso Manzoni. Ora, in questo esempio, gli elementi fonda
1 L. V. N., p. 7.
2 R., p. 140.
Adriano Seroni 265
mentali sono assai evidenti e chiari: la lotta condotta dal De Sanctis pet una cultura realistica porta il critico, sul piano culturale, ad opporre ad uno scrittore fra i grandissimi qual è Manzoni uno scrittore di minor statura come Zola. Ma, leggendo senza prevenzioni culturali le pagine desanctisiane su Zola, ben ci si accorge che mai al critico si affaccia l'intenzione di diminuire la portata artistica [...]

[...] solo alcuni) sottintende la possibilità di esempi negativi. E qui è necessaria una premessa. Il critico militante è ad ogni momento sottoposto a sbagliare, e sbagliare soprattutto perdendo di vista quella relazione dei tre elementi di fondo che s'è accennato in principio del nostro discorso: il « fervore », la passione lo possono a volte condurre a perder di vista, in primo luogo, la distinzione necessaria fra critica d'arte e critica politica. Ciò avvenne al De Sanctis per alcuni aspetti « minori » del Rinascimento, quando il critico e lo storico parvero confondere l'atteggiamento morale dello scrittore e la sua portata culturale in senso del « progresso » con i risultati artistici dei prodotti letterari; ciò avvenne a Gramsci nel caso della letteratura italiana del primo Novecento (da Pascoli a Ungaretti). A nostro avviso, le pagine gramsciane sui « nipotini di padre Bresciani » — pur anche illustrate e meglio chiarite dal citato paragrafo sui criteri metodici della critica
i
1 Nel volume Nuove ragioni critiche, Firenze, 1954, p. 137 sgg.
266 1 documenti del convegno
letteraria — costituiscono un esempio di prevaricazione dell'elemento della critica politica: la lotta contro l'irrazionalismo portò Gramsci ad agire
senza la necessaria distinzione non solo fra i valori artistici in giuoco nel [...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Sabetti, Il rapporto uomo-natura nel pensiero del Gramsci e la fondazione della scienza in Studi gramsciani

Brano: Alfredo Sabetti
IL RAPPORTO UOMONATURA NEL PENSIERO DEL GRAMSCI E LA FONDAZIONE DELLA SCIENZA
L'atteggiamento assunto dal Gramsci di fronte a questa ptoblema s'inserisce nella lotta che egli svolge nei suoi Quaderni contro la cultura e le concezioni filosofiche dominanti nell'Italia del tempo in piena coerenza con le premesse metodologiche e ideologiche del suo marxismo. Tuttavia ciò non comporta puramente e semplicemente il rifiuto del pensiero idealistico in merito al problema del valore della scienza, ma implica contemporaneamente una revisione dell'atteggiamento che alcuni esponenti del pensiero marxista avevano avuto nei confronti del problema stesso. S'intende che per il Gramsci il problema non può sussistere sotto il profilo puramente teorico, ma s'inserisce nel processo di organizzazione della cultura in stretta dipendenza dalla situazione storica effettiva quale è determinata di volta in volta dai rapporti strutturali.
In primo luogo occorre tener presente il fa[...]

[...]ormarsi del centro neoscolastico. Cosí gli scienziati " laici " hanno contro la religione e la filosofia piú diffusa: non può non avvenire un loro imbozzolamento e una " denutrizione " dell'attività scientifica che non può svilupparsi isolata dal mondo della cultura generale... Questo disgregarsi dell'unità scientifica, del pensiero generale, è sentita: si è cercato di rimediare elaborando, anche in questo campo, un " nazionalismo " scientifico, cioè sostenendo la tesi della " nazionalità " della scienza. Ma è evidente che si tratta di costruzioni esteriori estrinseche, buone per i congressi e le celebrazioni oratorie, ma senza efficacia pratica... Il pericolo piú grande pare essere rappresentato dal gruppo neoscolastico, che minaccia di assorbire molta attività scientifica sterilizzandola, per reazione all'idealismo gentiliano » 1.
Se non è passibile accettare la posizione assunta dall'idealismo nei confronti della scienza, il rapporto uomonatura e la conseguente fondazione della stessa scienza non possono implicare per il Gramsci il r[...]

[...]ruppo neoscolastico, che minaccia di assorbire molta attività scientifica sterilizzandola, per reazione all'idealismo gentiliano » 1.
Se non è passibile accettare la posizione assunta dall'idealismo nei confronti della scienza, il rapporto uomonatura e la conseguente fondazione della stessa scienza non possono implicare per il Gramsci il ritorno puro e semplice alle posizioni del positivismo e dello scientismo del secolo scorso, alle concezioni cioè di un materialismo acritico e dogmatico, nel quale quel rapporto non è visto in funzione dell'azione costante che l'uomo esercita sul suo ambiente naturale per modificarlo ed assoggettarlo ai suoi fini umani, ma sulla base dell'accettazione della teoria evoluzionistica intesa nel suo significato meccanico e deterministico. Anzi il Gramsci reagisce a tale tendenza che indubbiamente si delinea nelle forma
1 I., pp. 4647.
Alfredo Sabetti 245
zioni culturali marxistiche piú superficiali e meccaniche, quando denun zia la presentazione che si fa nel Manuale popolare di sociologia marxista del B[...]

[...]cita sul suo ambiente naturale per modificarlo ed assoggettarlo ai suoi fini umani, ma sulla base dell'accettazione della teoria evoluzionistica intesa nel suo significato meccanico e deterministico. Anzi il Gramsci reagisce a tale tendenza che indubbiamente si delinea nelle forma
1 I., pp. 4647.
Alfredo Sabetti 245
zioni culturali marxistiche piú superficiali e meccaniche, quando denun zia la presentazione che si fa nel Manuale popolare di sociologia marxista del Bukharin della concezione oggettivistica della realtà del mondo esterno, presentazione da lui definita appunto acritica, quale quella del peggiore positivismo'. Egli reagisce contro la posizione che le scienze naturali ed esatte possono venire ad assumere « nel quadro della filosofia della prassi di un quasi feticismo, anzi della sola e vera filosofia o conoscenza del mondo » 2. Appellarsi al senso comune, per sostenere in nome di esso la cosí detta « realtà del mondo esterno », sostiene il Gramsci, contro il soggettivismo e l'idealismo che quella realtà tendono a negare, « [...]

[...] il. Gramsci — è diventata un dato ferreo del " senso comune " e vive con. la stessa saldezza anche se il sentimento religioso è spento e sopito » 4.
Bisogna d'altra parte riconoscere che « la concezione soggettivistica è, propria della filosofia moderna nella sua forma piú compiuta e avanzata, se da essa e come superamento di essa è nato il materialismo storico, che nella teoria delle superstrutture pone in linguaggio realistico e storicistico ciò che la filosofia tradizionale esprimeva in forma speculativa.... Fa anzi maraviglia che il nesso tra l'affermazione idealistica che la realtà del mondo è una creazione dello spirito umano e l'affermazione della storicità e caducità di tutte le ideologie da parte della filosofia della. prassi, perché le ideologie sono espressioni della struttura e si modificano. col modificarsi di essa, non sia stato mai affermato e svolto convenientemente» 5. Il Gramsci rivendica in tal modo l'origine del materialismo storico, il suo carattere storicistico ed umanistico in contrasto con ogni forma di material[...]

[...]nno saputo concepire la scienza stessa come mezzo per dare all'uomo l'effettivo dominio sulla natura, per attuare quell'integrazione dell'uomo stesso nel suo ambiente naturale, che è indispensabile per la realizzazione di una migliore forma di società e per liberare l'umanità da ogni forma di soggezione.
Per il Gramsci, la scienza è, marxisticamente, un processo storico di cui tutte le fasi e posizioni vanno comprese e valutate realisticamente, cioè storicamente. Non si tratta di trovare ciò che è eternamente vero e discriminarlo da ciò che è eternamente falso, ma si tratta di impadronirsi della dialettica del reale, cosí come storicamente è dato a noi di perfezionarla dal punto di vista conoscitivo e introdurvisi dentro per trasformare questa realtà, saldando il distacco tra teor_a e pratica. Non c'è niente di assolutamente ed inequivocabilmente vero; c'è solo una storia della conoscenza scientifica che fa parte della storia dell'umanità ed è da questa condizionata. « Porre la scienza a base della vita, fare della scienza la concezione del mondo per eccellenza, quella che snebbia gli occhi da ogni illusione ideologica, che [...]

[...]ssi del nuovo ceto industriale e commerciale. Ben presto però la cultura borghese ha rinnegato le concezioni positivistiche per ripiegare su ben diverse posizioni. L'empiriocriticismo e l'idealismo esprimono questo mutato atteggiamento, per il quale al feticismo della scienza del periodo positivistico si è sostituito da parte della cultura borghese, o almeno di gran parte di essa, lo scetticismo nel valore obiettivo della conoscenza scientifica. Ciò si spiega col mutamento verificatosi nella struttura economica e sociale. La borghesia imperialistica della prima metà del Novecento ha ripudiato il feticismo scientifico propugnato dalla cultura borghese liberale del secolo prece
1 M. S., pp. 1314
Alfredo Sabetti 249
dente per ripiegare verso ideologie culturali piú confacenti alla nuova posizione reazionaria e conservatrice da essa assunta nei confronti del proletariato.
Ma proprio per questo, proprio perché il proletariato ha assunto, malgrado le dittature fasciste, in questo secolo XX, una funzione rivoluzionaria di gran lunga piú imp[...]

[...]onsabile perché non piú resistente ma agente e necessariamente attivo e intraprendente » 1. Cosí la scienza viene ricondotta alla vita e all'attività dell'uomo, viene in altri termini riconosciuto il valore « umano » della scienza, il che significa riconoscere concretamente quella centralità dell'uomo rispetto alla realtà esterna, che le filosofie « soggettivistiche » di tipo idealistico gli riconoscono su di un piano puramente spirituale, senza cioè considerare l'interazione uomomondo dal punto di vista attivo e concreto.
Oggetto della scienza d'altra parte non è il cosmo in sé metafisicamente inteso, ma il rapporto tra l'uomo e la realtà. « Se le verità scientifiche non sono neanche esse definitive e perentorie, anche la scienza è una categoria storica, è un movimento in continuo sviluppo. Solo che la scienza non pone nessuna forma di " ,inconoscibile " metafisico — scrive il Gramsci —, ma riduce ciò che l'uomo non conosce a una empirica " non conoscenza " che non esclude la conoscibilità, ma la condiziona allo sviluppo degli strument[...]

[...]are l'interazione uomomondo dal punto di vista attivo e concreto.
Oggetto della scienza d'altra parte non è il cosmo in sé metafisicamente inteso, ma il rapporto tra l'uomo e la realtà. « Se le verità scientifiche non sono neanche esse definitive e perentorie, anche la scienza è una categoria storica, è un movimento in continuo sviluppo. Solo che la scienza non pone nessuna forma di " ,inconoscibile " metafisico — scrive il Gramsci —, ma riduce ciò che l'uomo non conosce a una empirica " non conoscenza " che non esclude la conoscibilità, ma la condiziona allo sviluppo degli strumenti fisici e allo sviluppo dell'intelligenza storica dei singoli scienziati. Se è cosí, ciò che interessa la scienza non è tanto dunque l'oggettività del reale, ma l'uomo che elabora i suoi metodi di ricerca, che rettifica continuamente i suoi strumenti materiali che rafforzano gli organi sensori e gli strumenti logici (incluse le matematiche) di
1 M. S., p. 14.
250 I documenti del convegno
discriminazione e di accertamento, cioè la cultura, cioè la concezione del mondo, cioè il rapporto tra l'uomo e la realtà con la mediazione della tecnologia. Anche nella scienza, cercare la realtà fuori degli uomini, inteso ciò nel senso religioso e metafisico, appare niente altro che un paradosso. Senza l'uomo, cosa significherebbe la realtà dell'universo? Tutta la scienza è legata ai bisogni, alla vita, all'attività dell'uomo. Senza l'attività dell'uomo, creatrice di tutti i valori, anche scientifici, cosa sarebbe 1'" oggettività"? Un caos, cioè niente, il vuoto, se pure cosí si può dire, perché realmente, se si immagina che non esiste l'uomo, non si può immaginare la lingua e il pensiero. Per la filosofia della prassi l'essere non può esser disgiunto dal pensare, l'uomo dalla natura, l'attività dalla materia, il soggetto dall'oggetto; se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell'astrazione senza senso » 1.
Ci pare che questo passo, malgrado la perplessità che può ingenerare la affermazione che l'oggettività senza l'attività dell'uomo sarebbe il caos o il nulla, sia abbastanza chiaro ed esplicito al[...]

[...]irici. u La formulazione di Engels che " l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata... dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali " contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre — scrive il Gramsci — " umanamente oggettivo ", cid che può corrispondere esattamente a " storicamente soggettivo ", cioè oggettivo significherebbe " universale soggettivo " » 2. L'oggettività della scienza, in altri termini, è una oggettività storicamente legata alla presenza dell'uamo e alla sua attività gnoseologicoproduttiva, ed è sempre dipendente dall'at
1 M. S., p. 55 sgg. Il corsivo è nostro.
2 M. S., p. 142.
Alfredo Sabetti 251
tività teoretica che collega i fatti e le osservazioni in una visione generale del mondo la quale è appunto una visione umana, cioè storica e quin di umanamente soggettiva. « E indubbio — aggiunge il Gramsci — che l'affermarsi del metodo sperimentale separa due mondi della s[...]

[...]oggettivo significherebbe " universale soggettivo " » 2. L'oggettività della scienza, in altri termini, è una oggettività storicamente legata alla presenza dell'uamo e alla sua attività gnoseologicoproduttiva, ed è sempre dipendente dall'at
1 M. S., p. 55 sgg. Il corsivo è nostro.
2 M. S., p. 142.
Alfredo Sabetti 251
tività teoretica che collega i fatti e le osservazioni in una visione generale del mondo la quale è appunto una visione umana, cioè storica e quin di umanamente soggettiva. « E indubbio — aggiunge il Gramsci — che l'affermarsi del metodo sperimentale separa due mondi della storia, due epoche e inizia il processo di 'dissoluzione della teologia e della metafisica,
e di sviluppo del pensiero moderno, il cui coronamento è nella filosofia della prassi. L'esperienza scientifica è la prima cellula del nuovo metodo di produzione, della nuova forma di unione attiva tra l'uomo e la natura. Lo scienziatosperimentatore è anche un operaio, non un puro pensatore e il suo pensare è continuamente controllato dalla pratica e viceversa,[...]

[...]zione, della nuova forma di unione attiva tra l'uomo e la natura. Lo scienziatosperimentatore è anche un operaio, non un puro pensatore e il suo pensare è continuamente controllato dalla pratica e viceversa, finché si forma l'unità perfetta di teoria e pratica » 1.
Se non si può ammettere l'obiettività assoluta delle leggi scientifiche, perché questo finirebbe col negare alla scienza stessa il valore storico e quindi umano che il Gramsci le dà, ciò non implica affatto che esse abbiano valore puramente prammatico, e, se la polemica del Gramsci si volge essenzialmente verso le concezioni materialiste del Bukharin ed egli tende a distinguere nettamente l'atteggiamento del pensiero marxista di fronte al problema indicato da quello assunto dal positivismo e dal materialismo meccanicistico, ciò non implica l'adesione all'idealismo,
e ci pare di aver messo sufficientemente in luce l'essenziale differenza tra le concezioni dell'idealismo e quelle del materialismo storico, cosí come appare chiaro dall'attenta lettura degli scritti del Gramsci. Ma a conferma di questa tesi, sarà utile ricordare un passo, in cui egli, in polemica con il Lukàcs, riconferma la sua posizione coerentemente marxista in merito al problema dei rapporto uomonatura: « È da studiare — egli scrive — la posizione del prof. Lukàcs verso la filosofia della prassi. Pare che il Lukàcs affermi che si può parlare di dial[...]

[...]ondo stesso « in un sistema culturale unitario ». « Ma questo processo di unificazione storica — aggiunge il Gramsci — avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall'origine pratica della loro sostanza » 3; e il processo stesso della scienza appare perciò legato alle trasformazioni strutturali, cosí come il trionfo dell'uomo sulla natura, il suo effettivo dominio sull'ambiente naturale si ,potrà realizzare in stretta connessione con l'attuazione di una società nuova, che attui la liberazione dell'uomo da ogni forma di schiavitú e di soggezione.
1 M. S., p. 145.
2 K. MARX, Manoscritti economicofilosofici del 1844, Torino, 1949, p. 88 sgg.
3 M. S., p. 142.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Petronio, Gramsci e la critica letteraria in Studi gramsciani

Brano: [...]iudizi storicoculturali: « il Pirandello si è fatta una concezione della vita e dell'uomo, ma essa è " individuale ", incapace di diffusione nazionalepopolare, che però ha avuto una grande importanza " critica ", di corrosione di un vecchio costume teatrale » 5; e ancora: « il suo teatro vive esteticamente in maggior parte se " rappresentato " teatralmente,
e se rappresentato teatralmente, avendo il Pirandello come capocomico
e regista. (Tutto ciò sia inteso con molto sale)» 6.
Giudizi letterari cosí articolati e distesi non sono però frequenti, e sarebbe difficile, chi si fermasse ad essi, collocare Gramsci tra i critici letterari o parlare di una sua importanza nella storia della nostra critica letteraria.
1 L. V. N., p. 46 sgg.
2 M. S., p. 199.
3 L. V. N., p. 281 sgg.
4 L. V. N., p. 283 sgg.
5 L. V. N., p. 46.
8 L. V. N., p. 53.
Giuseppe Petronio 225
Ma la critica letteraria non consiste soltanto in quel giudicare puntuale e concreto di cui si diceva; che è anzi, questo, come l'ultimo atto, conclusivo, di un lavoro lungo e [...]

[...]S., p. 199.
3 L. V. N., p. 281 sgg.
4 L. V. N., p. 283 sgg.
5 L. V. N., p. 46.
8 L. V. N., p. 53.
Giuseppe Petronio 225
Ma la critica letteraria non consiste soltanto in quel giudicare puntuale e concreto di cui si diceva; che è anzi, questo, come l'ultimo atto, conclusivo, di un lavoro lungo e complesso al quale attendono o collaborano piú specialisti, ognuno con un suo compito preciso. Il giudizio critico presuppone infatti una estetica, cioè una concezione generale dell'arte, senza la quale si cadrebbe nel piú trito impressionismo. Presuppone ancora l'esistenza di un gusto, e non, intendo, di una individuale attitudine del critico a cogliere nell'opera d'arte i motivi o i momenti vivi, isolandoli da ciò che arte non è, ma di un gusto ragionato e diffuso, al quale quel critico coscientemente aderisca e di cui si giovi a interpretare le singole opere d'arte, antiche o recenti. E, per non parlare dell'indagine filologica ed erudita, pur essa necessaria, presuppone uno schema storiografico, della storia letteraria e della storia civile, nel quale inquadrare volta per volta autori ed opere, riportandoli a determinati momenti o periodi. Alla educazione del critico letterario contribuiscono, dunque, forse piú ancora che i precedenti critici tecnici, i filosofi di estetica, i teorici del gusto, gli [...]

[...]e, ne ha dedotto — o ha lasciato spunti perché altri deducesse — una interpretazione originale della nostra storia letteraria e del suo periodizzamento storico.
Il primo problema che si ponga allora all'attenzione dello studioso di Gramsci è il rappbrto tra la sua concezione dell'arte e quella dominante al suo tempo: la concezione neoidealistica in genere, la concezione
226 I documenti del convegno
crociana in particolare. Un problema il cui scioglimento è assai interessante, non solo a definire nella sua originalità, nei suoi limiti e nel. suo significato storico, il pensiero estetico e critico di Gramsci, ma anche ad aiutarci a rispondere a quei marxisti o marxisteggianti di oggi, timidi ancora di fronte all'esperienza crociana, incapaci di liberarsene a fondo,. teorizzatori e banditori di non si sa quale sua universale e necessaria validità.
Ho già ricordato che Gramsci fu, e si disse, per alcun tempo, « tendenzialmente piuttosto crociano»; ho osservato ancora come le tracce della lezione crociana restino evidenti anche in pagine [...]

[...]idi ancora di fronte all'esperienza crociana, incapaci di liberarsene a fondo,. teorizzatori e banditori di non si sa quale sua universale e necessaria validità.
Ho già ricordato che Gramsci fu, e si disse, per alcun tempo, « tendenzialmente piuttosto crociano»; ho osservato ancora come le tracce della lezione crociana restino evidenti anche in pagine sue tra le piú mature; ma ha notato giustamente il Garin, richiamandosi proprio a Gramsci, che ciò che conta, nella definizione di un pensiero, non sono le affermazioni momentanee, i passi singoli che possono essere anche contraddittori tra loro, quanto lo spirito dell'opera, il suo senso ultimo, le direzioni costanti nelle quali essa è rivolta, pure tra scarti o deviazioni del momento. E — cito dal riassunto della relazione del Garin — « il crocianesimo di Gramsci — a parte una prima simpatia iniziale con siste nello avere combattuto sistematicamente Croce, considerandolo la voce piú importante (e piú " pericolosa ") della vita italiana » : un'affermazione che mi pare esattissima, ma che[...]

[...] ambienti borghesi piatti e abiettamente banali, ha però dato luogo a creazioni artistiche compiute? » 2. E nelle note raccolte nelle prime pagine di Letteratura e vita nazionale, che sono lo sforzo piú organico del Gramsci per una teoria dell'arte e della critica, questa preoccupazione è costante: « Due scrittori possono rappresentare (esprimere) lo stesso momento storicosociale, ma uno può essere artista, e l'altro un semplice untorello » 3; « Ciò che si esclude è che un'opera sia bella, per il suo contenuto morale e politico, e non già per la sua forma in cui il contenuto astratto si è fuso e immedesimato » 4. Dove vi è certo la lezione crociana, e vi è il rifiuto e come il timore di certo schematico
i L. V. N., p. 50.
2 L. V. N., p. 49.
3 L. V. N., p. 6.
4 L. V. N., p. 11.
228 i documenti del convegno
gretto positivismo che l'Estetica del Croce aveva dissolto; ma vi è anche la lezione fruttuosa del De Sanctis, e vi è lo spirito del piú serio marxismo che, con Marx ed Engels, aveva anch'esso continuamente messo in guardia dal so[...]

[...]immedesimato » 4. Dove vi è certo la lezione crociana, e vi è il rifiuto e come il timore di certo schematico
i L. V. N., p. 50.
2 L. V. N., p. 49.
3 L. V. N., p. 6.
4 L. V. N., p. 11.
228 i documenti del convegno
gretto positivismo che l'Estetica del Croce aveva dissolto; ma vi è anche la lezione fruttuosa del De Sanctis, e vi è lo spirito del piú serio marxismo che, con Marx ed Engels, aveva anch'esso continuamente messo in guardia dal sociologismo, dalla confusione tra contenuto e forma, dal passaggio meccanico dal giudizio storico al giudizio estetico'.
Però le stesse frasi che ho citate, e altre consimili che si potrebbero spigolare, lette nel loro contesto, che è il solo modo di leggerle, non sono affatto crociane, e sono, anzi, della concezione crociana dell'arte e della critica un superamento radicale. Tanto che, proprio in quelle note è il passo tante volte citato in questi anni, e certo di fondamentale importanza ad intendere Gramsci: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto[...]

[...] di là del neoidealismo italiano, al pensiero marxista, ritornava, in ultima analisi, alla dialettica hegeliana degli opposti, sia pure rimessa sulla testa, negando la crociana dialettica dei distinti e riemergeva cosí l'arte, e quindi la critica, in quella storia da cui il Croce le aveva cautelosamente allontanate. L'arte, per Gramsci, è forma, ma una forma condizionata dal suo contenuto, i1 quale contenuto è sempre storicamente determinato. Perciò Gramsci, in antitesi netta con Croce, mentre sottolinea sí la necessità di non confondere il giudizio storico (che è un giudizio di contenuti) con il giudizio estetico (che è un giudizio di forme), già arricchisce questa distinzione di spunti che sono tipicamente marxistici: un momento dato non è mai omogeneo; ogni momento storico pub
1 Cfr. ad esempio la lettera di Engels a Bloch del 21 settembre 1890 e quella a Paolo Ernst del 5 giugno 1890 (riportate in K. MARX F. ENGELS, Sur la litérature et l'art, a cura di J. Freville, Parigi, 1954, p. 160 sgg.; 321 sgg.).
2 L. V. N., p. 7.
Giuseppe [...]

[...]o 1890 (riportate in K. MARX F. ENGELS, Sur la litérature et l'art, a cura di J. Freville, Parigi, 1954, p. 160 sgg.; 321 sgg.).
2 L. V. N., p. 7.
Giuseppe Petronio 229
essere rappresentato ed espresso e da chi lo rappresenta nei suoi aspetti progressivi, e da chi ne « esprime gli elementi " reazionari " e anacronistici », mentre può darsi che veramente rappresentativo sia « chi esprimerà tutte le forze e gli elementi in contrasto e in lotta, cioè chi rappresenta la contraddizione dell'insieme ,storicosociale » 1, dove è già, come appar chiaro, tanto della problematica e delle tesi di Lukàcs 2. E se parla qualche volta di dialettica dei distinti, è per rinviarla al mondo delle sovrastrutture, non alla realtà sempre unitaria nella sua drammatica. complessità: « In una filosofia della prassi la distinzione non sarà certo tra i momenti dello Spirito assoluto, ma tra i gradi della soprastruttura,. e si tratterà pertanto di stabilire la posizione dialettica dell'attività pratica. (e della scienza corrispondente) come determinato grado supe[...]

[...]nato grado superstrut tuurale » 3.
Ma non basta. Ristabilire un nesso necessario ed organico tra la. forma dell'opera d'arte ed il suo contenuto, significava riaffermare la. piena storicità dell'opera d'arte, il nesso, quindi, tra arte e storia. E. significava, ancora, ritrovare e riaffermare la storicità della critica anch'essa. tutta necessariamente impegnata, riflesso anche essa di una ideologia, di un impegno totale di fronte alla vita.
Perciò Gramsci, contro le tesi dominanti al suo tempo, ricollega le battaglie culturali alla poesia, e sostiene che ogni lotta per una nuova. società, anche se non crea immediatamente nuova arte e nuovi artisti, contribuisce mediatamente a crearli, suscitando nuovi contenuti e nuove concezioni di vita. « Il movimento della " Voce " non poteva creare artisti, ut sic, è evidente; ma lottando per una nuova cultura, per un. nuovo modo di vivere, indirettamente promuoveva anche la formazione di temperamenti artistici originali, poiché nella vita c'è anche l'arte » 4. E subito dopo, con mossa schiettament[...]

[...]ecialmente ai saggi raccolti in G. LUKAcs, Saggi sul realismo, Torino, 1950.
3 Mach., p. 11.
4L.V.N.,p.9.
5 G. LUKACs, Il marxismo e la critica letteraria, Torino, 1953, p. 12 sgg..
230 I documenti del convegno
e di rivistucole provinciali. La macchietta del " sacerdote dell'arte " non è una grande novità anche se muta il rituale » '. E qualche pagina piú avanti, con formula energica e icastica: « La letteratura non genera letteratura ecc., cioè le ideologie non creano ideologie, le superstrutture non generano superstrutture altro che come eredità di inerzia e di passività: esse sono generate non per " partenogenesi ", ma per l'intervento dell'elemento " maschile ", la storia, l'attività rivoluzionaria che crea iI " nuovo uomo ", cioè nuovi rapporti sociali » 2: dopo di che cianci, chi se la sente, di sopravvivenze crociane!
Dopo di che può essere chiaro invece che cosa significhi per Gramsci contrapporre alla critica letteraria di tipo crociano quella di tipo desanctisiano: la critica letteraria — egli afferma continuando il passo già citato — « deve fondere la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » 3. La critica letteraria, diciamo noi, dev'essere tutta politica, critica dei contenuti e delle forme, critica di battaglia, nella quale il critico si impegni tutto, non solo come studioso e giudice di poesia, ma come uomo, ed uomo di sangue e di crucci.
Certo, Gramsci sa bene che tale è sempre la critica, anche quando affermi o creda di essere oggettiva, al di fuori o al di sopra della mischi[...]

[...]itica di battaglia, nella quale il critico si impegni tutto, non solo come studioso e giudice di poesia, ma come uomo, ed uomo di sangue e di crucci.
Certo, Gramsci sa bene che tale è sempre la critica, anche quando affermi o creda di essere oggettiva, al di fuori o al di sopra della mischia. E comincia infatti proprio da lui quello « smascheramento ideologico » del Croce che si è da poco ripreso e che occorre condurre fino in fondo 4; Gramsci, cioè, sa bene che il Croce è il critico di una « fase difensiva » non piú « aggressiva e fervida », o, diremmo noi, che con lui, il piú intelligente e operoso dei conservatori italiani, la critica letteraria si afferma autonoma, non impegnata, formale, perché solo cosí, in una falsa oggettività, isolando il critico, come l'artista, in una torre d'avorio, essa può servire la causa della conservazione culturale e politica: negare la
L. V. N., p. 9.
2 L. V. N., p. 11.
3 L. V. N., p. 7.
4 Cfr. soprattutto E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, 1955; M. ABBATB, La filosofia di B. Croce e [...]

[...]isse, ma di cui ci ha lasciato il disegno e lo scheletro.
Che è, poi, il punto in cui la critica letteraria di Gramsci meglio coincide con quella di De Sanctis, ma è pure il punto in cui ne diverge con maggiore energia 2.
Tutti e due, infatti, mirano a risolvere il giudizio critico in un giudizio storico, inquadrando opere e autori in una storia della letteratura che sia una storia della civiltà italiana sub specie litterarum. E tutti e due perciò disegnano Gramsci disegna solo, De Sanctis vi aggiunge i colori — una storia civile italiana dalla cui trama si spicchi e rilevi, pur tutt'una con essa, la storia letteraria, simile al volto umano che Dante scorge, dipinto dello stesso colore e pur tutto in risalto, sull'una delle circonferenze divine.
Ma la storia civile italiana che Gramsci tratteggia è poi tutta diversa da quella del De Sanctis, come dev'essere necessariamente diversa la visione che della storia italiana ha il marxista Gramsci da quella che aveva avuta, alla fine del Risorgimento italiano, il democratico De Sanctis.
La [...]

[...]
Indicare nei suoi particolari questa problematica gramsciana non è compito di chi studi Gramsci critico letterario; basterà accennare al punto di partenza, al lievito fermentante in ogni pagina. Per Gramsci la storia della letteratura si fa tutt'uno con la « storia della formazione
e dello sviluppo dei gruppi intellettuali italiani », in uno sforzo di ristabilire, o stabilire, dopo tanti secoli, l'unità tra intellettuali e popolo. Si tratta perciò di riandare la storia passata italiana a cogliere le vicende
e le ragioni del distacco tradizionale tra gli uni e gli altri, per scoprire in esse le cause di certi malanni, che furono si storici o storicocivili (dominazioni straniere, mancata unità nazionale, arretratezza economica,
e via dicendo), ma furono anche, per la stessa ragione, nello stesso momento, culturali: cultura falsamente umanistica, accademismo letterario, Arcadia, brescianesimo, e cosí via dicendo.
In questo modo le classi subalterne, escluse fino allora dalla storia letteraria, vi entrano di pieno diritto, e la storia d[...]

[...]sociale; cosí come il secondo Settecento è stcto ora ritratto verso la prima arcadica metà del secolo, ora rigettato verso l'Ottocento, è apparso ora continuazione dell'Arcadia ora presentimento del Romanticismo (Preromanticismo), senza piú, in alcun caso, quei larghi motivi innovatori che il De Sanctis vi aveva scorti, trutto della nuova cultura illuministica. Voglio dire, insomma, che paral lelamente alla riduzione della poesia a pura forma, e cioè al suo svuotamento culturale e sociale, si è avuto, per le stesse ragioni, ne fossero o no consci i singoli critici, uno svuotamento dello schema storiografico costruito, sul lavoro dei secoli precedenti, dai romantici. Ed è ovvio: ridotta l'opera d'arte a «poesia » senza un substrato politicosociale, tutte le opere d'arte diventano piú o meno simili tra loro, senza nemmeno piú differenziazioni profonde di stile.
Gramsci, invece, riintroduce nella critica la considerazione dell'« elemento maschile », cioè della storia, ed ha della storia, marxisticamente, una concezione tutta dialettica e d[...]

[...]e stesse ragioni, ne fossero o no consci i singoli critici, uno svuotamento dello schema storiografico costruito, sul lavoro dei secoli precedenti, dai romantici. Ed è ovvio: ridotta l'opera d'arte a «poesia » senza un substrato politicosociale, tutte le opere d'arte diventano piú o meno simili tra loro, senza nemmeno piú differenziazioni profonde di stile.
Gramsci, invece, riintroduce nella critica la considerazione dell'« elemento maschile », cioè della storia, ed ha della storia, marxisticamente, una concezione tutta dialettica e drammatica; ed ecco, allora, che i singoli periodi riacquistano vita e colore, si rifanno individualità concrete, ognuno con caratteristiche sue, anche se in esso sopravvivano residui cul_urali del passato anche se si affaccino le prime anticipazioni del futuro: basti, a chiarire questo senso dialettico e drammatico che il Gramsci ha della poesia, la sua interpretazione di Dante: « il vecchio "uomo ", per il cambiamento, diventa anch'esso "nuovo ", poiché entra in nuovi rapporti, essendo stati quelli primiti[...]

[...] il canto del cigno medievale, che pure anticipa i nuovi tempi e la nuova storia?) » '.
Il Gramsci ritorna cosí allo schema romanticodesanctisiano; ma vi ritorna, s'intende, arricchendolo di quel senso, che abbiamo già fatto
1 L. V. N., p. 11.
236 I documenti del convegno
notare, della storia d'Italia quale contrasto e conflitto tra « intellettuali » e « popolo ». I punti sui quali egli ha maggiormente fissato la sua attenzione sono stati perciò l'età comunale, il periodo dell'Umanesimo, del Rinascimento e della Riforma, il Risorgimento; e, al solito, le sue sono non tanto trattazioni argomentate e distese, quanto notazioni fuggevoli e pure organiche, spunti che vanno sistemati e sviluppati.
Le origini sono state cosí legate energicamente al formarsi di una borghesia comunale, mentre la sua concezione, cosí originale, del Comune quale il « governo di una classe economica che non seppe crearsi la propria categoria di intellettuali e quindi esercitare un'egemonia oltre che una dittatura » 1, permette una interpretazione tutta nuova de[...]

[...]fondo rapporto con la situazione storica italiana ed europea 2.
Lo stesso sguardo educato alla comprensione dialettica della storia ed alla considerazione della parte che in essa hanno avuta le forze subalterne, il Gramsci appunta sul Risorgimento, ed anche qui la visione tradizionale, monarchica e moderata, dell'Ottocento svela la sua faziosa fallacia, ed anche qui Gramsci semina spunti e germi che attendono di essere svolti e sistemati. Se perciò qualcuno ha potuto giustamente parlare della necessità di uno studio del De Sanctis « secondo Gramsci » piuttosto che «secondo Croce », potremmo dire che anche lo schema della letteratura italiana va oggi approfondito, chi voglia rifarlo secondo interessi democratici e moderni, « secondo Gramsci », e non secondo la concezione moderata e liberale di cui il Croce ha dato gli esempi piú alti 3.
1 R., p. 27.
2 Per Umanesimo e Rinascimento cfr. ancora I., p. 36 sgg.; M. S., p. 85 sgg.; per il Machiavelli cfr. soprattutto Mach., p. 3 sgg.; 115 sgg.; 211 sgg.; R., p. 13; L. C., p. 47. Per un esemp[...]

[...] gli schemi estetici indicando un nuovo modo di leggere, rinnovare gli schemi storiografici indicando un punto nuovo di vista, significa aiutare non solo ad una diversa e nuova comprensione dei « contenuti » delle singole specifiche opere d'arte, sibbene proprio ad una valutazione nuova e diversa delle varie opere d'arte, proprio in quanto opere d'arte, in quanto forma.
Se è vero, infatti, che « nessuna opera d'arte può non avere un con tenuto, cioè non essere legata a un mondo poetico e questo a un mondo intellettuale e morale » 1, e se è vero che forma e contenuto sono due astrazioni, poiché ciò che si dice forma non è che la naturale, organica, necessaria espressione di quel contenuto, sarà vero che ogni conoscenza o valutazione nuova della ideologia di uno scrittore e del posto che gli spetta nella storia, porterà per logica forza di cose ad una valutazione nuova e del suo valore poetico e del carattere della sua poesia, e spiegherà meglio, o in modo diverso, i caratteri formali dell'opera sua. II che significa poi rivalutare la critica letteraria sottraendola all'arbitrio deI gusto individuale per farne, invece, un'espressione delle grandi correnti culturali e ideali.
Cosí gli ap[...]

[...]la sua poesia, e spiegherà meglio, o in modo diverso, i caratteri formali dell'opera sua. II che significa poi rivalutare la critica letteraria sottraendola all'arbitrio deI gusto individuale per farne, invece, un'espressione delle grandi correnti culturali e ideali.
Cosí gli appunti o spunti sparsi di Gramsci sono assai suggestivi non solo per lo storico letterario, ma anche per il critico autore di monografie (di monografie, però, idealmente sciolte, sempre, in una storia coerente ed organica!), inteso a studiare questo o quello scrittore. Valga qualche esempio a chiarire.
Manzoni interessò Gramsci soprattutto per la parte ch'egli ebbe nella annosa « questione della lingua » e per quanto poteva giovargli a delineare quella storia dei gruppi intellettuali italiani che era tra le sue ambizioni maggiori. Manzoni, cioè, lo interessò soprattutto per la sua posizione ideologica di « moderato » e di cattolico; e per questo egli studiò seriamente l'atteggiamento psicologico dello scrittore nei riguardi dei suoi personaggi « popolani » ed « umili » : « questo atteggiamento è nettamente di casta pur nella sua forma religiosa cattolica; i popolani, per il Manzoni, non hanno " vita interiore ", non hanno personalità morale profonda; essi sono " animali ", e il Manzoni è " benevolo " verso di loro,
1 L. V. N., p. 79.
Giuseppe Petronio 239
proprio della benevolenza di una cattolica società di protezione degli ani[...]

[...]e del rapporto, nei Promessi sposi, tra ideale e reale nacquero tutti i suoi saggi, fino alle piú minute osservazioni puntuali. Piú tardi la critica letteraria italiana, seguendo il processo involutivo della nostra cultura e della nostra società, si sforzò di eliminare il peso del reale nel romanzo per accentuare quello dell'ideale:
« nell'arte del Manzoni — scrisse una volta il Momigliano —l'ideale sovrasta la realtà, la domina e le dà valore, cioè la chiave della sua poesia è in cielo e non in terra » 2.
Accettare invece la posizione di Gramsci significa vedere in modo nuovo il rapporto tra ideale e reale, notare le « notevoli tracce di brescianesimo » 3, di spirito aristocratico, di tradizione controriformistica che sono nel libro, e rendersi conto, quindi, della psicologia dei personaggi, del taglio di certe scene (per un esempio, quelle di folla: i tumulti a Milano), dello stile e della lingua, e intendere, quindi, i limiti della Popolarità del romanzo. Non è un caso, perciò, che dalle pagine di Gramsci abbiano preso le mosse le p[...]

[...] di Gramsci significa vedere in modo nuovo il rapporto tra ideale e reale, notare le « notevoli tracce di brescianesimo » 3, di spirito aristocratico, di tradizione controriformistica che sono nel libro, e rendersi conto, quindi, della psicologia dei personaggi, del taglio di certe scene (per un esempio, quelle di folla: i tumulti a Milano), dello stile e della lingua, e intendere, quindi, i limiti della Popolarità del romanzo. Non è un caso, perciò, che dalle pagine di Gramsci abbiano preso le mosse le pagine piú nuove e piú notevoli che si sono avute in questi ultimi anni sul Manzoni: da quelle di Natalino Sape
L. V. N., p. 73.
2 In L'esame, I, 199, pp. 656.
3 L. V. N., p. 77.



da Luciana Castellina, Motivazioni e obiettivi del Partito operaio turco. [sopratitolo: Una forza politica di sinistra che nasca dai sindacati] [sottotitolo: Il gruppo dirigente del POT non cerca facili soluzioni «cittadine» ma vuole realizzare il contatto organizzato con le masse contadine che rappresentano la grandissima maggioranza del paese] in KBD-Periodici: Rinascita 1965 - 1 - 23 - numero 4

Brano: [...]stenza capace di avviare uno sviluppo capitalistico nel paese: i ristretti gruppi borghesi non solo sono infatti ancora troppo strettamente legati all'equilibrio sociale imposto dagli agrari, ma essi stessi non hanno che scarsissima capacità imprenditoriale non esistendo in Turchia le condizioni per un'autonoma accumulazione che si svolga nell'ambito delle attuali strutture. L'economia turca si fonda infatti, oltreché sull'agricoltura, sul commercio, quasi del tutto nelle mani delle comunità ebraica e greca,
e su una limitata attività industriale di. montaggio dei prodotti esportati in Turchia dai monopoli, soprattutto americani.Gli aiuti statunitensi (assai abbondanti finché la Turchia ha rivestito un'importanza strategica di pri mo piano come base per le rampe dei missili a media gittata, caduti negli ultimi tempi) hanno dato infine vita a gruppi di speculatori che si confondono o dipendono strettamente dalla pubblica amministrazione che gestisce anche un ristrettissimo settore industriale di base creato ai tempi di Ataturk.
Parlare [...]

[...]nto della produzione sia stato bassissimo, tutta una serie di sia pur limitate iniziative economiche, sviluppatesi come conseguenza dell'intervento del capitale straniero nel paese, hanno dato vita ad un ristretto nucleo operaio che ha affrontato le sue prime lotte nel corso degli ultimi anni. E' di qui, dalle contraddizioni che tali lotte hanno fatto scoppiare in seno ad un recente movimento sindacale largamente controllato e finanziato dall'AFLCIO e che tuttavia si trova a dover fare i conti con una realtà sociale esplosiva, che è nato il primo tentativo di dare ai lavoratori turchi un proprio autonomo partito politico.
Fondatori della nuova formazione — il Partito operaio turco — sono infatti 12 dirigenti sindacali, espressione di alcuni gruppi di lavoratori che si sono resi conto dei limiti dell'azione sindacale e che pur essendosi collegati in un secondo tempo con gruppi di intellettuali di formazione socialista, hanno cercato di mantene
re al partito tin rigido carattere laburista, fino a emanare uno statuto nel quale è stabilito[...]

[...]zioni cosi avanzate anche dal punto di vista dei rapporti sociali interni.
Di questi limiti tuttavia i gruppi della sinistra turca sembrano essere coscienti in quanto essi stessi non nascondono i pericoli che sempre può comportare un colpo di stato dell'esercito laddove non intervenga un condizionamento capace di dare ai militari una linea ideologica precisa, di fornire ad essi una più esatta co noscenza delle strutture dell'economia del paese. Ciò che fa sperare in un movimento in seno all'esercito è la ondata antiamericana che si è sviluppata nel paese in seguito ai fatti di Cipro e di cui esso non è stato di certo estraneo; se il movente delle manifestazioni che si sono svolte è stato il nazionalismo esasperato, è vero infatti che esse hanno rappresentato il terreno su cui è poi andata formandosi la coscienza del ruolo che l'imperialismo americano e la NATO volevano assegnare alla Turehia e in genere ai paesi « satelliti A. La vicenda di Cipro, il viaggio del ministro degli esteri Erkin a Mosca e la recente visita della delegazione p[...]

[...]generazioni che avevano vissuto fino a ieri in un clima di antisovietismia ossessivo e nel più completo isolamento rispetto agli avvenimenti internazionali.
Questa maggiore apertura sul mondo, l'influenza del pensiero moderno
e democratico che comincia nonostante tutto a penetrare fra le maglie della censura (Y6n ha pubblicato per la prima volta poesie di Nazim Hikmet e le autorità non hanno osato requisire la rivista) e infine i primi grandi scioperi, che nonostante la direzione filoamericana di parte del movimento sindacale, sono esplosi: tutto ciò va producendo i suoi effetti
e spostando su posizioni assai avanzate le stesse organizzazioni studentesche, un tempo nettamente fascisteggianti. Oggi esiste dunque una sinistra turca, articolata e differenziata, divisa anche nell'analisi delle prospettive, ma convinta della necessità di una collaborazione e dunque viva
e in sviluppo.
Luciana Castellina



da Massimo Robersi, Patto islamico: una sfida imperialista ai popoli arabi [sopratitolo: I "pellegrinaggi diplomatici" del monarca saudita all'insegna dell'attacco contro le forze del progresso] in KBD-Periodici: Rinascita 1966 - 10 - 1 - numero 39

Brano: [...]mmentatore politico del quotidiano indipendente di Istanbul Aksam: « Se la Turchia aderirà al Patto islamico, anche in maniera poco impegnativa, la sua politica estera entrerà in un vicolo chiuso. Non vi sarà più alcuno sbocco, nè possibilità di collaborazione con i paesi dell'Est e del Terzo mondo. Ma il pericolo fondamentale per la Turchia sarà quello di vedere la religione islamica giocare una funzione dinamica nella politica internazionale: ciò procurerebbe nuove occasioni d'azione per coloro che sono inclini a sfruttare i sentimenti religiosi. Invero tutto questo può non essere altro che un incubo; tuttavia certi indizi ci spingono a suonare l'allarme con tutte le nostre forze: grandi evoluzioni si sono registrate nell'ultimo anno nel Medio Oriente, le posizioni degli sceicchi si sono irrigidite e di fronte allo scacco del Patto di Bagdad ed agli insuccessi della CENTO, gli anglosassoni stanno ricercando nuove combinazioni con le monarchie rappresentate da quegli sceicchi ».
La citazione è un po' lunga, ma pure il giudizio risulta[...]

[...]hie rappresentate da quegli sceicchi ».
La citazione è un po' lunga, ma pure il giudizio risulta tanto esplicito e significativo che meritava d'essere sottolineato: anche una fonte non sospetta di tendenze di sinistra come il giornale turco (ed altri commenti non meno pungenti di altri autorevoli organi di stampa potrebbero essere ,egnalati) ha ritenuto doveroso cogliere lo spunto dall'arrivo del sovrano saudita per mettere in guardia tanto per ciò che concerne il peggioramento complessivo dell'atmosfera nel settore, quanto sulla specifica pericolosità dell'iniziativa con tenacia portata avanti da quel monarca praticamente dall'inizio del 1966.
Per la cronaca, Feisal se ne è poi ripartito avendo ottenuto, nel comunicato ufficiale emesso al termine delle conversazioni, un esplicito, anche se generico e variamente interpretabile riferimento « ai precetti della religione islamica che possono contribuire efficacemente al rafforzamento della comprensione reciproca e delle relazioni fraterne tra i paesi musulmani ». Il che in concreto vuol d[...]

[...]ivo di democrazia avanzata di Mossadegh, che in Irak la monarchia era traballante (cadde infatti nel 1958), che in Giordania, re Hussein, per la pressione popolare dovette rinunciare al proposito di inserire il suo paese nella combinazione.
Tuttavia questa rapida rievocazione delle vicissitudini del Patto di Bagdad, che doveva melanconicamente trasformarsi nel semimorto patto della CENTO, non intende per nulla essere una sorta di meccanico auspicio o previsione circa il futuro del patto islamico in gestazione. La storia, in questo caso almeno, si guarda bene dal ripetersi o dal ripercorrere cammini conosciuti; tra l'altro sono venuti maturando negli ultimi tempi fenomeni che imporranno inevitabilmente alle forze progressiste arabe non poche revisioni di strategia e di tattica.
D'altro canto esiste un retroscena storico che va tenuto presente per meglio valutare gli orientamenti e le prese di posizione dei nostri giorni, per comprendere i timori, le asprezze, l'amarezza, la decisione che traspaiono dalla stampa e dalle pubbliche dichiar[...]

[...]ca (fermenti che mettono in pericolo tanto le basi strategiche, quanto il controllo delle ricchezze minerarie), il Compito che Feisal s'è assunto diviene perfettamente logico, così come del tutto comprensibili sono i motivi che spingono lo Scià dell'Iran ed il re di Giordania a Simpatizzare per lui, e coerenti gli sforzi per aggirare e diffamare, piuttosto che aggredire frontalmente, i movimenti anticolonialisti più impegnati. Non si tratta più, cioè, d'una congiura reazionaria pura
e semplice, ma d'un piano per nascondere intenzioni di mera conservazione sia sotto il mantello della fraseologia religiosa, sia sotto il paravento del mito dell'efficienza economica, della modernizzazione tecnica e persino della pianificazione.
Volendo un poco schematizzare il senso di questa « sfida » reazionaria, ci pare di poter precisare che essa si articola in due punti. In primo luogo essa fa leva sul vecchio, ma ancora tenace pregiudizio, che vi sia una assoluta incompatibilità tra comunismo ed islamismo, tra impostazione rivoluzionaria dei problemi[...]

[...]li, giudizi ed opinioni sui pro
blemi del paese, contribuendo secondo le loro forze alla vita nazionale. A condizione di non volersi costituire in partito indipendente o di non voler offendere la religione islamica, deve essere data facoltà ai comunisti, sosteneva Heikal, di dire quanto hanno da dire ed alla società nel complesso di respingere o accogliere le loro proposte. Come è noto circa un anno fa il partito comunista egiziano decideva di sciogliersi. Per venire ai nostri giorni, la nomina a primo ministro di Mohammed Sidki Soliman, direttore dei lavori della diga di Assuan, pare proprio indicare l'intenzione di puntare ulteriormente al rafforzamento della unità costruttiva tra tutte le forze valide.
Il clima politico diverso paragonabile a quello del pluripartitismo borghese — favorisce invece nella sinistra libanese un orientamento più elastico che merita segnalare anche per evidenziare il sussistere di elementi specifici e particolarità nel campo del progressismo arabo. In beve in Libano ' le sinistre puntano più al coordiname[...]

[...]uppamento delle monarchie reazionarie.
Definito il carattere strumentale della iniziativa di re Feisal dell'Arabia Saudita, e sottolineato il tipo della risposta che tende a dare lo schieramento progressista, resta purtuttavia qualcosa da aggiungere a proposito della configurazione che vengono assumendo i . rapporti fra comunismo e islamismo Al riguardo va rammentato che sono già stati scritti decine di volumi e centinaia di articoli: si tratta cioè d'un argomento dibattuto lungamente all'interno del movimento operaio e che non è possibile risolvere in poche righe. Nondimeno è giusto fare qualche accenno per delineare il punto d'arrivo delle discussioni odierne.
Innanzitutto, per evitare di cadere nelle volute confusioni alle quali indulgono i sostenitori del Patto islamico, è indispensabile distinguere tra categoria religiosa e categoria nazionale: se si parla di arabi ci si riferisce ad una entità nazionale che comprende 8085 milioni di individui i quali seguono al 90 per cento la religione musulmana; se invece si parla di Islam si f[...]

[...]corretta e più distesa del posto che oggi esso occupa nell'area geografica medioorientale. Man mano che l'orientamento dei gruppi di sinistra e marxisti è divenuto più duttile, superando astrattezze e settarismi, sempre più insufficiente è apparso il tentativo di coloro che volevano ad ogni costo conciliare o dimostrare incompatibili islamismo e socialismo sulla scorta delle citazioni e del richiamo a questo o quel versetto dei testi religiosi.
Ciò che invece va prendendo consistenza, grazie pure alla mancanza di gerarchie ecclesiastiche rigidamente organizzate ed alla autonomia delle varie correnti dell'islamismo, è la libertà di coscienza di ciascun cittadino, il diritto ad attuare scelte spirituali svincolate dalle interpretazioni di comodo di questo .o quel sovrano conservatore.
Massimo Robessi



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] M. Tronti, Alcune questioni intorno al marxismo di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]ale andare delle cose degli pseudoscienziati è stata sostituita: la volontà tenace dell’uomo » 2.

1 Rinascita, 1957, n. 4, p. 149.

2 Ivi, p. 158. « Oggi il massimalismo riafferma, contro la previsione oggettiva, il fine volontario dell’azione. Ma costretto nei limiti dell’antitesi astratta

che disgiungeva gli opposti (condizione oggettiva e volontà soggettiva) come se

l’affermazione dell’uno esigesse la negazione dell’altro, seguendo cioè ancora l’abito mentale che Hegel ed Engels avrebbero chiamato metafisico, essi credono che asMario Tronti

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Non è certo formula episodica come non è facile slogan >la efficace e puntuale espressione gramsciana della « Rivoluzione contro il Capitale ». Quando egli dice : « I bolsceviki rinnegano Carlo Marx », pone un problema fondamentale. Le soluzioni teoriche della II Internazionale avevano prodotto l’opportunismo politico e il tradimento totale, al momento dello scontro decisivo, di fronte alla guerra. La lotta contro quelle soluzioni, la negazione di esse, aveva prodotto il grand[...]

[...] Quaderni.

serire l’efficacia storica della volontà debba significare negarla alle condizioni oggettive ». Cfr. Rodolfo Mondolfo, Sulle orme di Marx, nelle note che sono del ’19.

1 Was ist ortodoxer Marxismus?, in Geschichte und Klassenbewusstsein, Berlin, 1923.

2 Rinascita, cit., p. 147.308

I documenti del convegno

« Fino alla filosofia classica tedesca, la filosofia fu concepita come attività ricettiva o al massimo ordinatrice, cioè fu concepita come conoscenza di un meccanismo obbiettivamente funzionante all’infuori dell uomo. La filosofia classica tedesca introdusse il concetto di “ creatività ” del pensiero, ma in senso idealistico e speculativo. Pare che solo la filosofia della prassi abbia fatto fare un passo avanti al pensiero, sulla base della filosofia classica tedesca... » \

Hegel dialettizza i due momenti della vita del pensiero, materialismo e spiritualismo : la sintesi è un uomo che cammina sulla testa. I continuatori di Hegel distruggono questa unità: si ritorna ai sistemi materialistici da una parte, a [...]

[...]implichi appunto una nuova « immanenza », una nuova concezione della « necessità » e della libertà. E afferma : « Questa traduzione mi pare appunto abbia fatto la filosofia della prassi, che ha universalizzato le scoperte di Ricardo estendendole adeguatamente a tutta la storia, quindi ricavandone originalmente una nuova concezione del mondo » \ Che mi pare proprio il cammino inverso operato da Marx, il quale ha teso prima di tutto a determinare, cioè a storicizzare le categorie universali, cosi dette naturali deH’economia classica; ad usarle come strumento di comprensione e quindi di conoscenza di quel determinato tipo di società da cui erano state prodotte; a ricavarne quindi un indirizzo metodologico in cui è implicita, in prospettiva, la possibilità di una considerazione scientifica della storia in generale, cioè di una scienza della storia.

Hegel+Ricardo+Robespierre : sono le fonti tradizionali per la filosofia della prassi. E con Robespierre abbiamo da intendere evidentemente310

I documenti del convegno

il pensiero politico francese. Eppure non troviamo nei Quaderni una consapevolezza precisa di questo problema; senza dubbio perché manca in essi una conoscenza diretta di quella giovanile critica interna allo Stato borghese che conduce Marx ad una resa di conti decisiva con i principi dell’89 e alla scoperta di tutte le implicazioni teoriche e pratiche che vengono prodotte dalla distinzion[...]

[...]lare del suo sviluppo storico. Le contraddizioni logiche interne alle sovrastrutture, il contrasto storico di struttura e sovrastruttura, intanto è possibile in quanto viene scoperta la contraddizione logica e il contrasto storico all’interno della struttura stessa.

In Marx dunque Hegel, Ricardo e Robespierre non sono presi a sé, come momenti di una pura storia delle idee; essi sono tre aspetti, tra loro complementari, di una medesima realtà, cioè di un tipo specifico di società, sono già parte di questa società, sono una parte quindi dell’oggetto. Ecco perché l’analisi del loro pensiero è già, e non può non essere già, l’analisi della società borghese. Perché la società borghese è anche Hegel, Ricardo e Robespierre, cioè è anche il pensiero della società borghese. Anche il pensiero dunque è riguardato come un oggetto.

Ma qui bisogna stare attenti, perché si pone un problema di estrema delicatezza: di come riuscire a salvare la pur necessaria distinzione all’interno di una organica unità. Perché se è vero che il pensiero della società borghese è già la società borghese, è anche vero che non è tutta la società borghese. Cioè se anche il pensiero viene riguardato come un oggetto, questo non vuol dire che il pensiero è tutto l’oggetto, che il pensiero esaurisce l’oggetto. Se quest’ultima condizione si verificasse noi avremmo, in conseguenza, un pensiero definitivo, conclusivo: un’unità assoluta, attualistica, comunque di origine idealistica.

L’esigenza dell’unità fa perdere qui la necessità della distinzione. Ma ce l’errore opposto: una volta distinto, per usare dei termini tradizionali, il pensiero dall’essere, si tende ad assegnare soltanto all’essere unaMario Tronti

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consistenza oggettiva, mentre i[...]

[...]ensiero rimane un puro riflesso, uno specchio della realtà che non è realtà esso stesso. La distinzione ontologica impedisce qui una reale unità logica.

Sono due soluzioni estreme, all’interno del marxismo, che presuppongono una diversa interpretazione del marxismo. Gramsci credo avesse profonda consapevolezza di questo problema; e il tentativo di soluzione che egli abbozza è certamente coerente con l’impostazione del suo pensiero filosofico. Ciò non toglie che egli finisca per cadere nella prima di queste due soluzioni. Può considerarsi questo come la « conseguenza » di un determinato orizzonte teorico in cui egli ha calato il pensiero di Marx? Per rispondere, dobbiamo accostarci di nuovo, per un momento, alla considerazione del pensiero hegeliano. Qui troviamo subito, in campo marxista, un tradizionale filone d’interpretazione.

Lukàcs, in quel saggio del ’19 che sopra abbiamo ricordato, cosi si esprimeva : « La critica marxiana a Hegel è dunque la continuazione e la prosecuzione diretta della critica che Hegel stesso ha esercitat[...]

[...]omento, alla considerazione del pensiero hegeliano. Qui troviamo subito, in campo marxista, un tradizionale filone d’interpretazione.

Lukàcs, in quel saggio del ’19 che sopra abbiamo ricordato, cosi si esprimeva : « La critica marxiana a Hegel è dunque la continuazione e la prosecuzione diretta della critica che Hegel stesso ha esercitato nei confronti di Kant e Fichte. Cosi è nato il metodo dialettico di Marx come prosecuzione conseguente di ciò cui Hegel aveva aspirato, ma che (Hegel) non aveva concretamente raggiunto... ». C’è qui, in sintesi, la base ultima del pensiero teorico di Lukàcs, che credo rimarrà coerente in tutto il corso della sua opera. Marx è la prosecuzione conseguente di Hegel; il marxismo è la conclusione dello hegelismo, l’inveramento di esso, è il vero hegelismo.

Quasi negli stessi termini si esprimerà Gramsci : « Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé, poiché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro, pur nella forma di romanzo filosofico, si riesce a comprendere cos’è la rea[...]

[...]redo rimarrà coerente in tutto il corso della sua opera. Marx è la prosecuzione conseguente di Hegel; il marxismo è la conclusione dello hegelismo, l’inveramento di esso, è il vero hegelismo.

Quasi negli stessi termini si esprimerà Gramsci : « Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé, poiché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro, pur nella forma di romanzo filosofico, si riesce a comprendere cos’è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima risultava dall’insieme dei sistemi, dall’insieme dei filosofi, in polemica tra loro, in contraddizione tra loro. In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dell’hegelismo... » \ Qui lo stesso pensiero di Lukàcs è espresso in un linguaggio che tiene conto di un momento « nazionale » della cultura. Il marxismo è la riforma della dialettica hegeliana; è la conclusione finalmente positiva dei vari tentativi che l’idea
i M. S.f p. 93.

21.312

I documenti[...]

[...] tiene conto di un momento « nazionale » della cultura. Il marxismo è la riforma della dialettica hegeliana; è la conclusione finalmente positiva dei vari tentativi che l’idea
i M. S.f p. 93.

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I documenti del convegno

lismo italiano ha fatto per rivedere e aggiornare lo strumento logico del metodo hegeliano. Croce e Gentile hanno compiuto una riforma « reazionaria » ; rappresentano quindi un. passo indietro rispetto a Hegel1; in ciò sono stati aiutati da quell’anello intermedio VicoSpaventa(Gioberti). Ecco il difetto dunque di una certa tradizione culturale italiana: essa è troppo poco hegeliana; non è stata capace di tirare le somme da tutto di travaglio della filosofia classica tedesca, non è riuscita a concludere, a completare Hegel; a questa conclusione è arrivato o deve arrivare il marxismo.

Non credo di avere con ciò forzato il pensiero di Gramsci. Gran parte di queste, sono sue esplicite affermazioni. Si tratta di vedere fino a che punto esse siano determinanti per l’indirizzo del suo pensiero; certo è che affermazioni analoghe sono state decisive per l’indirizzo del pensiero marxista in generale.

£ difficile accettare questa che è, del resto, l’interpretazione tradizionale dei rapporti tra Marx e Hegel, per chi, come noi, ha preso coscienza di questi rapporti sulla base di quella giovanile « resa dei conti » che Marx intraprende con la filosofia hegeliana; per chi proprio in questa resa dei conti ha [...]

[...]a « organica impotenza assiologica e criticovalutativa ». « Marx ha, nella sua ricerca positiva, scientifica, veramente solo civettato con le formule della dialettica* usandole come innocenti metafore per riassumere icasticamente, secondo l’immaginoso linguaggio intellettuale, colto, del tempo, i processi storici di cui ha scoperto le leggi scientifiche... La dialettica che solo interessa Marx e il marxismo autentico è la dialettica determinata, cioè coincidente con la legge scientifica » 2.

La mistificazione della dialettica hegeliana è essa la conclusione complessiva di tutto l’idealismo, di tutta la filosofia speculativa. Hegel non

1 M. S., pp. 2401.

2 Galvano Della Volpe, Marx e lo Stato moderno rappresentativo, Bologna, 1947, p. 12.Mario Tronti

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ha bisogno di essere concluso; Hegel è già la conclusione. È proprio la conclusione che Marx rifiuta. E allora non si può dire che la filosofia della prassi ha incorporato in sé alcuni valori « strumentali » dello stesso metodo speculativo (ad es. la dialettica) \ Perché l[...]

[...]el reale, del sensibile

1 M. S., p. 201.

2 Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo, Milano, 1949, voi. I, p. 99.314

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non più soltanto sotto la forma di oggetto e di intuizione, ma come attività sensibile umana, come attività pratica. Il che vuol dire che da un Iato l’oggetto va concepito soggettivamente, per cui la conoscenza stessa diventa un atto di natura criticopratica; ma vuol dire anche l’inverso: cioè anche il soggetto va visto oggettivamente, cioè il soggetto diventa una parte dell’oggetto, è già esso un oggetto; e cosi anche la pratica intanto è un’attività pratica in quanto si presenta con una concreta realtà, una corposa oggettività. E infatti Marx aggiunge: « Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva ». Cioè qui tanto poco assistiamo ad una sparizione della materialità o corporeità dell’oggetto che perfino il soggetto tradizionale viene coinvolto in una oggettività, unitaria e distinta nel medesimo tempo.

Ma è problema questo di cosi grande importanza e di cosi profonda difficoltà, da richiedere un ben diverso approfondimento, che non siano queste facili frasi1.

Nell’ambito di questo problema dobbiamo riconoscere a Gramsci un grande merito: quello di aver afferrato un punto fondamentale che non è facile oggi ritrovare nella produzione dei pensatori marxisti : quel concetto di una socialità[...]

[...]non ci sarà che una scienza... Realtà sociale della natura e scienza naturale umana, o scienza naturale dell’uomo, sono espressioni identiche» 2.

Gramsci parte dal presupposto che gli uomini prendono coscienza dei conflitti oggettivi sul terreno delle ideologie; e assegna a questa affermazione un valore gnoseologico, prima ancora che psicologico e mo
1 Per l’approfondimento di questo e di altri problemi, c’è da vedere ora l’Introduzione di Lucio COLLETTI alla traduzione italiana dei Quaderni filosofici di Lenin.

2 Marx, Manoscritti del ’44, in: Opere filosofiche giovanili, Roma, 1950,

p. 266.Mario Tronti

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rale1. Se questo vale per ogni conoscenza consapevole, occorre elaborare un nuovo concetto di « monismo » che significhi « identità dei contrari nell’atto storico concreto, cioè attività umana (storiaspirito) in concreto, connessa indissolubilmente ad una certa materia organizzata (storicizzata), alla natura trasformata dall uomo » 2. E l’uomo diventa cosi « un blocco storico di elementi puramente'individuali e soggettivi e di elementi di massa e oggettivi o materiali coi quali l’individuo è in rapporto attivo » 3. Di qui tutta la fecondità di quel concetto gramsciano di « blocco storico », inteso come un’unità organica in cui « le forze materiali sono il contenuto e le ideologie la forma », cosicché le forze materiali non sono concepibili senza le ideologie, cosi c[...]

[...]di « materialismo storico », egli dice che occorre posare « l’accento sul secondo termine 66 storico ” e non sul primo di origine metafisica » \ « 64Oggettivo” significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva, quella realtà che è accertata da tutti gli uomini, che è indipendente da ogni punto di vista che sia meramente particolare o di gruppo » 2.

Quindi « oggettivo significa sempre 44 umanamente oggettivo ”, ciò che può corrispondere esattamente a 44 storicamente soggettivo ”, cioè oggettivo significherebbe 44 universale soggettivo ” » 3. «Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l’oggettività è un divenire ecc. » 4. Dunque l’elemento primo è il divenire, è l’attività criticopratica dell’uomo nel mondo; il centro unitario in cui si sintetizza la contraddizione dialettica tra l’uomo e il mondo, tra l’uomo e la natura, è la prassi, « cioè il rapporto tra la volontà umana (superstruttura) e la struttura economica » 5.

Loggettività tende a sfumare in una intersoggettiv[...]

[...]significherebbe 44 universale soggettivo ” » 3. «Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l’oggettività è un divenire ecc. » 4. Dunque l’elemento primo è il divenire, è l’attività criticopratica dell’uomo nel mondo; il centro unitario in cui si sintetizza la contraddizione dialettica tra l’uomo e il mondo, tra l’uomo e la natura, è la prassi, « cioè il rapporto tra la volontà umana (superstruttura) e la struttura economica » 5.

Loggettività tende a sfumare in una intersoggettività, coesa appunto internamente dall’elemento della praxis sociale: e la prassi tende a diventare la realtà primaria, assolvendo a quella funzione a cui assolve l’elemento della sensazione neirempiriocriticismo di Mach e Avenarius.

Ebbene questa imprecisione nella problematica schiettamente materialistica del marxismo, dobbiamo vederla come una diretta conseguenza della sopravvalutazione che nell’opera di Gramsci troviamo dell’origine

mento fondamentale: [...]

[...]fia hegeliana; se non si è analizzata e smontata dall’interno l’unica metafisica che Marx temeva, e che era la metafisica dell’idealismo, culminata, coronata e conclusa nel pensiero di Hegel.

Grossi equivoci possono sorgere intorno a questo aspetto della problematica gramsciana. Prendiamo la teoria delle sovrastrutture. « Il materialismo sporico... — dice Gramsci — nella teoria delle superstrutture pone in linguaggio realistico e storicistico ciò che la filosofia tradizionale esprimeva in forma speculativa » 1; « la concezione 66 soggettivistica ”... può trovare il suo inveramento e la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle superstrutture » 2. Che mi pare si possa capire in questo modo : per salvare la concezione soggettivistica occorre darle un’interpretazione storicistica; e questa si ha con la teoria delle sovrastrutture. In questo senso Videa hegeliana diventa l'ideologia; cioè l’idea hegeliana cambia di posto, viene trasferita nella sovrastruttura, viene immersa in un divenire storico, viene storicizzata; o [...]

[...]sofia tradizionale esprimeva in forma speculativa » 1; « la concezione 66 soggettivistica ”... può trovare il suo inveramento e la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle superstrutture » 2. Che mi pare si possa capire in questo modo : per salvare la concezione soggettivistica occorre darle un’interpretazione storicistica; e questa si ha con la teoria delle sovrastrutture. In questo senso Videa hegeliana diventa l'ideologia; cioè l’idea hegeliana cambia di posto, viene trasferita nella sovrastruttura, viene immersa in un divenire storico, viene storicizzata; o meglio viene risolta sia nelle strutture sia nelle sovrastrutture, in quanto entrambe si presentano come parvenze di un concreto divenire storico. Dunque Videa, nella sua natura, nella struttura del suo movimento, rimane identica: è l’idea hegeliana, che, solamente, viene storicizzata. Il marxismo risulta cosi come la interpretazione storicistica della concezione soggettivistica; come lo storicizzarsi dell’idealismo.

Non possiamo dire che Gramsci arrivi a qu[...]

[...]rapporto di « teoria e pratica ».

« Se il problema di identificare teoria e pratica si pone, si pone in

1 M. S., p. 139.

2 M. S., p. 141,318

I documenti del convegno

questo senso : di costruire su una determinata pratica una teoria che, coincidendo e identificandosi con gli elementi decisivi della pratica stessa, acceleri il processo storico in atto, rendendo la pratica più omogenea, coerente, efficiente in tutti i suoi elementi, cioè potenziandola al massimo, oppure, data una certa posizione teorica, di organizzare l’elemento pratico indispensabile per la sua messa in opera» 1. Assurdo sarebbe dunque un parallelo tra Marx e Lenin, che volesse giungere ad una gerarchia. Essi « esprimono due fasi : scienzaazione che sono omogenee ed eterogenee nello stesso tempo ». Cosi come sarebbe assurdo un parallelo tra Cristo e san Paolo: CristoWeltanschauung e san Paoloorganizzatore; essi sono ambedue necessari nella stessa misura e però sono della stessa statura storica. Si potrebbe quindi parlare di cristianesimopaolinismo, cosi co[...]

[...]to non vuol dire che ci sia una identità immediata di scienzaazione, di teoriapratica. Permangono le due fasi, nella prima delle quali la pratica viene vista in funzione teorica, mentre nella seconda la teoria viene usata in funzione pratica. Ecco perché — dice Gramsci in una nota che credo ci interessi da vicino — « Ecco perché il problema dell’identità di teoria e pratica si pone specialmente in certi momenti storici cosi detti di transizione, cioè di più rapido movimento trasformativo, quando realmente le forze pratiche scatenate domandano di essere giustificate per essere più efficienti ed espansive, o si moltiplicano i programmi teorici che domandano anehessi di essere giustificati realisticamente in quanto dimostrano di essere assimilabili dai movimenti pratici che solo cosi diventano più pratici e più reali » 3.

È nota la battaglia che Gramsci conduce per rivendicare al marxismo roriginalità, l’autonomia, l'autosufficienza di cuna vera e propria Weltund

1 M. Sp. 38.

2 M. S., p. 76.

3 M. S., p. 39.Mario Tronti

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[...]

[...]o le sue forze intellettuali ad altri problemi, specialmente economici... » \ Una trattazione sistematica della filosofia della prassi « deve trattare tutta la parte generale filosofica, deve svolgere quindi coerentemente tutti i concetti generali di una metodologia della storia e della politica, e inoltre dell’arte, dell’economia, dell’etica e deve nel nesso generale trovare il posto per una teoria delle scienze naturali » 2. E infatti « ogni sociologia presuppone una filosofia, una concezione del mondo, di cui è un frammento subordinato » 3. La stessa dialettica, cioè il metodo, può essere esattamente concepito, solo se la filosofia della prassi è concepita come una filosofia integrale e originale che supera idealismo e materialismo tradizionali, esprimendo questo superamento proprio attraverso la nuova dialettica 4.

Vuol dire questo che dobbiamo accingerci ad una esposizione sistematica del marxismo? No: per Gramsci questo è possibile soltanto quando una determinata dottrina ha raggiunto la fase « classica » del suo sviluppo. Fino ad allora ogni tentativo di « manualizzarla » deve necessariamente fallire e la sua sistemazione logica risulta apparente [...]

[...]e di criteri pratici », ma per una intrinseca, immanente, logica necessità, intimamente legata alla sua interna natura; che una considerazione sistematica della dottrina non può che produrre un sistema dottrinario di formule fisse e di proporzioni definitive.

Per Gramsci ogni filosofia è una concezione del mondo, che si pone come critica e superamento della religione, che è a sua volta una concezione del mondo diventata norma di vita, entrata cioè nel senso comune, accettata come fede. La filosofia dunque coincide con il « buon senso » che si contrappone al « senso comune ». E la filosofia della prassi è allora la assoluta sistemazione storicistica del buon senso, che in quanto tale si emancipa dal senso comune di tutte le filosofie passate, e si pone quindi nei loro confronti come nuova filosofia che tende a identificarsi con la storia, che si identifica a sua volta con la politica. Una filosofia integrale della storia, intesa come politica, che possa porsi finalmente come il « buon senso » della storia: ecco, in fondo, lo storicismo[...]

[...]nel concepire la propria filosofia soltanto come scienza, come « concezione specifica di un oggetto specifico » ; la sua autonomia consiste nel concepire il proprio metodo d’indagine autonomo, in generale da tutta la vecchia filosofia speculativa, <e in particolare dalla filosofia speculativa hegeliana che aveva concluso e inverato tutta la vecchia filosofia, in virtù di quel suo « logico » procedimento che ripeteva « l’oggettivo » procedimento, cioè il concreto metodo storico, economico, politico, giuridico della formazione economicosociale capitalistica, della società borghese moderna.

Queste sono soltanto alcune delle questioni che mi sembrava importante di trattare, e che occorreva trattare, mi rendo conto, con ben più serio approfondimento. Comunque è bene presentare tutte le considerazioni qui fatte, come un’interpretazione tendenziosa del pensiero teorico di Gramsci. Un’interpretazione che non vuole essere un’esercitazione accademica sul corpo morto di una dottrina già consegnata al mondo chiuso dei « classici » ; che vuole ten[...]



da Appunti-Mostre. t.m.[in sommario a. l. s.] [appunti di], Gli ottocentisti italiani a New York nel 1949 in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...]ond no. Il fatto è che quando i valori originali si veggono d il critico trova difficilmente stimolo che lo ecciti a disti e sceverare più minutamente. Qui, in patria, è cosa l che ci si provi ad assottigliare il giudizio tra Abbati e rini, tra Sernesi e Borrani, tra Fattori e Cannicci. M stinzione avrebbe dovuto essere chiara in partenza nella m degli ordinatori della mostra, perchè un pubblico, av a valori più alti, potesse avvertirla subito. Ciò non er fatto, anche a giudicar dal catalogo e, pertanto, era p bile il fiasco. Come scriveva acremente Maccari, c anc vertendo l’ordine dei Fattori, il prodotto non cambia5. m



da Luigi Rodelli, Il Craxi-concordato. tre atti con i patti del 18 febbraio in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]e piace al governo.

Una volta i giornali socialisti pubblicavano le vignette di Scalarmi, che oggi appaiono datate, pur con le loro storiche verità. Ce n’è tuttavia una, « La piovra », che non ha perso nulla della sua attualità: il Vaticano viene rappresentato come una piovra che estende ovunque i suoi tentacoli. La vignetta è del 1924 e avrebbe bisogno di qualche aggiornamento ed aggiunta significativa (ior e dintorni).

Per un primo approccio al Concordato basterebbe dire alla gente cosi: il sistema concordatario risolve (o pretende di risolvere) a livello di vertici politicoburocratici, vaticani e italiani, tutta una serie di rapporti tra vita religiosa e vita civile che, in regime democratico, dovrebb’essere lasciata alPiniziativa dal basso, cioè dei singoli individui, credenti e non credenti.

Al contribuente italiano, cattolico o di altra credenza o non credente, piacerebbe forse sapere quanto costa il sistema concordatario italiano. A questa curiosità, legittima e pertinente al discorso sullo stato della finanza pubblica, una giornalista bene informata ha risposto così: « Un calcolo prudenziale e che considera soltanto i contributi al clero e alle istituzioni cattoliche porta a una cifra di circa 1.000 miliardi di lire Panno. Ma le cifre sarebbero assai più alte se si potessero calcolare i mancati introiti per esenzioni e facili[...]

[...] continuare nel lungo elenco. È una rete di canali che attraversa i capitoli di spesa di non pochi ministeri.

Tutto il sistema è sorretto da due componenti: da un lato, la delega che il cattolico viene abituato a dare al clero su qualsiasi questione che riguardi la religione, dalPaltro la volontà politica dei partiti di tener nascosto il sottobosco dei privilegi clericali e non clericali.IL CRAXICONCORDATO

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Nel capitolo 188 del bilancio di previsione 1983 del ministero dell’interno figurano stanziati per le congrue dei parroci e delle gerarchie ecclesiastiche 149 miliardi e 400 milioni, a cui si aggiunga un miliardo e mezzo destinato ai soli parroci di Roma: il triplo della spesa autorizzata nel 1977, di 50 miliardi in totale (« Il Mondo », cit., p. 38). I 149 miliardi (e rotti) sono già saliti per il 1984 a 271 miliardi (e rotti).

Privilegi, concessioni, sovvenzioni non promanano soltanto da determinate norme concordatarie, ma anche dalla legislazione parlamentare postconcordataria e, via via, sempre più negli ultimi dec[...]

[...]informativa » di quattro paginette che riassumono « i precedenti », dichiarano « costruttiva e soddisfacente » l’ultima bozza (non è chiaro se la sesta o una settima) stilata dalla commissione bilaterale, si impegna a riprendere e condurre perso216

LUIGI RODELLI

nalmente la fase finale del negoziato ed enuncia alcuni principi cui il documento (che rimarrà segreto) si ispirerà.

Non bisogna dimenticare che in quei giorni è in atto un braccio di ferro tra la Banca vaticana (ior) e le banche internazionali creditrici e che il governo italiano è disposto ad accontentarsi dell’esigua somma che lo ior vorrà concedere « a saldo » del debito verso il Banco Ambrosiano. Ma Craxi non farà del pagamento di questa somma (dovuta) una condizione per la firma del Concordato.

Atto secondo. Craxi si presenta dunque al Senato il 25 gennaio ’84 dichiarando di preferire un’esposizione descrittiva alla consegna della sesta bozza. Nessuno dubita ormai che della bozza definitiva non si sarebbe visto neppure un lembo. Craxi fa sapere infatti che il n[...]

[...]a della sesta bozza. Nessuno dubita ormai che della bozza definitiva non si sarebbe visto neppure un lembo. Craxi fa sapere infatti che il nuovo Concordato consisterà in una « cornice generale » di principi che regolano la reciproca sovranità e indipendenza dello Stato e della Chiesa cattolica nei rispettivi ordini, « individuando gli specifici fondamenti sui quali costruire il nuovo sistema di relazioni ». La « cornice generale » conterrebbe perciò « opportuni rinvii ad ulteriori intese tra le competenti autorità dello Stato e della Chiesa cattolica ». Questa nuova impostazione offrirebbe « minore rigidità »: segnerebbe, secondo Craxi, « l’inizio di una fase di nuovi accordi StatoChiesa che risolvano l’antico ruolo di definizione teorica dei confini nella più ampia dimensione della libertà religiosa, trasformando i cosiddetti patti di unione in nuovi patti di libertà e di cooperazione ».

Da queste parole il lettore non credente comincia a temere che gli estensori della « esposizione descrittiva » letta da Craxi in Parlamento apparten[...]

[...]zionali e dei principi dottrinali cattolici. In che cosa consisterà dunque la « più ampia libertà religiosa » se non in una varietà di privilegi e concessioni che accrescano, oltre i limiti costituzionali e quindi a danno delle altrui libertà (ad esempio, dei non credenti), la « dimensione » spaziale e temporale delle masse cattoliche? Nel linguaggio della Chiesa, la « persona » è il luogo dove risuonaIL CRAXICONCORDATO

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la « Parola », cioè la parola di Dio, interpretata dalla gerarchia ecclesiastica. Non è previsto che nelle « ulteriori intese » i diritti della « persona » debbano cedere di fronte ai diritti dell’individuo, cioè del cittadino che non si riconosca nella cattolica « persona ».

Inutile chiedersi se la cooperazione sarà dello Stato con la Chiesa o della Chiesa con lo Stato. I craxiani « patti di libertà e di cooperazione » non saranno soggetti all’approvazione del Parlamento, ma saranno riconducibili, come ha detto il « saggio » e « logico » Craxi, ai moduli convenzionali dell’ordinaria amministrazione (saranno stretti, cioè, di volta in volta, tra vescovi e ministri o sottoministri). Con baldanzosa ingenuità, Craxi ha affermato che in tal modo si supera la logica « privilegiata » del Concordato mussoliniano. Le vignette di Forattini colgono invece le somiglianze.

I vescovi diventano dunque interlocutori dell’interno dello Stato e acquistano di diritto un potere di contrattazione con le autorità dello Stato sia sul piano nazionale sia sul piano regionale e locale. Le materie sulle quali tratteranno gli « episcopati » sono state elencate da Craxi: festività religiose con validità civile, titoli accademici eccl[...]

[...]à scolastica infrange anche il principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge « senza distinzione di religione », sancito dalla Costituzione (art. 3) e si identifica con un censimento in materia di religione.

Il numero degli insegnanti di religione cattolica andrà al raddoppio o anche più: viene stabilito infatti che l’insegnamento religioso avverrà « senza differenza di sistema fra scuole materneelementari e medie superiori ». Ciò significa che lo Stato pagherà altri stipendi ad altre persone scelte dai vescovi e sottratte al controllo dello Stato. È noto che a tutt’oggi l’insegnamento della religione nelle scuole elementari è tra i compiti del maestro della classe.

A chi lamentava la mancanza nelle scuole secondarie superiori di un insegnamento di storia delle religioni fondato su una preparazione di livello universitario, Craxi ha risposto che questa giusta esigenza sarà soddisfatta. Vi hanno già pensato, a modo loro, gli estensori cattolici delle « ulteriori intese », di due in particolare: quella sui titoli acca[...]

[...]in anticipo l’approvazione a scatola chiusa, considerando la revisione del Concordato un atto dovuto. Il Psi, che alla Costituente aveva votato contro l’art. 7, oggi si vanta di avere « laicizzato » i rapporti tra Stato e Chiesa.IL CRAXICONCORDATO

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Evidentemente, « laico » ha per i socialisti lo stesso significato che ha per il cattolicissimo Andreotti; « laico » nella Chiesa cattolica designa appunto colui che non appartiene al clero (cioè il popolo, non iniziato alle cose sacre e distinto dal sacerdote), ne accoglie i precetti e ne esegue gli ordini.

Su questa scena italopontificia Andreotti, Craxi e molti altri (intellettuali e no) si riconoscono e si riveriscono come « laici ». Vedremo il séguito.

Atto terzo. Fra Craxi e Casaroli si svolge in Vaticano il colloquio definito « preliminare ». I due partners « approfondiscono le linee d’insieme dell’accordo ». Il cattosocialista Acquaviva e mons. Silvestrini danno gli ultimi « colpi di lima »: in materia di insegnamento della religione si utilizzerà il termine « avvalersi[...]

[...]a questione delle sentenze di nullità dei matrimoni concordatari per cui l’ordinamento della Chiesa, che è « estraneo » a quello dello Stato, viene parificato a un ordinamento statuale straniero (Guerzoni, Melimi); sulla questione dell’assenza di controlli sulle operazioni bancarie, sulle esportazioni di capitali e sullo scavalcamento di barriere valutarie reso possibile dal Trattato del Laterano (Meliini, Minervini, G. Negri e altri); sull’aggancio al Concordato, in funzione fumogena dell’Intesa separatista con la Chiesa valdese metodista, tenuta nel cassetto fin dal 1978 (Zanone).

All’appuntamento delle ore 12 del 18 febbraio a Villa Madama, Craxi, dicono le cronache, è arrivato di buon umore e in buona forma. « Da socialista, positivo e pratico, senza badare ai millenni, si è liberato di un mattone sullo stomaco della Repubblica » (« Il Giornale nuovo », 19 febbraio). Affermazione azzardata. Qualche minuto prima della firma, il card. Ballestrero, presidente della Cei, consegna a Craxi un documento (« un bellissimo messaggio che v[...]

[...], presidente della Cei, consegna a Craxi un documento (« un bellissimo messaggio che va letto attentamente perché ha dei grossi contenuti di incoraggiamento, di apprezzamento, di prospettive », dice mons. Caporello, segretario della Cei). Il documento indica una serie di « aree significative di problemi nuovi e urgenti », tra i quali « la promozione della vita e della famiglia [aborto? divorzio?], l’educazione sanitaria [sessuale?] e i servizi sociosanitari e assistenziali», «la qualificazione dei mezzi della comunicazione sociale » e « la valorizzazione del territorio [?] e della sua cultura ». Su queste « aree » i vescovi si dicono pienamente disponibili « a ogni forma di leale e costruttivo confronto con le istituzioni civili220

LUIGI RODELLI

a tutti i livelli, anche valorizzando gli spazi opportunamente aperti per una qualificata espressione della loro conferenza nazionale ». Nello stesso tempo, il documento « ribadisce l'impegno, che per la Chiesa è irrinunciabile dovere, di vivere con fedeltà la propria missione di servizio [...]

[...]pazi opportunamente aperti per una qualificata espressione della loro conferenza nazionale ». Nello stesso tempo, il documento « ribadisce l'impegno, che per la Chiesa è irrinunciabile dovere, di vivere con fedeltà la propria missione di servizio del Vangelo e di autentica promozione umana ».

Il card. Ballestrero ha voluto chiarire che la « promozione delPuomo », che vediamo inserita nell’art. 1 del nuovo Concordato, dev’essere « autentica », cioè indirizzata verso Dio. La Conferenza episcopale italiana entra da protagonista, darà o negherà la sua garanzia di « autenticità » alle iniziative di cooperazione civile; nega il suo placet ad aborto e divorzio; è pronta a trasformare il « confronto » in un braccio di ferro. Poiché il contenzioso potrà aprirsi anche su « ulteriori materie » (art. 13), c’è da sperare che i cittadini imparino a difendere di persona gli interessi della società civile e propri.

Al momento di chiudere queste note ci giunge il testo integrale del nuovo Concordato e del Protocollo Addizionale. Come il lettore potrà constatare il testo conferma in gran parte, rafforza ed estende i privilegi assicurati alla Chiesa cattolica dal Concordato mussoliniano e dalla successiva legislazione italiana, fedele alla lettera e allo spirito del concordatario.

Viene intanto fatto sapere [...]

[...]oni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico; considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell’art. 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale; hanno riconosciuto l’opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali del Concordato lateranense:

1. Rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciscuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione delPuomo e il bene del Paese.

2. Libertà religiosa 1. La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la pien[...]

[...]ranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.

14. Soluzioni e problemi di applicazione Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata.

Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.

PROTOCOLLO ADDIZIONALE

Al momento della firma dell’Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense la Santa Sede e la Repubblica italiana, desiderose di assicurare con opportune precisazioni la migliore applicazione dei Patti lateranensi e delle convenute modificazioni e di evitare ogni difficoltà di interpretazione, dichiarano di comune intesa:

1. In relazione all’Art. 1 Si considera non più in vigore il principio originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano.[...]

[...]nata da norme particolari.

6. In relazione alVArt. 10 — La Repubblica italiana, nell’interpretazione del n. 3

che non innova l’art. 38 del Concordato dell’11 febbraio 1929 si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte Costituzionale relativa al medesimo articolo.

7. In relazione alVArt. 13 n. 1 Le Parti procederanno ad opportune consultazioni per l’attuazione, nel rispettivo ordine, delle disposizioni del presente Accordo.

Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.



da Andrea Binazzi, Raffaele Pettazzoni in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]1.

5 Italia religiosa, Bari 1952, p. 154.RAFFAELE PETTAZZONI

177

Il voler ricondurre scrive il De Martino nell’articolo citato questa storia all’antitesi fra religione dell’Uomo e religione dello Stato... il voler ricondurre la storia religiosa d’Italia a questa polarità, da ricercarsi nell’epoca dei Comuni, nel Rinascimento, nel Risorgimento e persino nella Resistenza, non ci sembra un pensiero ricco di energia storiografica, capace cioè di darci uno sviluppo unitario, ma piuttosto uno schema classificatorio a cui assegnare, non senza mortificarli, fatti disparatissimi per genesi, significato e funzione.

Era un duro attacco, ma ancor più drastico risultò il giudizio espresso dal De Martino su « Società » (xi, 1953, p. 231), dove l’opera del Pettazzoni veniva considerata priva di « legittimazione critica e metodologica ».

Dello stesso parere non si dimostrò invece Delio Cantimori in una lunga recensione pubblicata su « Belfagor » del settembre 1953, dove tracciava un profilo del Pettazzoni che riprenderà poi, più ampiam[...]

[...]sviluppo nella storia delle religioni. Recentemente ho avuto modo di far conoscere largamente le mie idee in proposito, avendo avuto Pincarico di scrivere Particolo « Monoteismo » e « Monolatria » per la più diffusa enciclopedia tedesca di scienze religiose, di cui ora si pubblica la seconda edizione. Che all’estero certi problemi trovino maggiore interesse che da noi è noto. Ma che proprio debbano restare inosservati in Italia non è giusto. Per ciò le mando Pestratto contenente il mio articolo con la speranza che « La Civiltà Moderna » possa farne cenno o, come spero, più che un semplice cenno, dal momento che il mio scritto si presta facilmente, cosi a me pare, a dar occasione e materia ad un articolo. A Lei non mancano collaboratori adatti...21

E fa i nomi di Banfi e di Santoli. Due anni dopo (20.vn.32), sollecita una recensione alla traduzione francese della seconda parte della Confessione dei peccati, Papera che stava diventando, tra quelle del Pettazzoni, e a ragione, la più nota fuori d’Italia. Nel 1934, in un post scriptum, ch[...]

[...]ra quelle del Pettazzoni, e a ragione, la più nota fuori d’Italia. Nel 1934, in un post scriptum, chiede al Codignola: « Quando uscirà la recensione di Salvatorelli sulla mia Confessione dei peccati nella "Civiltà moderna”? »22. Pettazzoni aveva ormai cinquantanni, da circa dieci era ordinario di storia delle religioni; nel 1925 aveva fondato « Studi e materiali di storia delle religioni », la rivista sua e della sua scuola romana. Sorprende, perciò, che uno studioso come lui, autore di una vasta produzione scientifica, sentisse il bisogno, non soltanto di sollecitare una recensione a una rivista cosa di per se stessa non particolarmente degna di nota ma di farlo lamentandosi dell’indifferenza che circondava i problemi storicoreligiosi in Italia. Il Codignola inviò gli scritti sul monoteismo e poi, Panno successivo, la traduzione

20 L'onniscienza di Dio, Torino 1955, p. x.

21 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Raffaele Pettazzoni a Ernesto Codignola. Lettera del 26.ii.1930.

22 Ivi. Lettera del 29.[...]

[...]i classici, con gli storici delle religioni, gli etnologi e gli antropologi stranieri25. Gli interlocutori del suo dialogare furono costantemente il Tylor, il Frazer, lo Schmidt, il LévyBruhl, il Lang, Max Miiller: le loro opere gli offrirono la materia fondamentale delle sue riflessioni sull’evoluzionismo, sul comparativismo, sulla scuola storicoculturale. A questi si aggiunsero più tardi van der Leeuw e Eliade. La ricerca empirica, la raccolta cioè dei documenti e delle testimonianze, gli forniva un prodotto che aveva bisogno di essere analizzato e interpretato, non piegato forzatamente a dimostrare una teoria precostituita. Anzi,

i concetti sono sempre in movimento, il pensiero si arrischia a muoversi con i fatti e perciò in modo non sempre lineare, tanto che, per esempio, non sembra che al Pettazzoni sia apparso strano risolvere il fatto religioso nella storia delle religioni e contemporaneamente mantenere il valore autonomo della religione con una conseguente scienza che sembra affiancarsi alla storia delle religioni.

23 A. Banfi, ree. a R. P., Monotheismus ecc., in « Civiltà moderna », n (1930), p. 401.

24 A. Banfi, ree. a R. P., Die Nationalreligion ecc., in « Civiltà moderna », in (1931), p. 806.

25 Va tenuto presente che già nel 1912 il Pettazzoni aveva sentito il bisogno di recarsi a Leida per [...]

[...]igioso. Non esiste una umanità archetipica, anteriore all’uomo storico »27).

Mi sembra che il Pettazzoni migliore si scopra tentando di seguirlo in alcune analisi attraverso le quali egli cerca di individuare le forme specifiche in cui una religione si connette con la civiltà alla quale appartiene e non dimenticando quel presupposto dal quale egli si fece sempre guidare

nella polemica con lo Schmidt come in quella con il van der Leeuw che cioè l’indagine sui diversi aspetti della vita religiosa di un popolo deve sempre preoccuparsi di organizzare i dati empirici perché essi possano dire

26 La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna 1921, p. vii.

27 Gli ultimi appunti, ora in Religione e società, cit., p. 125.RAFFAELE PETTAZZONI

185

qualcosa sulle concezioni che vi si riflettono e deve rinunciare a pensare che essi debbano essere piegati a supporto di teorie generali.

Significativo, da questo punto di vista, è il saggio sulla lapidazione, da considerarsi lavoro preparatorio della Confessione dei pe[...]

[...]mente sia stato oscurato o alterato il senso primitivo della lapidazione, quale invece si potrà cogliere soltanto risalendo alle fasi più arcaiche: quelle fasi in cui alla forma primitiva della società corrispondeva anche una religione primitiva, ed anche la lapidazione potè ben avervi un carattere religioso, ma secondo un tipo di religiosità prepoliteistico e direi quasi presacrificale... »28. Primitivamente la lapidazione non è soltanto sacrificio, ma anche catarsi, anzi, scopo del saggio è quello di dimostrare che essa « è tutta catarsi, cioè liberazione, allontanamento, religiosità negativa... ». Ne è un esempio quanto accadeva in tempi più lontani in Arcadia.

Era costume degli Arcadi che chi volontariamente avesse varcato il recinto inviolabile di Zeus Lykàios fosse lapidato, e chi inavvertitamente vi avesse messo piede fosse bandito... Costume, evidentemente, sacrale: legge sacrale, non legge morale: certo non quella legge per cui in Grecia si lapidarono traditori e parricidi e simili, e nemmeno quella onde altrove si lapidarono eretici e scomunicati; e tuttavia legge, e legge religiosa, per cui non l’entrare in un santuari[...]

[...]sarsi offre anche al materiale empirico, talvolta, la possibilità di diventare significativo. « Gli svolgimenti particolari », scrive infatti il Pettazzoni, « della confessione nelle singole religioni hanno dovuto in gran parte essere costruiti insieme con la teoria generale. Specialisti avrebbero potuto far meglio, ciascuno nel proprio campo. Ma non pochi aspetti, anche particolari, soltanto nella veduta d’insieme hanno potuto venire alla luce, ciò ch’è appunto l’ufficio e la ragion d’essere della * storia delle religioni ’ » (ivi, p. xi). La fecondità di questo punto di vista generale si verifica poi nella interpretazione delle testimonianze sulla confessione presso i popoli primitivi. Lo Schmidt piegava le testimonianze sulla confessione dei peccati alla sua tesi del monoteismo primordiale e si rifiutava perciò di pensare che presso i primitivi questa pratica avesse un carattere essenzialmente magico, fosse basata « su la magia della parola » (ivi, p. 60) e si ponesse in relazione con colpe di tipo prevalentemente sessuale. Il Pettazzoni procede in modo del tutto diverso. « Come c’è un peccato concepito ‘ magicamente ’, cosi c’è anche una confessione di tipo magico... È questo tipo di confessione che prevalentemente si trova rappresentato, insieme con la concezione magica del peccato, presso i primitivi... la confessione tende a conseguire un bene attraverso la eliminazione di un male... Ma anche qu[...]

[...]un bene attraverso la eliminazione di un male... Ma anche questa confessione dominata da motivi ‘ eudemonistici *, ignara della contrizione e del rimorso, ha tuttavia un suo carattere religioso in rapporto col carattere religioso del peccato pur magicamente concepito, ossia in rapporto col carattere religioso della magia in genere... » (ivi, p. 56). Siamo, come si vede, nel pieno di una ricerca molto complessa, nel corso della quale l’ambiente socioculturale fa da sfondo alla ricostruzione delle forme confessionali ed è presente quel tanto che basta a respingere l’omologazione di tutti i tipi di confessione secondo lo schema peccatopentimentoespiazione, dove il peccato sarebbe connotato esclusivamente in senso etico.

29 La confessione dei peccati, voi. i, Bologna 192936, p. ix.RAFFAELE PETTAZZONI

187

Quando scrive, nel 1945, il breve saggio su Monoteismo e « Urmonotheismus » dove riassume con precisione e con chiarezza in quali termini fosse venuta modificandosi Poriginaria impostazione del problema e individua il punto di svol[...]

[...]otta dall’applicazione, nel 1800, della linguistica allo studio della mitologia, approdava alla conclusione che tutti i popoli della famiglia indoeuropea possiedono un dio del cielo che assume la forma greca, quella indiana, ecc. Di fronte ad essa si eleva l’altrettanto suggestivo universalismo della comparazione estesa a tutti i popoli, indipendentemente dalla famiglia linguistica alla quale appartengono. « Fra queste due posizioni antitetiche, cioè fra il particolarismo della “mitologia comparata”, applicata soltanto a ciò che è linguisticamente comparabile e l’universalismo indiscriminato della comparazione antropologica, estesa a tutto ciò che è formalmente ed esteriormente comparabile, c’è posto per una terza via che, badando alle differenze non meno che alle somiglianze, eserciti la comparazione su tutto e soltanto ciò che è comparabile storicamente, perché appartiene a civiltà omogenee »33. Il Pettazzoni esprime in questi termini quella che chiama « rivalutazione storicistica del comparativismo » e precisa più analiticamente, tornando al motivo degli attributi: « L’attributo dell’onniscienza è una nota costante che accompagna l’idea di Dio nel suo svolgimento: non l’idea astratta di Dio in un teorico svolgimento uniforme (secondo lo schema evoluzionistico dei tre gradi, animismo, politeismo, monoteismo), bensì una particolare idea di dio, culturalmente condizionata nella sua formazione e storicamente diffe[...]

[...]ate categorie della religiosità » M. Perché il problema, alla fine, si riduce a questo, di vedere se e come è possibile mantenere contemporaneamente l’esigenza di ricostruire la genesi storicoculturale dei diversi aspetti della vita religiosa di un popolo o dei diversi attributi del divino e quella della comparazione tra le religioni e le culture. Il Pettazzoni lo risolve sottolineando il fatto che la religione è una forma della civiltà e che perciò la comparabilità non è fra le religioni, come se ci fosse una universale religiosità di cui ognuna sarebbe specificazione particolare, ma tra le civiltà. Dagli eventuali tratti comuni a queste, discende la comparabilità di quelle. La polemica verso il padre Schmidt acquista un respiro molto ampio proprio nel momento in cui si sostanzia di riferimenti precisi al materiale empirico raccolto. Nell’epoca più remota la civiltà umana ha attraversato, dice il Pettazzoni, la fase della caccia e aggiunge:

Il complesso del Signore degli animali è uno degli elementi caratteristici di questa primitiva[...]

[...]egli anni, in Italia e non soltanto in Italia di quello che potremmo chiamare il marxismo delle sovrastrutture con tutte le connesse banalizzazioni. Mentre il Pettazzoni dichiara di essersi fermato al « rapporto organico » religionestruttura economica della società, altri sono andati « molto più in là », fino a tentare, come George Thomson, « una interpretazione marxistica di tutta la storia greca con particolare riguardo alla religione ». « Con ciò s’introduce », commenta il Pettazzoni, « un pensiero diverso, e alla organica interdipendenza tra la religione e le altre forme della civiltà, compresa la forma economica, subentra il concetto sistematico di questa come valore fondamentale, e delle altre forme come ‘ soprastrutture ’... » (ivi, p. 17). Com’è chiaro, in queste considerazioni più che la polemica contro il Marx del l'ideologia tedesca, opera di certo non identificabile attraverso quei termini, c’è il rifiuto, sul piano generale, di una spiegazione dell’origine della religione e dell’origine delle classi sociali a partire dall’ec[...]

[...]nome, il Pettazzoni segnala che, per quanto riguarda il cominciamento, gli autori classici gli attribuiscono una posizione di costante precedenza nella liturgia, e che nel calendario « era sacra a Giano la prima festa dell’anno ». Com’è possibile, allora, ammettere che tutte queste « norme e consuetudini » possano essere « entrate nella tradizione religiosa, nel diritto sacro, nella prassi liturgica, semplicemente in virtù di un dato ideologico, cioè della concezione di Giano come dio di ogni cominciamento, ricavata ecc. ecc. »? È necessaria senz’altro qualche correzione. Intanto la « priorità temporale di Giano, difficilmente riconducibile ad un complesso spaziale puntualizzato nel ianus

35 Per l}iconografia di Giano, in « Studi Etruschi», xxiv (195556), p. 89.192

ANDREA BINAZZI

o nella ianua, ci appare in una luce nuova se riferita a Giano come Dio del tempo ». In alcune monete poi del m secolo a.C. la testa di Giano è sostituita da una ruota a raggi (simbolo solare), mentre sull’altra faccia compaiono simboli astrali, « per [...]

[...] un complesso spaziale puntualizzato nel ianus

35 Per l}iconografia di Giano, in « Studi Etruschi», xxiv (195556), p. 89.192

ANDREA BINAZZI

o nella ianua, ci appare in una luce nuova se riferita a Giano come Dio del tempo ». In alcune monete poi del m secolo a.C. la testa di Giano è sostituita da una ruota a raggi (simbolo solare), mentre sull’altra faccia compaiono simboli astrali, « per lo più la mezzaluna accompagnata da una stella, cioè dal pianeta Venere come stella della sera »36. Se poi a tutto questo si aggiunge che presso altre religioni gli esseri solari sono bicefali o tricefali e come tali vedenti davanti e di dietro, cioè da ogni parte, allora si capisce, secondo il Pettazzoni, come il bifrontismo e l’inizialità « risultano radicati nella originaria natura solare del dio, anziché dipendenti dal suo svolgimento secondario in dio della ianua » (ivi, p. 256).

Ma tutta YOnniscienza riporta anche in primo piano la questione del comparativismo e della scienza delle religioni. Il modo stesso in cui, con il consueto tono dimesso, il Pettazzoni riassume, nella prefazione al volume, il metodo del lavoro, mantiene aperto il problema e, con esso, la tensione (che è anche oscillazione) tra i momenti nei quali la religi[...]

[...]archeologica ’ », tuttavia « questo programmatico appello alla storia non garantisce, a quanto pare, la comparazione fenomenologica dal rischio di cadere in un morfologismo puramente estrinseco e formale, senza consistenza storiografica. E la ragione... la ragione vera, è che la fenomenologia riconosce bensì il valore strumentale della storia, ma idealmente tende a trascendere la storia erigendosi a scienza religiosa a sé, distinta dalla storia. Ciò che manca alla fenomenologia religiosa, ciò che essa esplicitamente ripudia, è l’idea di svolgimento »37. In antitesi a questa fuorviante interpretazione fenomenologica si collocherebbe quella storicistica che assume come centrale l’idea

36 L’onniscienza di Dio, cit., p. 250.

37 II metodo comparativo, ora in Religione e società, cit., p. 107.RAFFAELE PETTAZZONI

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di svolgimento, ma che approda a « una storiografia senza adeguata sensibilità religiosa ». Il Pettazzoni non ritiene che le due posizioni si escludano a vicenda, ma che possano rivelare la loro complementarità entro « una comparazione che, superando il momento [...]



da Massimo Mila, L'antico e il progresso nel carteggio tra Verdi e Boito in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: L’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO

Nel 1978 l’istituto di studi verdiani, allora diretto da Mario Medici, pubblicò i due volumi del Carteggio VerdiBoito, a cui si spera possa seguire un giorno la pubblicazione del Carteggio VerdiRicordi, assicurato all’istituto stesso dal tempestivo intervento dell’attuale direttore, Pierluigi Petrobelli. Ciò dovrebbe costituire l’avvio di quella edizione totale dell’epistolario verdiano che la cultura italiana deve a se stessa, edizione che si auspica avvenga così come indica la natura stessa del materiale, per blocchi di carteggi con singoli corrispondenti, assicurando la continuità logica e storica degli argomenti ed escludendo la pazzesca dispersione di un ordine cronologico assoluto, valido ovviamente solo per le frattaglie, cioè per i casi di lettere occasionali.

La pubblicazione del Carteggio VerdiBoito, a cura di Mario Medici e di Marcello Conati, fu resa possibile da una catena generosa d’atti di mecenatismo. Ci fu anzitutto la donazione delle lettere di Verdi a Boito, che quest’ultimo aveva piamente conservato e poi, morendo senza eredi diretti, affidato al proprio esecutore testamentario Luigi Albertini, ultimo direttore del « Corriere della Sera » prima del fascismo. Questi aveva sposato la seconda figlia di Giuseppe Giacosa, legato a Boito da lunga amicizia, e tra la giovane coppia e il vecchio poeta e mus[...]

[...]a che Giuseppe Verdi scrisse a Boito nel 1862 per accompagnare il regalo d’un orologio quale ringraziamento per la collaborazione occasionalmente prestata dal ventenne letterato nell 'Inno delle Nazioni, cantata per coro e orchestra che Verdi, così restio a lavori di circostanza, aveva stranamente accettato di scrivere per l’Esposizione Universale di Londra. Forse perché, sotto sotto, lo rimordeva la coscienza del tempo perduto in quel pasticciaccio, regalò a Boito un orologio: « Vi ricordi il mio nome, ed il valore del tempo ». Figurarsi se Boito non avrà scritto una bella lettera di ringraziamento! Ma non ci rimane: né Verdi né Giuseppina Strepponi potevano prevedere che quel giovanotto sarebbe diventato un giorno tanto importante. Ecco un caso tipico di lacuna sicura.

Tra questo preambolo ed il corpus vero e proprio del carteggio sta come un macigno l’episodio che per lunghi anni tese un velo d’incomprenl’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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sione, se non di ostilità, tra i due artisti. Un anno dopo la c[...]

[...] lacuna sicura.

Tra questo preambolo ed il corpus vero e proprio del carteggio sta come un macigno l’episodio che per lunghi anni tese un velo d’incomprenl’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

153

sione, se non di ostilità, tra i due artisti. Un anno dopo la casuale collaborazione di Verdi e Boito nell’inno delle Nazioni, Pii novembre 1863, si era rappresentato alla Scala I profughi fiamminghi, prima opera di Franco Faccio, 23 anni, esponente della « giovane scuola » lombarda. In un banchetto per celebrare il successo, contrastato, dell’opera, Arrigo Boito, giovane, scapigliato fautore di quello che allora si diceva l’avvenirismo, avrebbe improvvisato seduta stante la Ode saffica col bicchiere alla mano, dove si brinda « Alla salute dell’Arte italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / Dalla cerchia del vecchio e del cretino ». E si aggiungeva: « Forse già nacque chi sovra l’altare / Rizzerà Parte, verecondo e puro, / .Su quell’altar bruttato come un muro / Di lupanare ». Con riferimento al festeggiato Fa[...]

[...]igliato fautore di quello che allora si diceva l’avvenirismo, avrebbe improvvisato seduta stante la Ode saffica col bicchiere alla mano, dove si brinda « Alla salute dell’Arte italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / Dalla cerchia del vecchio e del cretino ». E si aggiungeva: « Forse già nacque chi sovra l’altare / Rizzerà Parte, verecondo e puro, / .Su quell’altar bruttato come un muro / Di lupanare ». Con riferimento al festeggiato Faccio, ma fors’anche con un segreto pensierino a se stesso e all’embrionale progetto del Mefistofele.

Purtroppo la cosa non si fermò 11, nell’allegria un po’ goliardica d’un banchetto fra giovani artisti. L’Ode venne pubblicata, il 22 novembre, nel « Museo di famiglia » dell’editore Treves. Verdi la lesse e incassò. In una lettera a Tito Ricordi commentò asciutto asciutto: « Se anch’io, tra gli altri, ho sporcato l’altare egli lo netti ed io sarò il primo a venire ad accendere un moccolo » (citato in: Giuseppe Verdi, Autobiografia dalle lettere, a cura di Carlo Graziosi [ma: Aldo Oberdorfer], Mi[...]

[...]abile? » (prefazione, pag. xxvi). E poi (mentre Ricordi assicurava: « Boito, sotto la di Lei direzione, farebbe bene, molto bene »): « Eccomi a voi pel Nerone. È inutile che io ripeta quanto io ami questo soggetto. È inutile altresì che aggiunga quanto mi sarebbe grato aver a collaborare un giovine poeta, di cui ho avuto anche ultimamente, in quest 'Amleto, occasione di ammirare il moltissimo talento » (si trattava del libretto per VAmleto di Faccio).

« Ma voi conoscete abbastanza bene le cose mie, ed i miei impegni... Non ho il coraggio di dire: facciamo, né oso rinunciare a così bel progetto. Ma ditemi, caro Giulio, non potremmo lasciare sospeso per qualche tempo questo affare, e riprenderlo più tardi? » (prefazione, pag. xxvixxvn).

Non se ne fece nulla, ma intanto il grande ostacolo era rimosso. Otto anni più tardi Ricordi torna alla carica col nuovo progetto di Otello, probabilmente mettendo sotto Boito con una certa brutalità d’uomo di affari, senza nemmeno essere ben sicuro che Verdi fosse d’accordo. Certo è che nell’estate 1[...]

[...]nulla, ma intanto il grande ostacolo era rimosso. Otto anni più tardi Ricordi torna alla carica col nuovo progetto di Otello, probabilmente mettendo sotto Boito con una certa brutalità d’uomo di affari, senza nemmeno essere ben sicuro che Verdi fosse d’accordo. Certo è che nell’estate 1879 Boito informava ripetutamente il Tornaghi, uomo di fiducia di Ricordi, dei rapidi progressi nella stesura del libretto. « Dirai a Giulio che sto fabricando il ciocolatte » (prefazione, pag. xxvn). E il 24 agosto: « Domani o posdomani affronterò i primi versi dell’ultimo Atto. Tutto sarà finito in tempo » (ibidem). E un mese più tardi: « Se io non consegno a Giulio questa settimana Desdemona strozzata temo ch’egli strozzi me » (prefazione, pag. xxvm).

Quando da questa parte fu sicuro del fatto suo, Ricordi chiese senz’altro a Verdi di poter venire a Sant’Agata in compagnia del poeta, per porre le basi dell’affare. Questa volta sì che Verdi si trincerò dietro un reticolato di precauzioni, di prudenza e di discrezione, e così facendo ci fornì, tra l’al[...]

[...]NTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO

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ottobre, considerando il fatto che Desdemona era ancora da strozzare il 21 settembre.

Sarà sempre gradita una vostra visita in compagnia d’un’amico, che ora sarebbe s’intende, Boito. Permettetemi però che su quest’argomento vi parli molto chiaro, e senza complimenti. Una sua visita m’impegnerebbe troppo ed io non voglio assolutamente impegnarmi. Come sia nato questo progetto del Cioccolatte Voi lo sapete... Pranzavate meco insieme ad alcuni amici. Si parlò d’Otello, di Sheaspeare [sic], di Boito. Il giorno seguente Faccio mi condusse Boito all’albergo. Tre giorni dopo Boito mi portò lo schizzo d’Otello, che lessi e trovai buono. Fatene, gli dissi, la poesia; sarà sempre buona per Voi, per me, per un’altro et. et...

Ora, venendo qui con Boito, io mi trovo obbligato necessariamente a leggere il libretto che Egli porterà finito.

Se trovo il libretto completamente buono io mi trovo in certo modo impegnato.

Se trovandolo buono, suggerisco delle modificazioni che Boito accetta, io mi trovo anche maggiormente impegnato.

Se poi, anche bellissimo, non mi piace, sarebbe troppo duro dirgli in faccia quest’opi[...]

[...]nto spinose sarò felicissimo di vedervi arrivare qui con Boito (prefazione, pag. xxvii).

Che la lettera sia da riportare a ottobre, piuttosto che a settembre, pare convalidarlo anche una lunga lettera di Ricordi a Verdi, il 5 settembre, che rispecchia uno stadio non ancora cosi avanzato delle trattative. Con molti salamelecchi l’editore indugia ancora a persuadere il maestro dei sentimenti di devozione che quei giovani scapestrati Boito e Faccio

nutrono per lui. « So, se la memoria non mi falla, che Boito ebbe qualche torto verso di lei; ma carattere nervoso, bizzarro, scommetto che non seppe di commetterlo, o non trovò mai modo di rimediarvi ». Adesso, assicura Ricordi, è tutto diverso: « Nei frequenti nostri ritrovi Boito parlò sempre di Verdi con venerazione ed entusiasmo; se altrimenti, non mi sarebbe amico ». Non solo, ma quando vengono i due compagnoni, Boito e Faccio, nel suo ufficio dove campeggia un grande ritratto di Verdi, lo sogguardano esclamando: « Ma e quello li, proprio non scriverà più? » (prefazione, pag. xxvm).

Le fatiche, un poco untuose, di Ricordi andarono a buon porto:156

MASSIMO MILA

Questa camicia di Nesso dell’editore mi mette sempre in una ambigua posizione!!... poiché per un sentimento di delicatezza temo sempre ch’Ella possa credere che sia Vaffarista che parla!!... e ciò mi ripugna. Certo sarebbe soverchia ingenuità il dirle che un’opera di Verdi non sia una vera fortuna materialmente parlando!!... ma questa idea è cento volte sorpassata e per così dire oscurata dalla immensa indicibile emozione che mi dà il pensiero di un lavoro che renderà sempre più glorioso, s’è possibile, il di lei nome, e farà risplendere di nuova luce quella carissima Arte italiana (ibidem).

Verdi conosceva bene i suoi polli, ossia i suoi editori, italiani e francesi, ed era l’ultima persona a lasciarsi abbagliare da simili sparate, ma questa volta abbassò prudentemente qualcuna del[...]

[...]re più glorioso, s’è possibile, il di lei nome, e farà risplendere di nuova luce quella carissima Arte italiana (ibidem).

Verdi conosceva bene i suoi polli, ossia i suoi editori, italiani e francesi, ed era l’ultima persona a lasciarsi abbagliare da simili sparate, ma questa volta abbassò prudentemente qualcuna delle sue barriere difensive. Il 10 novembre 1879 accusava pacatamente ricevuta del libretto a Ricordi. « Ricevo in questo momento il ciocolatte. Lo leggerò stasera, perché ora ho la testa imbrogliata d’affari » (prefazione, pag. xxix).

Poi si chiuse nel mistero di un lungo silenzio, almeno allo stato attuale dei documenti. Passano nove mesi di qui alla prima lettera del nostro Carteggio, che reca la data del 15 agosto 1880. Ricordi friggeva. Il 24 luglio scriveva a Boito: « È necessario svegliare un poco il nostro Verdi! (...) Io ho il presentimento che Verdi abbia messo un po’ a dormire il moro! » (prefazione, pag. xxx).

Una lettera di Giuseppina Verdi Strepponi a Ricordi, volta a ritardare la decisiva visita di Boito, [...]

[...]zione, durante la quale il carteggio ovviamente si dirada, dalla fine d’agosto 1881 fino alla drammatica, ma benefica crisi dell’aprile 1884, quando Boito, a Napoli, anche qui in un banchetto d’artisti, s’era forse lasciato scappare qualche parola imprudente, oppure era stato frainteso dal corrispondente del giornale « Roma », che gli attribuì il rammarico di non poter musicare lui stesso il Jago. Verdi, venutone a conoscenza, incaricò Franco Faccio di dire a Boito « che io, senz’ombra di risentimento, senza rancore di sorta gli rendo intatto il suo manoscritto. Più ancora, essendo quel libretto di mia proprietà, glielo offro in dono qualora egli intenda musicarlo » (note alla Lettera 46).

La lunga e un po’ contorta lettera di scuse che Boito gli rivolse è documento commovente della sua devozione. Assicura il maestro d’avere scritto questo libretto « solo per la gioja di vederlo riprendere la penna per causa mia, per la gloria di esserle compagno di lavoro per l’ambizione di sentire il mio nome accoppiato al suo ». Quasi antiveggendo [...]

[...]tri, che vorrebbero attribuire all’influenza di Boito un’azione indebita, e non interamente propizia, sulla natura artistica del maestro, sulla sua spontaneità, Boito precisa: « Se io ho saputo intuire la potente musicalità della tragedia Schakespeariana [sic], che prima non sentivo, e se l’ho potuta dimostrare nei fatti nel mio libretto gli è perché mi son messo nel punto di vista dell’arte Verdiana, gli è perché ho sentito scrivendo quei versi ciò ch’ella avrebbe sentito illustrandoli con quell’altro linguaggio mille volte più intimo e più possente, il suono ». Per convincere Verdi con la sua appassionata protesta Boito non esita a rilasciare una commovente confessione della propria impotenza creativa.158

MASSIMO MILA

Maestro, ciò che Lei non può sospettare è l’ironia che per me pareva contenuta in quell’offerta senza sua colpa. Veda: già da sette od otto anni forse lavoro al Nerone (metta il forse dove vuol Lei, attaccato alla parola anni o alla parola lavoro) vivo sotto quell’incubo; nei giorni che non lavoro passo le giornate a darmi del pigro, nei giorni che lavoro mi dò dell’asino e così scorre la vita e continuo a campare, lentamente asfisiato [sic] da un Ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) e ne sono terribilmente innamorato e nessun altro [...]

[...]n quell’offerta senza sua colpa. Veda: già da sette od otto anni forse lavoro al Nerone (metta il forse dove vuol Lei, attaccato alla parola anni o alla parola lavoro) vivo sotto quell’incubo; nei giorni che non lavoro passo le giornate a darmi del pigro, nei giorni che lavoro mi dò dell’asino e così scorre la vita e continuo a campare, lentamente asfisiato [sic] da un Ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) e ne sono terribilmente innamorato e nessun altro soggetto al mondo, neanche l’Otello di Schakespeare [sic], potrebbe distogliermi dal mio tema (...). Giudichi ora Lei se con questa ostinazione potevo accettare l’offerta sua. Ma per carità Lei non abbandoni l’Otello, non lo abbandoni, le è predestinato, lo faccia, aveva già incominciato a lavorare ed io ero già tutto confortato e speravo già di vederlo, in un giorno non lontano, finito.

Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquil[...]

[...]ndo, neanche l’Otello di Schakespeare [sic], potrebbe distogliermi dal mio tema (...). Giudichi ora Lei se con questa ostinazione potevo accettare l’offerta sua. Ma per carità Lei non abbandoni l’Otello, non lo abbandoni, le è predestinato, lo faccia, aveva già incominciato a lavorare ed io ero già tutto confortato e speravo già di vederlo, in un giorno non lontano, finito.

Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquilla e serena, ripigli la penna e mi scriva presto: Caro Boito fatemi il piacere di mutare questi versi ecc. ecc. ed io li muterò subito con gioja e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nella vita vera e reale dell’Arte io nel mondo delle allucinazioni (Lettera 46).

Verdi accettò le scuse, con una certa degnazione.

Lietissimo di questa nostra spiegazione, che era però meglio fosse avvenuta quando tornaste da Napoli. Ripeto anch’io le vostre parole, per ciò che riguarda Otello. Se n’è parlato troppo! Tro[...]

[...]sto: Caro Boito fatemi il piacere di mutare questi versi ecc. ecc. ed io li muterò subito con gioja e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nella vita vera e reale dell’Arte io nel mondo delle allucinazioni (Lettera 46).

Verdi accettò le scuse, con una certa degnazione.

Lietissimo di questa nostra spiegazione, che era però meglio fosse avvenuta quando tornaste da Napoli. Ripeto anch’io le vostre parole, per ciò che riguarda Otello. Se n’è parlato troppo! Troppo il tempo trascorso! Troppo i miei anni d’età! E troppo i miei anni di servizio1.!! Che il pubblico non abbia a dirmi troppo evidentemente ‘ Basta ’!

La conclusione si è che tutto questo ha sparso qualche cosa di freddo su quest’Otello, ed ha irrigidita la mano, che aveva cominciato a tracciare alcune batture (Lettera 47).

Era vero che, sebbene Boito gli mandasse subito per Jago « una specie di Credo scellerato (...) in un metro rotto e non simetrico » (Lettera 48), e Verdi lo ringraziasse a volta di corriere (« Bellissimo questo credo: [...]

[...] modo solo di finire meglio che colYOtello ed è quello di finire vittoriosamente col Falstaff (Lettera 121).

Ci vollero tre anni perché Verdi potesse scrivere, il 20 settembre 1892: « Ho consegnato a Tito il terzo atto di Falstaff » (Lettera 200). La composizione si era svolta abbastanza lentamente, con frequenti soste non dovute, questa volta, ad altre occupazioni, come per l'Otello, ma per vera e propria stanchezza senile. « In quanto al pancione Ahi ahi!!! Non ho fatto nulla!! » (Lettera 154). Oppure: «Ho lavorato poco ma qualche cosa ho fatto » (Lettera 156). « Il pancione non va avanti. Sono sconcertato e distratto » (Lettera 159). Di « quattro mesi perduti » si parla in una lettera di Boito a Verdi (Lettera 162 e n.) e in una di Verdi a Ricordi, e sono i mesi che vanno dal novembre 1890 al marzo 1891,l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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quando Verdi, tra l’altro, aveva dovuto accompagnare la moglie a Milano perché si sottoponesse alle cure del prof. Todeschini. L’8 settembre 1891 Boito scrive tutto allegro: « Ho sentito dire che il Falstaff è terminato. Evviva!! » (Lettera 180), e Verdi è costretto a smentire: «Non è vero che i[...]

[...] si suol dire, proprio nell’occhio del ciclone. Da alcuni decenni, ormai, e precisamente dal Paese del melodramma di Bruno Barilli in poi, è in corso un’operazione culturale (si fa per dire) volta ad esaltare le opere giovanili del Verdi più primitivo, barbarico e quarantottesco, e a diminuire il valore degli ultimi due capolavori, quasi fossero lava raffreddata, ceneri spente d’un fuoco ch’era divampato ai tempi delYErnani e del Trovatore; e perciò si fa strada la tendenza a additare nel colto e ricercatissimo Boito quasi il cattivo genìio di Verdi, la liaison dangereuse che ne avrebbe corrotto la solare spontaneità.

Mario Medici mette il dito sulla piaga quando afferma nella prefazione: « Si avverte quanto il proverbiale predominio dell’operista nei confronti dei suoi librettisti vada qui affievolendosi, fin quasi a sparire, se non a subire ». Queste ultime parole sono di troppo, e inaccettabili. Possiamo anche essere d’accordo sulla proposizione principale, specialmente per quanto riguarda il Falstaff, sebbene subito, fin dalla pri[...]

[...]1889: « Peccato che l’interesse (non è colpa vostra) non aumenti sino alla fine. Il punto culminante è al finale del Second’Atto (...). Temo anche che l’ultimo Atto, malgrado quel po’ di fantastico, riesca piccolo con tutti quei piccoli pezzi Canzoni Ariette et. et. » (Lettera 118). E così è rimasto, malgrado l’ingegnosa giustificazione di Boito che invocava il diverso regime teatrale di comico e tragico (« Nella commedia quando il nodo sta per sciogliersi l’interesse diminuisce sempre perché il fine è lieto», Lettera 119, scritta a Milano il giorno dopo di quella di Verdi da Montecatini!), e malgrado gli sforzi spesi dai due artisti per rimediare al difetto. L’occhio di lince di quell’infallibile uomo di teatro ch’era il vecchio Verdi aveva visto giusto.

Ma è vero che nel Falstaff sono meno frequenti i suoi interventi per chiedere correzioni e ritocchi. Genova, 17 marzo 1890: « Il primo Atto è finito senza nissun cambiamento nella poesia; tale e quale me l’avete dato Voi. Credo che lo stesso avverrà del second’Atto, a meno di qualche[...]

[...]on aveva mai avuto nessuna considerazione.

In una risposta del 18 ottobre Boito ha Paria d’accettare la « trovata » di Verdi. Ma, spiegava sottilmente, così facendo essi avrebbero distrutto « tutto il sinistro incanto creato da Schakspeare [sic] ». Nell’originale, « Otello è come un uomo che si aggira sotto un incubo e sotto la fatale e crescente dominazione di questo incùbo pensa, agisce, soffre e compie il suo tremendo delitto ». Bisogna perciò che « l’incùbo » permanga. Invece, diceva, « quell’attacco dei Turchi mi dà l’impressione come d’un pugno che rompe la finestra d’una camera dove due persone stavano per morire asfissiate. Quell’ambiente intimo di morte creato da Schakespeare [sic] è d’un tratto svanito. L’aria vitale ricircola nella nostra tragedia, e Otello e Desdemona sono salvi. Per fare che essi ripiglino la via della morte dobbiamo poi rinchiuderli da capo nella camera letale, ricostruire l’incubo, ricondurre pazientemente Jago sulle sue prede e non ci resta più che un atto solo per rifare tutta questa tragedia da capo [...]

[...]bretto. Da Shakespeare si accoglie la bellissima espressione dello stupore di Ludovico,l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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l’ambasciatore veneto: « La mente mia non osa / pensar ch’io vidi il vero », e poi, attraverso stadi successivi, si va « all’infuori di Shakespeare » facendo chiamare Cassio (che nella tragedia non ha ancora parte in questa scena, ma solo in un secondo tempo) e dando vita al « pezzo musicale », cioè al concertato della desolazione di Desdemona, della stupefazione di Ludovico, della pietà di Emilia, del dolore di Roderigo, innamorato nascosto, per la partenza di Desdemona, e dell’agitazione di Cassio. Tacciono Otello e Jago, ai quali resterà la fine dell’Atto, tutta inventata, quando la scena si sarà svuotata: furia e svenimento di Otello, bieco trionfo di Jago. « Ecco il Leone! ».

Il 2 dicembre 1880 Verdi applaudiva: « Ben trovato il Finale Terzo! Lo svenimento d’Otello mi piace più in questo Finale che nel posto dov’era prima ». Strano che aggiungesse: « Solo non trovo né sento il Pezzo d’insieme » (Lettera 5). Pure ci doveva già essere il concertato, cui Boito darà gli ultimi ritocchi dopo la parentesi del Boccanegra, mentre Verdi s’occupava a escogitare ingegnose soluzioni tipografiche per[...]

[...]h’era stato mandante del ratto di Amelia: «T’acqueta! il reo si spense / Pria di svelarlo (...) Pel cielo! / Uom possente tu se’! ». Siamo già all’altezza e allo stile di Otello.

Per contro Verdi boccia gentilmente, con molti elogi, un’idea abba166

MASSIMO MILA

stanza strampalata di Boito, quella d’un penultimo atto nella chiesa di S. Siro piena d’armati col Boccanegra alla testa, irruzione del Fiesco, zuffa, Boccanegra ferito a un braccio, Paolo che lo fascia con una benda avvelenata! « L’atto da Lei ideato nella chiesa di S. Siro è stupendo sotto ogni rapporto. Bello per novità bello per colore storico bello dal lato scenico musicale; ma mi impegnerebbe troppo, e non potrei sobbarcarmi a tanto lavoro » (Lettera 7). Forse Verdi rideva sotto i baffi nell’atto di ricusare questa complicata macchinazione, che faceva il paio con la sua idea di mettere un assalto dei Turchi nel terz’Atto di Otello.

Un’altra volta, da musicista a musicista, dà una piccola lezioncina al collega: « La pregherei di cambiarmi il verso o i versi del[...]

[...]La pregherei di cambiarmi il verso o i versi del Padre per evitare la parola aureola. Io non sono difficile per le parole, ma in un Cantabile quelleo... danno un suono nasale, gutturale antipatico » (Lettera 10).

Nel rifacimento del Boccanegra il comando delle operazioni è saldamente nelle mani di Verdi. Siamo tal quale nella vecchia situazione del rapporto con Piave: il compositore chiede qualcosa di preciso (« mi faccia tre o quattro versi sciolti chiari e netti », Lettera 17) e il poeta eseguisce, versificando le parole messe giù in prosa dal musicista e limando le frasi più volte, a richiesta. « Otto versi son troppi per Amelia (...). Per me vanno benissimo i primi quattro, ma Ella forse vorrà cambiare il secondo per la rima » (Lettera 22). La stesura del libretto è interamente governata e determinata dall’invenzione musicale. Nel Finale primo, scrive Verdi, « l’orchestra rugge, ma rugge piano. È necessario, però, che alla fine anche l’orchestra faccia sentire la sua formidabile voce (...). Avrei quindi bisogno di due versi, per f[...]

[...]trale, che va alla radice dei difetti da lui impietosamente segnalati nel vecchio libretto di Piave, con la lunga lettera dell’8 dicembre 1880: « Il nostro compito, Maestro mio, è arduo. Il dramma che ci occupa è storto, pare un tavolo che tentenna (...). Non trovo in questo dramma nessun carattere di quelli che vi fanno esclamare: è scolpito!L’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO

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Nessun fatto che sia realmente fatale cioè indispensabile e potente, generato dalla ineluttabilità tragica » (Lettera 6).

Ma d’altra parte per restare ancora un momento al duetto AmeliaBoccanegra da mantenere nel giardino dei Grimaldi fuori di Genova Boito sbagliava per comprensibili ragioni d’opportunità pratica. La natura di quel dialogo, e di conseguenza anche la musica che Verdi ci ha messo su, postula il raccoglimento d’una camera chiusa, e non si assisterà mai senza un certo imbarazzo a tutte quelle spiegazioni e rievocazioni e ricostruzioni d’un passato intimo e familiare, a cielo aperto.

Quando i due artisti riprendono[...]

[...] perché Lei possa farsi perdonare da S. S. il Credo di Jago » (Lettera 115). Salta fuori perfino (nota alla Lettera 117) la notizia sorprendente del progetto verdiano d’un poema sinfonico su La notte dell’innominato, ne parlò in un articolo su Manzoni e Verdi ne « La Lettura » nel giugno 1923, un misterioso X. Y., che asseriva di tenerne il racconto da Boito, con particolari circostanziati sulla trama sonoranarrativapsicologica del lavoro.

Perciò si capisce la prontezza con cui fu accolta da Verdi la proposta del Falstaff, sapientemente architettata da Ricordi con la complicità di Boito. « Facciamo addunque Falstaff! Non pensiamo pel momento agli ostacoli, all’età, alle malattie! Desidero anch’io di conservare il più profondo segreto (...): nissuno deve saperne nulla! (...). Intanto Voi, se vi sentite in lena, cominciate pure a scrivere » (Lettera 122).

Nessun dubbio che in quest’opera la presenza di Boito sia stata più autorevole e minore la partecipazione di Verdi alla stesura del libretto, vuoi che Boito si fosse ormai totalment[...]

[...]l Monologo di Falstaff: E bene l’interrogatorio a suon di legnate et... Ma dopo i matrimoni interrompono l’attenzione che dovrebbe essere tutta rivolta a Falstaff, e raffredda l’azione ». Ossia, il vecchio operista era ben persuaso che in un’opera si deve sempre battere il martello sul chiodo del protagonista.

All’idillio di Fenton e Nannetta e all’elogio della gioventù Boito invece ci teneva moltissimo. E, dopo un rispettoso esordio (« Tutto ciò ch’Ella pensa è buono») subito replicò (Lettera 125): «Ma i matrimoni ci vogliono, senza le nozze non c’è contentezza (...) e Fen. e Nan. devono sposarsi. Quel loro amore mi piace, serve a far più fresca e più solida170

MASSIMO MILA

tutta la commedia. Quell’amore la deve vivificar tutta e tanto e sempre per modo che vorrei quasi quasi eliminare il duetto dei due innamorati ».

O come mai voleva eliminare il duetto degli innamorati, se a questo amore dei giovani ci teneva tanto? Evidentemente perché avrebbe voluto farne una specie di basso continuo, anzi, ostinato, di tutto Vatto, e i[...]

[...]li dava il suo benestare. « Andate dal vostro Galantuomo di Sant’Agata. Di quello mi fido. È il solo dei vostri amici che non giudica, né in bene né in male, i fatti degli altri ». (Curioso che Boito, scrivendo alla Duse, le dava del tu, chiamandola con dolci nomignoli d’alcova, Bumba, Buscoletta, e lei invece gli dava, pudicamente dannunziana, del Voi. Quanto a Verdi e Boito, il musicista passò dal Lei al Voi dopo 24 lettere, in un rapido dispaccio del 7 febbraio 1881; Boito rimase sempre fermo al Lei, Ella, con tanto di maiuscole, e due volte sole, forse per un lapsus, firmò solamente Arrigo, senza il cognome.)L’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO

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È curioso sentire Verdi che, a opera quasi ultimata, s’informa da Boito se Falstaff vuole l’accento sulla prima sillaba o sulla seconda, e poco dopo rinnova la domanda per « Vindsor ». Le risposte di Boito (« Falstaff come tutti i nomi inglesi bisillabi è accentato sulla prima», Lettera 143; e: « Windsor. Cosi: Gàje comàri di Windsor è l’òra ecc... », Lettera 162)[...]

[...]lk ero sottile sottile » ecc. ecc. L’indole di questo verso porterebbe l’accento sulla sesta mentre la parola Norfolk va accentuata sulla prima sillaba come Windsor e Falstaff ecc.

Mi sono provato varie volte di correggere questo verso ma se aggiustavo l’accento guastavo il verso ed ho preferito fra i due mali falsare l’accento della parola.

Il gargantuesco personaggio era entrato come una realtà concreta nella vita dei due autori. « Il pancione è sulla strada che conduce alla pazzia », informava Verdi il 12 giugno 1891. «Vi sono dei giorni che non si muove, dorme ed è di cattivo umore; altre volte grida, corre salta, fà il diavolo a quattro... » (Lettera 173). E Boito di rimando: « Evviva! Lo lasci fare, lo lasci correre, romperà tutti i vetri e tutti i mobili della sua camera, poco importa, Lei ne comprerà degli altri, sfracellerà il pianoforte, poco importa, Lei ne comprerà un altro, vada tutto a soqquadro! ma la gran scena sarà fatta! Evviva! “Dài! Dài! Dài! Dài! / Che pandemonio!!”» (Lettera 174).

Sarebbe stato difficile im[...]

[...], dove

il Falstaff era stato rappresentato il 6 marzo 1894: « Fa piacere annunciare un vero successo del Falstaff senza il bis del Quand’ero paggio »! (Il Noseda firmava i suoi articoli con uno pseudonimo ch’era tutto un programma: Misovulgo.) « Cosa vogliono questi avveniristi, questi i... », insorse Verdi (Lettera 214).

E perché in un’opera comica non si potrà fare una cosa leggera e brillante? In che offende l’estetica quel piccolo squarcio? Lascio da parte il motivo musicale, ma è in situazione. Falstaff deriso per la grossa pancia dice quando ero paggio ero sottile... È scritto bene per la voce; è istromentato leggermente; lascia sentire tutte le parole non disturbate dai soliti contrappunti (mal educati) che interrompono il discorso principale: armonizzato correttamente... Che male c’è dumque [sic] s’è riuscito popolare?!!... E così si fa la critica! Poco male per me che ho finito, e poi io non ci bado come non vi ho badato mai: Ma è un male per i giovani che si possono facilmente trascinare a fare quello che non sentono di fare. Dif[...]

[...]i paesi manca di naturalezza e non è sincera.

Eppure non era sempre così passatista. Subito dopo la prima rappresentazione volle apportare due varianti, sulle quali informano esaurientemente le note alla Lettera 203. Una era nel concertato del il Atto, che Verdi volle accorciare di 10 battute, lasciando molto perplessi Ricordi, Mascheroni e Boito. Singolarissima la motivazione, in una lettera a Ricordi del 7 marzo 1893: « in scena quello squarcio è lungo, ed ha troppo l’aria d’un pezzo concertato ». Ossia, d’una forma chiusa, magari rossiniana. Ecco un caso in cui Verdi aveva imparato bene la lezione boitiana.l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

173

Difatti l’opera, andata in scena alla Scala il 9 febbraio, lasciò molti ascoltatori perplessi, anche se un mese dopo Boito si affannava ad assicurare il maestro del contrario. « I nostri buoni Milanesi sono diventati oramai tutti cittadini di Windsor e passano la loro vita all’albergo della Giarrettiera (...). Io non ricordo e credo che non si sia visto mai, un’opera la quale abbia saputo penetrare come questa nello spirito e nel sangue d’una popolazione » (Lettera 203).

In realtà, invece, Boito doveva rendersi conto ch’era penetrata ben poco e che s’era trattato d’un successo di stima, soprattutto di ammirazione per la tarda età del maestro. Di qui la s[...]


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Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Ciò, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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