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da Recensione di Giuseppe Grilli a Joaquim Molas, La literatura catalana d'avantguarda. 1916-1938 in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: 240

RECENSIONI

Joaquim Molas, La literatura catalana d’avantguarda. 19161938, selecció,

edició i estudi, Barcelona, Antoni Bosch, 1983, pp. 458.

L’avanguardia storica attraversa tutta la letteratura catalana del Novecento, ma non ne svela l’enigma, anzi l’accresce. È presente in tutte, o quasi tutte, le sfaccettature del movimento (futurismo, cubismo, dada, surrealismo, ecc.), ma nessuna delle grandi correnti internazionali adotta fino in fondo, omologa e si fa cassa di risonanza di un poeta catalano. Con i pittori accade, invece, esattamente l’opposto: Torres Garcia, Dalì, Miro, Renau, e poi i giovani del gruppo Dau al set, sono tra i massimi rappresentanti delle nuove tendenze. Al[...]

[...] nuove tendenze. Alcuni, come Dalì e Miro, espressero la caratteristica oscillazione, propria del secolo, tra affermazione parigina e mercato newyorkese. Altri, come Torres Garcia o Renau, scelsero il mercato parallelo, quello dell’ideologia, e una committenza pubblica o collettiva. Tuttavia nei movimenti d’avanguardia è impossibile separare il lavoro di scrittura da quello delle immagini visive, cosi come la produzione dal successo commerciale. Ciò ha reso l’avanguardia catalana il solo ridotto ancora inesplorato che possa offrire delle sorprese. Pretesa esplicita del volume di Joaquim Molas è appunto di attirare l’attenzione, e allo stesso tempo far luce, sull’ultimo segmento importante dell’avanguardia europea che restava in ombra. Il proposito è perfettamente raggiunto.

Il libro si divide in due parti. La prima ci offre uno studio sistematico dei movimenti di avanguardia catalana e una cronologia minuziosissima, ma dà anche tutte le informazioni sulle interferenze bi o multinazionali: Borges poeta avanguardista a Mallorca, Torres [...]

[...]ici e visivi, selezionati secondo il criterio esclusivo di appartenenza alla serie di lingua catalana. Questa impostazione selettiva, di impianto nazionale, impone anche il taglio cronologico, che va dal 1916 al 1938. Anche se le motivazioni non sono tutte esplicite, non è difficile capire quali siano i criteri adottati da Molas. La data terminale è del tutto esterna: indica la fine della guerra dei Tre anni (19361939) e l’anticipazione al 1938, cioè agli accordi di Monaco, è di ovvia necessità. Più ambigua è la data 1916. Alcuni indizi tenderebbero a identificarla con una predilezione dadaista da intendersi come interesse di dada per la Catalogna, e in particolare per Barcellona, e dei catalani per dada. Altri, più banalmente, fanno pensare che si registri, attorno al marchant Dalmau, una piccola concentrazione di esiliati e fuggiaschi dalle calamità della guerra; tra essi fu decisivo Picabia. Altri ancora tenderebbero a indicare, in coincidenza con la guerra, nella crisi di identità degli intellettuali (filotedeschi o filofrancesi?), i[...]

[...]residente Prat de la Riba, germanofilo notorio, passò a miglior vita. Ad ogni modo un rilassamento della militanza, noucentista o modernista, potrebbe essere anch’essa tra leRECENSIONI

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cause dell'insorgere, intorno al 1916, delle prime manifestazioni di cosmopolitismo letterario. (Sul contesto di quegli anni: G. Grilli, Realtà e avventura nella letteratura catalana del Novecento, « Belfagor », xxvn, 1972, pp. 121136).

Punto di incrocio di ragioni diverse, il ritardo con cui nasce l’avanguardia catalana determina la sua storia successiva: quel certo eclettismo un po’ dandy, un po’ provinciale di Junoy e Folguera; quel continuo impegnarsi, e poi svicolare, di Foix; quell’epigonismo così passatista di SànchezJuan; quel radicalismo troppo declamatorio dei surrealisti Dalì, Gasch, Montanyà e dei loro emuli di sinistra (Miravitlles) o di destra (DiazPlaja, Massoliver); ecc. Parimenti il prolungarsi negli anni Trenta dei movimenti, quando il futurismo salvatiano si converte in letteratura popolare, o addirittura in paraletteratura[...]

[...]lla cronologia proposta da Molas non credo che possano diminuire il vantaggio rappresentato da una definizione del quadro di riferimento. Questo alla fine risulta capiente e unitario insieme; è infatti capace di comprendere le manifestazioni più significative: dalla pubblicazione nel 1916 della prima rivista catalana d’avanguardia, il primo quaderno di Trogos di Junoy, fino a quella dell’ultimo libro relazionato con la sommossa surrealista, Imitació del foc di Bartolomeu RossellóPòrcel, proprio nel 1938.

Scontati i problemi di datazione, altri affascinanti fenomeni si presentano all’attenzione dello studioso della cultura contemporanea. I catalani, consapevoli dell’ambito ridotto e precario offerto dalla propria condizione nazionale, puntarono decisamente sull’avanguardia come un mezzo di comunicazione internazionale e antiprovinciale. Questa apertura, di cui fu instancabile mentore Dalmau, trovò però un limite invalicabile nell’azione di normalizzazione e di normativizzazione della lingua intrapresa, proprio negli anni iniziali del s[...]

[...]r » (p. 65). Si trattava di una reticenza direttamente legata alla condizione linguistica: c’è una frecciata polemica in uno dei manifesti di C. Salvador rivolto al gruppo de « L’Amic de les Arts », giornale su cui si davano appuntamento tutti i surrealisti catalani tra il 1926 e il 1930, in cui si fa sintomaticamente riferimento all’occitanismo come nota ideologica di fondo del gruppo stesso. E forse non è un caso che quello straordinario pasticcio linguistico e ideologico che è il Jusep Torres Campalans di Max Aub sia opera di un valenciano di adozione, scrittore di lingua spagnola ma apolide. Il suo romanzo, che è tra le poche cose di rilievo nate dall’esilio dei repubblicani spagnoli dopo il 1939, è infatti espostissimo nei confronti della tematica che stiamo trattando, solo che questa volta il paradosso è reale. Una biografia apocrifa di un pittorescrittore catalano amico di Picasso riproduce le ossessioni delle avanguardie storiche catalane a più di trent’anni di distanza, inseguendone le tracce sino nelle sue appendici sudamerican[...]

[...]mericane e populiste, in una242

RECENSIONI

forma della scrittura che ricorda la singolare identificazione linguistica del ciclo valenciano di Blasco Ibanez.

In realtà la preoccupazione per la lingua, una lingua che ha vissuto in pieno secolo xx la sua riforma classica, o neoclassica, sembra infatti che avrebbe dovuto bloccare ogni congrua manifestazione testuale di sovversione (cfr. al riguardo il saggio di J. V. Foix, Algunes consideracions sobre la literatura d’avantguarda, del 1925, riprodotto alle pp. 193198). Oppure provocare sensi di colpa e regressioni. In parte ciò accadde, anche se con eccezioni, alcune delle quali furono programmatiche e rumorose, come nel caso di Dall che si scatenò in trasgressioni adolescenziali: dagli errori d’ortografia più incredibili, alla denigrazione degli idoli del Parnaso catalano rinascente. Probabilmente proprio a questa condizione nazionale o provinciale della letteratura catalana, una condizione che Maragall all’inizio del secolo (1906) aveva sintetizzato nell’immagine del « crit de renaixen^a entre perills », è da ascrivere il mancato ingresso dei catalani nei gruppi organizzati internazionalmente, con la sola eccezion[...]

[...] meno sentito, alla simbologia di questo o quel movimento d’avanguardia, persino gli oppositori più accaniti, come il pittorescrittore Santiago Russinyol, modernista, localista e colorista. C’è una sua bella tavola parolibera, ad esempio, nel giornale satirico « L’Equella della Torratxa » del 13.4.1917 che si intitola Retrat futurista', in essa le parole, disposte secondo la tecnica calligrammatica, disegnano il volto di un uomorobot. È il fantoccio filo tedesco contro il quale si rivolge lo strale satiricogrottesco del poeta, del pittore e del polemista politico. D’altra parte, in termini generali, proprio il capitolo della poesia visiva per l’ampiezza dell’arco temporale occupato, il numero degli autori che ne sono stati suggestionati, l’ecumenismo delle tecniche impiegate, risulta quello che maggior consistenza dimostra. Può servire, a questo punto, ricordare la ricca tradizione metametrica catalana del barocco, espressione di autocompiacimenti, sterilità e accademicismo, ma anche di sensibilità e attenzione alle correnti letterarie d[...]

[...]1905 riprendeva il motivo del canto del beone di ascendenza goliardica e nel metro della tradizione catalana del grottesco, il quadrisillabo di Jacme Roig! in una disposizione tipografica a zig zag che riproduce l’incedere incerto dell’ubriaco. Analogamente è all’autore del primo saggio di critica militante novecentista, Joaquim Folguera (il suo Les noves valors de la poesia catalana è del 1919), che si devono esempi di poesia macchinista (Ambició), calligrammatica (Mùsics cecs al carrer), parolibere (VetUa de desembre plujós) e, infine, tavolecalligrammi (En avió) in una esperienza di sintesi che fu anche di Junoy e che, invece, non sedusse mai il più puro Salvat, fedele alle formule futuriste ortodosse della parolibera e della tavola parolibera.

Naturalmente la quantità della letteratura prodotta non è garanzia di qualità, essa è infatti semmai indicativa della provvisorietà, della superficialità e del provincialismo con cui vengono recepite le nuove mode. Ma ci sono almeno due poeti, due grandi poeti, che tra una prosa di Dall e [...]

[...]izione tra il notevole complesso testuale accumulato e la marginalità del ruolo internazionale rende l’avanguardia catalana particolarmente interessante per una comprensione non superficiale del fenomeno delle avanguardie storiche in Europa, della autoemarginazione in cui hanno sospinto tanta parte di sé, come della sopravvalutazione che hanno indotto. Conoscere l’avanguardia catalana, ora che ne abbiamo una sintesi precisa e globale, servirà perciò anche a capire aspetti ancora controversi nelle interpretazioni critiche dei singoli specialisti. In tal senso credo che Molas abbia fatto bene dalPastenersi dallo sciovinismo di piccolo gruppo rivendicando alla catalana uno spazio decisamente maggiore di quello che può ragionevolmente pretendere l’avanguardia spagnola e ispanoamericana, con l’eccezione ovviamente del Brasile. Cosi come mi pare giusto che insista sugli aspetti generali nel definire l’apporto specifico alla storia dell’avanguardia europea (pp. 1517 e 1921), tenendo in minor conto i dati singoli. Tra questi tuttavia meritano un cenno l’invenzione del termine futurismo da parte del maiorchino Gabriel Alomar nel 1904, invenzione ripresa qualche anno dopo da Marinetti; la sintesi futuristadadaMau[...]

[...]stioni e personalità centrali. Del resto, l’editoria è stata fin dall’inizio del secolo uno dei terreni su cui si sono mossi e scontrati notevoli tentativi di egemonia culturale. Scelte e tendenze, ideologie e mode hanno trovato nella carta stampata e nella sua diffusione un necessario momento di prova; mentre la figura dell’editore è venuta trasformandosi per l’esigenza di trovare un difficile equilibrio tra scelte culturali e necessità di bilancio.

Daniela Coli con questo libro è andata all’origine della nuova funzione dell’editoria. Certo, non è nuova l’attenzione per il rilievo culturale della casa barese, sottolineato in diverse circostanze da Russo, Garin, Gregory e oggetto di un recente libro di Claudia Patuzzi (Laterza, Napoli, Liguori, 1982) ispirato comunque più da intenti informativi che di indagine storica. Nuova è invece l’angolazione scelta dalla Coli per studiare il rapporto tra Croce e Laterza. L’aver basato lo studio sui materiali dell’archivio Laterza (con riscontri in quelli di Croce, Russo e De Ruggiero) ha permess[...]



da Recensione di Franco Martina a Daniela Coli, Croce, Laterza e la cultura europea in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]stioni e personalità centrali. Del resto, l’editoria è stata fin dall’inizio del secolo uno dei terreni su cui si sono mossi e scontrati notevoli tentativi di egemonia culturale. Scelte e tendenze, ideologie e mode hanno trovato nella carta stampata e nella sua diffusione un necessario momento di prova; mentre la figura dell’editore è venuta trasformandosi per l’esigenza di trovare un difficile equilibrio tra scelte culturali e necessità di bilancio.

Daniela Coli con questo libro è andata all’origine della nuova funzione dell’editoria. Certo, non è nuova l’attenzione per il rilievo culturale della casa barese, sottolineato in diverse circostanze da Russo, Garin, Gregory e oggetto di un recente libro di Claudia Patuzzi (Laterza, Napoli, Liguori, 1982) ispirato comunque più da intenti informativi che di indagine storica. Nuova è invece l’angolazione scelta dalla Coli per studiare il rapporto tra Croce e Laterza. L’aver basato lo studio sui materiali dell’archivio Laterza (con riscontri in quelli di Croce, Russo e De Ruggiero) ha permess[...]

[...]nto per sottolineare i condizionamenti esterni che limitavano i programmi di Croce e Laterza. Osservazioni giuste, ma insufficienti da sole a dar conto delle scelte che comunque venivano operate: perché un certo Meinecke o un certo Fueter? perché Freud e Dewey e nonRECENSIONI

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Mann o Russell? Emerge anche dai materiali dell’archivio Laterza la piena consapevolezza crociana d’essere parte integrante e non riflesso del dibattito europeo. Ciò che fa della diffusione in Italia di alcune grandi opere europee l’espressione non di un astratto spirito illuministico, ma un’articolazione delle posizioni crociane. Se per un verso le traduzioni furono lo strumento per una più ampia circolazione delle idee, per altro verso furono anche un importante momento di confronto e di sostegno della specifica prospettiva crociana. Lo ha mostrato bene la Coli rilevando il legame esistente tra alcune traduzioni e particolari aspetti del dibattito interno. È il caso, per fare un solo esempio, della traduzione del libro di Simmel su Schopenhauer und Niet[...]

[...]usso, reduce dalla Russia bolscevica, e alla quale doveva collaborare il « comunista » Ernesto Ragionieri (da questo punto di vista sono interessanti le Lettere di Benedetto Croce a Manlio Ciardo, Bologna, Li Causi Editore, 1983 1).

Il lavoro di Daniela Coli contribuisce a meglio conoscere un periodo decisivo della storia non solo intellettuale italiana, ma anche a delineare un’immagine di Croce, come anche altri epistolari mostrano, meno fiduciosa e ottimistica di quanto le grandi opere non lascino trasparire. Non negli ultimi anni della sua vita ma nel 1929, recensendo il libro del Frànkel che lo riguardava, osservò: « Si può essere, come sono io, rinserrato e stretto per ogni parte dai concetti e dalle argomentazioni che mi vietano di affermare altro che non sia il mondo della storia; e tuttavia sentirsi, come mi sento, sempre disposto ad indirizzare la vista ad altri segni che altri crede di poter additare e che rivelerebbero un altro mondo, un mondo al di sotto o al di sopra della storia e delPumanità. Le savant a Vesprit douteux[...]



da Osvaldo Bayer, Il cimitero dei generali prussiani in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]. Vicino all’ex campo di esercitazioni della guarnigione di Berlino che poi, con Hitler, diventò l’aeroporto di Tempelhof e che da circa quarantanni vede sventolare la bandiera degli Stati Uniti. Ogni mattina, dalla mia finestra, entra l’inno nordamericano trasmesso dagli altoparlanti. Ma il cimitero militare, il Garnisonfriedhof, è più lontano; è finito in un angolo isolato. Un cimitero dimenticato e scomodo. Anacronistico. Una testimonianza di ciò che fu. I tedeschi cercano di nasconderlo con vergogna. Non figura in nessuna guida turistica. È un villaggio senza vita, di morti. Ciò spiega perché la ex grande capitale europea abbia una ferita che non si rimargina, una ferita per tutta la vita. Quelli che hanno assistito alla sua sconfitta non vogliono vivere di ricordi. E i giovani si dividono, come sempre, fra quelli che vogliono vivere la loro vita e quelli che combattono per un mondo nuovo.

Mi trovo di fronte alla tomba della famiglia Triitzchler von Falkenstein. Un perfetto monumento all’oblio. Le pareti scrostate del tempietto, le neglette corone d’alloro di ferro. Gli operai del cimitero italiani, portoghesi con senso pratico lo hanno scelto come deposito di f[...]

[...]nos AiIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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res, mandarono un telegramma a Raquel Hartrige de Videla, moglie del generale Torge Rafael Videla, il 18 maggio 1976, chiedendo il suo aiuto in qualità di moglie del presidente. Raquel Hartrige de Videla respinse il telegramma. Questa fu la sua risposta. Respingere il messaggio disperato di due donne. Un tema degno di una tragedia greca sulPempietà).

La cappella è scura, con l’odore umido di ciò che si corrompe. La caducità viene fuori chiara quando si osserva il cortile delle cerimonie. Se n’è andato per sempre l’ultimo picchetto, quello che veniva a portare la morte con gli ottoni ed i rumori del rituale. Qui i generali stanno fra di loro. Uomini dal chepi, dal casco argentato, con nastri, decorazioni, medaglie pendenti. Uomini dalle grandi prebende e dalla grande sospettosità. Il maggior generai Paul von Schmidt scriveva nel 1904: « Dobbiamo continuare a sostenere gli ideali eterni del corpo ufficiali, ora più che mai, difronte al crescente incalzare del socialismo ». Sì, mai dall[...]

[...] di razza o di mentalità. Erano tutti associati nella funebre liturgia delle armi. Con una sola differenza: gli uni erano venditori, e gli altri compratori. Questi guadagnavano e quelli le facevano pagare ai loro popoli. Tutti insieme furono gli inventori dei « conflitti di frontiera », delle « provocazioni » e delle diverse teorie della cosiddetta « sicurezza nazionale ».

Il trionfo di Bismarck sulla Francia di Napoleone ih avrebbe avuto, perciò, funeste conseguenze per i paesi alleati dell’Europa, come per esempio l’Argentina. La tecnologia militare prussiana cominciò ad invadere i mercati dei nuovi paesi che si andavano liberando nel secolo xix. La sciagurata trinità di politica, militarismo e industria delle armi dell’epoca bismarckiana (l’autentica rivoluzione industriale bellica) impose a quei paesi il modello prussiano. « La Nazione in armi » ma non per contribuire alla soluzione dei problemi sociali, piuttosto per consolidare la « sicurezza interna », i privilegi di classe. Tutto è sicurezza: non solo l’industria, le materie prime, le rotte marittime, la rete fluviale e quella stradale, le frontiere interne ed esterne, il rifornimento della popolazio[...]

[...]auser cominciarono a trovarsi faccia a faccia sulle montagne, nei boschi e nelle selve e nei fiumi dell’America Latina.

Durante il Secondo Reich, quello di Bismarck, il Ministero degli Aìfari Esteri si convertì in un centro di contatti rapidi ed efficaci fra le forze armate e l’industria bellica. Il potere politico ed il potere militare, a servizio del capitale armamentista. L’affare fu straordinario. Quell’« aiuto allo sviluppo » militare lasciò orme indelebili nella vita dei sudamericani. Nel mio paese nacque il « nuovo esercito » che trionfò in cento battaglie in nome della patria e dei valori occidentali e cristiani. Tutte quelle battaglie le ha vinte contro il suo stesso popolo e le sue inquietudini.

La filosofia del maresciallo di campo prussiano conte Colmar von der Goltz è ancora presente nella classe militare argentina. Chi è questo « filosofo »? Egli presenta se stesso, a figura intera, nel libro Impressioni del mio viaggio in Argentina (Berlino 1911). Vi descrive la sua visita a quelle terre invitato, nel 1910 ai festeg[...]

[...]scolari hanno sfilato per le strade dando espressione — e vorrei proprio descriverla così al militarismo, che in Argentina è molto latente,IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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poiché nello straordinario progresso della repubblica nel campo materiale, non ha perso di vista la necessità di fomentare e rafforzare lo stile militare, quello guerresco (...). Voglio qui spendere due parole sull’educazione militare dei soldati argentini. Tutto ciò che costituisce marce e sfilate è assai apprezzato a Buenos Aires. Fra noi tedeschi si parla troppo della severità delPistruzione militare; ebbene, prima di parlare dovrebbero andare in Argentina a vedere come vengono istruiti i soldati e come vengono esercitati!

Il maresciallo europeo, che qui si è compiaciuto per la buona riuscita che gli hanno fatto i soldati argentini, si esalta addirittura di puro godimento, quando descrive come vengono repressi gli operai in Argentina:

Questo paese è amministrato da un governo molto pratico e di ordine. Sinceramente, mi ha fatto molto bene vedere [...]

[...]lla foce del Riachuelo, era ancorata una nave piuttosto grande che, a quanto mi riferirono con eloquenti sorrisi, si stava poco a poco popolando di una ciurma fatta di carne da presidio che la polizia andava arrestando qua e là. Mi facevano notare, inoltre, che, quando si riempiva, cominciava un viaggio turistico verso la Terra del Fuoco dove venivano sbarcati. E lf veramente potevano fare tutto il casino che volevano. Si è parlato molto di uno sciopero generale che avrebbe dovuto cominciare con delle irregolarità nelle numerose linee di tram elettrici, indispensabili mezzi di comunicazione in una città cosi estesa. Ma prima ancora che cominciasse, c’erano già i soldati appostati davanti e dietro ai veicoli, con il fucile carico e, dalle precedenti esperienze, si sapeva benissimo che quelle guardie non esitavano a premere il grilletto. Così che le agitazioni furono rimandate e fino ad oggi non sono state messe in pratica. Ma, forse, la misura più efficace messa in opera dal capo della polizia di Buenos Aires è stata, prima del giorno pre[...]

[...] ha una grande influenza sull’esercito ed ora vuole imporre il servizio militare. Complimenti ai cileni! Se dipendesse dagli stivali prussiani, tutto il mondo diventerebbe una grande caserma. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco; prima che sia possibile prussianizzare il Cile, quel modello militare cadrà a pezzi. In Germania si comincia a muovere qualcosa (24.3.1892).

Questi infaticabili lavoratori tedeschi realizzarono i primi studi sociologici sulla vita dei lavoratori argentini. Mentre il maresciallo von der Goltz si occupava di cavalli da corsa (« Se non fosse stato per le belle donne argentine, avrei perso il mio vecchio cuore dietro i cavalli »), i socialisti esiliati scrivevano sul lavoro delle donne e dei bambini a Buenos Aires:

La Fabbrica Argentina di Scarpe di corda dà lavoro a 510 operai, dei quali 460 sono donne e bambine. Il lavoro comincia alle 6 di mattina e dura fino alle 6 del pomeriggio, con un’interruzione di un’ora e mezza a mezzogiorno. Il lavoro viene fatto a cottimo lavoro a cottimo = lavoro criminal[...]

[...]da dà lavoro a 510 operai, dei quali 460 sono donne e bambine. Il lavoro comincia alle 6 di mattina e dura fino alle 6 del pomeriggio, con un’interruzione di un’ora e mezza a mezzogiorno. Il lavoro viene fatto a cottimo lavoro a cottimo = lavoro criminale —. Un lavoratore zelante può guadagnare « l’enorme » somma di 10 pesos di carta alla settimana, mentre le ragazze non più di 6 pesos. Si producono dodicimila paia di scarpe di corda al giorno. Cioè in Argentina non solo esistono grandi stabilimenti industriali, come in Europa, ma qui vi è, anche, il più grande sfruttamento del lavoro di donne e bambini (« Vorwàrts », 26.3.1892).

Durante tutta la permanenza in Argentina del maresciallo tedesco conte von der Goltz, il colonnello argentino José Felix Uriburu ne fu l’accompagnatore. Venti anni dopo, nel 1930, quel colonnello, ormai con i galloni di generale, realizzerà il primo « golpe » militare contro la democrazia argentina. Così il generale Uriburu ha vinto anche lui la sua guerra. Era un militare convinto che le guerre fossero util[...]

[...] un militare convinto che le guerre fossero utili all’umanità. Nel 1915, in un’analisi fatta a tavolino della guerra europea, scriveva: « Ci fa piaceIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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re dichiarare che all’interesse militare che risveglia in noi questa guerra, va aggiunta una profonda attrazione che deriva dalla grandezza della lotta e dall’eroismo di coloro che l’affrontano ». Ovviamente, il generale Uriburu morì nel suo letto.

Lascio la parte più solenne del cimitero ed entro in un limbo: le tombe dei soldati. Centinaia e centinaia di morti allineati, come in fila per una parata. Solo che stanno in orizzontale e non c’è musica. E non ci sono nemmeno uccellini gorgheggianti e pianti. Soli con una luce grigia che si riflette fra nubi senza forma. Le lapidi sono corrose dal tempo. Fra poco finiranno nell’anonimato. Solo con un certo sforzo si possono ricostruire dei nomi: Anton Mayer, 17 anni; Eberhard Schmit, 18 anni; Josef Kronhuber, 20 anni. Centinaia di lapidi, ma in nessuna frasi come «mai con la frivolezza della plebe [...]

[...]o sforzo si possono ricostruire dei nomi: Anton Mayer, 17 anni; Eberhard Schmit, 18 anni; Josef Kronhuber, 20 anni. Centinaia di lapidi, ma in nessuna frasi come «mai con la frivolezza della plebe » (la plebe è frivola ma è quella che viene mandata al fronte), o come «a te l’immortale corona dell’onore». È strano» d’inverno le tombe restano per mesi coperte dalla neve e al posto delle lapidi ci sono dei buchi naturali, come se un calore interno sciogliesse una

o due dita di quella neve. È solamente una differenza di temperatura o c’è qualcosa di più, una protesta calda come il sangue o un grido disperato per uscire da sotto terra? Da quella terra con cui furono ricoperti quando cominciavano appena a percepire i profumi, ad accarezzare la pelle dell’amore, a guardare il cielo e ad ascoltare la pioggia? Non ho mai avuto il coraggio di farlo, ma un giorno mi piacerebbe gridar loro: andiamocene! Lasciate i generali nel loro cimitero! Disertate una buona volta! Disertare, la parola del coraggio civile e della ribellione! Ormai siamo a magg[...]

[...]ania federale, 8 agosto 1980. Il Senato socialdemocratico di Brema riceve il comandante e gli ufficiali della nave da guerra argentina « Libertad ». (Nei cantieri di Brema vengono costruite le fregate per l’Argentina, un affare importante che deve essere curato con attenzione attraverso le relazioni pubbliche). Il giorno del ricevimento, un numeroso gruppo di studenti tedeschi si mette di fronte alla nave da guerra argentina ed inalbera uno striscione con una sola parola: mòrder. Ci sono 63 tedeschi « desaparecidos » in Argentina dal 1976. Nomi come Massera, Lambruschini, Astiz, Lombardo, Alberto Lorenzo Padilla (il comandante della « Libertad ») e posti come la Scuola Meccanica delle Forze Navali, la Base Navale di Mar del Piata, la Base Navale di Bahia Bianca sono ormai un triste simbolo in tutto il mondo. La reazione degli ufficiali e dei cadetti argentini contro la manifestazione silenziosa fu immediata: scesero dalla nave e aggredirono a suon di botte e di calci gli studenti tedeschi, dei quali la metà erano donne. Costoro non rispo[...]

[...]Aguila, visse a Neuquén, Argentina. Era pastore di pecore a cavallo, o come diciamo noi, pecoraio. Aveva i tratti dell’indio araucano. Manteneva, col suo lavoro, la mamma e il nonno materno. Appena compì 18 anni gli misero l’uniforme e in aprile del 1983 lo mandarono alle Georgine del Sud. Appena arrivato si beccò una pallottola. Lo seppellirono lì. Ecco la storia di un soldato argentino classe 63.

A cento metri da casa mia c’è un enorme edificio di mattoni rossi. È l’ex caserma della guardia dei corazzieri del Kaiser. Oggi c’è la polizia ed è il posto dove si consegnano le patenti per le automobili di Berlino. Su una parete c’è una targa che nessuno legge più: « Questa caserma ospitò il Reggimento della Guardia dei Corazzieri creato nel 1815. Da qui il reggimento partì per il fronte il 3 agosto 1914 con 37 ufficiali, 713 sottufficiali ed i corazzieri. Il 29 ottobre 1918 ritornò dalla sua ultima battaglia a Saint Fergeaux con 31 sottufficiali ed i corazzieri. L’ultimo ufficiale cadde quello stesso giorno nell’ultimo contrattacco ». Pe[...]

[...]erali prussiani sepolti qui si fecero saltare le cervella portando alle estreme conseguenze il loro macabro ruolo, in cui erano entrati a quattordici anni, quando fecero il loro ingresso in accademia. Sono stati coerenti. Non tutti, la maggior parte è morta nel suo letto sognando di vincere a tavolino la battaglia perduta. Il maresciallo conte von der Goltz descrivendo la battaglia di Gorze, scrive così: « Abbiamo perso molte vite. Ma per quanto ciò ci rattristi, dobbiamo sopportarlo perché la Patria lo esige. Un popolo che vuole essere grande e difendere il proprio onore, non deve avvilirsi per quelle perdite ». Il maresciallo von der Goltz morì nel suo letto, con tre medici al capezzale, a 73 anni. (La domanda più intelligente che ho inteso fare da un giornalista è quella rivolta da Oriana Fallaci al generale Galtieri: Lei è mai stato in guerra?)134

OSVALDO BAYER

Mi allontano dalla tomba dei soldati del 14. In primavera, dei rampicanti pieni di spine gli danno un aspetto da piante d’appartamento. Neppure il verde gli è stato ris[...]

[...]ribondi, / il selvaggio lamento delle loro bocche lacerate ».

Georg Trakl, il giovane poeta non potette resistere alla visione di quei corpi massacrati, dei suoi compagni morti nella battaglia di Grodek dove lui stesso porrà fine alla sua vita, li al fronte. I nostri generali delle Malvine continuano a fare colazione. Georg Trake scrive « Grodek » e si suicida.

« Tutte le strade finiscono in negra putredine... ». È la visione fantasmale di ciò che è aberrante. La barbara orgia in cui i popoli squartano le proprie frustrazioni, la loro morbosa relazione con il potere. E invece di affrontare i generali, invece di affrontare i Krupp, si mettono a distruggere dei poveri diavoli uguali a loro. Nello stesso momento in cui Jorge Aguila veniva colpito, a Kassel, Germania federale alleata dell’Inghilterra una delegazione di militari argentini si esercitava sul Leopard il. Un affare di milioni di dollari.

« Tutte le strade finiscono in negra putredine... ». I generali prussiani hanno perso la guerra del 14 ma hanno vinto la guerra contro[...]

[...] fatto fucilare gli operai ribelli di Thal, in Turingia), del generale Franz Ritter von Epp, Passassino di Kurt Eisner e di Gustav Landaures, i due socialisti libertari che volevano fare della Germania il paese della pace e dell’antiautoritarismo. La brigata « paramilitare » del generale von Epp costituita da militari, poliziotti e membri delle famiglie aristocratiche tedesche era famosa per la sua spietatezza sia nei riguardi degli operai in sciopero sia con gli studenti o gli intellettuali « sospetti ». Praticava solo due condanne: quella a morte quando il « rosso » non era recuperabile, e le bastonate quando si trattava solo di persone sospettate contro le quali non c’erano prove. Con Rosa Luxemburg applicarono tutte e due le pene contemporaneamente. Gli autori di questo atroce crimine che nonostante siano trascorsi più di sessantanni continua ad essere un incubo nella storia tedesca furono il capitano di vascello von PflugHartung e i tenenti Vogel e von Rittgen. Prima la colpirono. Ordinarono al soldato Otto Runge di colpirla col[...]

[...]tonate quando si trattava solo di persone sospettate contro le quali non c’erano prove. Con Rosa Luxemburg applicarono tutte e due le pene contemporaneamente. Gli autori di questo atroce crimine che nonostante siano trascorsi più di sessantanni continua ad essere un incubo nella storia tedesca furono il capitano di vascello von PflugHartung e i tenenti Vogel e von Rittgen. Prima la colpirono. Ordinarono al soldato Otto Runge di colpirla col calcio del fucile senza pietà. Il tenente Vogel la trascinava Rosa aveva 48 anni torcendole il braccio in modo che i colpi la cogliessero bene. Quando la trascinarono a spintoni in macchina era già semiinconsciente. Il soldato Runge riferirà ai giudici che « quando la ‘ portarono a fare una passeggiata’ il tenente Vogel le sparò un colpo in testa». Buttarono il cadavere nel canale Landwer. Quando i militari tornarono all’hotel Eden, che era la loro base, uno dei presenti disse: « ormai la vecchia porca sta nuotando ». Il tenente Ropke, scattando sugli attenti si presentò al capitano Weller e lo informò: « Il cadavere di Rosa Luxemburg è stato gettato in acqua, capitano ».

(Prot. n. 3358 Ro[...]

[...]o da un capitano. Costui gli disse più o meno che: Rosa Ana è (o era) agli arresti nella Base ma è stata uccisa dai suoi compagni in uno scontro l’8 marzo.IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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Insoddisfatto da questa risposta, il denunciante insistette nella sua azione legale e un mese più tardi ottenne un certificato di defunzione nel Registro Civile in cui si dice che Rosa Ana è deceduta per « arresto cardiaco, trauma cardiotoracico ». Cioè una causa contraddittoria e completamente diversa da quella addotta dal Comandante e che induce ad altre supposizioni. Il 31 marzo i suddetti ufficiali consegnarono un foglio senza firma che dice: « Cimitero del Parco, tomba 1133 Sezione Tombe Temporanee Settore B », comunicando che la vittima è sepolta in quel luogo. Il denunciante ha cercato di ottenere l’esumazione del cadavere per verificare l’esattezza di quanto riferito nei rapporti ufficiali, ma fin’ora senza risultato.

Durante quell’incontro i denuncianti reagirono con violenza, accusando gli ufficiali loro interlocutori di averl[...]

[...]ller si recherà sul canale per verificare l’esito dell’impresa condotta a termine contro la donna indifesa. Nel giudizio che ne segui, il capitano avrebbe ammesso: « Quando arrivai sul ponte vidi un fagotto scuro sull’acqua ». Il famoso giornalista tedesco Egon Erwin Kisch

che più tardi avrebbe dovuto andare in esilio — scrivendo la cronaca del giudizio, dirà: « Quell’oscuro fagotto era Rosa Luxemburg. La grande erudita, l’autrice di opere sociologiche, una eccellente stilista della lingua tedesca, una donna incredibilmente buona verso gli esseri umani e verso gli animali, e per tutta la vita impegnata a costruire un mondo migliore ». Rosa, colei che scrisse questa frase: « Libertà per i sostenitori del governo, i membri di un partito anche di maggioranza non è libertà. Libertà è sempre e solo la libertà di chi pensa in modo diverso».

Con gli anni si seppe tutto. I nomi dei militari assassini divennero pubblici. I componenti i gruppi paramilitari ebbero sorti diverse. Alcuni vennero assassinati dai loro stessi compagni d’arme, c[...]

[...]n compaiono nelle lapidi. Perfino i loro figli ne hanno vergogna. Tutte quelle uniformi, quelle fiaccolate, quei cordoni dorati ed argentati, quelle coccarde, i galloni e le spalline, la tattica e la strategia e le mappe, tutti quei chepi e quei baschi inclinati, quel parlare d’onore e di senso dell’onore, di episodi di valore, quell’arroganza e quell’orgoglio, tutta quella puntigliosità, tutta quella vanità ed eleganza per poi massacrare col calcio di un fucile una meravigliosa testa femminile o per far percorrere un’assurda via crucis ad una ragazza paralitica.

Entro nel recinto speciale del cimitero. Nonostante lo stato di abban140

OSVALDO BAYER

dono è evidente che qui giacciono gli ufficiali dell’aristocrazia. Un muro li separa da quelli non altrettanto elevati nel rango sociale.

Eduard von Know, ammiraglio, cavaliere dell’aquila nera

Maggiore Friedrich von Zeidlitz

Generale Arthur von Wentzky und Petersheyde

Generale Gynz barone von Wolff e sua moglie Melanie von Staff Reitzenstein baronessa von Wolff.

In questo caso la moglie porta il suo cognome. Dipende forse dai suoi antecedenti familiari la valida eccezione? Ernst von Salomon, sottotenente e membro delle brigate paramilitari, scriverà in questi termini sulle donne degli operai di Amburgo che n[...]

[...]rretti ed umili, ma con molta fermezza per ricordargli la promessa fatta. Il militare argentino montò virilmente in collera e, il 31 dicembre 1976, le rispose testualmente:

« Come ufficiale dell’Esercito Argentino non posso tollerare che Lei, Signora, nonostante la sua condizione di donna, che io rispetto, possa ricordare a me qual è il valore della parola data. A un ufficiale di un esercito che ha un concetto della stessa che va molto oltre ciò che taluni stranieri possono immaginare sul valore della parola data per un ufficiale dell’Esercito Argentino. Un esercito che ha sempre usato le sue armi per liberare i popoli. Che non si è mai valso della propria forza per soggiogarli o per commettere genocidi. Signora: non ho bisogno, come Generale [sic, con la maiuscola] della Nazione e come individuo civile o militare con un cognome onorevole ereditato dai miei genitori e che io cerco di lasciare ai miei figli altrettanto onorevolmente, le torno a ripetere, non ho bisogno che nessuno mi ricordi che ho impegnato la mia parola d’onore pe[...]

[...]ssari per la soluzione del caso, il mio Ministero emanerà l’opportuno decreto per consentire la partenza del dott. Bergalli per la Repubblica federale tedesca. Spero che il suddetto professore, nel suo lavoro e nelle lezioni universitarie, in Germania e sotto la sua tutela, a causa di alcuni preconcetti e per una certa formazione alquanto ideologizzata che indubbiamente gli appartiene, non semini nella mente di coloro che saranno suoi discepoli, cioè nella mente della gioventù tedesca, idee disgreganti che potrebbero attentare contro la costituzione stessa di una nazione democratica, il che significa attentare in poche142

OSVALDO BAYER

parole alla libertà dell’uomo, il bene più prezioso che Dio ha dato a noi mortali costretti ad attraversare tutte le vicissitudini di un mondo sempre più conflittivo. Dottoressa Kaufmann, il dottore Bergalli le potrà fornire artatamente la sua personalissima versione dei fatti che accadono nel mio paese. Non mi preoccupa né ci preoccupa quanto potrà dire fuori dalla verità. La verità è Tarma che i[...]

[...] Dottoressa Kaufmann, il dottore Bergalli le potrà fornire artatamente la sua personalissima versione dei fatti che accadono nel mio paese. Non mi preoccupa né ci preoccupa quanto potrà dire fuori dalla verità. La verità è Tarma che i popoli devono imbracciare per difendersi dai falsi profeti che, attraverso la predica della democrazia e del rispetto dei diritti umani, cercano di sovvertire e di cambiare i regimi al fine di, una volta realizzato ciò, annullare la libertà e non permettere la benché minima sopravvivenza di un qualsiasi diritto per i cittadini »).

Il cimitero comincia ormai a tingersi del colore dell’ombra. Assomiglia ad un immenso monumento all’aggressione e all’obbedienza, le due caratteristiche essenziali della vita militare, dell’educazione castrense. La ripetizione stentorea di frasi come « Si vis pacem para bellum », « La guerra è una continuazione della politica con altri mezzi », « La guerra è la madre di tutte le cose » e quelle del generale von Seeckt: « L’onore dell’ufficiale non consiste nel sapere meglio o n[...]

[...]irca ottocento metri da questo, dove sono sepolte le vittime dei bombardamenti di Berlino, dal 1943 al 1945. Li ci sono delle lapidi che coprono una madre con cinque figli, delle famiglie intere, dalla bisnonna al bisnipote. Aggressione e obbedienza. « La miglior difesa è l’attacco ». La totale identificazione con la volontà dell’autorità. Il generale è il Papa e il Papa è il generale. « Con questo onore imposto con la forza fa notare lo psicosociologo tedesco Josef Leifert la classe sociale dominante, utilizzando l’etica professionale tradizionale, possiede il mezzo migliore per una felice manipolazione degli ufficiali ». Lo slogan delle forze paramilitari hitleriane, le ss, era un’emozionalizzazione del principio militare dell’obbedienza: « Il mio onore è la fedeltà ». Obbedienza ed aggressione contro pacifismo e ribellione. Il pacifismo è la ribellione per eccellenza. La persona aggressiva ha come valore fondamentale l’obbedienza. Cioè, « la custodia dei valori eterni » nel mio paese argentino, i militari e la loro corte civile la [...]

[...]ominante, utilizzando l’etica professionale tradizionale, possiede il mezzo migliore per una felice manipolazione degli ufficiali ». Lo slogan delle forze paramilitari hitleriane, le ss, era un’emozionalizzazione del principio militare dell’obbedienza: « Il mio onore è la fedeltà ». Obbedienza ed aggressione contro pacifismo e ribellione. Il pacifismo è la ribellione per eccellenza. La persona aggressiva ha come valore fondamentale l’obbedienza. Cioè, « la custodia dei valori eterni » nel mio paese argentino, i militari e la loro corte civile la chiamano « valori occidentali e cristiani » oppure « essenza dell’argentinità » contro la problematicizzazione, la costante sfiducia verso l’autorità e i valori sottintesi e imposti, che non sono altro che i decaloghi delle classi dominanti. Sfiducia e ribellione contro i cosiddetti «codici d’onore». Questi codici con i rispettivi « tribunali d’onore » che servono sempre da coprivergogne alla corruzione degli « arrivati ». L’ipocrisia ed il fariseismo di tali codici d’onore vengono a nudo nella[...]

[...]TERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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sociale. Per esempio, il colonnello Spohn, consigliere di « questioni d’onore », scriveva nel trattato Doveri professionali e sociali dell’ufficiale, nel 1915: « Le relazioni carnali con donne pubbliche sono permesse e non sono affatto riprovevoli in un ufficiale a condizione che avvengano nell’intimità. Ma il militare mette in pericolo il suo onore d’ufficiale se, per esempio, si mostra pubblicamente al braccio di una di queste donne. Con questo comportamento schiaffeggia la società e l’ingiuria tanto più se commette la sfacciataggine di salutare, in questa condizione, le signore che incontra. Quest’ultimo caso è offensivo e ferisce l’onore ».

I codici d’onore, l’obbedienza come principio, fanno si che l’abito faccia il monaco. L’uniforme, le spalline, i segni visibili del rango per mezzo di nastrini e di allori, sono dei mezzi per imporre l’autorità. Il rango affoga qualunque dubbio, qualunque insicurezza, qualunque critica. Non è, pertanto, necessario imporre il proprio parere con l’idea, la di[...]

[...]ssione, la persuasione fondata su argomenti. Imporsi con questo metodo e questi attributi è già di per sé un’aggressione. « L’aggressione scrive Leifert nei militari è qualcosa di sottinteso ed è una necessità categorica. La famosa frase del maresciallo von Moltke: ‘ La guerra è un elemento dell’ordinamento divino del mondo. La pace eterna è un sogno, e neanche un bel sogno ’, definisce in modo evidente questa necessità di aggressione ». Il sociologo Alexander Mitscherlich aggiunge: « Perché l’aggressione arrivi al momento di scarico deve incontrare un nemico, e se non l’incontra, se l’inventa ».

L’uniformità non accetta la critica. Per questo l’odio dei militari verso gli intellettuali che mettono in dubbio i criteri tradizionali di autorità ed onore e la sfiducia verso quel sistema politico che promuove discussioni di base. Il generale tedesco Wolf, conte di Baudissin uno degli ideologi del nuovo esercito germanico dopo la sconfitta del 1945 , racconta che quando entrò nella carriera d’ufficiale, durante la Repubblica di Weimar [...]

[...]no degli ideologi del nuovo esercito germanico dopo la sconfitta del 1945 , racconta che quando entrò nella carriera d’ufficiale, durante la Repubblica di Weimar (19191933), gli ufficiali dell’Esercito prima di cominciare a mangiare alzavano il primo bicchiere per brindare in onore dello sconfitto Kaiser che chiamavano « nostro vero comandante ». Avevano bisogno della verticalità, tenevano in sospetto la Repubblica e ne temevano il pluralismo. E ciò accadeva nonostante che quegli ufficiali avessero giurato la difesa della costituzione della nuova democrazia. Questo spergiuro non costituiva per loro mancare all’onore come invece lo era passeggiare sotto braccio di una ragazza « disonorata ». Lo stesso generale Baudissin sottolinea che questa posizione « nazionale » come viene chiamata contro la democrazia fu fatale, perché quegli ufficiali, nella grande maggioranza, nel 1933 passarono armi e bagagli al fascismo hitleriano. Il 2 agosto 1934 dal più alto maresciallo all’ultimo soldato dovettero giurare obbedienza incondiziona144

OSVALDO BAYER

ta al Ftihrer in cerimonie ad hoc. Da questo momento, l’esercito tedesco fu una pedina in più nel programma e nella politica di sterminio di Hitler. L’investigazione storicoscientifica attuale sulla base[...]

[...]manali documentano tali incontri e pubblicano fotografie di anziani sorridenti che mimano con i gesti immaginarie battaglie aeree. Titoli nostalgici come « I veterani dimenticano i rancori », « In fondo, eravamo tutti dei soldati », o « Le aquile uniscono le loro ali ». I bambini sepolti dalle macerie, i corpi orribilmente bruciati dal fosforo, il terrore delle donne incinte, la vulnerabilità dei vecchi di fronte al vile attacco dall’alto, tutto ciò non conta. Il disperatoIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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che lancia una bomba in mezzo alla strada è un terrorista, colui che lancia mille volte quella bomba dal cielo può perfino essere un eroe, o per lo meno uno che « obbedisce agli ordini ». La formula è facile. Ora perfino il termine di « guerra sporca » è onorevole. Il generale Videla — cercando di dare un tono serio e responsabile alla sua voce — ha parlato di guerra sporca per spiegare sequestri e torture ed assassini, liquidazione di intere famiglie, furti di beni altrui. « Guerra sporca » è ora un salvacondotto per la mor[...]

[...]ta del militare, il militare che gli sta di fronte tranne gli irregolari, i guerriglieri, i civili armati è solamente l’avversario della sfida. Gli inglesi in questo sono maestri. Danno alla guerra un certo tono sportivo. Furono loro a inventare il carisma di Rommel ed a dargli il soprannome di « volpe del deserto »: il maresciallo tedesco che compariva e scompariva con i suoi carri armati, un mago che innovava tutta la scienza militare. Tutto ciò sotto la formula: se lui è così abile e noi lo sconfiggiamo, è segno che noi siamo migliori.

(Quando, nella seconda guerra mondiale ad Anzio e a Nettuno in Italia, la colonna di testa dell’invasione alleata era in pericolo, gli inglesi parlarono del146

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valore degli aviatori italiani fino a quel momento nemici che con voli radenti cercavano di spiazzare i cannoni antiaerei della flotta. Sempre gli inglesi furono i primi ad elogiare tramite i portavoce e gli addetti stampa del Ministero della Difesa gli aviatori argentini chiamandoli coraggiosi e temerari. Cominciava[...]

[...]oncentrare gli attacchi sui grandi convogli di trasporto truppe e far fallire l’attacco si contentarono di attaccare le naviscorta, con effimeri trionfi; arrivarono ai bordi esterni ma non osarono arrivare al centro. Prima di definirli coraggiosi e temerari bisognerebbe ridefinire quei valori. È forse più coraggioso colui che ha una maggiore carica di aggressività, chi vede la sua grande opportunità di emergere nell’unico modo in cui sia capace, cioè sparando all’impazzata, chi, forse, ha collezionato più insuccessi nella sua vita privata e di relazioni? O si tratta della semplice emozionalizzazione della guerra

questa pericolosa seduttrice, come l’ha chiamata Anna Seghers perché altrimenti, come spiegare il fatto che migliaia di semplici soldati si siano lanciati cantando all’attacco delle trincee nemiche nella Grande Guerra? Erano diventati all’improvviso tutti coraggiosi? Il mondo cambierà quando insegneremo nelle scuole il coraggio civile, cioè la capacità spontanea di ribellarsi contro un’ingiustizia? Il « valore » degli aviato[...]

[...]successi nella sua vita privata e di relazioni? O si tratta della semplice emozionalizzazione della guerra

questa pericolosa seduttrice, come l’ha chiamata Anna Seghers perché altrimenti, come spiegare il fatto che migliaia di semplici soldati si siano lanciati cantando all’attacco delle trincee nemiche nella Grande Guerra? Erano diventati all’improvviso tutti coraggiosi? Il mondo cambierà quando insegneremo nelle scuole il coraggio civile, cioè la capacità spontanea di ribellarsi contro un’ingiustizia? Il « valore » degli aviatori argentini non fu notato affatto durante la brutale repressione di VidelaMasseraAgosti. Nessuna voce di brigadiere o di sottotenente si alzò a protestare contro i brutali trasporti aerei dei prigionieri politici argentini che durante il volo venivano umiliati e castigati duramente; non fu udita nemmeno una voce di quei coraggiosi per protestare contro la scomparsa dei bambini, le torture alle donne incinte o l’assassinio di migliaia di persone).

Quando nel 1945 cominciò la guerra civile, inglesi e norda[...]

[...] affatto durante la brutale repressione di VidelaMasseraAgosti. Nessuna voce di brigadiere o di sottotenente si alzò a protestare contro i brutali trasporti aerei dei prigionieri politici argentini che durante il volo venivano umiliati e castigati duramente; non fu udita nemmeno una voce di quei coraggiosi per protestare contro la scomparsa dei bambini, le torture alle donne incinte o l’assassinio di migliaia di persone).

Quando nel 1945 cominciò la guerra civile, inglesi e nordamericani inventarono la leggenda di Rommel antihitleriano. Ne avevano bisogno per offrire un modello per un nuovo esercito tedesco. Ma gli storici, questi simpatici segugi con denti di carta che riescono a denudare certe figure inventate al momento opportuno dagli interessi creati, hanno messo allo scoperto la vera « volpe del deserto ». Una volpe, è vero, ma arrampicatrice. Sono state pubblicate le sue lettere a Hitler che sono un capolavoro di adulazione e servilismo. Quanto al suo « genio militare » ormai è chiaro che le sue vittorie si basavano sull’assolu[...]

[...] Hitler, nel 1944, è stata solo la fase finale del suo opportunismo: quando si rese conto che era impossibile vincere la guerra cercò di capovolgere la sua situazione. Ma il suo padrone, prima tanto adulato, fu più rapido di lui.IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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(Jorge Luis Borges, l’intellettuale che nel 1976 aveva detto che « i militari argentini erano dei gentiluomini » che però quattro anni dopo, quando il progetto militare cominciò a mostrarsi perdente, passò clamorosamente alla « resistenza » quando andò in Germania, nel 1982, espresse il personale desiderio di incontrare Ernst Jùnger, il geniale e raffinato scrittore, il grande ammiratore della guerra come atteggiamento di virilità e di purificazione, lo stesso che, come tenente dello Stato Maggiore aveva partecipato alla prima guerra mondiale, poi nei corpi paramilitari dando la caccia agli operai e poi nella seconda guerra mondiale come alto ufficiale. Jùnger, il creatore del cosiddetto « nihilismo eroico » concepì letterariamente la raffinatezza per eccellenza, il[...]

[...] carica di una mascolinità così debordante che ogni respiro ubriacava, tanto che avremmo potuto scoppiare in pianto senza sapere perché. Oh! cuori maschi che siete potuti arrivare a provare tutto questo! ».

L’ex militare Jùnger, il portavoce dell’estetica della destra, parla con sincerità e fermezza virile: « Ovviamente, noi ci sentiamo più a nostro agio con un nemico di razza che non con un pacifista o con un internazionalista. E certamente, ciò che facciamo in un campo di battaglia, uccidendoci fra di noi, è più importante che finire col formar parte di un enorme purè ». Con la parola purè, Jùnger allude al miscuglio di razze, di nazioni, all’eliminazione delle classi, alla repubblica, in una parola, al socialismo. Più tardi Jùnger si rassegnerà e si dedicherà ad esaltare i valori dell’individualismo. Sempre contro il « purè » ma ormai senza più bisogno del fuoco e dell’acciaio. L’individuo, come una roccia che si oppone al mare, al flusso, all’inondazione. La lunga conversazione fra questi due aristocratici della vita e della parol[...]

[...]ato l’Angelus. Ora chiuderanno il cimitero. È Torà in cui nei monumenti funebri pieni di fenditure si danno appunta148

OSVALDO BAYER

mento i generali prussiani per spiegare le loro battaglie perdute. Sono vecchi, consumati e curvi ma nelle loro vuote orbite brilla sempre la speranza: un’altra occasione, l’ultima occasione. Questa sì, definitiva. Ora sì che gli « apostoli » del pacifismo saranno definitivamente sconfitti.

Quelli che giacciono senza più nessuna speranza, senza nessuna ulteriore occasione, sono i soldati morti. Se ne stanno nel loro limbo dove non sono altro che una massa nebulosa con qualche breve lamento da affogato di tanto in tanto. Questi non torneranno.

(La guerra delle Malvine non è finita, dicono i generali argentini mentre fanno colazione. Ma il pastore Aguila e i marinaretti di 18 anni della « Generale Belgrano » hanno chiuso definitivamente, per i secoli dei secoli. Non ci sarà nemmeno un Giudizio Universale).

Ma nell’attesa della loro battaglia finale e del loro definitivo trionfo, la storia è cr[...]

[...]Questi non torneranno.

(La guerra delle Malvine non è finita, dicono i generali argentini mentre fanno colazione. Ma il pastore Aguila e i marinaretti di 18 anni della « Generale Belgrano » hanno chiuso definitivamente, per i secoli dei secoli. Non ci sarà nemmeno un Giudizio Universale).

Ma nell’attesa della loro battaglia finale e del loro definitivo trionfo, la storia è crudele, cinica e sarcastica con gli scheletri dei generali che giacciono a Gamisonfriedhof. La storia deve essere un dio grasso, volgare e sudicio a cui piace fare scherzi grossolani. Al cimitero dei generali prussiani è stato tolto un pezzo di terra ed il comune di Berlino lo ha affidato alla comunità ottomana. Ora c’è il cimitero turco di Berlino, dove vengono sepolti i poveri dell’Anatolia, emigrati durante l’epoca delle vacche grasse del capitalismo per raccogliere la spazzatura e lavorare alle interminabili catene di montaggio delle fabbriche di automobili e di televisori. Hanno avuto un posto proprio nel cimitero dei generali per seppellire i loro umili morti. I morti turchi avanzano sulla terra degli aristocratici marescialli. Or[...]

[...] sta a cinque metri dal generale Erich Werner August Wilhelm von Livonius. E continuano ad avanzare. Sono morti che portano vita: da questo lato, il cimitero si anima la domenica di donne con fazzoletti in testa e di bambini che ridono, che piangono e che gridano. È un’offensiva che i generali non si aspettavano. La vita non si arrende. Per ogni pallottola che cerca la morte, un filo d’erba spunta per sentire la brezza.

trad. di Alessandra Riccio

Osvaldo Bayer

* El cementerio de los generales prusianos: dal prossimo volume Exilio, Buenos Aires, Legasa, redatto a Berlino, ove Bayer nel 1976 prese dimora dovendo lasciare PArgentina. Nato nel 1927 a Santa Fe da famiglia di origineIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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tedesca, studiò a Buenos Aires ed Amburgo, segretario di redazione di « Garin » e responsabile del Sindacato dei giornalisti, è autore di scritti come la biografia di Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia, Los Anarquistas e Los vengadores de la Patagonia tràgica in quattro volumi; il film di Bayer [...]

[...] vengadores de la Patagonia tràgica in quattro volumi; il film di Bayer La Patagonia rebelle, sul massacro dei braccianti nel 1921, fu presentato e premiato a Berlino nel 1974.

Le citazioni che figurano nel testo sono state tratte da:

Paul von Schmidt, Das deut sche Offizierskorps, Berlin 1904; Colmar Graf von der Goltz, Reiseeindrucke aus Argentinien, Berlin 1911 e Denkwiirdigkeiten> Berlin 1929; José Félix Uriburu, La guerra actual, prefacio, Buenos Aires 1915; Friederich Freksa, Kapitàn Ehrhardt, Berlin 1924; Otto Runge, Der Mord von Rosa Luxemburg und Karl Liebknechtì Klassenbuch 2, Luchterhand, Darmstadt 1972; Egon Erwin Kisch, Rettungsring an einer kleinen Bruke, in « AIZ », J. 7, 1928; von Salomon, Die Geàchteten, Berlin 1930; M. Moncalvillo, Inchiesta su « Humor », fotocopia s.d.; Josef Leifert, SoldatenehreKritik eines Mythos, Freiburg 1933; Ratgeber in Ehrenfragen aller Art, Teil II, Berlin 1911; Wolf de Baudissin, Die zornigen alten Mànner, Hamburg 1979; Helmut Krausnick e HansHeinrich Wilhelm, Die Truppe des Weltanschau[...]

[...]gen aller Art, Teil II, Berlin 1911; Wolf de Baudissin, Die zornigen alten Mànner, Hamburg 1979; Helmut Krausnick e HansHeinrich Wilhelm, Die Truppe des Weltanschauungskrieges, Deutsche VerlagsAnstalt, Stuttgart 1980; Ernst Junger, La lucha corno experiencia interior, Berlin 1922 e Sangre y fuego, Berlin 1929; Discorso pronunciato alla Giunta Interamericana di Difesa a Washington il 24.1.1980 dal Comandante in Capo deirEsercito Argentino; « La Nación », Buenos Aires,

28.7.1980.



da Giuliano Briganti, Barocco, strana parola in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...]cenda che si intitola ‘età barocca’. Una vicenda storica qui così mal definita, che talora se ne fissa l’inizio al 1630, t al 1580, qualche volta persino al 1520. Senza dire che, nella interminabile edizione tedesca, tale vicenda va divisa solita mente in tre atti, ‘barocco severo’, ‘barocco maturo5, ‘tar barocco’, restandosi ancora in debito di una valida dimostr zione che, con elementi concreti, ci dia ragione del passag da un atto all’altro, cioè a dire dell’unità spirituale del dramm che giustifichi la denominazione comune. Nè solo a quest si limita l’invadenza e l’imprecisione del termine, ma ess tende sempre più ad assumere una portata generale o, se vuole, psicologica che si sovrappone a quella storica, sì c son chiamate ‘barocche5, manifestazioni artistiche delle epo­ che più varie, dall’antichità classica, anzi dalle preistorich pitture rupestri, fino ai giorni nostri. Ne consegue inevi bilmente che quando, in un testo di storia dell’arte, si le il termine ‘barocco5 non si sa ormai a che cosa precisament si voglia alludere; e[...]

[...]za, già scrisse il Manzoni che è ‘ condizione comune a tutti i vocaboli destinati a rappresentare un complesso d’idee e di giudizi quella di essere intesi più o meno diversamente dalle diverse persone5. A questa sorte si deve se il termine di ‘barocco5 si è prestato a continue molteplici definizioni e se il tentativo, esperito nei testi di storia dell5arte, di trovare un impiego comprensivo alla parola, risulta compito impossibile. La ragione di ciò, per adoperare un metodo comune ai semantici, si può stabilire in tre punti. Primo, la parola: il suo significato immediato è assolutamente ambiguo e polivalente; secondo: diversissime situazioni culturali ne condizionano l’impiego ; terzo : l’oggetto, cioè il periodo e le manifestazioni artistiche cui il termine solitamente si riferisce, è variamente concepito.

L’estrema mobilità di questi tre punti, la parola, la concezione culturale e il referente, è più che sufficiente per formare tanti ’ barocchi9 quanti sono almeno i teorici dell’argomento e in più, e qui sta il peggio, per confonder le carte in tavola ai non teorici, a coloro cioè che, credendosi nella necessità di usare il termine, attingono a modo loro il significato ora da una, ora da un5altra teoria, col risultato di confonderle, fra loro.

Le parole, si sa, sono incapaci di rivelare l’essenza e la realtà assoluta di una cosa qualsiasi, non corrispondono mai direttamente ai loro oggetti ma bensì a determinati pensieri. Ora, per smontare la pretesa di definizione assoluta della parola ‘barocco’, così come è arrivata a noi lungo il cammino della tradizione critica, è sufficiente scomporla nei tre elementi cui prima ho accennato e sottoporre questi ad un esame, per[...]

[...]i loro oggetti ma bensì a determinati pensieri. Ora, per smontare la pretesa di definizione assoluta della parola ‘barocco’, così come è arrivata a noi lungo il cammino della tradizione critica, è sufficiente scomporla nei tre elementi cui prima ho accennato e sottoporre questi ad un esame, per concludere che alla fine nulla di preciso resta annesso ad un termine pur tanto, apparentemente, efficace.

Rimandando ad un mio saggio imminente tutto ciò che riguarda il secondo e il terzo punto, cioè Pesame dell’annosa disputa sul ‘barocco5 dall’inizio neoclassico attraverso l’inospitale selva delle teorie artistiche della seconda metà dell’Ottocento e dei primi decenni di questo secolo sino ai famosi ‘Entretiens de Pontigny’ e, inoltre, la considerazione dei diversissimi aspetti di un tempo cui il termine solitamente si riferisce, mi limiterò per ora22

GIULIANO BRIGANTI

ad alcune osservazioni concernenti il primo punto. Del resto un esame della parola in sè stessa non è privo di interesse.

La parola c barocco * ha infatti una sua storia esterna che registra almeno tre destinaz[...]

[...] barocco * ha infatti una sua storia esterna che registra almeno tre destinazioni, quella originaria, quella generale e metaforica, quella di concetto o di definizione stilistica. Essa passa dal campo della logica medievale, attraverso quello della metafora letteraria sino ai più recenti domini della storia dell’arte. Qiianto all’origine, essa fu chiarita dal Croce nella sua c Storia delPEtà Barocca in Italia5. Che il termine derivi da cbaroco5, cioè da uno di quei vocaboli artificialmente escogitati e memoriali con i quali si designavano nel medioevo le diverse figure del sillogismo (e 5 baroco5 indicava precisamente il quarto modo della seconda figura) mi pare non debba lasciar dubbi; nè le altre interpretazioni, come quella che lo ricollega allo spagnolo 5 barrueco 5 (cioè perla non perfettamente rotonda) sembran degne di ulteriore confutazione. Ma il significato univoco che era proprio della parola all'origine, si dirama ben presto in significati diversi quando si giunge alPintroduzione del termine nella critica d5arte per contrassegnare la forma di un ccattivo gusto5 che si riteneva proprio di gran parte delParchitettura, della scultura e della pittura dei secoli XVII0 e XVIII0. È noto invece quante manifestazioni diverse fra loro vadano oggi sotto il nome di ‘ barocco5 nella storia dell’arte. Ma prima ancora di entrare nel campo critico e storico, ritengo s[...]

[...]l termine nella critica d5arte per contrassegnare la forma di un ccattivo gusto5 che si riteneva proprio di gran parte delParchitettura, della scultura e della pittura dei secoli XVII0 e XVIII0. È noto invece quante manifestazioni diverse fra loro vadano oggi sotto il nome di ‘ barocco5 nella storia dell’arte. Ma prima ancora di entrare nel campo critico e storico, ritengo sia utile soffermarsi sul significato più comune e immediato del termine, cioè a dire sulla sua odierna destinazione. Un significato, intendo, dal quale esuli ogni presunzione teorica che miri a volgerlo ai suoi scopi, ma che prorompa legato alla parola stessa con la maggiore immediatezza che a codesti casi sia concessa: ‘barocco5 come risposta psicologica, come immediato atteggiamento di chi parla e di chi scrive di fronte a talune situazioni spirituali.

Pochi esempi storici, oltre a quelli che può fornire a ciascuno l’esperienza della conversazione quotidiana o la stessa lettura di una poesia o di un romanzo (trattandosi di un termine molto più diffuso di quanto f[...]

[...]arocco 5 sia parola estremamente imprecisa e adattabile alle cose più varie. Il valore indicato è quasi sempre negativo, ma è la qualità di quel negativo che può variare alPinfinito.BAROCCO, STRANA PAROLA

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SaintSimon trovava ‘barocco’ che un certo abate di Bignon succedesse a M. de Tonnerre in un posto di responsabilità ( ‘il étoit bien baroque’ ecc.) e questo può andar d’accordo con i discorsi ‘barocchi’ di cui parlava il marchese Caraccioli citato dal Croce, con le ‘ragioni barocche’ del Casti o le ‘idee barocche’ del Pananti; sinonimo cioè di strambo, incredibile, bizzarro, seppure con sfumature diverse. Ma Diderot definiva ‘barocco’ un amico per l’apparente cordialità che nascondeva una ‘asperité naturelle’; per Francois Soullier erano ‘barocche’ alcune donne a causa ‘des gestes serrés et de la voix criarde5, mentre altre erano ‘barocche5 a dire del poeta tedesco Wieland, per il fatto di avere brutto viso e belle gambe. Il Grimm sostenne che è impossibile far diventare patetico un soggetto ’ barocco ’, mentre il patetico fu da altri considerato del ‘barocco’ una delle principali caratteristiche; Jean Janin, in una sua spontan[...]

[...] voix criarde5, mentre altre erano ‘barocche5 a dire del poeta tedesco Wieland, per il fatto di avere brutto viso e belle gambe. Il Grimm sostenne che è impossibile far diventare patetico un soggetto ’ barocco ’, mentre il patetico fu da altri considerato del ‘barocco’ una delle principali caratteristiche; Jean Janin, in una sua spontanea invettiva, definiva come tipicamente ’barocche’ le tragedie del periodo dell’impero napoleonico, del periodo cioè più glacialmente neoclassico, e si è potuto parlare anche del ‘ baroqueclassique5 di J. L. David. Per 1’Enciclopedia Sovietica il vero ‘barocco’ è D’Annunzio e non mi ricordo più in quale altra Enciclopedia trovai come unici esempi dell’Arte Barocca citati Meissonier e gli artisti del cosiddetto stile ‘rocaille’. Ernest Chesneau, critico del ‘ Consti tu tionnel’, al Salon del 1865, definiva ‘barocca5 l’Olympia di Manet; in una lettera di protesta di alcuni artisti parigini dell’anno 1900 si chiamava ‘barocca5 la Tour Eiffel.

I tanti altri esempi che ho in serbo non servirebbero che a ripr[...]

[...]significati psicologici e delle relative associazioni visive. Ed è proprio in questa ricchezza inesauribile di possibilità indicative che va ricercata la fortuna del termine di c barocco 5, così vivo ancora dopo due secoli di vita traslata e che, dopo ‘ romantico ’, è, anche nelle applicazioni secondarie e nello stesso linguaggio familiare, il più corrente fra tutti codesti termini di origine convenzionale e di polisensa applicazione storica.

Ciò è dovuto forse, se vedo giusto, alla facilità derivativa della sua onomatopeica in campo sentimentale e visivo, per quel suo suono cupo e profondo che bene evoca la maestosità di funerei monumenti o l’attorcersi di grandi volute architettoniche; alla pronuncia stessa chesuggerisce qualcosa di esuberante, di rotondeggiante, carico; all’impossibilità infine di riconoscerne immed tamente l’etimo e di riavvicinarlo, per assonanza, ad parole più famigliari, il che ci porta insensibilmente una certa idea di originalità, bizzarria, stranezza, zionalità. Qui si entra però nel terreno vago[...]

[...]ile u come definizione assoluta e ‘reale ’. In questa vicend non differisce, del resto, da quella di altre parole mili: può nascondere soltanto qualche insidia di L’insidia aumenta, di fatto, quando, all’ambiguità suo significato immediato, vengano a sovrapporsi le m concezioni critiche e ideologiche che pretendono serv sene come di uno strumento. E si entra allora nel specifico delPormai più che secolare ‘disputa del rocco’. Ma ciò sarà oggetto di un’altra ricerca.



da Roberto Longhi, Velazquez 1630: «la rissa all'ambasciata di Spagna» in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...]la collezione dell5‘Aurora5 in palazzo PallaviRoma ciniRospigliosi, è, fin dall’antico, un piccolo quadretto su (di circa 35 cm. 20) riferito al van Dyck (e forse, a giu X car dal soggetto, s’intendeva piuttosto Polandese J. A. Duck che, quando mi accadde di vederlo la prima volta, nel mi sembrò del Velazquez 16/. Non ebbi agio di rin jtavole novare la visita per quasi un quarto di secolo; e, in lungo tratto, l’infievolirsi del ricordo lasciò sfiorire la f schezza della prima impressione e ridusse gradatamente Cop rà a semplice esemplificazione di un ‘problema5, ch’era qu lo di come il naturalismo caravaggesco e, in sostanza, mo no, si fosse atteggiato nei caravaggeschi ‘a passo ridot del 1630 e nei loro simili: fra cui è compreso il Velazqu Per l’importanza dell’argomento è forse utile riportar ‘ in extenso5 le parole con cui il vecchio ricordo si riaffac‘LA RISSA’ DEL VELAZQUEZ

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va nella conclusione degli ‘Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia5 (cProporzioni5, 1943, p. 34 e 62).

‘Sempre sul 1630 è anche la nuo[...]

[...]enziale delle prime spregiatissime « bambocciate » a meglio intendere quest5altra assimilazione profonda che, per non trovare fra noi altro che il breve sbocco nel gruppo napoletano guidato dal lucidissimo Aniello Falcone, si fa nuovamente strada 'nel Nord...5. E qui si apriva una nota a soggiungere: ‘È anche necessario proporre che il Velazquez, dopo essere stato nei suoi primi anni in rapporto con le più antiche generazioni caravaggesche (Caracciolo, Borgianni, Tristan, Cavarozzi e simili) venendo a Roma nel 530 si appassionasse vivamente a queste nuove tendenze che venivano a chiarirgli le possibilità di una «lontananza» caravaggesca in confronto alla più tradidizionale caravaggesca « imminenza ». La « Veduta di Zaragoza », la « Caccia al Pardo », e insomma i vari quadri « terzini » di Velazquez e della sua bottega, non stanno, a mio parere, senza Fassimilazione delle creazioni più alte del van Laer e del Cerquozzi, soprattutto quelle sorprendenti, ma così poco note, della raccolta Incisa della Rocchetta. A rifletter bene, la stessa «[...]

[...]n è senza il ricordo delle risse contadinesche che dal vecchio Brueghel erano giunte, pochi anni prima, fino al Rubens (v. 1620) e al Lyss (v. 1622). Ma, in confronto al rusticano lepore di quei divertimenti mentali che si accettavano come ‘genere5 particolare, ma rigorosamente ‘inferiore5 (‘pittura inferiore5 è definizione che dura fino al Lanzi ed oltre), qui è la seria obbiettività con cui il pittore si pone di fronte a un fatto quotidiano; e ciò proveniva piuttosto, diritta via, dai ‘Bari5 del Caravaggio che erano di quasi quarant5anni prima. Il pittore pare farsi testimonio della verità, con la mano al petto: — Il fatto successe venerdì scorso che sarà stata poco più dell5ora di sesta; visto coi miei occhi. Io stava sulla porta per entrare e mi voltai. V5 erano tre italiani e due spagnoli: misero la mano alle armi. Il sergente Alonso e il portero volsero dividerli. V5erano delle carte napoletane stracciate a terra. Non ho visto altro se non che uno seduto che si riparava. Non so chi sia stato il primo —.

Da un referto (immaginari[...]

[...]Ma rocchio del Velazquez (che, fisionomicamente, per davvero assomiglia al gentiluomo sulla porta d5entrata) era penetrato più in là, fino allo spessore dei ferrajoli, alle luci sulle ‘golillas5, ai baffoni in piega del sergentone spagnolo nella sua flemma poderosa. Un attimo di cronaca svelato nel colore delParia romana, ispessita dalle nubi; i riflessi rapidi, mano alla fronte, delPira che sale; i cappellacci di feltro, i fucili a terra col calcio di legno chiaro; la bandiera arrotolata alla finestra; i guardiacaccia rhe parlottano più in basso, nella vigna.

Nessun giudizio sul fatto, nessuna ironia, nessun pregiudizio di classe; e poiché i pregiudizi venivano allora dall'alto questo atteggiamento è indubbiamente ‘popolare5, come il Caravaggio aveva indicato persino nei quadri sacri, negli astanti, per esempio, che si schivano dal ‘fatto di sangue in chiesa5 (il Martirio di S. Matteo). Si domandano in quei giorni al Velazquez quadri di mitologia pagana e biblica (sono di quell5anno la ‘Fucina di Vulcano5 e la ‘Tunica di Giuseppe5) e[...]

[...]; e poiché i pregiudizi venivano allora dall'alto questo atteggiamento è indubbiamente ‘popolare5, come il Caravaggio aveva indicato persino nei quadri sacri, negli astanti, per esempio, che si schivano dal ‘fatto di sangue in chiesa5 (il Martirio di S. Matteo). Si domandano in quei giorni al Velazquez quadri di mitologia pagana e biblica (sono di quell5anno la ‘Fucina di Vulcano5 e la ‘Tunica di Giuseppe5) e il Velazquez ne risente qualche impaccio mentale e dipinge allora per suo gusto pieno ‘la rissa del 16305 (valendosi di uno dei modelli che figura anche nella Fucina).CLA RISSA’ DEL VELAZQUEZ

3i

Sei anni dopo gli domanderanno un quadro di storia recente, ‘ La Resa di Brcda5 (che infatti io credo del *36, non più tardi) ; e semmai gli chiesero prima come pensasse di cavarsene, il Velazquez avrà potuto rispondere che ci s’era già provato : — A Roma, sei anni fa, dipinsi una rissa tra italiani e spagnoli alPambasciata ! Ora dipingerò la riconciliazione dopo una rissa più lunga; lo Spinola lo conosco bene, Tho visto a Genova.

[...]

[...]omposizione, il disegno, l’azione e gli affetti, tutta roba che deve stare già in testa al pittore, come la grammatica e la sintassi al letterato ? — E in una rissa non ci sono azione e affetti ? Quanto al resto lasciate fare a me, alla mia ‘ ritentiva5 ; se vi darò lo specchio della verità, sarete contenti ? Anche a Roma capii quel giorno che bisogna far tenere tutto in un punto solo di ‘naturalezza5: vedo ancora i mantelli di nero bruciato, le ciocche di capelli sul cielo coperto, il giaco di cuoio giallo, il sodo del terreno, i lustri sull5elsa, il cordone attorcigliato del ‘portero5. Io non so più che sia composizione (lo saprà il Carducho)5 ma sento che da quel grado di memoria incentrata vien fuori qualche cosa che ha nome evidenza ; finzione che è la più ardua di tutte. —

Questa era stata del resto l5estetica del Caravaggio e dei suoi, già prima del Velazquez; e il Velazquez lo sapeva bene. S’era ricominciato da un cestino da frutta, da una caraffa di fiori, da un elmo arrugginito, e ci s5era accorti che valevano meglio di una [...]

[...]he il Caravaggio e i suoi, compresi gli spregiatissimi ‘bambocciari5 e il Velazquez medesimo (salva la sua intatta fama locale come pittore di corte, e qualche grido ammirativo di colleghi di passaggio, dal Giordano al Mengs) non siano stati intesi a fondo che nella conda metà dell’Ottocento (non voglio dire dopo il 18 che sarebbe precisazione troppo materiale). La critica a lica (e non v’era, si può dire, posto che per quella) nella ta del braccio secolare, li aveva ricusati per più di due se in ossequio alle istituzioni. Questa è una storia che po rebbe lontano, ma, come andò, è facile egualmente intu Era stata una pittura che vedeva chiaro anche al di là d l’arte e che, per non aver uso di parola, dovè salvarsi s dir motto o tutt’al più mormorando : saremo intesi fra du tre secoli. Ciò che, infatti, si è poi verificato.g V. Carducho: incontro di Certosini (c. 1626)

Collezione privata



da Roberto Longhi, Un momento importante nella storia della «natura morta» in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...] veramen compreso subito. Lo stesso marchese Giustiniani, mecen del grande pittore, mentre stava stendendo, forse verso 1620, le sue distinzioni sui modi della pittura ed elencand in grado ascendente, poneva in uno dei gradi più bas (il quinto su dodici!) il modo del ‘saper ritrarre fiori ed a cose minute ’ (sùbito dopo lo spolvero, la copia da pit altrui, la copia a matita o a penna e il ritratto come sem somiglianza). Tanto più sorprendente perciò che a que punto egli citasse in proposito un detto del Caravaggio sen avvedersi eh’esso veniva a sconvolgere, ad annullare an‘NATUREIMORTE’

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la sua accademica graduatoria: cEd il Caravaggio disse, che tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori come di figure5.

Cancellato così, con il semplice motto del Caravaggio, il criterio intellettualistico delle classi del rappresentabile, la distinzione del Giustiniani restava valida soltanto per il Bruegel. E tuttavia si è continuato ad usarla estensivamente nello studio generico della natura morta come ‘specialità*. Giovi ri[...]

[...]i figure5.

Cancellato così, con il semplice motto del Caravaggio, il criterio intellettualistico delle classi del rappresentabile, la distinzione del Giustiniani restava valida soltanto per il Bruegel. E tuttavia si è continuato ad usarla estensivamente nello studio generico della natura morta come ‘specialità*. Giovi riconoscere che la critica italiana, da circa quaranta anni, ha meglio inteso che fra la ‘natura morta5 come atteggiamento fiduciosamente ‘realistico ‘ del pittore di fronte a un brano naturale, e la ‘natura morta5 come sedulità descrittiva, come presunzione da erboristi o da scienziati di provincia, come sfoggio di tecnica diligenza, non era transito possibile. Ed è peccato che, per timore di non apparire a sufficienza idealistici, taluni di quei critici italiani si trattenessero dalFinterpretare il Caravaggio come inventore del realismo moderno.

Ma il piano restava sempre più elevato di quello sul quale si poneva lo Hoogewerff quando, nel suo studio su ‘Dedalo9, 1925, fissandosi di nuovo sulla ‘specialità5, finiva a[...]

[...]invece cominciato ben altro e, si può dire, la pittura moderna. Quando si dice che una natura morta del Caravaggio ‘sembra già5 Courbet o Manet, può sembrar che si adopri lo stivale delle sette leghe, ma resta che se non si intende subito perchè la caraffa di fiori della ‘suonatrice5 di Leningrado / tavola 12/ sia più vicina a quei moderni che non a Bruegel ‘dei Velluti5, la discussione non può che smarrirsi.

Il Bellori, che era il Bellori, e cioè l5accademico più incaponito della nostra critica d5arte, ebbe tuttavia il buon senso d5intendere e di affermare che dopo ‘i fiori e frutti sì bene contrafatti5 del Caravaggio giovine, ‘da lui vennero a frequentarsi a quella maggior vaghezza che tanto oggi diletta5. Non sappiamo in che anno il Bellori giungesse a questa conclusione, stampata soltanto nel 1672. Se dovessimo tenerci a questa data, allora i conti non tornerebbero perchè Pallusione sarebbe a Mario dei Fiori o ad Abraham Bruegel, che di Caravaggio non sapevan più nulla; tante cose eran successe nel frattempo. Occorre perciò tornar[...]

[...] sì bene contrafatti5 del Caravaggio giovine, ‘da lui vennero a frequentarsi a quella maggior vaghezza che tanto oggi diletta5. Non sappiamo in che anno il Bellori giungesse a questa conclusione, stampata soltanto nel 1672. Se dovessimo tenerci a questa data, allora i conti non tornerebbero perchè Pallusione sarebbe a Mario dei Fiori o ad Abraham Bruegel, che di Caravaggio non sapevan più nulla; tante cose eran successe nel frattempo. Occorre perciò tornare indietro almeno fino al Baglione, che, per quanto nemico personale del Caravaggio, eppure non alieno dalPimitarlo, ci offre nel 1642 almeno tre passi importanti per il recupero delle prime vicende della natura morta postcaravaggesca.

Un passo è nella vita di Tommaso, detto Mao, Salini (protetto del Baglione e noto per le sue zuffe col Caravaggio), dove, dopo citati i quadri religiosi di una sua prima e ‘diligente5 fase, soggiunge: cQinest5uomo diedesi a ritrarre dal vivo, e varie cose dipingeva, ed assai bene le imitava5; poi specifica: ‘Si mise a fare de5 fiori e de5 frutti ed alt[...]

[...]i (protetto del Baglione e noto per le sue zuffe col Caravaggio), dove, dopo citati i quadri religiosi di una sua prima e ‘diligente5 fase, soggiunge: cQinest5uomo diedesi a ritrarre dal vivo, e varie cose dipingeva, ed assai bene le imitava5; poi specifica: ‘Si mise a fare de5 fiori e de5 frutti ed altre cose, dal naturale ben5espresse; e fu il primo, che pingesse ed accomodasse i fiori con le foglie ne5 vasi, con diverse invenzioni molto capricciose e bizzarre, i quali a tutti recavano gusto, e con gran genio sì bravamente li faceva, che ne trasse buonissimo guadagno5.

Per chi abbia pratica delle formule del Baglione, questo è il linguaggio eh5egli impiega soltanto per i caravaggeschi. E, che dimentichi il precedente del Caravaggio, mentre in un senso può svelare il suo malanimo, nelTaltro spinge ad‘ NATURE MORTE ’

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ammettere che, dopo i pochi esempi lasciati dal grande inventore prima del 1606, la prima e più intensa ‘ripresa5 fosse quella di Salini: e di tal forza da raffigurarlo quasi come secondo fondatore della natura [...]

[...]ua, chi con vini, e chi con varie apparenze e la diligenza di quest'opera meritò il gusto di quel Re9.

Siamo dunque negli stessi anni della ripresa caravaggesca rilevata nel Salini; i ‘cristalli5 della descrizione sembrerebbero pendere soltanto sulla diligenza alla fiamminga (sebbene ‘diligenza5 sia usato anche per il Caravaggio giovine), ma ‘gli appannamenti di gelo5 e i ‘frutti entro Pacqua5, ci riportano sicuramente in àmbito caravaggesco. Ciò che, del resto, può trovar conferma anche nel fatto che il Crescenzi, amico e patrono di tanti artisti, scegliesse per compagno del suo viaggio spagnolo proprio il caravaggesco viterbese Cavarozzi.

Il terzo brano si legge nella Vita di Pietro Paolo Gobbo da Cortona detto il Gobbo de5 frutti (e più tardi, per cattiva lettura del Malvasia, de5 Carracci; coi quali non sembra aver mai avuto contatti particolari). Nato verso il 1575, morto verso il 1635, il Gobbo si educò ancora nella solita cerchia di casa Crescenzi, ‘ e diedesi a dipingere i frutti dal naturale, e in quel genio non si poteva [...]

[...]Gobbo da Cortona detto il Gobbo de5 frutti (e più tardi, per cattiva lettura del Malvasia, de5 Carracci; coi quali non sembra aver mai avuto contatti particolari). Nato verso il 1575, morto verso il 1635, il Gobbo si educò ancora nella solita cerchia di casa Crescenzi, ‘ e diedesi a dipingere i frutti dal naturale, e in quel genio non si poteva far meglio ; e quelli Signori avevano gusto di fargli trovare di bellissimi frutti, e d5uve diverse, acciocché al segno di valentuomo egli giungesse. Ritraeagli eccellentemente, sicché ne prese tal nome ch5egli il Gobbo de5 frutti chiamavasi. E di vero quest5uomo esprimevali bravamente con gran forza e con vivacità assai naturale, sicché veri, e non dipinti pareano 5

Anche questo brano è da ritenere, notando però che è difficile collegarlo coi dipinti riferiti al Gobbo dal Marangoni (1917) e che sembrano posteriori al 535, anno estremo della vita del pittore.33

IROBERTOÌLONGHT

Questo della triade SaliniCrescenziGobbo, fu dunque, ve n’è più che un sospetto, il momento principale della sto[...]

[...]data, appare com’è (o è come appare) : una rivelazione di umori, di materia mutevole, di linfe che gemono fra i contrasti della luce passante. La lezione del Caravaggio, dal ‘canestrino’ dell5Ambrosiana alla ‘natura morta sulla tovaglia’ di Washington, mi pare intesa come meglio non si poteva e, persino, portata più avanti. Perchè, qui il macchiato che annulla, e lì l’emergenza che rivela il tenero dei riflessi umidi e l’aspro dei nodelli dei piccioli; i corimbi di fiori fiammanti, le foglie sparse; ogni particolare insomma si scioglie in una felicità di contrasti che dalla severità del Caravaggio riesce ad un’eleganza irruente di tono popolare. Neppure un oggetto che sia scelto per il suo pregio, neanche le caraffe. Ora pensiamo ai fiamminghi, agli olandesi, ai francesi; quasi sempre riaffondano nella pazienza. Salvo qualche divagazione troppo insistita nei tralci, e la pienezza vitale quasi scoppiante da sembrare qua e là presagire l’abbondanza dei napoletani, questi due dipinti restano piuttosto in una stringatezza che non può, ci sembra, oltrepassare l’estremo del ’25; o superarlo di poco ove si volesse tenere apert[...]



da [Le relazioni] E. Garin, Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]a di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso ». Si tratta di « identificare gli elementi divenuti stabili e 64 permanenti assunti come pensiero

proprio », distinguendoli dal materiale che è servito di stimolo, e fissando « dall’intrinseco » gli eventuali « periodi » e i possibili « scarti » \

« È osservazione comune di ogni studioso come esperienza personale, — prosegue Gramsci — che ogni nuova teoria studiata con “ eroico furore ” (cioè... non per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per un certo tempo, specialmente se si è giovani, attira di per se stessa, si impadronisce di tutta la personalità e viene limitata dalla teoria successivamente studiata finché non si stabilisce un equilibrio critico e si studia con profondità senza però arrendersi subito al fascino del sistema o delTautore studiato. Questa serie di osservazioni valgono

tanto più quanto più il pensatore dato è piuttosto irruento, di carattere

1 M. S.} p. 76.396

Le relazioni

polemico e manca dello spirito di sistema, quando si trat[...]

[...]cchi suonano indicativi proprio per uno studio sulla sua opera i suoi avvertimenti : distinguere fra scritti compiuti e pubblicati, e scritti postumi; fra lavori conclusi i(« Un’opera non può mai essere identificata col materiale bruto raccolto per la sua compilazione : la scelta definitiva, la disposizione degli elementi componenti, il peso maggiore e minore dato a questo o a quello degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sono appunto ciò che costituisce l’opera effettiva»), Delle lettere converrà usare con cautela : « un’affermazione recisa fatta in una lettera non sarebbe forse ripetuta in un libro. La vivacità stilistica delle lettere, se spesso è artisticamente più efficace dello stile più misurato e ponderato di un libro, talvolta porta a deficienze di argomentazione; nelle lettere come nei discorsi si verificano più spesso errori logici; la rapidità maggiore del pensiero è spesso a scapito della sua solidità » 1.

È difficile pensare che Gramsci, nel ’33, quando stendeva queste pagine cosi precise, non avesse presente [...]

[...]ettera in cui fa cenno alla cognata dei lucidi discorsi pronunciati nel delirio : « ero persuaso di morire e cercavo di dimostrare l’inutilità della religione e la sua inanità ed ero preoccupato che approfittando della mia debolezza il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che mi ripugnavano e da cui non sapevo come difendersi. Pare che per un’intera notte ho parlato dell’immortalità dell’anima in un senso realistico e storicistico, cioè come una necessaria sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessarie, e come un incorporarsi di esse nel mondo di fuori » 2.

È un testo umanamente significativo, ma che documenta anche la consapevolezza di Gramsci; ed è un testo che, fra l’altro, richiama una

1 M. Sp. 78.

2 L., p. 229.Eugenio Garin

397

lettera di due anni prima, del 17 agosto 1931, molto importante ai fini della determinanzione « dall’intrinseco » dei momenti dello sviluppo del suo pensiero. Ricordando i tempi in cui era allievo di Umberto Cosmo dichiara che, sebbene allora non avesse «precisato la sua po[...]

[...]rugge completamente il pensiero, oppure ifa come quel mastro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco di legno d’olivo stagionato per fare una statua di san Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, fini col ricavare un manico di lesina » 2. Sono righe di una consapevolezza crudele, che vien fatto di mettere a fronte al program
1 11 grido del popolo di Torino, 20111915: «il Serra ha dato una lezione di umanità : in ciò egli ha veramente continuato Francesco De Sanctis, il più grande critico che l’Europa abbia mai avuto... Ora non possiamo aspettarci più nulla da Renato Serra. La guerra l’ha maciullato, la guerra della quale egli aveva scritto con parole cosi pure, con concetti cosi ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui; era l’uomo nuovo dei nostri tempi, che tanto ancora avrebbe potuto dirci ed insegnarci. Ma la sua luce s’è spenta e noi non vediamo ancora chi per noi potrà sostituirla... ». Ne La città futura, ove pure riporta un lungo testo di Salvemini sul concet[...]

[...]» : « che hanno un maggiore evidente legame con la vita, col movimento storico concreto ». D’altra parte, mentre non mancano testi di ampio respiro, e di stesura quasi compiuta, non è difficile individuare anche nei frammenti la costanza di temi ritornanti in un contesto unitario profondo. Manca la forma sistematica, non la coerenza intima. « Si crede volgarmente — egli osserva una volta — che scienza voglia assolutamente dire 66 sistema ”, e perciò si costruiscono sistemi purchessia, che del sistema non hanno la coerenza intima e necessaria ma solo la meccanica esteriorità » 2. Al contrario non di rado alla forza di un metodo preciso e di una chiara concezione la forma frammentaria offre la possibilità di puntualizzare le « piccole cose » in un voluto contrasto con la tendenza a « vedere le cose oleograficamente, nei momenti culminanti di alta epicità ». « Nella realtà — si legge in un testo esemplare— da dovunque si cominci a operare, le difficoltà appaiono subito gravi perché non si era mai pensato concretamente a esse; e siccome occo[...]

[...]na delle sue osservazioni più acute Gramsci cercherà di chiarire il senso di una conversione « non speculativa » della filosofia nella storia: ed è un testo da tener presente per intendere anche la vicinanza e la lontananza della concezione gramsciana da identificazioni apparentemente analoghe proposte in sede idealistica : l’identità filosofiastoria « porta alla conseguenza che occorre negare la 66 filosofia assoluta ” o astratta e speculativa, cioè la filosofia che nasce dalla precedente filosofia e ne eredita i “ problemi supremi ” cosi detti, o anche solo il 66 problema filosofico ”, che diventa pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia. La precedenza passa... alla storia reale dei mutamenti dei rapporti sociali, dai quali quindi... sorgono (o sono presentati) i problemi che il filosofo si propone ed elabora.... Se la filosofia è storia della filosofia, se la filosofia è “ storia ”, se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rappor[...]

[...]o ”, che diventa pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia. La precedenza passa... alla storia reale dei mutamenti dei rapporti sociali, dai quali quindi... sorgono (o sono presentati) i problemi che il filosofo si propone ed elabora.... Se la filosofia è storia della filosofia, se la filosofia è “ storia ”, se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali iin cui gli uomini vivono), e non già perché a un grande filosofo succede un più grande filosofo e cosi via, è chiaro che lavorando praticamente a fare storia, si fa anche filosofia... » 2.

Commentare questo testo fino in fondo, seguirne la genesi e discuterne il senso, porterebbe ad un’analisi completa del pensiero di Gramsci, che a me non compete: sarebbe necessario infatti seguire il maturare della sua riflessione attraverso la lotta politica, che lo portò a leggere, o a rileggere con occhi resi diversi da eventi decisivi, le pagine medesime di Marx3. Ma in tale pros[...]

[...]ossibilità interpretativa, cosi a un 'altra storia d’Italia volle saldare un’altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storicistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un’Italia capace di riscattare in tutta la sua storia altre possibilità costantemente vinte, soffocate o mistificate. E proprio perché era un politico e non un filosofo — e con ciò si vuol dire solo che era anche uno storico e un filosofo serio, e non un professore — non si preoccupò di raccogliere in candidi mazzolini temi incontaminati perché a tutti estranei, ma combattè sul1 terreno reale, nella situazione reale, ed affrontò l’unica posizione veramente operante in Italia (e non a caso era tale), veramente potente, e con essa si impegnò: ne prese talora il linguaggio, vide l’ambito della sua validità, non ne sottovalutò né l’importanza, né la forza, né le conquiste reali. Oggi può sembrare che sulla linea RomagnosiCattaneo ci fosse una forza teorica più robusta: e pu[...]

[...]so un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall’intrinseco » certe posizioni, ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola : ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che è vivo da ciò che è morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.

La rottura con una certa tradizione e la lotta per un’altra Italia, si configurano cosi — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella, stessa storia d’Italia : rappresentano la vittoria di forze vitali, di possibilità positive contro soluzioni esaurite: e sono, perciò stesso, non più parziali, ma veramente rispondenti all’aspirazione di tutta l’Italia, di tutta la sua storia, di tutto il suo popolo. Come non ricordare l’articolo pubblicato nel ’19 sull’Ordine Nuovo, a proposito dei rivoluzionari russi1: « hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la... vita più intima [del popolo}, la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda... Hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato e arricchito una tradizione... In ciò sono stati rivoluzionari » in quanto hanno[...]

[...]toria, di tutto il suo popolo. Come non ricordare l’articolo pubblicato nel ’19 sull’Ordine Nuovo, a proposito dei rivoluzionari russi1: « hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la... vita più intima [del popolo}, la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda... Hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato e arricchito una tradizione... In ciò sono stati rivoluzionari » in quanto hanno rivelato» al popolo che « il nuovo Stato era il suo Stato, la sua vita, il suo spirito, ia sua tradizione ». La rivoluzione non va mai contro il moto storico : è il punto in cui il processo rompe gli argini che lo volevano chiudere, in cui gli istituti già elaborati come strumenti si irrigidiscono in barriere: è veramente, per usare ancora un’espressione gramsciana, la

Carlo Cattaneo (per usare la distinzione del Labriola fra « positivo » e « positivistico » ) passasse in Gramsci, è comprensibile. Ma una meditazione approfondita non risulta; il no[...]

[...]queruli e scontenti sempre, perdié le forze del male impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso mondo ».

Nell’idea di una « natura » umana si cela « un residuo 44 teologico ” e 44 metafisico ” ». « La natura dell’uomo — insiste Gramsci — è la 44 storia ”... se... si dà a storia il significato di 44 divenire ”, in una 44 concordia discors ” che non parte dall’unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile; perciò la 44 natura umana ” non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del genere umano » 2.

1 O. N. pp. 2325.

2 M. Sp. 31.

27.408 Le relazioni

Ove, ancora, quella « storia del genere umano » lungi dall’essere « pura dialettica concettuale » è storia di uomini reali in rapporti reali, in cui i processi che modificano le situazioni e la coscienza che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge cosi... all’... equazione tra 64 filosofia e politica ”, tra pensiero e azione, cioè ad una filosofia della prassi... La sola 66 filosofia ”[...]

[...]del genere umano » 2.

1 O. N. pp. 2325.

2 M. Sp. 31.

27.408 Le relazioni

Ove, ancora, quella « storia del genere umano » lungi dall’essere « pura dialettica concettuale » è storia di uomini reali in rapporti reali, in cui i processi che modificano le situazioni e la coscienza che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge cosi... all’... equazione tra 64 filosofia e politica ”, tra pensiero e azione, cioè ad una filosofia della prassi... La sola 66 filosofia ” è la storia in atto » 1, la storia che « riguarda gli uomini viventi... tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliorano se stessi » 2.

Proprio per questo la politica di Gramsci doveva saldarsi indissolubilmente con una visione storica, anzi con una revisione della storia di quel popolo a cui apparteneva e tra cui operava. « Scoprire e inventare modi di vita originali — com’egli dice — non si può se non rispondendo concretamente e positivamente a domande reali, essenziali, matura[...]

[...]rre decapita il re, non vuole indicare soltanto il rapporto fra una « tranquilla teoria » che cambia le « idee », e una

1 Seguita : « In questo senso si può interpretare la tesi del proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca — e si può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell’egemonia fatta da Ilici è stato anche un grande avvenimento “metafisico”». E ancora (M. S., p. 32): «Nella storia 1’“ uguaglianza ” reale, cioè il grado di “ spiritualità ” raggiunto dal processo storico della “ natura umana ”, si identifica nel sistema di associazioni “ private e pubbliche ”, u esplicite ed implicite ” che si annodano nello “ Stato ” e nel sistema mondiale politico : si tratta di “ uguaglianze ” sentite come tali fra i membri di un’associazione e di “ diseguaglianze ” sentite tra le diverse associazioni; uguaglianze e diseguaglianze che valgono in quanto se ne abbia coscienza individualmente e come gruppo ». A proposito di Lenin, è interessante il testo di Croce, Vaginesparse, cit., II, p. 177.

2 L., 255.

3 O[...]

[...]si a qualsiasi trasformazione della filosofia deBa prassi in una metafisica o teologia, per svolgerne « uno “ storicismo ” assoluto », inteso come « mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero », come un « umanismo assoluto della storia ».

Per questo l’attività critica, la sola possibile, è impiegata costantemente a risolvere « i problemi che si presentano come espressione dello svolgimento storico » ; e poiché « l’unità della storia, ciò che gl’idealisti chiamano unità dello spirito, non è un presupposto, ma un continuo farsi' progressivo », l’indagine storica è di continuo sollecitata a riesaminare le scelte già operate in funzione di certi modi d’agire, per saggiarne la validità, respingerne l’insufficienza, risolverne la parzialità in un’azione più comprensiva, davvero popolare e nazionale.

1 M. S., pp. 61, 63 sgg., 67.

2 M. S., pp. 9396.410

Le relazioni

Di fronte alla cultura tradizionale, a tutta la vicenda di un paese quale è sboccata nella situazione del presente, di fronte alla cultura presente, la filoso[...]

[...]ifferenziarsene o almeno le differenziazioni sono di carattere secondario e si esauriscono quindi neH’entusiasmo declamatorio » \

Costretto a trasferire la propria attività su un piano diverso, nei Quaderni Gramsci tende soprattutto a una storia della tradizione culturale italiana vista nel concreto della vita dei gruppi intellettuali allo scopo di definire una « concezione del mondo ». « La fondazione di una classe dirigente — egli scrive — (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una WeUanschauung », che, d’altra parte, non è solo « elaborazione “ individuale ” di concetti sistematicamente coerenti, ma inoltre e specialmente... lotta culturale per trasformare la “ mentalità ” popolare e diffondere le innovazioni filosofiche che si dimostreranno 66 storicamente vere ” nella misura in cui diventeranno concretamente cioè storicamente e socialmente universali ». Ove la « traduzione » di cui s’è detto si presenta come inserimento attivo di una « visione della vita » in una situazione << nazionale », ossia esame critico di tutta una tradizione, in modo che la nuova concezione ne appaia la risoluzione vitale. Né importa che tale risoluzione possa presentarsi come totale rifiuto («talvolta è avversario tutto il pensiero passato»): importa veramente ricordare Che si dimostra più « avanzato » chi comprende

1 P., pp. 34, 63, 131.Eugenio Garin

411

che « l’avversario può esprimere un’esigenza che deve essere[...]

[...]momento subordinato, nella propria costruzione » \

In questi termini l’elaborazione della filosofia della prassi fa corpo con una storia d’Italia, dei suoi gruppi intellettuali, non isolati nelle loro idee o nei loro scritti, ma visti in rapporto con le forze reali operanti, e con quei popolani la cui voce solo di rado sembra affiorare o essere ascoltata e conservata, ma che pure hanno espresso lungo i secoli artisti e contadini, artigiani, e ciompi, e soldati. Non è difficile « schedare » il materiale dei Quaderni gramsciani lungo queste linee, e ordinarlo per argomenti ad esse riconducibili. D’altra parte questa « storia » doveva sempre legarsi criticamente alle « altre storie » : a quelle più valide per intima solidità, esprimenti efficacemente forze e temi di rilievo; cosi come a quelle dominanti e trionfanti sul piano politico italiano. Uno dei segni del carattere non velleitario della critica gramsciana dei Quaderni sta proprio nel suo rapporto costante con Croce da un lato, e con le più vistose e rilevanti manifestazioni delle [...]

[...]i forza e di attualità di un pensiero che non lavorava alteri saeculo, ma per questo secolo. L’altro secolo che poi giudica, che indica limiti e ingiusti giudizi, probabilmente non sarebbe mai nato cosi acuto senza quelle discussioni. La caducità di certi giudizi non è che l’altra faccia della loro storicità: e, mentre l’impegnarsi nel tempo è il segno della responsabilità di un dibattito, il discorso polemico col discorso più efficace, a cui perciò stesso si lega, è anche il lavoro storicamente più costruttivo, il solo veramente costruttivo.

Sarebbe ben difficile negare oggi, nello spostarsi di una discussione, che certe valutazioni gramsciane di importanti movimenti sono particolarmente insufficienti o almeno discutibili: basterebbe pensare all’atteggiamento di fronte al positivismo, e, per altro verso, all’apprezzamento del modernismo. Nel primo caso, anche se probabilmente converrebbe andar molto cauti, per non incorrere in frettolose revisioni, e

1 M. S., pp. 75 sgg., 25, 21 sgg. (per la distinzione forze materialiideologie, c[...]

[...]P., p. 16 (cfr. p. 28 sgg.; L. V. N., pp. 2045, R., p. 6 sgg.).

2 Cfr. L., p. 115 («quando vidi il Cosmo, l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione » ).

3 Le due « figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la « passione » di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l’Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla « politica » del M. intorno al ’25, e subito dopo (cfr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: «è risaputo che il M. scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è al di là, o piut414

Le relazioni

Gramsci sa che Machiavelli è esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che «lo stesso[...]

[...]tre è fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un’ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Della Casa, dei tratti che li avvicinano a Machiavelli, ma un’immagine artificiosa dell’uomo del Rinascimento gli preclude un’adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia d’Italia1. Su Machiavelli, invece, è veramente originale e suggestivo. « Bisogna considerare — premette — il Machiavelli come espressione necessaria del suo tempo... Non solo YArte della guerra deve essere connessa al Principe? sibbene anche le Istorie fiorentine, che devono servire appunto come un’analisi delle condizioni reali ed europee da cui scaturiscono le esigenze immediate contenute nel Principe... La dottrina del Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente 46 libresca ”, u[...]

[...]

tosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all’indagine della realtà»).

1 Mach., pp. 6, 9, 141; P., p. 34; I., pp. 345.

2 Mach., pp. 13, 15, 9.Eugenio Garin 415

politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non può non occuparsi del “ dover essere ” ». Machiavelli non è mai « un mero scienziato » ; « si fa popolo; {e} non con un popolo genericamente inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso \ Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l’idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell’autonomia della politica, e scopritore dell’econ[...]

[...]l’opera di Gramsci si colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando cosi largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un’elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i “ mistificatori ” del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti, Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa; e Croce per quanto contribuì a mantener vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso, sempre più chiaramente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione deU’hegelismo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabile : un « sistema » della « filosofia dello spirito », una « natura umana » assoluta. Gramsci, al contrario, non si l[...]

[...]che Gramsci cerca e per cui lotta: per questo, oltre le parti, egli è di quanti in Italia intendono lavorare insieme intorno a problemi precisi (alle « piccole cose » ), con semplicità, con quanti più uomini è possibile. Sarà indulgenza alla retorica, ma come non concludere con la conclusione di quelTultima lettera al figlio? « io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi, e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa ».

1 P. Gobetti, La rivoluzione liberale, Torino, 1950, p. 117: «La figura di Lenin gli appariva come una volontà eroica di liberazione: i motivi ideali che costituivano il mito bolscevico... dovevano agire... come l’incitamento a una libera iniziativa operante dal basso ».



da Kabaktceff (delegato dei comunisti bulgari e delegato come membro del Comitato della Terza Internazionale) [traduzione dal francese dell'onorevole Misiano], Discorso Kabaktceff in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]sumo. La condizione della classe operaia in Italia diviene via via piú miserabile, perché il rincaro della vita è assai maggiore degli aumenti di salario, e, in effetto, porta verso una reale diminuzione dei salari. Operai, le lotte della classe operaia per gli aumenti di salari incontrano nella borghesia un'opposizione ostinata, poiché questa pretende che il rialzo dei prezzi delle materie prime non le consente di aumentare i salari; chiude, perciò, le fabbriche e proclama il lockaut per gli operai. Per schiacciare la lotta del proletariato, la borghesia sabota la produzione. Trascinata sempre dal punto di vista del profitto capitalistico e non da quello della ricostruzione, e dello sviluppo della produzione — per il quale piange sempre lacrime ipocrite — preferisce esportare i suoi capitali, anche le macchine e le fabbriche, privare di lavoro centinaia di migliaia di operai, condannandoli alla fame, insieme con le loro famiglie. Voi sapete assai bene che la borghesia nazionalista italiana ha cominciato ad esportare la ricchezza accumul[...]

[...]finanziaria, all'infuori della costrizione violenta degli operai a lavorare nelle fabbriche sotto regime di sfruttamento e in una miseria sempre crescente; la soluzione che la borghesia propone, costituisce la schiavitú del proletariato. al capitalismo, la sua degradazione fisica e morale progressiva.
Il proletariato italiano, per difendersi e per salvarsi, intraprende una lotta sempre piú decisa e rivoluzionaria. Ha cominciato coll'entrare in sciopero per l'aumento dei salari; e, quando la borghesia ha risposto agli operai con la serrata e il sabotaggio della produzione, allora il proletariato ha trovato rifugio nell'unico mezzo che gli rimaneva: la occupazione delle fabbriche. Questo mezzo di lotta è rivoluzionario per eccellenza: mira alla trasmissione della proprietà sui mezzi di produzione, dalle mani della borghesia a quelle del proletariato. La borghesia ha piena coscienza di ciò; ed è per questo che si prepara a schiacciare queste lotte rivoluzionarie con il sangue e col fuoco. La borghesia ha incominciato la guerra civile con la fucilazione parziale degli operai; e organizza regie guardie e fascisti per intraprendere la fucilazione in massa del proletariato italiano.
Cosí la crisi economica e finanziaria, rende piú acuta in Italia la lotta di classe e crea una situazione rivoluzionaria. E soltanto coloro che chiudono volontariamente gli occhi dinanzi ai fatti piú evidenti e piú eloquenti, possono negare l'esistenza e l'aggravarsi di questa situazione rivoluzionaria[...]

[...]e. La produzione nel mondo capitalista intero, ma soprattutto nei paesi dell'Europa continentale, si trova nella seguente condizione: il massacro di decine di milioni di operai e contadini e la invalidità di altre decine di milioni, significa la distruzione di altrettante forze produttive viventi. Ma la guerra ha anche distrutto una grande quantità di mezzi di produzione, di materie prime e di mezzi di trasporto: conseguenza inevitabile di tutto ciò, è la diminuzione della produzione generale.
La guerra, addossando agli Stati enormi debiti, e aumentando enormemente la quantità di carta moneta, ha cagionato il deprezzamento dei valori monetari in tutti i paesi capitalisti, fatta eccezione per l'America e per una parte dell'Inghilterra. E ciò, dopo la distruzione dei mezzi di trasporto, è l'altra causa dello sfacelo del commercio internazionale odierno. Oggi, il mondo capitalista si trova in queste condizioni: mentre i depositi dei capitalisti americani sono rigurgitanti di merce, i proprietari non possono esportare queste merci stesse a cagione del deprezzamento del valore della moneta nei paesi europei. I « trusts » americani chiudono le fabbriche e gettano sul lastrico milioni di operai in preda alla disoccupazione, nel tempo stesso in cui i popoli europei cadono in una miseria piú nera a cagione della mancanza di prodotti industriali. D'altra parte, i paesi industriali, che hanno bisogno di materie prime, come, ad[...]

[...]a borghesia ha trovato il collocamento migliore dei suoi capitali nelle grandi industrie militari e nei prestiti per l'esercito. Le ricchezze colossali, da essa accumulate durante la guerra, non sono oggi collocate nelle industrie, perché questa borghesia non vi può trovare il medesimo utile. Insieme con i capitali accumulati, la borghesia accumula anche le materie prime ed i prodotti di largo consu
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mo, monopolizza la produzione ed il commercio di questi prodotti all'interno ed all'estero, si getta in una speculazione accanita ed aumenta, senza limite, i prezzi di tutte le merci. La guerra imperialista ha aumentato e fortificato l'accentramento del capitale. Il monopolio capitalista sui mezzi di produzione: la terra, le materie prime e i prodotti di largo consumo, ha preso proporzioni mostruose. Ed il monopolio capitalista è la causa principale della crescente miseria. Ma il caroviveri che aumenta senza tregua, costituisce un nuovo inciampo per la. produzione, perché porta con sé anche l'aumento dei prezzi delle materie prime e dimi[...]

[...]ità, aumentano in una proporzione molto piú grande che i salari operai. Seconda i dati ufficiali, in Inghilterra il prezzo dei viveri é aumentato di circa il 160 % e i salari degli operai soltanto del 130 %, in Francia il rialzo dei prezzi é del 300 %, quello dei salari del 200 %, ecc. La sproporzione effettiva fra l'aumento del prezzo dei viveri ed i salari è assai rilevante.
Quando gli operai tentano di aumentare i propri salari mediante gli scioperi, la borghesia risponde con il lockaut, alla domanda per la introduzione dei controlli sulla produzione, la borghesia risponde con la esportazione dei capitali e delle macchine. E quando gli operai, spinti dalla necessità di conservare la produzione per poter lavorare e vivere, occupano le fabbriche, la borghesia si vale di tutti i mezzi e della forza, per schiacciare questa forza rivoluzionaria degli operai. Essa organizza un esercito mercenario ed una guardia bianca, prepara ad annegare il proletariato nel sangue. La borghesia, per mantenere i suoi grandi guadagni, la sua proprietà sui m[...]

[...] la prima volta nella storia, i metodi rivolu
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zionari per la demolizione dello Stato capitalista e per il consolidamento di un nuovo Stato proletario socialista; organizza in pratica la dittatura del proletariato ed ha già incominciata l'organizzazione della costruzione della società comunista. Il proletariato internazionale, non soltanto non pub trascurare l'esperienza della rivoluzione russa, ma trae da essa le piú grandi lezioni. Oltre a ciò il proletariato internazionale viene sempre maggiormente acquistando coscienza di questo: che lo schiacciamento della rivoluzione russa sarebbe equivalso al proprio schiacciamento e che, quando esso sostiene la rivoluzione russa, assicura la vittoria della rivoluzione proletaria internazionale. E dunque perfettamente comprensibile e naturale che oggi, alla testa del movimento proletario internazionale, cammini il proletariato russo e che l'Internazionale comunista tragga profitto nella misura maggiore dei principi, della tattica, dei metodi d'organizzazione e di lotta del proletariato rivoluz[...]

[...]elo fra la dichiarazione di Serrati e la risoluzione dei riformisti votata a Reggio Emilia, vedrete chiaramente che il compagno Serrati si è definitivamente collocato sul terreno dei riformisti. (Interruzioni e rumori vivaci in tutta la sala. Violenti battibecchi fra secessionisti e unitari che obbligano l'oratore ad interrompere la lettura).
ROBERTO, presidente: Adesso che vi siete calmati, per non rendere impossibile il funzionamento dell'ufficio di presidenza, vi prego di rimanere tranquilli. Si tratta di ragionare e non di fare del chiasso. Capisco l'esplosione del sentimento, e siamo tutti disposti a riconoscerla giusta, ma è anche necessario che si continuino i nostri lavori poiché altrimenti qui si compirebbe un sabotaggio e non piú una discussione. (Applausi). Prego quindi, in nome di quei principi reciproci di sopportazione, di far continuare in calma la lettura, alla quale sarà possibile ad ogni frazione rispondere esaurientemente. (Approvazioni).
MISIANO (continuando la lettura): Poiché, quale è oggi la differenza fra gli op[...]

[...] passaggio alla controrivoluzione. Il compagno Serrati, e quanti lo sorreggono, accettando le basi teoriche dell'opportunismo e del riformismo, sono naturalmente costretti ad accettare anche la loro concezione sulle questioni attuali della lotta del proletariato, ad approvare ed accettare la loro tattica. Noi ringraziamo il compagno Serrati della sua franchezza in questa occasione. Oggi Serrati riconosce francamente la concentrazione socialista. Ciò serve a gettare una gran luce sulla situazione.
Il compagno Serrati non riconosce che l'occupazione delle fabbriche da parte degli operai è un fatto di carattere rivoluzionario; si tratta, invece, di un atto rivoluzionario per eccellenza ! Poiché gli operai sono spinti a questa azione dal lockaut e dal sabotaggio della borghesia, poiché con l'occupazione delle fabbriche, essi vogliono strappare la produzione dalle mani della borghesia e trasformare le relazioni della proprietà: abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione e trasformarla in proprietà collettiva della società. Un'altra[...]

[...]iamo aderenti, ha perfettamente il diritto di dire tutta la sua opinione, e se questa opinione può essere offensiva per qualcuno di noi, noi dobbiamo accettare anche l'offesa: ce ne difenderemo dopo. (Applausi). Non abbiate timore, o compagni, non crediate che coloro che voi sentite in certo qual modo diminuiti da apprezzamenti che ritenete errati, non abbiano la capacità e la possibilità di esporre tutta ed intera la loro difesa, anzi, io vi faccio osservare che questa vostra irritazione, queste vostre interruzioni, questo vostro — quasi, almeno in apparenza — tentativo di sabotaggio (e tale potrebbe parere a chi non conosce le nostre discussioni, a chi non sa come noi poco rispettiamo tutte le autorità, come siamo per eccellenza individualisti ed anarchici di temperamento), queste interruzioni potrebbero far credere che noi non abbiamo argomenti da opporre agli argomenti che questa relazione porta. Tali argomenti sono svolti in una forma alla quale non siamo abitua
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ti, ma dobbiamo abituarci un poco alla forma internazionalistic[...]

[...]ionalistica, dobbiamo abituarci a sentire i compagni nostri degli altri paesi. Siamo abituati ad una forma piú cortese, piú molle, piú aleatoria. D'altra parte invece, altri è abituato ad una forma rude. Accettiamo anche la forma rude: risponderemo con la nostra forma e dimostreremo di avere ragione.
Per queste ragioni, mi unisco completamente alla raccomandazione fatta dal compagno Kabaktceff ed a quella fatta dalla Presidenza del Congresso, acciocché questa nostra adunanza continui ad essere serena, pacifica, tranquilla, ed in essa tutti quanti possano esprimere largamente, con la massima libertà, le proprie idee. (Applausi).
MISIANO (riprende la lettura): ...il Partito, da parte sua, inceppato dai riformisti e dai comunisti unitari, dai centristi, non era in condizioni di prendere nelle sue mani la direzione di questa lotta rivoluzionaria, malgrado la maggioranza del C.C. si fosse espressa in tale senso. Il compagno Serrati nega anche il carattere rivoluzionario della occupazione delle terre di proprietà dei grandi proprietari terri[...]

[...]acolata dai riformisti e dai centristi.
È appunto su questa questione, la piú importante, quella della lotta del proletariato e delle masse lavoratrici contadine in Italia, che il compagno Serrati si trova in pieno accordo con i riformisti, ma egli è d'accordo con essi anche sul giudizio dell'azione generale dell'Italia e dell'intero mondo capitalista, quando nega che le condizioni per la rivoluzione proletaria sono mature. È forse strano, dopo ciò, che il compagno Serrati si dichiara contro l'espulsione dei riformisti e per conseguenza, si pronunci contro una di quelle piú importanti decisioni del Congresso dell'Internazionale comunista? È vero che il compagno Serrati, dopo avere fatta l'apologia dei riformisti e della loro tattica, si dichiarò, all'inizio della discussione, anche disposto a fare una conces
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sione all'Internazionale comunista, ed escludere dal Partito qualche riformista, ma egli è disposto a sacrificare qualche riformista, come persona, per salvaguardare e salvare il riformismo nel Partito, come tendenza.
Ma il c[...]

[...]borghesia. Ma questa è una interpretazione arbitraria delle tesi. Noi, comunisti dei Balcani, abbiamo anche noi condotto una latta lunga ed accanita contro la nostra borghesia che, con la sua politica nazionalista di conquista, ha spinto i popoli balcanici nelle guerre balcaniche, e, piú tardi, nella grande guerra imperialista. Noi continuiamo ancora oggi, con crescente energia, la nostra lotta contro la nostra borghesia nazionalista e, malgrado ciò, noi accettiamo completamente le tesi della Internazionale comunista sulle questioni nazionali e coloniali, perché con queste tesi, l'Internazionale comunista non preconizza la unione con la borghesia nazionalista, ma, al contrario, obbliga tutti i Partiti comunisti a lottare contro la politica di conquista della borghesia nazionalista, e a sostenere i popoli soggetti delle colonie nella loro lotta contro i Governi imperialisti. L'unione del proletariato, non già con la borghesia nazionalista, ma con i popoli soggetti e sfruttati: ecco la tattica dell'I.C. sanzionata dalle tesi sulla question[...]

[...] I Governi imperialisti attaccati dal proletariato nell'interno dei loro paesi e dai popoli oppressi all'esterno, saranno finalmente spazzati via.
Ecco il profondo senso rivoluzionario delle tesi sulla questione nazionale e coloniale accettate dalla I.C. Ma il compagno Serrati non pub
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o non vuole comprendere questo significato, ed accusa l'Internazionale comunista di aver preparato l'unione con le classi dominanti dei paesi coloniali, e perciò di aver tradito le tradizioni rivoluzionarie del socialismo. Ancora una volta il compagno Serrati cade in un profondo errore. Proprio Marx ed Engels furono quelli che con la piú grande energia lottarono per la liberazione dei popoli irlandesi e polacchi. L'I.C. continua questa gloriosa tradizione rivoluzionaria dei fondatori del comunismo. Le accuse del compagno Serrati sono dimostrate false dai seguenti brani delle tesi accettate dal primo Congresso dei popoli orientali a Baku:
« La rivoluzione delle masse lavoratrici nei paesi orientali non sarà condotta a termine che con la soppressione d[...]

[...]ccettare o no, di realizzare o no, le decisioni dell'Internazionale?
È precisamente questa celebre « autonomia », giustificata sempre con le « condizioni particolari » e con il « principio della libertà », quella che ha infranto i legami fra i diversi Partiti nella Seconda Internazionale e l'ha infine condotta al suo fallimento completo. La Seconda Internazionale non era un organo unificato e centralizzato del proletariato internazionale. L'Ufficio socialista internazionale, si era trasformato in una buca delle lettere, ed ogni Partito piccoloborghese che si
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dicesse socialista e proponesse la sua adesione, era accettato nell'Internazionale poiché questa si accontentava di una dichiarazione stereotipata e schematica da parte dei Partiti che aderivano ad essa, e non si interessava piú della loro tattica e della loro azione reale.
Quando il nostro Partito — il Partito comunista bulgaro — chiamava in passato il Partita dei socialisti « stretti » a levare ancora la sua voce al Congresso di Copenaghen del 1910 contro questa politica del[...]

[...]nternazionale poiché questa si accontentava di una dichiarazione stereotipata e schematica da parte dei Partiti che aderivano ad essa, e non si interessava piú della loro tattica e della loro azione reale.
Quando il nostro Partito — il Partito comunista bulgaro — chiamava in passato il Partita dei socialisti « stretti » a levare ancora la sua voce al Congresso di Copenaghen del 1910 contro questa politica della Seconda Internazionale e dell'Ufficio socialista internazionale, e quando ha domandato l'esclusione degli opportunisti bulgari (chiamati socialisti « larghi »), l'Internazionale è rimasta muta dinanzi a tale protesta. Ebbene: i socialisti « larghi », durante la guerra, hanno sorretto la borghesia nazionalista e dopo la guerra sono divenuti ministri, e per salvare il regime borghesemonarchico in Bulgaria, non si sono peritati di fare scorrere il sangue degli operai bulgari. Gli opportunisti nell'intero mondo hanno tradito nel 1914, nel momento decisivo. Questo tradimento della Seconda Internazionale è dovuto sovratutto a questo: c[...]

[...]ternazionale del proletariato nel 1914 ed ha lasciato che la classe operaia fosse trascinata dalla borghesia, non potendo impedire l'inutile massacro degli operai in tutti i paesi.
Ebbene: (panda i riformisti ed i semi riformisti ritornano sui loro vecchi ed usati argomenti per le « condizioni speciali » e per l' « autonomia », non fanno altro che ripetere gli errori dell'opportunismo della Seconda Internazionale; poiché sostengono precisamente ciò che fu la piú grande debolezza della Seconda Internazionale e che ha portato al suo vergognoso tradimento ed alla sua caduta. No. L'I.C. non può seguire la via della Seconda Internazionale in fallimento. Al contrario, essa è una organizzazione unificata e centralizzata del proletariato internazionale, con una disciplina ferrea ed una tattica unanime di azione. Il Secondo Congresso dell'Internazionale comunista, ha gettato le basi di questa organizzazione.
I Partiti comunisti debbono sacrificare una parte della propria autonomia; ma ciò essi debbono fare volontieri poiché dipende dai principi[...]

[...]gnoso tradimento ed alla sua caduta. No. L'I.C. non può seguire la via della Seconda Internazionale in fallimento. Al contrario, essa è una organizzazione unificata e centralizzata del proletariato internazionale, con una disciplina ferrea ed una tattica unanime di azione. Il Secondo Congresso dell'Internazionale comunista, ha gettato le basi di questa organizzazione.
I Partiti comunisti debbono sacrificare una parte della propria autonomia; ma ciò essi debbono fare volontieri poiché dipende dai principi e dalla tattica dell'unità nella lotta e nell'azione da parte dei Partiti aderenti all'I.C. Ma i Partiti comunisti hanno diritto di prendere parte alla direzione generale dell'Internazionale. Non è che una calunnia ed una insinuazione l'affermazione che i compagni russi usino quello che si chiama il knout russo, per maltrattare i Partiti apparte
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nenti all'Internazionale comunista. Al C.E. sono rappresentati 17 Partiti mediante uno o piú delegati: il Partito comunista russo non è rappresentato che da cinque delegati. La maggioranza [...]

[...]lla frazione comunista ed all'I.C. pretendono in pari tempo di essere pure nemici dei riformisti. In altri termini essi formano il centro e non devano protestare quando noi li chiamiamo centristi. Ma il centro ed i
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centristi sostengono la parte piú nefasta nel movimento operaio dopo la guerra imperialistica. I riformisti ed i socialpatrioti, che durante la guerra sono stati apertamente in favore della pace civile con la borghesia, che hanno cioè sostenuto la guerra imperialistica e dopo di essa sono entrati in gran parte nei Governi capitalistici, sono passati apertamente nel campo dei controrivoluzionari ed hanno sparso il sangue di migliaia di operai per schiacciare la rivoluzione comunista (Scheidemann e Noske in Germania, Pastukoff e Sasikoff in Bulgaria), i riformisti ed i socialpatrioti si sono smascherati completamente. Le masse proletarie già li abbandonano. La prova piú eloquente di questo fatto sta nel fallimento della Seconda Internazionale, alla quale essi aderivano. Ma oggi i nemici piú pericolosi della rivoluzione prol[...]

[...]f e Sasikoff in Bulgaria), i riformisti ed i socialpatrioti si sono smascherati completamente. Le masse proletarie già li abbandonano. La prova piú eloquente di questo fatto sta nel fallimento della Seconda Internazionale, alla quale essi aderivano. Ma oggi i nemici piú pericolosi della rivoluzione proletaria sono i centristi perché essi, mentre a parole si dichiarano nemici dei riformisti, di fatto ne continuano la politica. Prendete ad esempio ció che hanno fatto i centristi in Germania dopo la rivoluzione del novembre 1918. Nel momenta piú decisivo, quando davanti al proletariato tedesco era aperta la via di una piú stretta alleanza colla rivoluzione proletaria russa, colla Russia sovietista, una alleanza che avrebbe consolidato definitivamente la rivoluzione proletaria russa, una alleanza che avrebbe risparmiato molte vittime al proletariato tedesco ed avrebbe accelerato la vittoria della rivoluzione proletaria universale, proprio in quel momento il centro ed i centristi tedeschi, guidati da Kautsky, Haase, Dittmann, Crispien, ecc., [...]

[...]centro, nei momenti piú decisivi della lotta rivoluzionaria del proletariato tedesco durante i mesi di gennaio e marzo 1919, come durante i mesi di marzo ed aprile 1920, quando le masse operaie avevano perduto la fiducia nei socialpatrioti e quando dalla loro adesione alla minoranza comunista dipendeva la vittoria della rivoluzione, in quel momento i centristi hanno paralizzato l'azione del proletariato, lo hanno condannato alla inattività e con ciò hanno preparato il suo schiacciamento. Nel movimento operaio internazionale, il centro è oggi il principale sostegno del dominio della borghesia e della controrivoluzione internazionale.
I centristi italiani che si chiamano comunisti unitari adempiono lo stesso compito. (Rumori). Con la loro fraseologia confusionaria essi confondono e dissimulano le differenze tra il comunismo e l'opportu
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nismo, essi impediscono ed ostacolano la emancipazione delle masse dalla influenza dei riformisti e dei socialpatrioti, essi impediscono lo sviluppo della coscienza rivoluzionaria e della organizzazion[...]

[...] comunista vi chiede di correggere i vostri errori e le vostre manchevolezze e di raccogliervi con coraggio e dignità sotto il suo stendardo rivoluzionario spiegato.
L'Italia si trova in una crisi rivoluzionaria permanente. Dopo la guerra, durante l'estate del 1919, è cominciato il movimento di masse contro il rincaro dei viveri, il quale in molte località é giunto fino alla creazione dei Consigli di operai e delle guardie rosse. Da allora gli scioperi e le insurrezioni operaie parziali sono diventate sempre piú numerose e violente. Ma questi episodi di lotta rivoluzionaria non si sono organicamente unificati in una lotta rivoluzionaria comune, coscientemente diretta verso la conquista del potere politico e verso la instaurazione della dittatura proletaria: sono rimasti sporadici e separati, privi di un piano e di una direzione comune. La borghesia ed il Governo approfittano di questa debolezza del movimento rivoluzionario per sconfiggerlo in episodi separati. Le fucilate parziali e le provocazioni organizzate dalla reazione borghese di[...]

[...] guerra era scosso ad un punto tale che essa non riusciva piú a respingere gli attacchi della classe operaia, a poco a poco si è rafforzata. Essa si organizza ogni giorno di piú e diventa ogni giorno piú insolente e piú violenta nello schiacciare i tentativi di lotta degli operai. La borghesia ha organizzato un corpo speciale di mercenari ed una guardia bianca con i quali oggi essa compie gli eccidi e le provocazioni parziali per spezzare lo slancio rivoluzionario, per disorganizzare le forze proletarie, per creare tra operai e contadini in latta il terrore, lo smarrimento e l'apatia. Domani la borghesia, se il proletariato le lascia il tempo di rafforzarsi e di organizzarsi ancora di piú, passerà dalla difensiva all'offensiva (applausi), e cercherà di dare colpi mortali alla rivoluzione italiana schiacciando le forze del proletariato nei principali centri industriali.
In tutto il mondo capitalistico la borghesia internazionale, per
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schiacciare la rivoluzione proletaria in marcia, scatena con sempre maggiore intensità la guerra civ[...]

[...]n vi sono riusciti. Il popolo rivoluzionario russo ha respinto eroicamente tutti gli attacchi, ed oggi la grande Repubblica sovietista è piú forte che mai, tanto che se sarà spinto contra di essa qualcun altro degli Stati vassalli dell'Intesa, essa ha forze sufficienti non solo per respingere l'attacco, ma per passare dalla difensiva alla offensiva, per mettere fine a queste provocazioni e per garantire il suo pacifico sviluppo. Ma essa può fare ciò ad una sola condizione: che il proletariato europeo le tenda una mano fraterna e si risollevi per unire le sue forze a quelle del proletariato russo. Perciò oggi non basta piú, nei riguardi della Russia, usare la parola neutralità. Anche il proletariato europeo deve passare dalla difensiva all'offensiva e l'Internazionale comunista non fa altro che unire, organizzare e centralizzare le forze proletarie del mondo intero per questa offensiva.
In queste condizioni il Partita comunista italiano ha un dovere supremo ed urgente, quello di creare subito una organizzazione ben centralizzata e disciplinata del proletariato italiano, di unificare e coordi
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nare gli sforzi rivoluzionari parziali in un grande e profondo movimento rivoluzionario e di dir[...]

[...]overe di ogni Partito socialista e dell'Internazionale, dovere che è stato compiuto dai Partiti comunisti in quasi tutti i paesi, è quello di liberarsi dagli opportunisti. Questo dovere deve essere compiuto anche dal Partita italiano. Come condizione preliminare per la sua origine ed il suo sviluppo, il Congresso deve accettare le decisioni del 2° Congresso dell'Internazionale comunista ed escludere i riformisti dal Partito. I comunisti unitari, cioè i centristi, hanno libertà di scegliere una di queste due vie: o accettare questa deliberazione dell'Internazionale comunista, la quale è contenuta nella mozione proposta dalla frazione comunista, o uscire dall'Internazionale comunista insieme ai riformisti. (Applausi).
Noi siamo convinti che la grande maggioranza del proletariato italiano andrà coll'Internazionale comunista e non coi riformisti. Noi vogliamo credere, altre a ciò, che parecchi di coloro che finora sono stati dubbiosi si decideranno infine a prendere una posizione netta schierandosi decisamente sotto la bandiera dell'Internazionale comunista che è pure la bandiera della rivoluzione proletaria russa. Non v'è piú tempo per le esitazioni. Ognuno deve scegliere il suo posto nella lotta: a sinistra o a destra. La rivoluzione proletaria ha diviso il mondo in due campi: non vi è posto per un centro nella rivoluzione. (Applausi).
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Il centro è condannato a essere spazzato via dall'uragano rivoluzionario e i membri di esso saranno infine costretti a schierar[...]

[...]li ed alle vittime che il proletariato dovrebbe affrontare nella rivoluzione? (Applausi).
Mille volte no. Le vittime che gli operai ed i contadini russi hanno dato, durante tre anni di rivoluzione e di guerra civile, sono centinaia di volte meno numerose di quelle che essi hanno dato durante tre anni di guerra imperialistica.
Se il proletariato russo con tale eroismo affronta la miseria, i dolori e le vittime che la rivoluzione impone, esso fa ciò per conquistare e garantire la sua emancipazione. L'Internazionale comunista invita il proletariato internazionale ed i popoli oppressi del mondo intero a non piú sopportare la miseria e le vittime imposte loro dalla tirannide della borghesia. Se è necessario sacrificare delle vittime, si sacrifichino, ma non per sostenere questa tirannide, bensí per spezzare le catene della schiavitú capitalistica e per emanciparsi da essa definitivamente. (Ap plausi).
Il pericolo di un blocco economico — conclude Kabaktceff — e di una guerra controrivoluzionaria contro l'Italia, non è un pericolo immaginar[...]

[...]taglia, come finora era il proletariato russo facendo quello che ha fatto.
Noi, compagni, in Svizzera siamo in un altro caso. Noi tendiamo alla scissione perché nel nostro Partito, quelli che hanno finora la maggioranza, non vogliono aderire alla Terza Internazionale, non vogliono andare con la Russia, con Lenin, con Trotsky, ma vogliono andare coi Dittmann: vogliono andare a Vienna: noi vogliamo, invece, essere con la Terza Internazionale e perciò ci scindiamo da loro e andiamo col proletariato internazionale.
Concludo il mio breve discorso invitandovi a gridare insieme a me: « Viva la Terza Internazionale comunista !». (Applausi).
La seduta é tolta alle ore 13.
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da Baratono (relatore per la mozione unitaria) con presentazione di Argentina Altobelli (presidente), e Giovanni Bacci, Discorso di Baratono in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]re soprattutto pen
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sando a quelle masse che sono dietro noi (bene), a quelle Sezioni che vi hanno mandato essendo nella quasi totalità Sezioni comuniste, a quelle infinite moltitudini di lavoratori le quali, in questo momento, non si interessano delle nostre divisioni interne, ma si interessano di qualche cosa di piú importante per loro, che é la loro storia; a quelle masse, in nome delle quali ieri un pallido giovinetto parlava di « fantoccio unitario », ma che invece, proprio, sono profondamente unitarie. (Benissimo! Vivi applausi prolungati e ripetuti. Rumori dai palchi dei comunisti).
Compagni, io vi prego di rendere possibile la esplicazione completa del pensiero della frazione, di rendere possibile a chi viene qui senza secondi fini, senza scopi personali, senza alcun motivo egoistico o utilitario, di esprimere tutto e completamente il suo pensiero. E vedrete che ci avremo tutti da guadagnare
Lasciatemi dunque parlare, o compagni, e mi rivolgo specialmente ai compagni della tendenza comunista... (Interruzioni ripetute da va[...]

[...]ene qui senza secondi fini, senza scopi personali, senza alcun motivo egoistico o utilitario, di esprimere tutto e completamente il suo pensiero. E vedrete che ci avremo tutti da guadagnare
Lasciatemi dunque parlare, o compagni, e mi rivolgo specialmente ai compagni della tendenza comunista... (Interruzioni ripetute da varie parti, rumori prolungati. In questo momento sale sul banco della Presidenza Giacinto Menotti Serrati, accolto da uno scroscio di applausi entusiastici da parte della grandissima maggioranza dei congressisti, e da urla assordanti da parte della minoranza comunista).
Vi avverto, compagni, che io intendo assolutamente di parlare e starò qui fino a questa sera, magari, ma intendo di esporre tutto il mio pensiero. (Benissimo).
Per il vocabolario e perché non si equivochi, stabiliamo dunque subito, senza che nessuno tumulti, che io chiamerò « comunista » la frazione che cosí si vuol denominare, chiamerò « unitaria » la nostra frazione e chiamerò « concentrista » la terza frazione.
Voci: Riformista ! (Rumori vivissimi).[...]

[...]al pappagalleggiamento di Wilson, lo smascheramento di Versailles, dell'Intesa, e che ancora oggi seguita a fare la piú grande politica internazionale.
E mi domandavo se questo fatto che qui nell'interno del Partito socialista italiano avviene non fosse che un semplice episodio di questa grandiosa, meravigliosa lotta che la Terza Internazionale sostiene per preparare il domani a tutti i paesi; mi domandavo se non fosse altro che il medesimo di ciò che è avvenuto, per giustissima imposizione russa, nelle altre nazioni vicine a noi.
Ma quando — compagni, è tutta qui la questione — quando, per bocca del compagno Kabaktceff, la Russia . ci dice che noi, tendenza unitaria, maggioranza del Partito, siamo degli opportunisti, che soltanto per accarezzare le masse fingiamo di essere favorevoli alla Terza Internazionale; quando la Russia ci dice che noi ci accontenteremo di espellere dal nostro Partito due, tre, cinque riformisti per mantenere il
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riformismo dentro il nostro Partito, allora io mi rivolgo ai compagni comunisti e dico loro: [...]

[...]n maggioranza e minoranza; e poi si è propagata nel Partito socialista e nelle Sezioni.
La diversità del nostro criterio nell'apprezzamento di quel messaggio era una diversità di particolari, ed ancora oggi è diversità di particolari; non era una diversità tale da fondarsi sopra una divisione in due Partiti.
La Terza Internazionale, avendo tenuto un Congresso, il Secondo Congresso di Mosca, avendo in questo Congresso deliberato su alcune tesi, cioè su alcuni punti programmatici del nostro Partito, tesi che riguardano la vita di tutte le sezioni, che hanno quindi un valore internazionale, ed avendo da queste tesi estratto un regolamento, ossia una serie di applicazioni, o condizioni (i 21 punti), impone a tutte le Sezioni nazionali dell'Internazionale di aderire a questo regolamento.
Ieri il compagno Graziadei vi ha fatto largamente l'esposizione della questione. Al compagno Graziadei, uomo di studio, uomo di pensiero, abituato ad appoggiare le sue critiche sopra i documenti, io avrei voluto chiedere semplicemente una cosa; l'avrei chi[...]

[...]amento, ossia una serie di applicazioni, o condizioni (i 21 punti), impone a tutte le Sezioni nazionali dell'Internazionale di aderire a questo regolamento.
Ieri il compagno Graziadei vi ha fatto largamente l'esposizione della questione. Al compagno Graziadei, uomo di studio, uomo di pensiero, abituato ad appoggiare le sue critiche sopra i documenti, io avrei voluto chiedere semplicemente una cosa; l'avrei chiesta alla sua lealtà: di ricordarsi cioè che tutto ciò che egli ha detto ieri, noi lo avevamo scritto, noi, unitari, contro cui egli soprattutto ha diretto ieri i suoi strali: e quindi domando a Graziadei: perché se tu, ieri, a proposito della disciplina dell'Internazionale di Mosca e del modo dell'applicazione dei 21 punti di Mosca sei perfettamente d'accordo con ciò che noi abbiamo detto, ed abbiamo detto in un articolo, non in una conferenza, ma in una relazione ufficiale della nostra tendenza, perché ti pensi tu in disaccordo da noi? Perché tu ci consideri come tuoi avversari? Giacché tu soprattutto intendesti dimostrare a questa assemblea che ci fosse un divario tra coloro che sono con te, e che soli riconosci come comunisti, e noi in questo momenta trattati quasi da socialdemocratici e da traditori.
Noi abbiamo molto chiaramente espresso il nostro pensiero: i 21 punti di Mosca hanno certamente valore internazionale. La Terza Internazionale si è trov[...]

[...]alisti dei vari paesi c'erano degli elementi socialpatrioti, c'erano degli elementi socialdemocratici che avevano fatto deviare le Sezioni del Partito. Era un postulato essenziale, una necessità assoluta per la rivolu
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zione russa di pretendere che in tutti i paesi, finalmente, il Partito socialista prendesse la via di sinistra, prendesse la via della rivoluzione, prendesse la via di Mosca, la via della dittatura del proletariato.
In ciò Zinowieff è stato chiarissimo, e noi stessi abbiamo ricordato quella lettera di Zinowieff in data 23 ottobre al proletariato francese, che il compagno Graziadei ieri ha citato, nella quale Zinowieff dice questo: « trattasi per l'Internazionale di Mosca, non dell'applicazione di due o di dieci o di venti punti, trattasi unicamente di decidere se da ora in poi i Partiti socialisti debbano andare verso la rivoluzione e il comunismo, ovvero debbano ancora perdersi per i vicoletti della piccola borghesia stagnante nella società borghese presente ».
Comprendiamo quindi tutta la necessità che aveva[...]

[...]nale comunista sia espulso dal Partito.
Posizione semplicissima che Zinowieff ha ripetuto ai francesi; ma avendo detto loro di piú che cosa? Mettete il coltello alla gola a questa gente: le couteau à la gorge. E col coltello alla gola, se è necessario, anche noi porremo questa domanda ai nostri destri d'Italia, quantunque dobbiamo riconoscere, come è giusto e leale, che i nostri destri d'Italia corrispondono poi ai sinistri di altre nazioni. Ma ciò non importa niente (applausi vivissimi della maggioranza, ululati dei comunisti), anzi è gloria nostra di essere all'avanguardia degli altri paesi (esclusa la Russia) nella posizione che ha il socialismo di fronte ai problemi rivoluzionari. Non importa niente, anzi non siamo tenuti dalla stessa storia del nostro passato ad un maggior rigore; ed oggi qui noi, ripeto, anche col coltello alla gola, metteremo ai compagni dell'ala destra la doman
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da se accettano o non accettano da ora in poi i 21 punti di Mosca, ossia i principi sanciti dalla Terza Internazionale. (Commenti animati).
E con [...]

[...]l dissenso, della discordia, della divisione, della formazione di nuovi Partiti, frantumando il Partito socialista esistente. Ci dev'essere una causa piú profonda o piú generale, che non riguarda affatto la disciplina della Terza Internazionale. Si tratta quindi di cercarla, o compagni che avete interrotto dicendo che la causa della nostra diversità di vedute sta nella Terza Internazionale. Si tratta di cercare — e Graziadei mi darà ragione — se ciò che ci divide è una questione di ragione nazionale o è una questione di ragione internazionale.
Perché nel secondo caso chi decide è Mosca, giustamente, legittimamente; ma nel primo caso chi deve decidere siamo noi.
Naturalmente il problema si è complicato per il fatto che nella polemica sono entrati dei compagni che appartengono alla Terza Internazionale, che alla polemica hanno preso parte uomini come Lenin, come Zinowieff, e che dalla loro bocca ci vengono le critiche stesse che per primi ci mossero dei compagni d'Italia, critiche che in gran parte noi avevamo accettato perché riguardant[...]

[...]..
Una voce dal palco dei comunisti: Non è questo il senso !
BARATONO: Correggerete ancora.
A queste critiche, e quindi ai rimproveri, e quindi alla diversa tattica che dovremmo seguire se queste critiche e questi rimproveri fossero giusti, noi della tendenza unitaria che cosa rispondiamo?
Rispondiamo che noi guardiamo ai fatti, che noi guardiamo gli avvenimenti con occhio piú sereno di voi. Rispondiamo, cari compagni: non si può aver sempre ciò che si desidera, e non basta desiderare e volere per realizzare, ché, se cosí fosse, saremmo tutti felici; ma noi sappiamo per le dure esperienze che il nostro Partita ha passato, che bisogna fare i conti con le condizioni reali, e vi rispondiamo: non è questione di diversa volontà, di diverso fine, di diversa tendenza, è questione di diversa valutazione, è questione di diversa apprezzamento. Diverso, anche qui, solamente in particolari; non già diverso nel senso che anche noi non crediamo tutto quello che ci esponeva questa mattina in quella sua magnifica lettera il compagno di Bulgaria, qua[...]

[...]hesi italiani in confronto degli stessi istituti di altri paesi vicini, perché la libertà relativa che godiamo in Italia è appunto l'effetto della debolezza degli organi costituzionali italiani, i quali non poggiano su una forte e compatta classe dominante; come è anche l'effetto della nostra forza che in Italia è enormemente superiore — in relazione, si intende — alla forza che ha il Partito socialista nei paesi vicini. Siamo d'accordo su tutto ciò.
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Dove non siamo d'accordo? Su particolari, su contingenze di fatto semplicemente.
Per esempio, ne colgo una a volo: quella lettera lettaci dal compagno Kabaktceff a nome dei compagni di Mosca diceva che in Italia c'è uno stato di miseria disperata dopo la guerra.
Siamo sinceri, compagni che venite dai lavoratori dei campi e delle città: la miseria ci sarà, perché precipitiamo verso la disoccupazione e la fame, ma disperata miseria non c'era nel giorno nel quale, secondocostoro, noi avremmo dovuto fare la rivoluzione e non l'avremmo fatta per l'intervento dei socialisti di destra. (Ooo[...]

[...]irmata <c II Comitato esecutivo della Terza Internazionale », pubblicata anzi prima sull'Avanti ! di Torino, 1'11 dicembre, e poi su quello di Milano, dove c'era un periodo molto chiaro che parlava perfino, compagni, di invio di grano, aiuti da parte della Russia. Ed in quella lettera si diceva che immediatamente ci sarebbe venuto il sostegno dei Partiti socialisti delle nazioni consorelle.
È una piccola questione: in fondo noi siamo d'accordo, cioè non ci facciamo illusioni, ma il non farsi illusioni implica naturalmente, non il fatto che si esiti o che si voglia andare indietro, ma il fatto che non si voglia quello che potrebbe mal riuscire domani; il fatto che si possa domani avere una diversa valutazione dell'opportunità particolare nazionale, locale, nella quale siamo noi i giudici competenti. E questo solo noi rispondiamo a Mosca. Rispondiamo a Mosca: permetteteci di valutare la situazione nostra coi nostri occhi in ciò per cui questa situazione è nazionale, è fatto nostro, di cui noi conosciamo le condizioni, di cui noi conosciam[...]

[...] non farsi illusioni implica naturalmente, non il fatto che si esiti o che si voglia andare indietro, ma il fatto che non si voglia quello che potrebbe mal riuscire domani; il fatto che si possa domani avere una diversa valutazione dell'opportunità particolare nazionale, locale, nella quale siamo noi i giudici competenti. E questo solo noi rispondiamo a Mosca. Rispondiamo a Mosca: permetteteci di valutare la situazione nostra coi nostri occhi in ciò per cui questa situazione è nazionale, è fatto nostro, di cui noi conosciamo le condizioni, di cui noi conosciamo le cause, la portata, gli effetti.
E diciamo ancora ai compagni di Russia: non siamo affatto alieni, non escludiamo affatto che se a voi, compagni dell'Internazionale, pei bisogni dell'Internazionale, sembrasse un giorno necessario anche il sacrificio del Partita d'Italia, noi saremo pronti a farlo: ma almeno questo vi domandiamo: di poterne discutere con voi, di poterci sentire uniti con voi, non di ricevere ordini ma di avere con voi una collaborazione continua, di avere un contatto continuo fra la Direzione del Partito socialista italiano e la Commissione esecutiva della Terza Internazionale. (Bene!). Vi domandiamo un contatto piú stretto, una intimità piú amichevole, una collaborazione piú chiara e piú libera; e questo è stato chiamato essere avversari, essere nemici della Rivoluzione russa.
Ci hanno imputati per questo di voler contr[...]

[...]li) non ne parlerei se non ci fosse la circostanza che io era nella Direzione del Partita e che nessun altro fra gli oratori potrà riferirne come testimone oltre Gennari, perché Serrati era ancora in Russia, quantunque una vignetta lo rappresenti addormentato, in quei giorni.
Ed anche qui mi rivolgo al compagno Gennari: poniamo la questione nel fatto, senza nessuna intenzionalità, e cerchiamo di ricostruire la storia di quei giorni.
Io ricordo ciò che ho osservato; quelle ore, le ho seguite, le ho vissute; se voi credete che venga in malafede a parlare e a cercare di modificare i fatti, ditemelo subito, piuttosto che interrompermi dopo, ed io tacerò; ma se voi ammettete la buona fede di un uomo, la storia é questa, molto semplice, esposta non per difendere uomini o tendenze riformistiche, ma per dimostrare anzi, che nemmeno allora si trattò di influenza del riformismo e meno ancora di dominio che questo abbia preso sopra il Partito. Poiché, diciamolo subito, la migliore prova che i nostri socialdemocratici non dominarono sul Partito, s[...]

[...]mille buone occasioni e non lo fecero.
Ieri Graziadei diceva che bisogna guardare la realtà storica secondo certi momenti, certe circostanze che ne stabiliscono il valore; e diceva questo per svalutare l'opera dei socialisti italiani che sono stati tutti, o in grandissima maggioranza, contro la guerra, nessuno dei quali ha voluto i crediti di guerra, osservando che in Italia c'erano condizioni piú propizie che in altri paesi, e lo sforzo era perciò assai minore.
Orbene, io dico a lui la stessa cosa: riconosciamo, compagno Graziadei, che l'aver preso possesso delle fabbriche, nel modo con cui s'è avverato in Italia, era una condizione assai piú propizia di quella che sarebbe stata se in quel momento il Governo, per sue ragioni borghesi, non avesse in certo senso lasciato fare e consentito. Adunque, per intanto, teniamo presente questo fattore. Né diteci subito che c'era una situazione insurrezionale sol perché i nostri operai erano in possesso delle fabbriche, dal momenta che erano in possesso delle fabbriche pacificamente.
Quei giorni[...]

[...]seguito fino ad oggi; si dice: « andiamo a vanti », ma il passato giudichiamolo onestamente; diciamo che nel passato, non per nostra volontà, non per nostra colpa, non per la presenza di tre, di cinque, di venti persone, ma per condizioni assai piú profonde, e nazionali e internazionali, il rivolgimento non si è potuto eseguire in Italia. Diciamo questo, onestamente, e non divenga quindi un'accusa al Partito socialista italiano non aver ottenuto ciò che non poteva assolutamente raggiungere. Non divenga un'accusa verso la Direzione, ed è strano, è meraviglioso che Gennari non accolga questa accusa...
GENNARI: Non l'accolgo. Non c'è quest'accusa !
BARATONO. ...accetti questa accusa dei compagni russi, che anche questa mattina ci hanno mosso: di aver noi tradito la rivoluzione; quest'accusa per lo meno di debolezza a di codardia, di avere sabotato una rivoluzione, che secondo Lenin e Zinowieff sarebbe riuscita vittoriosa, nella piccola Italia ! mentre all'intorno già erano caduti gli altri tentativi e infieriva ovunque la piú atroce reazi[...]

[...]vi e infieriva ovunque la piú atroce reazione; mentre le stesse armi della Russia bolscevica erano state infrante a Varsavia; in Italia, piccolo povero paese senza risorse, che non poteva realizzare le speranze concepite a Bologna, non già per l'intervento di Turati o D'Aragona, ma per cause piú profonde e generali.
Noi discordiamo dai compagni di Mosca in questa critica che riguarda il passato recente del Partito socialista. Siamo d'accordo in ciò che riguarda l'avvenire; siamo perfettamente d'accordo coi compagni di Mosca nel desiderare un accentramento maggiore nel Partita socialista italiano, e un disciplinamento piú efficace, nonché una piú stretta
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dipendenza degli organismi sindacali. Siamo pronti ad accogliere tutte quelle riforme che voi, comunisti puri, vogliate portare nella riorganizzazione del Partito. Su tutto questo non abbiamo nessuna eccezione a fare. Siamo pronti a formare nuovi organi piú adatti e piú celeri, come siamo stati i primi a dire che la Direzione del Partito deve essere accentrata e deve imporsi con ma[...]

[...] quelle riforme che voi, comunisti puri, vogliate portare nella riorganizzazione del Partito. Su tutto questo non abbiamo nessuna eccezione a fare. Siamo pronti a formare nuovi organi piú adatti e piú celeri, come siamo stati i primi a dire che la Direzione del Partito deve essere accentrata e deve imporsi con maggiore autorità di oggi. Siamo stati i primi, noi stessi, a muovere le critiche all'organizzazione passata del nostro Partito.
A tutto ciò siamo disposti, ma non siamo disposti a farci dare dei codardi, dei traditori della rivoluzione, perché noi non lo siamo mai stati ! (Applausi vivissimi. Interruzioni di Bordiga. Rumori vivissimi. Tumulto).
ALTOBELLI, presidente: Sospendo la seduta fino a che tutti non saranno a posto.
(La seduta rimane sospesa per mezz'ora circa. Altobelli ritorna alla Presidenza esortando lungamente l'assemblea e specialmente quelli che sono nei palchi a non provocare tumulti. Quindi dà la parola all'oratore).
BARATONO: Le mie parole tendevano a portarvi sopra constatazioni di fatto dalle quali, se me ne[...]

[...]ore).
BARATONO: Le mie parole tendevano a portarvi sopra constatazioni di fatto dalle quali, se me ne aveste lasciato il modo e il tempo, avrei potuto trarre questa conclusione: che nel Partito socialista italiano non ci sono frazioni, c'è una sola grande tendenza comunista o massimalista che coincide con il Partito e che fino ad oggi ha fatto strada insieme ed in perfetta unità e di pensiero e di azione. E volevo dimostrarvi che soltanto artificiose o almeno esagerate interpretazioni dei fatti storici sono quelle che hanno creato le ragioni della odierna scissione fra comunisti.
Non posso per?) piú fermarmi tanto sopra questa parte, e debbo passare oltre per necessità del tempo.
Noi, comunisti della tendenza unitaria, non neghiamo certamente che vi è una parte di socialisti, che Bologna ha lasciato nel Partito socialista, i quali sono alla destra del Partito. Siamo, però, discordi nel valutare il colorito speciale di questa tendenza, in modo da poterle dare una precisa qualifica, come si fa invece dai compagni di Mosca. Siamo stati i[...]

[...]rico della parola riformismo vuol dire collaborazionismo.
Di fronte a questa domanda: «esiste il collaborazionismo come frazione del Partito socialista italiano? » noi avremo errato, la storia dirà poi la sua sentenza ultima di qui a qualche anno, nessuno è profeta nel mondo, ma insomma noi crediamo di poter definire i nostri destri come frazione collaborazionista, in quanto crediamo che non esista una frazione collaborazionista, la quale porti cioè come suo programma e cerchi di attuare nella sua attività di Partito questa tendenza a collaborare con la borghesia.
Direte: sono venuti adesso a questa concezione; direte: si sono trasformati da quelli che erano; direte: hanno mutato per la via il loro programma.
Sí, è vero, nel mondo tutto muta; molti di voi che cosa erano due, cinque anni or sono?
Voci: Anche due mesi fa !
BARATONO: Tutto muta, tutto si trasforma; ma sotto a questo fatto che noi constatiamo: che i riformisti italiani, se cosí li volete chiamare, noi li abbiamo trascinati nella nostra scia, alla nostra retroguardia, s[...]

[...] « no, voi dovete fare in quest'altro modo, perché questa è la tattica del Partito che noi difendiamo ». Abbiamo invece trovato degli uomini, che stando per temperamento, per abito mentale o professionale, alla destra del nostro Partito, solamente adesso si sono costituiti in frazione concentrista, perché li hanno spinti a costituirla, con la loro opposizione, proprio gli estremisti di sinistra. I nostri destri hanno creato questa frazione artificiosa e artifi ciale, hanno creato una frazione che s'aduna per dire che non esiste come frazione. Perché ieri Graziadei — scusa se ti cito cosí frequentemente, ma ciò avviene honoris causa — ieri Graziadei diceva, a proposito di Frossard: « quelle che contano sono le mozioni, non i discorsi ». E se fosse vero questo, se contasse soltanto la mozione di Reggio, se contasse la relazione di questa frazione non siamo piú di fronte ad un riformismo né ad un collaborazionismo, ma a della gente che ha corretto i suoi errori passati, ed è venuta dietro di noi.
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Di fronte a questo atteggiamento, concludiamo: non possiamo espellere una frazione intera, in quanta frazione; possiamo prendere provvedimenti individuali, in quanto possono esistere persone che, perché[...]

[...]one che, perché alla destra, individualmente contravvengono alla disciplina del Partito. E queste persone noi le abbiamo diagnostizzate altrettanto crudamente, se non piú di quanto hanno fatto i compagni della frazione comunista.
Si tratta in parte di uomini che hanno compiuto un'evoluzione, soprattutto intellettuale, e che si sono formata la loro mentalità soprattutto attraverso la vita del Partito nei tempi passati, prima della guerra, (panda cioè il Partito era in condizioni assai diverse da ora, appunto perché non c'era quella condizione rivoluzionaria che, voi tutti lo ammettete, la guerra stessa ha provocato in tutti i paesi; si sono formati una mentalità piccoloborghese, una mentalità dunque riformistoide, non precisamente riformista come programma, ma con un atteggiamento riformista, con una spirito di riformista.
Il loro riformismo consiste principalmente in questo: nel collocare la meta piú in qua della rivoluzione, senza negare la rivoluzione. Guardano l'immediato presente, o vivono nella sfera del parlamentarismo e del poss[...]

[...] al di qua della rivoluzione, fate del riformismo anche se quest'azione fosse violenta. Perché la differenza fra il metodo rivoluzionario e quello riformista non è nella peculiarietá di un certo atto: rivoluzionario sarebbe anche il mio atto di prendere questa bottiglia se questa bottiglia fosse <c tabú », se ci fosse una legge borghese che m'impedisse di prenderla; rivoluzionario è anche un atto sindacale, anche la conquista di un piccolo beneficio operaio, non appena gli diamo l'indirizzo che trascenda verso il fine rivoluzionario, viceversa riformista pub essere anche prendere di mira un ufficiale e colpire le guardie, cari compagni !
Cari compagni, molti di quelli che hanno votato per i comunisti, per quelli della frazione comunista, sono dei compagni che credono proprio a questo: che la rivoluzione consista nella rivolta domani mattina.
Voci: Non è vero ! (Rumori prolungati).
BARATONO: E tutti noi li conosciamo. Noi viviamo nel Partito, non ci bendiamo gli occhi, sappiamo vedere le cose.
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Ci sono infinite sfumature, convenit[...]

[...]le classi sfruttate, la quale porti automaticamente, con la latta di classe, alla rivoluzione ed alla dittatura del proletariato, ed ammettano che questo fatto debba avvenire da sé quasi che la nostra volontà non ci dovesse entrare per nulla, quasi che noi fossimo trasportati da questo fiume, per cui non ci fosse altro che da aspettare che la corrente passi e raggiunga il suo termine.
Questa concezione oggettiva li porta di conseguenza a curare ciò che è la vita quotidiana, contingente, a cercare la piccola lotta, la piccola riforma, abbandonando al fato il fine ultimo da raggiungere.
Per me la loro concezione è profondamente errata. Altrettanto come questa concezione oggettivistica di Carlo Marx, che non fu mai materialistica in tale senso, dell'assoluto oggettivismo, altrettanto errata è, però, la concezione opposta di un soggettivismo, di un volontarismo marxista che fiorisce oggi, ma è vecchia, e di cui già nel sindacalismo
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soreliano abbiamo gli elementi; questo volontarismo per cui per il cosiddetto rovesciamento della prass[...]

[...]llora le differenze erano molto maggiori, allora veramente c'erano una destra ed una sinistra opposte nel Partito socialista. Ma egli ha ugualmente ragione di concludere, che oggi questa formula é assurda, perché allora non era esiziale, per il Partita, che esistessero degli uomini che parlassero in senso opposto alla volontà dello stesso Partito, ma oggi, se è vero che si sia alla vigilia di questa benedetta rivoluzione, è impossibile ammettere ciò ! (Bene !).
È impossibile, caro Turati — uomo che tutti quelli che hanno vissuto a lungo nel Partito venerano, perché da lui molto hanno impara
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to — è impossibile, caro Turati, è impossibile, caro Treves, che il giorno in cui il Partito socialista decide un'azione, che ormai, badate, ha sempre carattere rivoluzionario, anche se si tratta di un'interpellanza al Parlamento — decide, per esempio, di non permettere l'aumento del prezzo del pane per i poveri — voi veniate fuori a criticare quest'azione ! È assolutamente inammissibile questo ! Abbiate o non abbiate ragione, nello stretto cam[...]

[...]superiore a quella dell'individuo, il diritto, la libertà del Partito, della classe dei lavoratori, del proletariato. E voi non potete in nome della
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libertà individuale contraddire ai diritti del proletariato ! (Applausi vivissimi).
È per questa ragione che noi non possiamo piú consentire, da oggi in poi, che sia ammissibile nello stesso Partito, alla vigilia della battaglia, un contrasto di questo genere, continuo, a fare a chi piú disfa ciò che gli altri hanno fatto.
Lo abbiamo sempre detto, anche in Direzione. Noi scontiamo, caro Gennari, la debolezza della nostra Direzione passata. (Applausi vivissimi). Se noi avessimo inflessibilmente, tutte le volte, colpito gli atti indisciplinati, inclusevi le manifestazioni di pensiero che sono poi anche esse azioni vere e proprie, se avessimo colpito senza guardare all'elevatezza delle persone, noi a quest'ora non ci troveremmo a questo sbaraglio, a dividere il nostro Partito per alcuni atteggiamenti personali che fornirono le armi alla borghesia contro di noi. (Benissimo).
Ma oltre qu[...]

[...] del lavoro, obblighiamo tutti gli organizzatori ad essere tesserati, e quindi ad essere disciplinati alle direttive del nostro Partito; cerchiamo nel modo che voi meglio crederete, nel modo che potremo stabilire d'accordo, di fissare fortemente questa unità politicosindacale. Tutti sentiamo, tutti lo abbiamo detto, che il patto di alleanza ormai è incapace di sostenersi, davanti ai tempi; sebbene esso segni un progresso assai grande di fronte a ciò che esiste in Francia, dove c'è l'indipendenza dell'organizzazione economica da quella politica. Esso è ancora però qualche cosa che può sfuggire facilmente ai doveri politici e rivoluzionari; garantiamo questo patto di alleanza, cerchiamo insieme il modo di rendere piú forte, piú tenace questa unione, facciamo una cosa sola del Partito e della Organizzazione.
Ah, sí; apriamo le porte, allarghiamo le mura delle nostre Sezioni e il Partito socialista meglio si unifichi con la massa lavoratrice: questo sí, questo corrisponde alle condizioni d'Italia, dove le nostre Sezioni, in generale, non so[...]

[...]anizzazione; non facciamo l'opera contraria, non dividiamo invece il Partito socialista, restringendolo, dall'Organizzazione del lavoro, non perdiamo questo enorme vantaggio, che già abbiamo sugli altri paesi, di tener subordinata a noi l'Organizzazione del lavoro. Questa è la visione unitaria. Noi non siamo contrari a nessuna modificazione che renda piú ferreo il nostro Partita, piú disciplinata la nostra azione; siamo contrari soltanto a tutto ciò che rompe la compagine, la organicità multipla del nostro Partita. Esso oggi é fondato sulla Organizzazione del lavoro. La nostra forza è là; ed è per deprecare il pericolo che questa forza vada perduta, che noi unitari non possiamo acconsentire
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a provocare l'esodo delle organizzazioni dietro i loro organizzatori, cacciandoli, sol perché tali, dal Partito. Il giorno in cui Partito e Organizzazione fossero staccati l'uno dall'altra, vi accorgereste a che si ridurrebbe la forza del solo Partito politico nel nostro paese: appunto perché il Partita politico non è moralmente superiore, né ha[...]

[...]a, il giorno della rivoluzione, ad adoperare questi metodi, che sono generali per tutte le rivoluzioni, nello stesso identico modo con cui sono stati adoperati dai compagni russi, e da formare quindi in Italia, prima un Partito politico rivoluzionario di congiura contro il Governo borghese, al solo ed unico scopo della presa di possesso violenta e armata del Governo, e poi un'instaurazione del Governo socialista sul figurino preciso ed esatto di ciò che è avvenuto in Russia.
I russi dicono — badate, ce lo ha dichiarato Graziadei — che essi non impongono nulla di tutto ciò, che non intendono dettare le leggi precise circa la tattica, le circostanze, l'adattamento di quelli che sono i principi generali della rivoluzione per tutti i paesi del mondo. Non intendono di forzarci la mano, di darci il figurino del nostro Governo, della nostra azione specifica di un certo momento.
Per noi comunisti, per noi che discendiamo dal « Manifesto » di Carlo Marx e di Federico Engels, la dittatura del proletariato è semplicemente una concezione rivoluzionaria che si oppone alla concezione democratica. A una democrazia puramente teorica, e perciò vuota, che praticamente quindi n[...]

[...]principi generali della rivoluzione per tutti i paesi del mondo. Non intendono di forzarci la mano, di darci il figurino del nostro Governo, della nostra azione specifica di un certo momento.
Per noi comunisti, per noi che discendiamo dal « Manifesto » di Carlo Marx e di Federico Engels, la dittatura del proletariato è semplicemente una concezione rivoluzionaria che si oppone alla concezione democratica. A una democrazia puramente teorica, e perciò vuota, che praticamente quindi non si è mai effettuata, si contrappone la nostra dittatura. Non c'è opposizione di diritto tra dittatura del proletariato e democrazia. C'è una contrapposizione di fatto, cioè storica, in quanto la democrazia ha mentito completamente ai suoi scopi, ha tradito sè stessa. I Governi chiamati democratici, che debbono quindi rispettare ugualmente i diritti di tutti i cittadini e di tutti gli individui, non l'hanno fatto. Hanno instaurato una dittatura di classe, di classe sfruttatrice, minoranza contro la maggioranza sfruttata, operaia, proletaria; quindi Marx ha detto: a questa menzognera democrazia noi opponiamo chiaramente, realmente, una dittatura. Con questa differenza: che noi saremo dittatori a nome di tutti coloro che lavorano, ossia a nome di tutti coloro che [...]

[...] che vivono e in quanta vivono dello sfruttamento del lavoro e non della produzione diretta, sono classi che non hanno
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dunque diritto ad essere rappresentate nella regolazione, nel Governo di questa società. Noi, socialisti, instauriamo la dittatura del proletariato perché solo in questo modo elimineremo completamente lo sfruttamento. Eliminata come classe dominante la classe degli sfruttatori, non é piú possibile ammettere che al Governo, cioè alla regolazione della società, siano chiamate persone le quali non lavorino, e quindi di diritto non appartengano a questa società. Questo è il concetto della dittatura del proletariato, la quale ad un certo punto col suo svolgimento, ossia non appena si sia annullato il capitalismo, non vi sia piú classe sfruttatrice né possibilità di sfruttare, in quel giorno stesso verrà a coincidere con la piú perfetta democrazia, con quella democrazia che ci doveva essere e non ci fu.
Adunque non possiamo tornare indietro oltre i principi della rivoluzione francese, non possiamo tornare al concetto di[...]

[...]sse.
Non nego che questo possa essere un episodio necessario del momento rivoluzionario, non nego che il Partito politico abbia tutti i di. ritti, in un certo momento, di fronte alle masse, spesso retrograde, di imporsi assolutamente, non nego che nel Partito stesso una minoranza di questo Partito, ad un certo punto della vita politica si possa e si debba imporre agli altri. Se si fa in qualche posto, si fa benissimo. Nego che si possa assumere ciò come nostro programma; soprattutto nego, e insisto ancora sulle condizioni reali dell'Italia, e vi dico che se voi intendete accaparrarvi il diritto ad una dittatura proletaria in Italia nei senso di dare l'assoluto potere nelle mani di una piccola minoranza, non potreste mantenere questo potere in Italia come in Russia (applausi), appunto perché la psiche italiana è diversa da quella russa, perché noi non siamo orientali e questo consesso lo dimostra ampiamente.
Se in Italia ci fondiamo solamente sulla credenza che una minoran
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za possa mantenere il potere, perché minoranza e quantunqu[...]

[...]lle mani di una piccola minoranza, non potreste mantenere questo potere in Italia come in Russia (applausi), appunto perché la psiche italiana è diversa da quella russa, perché noi non siamo orientali e questo consesso lo dimostra ampiamente.
Se in Italia ci fondiamo solamente sulla credenza che una minoran
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za possa mantenere il potere, perché minoranza e quantunque minoranza, sulla maggioranza degli operai, corriamo dietro a una chimera. Ciò sarebbe fattibile solamente a condizione di fucilare continuamente la massa dei compagni ribelli, perché in Italia tutti siamo ribelli e ci ribelliamo anche al piú intelligente, al piú onorato, al piú vecchio, al piú austero che ci voglia dettar legge, di cui non siamo consensualmente persuasi.
L'Italia non è la Russia e non sperate di istituire un Partito di selezione, un Partito di congiure segrete, com'era il Partito dei rivoluzionari russi prima della rivoluzione, non sperate dopo di istituire un Governo sul tipo di quello che oggi esiste in Russia.
Analogamente circa la questione della[...]

[...]issimi).
Solo in questo. E badate, non confondete questo concetto con quello esposto, per esempio, nell'ordine del giorno di Reggio Emilia, che dice: « noi ammettiamo l'uso della violenza nel momento ultimo ». Ma quando sarà il momento ultimo? (Interruzioni. Commenti). Lo sapremo soltanto dopo ! Non ci copriamo dietro questo velo ipocrita di attesa di un ultimo momento, perché l'ultimo apparirà ultimo a cose fatte ! Sappiamo che anche il sacrificio è necessario, che anche il sangue è necessario: esso segna pur troppo le tappe del cammino del proletariato. Affermiamo però questo: la nostra violenza sia strumento di un'idea, sia strumento di preparazione morale. Non crediamo che soltanto la preparazione materiale, che soltanto l'esacerbazione dell'odio, dell'istinto di massa basti a formare un esercito rivoluzionario; si può formare un esercito insurrezionale, ma non un esercito rivoluzionario.
Ed anche qui noi siamo per rincorrere i migliori mezzi, tutti i mezzi della preparazione; non ne escludiamo alcuno nel nostro ordine del giorno d[...]

[...]uno punti...
Voci: Aaah, aaah ! Non vogliamo equivoci ! (Commenti animatissimi).
BARATONO: Ma non cercate voi di equivocare ! Non giuochiamo a male intenderci, compagni ! Non è concepibile, e non è mai stata concepibile una disciplina nel Partito che non sia una disciplina morale perché, qual genere di disciplina potete istituire? Quella del carcere? Disciplina vuol dire consenso sempre, e cosí è sempre stato nel nostro Partito. Ditelo, quando ciò non è stato?
Voci: Dopo Bologna.
BARATONO: Non c'è mai stato, compagni, a parte gli atti di disonestà politica, che qui non sono in questione, perché ci possono essere dei disonesti anche nelle file del nostro Partito; non c'è mai stato tra noi patto politico interno del Partito che non abbia implicata l'adesione di tutto lo spirito, di tutta la volontà a quello che si pattuiva !
Vuol dire che fino ad oggi il patto era piú largo, era piú lento, era possibile fino ad oggi ed era ammessa la convivenza delle diverse dottrine; oggi non sarà piú ammessa. E quando si domanda ad uomini onesti, ad[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Fortunati, Come è possibile che una società sia sana quando si lavora per essere in grado di non lavorare più? in Studi gramsciani

Brano: [...] linguaggio severo e duro, Gramsci: « Il rapporto tra l'economia politica e l'economia critica non è stato saputo mantenere nelle sue forme organiche e storicamente attuali. In che cosa le due correnti di pensiero si distinguono nell'impostazione del problema economico? Si distinguono attualmente, nei termini culturali attuali e non
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già e piú nei termini culturali di ottanta anni fa? Dai manuali di economia critica ciò non appare (per es. dal Précis), eppure è questo il punto che interessa subito i principianti e dà l'orientamento generale per tutta la ricerca posteriore. In generale questo punto viene dato non solo per noto ma per accettato senza discussione, mentre nessuna delle due cose è vera. Cosí avviene che solo gli spiriti gregari e che fondamentalmente si infischiano della quistione sono avviati allo studio dei problemi e ogni sviluppo scientifico è reso impossibile. Ciò che colpisce è questo: come un punto di vista critico che richiede il massimo di intelligenza, di spregiudicatezza, di freschezza[...]

[...]es. dal Précis), eppure è questo il punto che interessa subito i principianti e dà l'orientamento generale per tutta la ricerca posteriore. In generale questo punto viene dato non solo per noto ma per accettato senza discussione, mentre nessuna delle due cose è vera. Cosí avviene che solo gli spiriti gregari e che fondamentalmente si infischiano della quistione sono avviati allo studio dei problemi e ogni sviluppo scientifico è reso impossibile. Ciò che colpisce è questo: come un punto di vista critico che richiede il massimo di intelligenza, di spregiudicatezza, di freschezza mentale e di inventività scientifica sia divenuto il monopolio di biascicazione di cervelli ristretti e meschini, che solo per la posizione dogmatica riescono a mantenere una posizione non nella scienza, ma nella bibliografia marginale della scienza. Una forma di pensare ossificato è il pericolo piú grande in queste quistioni; è da preferire una certa sbrigliatezza disordinata alla difesa filistea delle posizioni culturali costituite » 1.
Ma questi rapidi accenni [...]

[...]r via di propaganda e di persuasione, la società civile si adegui alla nuova struttura, c'he il vecchio homo oeconomicus sparisca senza essere seppellito con tutti gli onori che merita » è — appunto — « una nuova forma di retorica economica ».
È certo, dunque, che l'interrogativo investe, con una efficace sintesi, la caratteristica essenziale di un costume di vita che discenda dalla struttura e dalle tendenze della struttura capitalistica. E di ciò è Gramsci stesso che ci avverte.
Ma l'interrogativo, e per la sede in cui è collocato e per 11 fatto di costituire un esempio suggestivo di astrazione determinata, in cui struttura e sovrastruttura s'intrecciano, può e deve, a mio avviso, per gli studiosi marxisti, costituire uno stimolo di analisi economiche e poli
M. S., pp. 265266.
Paolo Fortunati 145
ticoeconomiche, che non mi sembra siano ancora colte nel loro significato piú valido.
E il discorso non vale solo per .i paesi in cui ancora domina la strut tura capitalistica; il discorso vale anche per i paesi a struttura già socialist[...]

[...] in cui struttura e sovrastruttura s'intrecciano, può e deve, a mio avviso, per gli studiosi marxisti, costituire uno stimolo di analisi economiche e poli
M. S., pp. 265266.
Paolo Fortunati 145
ticoeconomiche, che non mi sembra siano ancora colte nel loro significato piú valido.
E il discorso non vale solo per .i paesi in cui ancora domina la strut tura capitalistica; il discorso vale anche per i paesi a struttura già socialista.
A me pare, cioè, che il monito di Gramsci, proprio per non cadere — come egli intendeva — in una « nuova forma di moralismo economico vacuo e inconcludente », va inteso nel senso che per uscire dalle strettoie di una « società che dice di lavorare per creare dei parassiti, per vivere sul cosí detto lavoro passato (che è metafora per indicare il presente lavoro degli altri »); per superare una società che « in realtà distrugge sé stessa », è certo necessario modificare i rapporti di produzione, e, pertanto, dare vita ad un ordinamento statuale che « adegui la società civile » a una nuova struttura economica.[...]

[...]uzione umana delle forze di lavoro e di consumo da arma critica della società capitalistica diventa uno strumento per la costruzione e per il consolidamento storico della società socialista.
E quando, come nel nostro paese, si prospetta la possibilità di una via al socialismo, che non implica necessariamente lotta armata e guerra civile, i due momenti dell'esame critico e dello strumento costruttivo sono strettamente interdipendenti.
Si tratta cioè, di intendere che la dilatazione delle attività non direttamente legate al processo produttivo e delle attività amministrative pubbliche oltre i limiti richiesti da una razionale prospettiva anche di una struttura socialista, non agevola, a mio avviso, il processo politico e politicoeconomico di modificazione dei rapporti politicoeconomici, cosí come appesantiscono il piano di costruzione della società socialista. E in proposito mi sembra che vi siano già molte e decisive esperienze.
Il
monito di Gramsci, pertanto, ci porta a mettere in luce che se, da un lato, dobbiamo sempre piú intender[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Ciò, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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