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da Tibor Mende, Riflessioni in margine agli avvenimenti indonesiani in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]izione alcuna organizzazione paragonabile per presentare il Ioro caso. Per di più, un certo numero di questioni interdipendenti hanno confuso il problema oppure hanno indotto fin dal principio il lettore di giornali occidentali a svalutare il punto di vista Indonesiano.
Fin da quando, nel 1950, l'Indonesia fu riconosciuta come uno Stato Sovrano e indipendente, una endemica guerra civile ne sta distruggendo la struttura. Questa non é una novità. Ciò che é nuovo ora é che, per la prima volta sembra che ci sia un intervento dall'esterno diretto a portare su un piano internazionale il problema interno. Questa ripercussione sul piano internazionale é avvenuta dopo due fatti importanti.
Il primo consiste nell'attività del Governo _Indonesiano rivolta a modificare il tipo occidentale di democrazia parlamentare ei
paese e sostituirlo con un sistema più ameta strada
tra le istituzioni occidentali e quelle comuniste. Il secondo consiste
56 TIBOR MENDE
nel rifiuto dell'Olanda a riprendere le trattative riguardanti il futuro déTlá Nuova Guine[...]

[...]dirigeva le compagnie di esportazione e importazione, erano Olandesi.
L'Indonesia indipendente ereditava un territorio che presentava delle gravissime difficoltà eo rafiche, non essendo certamente in grado di far fronte ad esse. Il personale scarseggiava, le scuole per addestrarlo erano insufficienti, e gli Indonesiani non poterono mai acquistare l'esperienza amministrativa di cui avrebbero avuto bisogno per conservare in condizioni efficienti ciò che avevano ereditato.
Era da prevedersi che le prime incrinature apparissero molto
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presto. La cattiva amministrazione o addirittura la mancanza di amministrazione allentò i legami che mantenevano le isole sotto
gli ordini di Batavia — ora ribattezzata Giacarta e l'unità creata
dall'Olanda fu messa a dura prova, quando l'Indonesia indipendente si trovò a dover affrontare i grossissimi problemi economici ed amministrativi assolutamente al di sopra delle sue possibilità.
Ma prima di approvare le solite generalizzazioni riguardo alla natura autolesionista dei movimenti di in[...]

[...]ini di Batavia — ora ribattezzata Giacarta e l'unità creata
dall'Olanda fu messa a dura prova, quando l'Indonesia indipendente si trovò a dover affrontare i grossissimi problemi economici ed amministrativi assolutamente al di sopra delle sue possibilità.
Ma prima di approvare le solite generalizzazioni riguardo alla natura autolesionista dei movimenti di indipendenza, sarebbe bene esaminare fino a che punto gli Indonesiani sono responsabili di ciò che hanno fatto.
Le librerie erano piene di dettagliate descrizioni del colonialismo olandese. Prima della guerra era di moda descriverlo come un modello nel suo genere. In effetti, da un punto di vista puramente fisico, gli amministratori olandesi fecero un buon lavoro. A Giava, dove erano concentrate le loro attività e i loro investimenti, essi avevano creato una struttura agricola efficientissima e l'isola — la più popolosa — era ben amministrata. Lo sviluppo era meno evidente nelle 'altre isole, fatta eccezione per due o tre regioni di Sumatra dove le piantagioni e il petrolio avevano at[...]

[...]circa cinque volte più numerosa di quella Indonesiana, il numero di Indiani che studiavano nelle scuole superiori era mille volte più alto che in Indonesia: 1.716.000 in India, contra 1786 in Indonesia quattordici anni dopo. Quando, nel 1926, la prima ed unica Università Indonesiana aveva solo sette anni, già 87.600 Indiani studiavano in collegi tecnici e Università.
Così, quando gli Olandesi furono costretti a rinunciare alla loro sovranità su ciò che un tempo costituiva le Indie Orientali Olandesi, essi lasciarono una popolazione_ di 70 milioni con meno di 850 medici e meno di 4000 individui con istruzione universitaria ad affrontare i problemi di amministrazione di uno dei paesi geograficamente più complicati del mondo.
Prima ancora di immaginare come una popolazione priva di esperienza, con una minoranza così inadeguata di persone istruite, potesse cercare di creare l'ordine dal caos lasciato da tre anni di occupazione Giapponese, seguiti da più di tre anni di distruttiva guerriglia, é meglio rivolgere l'attenzione al secondo maggi[...]

[...]freddo e pratico, totalmente privo del dono di Sukarno di saper trascinare le folle. Per di più, mentre l'individualismo di Sukarno è molto malvisto dalle correnti conservatrici Musulmane, il dott. Hatta è considerato un rappresentante moderato delle forze .religiose del paese e può, in questo modo, contare sul loro efficiente sostegno. Al di sopra di tutto questo, mentre Sukarno è Giavanese, il dott. Hatta proviene da Sumatra e si identifica perciò con i sentimenti della popolazione delle « altre isole », scontente della predominanza di Giava.
L'incompatibilità di carattere dei due uomini, la sempre maggiore differenza di opinioni sulle questioni politiche di tutti i giorni, come pure le pressioni dei partiti politici sorte dietro i loro nomi, in diverse occasioni hanno messo a dura prova la difficile collaborazione tra loro. A Giacarta erano frequenti le voci di un conflitto tra il Presidente e il VicePresidente, e nessuno in realtà fu sorpreso quando, dopo le ultime elezioni generali, essi furono costretti a separarsi. Il dott. Hatta[...]

[...], il potere incontrastato aggiun to all'inevitabile aumento delle difficoltà politiche ed economiche non poteva non far crescere le critiche a Sukarno. Come in tanti altri paesi Asiatici di recente indipendenza, la corruzione crebbe, ci furono scandali pubblici e, per la prima volta, lo stesso Sukarno fu violentemente attaccato. Durante la sua visita in Cina e nell'Unione Sovietica egli fu ricevuto regalmente e tornò apparentemente entusiasta di ciò che aveva visto; le critiche, fino a quel mamento vaghe e saltuarie, si fecero più forti e puntarono a riunire i Capi Musulmani e l'opinione pubblica contra il Presidente. Questa opposizione fu sottolineata solamente dall'intenzione dichiarata da Sukarno di modificare il tipo occidentale della democrazia parlamentare del paese e sostituirla con una « idea » sua per
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sonale di una « democrazia guidata » nella quale un Consiglio no minato, comprendente tutti i partiti in un comitato di esperti, avrebbe avuto la facoltà di veto sul parlamen[...]

[...]esentanti della gioventù e degli exguerriglieri, gli artisti, i leaders di minoranze nazionali, i capi di regione e i notabili in genere, i giornalisti nonché le donne, tutti dovevano avere i loro rappresentanti nel Consiglio. I due partiti più rappresentati erano quello nazionalista e quello comunista. Il Nahdatul Ulama, uno dei partiti Musulmani, decise dopo molte esitazioni di parteciparvi. Ma i Masjumi si schierarono tutti all'opposizione e, ciò che è anche più grave, lo stesso ex VicePresidente Hatta espresse energicamente la sua ostilità. Il consiglio, comunque, fu formato col compito di dare, richiesto o no, il' suo parere al Gabinetto.
RIFLESSIONI IN MARGINE AGLI AVVENIMENTI INDONESIANI 65
È probabile che « la democrazia guidata » del Presidente Sukarno abbia dato ai Comunisti un'influenza maggiore di quanto non avrebbe consentito la loro forza numerica nel tradizionale gioco politico dei governi di coalizione. Nello stesso tempo è bene tener presente che « l'idea » rispondeva, entro certi limiti, a una necessità sentita in tut[...]

[...]aggiare attualmente in Asia la nascita di un sistema di Governo a metà strada fra la democrazia di tipo occidentale e l'autoritarismo degli Stati Comunisti. Se la democrazia parlamentare desse prova di essere inefficiente nell'Asia non comunista, sussisterebbe il pericolo che, una volta caduta, finirebbe sotto le sue macerie anche qualsiasi contatto con l'Occidente. Se Sukarno abbia trovato o no il miglior metodo possibile, è un'altra questione. Ciò che è importante è che il rafforzamento dell'autorità centrale nella maggior parte dei paesi Asiatici al giorno d'oggi, può aumentare le possibilità di progresso economico e, indirettamente, immunizzare tali paesi contra la tentazione rivoluzionaria. Per di più, l'assoluta opposizione agli esperimenti, tipo quello Indonesiano, tendenti a rafforzare il potere esecutivo, può essere, ed è in realtà, interpretata in Asia come una preferenza dell'Occidente per le strutture democratiche inefficienti e superficiali che — secondo questa inter
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pretazione — rendono relativamente facili[...]

[...]compagnato in Indonesia da una violenta propaganda antiolandese, comprese minacce contro gli interessi olandesi, se 1' ONU non avesse sostenuto la richiesta, giuridicamente giustificata, dell'Indonesia. Quando l'insuccesso dell' ONU divenne noto, le passioni antiolandesi si scatenarono. A Giacarta e a Surabaya vi furono delle dimostrazioni di massa ben organizzate. Un'immagine che rappresentava l'imperialismo olandese fu bruciata davanti all'ufficio dell'Alto Commissario olandese. I cittadini olandesi furono molestati, alcune case olandesi furono prese a sassate dai dimostranti, la proprietà olandese fu posta sotto controllo governativo e fu richiesto alle autorità olandesi di far rimpatriare, tra i 50000 cittadini olandesi ancora in Indonesia, quelli che non avevano un impiego redditizio. Tutto questo avvenne in un'atmosfera nazionalista surriscaldata e il Governo, pur non incoraggiando attivamente gli eccessi, non sempre riuscì ad impedirli. Benché non vi siano stati espropri veri e propri, le imprese olandesi furono effettivamente pos[...]

[...]isposti a interrompere anche i rapporti economici con l'Olanda. Questo era un passo grave. Circa il 70% della produzione totale delle piantagioni e più del 70% della navigazione tra le isole era ancora in mani olandesi, sotto la guida di tecnici ed esperti olandesi. Per di più le piantagioni controllate dagli olandesi fornivano da sole il 20% del totale delle esportazioni dell'Indonesia, e gli stessi olandesi assorbivano circa un quinto di tutto ciò che l'Indonesia era in grado di vendere all'estero. Il risultato degli avvenimenti fu che le considerevoli fonti di ricchezza degli olandesi in Indonesia corsero seri rischi, mentre gli indonesiani misero in pericolo le basi stesse della loro economia nazionale. Il caos che segui, la mancanza di moneta straniera e l'indebolimento di tutta la struttura
RIFLESSIONI IN MARGINE AGLI AVVENIMENTI INDONESIANI 71
economica dello Stato, preannunciarono il pericolo dell'ascesa dell'organizzatissimo partita Comunista e il graduale scivolamento del paese nell'orbita dell'Asia comunista.
È stato a ques[...]

[...]lli
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già esistenti nelle altre isole — per lo più appartenenti ai movimenti musulmani ortodossi — e perdere così ogni pretesa alla simpatia degli elementi più illuminati sia dentro che fuori l'Indonesia.
Le sorprese non sono escluse. I capi militari ribelli potrebbero volerli trascinare tutti nella lotta insieme agli altri oppositori del governo, oppure rivoltarsi contro di essi e aderire al richiamo di Giacarta di unirsi contro ciò che viene chiamato, l'intervento straniero. E chiaro, comunque, che un grosso cambiamento può venire solo da un aperto e massiccio intervento straniero. Il che, d'altra parte, rappresenta chiaramente per le grandi potenze il pericolo di esser coinvolte e, in ultima analisi, perfino di una guerra termonucleare.
Ì Dove sono stati sbagliati i calcoli ?
Che il governo dei ribelli sia stato formato con l'incoraggiamento dell'Occidente é assolutamente chiaro sia a causa di coloro che lo compongono, sia per gli articoli della stampa occidentale, sia per le dichiarazioni pubbliche. Storicamente esso rientra nella serie dei tentativi fatti sotto la responsabilità occidentale per eliminare i governi asiatici che facevano resiste[...]

[...]e il regime legale di Giacarta si da immunizzare il governo neutrale contro la tentazione comunista.
TIBOR MENDE
(Trad. Paola Boccardt)
Pos TILLA
L'imprevisto ritardo nella pubblicazione di questo articolo consente oggi di considerare gli avvenimenti in una nuova prospettiva..
L'Indonesia non può esser più considerata una nuova Corea. Come pure il resto del mondo non è più incline a valutarla come una nuova Spagna, il cui conflitto interno, cioè, possa far da prologo a una nuova guerra mondiale. Solo che questa dissoluzione del problema indonesiano può esser del tutto provvisoria; ma può diventar permanente se, tutto considerato, da questi avvenimenti se ne sapranno trarre le conclusioni necessarie.
L'azione militare del governo legale indonesiano ha sventato la rivolta di Sumatra più rapidamente del previsto. Quando i rivoltosi intrapresero la loro attività nelle Celebes del nord e nelle altre isole orientali, il governo impiegò truppe sufficienti per paralizzarli. in breve tempo. La diffusa convinzione che costoro fossero aiutati[...]

[...]vivere nella sovrapopolata Giava, monopolizzando così la maggior parte delle ricchezze del paese — prodotte principalmente a Sumatra e nelle altre isole periferiche —, ci saranno crisi e scompensi economici nella fragile giovane repubblica. Per lenire le sue tensioni interne la soluzione non è bombardarla in nome degli insorti che favoriscono gli occidentali, quanto aiutarla a risolvere i propri problemi economici politici e amministrativi. E se ciò é vero per l'Indonesia, lo é altrettanto per un gran numero di paesi sottosviluppati.
Se il tentativo fallito di rovesciare il governo legale indonesiano con l'aiuto dei governifantoccio ha chiarito tutto questo, allora qualsiasi sofferenza la guerra civile indonesiana avrà provocato, non sarà stata vana.
TIBOR MENDE



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Massucco Costa, Aspetti sociologici del pensiero gramsciano in Studi gramsciani

Brano: Angiola Massucco Costa
ASPETTI SOCIOLOGICI DEL PENSIERO GRAMSCIANO
Premesso che non esiste per Gramsci una sociologia filosofica che non coincida con la filosofia della prassi o il materialismo storico, non sembri incongruo l'affermare che egli non esclude la possibilità di una ricerca sociologica, a confini limitati, di carattere empirico.
Due orientamenti, soltanto in apparenza contraddittori, dominano il pensiero gr:msciano nei confronti di questo problema: il primo è il netto rifiuto della sociologia positivistica; il secondo è l'ammissione della possibilità di una sociologia scientifica, ricomprendendo in questo nome piuttosto le scienze sociali che non uno schematismo classificatorio generico e una ricerca di astratte strutture e costanze.
La contraddizione, di fatto, non esiste, poiché proprio il positivismo, e specie alcuni suoi rappresentanti, non avevano, per Gramsci, capito il diritto della scienza non già all'astrattezza arbitraria e sterile, ma alla feconda astrazione euristica.
La critica all'astrattezza fu da Gramsci fatta soprattutto per l'economia, ma ha senso per tutte le scienze, e ancora piú per quelle che meglio aderiscono al processo di sv[...]

[...]no anche servire di strumenti culturali per una definita azione politica. Di qui anzi la loro pericolosità.
Ma la preoccupazione di Gramsci è soprattutto teoretica. Egli anzi non poteva considerare assurda o negativa la rivendicazione della scienza di inserirsi nell'ordine vivente della storia, contribuendo a illuminarne le ragioni e a promuoverla. Poteva al contrario volere una piú approfondita critica teoretica intorno al reale significato di ció che s'intende chiamare scienza. E poteva parergli che la scienza matematizzabile, o la scienza sperimentale, non potessero avere, nella storia della cultura e della civiltà, alo stesso peso della scienza come riflessione teoretica su una realtà culturale già costituita ad opera di impulsi relativamente spontanei, il senso comune.
Un'analisi del concetto di spontaneità nel pensiero gramsciano, oggi che le scienze sociali riesaminano questo schema interpretativo dell'agire umano e ne fanno anzi mezzo di azione riflessa, educativa o terapeutica, mostrerebbe quanto egli, di là dalle apparenti co[...]

[...]e progresso.
Gramsci fa spesso notare come certi livelli di cultura, certi irrigidimenti di pensiero, certi ristagni, dipendano da mancanza di chiarificazione e da non attivazione di possibili energie; anzi rammenta che, ove le energie sopite non siano a tempo rideste e usate per scopi di lavoro collettivo nella prospettiva marxista, troveranno attivatori e sfruttatori non disinteressati, che se ne impadroniranno per loro fini individualistici. Ciò che egli dice della cultura dei meridionali e dei contadini, è insieme. una riprova di questa prospettiva dinamica e fiduciosa, e del timore di interventi distruttivi.
Riteniamo che sia stata la prospettiva causale ad avvicinarlo, e il suo mal uso ad allontanarlo, dalla prospettiva delle scienze sociali, o meglio dall'orientamento sociologico nelle scienze della natura. Oggi il concetto di causalità è cosí profondamente cambiato nelle stesse scienze esatte, che alcune delle difficoltà gramsciane non avrebbero piú ragione di essere. Si cercano infatti, non piú cause meccaniche ritenute equivalere ai loro effetti e universalmente necessitanti fuori del tessuto storico in cui operano; ma le condizioni, o i fattori, sperimentalmente verificabili e situazionalmente variabili di processi storici, tali anche per le forme e .i contenuti delle scienze.
L'antinomia, ancora operante nel pensiero gramsciano, tra scienze dello spirito o[...]

[...]imentalmente verificabili e situazionalmente variabili di processi storici, tali anche per le forme e .i contenuti delle scienze.
L'antinomia, ancora operante nel pensiero gramsciano, tra scienze dello spirito o della cultura, e scienze della natura, oggi, tenuto presente tale concetto causale, non ha piú ragione di sussistere; ed è forse l'oscura preveggenza di questa o altra possibile soluzione, che spiega l'interesse di Gramsci al problema sociologico, presente tanto nella critica al Bukharin e ad alcuni pensatori italiani contemporanei, quanto per contro nei rilievi
I documenti del convegno
202

positivi o nei progetti di accertamenti di situazioni effettuali di rapporti umani.
Quando Gramsci, per l'Italia, parla di un fenomeno generale di deterioramento della cultura, che ha avuto la tumefazione piú vistosa nel campo sociologico, ha in mente il Lumbroso, il Sillani, il Carli, il Belluzzo, il Lenzi, il Loria; nomi che non hanno lasciato una solida traccia nella cultura italiana, e che non facevano propriamente della scienza, ma vaghi e arbitrari studi di problemi sociali, ora biologici, ora economici, ora politici.
Altre volte Gramsci sembra identificare la sociologia con la riduzione, fatta ad esempio dall'Ardigò, del materialismo storico al naturalismo volgare, riduzione che egli ritiene propria, a torto, di tutto il pensiero positivistico.
Ma il naturalismo volgare è una filosofia scadente, non è la ricerca scientifica, a cui Gramsci non poteva non riconoscere il suo buon diritto; ricerca che può ammettere, senza dannosamente interferirvi, la presenza di principi etici nelle formazioni umane, quelle stesse considerate spontanee o naturali. Tali sono le organizzazioni di gruppi, gli interscambi collettivi, che anche il Cattaneo aveva studiato, con [...]

[...]i assoluti. La via di uscita da questo pericolo sta appunto nella auspicata presa di coscienza e nella unificazione universalistica, non però dogmatica.
« Non può esistere — dice Gramsci — associazione permanente e con capacità di sviluppo, che non sia sostenuta da determinati principi etici, che l'associazione stessa pone ai suoi singoli componenti in vista di una compattezza interna e dell'omogeneità necessaria per raggiungere il fine. Non perciò questi principi sono sprovvisti di carattere universale. Cosí sarebbe se l'associazione avesse fine in se stessa, fosse cioè una
Angiola Massucco Costa 203
setta o un'associazione a delinquere... Ma un'associazione normale concepisce se stessa come legata da milioni di fili a un dato raggruppamento sociale e per il suo tramite a tutta l'umanità. Pertanto questa associazione non si pone come qualche cosa di definitivo o di irrigidito, ma come tendente ad allargarsi a tutto un raggruppamento sociale, che anch'esso è concepito come tendente a unificare tutta l'umanità. Tutti questi rapporti danno carattere tendenzialmente universale all'etica di gruppo, che deve essere concepita come capace di diventare norma di co[...]

[...] sarà propria del genere umano unificato mondialmente. Criticare la propria concezione del mondo significa dunque renderla unitaria e coerente e innalzarla fino al punto cui è giunto il pensiero mondiale piú progredito. Significa quindi anche criticare tutta la filosofia finora esistita, in quanto essa ha lasciato stratificazioni consolidate nella filosofia popolare. L'inizio dell'elaborazione critica è la coscienza di quello che si è realmente, cioè un "conosci te stesso" come prodotto del processo storico finora svoltosi,
Angiola Massucco Costa 205
che ha lasciato in te stesso un'infinità di tracce accolte senza beneficio d'inventario. Occorre fare inizialmente un tale inventario» 1.
Da un tale inventario risulta che il genere umano non è unificato o unitario al punto di partenza, ma al punto di arrivo, proprio perché esso non è una realtà biologica, ma culturale; e che dalla relativa spontaneità o filosofia del senso comune, o iniziativa apparentemente creativa e sprovveduta di tecniche appropriate a raggiungere effetti pianificati nella societas rerum e nella societas hominum, si deve passare a un tecnicismo controllato e critico, tanto del proprio fare che dello stesso pensare; che sono poi due aspetti del[...]

[...]ovinciale, fossilizzata, anacronistica in confronto delle grandi correnti di pensiero che dominano la storia mondiale ». Soltanto il possesso delle lingue straniere, o almeno il pieno possesso di una grande lingua nazionale, consente di uscire dalla cerchia ristretta di interessi « corporativi o economistici, non universali ». Una lingua propria di una grande cultura, « storicamente ricca e complessa, può tradurre qualsiasi altra grande cultura, cioè essere una espressione mondiale ». Essa può anche socializzare le scoperte scientifiche,
1 M. S., p. 4.
206 1 documenti del convegno
farle diventare base di azioni vitali, può essere elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale del reale presente. E questo per Gramsci è un fatto filosofico, « piú importante e " originale" che non sia il ritrovamento da parte di un "genio" filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali » '.
La filosofia cosí intesa è un ordine intellettuale di un gruppo che può ricomprendere idealmente tutti gli altri,[...]

[...]senso » che si contrappone al senso comune.
Ma qui importa la scelta della filosofia, che non è un fatto puramente intellettuale, ma risulta, dice Gramsci, dalla reale attività di ognuno, ed è quindi una realtà politica, implicita nell'operare. Quando vi 6 divergenza tra quanto si afferma teoricamente e quanto si opera nei fatti, siamo di fronte a contraddizioni, non sempre in mala fede, dovute a caratteristiche situazioni sociali.
Per Gramsci ciò si spiega col fatto che un gruppo sociale (e non si è gruppo senza avere una propria concezione del mondo, sia pure oscura, che si manifesta nell'azione) prende a prestito una concezione verbalizzata da un altro gruppo verso cui si è intellettualmente sottomessi. La filosofia deve far superare queste contraddizioni, rompendo quell'adesione verbale a gruppi non storicamente rispondenti alle esigenti manifestate con l'agire, adesione che può peraltro giungere sino a. paralizzare, per il suo interno contrasto, ogni azione, conducendo a passività morale e politica.
Conoscere queste situazioni no[...]

[...]cerca della verità e il progresso della scienza, si dimostra piú " avanzato " chi si pone dal punto di vista che l'avversario può esprimere un'esigenza che deve essere incorporata, sia pure come un momento subordinato, nella propria costruzione. Comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell'avversario... significa appunto essersi liberato dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista " critico ", l'unico fecondo nella ricerca scientifica » 1.
Forse Gramsci non intese molto chiaramente l'istanza scientifica proposta, non sempre bene, dal positivismo; e scienza spesso per lui coincide con filosofia critica o con filologia o con storia, mentre una certa diffidenza gli rimane a proposito delle scienze della natura, scienze sperimentali e matematizzabili; sicché si comprende il suo timore, d'altronde giustificato, per l'uso possibile acritico di quello strumento che, in sé, conserva tutto il suo valore, ed è la ricerca statistica, o ricerca delle l[...]

[...]si comprende il suo timore, d'altronde giustificato, per l'uso possibile acritico di quello strumento che, in sé, conserva tutto il suo valore, ed è la ricerca statistica, o ricerca delle leggi dei grandi numeri. Egli temeva che vi si perdesse di vista l'umano, e che si ritornasse per tal via ad una concezione meccanicistica e fatalistica, subalterna, della vita e della storia.
Ma le scienze possono, per lui, concorrere a determinare, non tanto ciò che l'uomo è, quanto ciò che l'uomo può diventare come dominatore del proprio destino, come inventore e costruttore della propria vita. « Occorre concepire l'uomo come una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l'individualità ha massima importanza, non è però il solo elemento da considerare. L'umanità che si riflette in ogni individualità è composta di diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il secondo e il terzo elemento non sono cosí semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quant[...]

[...]o come una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l'individualità ha massima importanza, non è però il solo elemento da considerare. L'umanità che si riflette in ogni individualità è composta di diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il secondo e il terzo elemento non sono cosí semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai piú semplici ai piú complessi. Cosí l'uomo non entra in rapporto con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica.
1 M. S., p. 21.
208 1 documenti del convegno
Ancora. Questi rapporti non sono meccanici. Sono attivi e coscienti, cioè corrispondono a un grado maggiore o minore d'intelligenza che di essi ha il singolo uomo. Perciò si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso di rapporti di cui egli è il centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale è e non può essere altri che il politico, cioè l'uomo attivo che modifica l'ambiente, inteso per ambiente l'insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte. Se la propria individualità è l'insieme di questi rapporti, farsi una personalità significa acquistare coscienza di tali rapporti, modificare la propria personalità significa modificare l'insieme di questi rapporti » 1.
Io non conosco nulla di piú conforme ad alcune concezioni contemporanee sociologiche o psicosociali, le piú disposte e preparate alla ricerca sperimentale. E questa idea è nel contempo la piú idonea a favorire l'iniziativa di rinnovamento. Soltanto considerando l'uomo come l'insieme dei rapporti sociali (e non psicologicamente o speculativamente), i problemi del progresso, che Gramsci contrappone a quelli astratti del divenire filosofico, si possono risolvere.
Intanto appare, in questa prospettiva, l'incommensurabilità degli uomini, nel tempo, poiché essi non mantengono una identità metastorica, e assumono una realtà storicamente diversa, irriducibile a una realtà nat[...]

[...]a identità metastorica, e assumono una realtà storicamente diversa, irriducibile a una realtà naturale immodificabile. Inoltre, poiché l'uomo è anche l'insieme delle sue condizioni di vita, si può misurare quantitativamente la differenza tra il passato e il presente, poiché si può misurare la misura in cui l'uomo domina la natura e il caso. Che l'uomo possa fare una cosa o non possa farla — dice sempre Gramsci — ha la sua importanza per valutare ciò che realmente fa. E se possibilità significa libertà, la misura della libertà entra nel concetto dell'uomo. Le scienze che accertano il grado della libertà, ovvero le diverse possibilità di fatto concesse ai vari aggruppamenti umani nelle condizioni del tempo, possibilità che toccano le stesse apparenti immutabili leggi psicologiche o l'astratto momento trascendentale di certe filosofie, hanno dunque il loro peso nella cultura progressista.
Né questa prospettiva personalistica ha valore soltanto dal lato pra
1 M. S., pp. 2829.
Angiola Massucco Costa 209
tico, bensí da quello teoretico, po[...]

[...]r Gramsci, non senza qualche residuo della concezione di Mach, il compito di rettificare il modo della conoscenza e dei suoi mezzi sensoriali, e di elaborare principi nuovi e complessi di induzione e deduzione, affinando gli strumenti stessi dell'esperienza e del controllo. Essi sono tanto importanti, che fuori del loro uso non esiste un mondo obiettivamente accertabile. La scienza stessa comunque si pone il problema di applicarli e di stabilire ciò che è attendibile o no obiettivamente, nel senso di essere accertabile in modo valido per tutti. Ma una scienza di tal tipo è universale? E se non lo è, come può un altro gruppo sociale appropriarsi della scienza di un gruppo senza appropriarsi dei presupposti di tale scienza, che sono metodologici, ma insieme anche ideologici, ossia risentono della visione della vita in un dato momento storico di un gruppo determinato?
Se la scienza partecipa in qualche misura delle ideologie, come tale è una superstruttura. « La scienza, nonostante tutti gli sforzi degli scienziati, non si presenta mai com[...]

[...]ppropriarsi la scienza di un altro gruppo senza adottarne l'ideologia » 1.
1 M. S., p. 56.
210 I documenti del convegno
Questa implicanza ideologica, insieme con il significato storico degli accertamenti e degli invenimenti metodologici e tecnici, mostra l'inanità dell'«esperantismo scientifico ». Linguaggi, filosofie, ideologie, scienze, hanno una validità storica, il mancato riconoscimento della quale conduce ai vuoti errori del Saggio di sociologia popolare. Ciò che si può determinare, storicamente, come comune a tutti gli uomini, è ciò che in una data cultura si può riconoscere e accertare da tutti, non ciò che è essenziale per sempre. « "Oggettivo" significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva, quella realtà che è accertata da tutti gli uomini, che è indipendente da ogni punto di vista che sia meramente particolare o di gruppo ». In realtà, per Gramsci, questa è ancora una particolare concezione del mondo, ma questa concezione, nel suo insieme, e per la direzione che segue, può essere accettata dalla filosofia della prassi, purché si riconosca che « ... le verità scientifiche non sono neanche esse definitive», che «la scienza è una categoria storica, è un mo[...]

[...]esta concezione, nel suo insieme, e per la direzione che segue, può essere accettata dalla filosofia della prassi, purché si riconosca che « ... le verità scientifiche non sono neanche esse definitive», che «la scienza è una categoria storica, è un movimento in continuo sviluppo », che nessun limite è posto alla conoscenza umana che non sia dato dallo sviluppo degli strumenti fisici e dall'intelligenza storica dei singoli scienziati. «Se è cosí, ciò che interessa la scienza non è tanto dunque l'oggettività del reale, ma l'uomo che elabora i suoi metodi di ricerca, che rettifica continuamente i suoi strumenti materiali che rafforzano gli organi sensori e gli strumenti logici... di discriminazione e di accertamento, cioè la cultura, cioè la concezione del mondo, cioè il rapporto tra l'uomo e la realtà con la mediazione della tecnologia » 1.
Anche nella scienza, cercare la realtà fuori degli uomini, inteso ciò nel senso religioso o metafisico, appare nient'altro che un paradosso. Senza l'uomo, la realtà dell'universo non significherebbe nulla. Tutta la scienza è legata ai bisogni, alla vita, all'attività dell'uomo. Tale attività crea tutti i valori, anche scientifici, e trasforma l'oggettività da puro caos o vuoto o nulla, a realtà di pensiero e di linguaggio. La logica, la metodologia, la matematica non sono che strumenti discriminativi in atto e in sviluppo, non attingono una realtà assoluta, non sono nulla in sé, ma neppure rispecchiano astrattamente una oggettività metastorica.
La vecchia soci[...]

[...]ienza è legata ai bisogni, alla vita, all'attività dell'uomo. Tale attività crea tutti i valori, anche scientifici, e trasforma l'oggettività da puro caos o vuoto o nulla, a realtà di pensiero e di linguaggio. La logica, la metodologia, la matematica non sono che strumenti discriminativi in atto e in sviluppo, non attingono una realtà assoluta, non sono nulla in sé, ma neppure rispecchiano astrattamente una oggettività metastorica.
La vecchia sociologia è forse l'espressione piú tipica dell'esperantismo
1 M. S., pp. 5455.
Angiola Massucco Costa 211
scientifico che aveva voluto sostituirsi, con un falso naturalismo, alla filosofia metafisica. Ma la sociologia cosí intesa non è la stessa cosa degli accertamenti sociali, che hanno ben altra concretezza, non usano strumenti immodificabili, non generalizzano a vuoto, non classificano e astraggono arbitrariamente. Tali accertamenti, incorporati in varie discipline, le qualificano come sociali (il che indica soprattutto una loro prospettiva o un loro campo d'azione) e sono utilizzati anche da Gramsci nello studio di strutture aziendali, di organismi commerciali, di rapporti regionali, di rapporti cittàcampagna. Anzi egli ne è in notevole misura attratto, e forse soltanto la sua peculiare formazione[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Salvucci, Sul concetto gramasciano di storia della filosofia in Studi gramsciani

Brano: [...]nzialmente sul come essa sia possibile 1.
In che senso le annotazioni dedicate dal Gramsci al tema possono aiutarci a chiarire la problematica relativa alla storia della filosofia ed in che misura possono illuminare il nostro lavoro di storici della filosofia?
A ripercorrere la sua pagina, si resta sorpresi nel constatare la profondità con cui il Gramsci affronta e risolve il problema del significato e della direzione del lavoro dello storico. Ciò non accade, ovviamente, soltanto nelle note che sono esplicitamente dedicate al problema, ma es senzialmente là dove il Gramsci verifica in concreto — sempre, però, nei limiti consentitigli dal carattere necessariamente frammentario delle sue messe a punto — la validità dei criteri metodologici della filosofia della prassi da lui originalmente rielaborati. Quando si occupa di Hegel, Gramsci rivela in modo impressionante quale finissimo storico della filosofia sa rebbe stato, se avesse voluto o potuto esserlo. Ma di questo piú oltre.
Che il lavoro dello storico ubbidisca alla propria intuizio[...]

[...]in La filosofia della storia della filosofia, pp. 3963 (Archivio di Filosofia, 1954).
254 I documenti del convegno
e dell'uomo è, nel Gramsci, un punto fermo. Il Garin ha ricordato alcune espressioni in questo senso indicative 1. La scelta e la critica di una certa concezione del mondo è un fatto eminentemente politico che esige, perché possa venire sistemato criticamente e coerentemente, un ritorno al passato, alla storia della filosofia, per ciò che essa « mostra quale elaborazione il pensiero abbia subito nel corso dei secoli e quale sforzo collettivo sia costato il nostro attuale modo di pensare... » 2.
La filosofia non fa storia con se stessa, per cid che essa non procede mediante il solitario autopotenziarsi di una peculiare problematica che prescinda dalla situazione storica dell'uomo, dal lavoro e dal rapporto dell'uomo con l'uomo. Questo significa, nel suo piú valido senso, l'espressione gramsciana che la filosofia non nasce dalla filosofia 3. La filosofia è inevitabilmente storica. Questo carattere perviene alla piena consap[...]

[...]enziarsi di una peculiare problematica che prescinda dalla situazione storica dell'uomo, dal lavoro e dal rapporto dell'uomo con l'uomo. Questo significa, nel suo piú valido senso, l'espressione gramsciana che la filosofia non nasce dalla filosofia 3. La filosofia è inevitabilmente storica. Questo carattere perviene alla piena consapevolezza nella filosofia nelda prassi — ed in questo consiste un aspetto fondamentale della sua superiorità —, per ciò che essa per prima si è fatta cosciente della propria storicità 4. Per questo, lo storico non può che rivolgersi « alla pratica, alla storia reale dei mutamenti dei rapporti sociali, dai quali quindi (e quindi, in ultima analisi, dalla economia) sorgono (o sono presentati) i problemi che .il filosofo si propone ed elabora » 5. Qui è delineato il compito dello storico marxista della filosofia. Vorrei sottolineare il profondo interesse delle parole conclusive del testo. La realtà storicosociale pone problemi, certo (ed il problema filosofico si fa problema di storia, di come nascono e si svilup[...]

[...] storia reale. Il senso è, secondo noi, questo: unicamente dall'interno di un sistema, lo storico deve e può
1 E. GARIN, Gramsci nella cultura italiana, Appunti. Nel presente volume a p. 10, con riferimenti a P., pp. 4, 34.
2 M. S., p. 6.
3 M. S., p. 234.
4 M. S., pp. 9394; p. 237.
5 M. S., p. 233: corsivo mio.
6 M. S., p. 233.
Pasquale SaLvucci 255
scoprire il significato (la coscienza) che una determinata realtà assume in quel sistema. Ciò spiega perché il Gramsci riconosca che la storiografia non possa essere considerata e condotta come attività tribunalizia, come giudizio dall'esterno, quindi 1.
stato opportunamente notata 2 che in Gramsci c'è l'identificazione di filosofia e politica e che è in essa il criterio del giudizio storico delle filosofie passate (cfr.: « il filosofo reale è e non può non essere altri che il politico » 3). Questa identificazione significa che il filosofo non è unicamente la coscienza della realtà del proprio tempo, perché, come uomo di città, lavora a modificare la realtà. Lo storico, quindi, ricer[...]

[...]omo di città, lavora a modificare la realtà. Lo storico, quindi, ricerca in che misura una determinata filosofia è espressione della realtà del proprio tempo ed in che misura è elaborazione astratta, « astorica » 4. A volte, la parte che, in un sistema, pub considerarsi storica è minima e, per altro, sepolta in un apparato di origine puramente razionale 5.
Il criterio di valutare una filosofia alla luce della maggiore fedeltà al proprio tempo — ciò accade quando la parte di astrazione individuale è scarsa e, per ciò, essa è « un fatto storico » e non una « elucubrazione individuale » 6 non deve provocare, nello storico, una sottovalutazione della importanza del « residuo », perché in esso si deve leggere ciò in cui una filosofia è legata alle precedenti. E il fatto che « agni filosofo non può trascurare i filosofi che l'hanno preceduto e anzi di solito opera proprio came se la sua filosofia fosse una polemica o uno svolgimento delle filosofie precedenti », è un fatto da non dimenticare, perché giova talvolta « proporre una propria scoperta di verità come se fosse svolgimento di una tesi precedente di altro filosofo... » '. Lo storico storicista non si lascia, però, ingannare da questa continuità (ché, la continuità delle filosofie non è rappresentata da questa parte metastorica), dacché « la filo[...]

[...]ento delle filosofie precedenti », è un fatto da non dimenticare, perché giova talvolta « proporre una propria scoperta di verità come se fosse svolgimento di una tesi precedente di altro filosofo... » '. Lo storico storicista non si lascia, però, ingannare da questa continuità (ché, la continuità delle filosofie non è rappresentata da questa parte metastorica), dacché « la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali in cui gli uomini vivono)... » 3, ma scava nel pro
M. S., p. 68.
2 C. LUPORINI, La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di Gramsci. Appunti. Nel pres. volume a p. 43.
3 M. S., p. 28.
4 M. S., p. 151.
5 M. S., p. 9, nota n. 1; p. 23.
6 M. S., p. 24.
7 M. S., p. 234.
8 M. S., p. 234.
256 I documenti del convegno
fondo per ricercare, dall'interno sempre, nella coscienza del filosofo, la realtà nuova che ha condizionato il sorgere della nuova filosofia. Si legga: « La nuova filosofia non può coincidere con nessun sistema del passato, comunque esso si chia[...]

[...]verte nella storia della filosofia » 1.
Per intendere il sensodi questo recupero, si deve ricordare che, in Regel, sono reperibili due sollecitazioni che si risolvono con la vittoria della seconda. Da una parte, le filosofie, nel loro storico presentarsi, sono considerate come pensiero del mondo, come il proprio tempo nella forma del pensiero (« il piú bel fiore »). Dall'altra, esse sono proiettate in una storia ideale, di cui sono momenti, per ciò che la filosofia (assoluta) si realizza mediante i sistemi che, per tanto, diventano momenti eterni (logici) del suo realizzarsi. La storicità, pur cosí fortemente avvertita da Hegel, in questo violento coincidere con l'eternità, è di fatto annientata e la storia della filosofia si risolve, in ultima istanza, nella sistemazione hegeliana, in una filosofia delle filosofie, volta a liberare le filosofie da ciò che le lega al tempo, alla situazione da cui sorgono. Quando lo storico marxista procede a storicizzare le filosofie, che cosa è questo se non il recupero della prima e piú valida sollecitazione hegeliana? La tesi, allora, di Hegel, secondo cui la filosofia coincide con la storia della filosofia, viene liberata dall'impalcatura sistematica che, in Hegel, ne distruggeva il piú profondo significato. La tesi è interpretata nel senso «che occorre negare la "filosofia assoluta" o astratta e speculativa, cioè la filosofia che nasce dalla precedente filosofia e ne eredita " i problemi supremi " cosí[...]

[...]Quando lo storico marxista procede a storicizzare le filosofie, che cosa è questo se non il recupero della prima e piú valida sollecitazione hegeliana? La tesi, allora, di Hegel, secondo cui la filosofia coincide con la storia della filosofia, viene liberata dall'impalcatura sistematica che, in Hegel, ne distruggeva il piú profondo significato. La tesi è interpretata nel senso «che occorre negare la "filosofia assoluta" o astratta e speculativa, cioè la filosofia che nasce dalla precedente filosofia e ne eredita " i problemi supremi " cosí detti, o anche solo il " problema filosofico ", che diventa, pertanto, un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia » 2.
La storia della filosofia è possibile come atto di storicizzazione che lo storico compie, di volta in volta, in vista della determinazione del modo come le singole filosofie sono coscienza (non passiva, però) della realtà di un certo tempo. La filosofia della prassi è la piú avanzata filosofia per ciò che è la sola capace di giustific[...]

[...]il " problema filosofico ", che diventa, pertanto, un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia » 2.
La storia della filosofia è possibile come atto di storicizzazione che lo storico compie, di volta in volta, in vista della determinazione del modo come le singole filosofie sono coscienza (non passiva, però) della realtà di un certo tempo. La filosofia della prassi è la piú avanzata filosofia per ciò che è la sola capace di giustificare il passato e se stessa. Essa, che non nega ma vive profondamente la sua stessa storicità può, come « massimo storicismo » 3, compiere la reale riconquista del mondo storico e pronunciarne il piú alto legittimo elogio'.
1 M. S., p. 233.
2 M. S., p. 233.
3 M. S., p. 89, nota 1.
4 M. S., p. 145.



da La barbarie prussiana nel giudizio di Marx ed Engels in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 2 - luglio

Brano: [...]— egli scrive, — abbiamo conosciuto le restaurazioni dei popoli moderni ; ma senza aver avuto le loro rivoluzioni ... Sempre, coi nostri pastori alla testa, ci siamo trovati in compagnia della libertá in un solo momento : il giorno dei suoi fa, nera/i s =
Già allora, Marx comprendeva l'origine delle disgrazie nazionali del popolo tedesco: in tutti i momenti decisivi della sua storia, quando gli si presentavano problemi vitali, dopo un breve slancio rivoluzionario esso ricadeva sotto l'influenza della reazione, che portava alla restaurazione dei vecchi ordinamenti conservatori. Durante la Riforma e la guerra dei contadini, nel periodo della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche, nel 1848, nel corso della unificazione nazionale, le classi reazionarie finirono sempre per avere il sopravvento. E per quali motivi ? Mentre gli altri paesi dell'Europa oce'i dentale si erano impegnati da tempo sulla via dello sviluppò capitalistico e della formazione di Stati borghesi moderni, la Germania rimaneva un paese nazionalmente diviso ed eco[...]

[...]o di questi due paesi, ad alcune forme insignificanti da una borghesia potente e ricca, concentrata in grandi città
e specialmente nella capitale, la nobiltà feudale in Germania aveva conservato una grande parte dei suoi vecchi privilegi. Il sistema terriero feudale dominava quasi dappertutto s z
A questo spezzettamento degli interessi economici, all'assenza di grandi centri economici e alla debolezza politica della borghesia corrispose lo sbriciolamento dello Stato, l'esistenza di numerosi piccoli Stati e principati, che formavano un solo c impero solo in apparenza. E d'altra parte c da che parte avrebbe potuto venire., — domanda Marx, — la concentrazione politica in un paese in cui tutte le condizioni economiche di questa concentrazione facevano difetto ? s 8. Ma questo spezzettamento economico e politico del paese impedì lo sviluppo' dei movimenti di massa, dei movimenti sociali delle classi progressive.
Il carattere reazionario degli Stati tedeschi venne ancora accentuato dalla forma originale che rivestì in Germania l'assolutismo[...]

[...]rgoPrussia ! ,.In uno scritto inedito intitolato : < 1 prussiani (le canafilie) , Marx smaschera e bolla il sistema di intrighi, di astuzie e di perfidie col quale gli Hohenzollern arrivarono ai loro fini. Nel 1648 il principe di Brandeburgo Federico Guglielmo sostenne Gian Casimiro per l' elezione al trono polacco ; in cambio la Prussia venne liberata da Gian Casimiro del legame di vassallaggio alla Polonia e passata al principe di Brandeburgo. Ciò non impedì a Federico Guglielmo di intendersi con la Svezia per la spartizione della Polonia. e Si sa, — scriveva Marx, — come il
grande elettore , (come se un ( elettore) potesse esser c grande a) ha tradito una prima volta la Polonia : alleato dapprima con la Polonia contro la Svezia, passa improvvisamente dalla parte della Sve
zia per meglio saccheggiare la Polonia... , Con
gli stessi metodi l'erede dell'elettore, Federico III, comprò il titolo di re di Prussia col sangue dei suoi soldati, che vendette all'Imperatore d'Austria per le sue guerre dinastiche. c La storia mondiale—scriveva [...]

[...]a feudale, e non di altro si preoccupava che di far ricadere sui contadini stessi i fardelli fiscali e le spese della macchina militare. Lo Stato dava a questa casta un potere illimitato sui contadini, mentre l' accrescimento dell'esercito contribuiva a renderli sempre più forti. Fu questa casta che, per avere un esercito di soldati docili, senz'anima, ciechi esecutori di qualsiasi ordine, introdusse nell'esercito. reclutato tra le masse di straccioni prodotte dalle stesse guerre devastatrici, il sistema del bastone. Appoggiandosi su questo esercito e su questi ufficiali, e su uno Stato specifica
K. M.+Rx, Polonia, Prussia e Russia..
X Neue Rheinische Zeitung, n. 294. 10 maggio 1849.
3 K. MARX e F. ENGt:Is, Opere complete, parte 1. , vol. IV,
p. 487. mente militare, gli Hohenzollern furono in grado di attuare la loro politica di conquiste diretta principalmente contro la Germania stessa.
< Il piccolo margravio, — diceva Marx di Federico Guglielmo I,—che cercava di accrescere e consolidare il suo potere indipendentemente dalla Stato [...]

[...]piani di un elettore di Brandeburgo, re per cortesia altrui, che agisce non a nome di una nazione, ma nell'interesse del suo patrimonio, che cerca .di arrotondare e ingrandire i suoi domini a carico dei territori della nazione... Trasformare il regno e mettersi alla sua testa era cosa molto al di sotto della sua ambizione 3. Tutta la politica interna di Federico 1I fu subordinata ai suoi scopi di conquista. Su. 16 milioni di talleri del suo bilancio, 13 erano spesi per l'esercito, i cui membri, secondo il giudizio di Scharnhorst, erano reclutati tra c i vagabondi, gli ubriaconi, i ladri, i fannulloni e, in generale, i criminali di tutta'la Germania i,, o tra contadini servi e cittadini poveri arrolati per forza, con delle vere cacce all' uomo. c Federico,—osservava Engels,—ha posto le basi di quel pedantismo e di quell'allenamento brutale che da allora ha sempre distinto i prussiani. Egli li ha così preparati alla vergogna senza pari di Jena e Auerstaedt 4.
La politica di perfidia, di violenza e di usurpazione propria di Federico II si [...]

[...]o di formazione di uno Stato nazionale, il processo di consolidamento di un popolo per risolvere i problemi della nazione; esso fu unicamente il processo di consolidamento della dinastia degli Hohenzollern ai danni del popolo tedesco e a prezzo di ogni sorta di meschinerie, bassezze e intrighi. c Piccole truffe, corruzione, subornazione diretta, corsa alle eredità,—scrive Marx,—è a queste cose abominevoli che si riduce la storia prussiana. Tutto ciò che vi è di inxeressante nella storia feudale,—conflitti tra sovrani e vassalli, mercanteggiamenti con le città, ecc ,—tutto ciò si presenta qui in forma grottesca e caricaturale, perchè le città sono delle più fastidiose, i feudali dei mi serabili mascalzoni, e il sovrano stesso una nullità... Oltre a ciò, nella lista dei governanti non si trovano che tre tipi caratteristici, i quali si succedono come la. notte al giorno, con delle irregolarità che riguardano 1' ordine di successione, ma non riguardano mai l'apparizione di un tipo nuovo: bigotto, caporale e buffone. Ciò che ha permesso allo Stato di mantenersi è stata la mediocrità, una contabilità molto esatta, nessun estremo, la puntualità..nell' applicazione dei regolamenti militari, una certa bassezza di carattere coltivata in casa e c gli statuti della chiesa >,. C'est dégoûtant .
Reazionario di sua natura, lo Stato prussiano.fu naturalmente una forza di_ repressione non solo in Germania, ma verso tutti i movimenti progressivi europei.
(Continua)
K MARX e F. ENGELS, Opere complete, parte 3", vol. II, p. 158.



da (Mito e civiltà moderna) Diego Carpitella, I «primitivi» e la musica contemporanea in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: I « PRIMITIVI » E LA MUSICA CONTEMPORANEA
Nonostante il frequente uso dei termini « primitivo » e « barbarico » nell'esperienza musicale contemporanea, tuttavia gli studi su questo argomento sono molto esigui, quasi inesistenti. Ciò può dipendere da varie ragioni: dall'asemanticitá propria dell'espressione musicale (1) per cui la determinazione e l'individuazione del « barbarico » e del « primitivo » presentano non poche difficoltà; quindi da una particolare configurazione della cultura musicale nel cui ambito i critici musicali « colti » ignorano alcuni complessi aspetti storici che si sottintendono ai termini « primitivo » e « barbarico », mentre gli studiosi di musica primitiva no n sono à la page con l'evoluzione del gusto e dell'espressione musicale contemporanea.
Soprattutto in queste due ragioni sono da ricercare[...]

[...] del gusto e dell'espressione musicale contemporanea.
Soprattutto in queste due ragioni sono da ricercare le cause della mancanza di una letteratura sull'argomento, casi che qualsiasi scritto, come il nostro, non può andare al di lá di una proposta di analisi dei rapporti tra musica contemporanea e musica dei « primitivi » : un'analisi che coinvolga non solo gli aspetti tecnicolessicali ma anche quelli storicoculturali (estetici, psicologici, sociologici, etnologici, religiosi) per cui la musica viene immessa in una visione piú ampia, relativa all'attuale condizione umana. Il « primitivo » e « barbarico » in musica, lo si deve intendere genericamente, nel senso di fauve così come é stato attribuito alla pittura, o meglio come Cocteau lo attribuì a Strawinsky a proposito de Le Sacre du printemps (2); in particolare si deve intendere come l'utilizzazione, da parte della cultura eurobianca occidentale, della musica dei popoli primitivi, di alcune specie di musica orientale e quindi di un certo tipo di folklore arcaico (3). Con « primitivo [...]

[...]ud, Jung, Aldrich, Adler, Malinowski, LévyBruhl, hanno più volte e in diverse occasioni sottolineato i rapporti tra « mente primitiva e civiltà moderna » (5) nel cui ambito rientrerebbe naturalmente anche la musica contemporanea.
In tal senso un'analisi del « primitivo » assume un valore notevole: sia perché data l'asemanticità dell'espressione musicale il valore dei « simboli » prende più rilievo; sia perché attraverso l'esame di alcuni dati sociologici, psicologici, etnologici, è possibile arrivare all'esplicazio ne di alcuni motivi della musica contemporanea. Uno studio, comunque, che va condotto sulla struttura « essenziale » del linguaggio.
Premesse necessarie queste per chiarire, ad esempio, che dal « primitivo » nella musica contemporanea sono automaticamente escluse le esperienze folkloriche romantiche (le cui determinanti storiche sono state, in gran parte, di carattere nazionalepolitico), e per distinguere, nella musica popolare, l'utilizzazione organica (a cui appartengono Bartók, Janacek, ecc.) da quella meccanica (cioè del[...]

[...] va condotto sulla struttura « essenziale » del linguaggio.
Premesse necessarie queste per chiarire, ad esempio, che dal « primitivo » nella musica contemporanea sono automaticamente escluse le esperienze folkloriche romantiche (le cui determinanti storiche sono state, in gran parte, di carattere nazionalepolitico), e per distinguere, nella musica popolare, l'utilizzazione organica (a cui appartengono Bartók, Janacek, ecc.) da quella meccanica (cioè della « citazione » su una struttura lessicale definita) (6). Eguale distinzione è necessario fare nella
(4) Cfr. S. FREUD, Totem e Tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici. (Ed. it. Bari, Laterza, 1953).
(5) Cfr. Cu. R. ALDRICH, Mente primitiva e civiltà moderna (ed. it. Torino, Einaudi, 1949; C. G. JUNG, L'Io e l'inconscio (ed. it. Torino, Einaudi, 19481954); L. LÉVYBRUHL, L'anima primitiva (ed. it. Torino, Einaudi, 1948); B. MALINOWSKI, Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi (id. 1950).
(6) Cfr. B. BART6K, Scritti sulla musica popolare (ed it. Torino, Einaudi, 1955); e Tn. W. AnoRNo, Philosophie der neuen Musik (Tübingen, 1949). Trad. It. di G. Manzoni (Torino, Einaudi, 1959) con un saggio introduttivo di L. Rognoni.. A pag. 43 (note): « Dove la tendenza evolutiva della musica occidentale non si è imposta del tutto, come in alcuni territori agrari dell'Europa del sudest, si è potuto impiegare senza dison[...]

[...]i che si sottintendono al termine « primitivo » limitano necessariamente queste nostre osservazioni ad alcuni momenti dell'esperienza musicale contemporanea senza considerare le origini e i presupposti romantici e illuministici del problema; soprattutto cercando di mettere in rilievo la distinzione o la convergenza del « primitivismo psicologico » (nell'ambito dei rapporti « mente primitiva e civiltà moderna ») dal « primitivismo di struttura » (cioè dalla utilizzazione del materiale musicale primitivo nella musica contemporanea).
In effetti bisogna riconoscere che il primo documento «mitico» in tal senso rimane Le Sacre du printemps di Strawinsky (9); mentre il più interessante studio su alcuni aspetti primitivi di Strawinsky è da
mente parte della musica d'arte europea piú progredita. La legittimazione di questa musica « marginale » si trova sempre in ciò; che essa dà forma a un canone tecnico in sé esatto e selettivo. In contrasto con le manifestazioni dell'ideologia nazista del Blut und Boden (« Sangue e terra »), la musica realmente etnica — il cui materiale, di per sé facile e corrente, é organizzato in modo ben diverso da quello occidentale — possiede una potenza di estraniazione che la accomuna all'avanguardia e non alla reazione nazionalistica, e viene in certo modo in aiuto dal di fuori alla critica immanente della cultura così come essa si palesa nella musica radicale moderna. La musica ideologica del Blut und Boden é invece sempre af[...]

[...]ntracciabili più facilmente sul piano psicologico e psicanalitico, nonostante la « parvenza » razionale che é propria della dodecafonia.
Ma seguiamo l'Adorno in alcuni passi relativi al « primitivismo » di Strawinsky (11). A proposito de Le Sacre:
p. 145 ... « Nonostante tutto il contrasto stilistico tra il primo balletto (Petruska) ammannito gastronomicamente, e l'altro (Le Sacre) cosí tumultuoso, entrambi hanno in comune il nucleo, il sacrificio antiumanistico alla collettività... Questo motivo, che determina totalmente la condotta della musica, lascia l'involucro giocoso di Petruska per presentarsi ndl Sacre con una gravità sanguinosa. Appartiene agli anni in cui si incominciavano a chiamare "primitivi" i selvaggi, alla sfera di Frazer, e di LévyBruhl, e
Danza degli adolescenti Il gioco del ratto Cortei primaverili Gioco delle città rivali Corteo del saggio Danza della terra II Parte: Introduzione Cerchi misteriose degli adolescenti Glorificazione dell'eletta Evocazione degli avi Danza rituale degli avi Danza sacrale de[...]

[...]Gioco delle città rivali Corteo del saggio Danza della terra II Parte: Introduzione Cerchi misteriose degli adolescenti Glorificazione dell'eletta Evocazione degli avi Danza rituale degli avi Danza sacrale dell'Eletta.
(10) T. W. ADORNO, Trad. it., op. cit.; si divide in: Introduzione, Schoenberg e il progresso, Strawinsky e la Restaurazione.
(11) Il concettb di « primitivo » è applicabile soprattutto alle opere del «periodo russo », e cioè: Uccello di fuoco, Petruska, Sagra della primavera, Il Re delle stelle, Tre poesie della lirica giapponese, Ricordi della mia infanzia, Berçeuses du chat, Soucoupes, Storie per bambini, Quattro canti russi, Le rossignol, Renard, L'Histoire du soldat, Mavra, Le nozze. A proposito di quest'ultime cfr. R. VLAD, Strawinsky (Torino, Einaudi, 1958) le scene delle Nozze sono così divise: La treccia, La benedizione dei genitori, Partenza della sposa e lamento dei genitori, Banchetto nuziale e veglia dei genitori dinanzi alla camera dei giovani. Scrive Vlad, sulla partitura: « Questa si basa sull'imp[...]

[...]rotici (13): orbene il compositore disdegna i selvaggi e si attiene a
(12) Così prosegue Adorno: « Il Sacre non si sarebbe potuto eseguire nel terzo Reich dalle innumerevoli vittime umane: e chiunque osava ammettere direttamente nell'ideologia la barbarie della prassi, cadeva in disgrazia. La barbarie tedesca — era forse stata questa l'idea di Nietzsche — avrebbe, senza menzogne, sradicato insieme con l'ideologia, la barbarie stessa. Nonostante ciò l'affinità del Sacre con il suo modello é incontestabile, e così il suo gauguinismo, le simpatie del suo autore che, come riferisce Cocteau, sbalordiva i giocatori di Montecarlo mettendosi i gioielli di un sovrano negro » (Le coq et l'Arlequin, op. cit.). Sulla degenerazione del primitivismo in barbarie cfr. l'introdu clone di R. Bianchi Bandinelli a Frobenius, Storia delle civiltà africane (Torino, Einaudi, 1958, 2a ediz.).
(13) S. FREUD, Totem e tabù, op. cit.
118 DIEGO CARPITELLA
ciò di cui l'esperienza dell'arte moderna è sicura, cioè a quell'arcaicità che costituisce lo strato profond[...]

[...] incontestabile, e così il suo gauguinismo, le simpatie del suo autore che, come riferisce Cocteau, sbalordiva i giocatori di Montecarlo mettendosi i gioielli di un sovrano negro » (Le coq et l'Arlequin, op. cit.). Sulla degenerazione del primitivismo in barbarie cfr. l'introdu clone di R. Bianchi Bandinelli a Frobenius, Storia delle civiltà africane (Torino, Einaudi, 1958, 2a ediz.).
(13) S. FREUD, Totem e tabù, op. cit.
118 DIEGO CARPITELLA
ciò di cui l'esperienza dell'arte moderna è sicura, cioè a quell'arcaicità che costituisce lo strato profondo dell'individuo e che si affaccia nuovamente nella sua decomposizione, incontraffatto e attuale. Le opere che stanno tra il Sacre e la virata neoclassica imitano il gesto della regressione, tipico della dissociazione dell'identità individuale, e se ne aspettano un'autenticità in senso collettivo. L'affinità veramente stretta di questa tendenza con la teoria di C. G. Jung (14), di cui probabilmente il compositore non sapeva nulla, è lampante almeno quanto lo è il potenziale reazionario. La ricerca di equivalenti musicali dell' "inconscio col[...]

[...]ttuale. Le opere che stanno tra il Sacre e la virata neoclassica imitano il gesto della regressione, tipico della dissociazione dell'identità individuale, e se ne aspettano un'autenticità in senso collettivo. L'affinità veramente stretta di questa tendenza con la teoria di C. G. Jung (14), di cui probabilmente il compositore non sapeva nulla, è lampante almeno quanto lo è il potenziale reazionario. La ricerca di equivalenti musicali dell' "inconscio collettivo" prepara il rovesciamento che porterà all'instaurazione di una comunità regressiva intesa come fatto positivo: ma a tutta prima ha un'aria follemente regressiva... ».
L'Adorno approfondisce le osservazioni sul primitivo e il nevrotico, prestando particolare attenzione alle composizioni a infantili » di S. (15), riproponendo alcune teorie di psicologia infantile per cui nell'infanzia si ripetono lé fasi della a preistoria umana » (16) :
p. 165 ... « La psicologia insegna che tra gli strati arcaici esistenti nella persona singola, e il suo io, stanno mura che solo le forze esplosiv[...]

[...] senza sosta: il suo comportamento ritmico è in tutto assai vicino allo schema delle condizioni catatoniche. In certi schizofrenici il fatto che l'apparato motorio diventa autonomo conduce, dopo il disfacimento dell'io, a ripetere senza fine determinati gesti e parole: qualcosa di simile si conosce già in persone colpite da choc. Così la musica da choc di Strawinsky sta sotto la coazione a ripetere, e la coazione continua a sua volta a intaccare ciò che si ripete. La conquista di regioìli già musicalmente vergini, come ad esempio l'ottusità animalesca riscontrabile nel Soldato, è dovuta a questa vena catatonica, che non giova solo all'intento caratterizzatore, ma contagia lo stesso decorso musicale ».
p. 188 ... « L'involuzione del soggetto in essere primordiale diviene possibile in quanto gli viene amputata la presa di coscienza di se stesso, la memoria. Il fatto che il Soldato finisca proscritto nel dominio di ciò che è semplicemente presente, svela il tabù nel cui segno sta complessivamente la musica di Strawinsky ».
Se non si tiene[...]

[...]ista di regioìli già musicalmente vergini, come ad esempio l'ottusità animalesca riscontrabile nel Soldato, è dovuta a questa vena catatonica, che non giova solo all'intento caratterizzatore, ma contagia lo stesso decorso musicale ».
p. 188 ... « L'involuzione del soggetto in essere primordiale diviene possibile in quanto gli viene amputata la presa di coscienza di se stesso, la memoria. Il fatto che il Soldato finisca proscritto nel dominio di ciò che è semplicemente presente, svela il tabù nel cui segno sta complessivamente la musica di Strawinsky ».
Se non si tiene conto del tono polemico con cui questo saggio su Strawinsky e la restaurazione fu scritto, da un Adorno acceso sostenitore della dodecafonia, si potrebbe essere indotti a dare un significato deteriore alle analisi in chiave primitivopsicanalitica. In effetti, nonostante il tono polemico, l'analisi di Adorno intuisce uno dei punti essenziali della crisi del mondo contemporaneo. Voler mettere in rap
120 DIEGO CARPITELLA
porto questo primitivismo psicologico con il primiti[...]

[...]le dell'Eletta:
« ...È vero comunque (con talune eccezioni che non bastano ad infirmare la regola) che da più di un mezzo millennio il ritmo, irrigiditosi nelle schematiche formule di una stereotipa quadratura, aveva assunto un ruolo subordinato nei confronti degli altri elementi musicali. Se non è dunque la prima volta in senso assoluto che, nella Sagra, il ritmo riacquista un valore costruttivo, é certamente la prima volta dopo sei secoli che ciò avviene su larga scala. Del resto, l'importanza delle innovazioni strawinskiane in questo campo viene riconosciuta anche dagli odierni compositori d'avanguardia i quali mirano alla serializzazione di tutti gli elementi formali e soprattutto del ritmo. Ad uno dei più noti di questi compositori, il Boulez, si deve un'analisi dei principi di variazione ritmica applicati da Strawinsky nella Sagra » (cfr. P. Boulez, Propositions, in « Polyphonie », n. 2, Paris, 1948) (p. 51, Vlad, Strawinsky, op. cit.).
Una approfondita e completa analisi delle affinità tra la musica strawinskiana (soprattutto de[...]

[...]e sia dell'« esotismo » che del « folklorismo » (18). La stessa utilizzazione che Strawinsky ha fatto del jazz, dimostra come in lui non vi
(18) Un esempio di « esotismo » organico in Strawinsky lo si trova nel Rossignol: « Si osservi a questo proposito come Strawinsky riesce a rendere il colore locale cinese. Egli non segue meccanicamente gli schemi della scala pentatonica che caratterizza la musica cinese, ma ne assume íl principio struttivo, cioè la mancanza dell'intervallo di semitono » (VLA», Straw., op. cit., p. 64).
I K PRIMITIVI » E LA MUSICA CONTEMPORANEA 121
sia generalmente mai un primitivismo di imitazione, ma si debba sempre considerare la presenza di un'entità fauve. Ecco come egli stesso scrive nelle Cronache della mia vita, sul Ragtime per li strumenti, composto nel 1918:
«... sebbene di modeste dimensioni (quest'opera) è significativa per l'interesse che provavo allora per il jazz, venuto fuori in modo così dlamoroso subito dopo la fine della guerra. Dietro mia richiesta, mi era stato spedito un mucchio di queste mus[...]

[...]ei confronti del valzer, della mazurka, ecc. » (19).
Si può dire, in effetti, che in Strawinsky il primitivismo di struttura è reso fondamentalmente da una particolare utilizzazione di elementi diatonici, eterogenei si, ma tradizionali, cosicché il primitivismo psicologico (sotto molti aspetti esplicito) si fonda su un materiale c storico ». Negli espressionistidodecafonici, invece, il primitivismo psicologico appare nell'esaltazione dell'inconscio attuale, mentre quello di struttura, nonostante l'apparente razionalizzazione del materiale, risulta destorificato.
Nell'introdurre la sua Storia della dodecafonia (20), Roman Vlad molto opportunamente ricapitola le cc varie fasi del divenire storico della civiltà musicale europea » passando in rassegna i diversi sistemi musicali che si sono succeduti nel tempo. Dal tetracordo del sistema musicale greco (fino al sec. VII a. C.) si passa alla scala di sette suoni (eptatonica) di Terpandro, dovuta all'unione di due tetracordi, «scala che era destinata a restare la base costruttiva della musica[...]

[...]c (pp. 5368) in cui si esamina quali aspetti del jazz (ragtime, blues, polifonia) hanno influenzato i compositori francesi: Debussy, Satie, Milhaud, Honegger, Ravel, Wiener. Cfr. anche per una particolare utilizzazione del jazz, L. Pestalozza, Il mondo musicale di Gershwin, in « L'Approdo Musicale » n. 4, ott.dic. 1958.
(20) R. VLAD, Storia della dodecafonia (Milano, Suvini Zerboni, 1958).
122 DIEGO CARPITELLA
d. C. al punctus contra punctus (cioè al sorgere della polifonia). Secondo alcuni teorici lo svolgimento della civiltà europea ha assunto caratteri diversi a secondo il modo in cui i suoni si sono accoppiati polifonicamente (21). Da un primo accoppiamento all'unissono, all'ottava, alla quarta e alla quinta si passa nel Duecento, ad un accoppiamento secondo le terze (evitando le dissonanze di seconda o di settima, che dovevano invece essere « preparate »). « Tutte le successive fasi dello sviluppo della musica europea saranno caratterizzate dal graduale e continuo spostamento del limite di dissonanza e dalla conseguente ammission[...]

[...] di quinta Monteverdi aggiunge la settima e la nona, Schubert e Weber introducono, poi, la undicesima, Ravel infine, adoperando su larga scala l'accordo di tredicesima, porta all'estremo le possibilità di creare nuovi accordi nell'ambito della scala diatonica » (p. 9). Verso la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento ha inizio il superamento della scala tonale (con i suoi unici modi maggiore e minore), la conquista del totale cromatico (cioè dei dodici semitoni) e quindi la fine del temperamento equabile (cioè quel sistema per cui « un tasto di uno strumento a suoni fissi potesse rendere più note di nome diverso ma di eguale suono, cosa che era impossibile partendosi dagli intervalli naturali », p. 9). A questo processo contribuirono notevolmente le scuole nazionali folkloriche so prattutto dei paesi scandinavi, slavi, balcanici, iberici. Vi fu anche l'utilizzazione di un certo tipo di folklore da parte di musicisti colti come Debussy, Ravel, Busoni e quindi i musicisti italiani della generazione dell'80 (22). « Si diffuse così il concetto di una nuova modalità, caratterizzata dall'uso di modi ana[...]

[...]diatoniche di sette suoni » (p. 10). In questa situazione Schoenberg attua il totale cramatico atonale (o anche pantonale, o libera dissonanza) per poi approdare
(21) R. LEIBOWITz, Introduction à la musique de douze sons (Parigi, Ed. L'arche, 1949).
(22) Per musicisti della generazione dell'80, si intendono Casella, Malipiero, Respighi, Pizzetti, Alfano.
I « PRIMITIVI » E LA MUSICA CONTEMPORANEA 123
al principio costruttivo dei dodici suoni, cioè alla dodecafonia. Da qui alla poliarmonia, alla polimodalità e alla politonalità, il passo è breve. Con il pluricromatismo dei concreti e degli elettronici si dovrebbe arrivare « ...all'esaurimento del nostro sistema basato su dodici diversi suoni della scala temperata: in quel momento diventerà attuale il nuovo ri corso ai quarti ed alle altre frazioni di suoni inferiori al semitono) (p. 11).
È necessario fare questa premessa sullo svolgimento della civiltà musicale eurobianca per comprendere a che punto sia intervenuto lo studio storico e scientifico della musica primitiva, e come si sia [...]

[...]deve una precisa documentazione sulla divisione in quattro aree della polifonia primitiva secondo due criteri: la simiglianza e la diversità tra l'organizzazione tonale delle parti individuali; l'analogia
o la diversità dell'importanza delle parti individuali. Per cui si é arrivati nella polifonia primitiva, alla individuazione dell'etero f onia, agli intervalli paralleli, all'imitazione, al canone, all'ostinato, al bordone. Si aggiunga a tutto ciò le particolari tecniche di esecuzione che comprendono grida, richiami, melodieparlate,. ecc.
Nonostante questa nostra rapida rassegna ci costringa ad osservazioni di carattere generale, tuttavia é possibile affermare che analogie evidenti possono essere stabilite tra il materiale primitivo e quella contemporaneo. Gli elementi più espliciti sono : la struttura prevalentemente modale delle scale, la cui base è in genere tetratonica e pentato
(36) A. LOMAX, Nuova ipotesi sul canto folkloristico italiano nel quadro della musica mondiale, in « Nuovi Argomenti », nn. 1718, nov. 1955 febb. 1956. [...]

[...]elle prime opere del compositore russo con « la rinuncia ad ogni psicologismo e la riduzione al puro fenomeno ». Così Strawinsky mirerebbe a ricercare l'essenza della musica quasi « in un diretto contatto con la materia prima della musica »; la sua si atteggia come « una tecnica di assaggi permanenti » essenzialmente immersa nella materia in sé; e la musica strawinskiana risuonerebbe come vibrazione fisiologica che « non conosce il ricordo e perciò nemmeno la continuità temporale: essa decorre in riflessi ». V'è da rimanere sbalorditi nel ritrovare una coincidenza così puntuale tra le affermazioni difensive di alcuni ambienti postweberniani e queste definizioni del primo Strawinsky. Poiché l'« io non può essere salvato » (Mach), almeno come esso si manifesta in un certo tipo di arte occidentale, dalla sua negazione subentra il livellamento collettivo; e Strawinsky viene proprio interpretato come l'ultimo anello di un processo che aveva mirato al rinnovamento mediante il ritorno alle origini. La regressione nella storia, oltre la storia,[...]

[...]in Totem e tabe (Il ritorno del totemismo nell'infanzia):
p. 177 ... « Certamente, tanto nei selvaggi come nei nevrotici, non ci sono quelle divisioni nette tra pensiero ed azione che sono in noi. Solamente il nevrotico è inibito nell'azione, in lui il pensiero è il vero surrogato dell'azione. L'uomo primitivo non ha questa inibizione, il suo pensiero si trasforma senz'altro in azione, l'azione è per lui piuttosto un surrogato del pensiero e perciò ritengo, pur senza garantire l'assoluta esattezza della mia asserzione, che nel caso in discussione si possa ben dire che: « In principio era l'azione ».
In altri termini il limite del primitivismo psicologico dei dodecafonici è nella « sospensione del giudizio » weberniana (43) e nella « identificazione con l'aggressore » (cioè lo scientifismo tecnico) formulata dall'Adorno nell'Invecchiamento della musica moderna (44).
D'altro canto i timori per questo « limite » furono manifestati, con grande scalpore, da Thomas Mann nel suo Doctor Faustus (in cui l'Adorno fu un ideale consulente tecnico) e nella conseguente polemica con Schoenberg:
« Ciò che infatti ne potevo desumere, e che mi appropriai per descrivere la crisi generale della civiltà e della musica in particolare, costituiva il motivo fondamentale del mio libro: la vicinanza della sterilità, la disperazione innata e predisponente al patto con il diavolo » (45).
A cui fa eco, anche qui, l'Aldrich in Mente primitiva e civiltà moderna (La psiche primitiva) :
(43) Cfr. ROGNONI, Introduzione a TH. W. ADORNO, Filosofia, ecc., op. cit. (p. XXVI).
(44) TH. W. ADORNO, Dissonanzen (Goettingen, 1958). Trad. it. a cura di G. Manzoni (Feltrinelli, 1959), pp. 156186.
(45) Cfr. in ROGN[...]

[...]o come scriveva in « Der blaue Reiter » F. March, Die « Wilden » Deutschlands:
« Nella nostra epoca di aspra lotta per l'arte nuova, noi combattiamo in qualità di "selvaggi", di barbari, di non organizzati, contro un antico potere organizzato. Sembra una lotta impari; ma nelle cose dello spirito non è mai il numero, ma la forza delle idee che vince. Le armi temute dei "selvaggi" sono le loro nuove idee; esse uccidono più dell'acciaio e spezzano ciò che si ritiene infrangibile. Chi sono in Germania questi "selvaggi"? Una buona parte di loro è nota e coperta d'insulti: il gruppo Die Brücke di Dresda, la Neue Sezession di Berlino, la Neue Vereinigung di Monaco. Una influenza liberatrice ebbero alcuni giovani francesi e russi che esposero come ospiti nella Neue Vereinigung. Essi offrono materia di riflessione, si capi che nell'arte sono in gioco le cose più profonde, che il rinnovamento non pue, essere formale, ma è una rinascita del pensiero. La "mistica" si risvegliò nelle anime e con essa elementi primigeni dell'arte. Ma non tutti i "sel[...]

[...] « serializzazione » degli elementi formali:
« Il carattere non rigorosamente tonale del linguaggio blues con
(46) Riportato in: Rooxoxt, Espressionismo e dodecafonia (Torino, Einaudi, 1954), p. 54.
(47) Cfr. ROGNONI, Espressionismo, ecc., op. cit., pp. 38 e 54.
I « PRIMITIVI » E LA MUSICA CONTEMPORANEA 131
sente la sovrapposizione continua, in posizione evidentemente dialettica, di diverse linee melodiche. Qualcuno ha voluto riconoscere da ciò il carattere politonale del blues. In realtà il blues non potrà mai essere politonale, per la ragione assai semplice che non é diatonico. La presenza di uno svolgimento blues di melodie diverse, opposte e sovrapposte, all'apparenza ognuna svolta entro i diversi limiti tonali, rappresenta il punto estremo di libertà armonica a cui ii suo schema può giungere. In pratica tutte queste diverse melodie possono poi ridursi, superati i pregiudizi dei suggerimenti tonali e diatonici, ad alterazioni sovrapposte e continuate con interdipendenza logica di un medesimo movimento tematico. Soltanto nei blue[...]

[...]ini popolari a cura di R. Leydi (pp. 4396); J. LANG, Jazz in perspective, London, 1947 (Trad. it. Jazz, Milano. 1950); cfr. A. M. DAUER, Der Jazz (Kassel, 1958).
(49) Cfr. ROGNONI, Espressionismo, ecc., op. cit., p. 34.
132 DIEGO CARPITELLA
di razionalizzazione attraverso il « materiale ». Una razionalizzazione che diventa « una specie di simbolismo materializzato »: « Nella razionalizzazione si cela un pessimo fattore irrazionale, la fiducia cioè che una materia astratta possa avere un significato in se stessa: ed è invece il soggetto che si misconosce in essa, mentre esso solo potrebbe cavarne un senso » (Invecchiamento della musica moderna, p. 170).
Il presente saggio, come abbiamo premesso, non può andare al di là di una proposta, non è possibile quindi esigere un discorso compiuto. Tuttavia un prima contatto con il problema stimola delle considerazioni preliminari. Alla stato attuale è possibile stabilire dei rapporti tra la musica contemporanea e quella primitiva, soprattutto se si considera che per quest'ultima si è ormai giun[...]

[...]possibile stabilire la presenza del « primitivo » nella musica contemporanea, non solo « seria » ma anche leggera », anzi attraverso quest'ultima — dalle migliori espressioni jazz fino alle più spurie colonne sonore — è possibile chiarire fino a che punto il « primitivismo » si sia commercializzato (50). Perché poi il « primitivismo » della musica jazz e « leggera » faccia più presa sulla massa, di quanto non il primitivo nella musica « seria », ciò dipende da un processo di destorificazione intellettualistica che il materiale primitivo subisce. Cioè : il primitivismo psicologico della musica « seria » che non viene accettato dalla porta, entra invece dalla finestra, con il primitivismo psicologico e di struttura della musica jazz e «'leggera »: viene anzi usato come un mezzo di rimozione e un simbolo di feticismo nella musica (51). Forse da quando esiste il dualismo musica « seria » e musica « leggera » non si è mai avuto un comune denominatore così unitario, ma con risultati estremamente contradditori. È una questione su cui riflettere
(50) Vedi in Tse. ADORNO, Dissonanze, op. cit., trad. it. II carattere di feticcio in musica e il re[...]

[...]rimitivismo psicologico e di struttura della musica jazz e «'leggera »: viene anzi usato come un mezzo di rimozione e un simbolo di feticismo nella musica (51). Forse da quando esiste il dualismo musica « seria » e musica « leggera » non si è mai avuto un comune denominatore così unitario, ma con risultati estremamente contradditori. È una questione su cui riflettere
(50) Vedi in Tse. ADORNO, Dissonanze, op. cit., trad. it. II carattere di feticcio in musica e il regresso dell'ascolto, pp. 751; dr. D. CARPITELLA, Musica popolare e musica di consumo (Accademia S. Cecilia, 1955).
(51) Da una notizia pubblicata su « Il Giorno » (194'59) in cui si riferisce che il reverendo Cavell Northam conquista i suoi parrocchiani della chiesa di St. James, a Downley, in Inghilterra, cantando il rock'n'roll: « Fino ad oggi, per molti, il jazz, e in particolare il rock'n'roll, sono stati "la musica del diavolo". Ora invece non sono pochi i preti — protestanti — che insistono sulle "profonde radici religiose del jazz e della autentica musica popolare". L[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] C. Luporini, La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]reponderanza alla proposizione determinata dei problemi, rispetto alle particolari soluzioni, alcune delle quali sono evidentemente rimaste ancora fluide (eventualmente provvisorie), o si presentano esse stesse piuttosto come ulteriori orientamenti di ricerca. (Per « proposizione determinata » s'intende un problema posto con quella precisione che ne determina o include una linea di svolgimento, e una serie di articolazioni con altri problemi). E ciò :anche a prescindere dalla questione della forma attuale di pubblicazione dei testi. Tale criterio vale, naturalmente, entro certi limiti: quelli che ci consentano di non perdere nulla della ricchezza di indicazioni positive e nuove che si trovano in Gramsci, e insieme di porre in evidenza, attraverso la grande varietà di argomenti da lui affrontati, gli aspetti centrali, organici, pienamente definiti, del suo pensiero, dai quali ricevono luce le impostazioni particolari. Non si tratta dunque di tentare alcuna sistemazione estrinseca, ma di rimaner fedeli al concetto fondamentale di Gramsci, [...]

[...]oblema della loro unificazione culturale e, in un orizzonte piú ampio o remoto, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. Il marxismo si presenta cosí come riforma intellettuale e morale di massa dei tempi moderni. La parte forse piú nuova della problematica gramsciana si svolge da questa concezione. L'esigenza di far coincidere storicamente tale aspetto con la soluzione dei compiti teorici, scientifici ecc., piú alti e complessi, cioè l'esigenza di una « culturaintegrale » , che, sulla base della classe rivoluzionaria, possieda un'espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò essenziale alla dinamica del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità irriducibile a tutte le precedenti « filosofie ». L'identificazione dialettica operata da Gramsci di filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato o proiettata verso il futuro — non è comprensibile senza questa nuova dimensione della considerazione filosofica (non ha nulla a che fare, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico). La stessa esposizione del marxismo come filosofia si fa astratta (soprattu[...]

[...]o attualistico). La stessa esposizione del marxismo come filosofia si fa astratta (soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto il problema dell'ege
4.
40 I documenti del convegno
monia) se è svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali (tipizzate ai loro estremi in idealismo e materialismo metafisico) e non coinvolge 1a discussione col « senso comune ». La nozione di « senso comune » diventa perciò centrale.
Essa nel contesto gramsciano è ben piú complessa del consueto riferimento di comodo che sotto tale denominazione serve in generale ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento mentale staticamente contrapposto alla « criticità » della filosofia o alla metodologia scientifica (anche se, eventualmente, lo si consideri, in ultima analisi, con esse conciliabile). Il « senso comune » non è in Gramsci univocamente riducibile, nei suoi contenuti: esso è sempre « prodotto storico » che contiene e cristallizza contraddittoriamente le piú varie eredità passive del passato, oltre, natur[...]

[...]iliabile con il pensiero di Gramsci una esposizione del marxismo (anche a scopi meramente didascalici) in cui il materialismo storico appaia (secondo un'implicita logica classificatoria) come caso particolare di applicazione di un piú generale « materialismo dialettico » la cui « descrizione » possa, sia pur momentaneamente, prescindere dalla presenza dell'uomo nel mondo. Si ritiene che questa non sia una questione scolastica, bensí sostanziale. Ciò non va frainteso nel senso che Gramsci operi una riduzione della dialettica al solo mondo storicoumano, il che viene escluso, per la stessa integrale dialetticità, dal nesso uomonatura, che implica tanto l'opposizione e contraddizione, da cui si svolge la storia umana, quanto la identità e continuità I. Ma il fondamento rimane per Gramsci appunto in quel nesso, ossia nella nozione di prassi umana sensibile (anche relativamente alla considerazione delle scienze naturali, dei loro metodi e risultati), senza di che si ricade o nell'idealismo o nel materialismo metafisico. Se è vero che il
Cfr.,[...]

[...]er lo svolgimento della filosofia marxista e innanzi tutto della sua gnoseologia e epistemologia. Alcune ricorrenti, assai suggestive, considerazioni gramsciane di natura categoriale (per es. relativamente alle nozioni di necessità, di possibilità reale) paiono anch'esse riallacciarsi a tale impostazione di fondo, che è quella poi che consente in gnoseologia l'affermarsi piú conseguente del « criterio della prassi » come criterio fondamentale 1. Ciò, che invece non trova posto, ci sembra, almeno direttamente nel quadro della problematica gramsciana, è la dottrina gnoseologica nota sotto il nome di « teoria del riflesso ».
5. Le questioni ora toccate ricevono luce nel pensiero di Gramsci dalla sua concezione del marxismo come assoluto o integrale storicismo. La energia critica del metodo marxista si manifesta nelle pagine di Gramsci attraverso lo sforzo continuo di discriminare i problemi « reali », liberandoli dagli inganni verbali e dagli ideologismi astratti. Ma la possibilità di identificare i problemi reali non ubbidisce a nessun a[...]

[...] assoluto o integrale storicismo. La energia critica del metodo marxista si manifesta nelle pagine di Gramsci attraverso lo sforzo continuo di discriminare i problemi « reali », liberandoli dagli inganni verbali e dagli ideologismi astratti. Ma la possibilità di identificare i problemi reali non ubbidisce a nessun astratto o estrinseco criterio di « realtà », si presenta bensí sempre come possibilità storicamente data nella prassi sociale. Sorge cioè come giudizio storico inserito e operante nell'azione storicosocialepolitica consapevole. Qui ha la sua radice ultima la complessa, articolata, identificazione gramsciana, a cui si è piú volte fatto cenno, di filosofia e politica. Il
1 Cfr. la II Tesi su Feuerbach, e Lenin, Materialismo e empiriocriticismo, ed. it., pp. 130131.
44 I documenti dei convegno
metodo di Gramsci è il metodo di tale giudicare storico connesso alla azione, quindi alla lotta, che richiede sempre di porsi in condizioni di comprendere (storicamente) le ragioni d'essere, le radici nella realtà (passatopresente), dell[...]

[...] si è piú volte fatto cenno, di filosofia e politica. Il
1 Cfr. la II Tesi su Feuerbach, e Lenin, Materialismo e empiriocriticismo, ed. it., pp. 130131.
44 I documenti dei convegno
metodo di Gramsci è il metodo di tale giudicare storico connesso alla azione, quindi alla lotta, che richiede sempre di porsi in condizioni di comprendere (storicamente) le ragioni d'essere, le radici nella realtà (passatopresente), delle posizioni combattute (e in ciò manifesta la propria superiorità). Tale metodo di storicismo integrale (radicalmente opposto allo storicismo speculativo idealistico, fondato genericamente sulla nozione metafisica di divenire, e tendente a sovrapporre la sintesi ideale al movimento storico reale, cioè a mistificare la dialettica, a metter le « brache al mondo » ...) Gramsci lo estende, almeno tendenzialmente, fino alle estreme posizioni teoretiche, indirizzando l'indagine verso una compiuta applicazione ed elaborazione della dottrina delle sovrastrutture, che è uno degli aspetti piú originali del suo pensiero. Di qui la sua conseguente radicale storicizzazione del marxismo stesso (quale « coscienza piena delle contraddizioni » che si pone non al di là di esse ma come elemento del loro sviluppo, « principio di conoscenza e quindi di azione »); di qui la sua concezione praticoumanistica del[...]

[...] » 1).
1 M. S., pp. 230, 191, e passim.
46 I documenti del convegno
Qwesto atteggiamento metodico di Gramsci, che proviene dai classici, è da ritenersi, in generale, essenziale a una concezione non chiusa o dogmatica (settaria) del marxismo, ed essenziale al suo svolgersi e procedere per quella « strada maestra della civiltà mondiale » (Lenin), sulla quale storicamente è sorto.
Del pensiero di Gramsci nella presente relazione si è cercato perciò non tanto una collocazione storica (compito eventualmente di altri) quanto di mettere in evidenza, almeno in parte, quegli elementi fondamentali che ci sembrano piú attuali e attivi in tale senso.



da Giovanni Pirelli e Piero Malvezzi (a cura di), Lettere di condannati a morte della Resistenza europea in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]e tedesca e comprovano la connivenza delle vecchie classi dirigenti con la politica hitleriana.
Dal '48'49 è calato in Italia un sipario di silenzio, rotto ogni tanta dalla tardiva apparizione di qualche memoria, da qualche romanzo (fra i quali, di grande popolarità, L'Agnese va a morire di R. Viganò), saggio, o articolo della stampa di sinistra. È mancata da parte governativa ogni iniziativa (fa eccezione il breve periodo in cui funzionò l'Ufficio Storico della Presidenza del Consiglio) tendente a promuovere la sistematica raccolta ed elaborazione di documenti, la diffusione dei libri sulla Resistenza nelle pubbliche biblioteche, l'educazione degli scolari e studenti ai valori che animarono il Movimento di Liberazione in Italia e negli altri Paesi e, in genere, la conoscenza di quel momento della nostra vita nazionale che fu l'atto di nascita della Repubblica Italiana. È mancata da parte degli studiosi ed artisti una elaboiazione dei fatti e dei temi di quei tempi, ostando, fra molte cause spcci
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RES[...]

[...]e cause spcci
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
fiche e generiche, lo scoraggiamento degli editori, anche fra i più democratici, di fronte al disinteresse del mercato librario per i testi sulla Resistenza. Il solo Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia ha rappresentato, pur nella estrema limitatezza dei mezzi finanziari a disposizione, una certa continuità negli studi e nella raccolta di documenti. E ciò proprio nel periodo in cui avveniva la fioritura delle memorie degli exgerarchi fascisti e repubblichini. Analoga vicenda sembra aver subito la pubblicistica degli altri Paesi dell'Europa Occidentale e una parallela fioritura di memorie di nazisti (ultime della serie quelle di Kesserling) si è verificata nella Germania di Bonn.
Recentemente, invece, vi è stata da noi una ripresa delle iniziative legate ai temi e valori della Resistenza, ripresa che risulterebbe sorprendente se non la si mettesse in relazione al rinnovato impegno degli studiosi ed alla vivace reazione di larghi strati della s[...]

[...]i o nemiche, si sono trovati impegnati ad un riesame dei valori espressi in quegli anni di lotta. Le reazioni furono, come logico, varie, riflettendo l'evoluzione, dopo circa un decennio, delle correnti che della Resistenza erano state protagoniste e dei partiti che avevano formato i Comitati di Liberazione Nazionale; ma furono nel loro insieme, (ignorandosi qui volutamente gli insulti di una parte della stampa neofascista) serie e impegnate. Perciò ci parve di essere su di una buona strada e di dover fare, su di essa, un passo avanti.
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 3
Dapprima pensammo ad una seconda raccolta di lettere di partigiani, non più limitata al tema dei condannati a morte. Ne facciamo qui cenno perché è una ricerca che qualcuno dovrà compiere (e subita, prima che altro materiale vada disperso!) rifacendosi al lavoro che l'Omodeo compi sulle lettere dei combattenti della prima guerra mondiale e da cui emerge, sia pure limitatamente ai ceti intellettuali borghesi, la storia morale delle generazioni che i[...]

[...]eglianti ebraici che vennero a cercare le loro vittime nelle abitazioni e nei nascondigli. Bubi ed io andammo a lavorare. Mamma e papá restarono a casa, avevano il « timbro per la vita ». Allo sbarramento non ci fecero passare. Bubi ed io fummo condotti al piazzale delle vittime ed eravamo convinti che non ne saremmo usciti vivi. Molti furono fucilati sul luogo stesso. Noi ci demmo alla fuga e riuscimmo a salvarci. Fortunatamente arrivai all'Ufficio. Eccomi dunque seduta li, mentre lá fuori migliaia di persone attendevano la morte. Ah, come posso descrivervi ciò? Nel pomeriggio venni a sapere che mamma e papá erano stati visti sul piazzale. Dovevo continuare a lavorare, non potevo aiutarli. Ho creduto di impazzire. Ma non si impazzisce. Poi seppi che le donne che non lavoravano, le semplici donne di casa, non le si poteva salvare. Ora, dovevo piangere e lamentarmi per aver perduto la mamma, o rallegrarmi di aver salvato il papa? Non lo sapevo. Si può concepire una cosa simile? La si può comprendere ? Non sarebbe normale che il cervello e il cuore scoppiassero?
Così continuammo a vivere senza la mamma, la nostra cara e fedele mamma, il buon cuore di [...]

[...]ontinuavano le preoccupazioni quotidiane, la dura lotta per l'esistenza che era diventata stupida, priva di senso.. Si dovette cambiare casa ancora una volta, il ghetto doveva essere ancora ristretto. Infatti le case degli uccisi erano venute libere. E si continuava a vivere.
Il 5 novembre era domenica. Improvvisamente, alle undici del
6 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
mattino, il ghetto fu circondato ed il ballo ricominciò. Io fui, quella volta, particolarmente «fortunata ». Senza che avessi alcun sospetto d'una imminente azione, esattamente dieci minuti prima che il ghetto fosse circondato, ero uscita. Col tempo ci si abitua a tutto. Si diventa così ottusi. Anche se si perdeva qualcuno degli amici o parenti più prossimi, non si reagiva quasi piú. Non si piangeva, non si era più esseri umani, si era di pietra, senza più sentimenti, nessuna notizia ci faceva più impressione. Ci si avviava alla morte, anzi, con calma assoluta. La gente sul piazzale era indifferente e tranquilla.
20 aprile 1943
Sono ancora viva [...]

[...]tbus, il 258, di mattina, iniziò il processo e a mezzogiorno era già finito. E andato secondo le aspettative. Ora sono, con un compagno, in una cella a Ploetzensee, incolliamo dei sacchetti, cantiamo ed aspettiamo che venga il nostro turno. Rimangono alcune settimane, a volte si aspetta anche dei mesi. Le speranze cadono silenziosamente e dolcemente, come foglie secche.
L'inverno sfronda l'uomo come un albero. Credetemi: nulla, proprio nulla di ciò che è successo ha potuto togliermi la gioia che è in me e che ogni giorno si annuncia con qualche motivo di Beethoven. L'uomo non diventa più piccolo anche se viene accorciato della testa. E vi prego caldamente, quando tutto sarà finito, di non ricordarvi di me con tristezza, ma con quella gioia con la quale io ho sempre vissuto. (Seguono alcune parole cancellate dalla censura) ...nasce. Queste sono idee così, lo so che fareste voi stessi tutto il possibile. Ma se anche non riuscirete a nulla, non disperatevi per questo, né siate infelici. Una volta o l'altra dietro ad ognuno si chiude la por[...]

[...]vinezza e sentimento perché possa avere il diritto di rimanere vedova. Volevo che fosse felice e vorrei che lo fosse anche senza di me. Dirà che non è possibile. Ma è possibile. Nessun uomo è insostituibile. Nel lavoro, come nei sentimenti. Ma tutto questo ancora non 'scriveteglielo. Quando ritornerà, se ritornerà.
Voi, ora, vorreste forse sapere (vi conosco!), come vivo. Viva del tutto bene. Anche qui ho del lavoro, libri e giornali ed oltre a ciò non sono solo in cella, cosicché il tempo passa... anche troppo presto, come dice il mio compagno.
Il trattamento qui è molto buono, come dappertutto dove sono stato finora in Germania. A Bautzen, per esempio, ogni settimana arrivavano da casa dei pacchi con il mangiare, che si conservava, malgrado la lunghezza del viaggio (pane, zucchero, mele, lardo, ecc.). Non si poteva scrivere in proposito, ma a tutti venivano consegnati i pacchi. Sapete che in me non c'è mai stato rancore per il popolo tedesco e le mie esperienze qui niente (seguono alcune parole cancellate dalla censura) ...è svanito.[...]

[...] suono della canzone: o Quando il destino ti porta il dolore e la malinconia t'entra nel cuore ». Canto quella canzone che cantavamo pulendo le piume e anche quell'altra: o Arriva la primavera, arriva, di nuovo verrà maggio ». Sii coraggiosa, non piangere, soltanto l'uomo debole dispera di sé. In occasione delle nostre nozze d'argento ti ringrazio per il tuo amore
10 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
verso di me, per tutto ciò che hai fatto per me. Che la vita ti dia
ancora raggi di sole dorato e il profumo delle rose!
Sarò felice, Hedvika, di ricevere ancora tuoi scritti. Sii forte
e coraggiosa.
Tuo
Josef
ANTONIE BEJDOVÄ
Cecoslovacca, operaia, moglie del redattore del giornale giovanile « Mladé Gardy » Karel Elsnic. Lavora nella Segreteria dei Sindacati Rossi di Moravská Ostrava e continua tale lavoro durante l'occupazione nazista e dopo che, nell'autunno del 1941, il marito viene suppliziata dai tedeschi. Nel luglio 1943 viene arrestata perché sospettata di spionaggio a favore dell'U.R.S.S., condannata a m[...]

[...]de assai meglio di prima i suoi lati buoni, ma soprattutto anche le sue insufficienze e gli errori.
Se si potesse ritornare, dopo tali prove vitali, si sarebbe certamente migliori di quanto si sia stati prima. Ma nella vita succede così: dobbiamo continuamente imparare e prima che si riesca a imparare perfettamente, viene la fine. Ma tuttavia il domani sarà sempre migliore del ieri, forse tutto migliorerà e la gente vivrà sempre meglio. Potesse ciò essere vero, miei cari! Bene, io auguro a tutti voi che la vostra vita sia bella come questa giornata, che vi sia in essa molto sole e pochissime nuvole, oppure che vi siano solo quelle che portano la rugiada.
Così, miei cari, ed anche voi più piccini, ricevete tutti un gran bacio (a voi piccoli anche un buffetto sulla guancia per ognuno, in aggiunta) e un caldo abbraccio. A tutti i conoscenti una stretta di mano. State tutti bene.
Vostro
Jan
gig
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LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 13
IVAN VLADKOV
Bulgaro, nato a Drjanovo il lo gennaio 1915, impiegato di Tribunale Dipartimentale, poi licenziato per la sua attività nel movimento operaio. Sorpreso nel maggio 1943 come operatore di una radio trasmittente clandestina, viene fucilato il 22 novembre dello stesso anno. (Lettere e pagine di diario tratte dalla raccolta « Poslednata im Duma », Edizioni del Partito Comunista Bulgaro, Sofia, 1952)
Prigioni Centrali di Sofia
Caro Rumjanco,
n[...]

[...]er la sua attività nel movimento operaio. Sorpreso nel maggio 1943 come operatore di una radio trasmittente clandestina, viene fucilato il 22 novembre dello stesso anno. (Lettere e pagine di diario tratte dalla raccolta « Poslednata im Duma », Edizioni del Partito Comunista Bulgaro, Sofia, 1952)
Prigioni Centrali di Sofia
Caro Rumjanco,
negli ultimi minuti della mia vita mi sforzo di ricordare il tuo bel visetto ridente e di mandarti un bel bacio.
Caro, domani eseguono la mia sentenza, mi fucilano. Non puoi attenderti pietà dal nemico. Ho vissuto in povertà, non ricordo gioie. Nella mia famiglia non si sentivano canti di gioia e domani il dolore visiterà ancora mia madre, mia sorella, mio fratello.
Con le lacrime e con il pianto soffocato la tua mamma ti abbraccerà...
Amo la vita, il lavoro tranquillo, la tua mamma. Ma la lotta é lotta, il nemico é nemico.
L'ultima mia gioia, Rumjanco e Marusja, é questa, che vedo la piena disfatta del fascismo.
So che vivrai con difficoltà senza papà e che dovrai penare. Ma il socialismo, nel no[...]

[...] il lavoro tranquillo, la tua mamma. Ma la lotta é lotta, il nemico é nemico.
L'ultima mia gioia, Rumjanco e Marusja, é questa, che vedo la piena disfatta del fascismo.
So che vivrai con difficoltà senza papà e che dovrai penare. Ma il socialismo, nel nome del quale io muoio, verrà e vi metterà in ottime condizioni di vita.
Sii un combattente anche tu e ama la giustizia. Ama tua madre, figliolo caro, essa sarà per te una difesa nella vita.
Bacio te, tua mamma, i fratelli, le sorelle e il nonno.
Tuo padre
Vanío
21 novembre 1943
L'unico desiderio che ho è di vivere.
Qualcosa ti soffoca, ti porta via, ti toglie lentamente la coscienza; lo spazio della cella diventa stretto, la cella sembra senza aria. Eppure, avere tanto desiderio di vivere!
14 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
E il bambino! Caro il mio figliolo, che fin da adesso sente la mancanza del suo papà. Sono ancora commosso delle sue parole: « Papa, quando vieni mi compri un tramvaiuccio, il trenino, le scarpe ».
Mio figlio sente la mia mancanza, ha[...]

[...]943
L'unico desiderio che ho è di vivere.
Qualcosa ti soffoca, ti porta via, ti toglie lentamente la coscienza; lo spazio della cella diventa stretto, la cella sembra senza aria. Eppure, avere tanto desiderio di vivere!
14 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
E il bambino! Caro il mio figliolo, che fin da adesso sente la mancanza del suo papà. Sono ancora commosso delle sue parole: « Papa, quando vieni mi compri un tramvaiuccio, il trenino, le scarpe ».
Mio figlio sente la mia mancanza, ha nostalgia di me, della carezza e del pensiero del papà. Quando gli ho risposto che non mi lasciavano andare da lui, mi ha detto: «Ma allora se non vuoi venire vuol dire che non mi vuoi bene, papà ». Che puro amore infantile, che grande amore racchiude il suo animo!
Ma questi che ci hanno condannato a morte non hanno forse bambini? Non capiscono gli errori, non hanno compassione? Certo per se stessi trovano sempre unn giustificazione, ma quando, se non altro per i nostri figli, dovrebbero mitigare la condanna, essi dicono che la [...]

[...]i, mi ha detto: «Ma allora se non vuoi venire vuol dire che non mi vuoi bene, papà ». Che puro amore infantile, che grande amore racchiude il suo animo!
Ma questi che ci hanno condannato a morte non hanno forse bambini? Non capiscono gli errori, non hanno compassione? Certo per se stessi trovano sempre unn giustificazione, ma quando, se non altro per i nostri figli, dovrebbero mitigare la condanna, essi dicono che la legge non lo permette. Che sciocchezze! Ma forse non sentono un amore altrettanto forte per i propri figli? Perché, se lo sentissero, agirebbero in altra maniera. Mi ricordo le parole del generale Koco Stojanov che mi ha detto: « I giudici pensano ai bambini ». E adesso non posso capire né forse lo capirò mai: come si può dire che pensano ai bambini quando pronunziano delle sentenze simili?
« Il governo é forte e può affrontare tutto ». Ma se questo é vero perché mi fucilano?
21 novembre 1943
Una nottataccia inquieta, e come può essere quieta quando ti aspetti che in mezzo al silenzio ti vengano a prendere. Oh queste san[...]

[...]atto. Come ti senti bene quando vedi che il lavoro ti riesce bene. A me il lavoro dá alla testa come il profumo dei lillà.
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 15
21 novembre 1943
Marusja, Rumjanco, zio Kolo, mamma, Stefano, Vladko, papà, arrivederci, oggi mi fucilano. Vi amo, siate forti. Vi bacia il vostro
Vanío
NICOLA NISOV OPOV
Bulgaro, nato il 7 novembre 1912 a Salonicco (Macedonia), assistente in uno stabilimento di cioccolato a Sofia. Prima della guerra è Segretario dell'Associazione degli operai dell'industria dolciaria. Durante la clandestinità organizza gruppi di resistenza facendoli figurare come organizzazioni sportive e prende parte all'attività di gruppi di sabotaggio. Ferito e catturato il 27 settembre 1941, il 18 ottobre viene condannato a morte ed il 15 novembre impiccato. (Lettera tratta dalla raccolta u Poslednata im Duma », Edizioni del Partito Comunista Bulgaro, Sofia, 1952)
12/XI/1941
Non penso alla morte, penso a te e ai bambini. Beka, tu devi vivere, per i bambini e per te stessa. Botusce[...]

[...] per i bambini e per te stessa. Botuscev mi ha mostrata la fotografia dei suoi figlioli: come li ama! E io non argo meno la mia famiglia.
Katja, Nivko, figli miei, vostro padre vi ama tanto e pensa solo a voi. Ma bisogna morire. Un giorno voi saprete perché vo stro padre ha dovuto morire. Ricordate che vostro padre, oltre a voi, ha amato altrettanto il suo popolo e nel suo popolo vedeva voi. Io muoio perché voi possiate vivere, miei cari.
Vi bacio Nicola Sopov
ISTVÁN PATAKI
Ungherese, nato a Budapest nel 1914. Operaio metallurgico e capo dei giovani metallurgici, è uno degli organizzatori dell'insurrezione armata del 1944. Arrestato con numerosi compagni il 23 novembre 1944 nella fabbrica Manfred Weisz, oggi Mattia Rákosi, di Csepel, viene con essi suppliziato, il 24 dicembre 194', nella prigione di SopronKöhida. (Lettera inedita avuta dall'Associazione Ungherese Combattenti della Libertà)
Miei cari,
sono assolutamente tranquillo e sereno. Ho sempre detto che non sarei vissuto oltre i trent'anni, ma voi non volevate credermi.
16 L[...]

[...]per la quale merita vivere e lavorare. Fa' per la famiglia, anche in avvenire, tutto quello che puoi. Vogliatevi bene, perché solo l'affetto dá senso alla vita.
Perdonatemi se sto filosofeggiando, ma credetemi, io sento così, mi fa bene dirvi questo per l'ultima volta e mi pare di essere tra voi e di conversare e parlare con voi.
Mi congedo da tutti: non mi sarebbe possibile nominarli uno a uno.
Mia adorata mamma, babbo, sorelle mie, vi abbraccio con caldo affetto.
Pista
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LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
ZOLTÁN SCHOENHERZ
Ungherese, nato a Ko"síce nel 1905. Segretario del Partito Comunista Ungherese, dopo quattro anni di attività clandestina viene arrestato, il 6 luglio 1942, e consegnato alla Gestapo ungherese. Condannato a morte il 29 settembre 1942, il 9 ottobre viene suppliziato. (Lettera inedita avuta dall'Associazione Ungherese Combattenti della Libertà)
Budapest, 8 ottobre 1942
Mio adorato Gyuri, figlio mio, mia adorata moglie,
caro piccolo figlio mio, quando riceverai fra le mani queste righe [...]

[...]ose belle che avemmo in comune: Praga, la Slesia, la visita a Bruna, Praga VII, Pilsen, Kosice, ecc. ecc. Ma terminando questa lettera non voglio commuovermi ed essere sentimentale. Ti auguro
18 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
di camminare sempre sulla retta via e che tu abbia ancora molta felicità nella vita. Quanto a me, sto qui, incrollabile come in tutta la mia vita, ed é così che muoio. Saluta i miei amici. Vi abbraccio con affetto.
Il vostro Zoli
Miei cari genitori, mio tesoro, sorella mia Klára,
mi si stringe il cuore se penso quanta tristezza ho causato e causo a voi. In una cartolina ho scritto che speravo di potervi rendere tutto l'affetto e tutte le cure di cui mi avete circondato. Purtroppo non posso adempiere quello che desideravo. Non pensate però a me con cuore risentito per le tante tristezze che vi ho causato. Non ho potuto agire diversamente da come ho agito. Quando mi sono reso conto del pericolo che minacciava i miei prossimi in Ungheria, non ho potuto tacere, non ho potuto fare diversament[...]

[...], BerlinPotsdam, 1948)
Mia cara piccola figlia Michaela,
oggi la tua mammina deve morire. Ho da chiederti due cose soltanto mia piccina: tu devi diventare una donna buona e coraggiosa e dare tante soddisfazioni ai nonni. Ti auguro ogni bene per il cammino della tua vita e ti prego di volermi sempre bene e di non dimenticarmi mai. Io piango calde lacrime per te e per
i genitori. l
Addio, mia piccola amata figliolina. Nei mie pensieri ti abbraccio e ti bacio.
La tua disperata mammina
ALFRED SCHMIDT
Tedesco, nato a Schlegel (Sassonia), maestro di scuola elementare ed insegnante di musica a Lipsia, suppliziato il 4 aprile 194'3. (Stralci di lettere alla moglie tratti dal volume di memorie del cappellano H. Poelchau, « Die Letzten Stunden )), Verlag Volk und Welt, Berlino)
Questo lo scrivo il lunedì 8 marzo. Anche i terribili minuti verso le ore 13, quando vengono a prelevare dalle celle le vittime per la sera, e quando tutta la casa trattiene il respiro, anche questi minuti sono per oggi trascorsi e la giornata può essere registrata come un'alt[...]

[...]osì, due o tre volte la settimana, mi conducono sull'orlo dell'abisso, e mentre mi costringo di guardarvi dentro con calma, aspetto la piccola spinta che basterà a farmi precipitare...
4 aprile 1943
Di nuovo mi avvicino a un crepuscolo... é il crepuscolo che annuncia la mattina ed il nuovo giorno. Non riesco ad immaginarmelo se non con te, accanto a te, in te... Sono trascorse cinque ore, mi hanno appena trasferito al numero sette, questa sera cioè, tra altre cinque ore, sarò giustiziato.
Ho in me una grande pace, una grande leggerezza. Ogni gravame é caduto! E mai ho avuto più puro, immacolato, intimo, l'amore tua e degli altri. Sono inspiegabilmente felice. Ricordami cosí...
ERIKA VON BROCKDORF
Tedesca, nata in Pomerania il 13 febbraio 1910, assistente sociale. Insieme al marito Cay, arrestato con lei ma poi liberato, partecipa all'attività cospirativa del gruppo Schulze BoysenHarnack. Arrestata a Berlino dalla Gestapo, alla fine di agosto del 1942, insieme a tutti i dirigenti del
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LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DFLLA RESISTEN[...]

[...](Ostfriesland) il 16 aprile 1912. Cappellano della comunità di Lubecca, svolge attività cospirativa nei locali gruppi giovanili cattolici. Arrestato a Lubecca il 15 giugno 1942, viene decapitato ad Amburgo, il 10 novembre 1943, insieme ad altri due cappellani cattolici e ad un pastore protestante. (Lettera inedita avuta dalla Redazione del periodico «Die Tat » di Francoforte sul Meno)
Quando riceverete questa lettera io non sarò più fra i vivi! Ciò che da molti mesi ormai ha continuamente occupato le nostre menti senza lasciarci un minimo di tregua, sta per avverarsi. Mi dispiace immensamente, dopo tutto, di non aver più visto P. che avevo atteso con molta certezza per oggi. D'altra parte é bene che sia a casa proprio in questi giorni, così potrete consolarvi a vicenda. Se mi chiedete come mi sento, posso soltanto rispondervi: sono serenamente commosso e pieno di una grande attesa. Con oggi ha termine per me ogni sofferenza, ogni miseria terrena, e «Dio detergerà ogni lacrima dai loro occhi ». Quale consolazione, quale mirabile forza em[...]

[...]entenza venga eseguita. Non c'é da contare sulla grazia e, secondo le esperienze fatte sinora, non c'é nemmeno da contare su di una revisione del giudizio, devo concludere la mia vita e su questi fogli vòglio dirti i miei ultimi pensieri e desideri. Cucirò questi fogli in un materasso e spero che qualche uomo giusto e buono li trovi un giorno e che pervengano in buono stato, sia pure con un certo ritardo, nelle tue care mani. Quando li avrai, se ciò avverrà mai, tutto sarà già comunque chiarito. Vari prigionieri condannati a pene minori, che sopravviveranno a me, ti racconteranno più estesamente di me e delle mie cose, del mio destino e del mio con tegno. La morte non é in definitiva così orribile come generalmente la si pensa. Una volta che ci si è rassegnati al proprio destino e se si tiene conto dello stato in cui qui vegetiamo, essa é una vera liberazione. Ognuno si augura che venga subito, eppure tutti temono le ore estreme, l'angoscia della morte prende ogni uomo ed ogni nervo si ribella contro la morte violenta. Con tutta
24 LETT[...]

[...]re) e Leopold Bill (se ne andò il 6 gennaio). Il 26 novembre al pasto di Scholle venne un altro candidato alla morte, Walter Rosporka. E un muratore di Leobersdorf, delle mie parti. Ha 35 anni ed è stato condannato a morte per aver pagato ed incassato dei contributi del Partita Comunista! Dalla mia cella finora due sono stati condotti all'esecuzione, da una delle celle attigue pure due, da un'altra ancora uno. Dal 23 novembre 1942, nei 55 giorni cioè che mi trovo qui, sano state giustiziate circa 110 persone. Visto che il « periodo di grazia n dura circa 90 giorni, secondo le supposizioni delle vittime designate, qui in questa cella ci si sente relativamente sicuri. Dico relativamente, perché alcuni sono stati giustiziati dopo neanche 40 giorni. Tutti questi dati sono mere supposizioni. Nessuno sa niente di preciso. Non udiamo e non vediamo nulla del mondo. Meno di tutto sappiamo dei nostri affari personali. E poiché anche i nostri parenti non sanno nulla, ci tocca aspettare, aspettare, finché la cella si apre e saremo condotti alla esec[...]

[...]esto colpo. Eravamo insieme da sette settimane. Già dal 7 settembre era stato condannato a morte e si trovava nella cella. Era maturo da molto tempo. Durante i temuti giorni delle esecuzioni egli se ne stava spesso ore ed ore davanti alla porta e cercava di capire se e quanti venivano condottii alla esecuzione. E poi, il 6 gennaio, del tutto inatteso venne il suo turno. Nel bel mezzo del lavoro, senza sospetto, sperando in qualcosa di meglio, lasciò sorridendo la cella senza un addio. Da allora siamo Walter ed io soli.
In due si sta meglio, per l'aria e perché ci figuriamo sempre di essere in tanti. Walter sarebbe stato uno dei migliori con cui costruire un nuovo mondo di pace. Pur sentendomi triste al pensiero che non potrò vedere la pacifica ricostruzione che seguirà questa guerra spaventosa, mi consola tuttavia il pensiero che essa vi libererà dal bisogno e che non dovrete peroccuparvi del vostro futuro benessere.
Nella serena attesa della mia morte imminente ho spesso riflettuto sulla mia vita passata e l'ho riesaminata. Il cappell[...]

[...] é dovere elementare di un uomo educato e perbene. Anche dal punto di vista nazionale non mi sento colpevole. Non ho mai concepito l'internazionale come un fattore ostile, avverso al nazionalismo, ma come una intesa ragionevole dei vari interessi nazionali nell'interesse di un fecondo sviluppo di tutta l'umanità. Mi sono sempre riconosciuto come parte della mia Patria e del mio popolo, perché considero popolo e nazione non come qualcosa di artificioso e casuale, ma come fenomeno naturale, storicamente determinato. La mia posi
26 LETTERE DI CONDANNATI A. MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
zione democratica mi conduce verso il socialismo internazionale che unisce i popoli.
Sono una vittima di questi tempi terribili, come molte, molte migliaia prima e dopo di me. Devo morire perché la solidarietà umana mi é filtrata nel sangue e nell'animo, perché stimo superiore alla mia salvezza personale il rispetto verso il mio prossimo, verso i miei compagni di lavoro.
I più affettuosi, caldi saluti e baci d'addio dal vostro
papà
LEOPOLD BRTNA
Austr[...]

[...]lera debbo finire! Che questa sia una vergogna? No, no, cari genitori, non piangete, vostro figlio é hero di vivere in una tale scia, e all'occorrenza di morirvi. La vostra fierezza consista nel poter dire un giorno: mio figlio ha lottato per una vita più degna, ed é morto nella consapevolezza di aver sacrificato la sua vita al socialismo.
E se forse continuate a nutrire dei lievi dubbi: io sono convinto che il domani apparterrà all'operaio. Perciò sopporto piil facilrhente il mio destina. Avreste dovuto sentire la nostra solidarietà nella prigione, vi sareste resi conto che un tale movimento
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 27
non può perire. Questo stendardo rosso sangue, cui é legata la vittoria, riordinerà il mondo e merita che si lasci la vita per esso. Invero, nessuno di noi muore volentieri, perché avremmo ancora molti compiti da risolvere; ma se così deve essere, allora avvenga con ferrea decisione.
Visto che ora sono dunque un delinquente, non dovete tuttavia disperarvi: il basto non è ancora spezzato. [...]

[...] dunque un delinquente, non dovete tuttavia disperarvi: il basto non è ancora spezzato. E necessario restare forti fino all'ultimo respiro. Mostrate che il dolore, la sofferenza, la vecchiaia, il terrore non vi possono spezzare. I genitori da cui sono nati figli di questo genere, sono lottatori anche essi. Ed é anche per questo che sono fiero di voi! Vi ringrazio tante e tante volte del bene che mi avete fatto, nonostante la vostra povera. Tutto ciò non lo si può pagare nemmeno con l'oro; e così ve ne ringrazio con ciò che ho di piú alto, con il mio spirito proletario. E tutto ciò, cari genitori, che vi posso offrire in questo momento.
Nel Landesgericht II ho vissuto con molta solidarietà, e il compenso per questo dritto modo di vivere l'ho sentita quando mi sono congedato dai miei compagni di sofferenza... Certo, ho pianto quando li ho salutati, ma si trattava di lagrime di gioia, perché mi accorsi che essi avevano approvato il mio contegno. Ciò mi ha rafforzato nella mia convinzione che la mia posizione non era perduta. Chi dei borghesúcci può immaginarlo che oggi dei giovinetti, ragazze e ragazzi, alcuni di nemmeno diciassette anni, affrontano la morte sorridendo? Ecco il nostro movimento: fedeli al motto: non curatevi dei sacrifici, della dura sorte, avanti, sia il vostro detto, libertà o morte!; essi si avviano al patibolo, convinti nella loro vittoria. Un sol desiderio ci anima tutti: la libertà. A questo fine sacrifichiamo tutto. Ma la nostra morte richiede che voi continuiate ad essere forti, fino ad incassare il debito che an[...]

[...]dato, oggi. Vi posso assicurare che nemmeno il vostro Poldi si nasconde dietro i nostri eroici caduti, e non rimpiange in nessun modo la sua vita perché ora vogliono la sua testa! No, per me c'é solo un avanti, e non una vergognosa diserzione della bandiera. So cosa mi attende, ed aspetto con animo sereno quella giornata.
28 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Già il mio avvocato mi ha fatto un quadro del mio nuovo ambiente, cioè nel suo intimo mi ha dato per perduto. Io sapevo e conoscevo la mia posizione sin dalla prima giornata del mio arresto, ma non mi volevo arrendere, per quanto Kohim avesse rivelato tutto. Il mio motto era: guadagnare tempo vuol dire guadagnare mezza vita. Ma, se quest'ultimo atto non mi sarà risparmiato, lo saprò sopportare da combattente.
La mia vita l'avevo già conclusa il 3 dicembre '42, e non ho perciò desideri, soltanto vi pregherei di una cosa: Anni, finché se lo merita, consideratela come mia moglie. Essa è giovane, forse non mi ha capita, ma ci siamo amati, e se il destino non ci avesse toccato così duramente, forse sarebbe diventata più saggia. Essa, dopo tutto, è stata tirata su in un altro mondo. Il suo destino mi addolora molto, e sono triste perché non sono stato in grado di aiutarla.
Era mio destino essere lottatore, e non l'ho mai dimenticato. Voglio ancora salutare tutti i conoscenti qui, i Leder, anche essi mi comprenderanno e ciò fa bene. Salutami anche Prinz, le mie zie, i m[...]

[...]ie. Essa è giovane, forse non mi ha capita, ma ci siamo amati, e se il destino non ci avesse toccato così duramente, forse sarebbe diventata più saggia. Essa, dopo tutto, è stata tirata su in un altro mondo. Il suo destino mi addolora molto, e sono triste perché non sono stato in grado di aiutarla.
Era mio destino essere lottatore, e non l'ho mai dimenticato. Voglio ancora salutare tutti i conoscenti qui, i Leder, anche essi mi comprenderanno e ciò fa bene. Salutami anche Prinz, le mie zie, i miei zii e le cugine. Peperl mi resterà sempre in un felice ricordo, per me era più di un cugino. Se nella mente faccio passare la fila dei parenti, mi rimangono ben pochi che mi abbiano compreso. I nostri nonni, Dada e Babi, quei deliziosi vecchietti, come piangeranno quando l'irrequieto Poldi non verrà più, ah si, Babi, egli è morto perché voleva vivere umanamente. Perciò lo chiamano traditore ecc. ecc. Ma consolati, cara nonna, muoio per una buona causa e sono felice. Ma migliaia e migliaia di persone si dissan guano e non sanno perché. Non sono triste, so che la nostra morte coopererà ad un più felice avvenire di molti.
E con ciò, cari genitori, voglio terminare. Su con la testa, se no non potrete vedere le stelle e il rosseggiare del mattino, si, si avvicina con passi giganteschi la giornata in cui i proletari di tutto il mondo si riuniranno per marciare sotto il sole dolce di maggio. Non camminate curvi! Anche a voi sorriderà il raggio di sole sulla mia bara. Vi chiamo coraggiosi genitori: siate coraggiosi e fieri: voi avete posto le fondamenta e la gioventù costruirà su di esse. Così il nostro stendardo non si ammaina mai, ed è questo
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA ' 29
ciò che vogliamo. V[...]

[...]a con passi giganteschi la giornata in cui i proletari di tutto il mondo si riuniranno per marciare sotto il sole dolce di maggio. Non camminate curvi! Anche a voi sorriderà il raggio di sole sulla mia bara. Vi chiamo coraggiosi genitori: siate coraggiosi e fieri: voi avete posto le fondamenta e la gioventù costruirà su di esse. Così il nostro stendardo non si ammaina mai, ed è questo
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA ' 29
ciò che vogliamo. Vi auguro salute ed una tarda età perché possiate vedere il compimento della nostra opera. Con fierezza per i miei coraggiosi genitori termino con un forte: Evviva il Fronte Rosso.
Vostro figlio Leopold
P. S. Vi prego, salutate anche la coraggiosa mamma di Franzl Reingruber, e ringraziatela per il suo grande aiuto. Anche il suo dolore é un ammonimento per il movimento, anche a lei bisognerà porgere ringraziamenti perché per lei la vita é stata durissima. La saluta uno dei suoi figli.
Leopold
ELEF'E1'IRIOS CHIOSSÈS
Greco, nato al Pireo nel 1923, studente in lettere e filoso[...]

[...]i avi e della Grecia. Non tremo affatto e vi scrivo dritto in piedi. Respiro per l'ultima volta la profumata aria ellenica sotto l'Imetto. E una mattina splendida. Abbiamo fatta la comunione e ci siamo tutti spruzzati con acqua di colonia che un nostro compagno aveva in tasca.
Addio Ellade, madre di eroi.
Addio, miei cari. Addio. Sappiate tutti esser degni di me. Addio sorelline. Addio papà. Addio dolce mammina. Coraggio. Viva la Patria.
Vi bacio con amore
Leftéris
30 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
ANGHELOS e MARINOS BARKAS
Greci, fratelli, nati entrambi ad Aghiios Ioannis, sobborgo di Atene, meccanico il primo e studente liceale il secondo. Membri di una organizzazione in collegamento con l' EA/A, svolgono azione di sabotaggio it primo nello stabilimento Malcini6tis che produceva motori da aeroplano, ed il secondo agli impianti telefonici ad Atene e nell'Attica. Arrestati i! 12 gennaio 1942, nella casa del padre che pure viene arrestato e condannato a dieci anni di reclusione. Fucilati al medesimo palo a K[...]

[...]davanti al tribunale militare. Siamo stati condannati a morte. So che sei una donna forte e che ti rassegnerai, ma non ti devi limitare a rassegnarti, devi anche rendertene conto. Io non sono che una piccola cosa, ed il nome sarà presto dimenticato, ma l'idea, la vita e l'ispirazione che mi pervasero continueranno a vivere. L'incontrerai ovunque, sugli alberi in primavera, negli uomini sul tuo cammino,. in un piccolo e dolce sorriso. Incontrerai ciò che ebbe un valore per me, l'amerai e non mi dimenticherai. Crescerò e diventerò maturo, vivrò in voi, i cui cuori ho occupato, e voi continuerete a vivere, perché sapete che mi trovo davanti a voi e non dietro voi, come forse eri portata a credere. Ho scelto una strada di cui non sono pentito, non sono mai venuto meno a quanto era nel mio cuore, ed ora mi sembra di vedere una certa correlazione. Non sono vecchio, non dovrei morire, ma tuttavia mi pare naturale e semplice. E soltanto il modo brusco che ci spaventa in un primo momento. Il tempo é breve, i pensieri sono molti. Non capisco il pe[...]

[...]ue rattristarmi io, (panda vedo tutta questa ricchezza che vive ?
Ci sono poi i bambini, che mi sono sentito vicini in queste ultime ore, ero felice di rivederli e di vivere nuovamente con loro. Ho sentito il mio cuore palpitare al pensiero di loro, e spero che cresceranno da uomini che sanno guardare oltre gli argini della via. Spero che il loro animo possa svilupparsi liberamente e mai sotto un'influenza unilaterale. Salutameli, il mio figlioccio e suo fratello.
Vedo che svolta prendono le cose nel nostro paese, ma ricordati, e ve ne dovete ricordare tutti, che il sogno non deve essere di tornare ai tempi primi della guerra; i1 sogno per voi tutti, giovani e vecchi, deve esser di creare un ideale per noi tutti che non sia unilaterale. Il nostro paese tende verso una grande méta, qualcosa a cui anche il piccolo contadino aspirerà, mentre con gioia sente che il suo lavoro e la sua lotta hanno fatto suo questo c< qualcosa ».
In fine c'é lei che é mia. Falle capire che le stelle brillano an cora ed io non era che una pietra miliare. 'Ai[...]

[...]le.
Non pensatemi come morto, pensate alle belle ore che abbiamo passato insieme, e perdonatemi il male che vi ho fatto. Nelle seguenti pagine ho annotato varie cose, un paio di saluti
,che vi prego porgere e qualche informazione circa le mie questioni personali, tra l'altro circa il debito contratto per ragioni di studio, debito che purtroppo non posso più liquidare.
Innanzi tutto vi prego salutare le zie Elsa e Margrete e rin graziarle per ciò che hanno fatto per me durante la mia infanzia e gioventù. Seguono due indirizzi a Silkeborg. Uno é il mio domicilio in Thorsgade 46 (il padrone di casa si chiama Jensen); l'altro é un certo salumiere Skou, Ornsovej 93, dove mi recavo a
u
34 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
mangiare. Egli vi aiuterà certamente a procurare e ad inviarvi
quanto mi appartiene.
In fine, i più cari saluti e grazie ancora per tutto ciò che avete
fatto per me durante la mia infanzia e gioventù.
Perdonatemi.
Leif
CHART J'S APPELMAN
Olandese vissuto in Belgio, nato a Villersle Bouillet, fucilato alla cittadella di Liegi il 26 novembre 1943. (Lettera avuta dall'Armée Belge des Partisans)
Miei cari fratelli e cari compagni,
vi scrivo questa lettera, 7 ore e 50 prima della mia morte.
Paul, quando Jean ritornerà dalla Germania gli dirai che non mi é dispiaciuto di morire perché da quando ho lasciato casa sapevo quello che facevo. Non prendermi per un bugiardo, ma andremo alla fucilazione cantando, perché noi non moriremo c[...]

[...]u devi pensare a mio fratello e sopportare tranquillamente questa prova. Sono molto calma, mia piccola mamma. Lo vedi anche tu, ho la coscienza tranquilla. Ho agito conformemente ai miei iprincipi. Non è una morte triste quando si ha questa consolazione. Credo di essermi sempre comportata degnamente. Ho moltò,pensato a te, dopo che sono in prigione. Mia piccola mamma, erediti conto pure tu, non devi troppo piangermi, ero giovane e libera, non lascio bambini.
Per quanto riguarda mio fratello, digli che cerchi di essere un uomo, questo é tutto quanto gli chiedo. Presto il mondo sarà libero, e sarà pure per lui, il mio caro piccolo Claudio, che avrò lottato. Digli di cercare di ben comprendere la vita, avrei tanto voluto fargliela scoprire. Ho pensato enormemente anche a lui, in prigione. Ti chiedo di abbracciarmi Maria. Dille che lei è uno dei miei più bei ricordi. Sono veramente felice di aver incontrato sulla mia strada una persona cosí buona e cosí onesta. L'amo molto e le sono molto riconoscente per avermi dato un po' della sua amici [...]

[...]o trionfo. Ho anche l'autorizzazione a scrivere ad Alberto. Gli scriverò indirizzando a sua sorella. E molto giovane, sarà libero quando ritornerà, si rifarà una nuova vita, l'altra non ha contato. Da sposati siamo rimasti cinque giorni insieme!
Mia piccola mamma, ho lasciato della roba da mia cognata. Vedi di riprenderla. Vorrei che tu dessi a Maria quella bomboniera tanto bella ch'essa mi aveva dato tempo fa. Sarà un ricordo per lei. A te, lascio il mio orologio che si, deve trovare a St. Gilles. Disgraziatamente, non lascio molto. Vedi mia piccola mamma ti amo molto e ti domando di portare su Claudio tutto il tuo amore materno. Credo che dopo questa guerra s'inizierà una vita di felicità. Vi chiedo di approfittarne, tutti. Ho anche una grande consolazione: nessun amico mi ha seguito in prigione. T'assicuro che questo mi dà una grande forza. Ti prego di informare una delle mie vecchie compagne di prigione, Antoinette Delmazière di Courriéres o di HeninLiétart, sulla Manica. Non lo ricordo più con esattezza, ma indirizza alle due località, la lettera giungerà certamente senza altre indicazioni. Lei ti parlerà di m[...]

[...]re la mia sorte con calma e che mi sono mostrata degna fino alla fine. Ho mantenuto le mie convinzioni sino alla fine, sono sempre rimasta atea. Oggi é una giornata bella e calda, questo per me è un simbolo dell'aurora che vedo spuntare. Approfittatene.
La prigione non mi ha cambiato moralmente, salvo per rendermi migliore.
Ed ora dico addio a te, mia piccola Mamma, ed a tutti quelli che mi hanno voluto bene. Ancora una volta, coraggio. Ti lascio, ahimé, per sempre.
La tua «grande» figlia Fernanda
38 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
P. S. Di ai miei amici che non rimpiango nulla di ciò che ho fatto, che ricomincerei la mia vita sulla stessa via che ho seguito, per quanto riguarda il mio lavoro.
Ti abbraccio un'ultima volta.
F.
PAUL THIERRET
Francese, arrestato il 18 maggio 1942, fucilato il successivo 21 ottolyre. (Lettera tratta dalla raccolta « Lettres de fusillés », Éditions France d'Abord, Paris, 1946)
Ottobre 1942
Alla mia cara moglie, alla mia famiglia, ai miei amici.
Fui condotto alla Brigata Speciale dove subii un primo interrogatorio, ma non risposi nulla. Fui incatenato e custodito da tre guardie, isolato in una stanza.
L'indomani, nuovo interrogatorio con la minaccia di punizioni, uno di quelli che erano stati arrestati avendo detto che io gli avevo consegnato una rivoltella. R[...]

[...] compagni, a tutti, addio.
A tutti voi affido mia moglie, amatela, aiutatela, io l'amo tanto.
Paul
JEAN CAMUS
Francese, nato a Gonesse (S.et0.) il 25 matzo 1926, fucilato i1 25 aprile 1944. (Lettera tratta dalla raccolta ((Lettres de fusillés », Editions France d'Abord, Paris, 1946)
Fresnes, 25 aprile 1944
Cará mammina cara,
perdonami, mia cara mamma, di averti già dato tante pene, ma oggi te ne dò una più dolorosa di tutte: fra due ore, cioè alle quindici di questo pomeriggio, sarò fucilato dal plotone d'esecuzione.
Sono stato condannato a morte 1'11 aprile e sarò fucilato a 18
40 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
anni ed un mese giusto: muoio da valoroso che ha la coscienza di non aver fatto che il suo dovere. Voglio proprio, cara mamma, che tu non ti faccia del cattivo sangue per tuo figlio, perché io non sono più da compiangere, parto per raggiungere il regno di Dio dove sari) molto felice: quelli che sono più da compiangere siete voi, tu ed il mio amato papá.
Prima di morire, domando perdono a tutte [...]

[...]glio anche abbracciare Antoine e Renée, così come la nonna e Huguette. Andrai da Suzanne e abbraccerai tutti, questa è la mia ultima volontá. Soprattutto, soprattutto, mammina mia cara, reagisci e riprendi il corso della vita normale.
Dopo la guerra, fa riprendere il mio corpo o i suoi resti e falli mettere vicino al mio povero nonno Désiré Camus: va a trovare il Signor T... e digli che il suo vecchio allievo lo abbraccia di tutto cuore.
Ti lascio, cara mamma, per mangiare un poco e per non morire a stomaco vuoto. Per adesso ti dico arrivederci, cara mamma, ma t'invito a credere che solo ora vedo ciò che tu rappresentavi per me
Jean Camus
JEAN ARTHUS
Francese, studente al Liceo Buffon di Parigi. Arrestato con altri quattro studenti nel corso di una manifestazione al liceo, il 10 marzo 1942, viene con essi fucilato, l'8 febbraio 1943, al MontValerien (Parigi). (Lettera al padre tratta dalla raccolta «Lettres de fusillés n, Éditions France d'Abord, Paris, 1946)
8 Febbraio 1943
Mio carissimo,
non so se tu t'aspettassi di rivedermi: io me lo aspettavo. Ci hanno detto stamattina ch'era finita, allora addio. So che è un col
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 41

[...]

[...]spettassi di rivedermi: io me lo aspettavo. Ci hanno detto stamattina ch'era finita, allora addio. So che è un col
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 41

po molto duro per te, ma spero che tu sia abbastanza forte e che saprai continuare a vivere, avendo sempre fiducia nell'avvenire.
Lavora, fa questo per me, continua ad occuparti dei libri che volevi scrivere, pensa che io muoio da Francese per la mia Patria..
T'abbraccio forte.
Addio, carissimo jean Arthus
VALERIO BAVASSANO
Italiano, nato a Genova il 14 gennaio 1923, operaio elettromeccanico. Partigiano nella III Brigata Garibaldi « Liguria », il 17 aprile 1944 viene catturato nel corso di un rastrellamento, tradotto di carcere in carcere e più volte seviziato. Fucilato al Colle del Turchino, il 19 maggio 1944, con altri cinquantasette patrioti. (Lettera inedita avuta dalla famiglia per il tramite di Calisto Saettone di Genova)
Carceri 16/5/1944
Mammina carissima,
un triste presentimento mi dice che oggi é stata l'ultima volta che ci siamo visti.
Mammi[...]

[...]co naturale restar vivo solo io fra tanti compagni morti.
Adesso andrò con loro. Doveva finire così.
Ancora una volta, mammina, perdonami.
Anche Milli deve perdonarmi e dille che se spesse volte ci si bisticciava, era proprio perché ci volevamo bene.
Quando il dolore ti sembrerà insopportabile, rifugiati in lei, ti sarà di grande sollievo.
42 LUTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Ricevi da tuo figlio il più affettuoso abbraccio e tanti, tanti
baci, anche per Milli. Per l'ultima volta perdonatemi.
Vostro
Valerio
PAOLA GARELLI
Italiana, nata a Mondovì (Cuneo) il 14 maggio 1926, pettinatrice. E collegatrice e rifornitrice di viveri e materiale per le formazioni partigiane operanti nella zona di Savona. Arrestata nella notte fra il 14 ed il 15 ottobre 1944, il successivo lo novembre viene fucilata alla Fortezza di Savona con altri cinque patrioti tra cui due donne. (Lettera tratta dalla raccolta «Lettere di condannati a morte della resistenza italiana », Einaudi, Torino, 1952)
Mimma cara,
la tua mamma se ne va pe[...]

[...], Torino, 1952)
Mimma cara,
la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia ed ubbidisci sempre agli zii che t'allevano, amali come fossi io.
Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonni e gli altri, che mi perdonino il dolore che dò loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo.
Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandovi
la tua infelice mamma
GUGLIELMO JERVIS
Italiano, nato a Napoli il 31 dicembre 1901, ingegnere. E uno dei primi organizzatori delle formazioni partigiane della Valle d'Aosta e commissario delle formazioni G. L. nelle valli Pellice, German asca e Chisone. Arrestato ai primi di marzo 1944, tradotto nelle carceri Nuove di Torino, più volte seviziato viene fucilato nella notte fra il 5 e il 6 agosto 1944 nella piazza principale di Villar Pellice (Torino). (Messaggio scritto con uno spillo sulla copertina d'una bibbia e ritrovato nei pressi del luogo dove[...]



da Giuseppe Bevilacqua, Varietà e documenti. Dalla valle di Giosafat: Elias Canetti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]AFAT: ELIAS CANETTI
Prima ancora di essere uno scrittore Elias Canetti è un vivente compendio della storia d'Europa. Le sue origini e gli itinerari della sua esistenza, se venissero tracciati sulla carta del nostro continente, mostrerebbero un viluppo indistricabile.
Canetti nacque nel 1905 a Rustciúk, un piccolo ma importante emporio fluviale sulla riva bulgara del Danubio, un insediamento commerciale che deve il suo nome attuale ai ragusani, cioè a dei dàlmati di civiltà veneziana, i quali vi si insediarono stabilmente nel corso del Cinque e Seicento, essendo riusciti a trovare un pacifico accordo con i dominatori ottomani, al fine di controllare soprattutto il traffico delle granaglie provenienti dalle fertili zone della Valacchia rumena.
Ma Canetti non appartiene a nessuna delle numerose nazionalità che il nome di Rustciúk ci ha già permesso di elencare, la sua gente veniva da piú lontano: aveva lasciato alcuni secoli prima la Spagna per non diventare marrana, per non tradire la fede millenaria che si manifesta anche nel nome bibl[...]

[...]rima a Vienna, poi a Zurigo, poi a Francoforte; infine, nel periodo decisivo della sua formazione, tra il 1924 e il 1938, di nuovo a Vienna, fino all'occupazione hitleriana, che lo costrinse ad altra affannosa emigrazione.
Dal 1938 Canetti vive a Londra; ma ha sempre continuato a scrivere in tedesco. Mentre la guerra volgeva al termine, egli annotava: « La lingua del mio spirito continuerà ad essere il tedesco, e precisamente perché sono ebreo. Ciò che resta di quella terra devastata in ogni possibile modo voglio custodirlo in me, in quanto ebreo. Anche il suo destino è il mio; io però porto ancora in me un'eredità universalmente umana ». E pochi mesi dopo, all'inizio del 1945, scrive: « Quando arriverà la primavera, il lutto dei tedeschi sarà una fonte inesauribile, e non si potrà piú distinguerli dagli ebrei. Hitler in pochi anni ha trasformato i tedeschi in ebrei, e oggi `tedesco' è divenuto una parola dolorosa come `ebreo' ».
Ricaviamo queste due citazioni dal volume La provincia dell'uomo. Quaderni di appunti 19421972, uscito da p[...]

[...] di appunti 19421972, uscito da poco come 80° volume della preziosa « Biblioteca Adelphi », dopo che già lo stesso editore, nel 1974, e sempre giovandosi delle versioni di Furio Jesi, aveva pubblicato i saggi di Potere e sopravvivenza.
VARIETÀ E DOCUMENTI 327
Singolare parecchio, questa assimilazione del destino dei tedeschi e degli ebrei, dei carnefici e delle vittime; soprattutto se si tiene conto che tali frasi furono scritte nel 194445. Ma ciò che vi traspare non è l'amore del paradosso e della provocazione, che pure non mancano nelle pagine di Canetti; qui traspare qualcosa di piú profondo e complesso.
È come un guardare la storia in una prospettiva tanto ampia da vedere accostati gli editti persecutori di Ferdinando d'Aragona e le fortezze volanti che Canetti vede tornare — come scrive in altra pagina — a stormi luccicanti dopo aver distrutto una qualche antica città della Germania: « A ogni bomba fa un salto indietro un pezzo della settimana della creazione ». E ancora, giunta la notizia di Hiroshima, Canetti annota: « Detroniz[...]

[...]do si sarà fermata ed essi la contempleranno per intero, sottratti finalmente al flusso che li frastorna, finalmente immobili, come il loro oggetto, nella valle di Giosafat.
Non c'è dubbio che questa concezione, latente ma palpabile in tutta l'opera di Canetti, è da porre innanzitutto in rapporto con il suo spontaneo radicamento nella saggezza ebraica, del resto continuamente confrontata con quella cinese, sia confuciana che taoista. Ma a tutto ciò non è estraneo neppure l'aver vissuto l'età delle esperienze culturali decisive nella Vienna degli anni Venti e Trenta.
Nessun posto del mondo era piú adatto per guardare al passato come da una valle di Giosafat, ricapitolando i secoli. Per nessun altro paese la conclusione della Grande Guerra era stata tanto simile alla fine del mondo. Da 11, ora che tutto era accaduto, si poteva guardare con equanime saggezza a chi, dalla guerra, era uscito vittorioso ed accresciuto come a chi ne era uscito vinto e punito, considerare con pari distacco il trionfalismo dei vincitori, ignaro della sua precar[...]

[...]a, era uscito vittorioso ed accresciuto come a chi ne era uscito vinto e punito, considerare con pari distacco il trionfalismo dei vincitori, ignaro della sua precarietà, e il risentimento e l'agitazione di chi già era smanioso di rimonta. Dalla pace di Versailles l'Austria fu molto piú colpita che non la Germania; ma in Austria, si può dire, non vi fu revanscismo; nessuno inventò meschine leggende, pugnalate alla schiena, congiure fantomatiche. Ciò che era caduto proiettava la sua maestà sulle cause della caduta, che non potevano essere banali e contingenti, e tanto meno revocabili. La storia non aveva voltato pagina, curiosa di vedere il seguito; aveva solennemente chiuso il libro.
E cosí i Musil, i Roth, i Broch si disponevano davanti a questo grande paesaggio non piú in fuga, per ritrarlo bloccato nel suo crepuscolo con tutta la calma che richiede la grande epica. Del resto, in quegli anni, Jenseits (`al di là')
328 VARIETÀ E DOCUMENTI
diventava una parola chiave anche nell'opera di Freud. Al di là degli istinti vitali su cui le p[...]

[...]presentare il mondo come in romanzi precedenti, per cosi dire dal punto di vista di un solo scrittore; il mondo era disgregato ed era possibile darne una rappresentazione adeguata solo se si aveva il coraggio di mostrarlo nella sua disgregazione. »
Assunta nel pensiero di Canetti come un dato permanente, questa disgregazione consente in ultima analisi due soli prodotti: da un lato gli individui alienati nel loro isolamento, dall'altro la massa, cioè un conglomerato formantesi per spinte irrazionali il cui segreto è posseduto soltanto dai depositari del potere. Individuo, massa e potere: sono questi i poli entro cui si giocano le allegorie narrative e le speculazioni intellettuali che Canetti verrà sviluppando nei decenni successivi; e precisamente nel senso che l'individuo offre piuttosto degli spunti per la prosa d'invenzione (ed avremo allora il vasto romanzo Auto da fé, su cui si fonda buona parte della fama di Canetti), mentre massa e potere, nei loro infiniti possibili condizionamenti, costituiscono il tema dominante di una prosa s[...]

[...]und Macht, disponibili per il lettore italiano, anche questi, nella traduzione di Furio Jesi pubblicata da Rizzoli nel 1972.
Un giudizio di sintesi su questa vasta opera è alquanto rischioso. Forse Canetti — come prima di lui Hermann Broch — con questa narrativa che è troppo saggistica e questa saggistica che è troppo narrativa ha impostato una scommessa che solo per il genio di Musil poteva concludersi del tutto felicemente.
Non meraviglia perciò se il risultato di Canetti forse piú duraturo appare quel breve, meraviglioso libro, scritto en passant, che è Der andere Prozess
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(`L'altro processo'), una ricostruzione del fallito fidanzamento di Franz Kafka con Felice Bauer. Qui il tema dell'individuo alienato, impossibilitato a costituire anche la piú immediata forma di associazione, ossia la famiglia, non è piú esemplificato su un personaggio stravagante e per certi aspetti scurrile ed improbabile come è il Dr. Kien di Auto da f é. Nell'Altro processo è la vita stessa, fissata in un epistolario pieno di grida e [...]

[...]ione piú azzardata e fruttuosa di Elias Canetti.
La provincia dell'uomo dà un'idea di quanto lo scrittore stesso sia consapevole del difficile equilibrio in cui ambisce tenere il proprio lavoro, sempre in bilico tra evocazione e giudizio. Il libro è infatti composto da spunti di pensiero appena abbozzati, da tesi esposte per il solo fatto che si sono presentate alla mente, da verità contraddittorie lasciate liberamente cozzare tra loro; e tutto ciò inframmezzato da amari smascheramenti alla Rochefoucault, da taglienti battute alla Kraus, il grande modello dei primi anni viennesi. Spigoliamo alcuni esempi: « Non fidarsi del dolore: si tratta sempre di un dolore proprio ». « Ognuno dovrebbe vedersi mentre mangia ». O anche: « Voglio morire — ella disse — e inghiotti dieci uomini ». « Porse l'altra guancia finché non vi depositarono sopra una decorazione ». Non mancano neppure opposizioni fulminanti alla Brecht; eccone una che ricorda l'Abbecedario di guerra: « Una schiera di donne incinte; dalla parte opposta vengono avanti camion, carri [...]

[...]era di donne incinte; dalla parte opposta vengono avanti camion, carri armati, pieni di soldati opportunamente equipaggiati. I carri sono passati; le donne, in mezzo alla strada, si mettono a cantare ».
Del carattere composito e si vorrebbe dire revulsivo del libro Canetti non fa mistero né apologia, lo fa sussistere per quello che è, al massimo si giustifica indirettamente con precedenti illustri, ad esempio commentando cosi i dialoghi di Confucio: « È sorprendente quanto si possa dare in 500 annotazioni: e come uno appaia in tal modo intero, rotondo, afferrabile. Ma anche assolutamente inafferrabile ».
GIUSEPPE BEVILACQUA
UMBERTO CALOSSO E PIERO GOBETTI
La prima raccolta di scritti gobettiani dopo la liberazione, e dopo un ostracismo durato circa vent'anni, apparve, col titolo Scritti attuali, presso l'editore Capriotti di Roma con la data 30 luglio 1945. Ne era curatore Umberto Calosso che vi premise una prefazione, importante per piú motivi. Anzitutto per
* Testo riveduto e annotato di una comunicazione presentata al Convegno de[...]



da Cesare Musatti, Varietà e documenti. Freud e l'ebraismo in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: VARIETÀ E DOCUMENTI
FREUD E L'EBRAISMO
Mentre mi sembra di conoscere abbastanza bene l'opera e la personalità di Freud, anche solo definire ciò che per ebraismo si debba intendere è, almeno per me, assai difficile.
Pure esso, come elemento di differenziazione, dalla popolazione in mezzo alla quale gli ebrei della diaspora vivono, è certamente una realtà. Una realtà che ha la sua base nella famiglia stessa, e che attraverso questa viene trasmessa.
Della propria famiglia Freud raccontò che i suoi erano originari della Galizia. Il bisnonno Ephraim Freud fu un noto rabbino, e cosi il figlio di lui Schlomo: non si sa bene se rabbini nel senso tecnico della parola, oppure uomini addottrinati e colti nelle sacre scritture, e come tali cir[...]

[...]estrema timidezza e perfino di conformismo nella vita quotidiana.
Penso a tre di questi scienziati rivoluzionari, spuntati fuori dopo che sono state aperte agli ebrei le porte della cultura europea, e specificamente tedesca. A tre fra i maggiori naturalmente: a Karl Marx, ad Albert Einstein e a Sigmund Freud.
Io ho conosciuto personalmente (per modo di dire, e per combinazione) soltanto Einstein: a cui, quando ero un giovanotto, ho dato il braccio per fargli salire la scaletta che conduceva alla Cattedra nella solenne Aula Magna dell'Università di Padova. Era timido come un bambino. E come gli altri due aveva l'aria del pacifico padre di famiglia borghese.
Che cosa accomuna questi tre personaggi? Tutti e tre hanno rovesciato il modo di considerare le cose di questo mondo. In campi diversi, certo, e con conseguenze molto differenti. Ma dando prova tutti e tre di una indipendenza di spirito, che derivava loro probabilmente dal fatto di non essere passivamente inseriti nella comune realtà accettata dai cristiani.
Rivoluzionari disarmati[...]

[...]erto, e con conseguenze molto differenti. Ma dando prova tutti e tre di una indipendenza di spirito, che derivava loro probabilmente dal fatto di non essere passivamente inseriti nella comune realtà accettata dai cristiani.
Rivoluzionari disarmati! Come i profeti dunque, ma dotati di uno straordinario coraggio, perché capaci di porsi contro l'umanità intera.
Freud, in un discorso tenuto al B'nai B'rith di Vienna nel 1926, dopo aver detto che « ciò che lo legava all'ebraismo era la familiarità che nasce dalla comune costruzione psichica », continuò: « Poiché ero ebreo mi ritrovai immune da molti pregiudizi che limitano gli altri nell'uso del loro intelletto e, in quanto ebreo, fui sempre pronto a passare all'opposizione e a rinunciare all'accordo con la maggioranza compatta ». (L'espressione maggioranza compatta, — kompakte Majorität — è tratta da Ibsen, Il nemico del popolo.)
Questo carattere profetico è certamente qualche cosa di molto strano. Si comprende però come sia suscettibile di provocare la formazione di fedelissimi segñaci, [...]

[...]ne per l'eruzione degli impulsi erotici; e sono meno inibiti verso la sessualità, non essendo ossessionati dal prete con il concetto del peccato carnale che conduce direttamente all'inferno.
Cosí Freud ha avuto maggiormente mano libera collegando le nevrosi con i tabú sessuali, ed ha potuto trovare maggiore comprensione da parte dei pazienti ebrei, presso i quali il problema della colpa è vissuto in modo diverso che presso i gentili.
Con ciò non si vuol dire che la psicoanalisi sia fatta per gli ebrei soltanto. Ma che con un paziente ebreo l'analista trova una via di intesa molto piú rapidamente che non con altri.
In tutto ciò Freud vedeva anche un pericolo. Non per nulla affermò: « Dobbiamo evitare che la psicoanalisi diventi un affare interno per il solo ambiente ebraico. E perciò siamo costretti ad accettare anche gli svizzeri (e cioè Jung in quel periodo) ed essere comprensivi, rendendoci conto che essi, i gentili, hanno maggiori difficoltà che non gli ebrei, ad accettare alcuni punti di vista della psicoanalisi » (Lettere del maggio e del luglio 1908 ad Abraham).
Bakan sostiene che Freud avrebbe pubblicato inizialmente anonimo il saggio sul Mosè di Michelangiolo, per il timore di attrarre su di sé l'ostilità degli antisemiti. È una affermazione del tutto infondata. La verità è soltanto che Freud nel suo saggio parla del Mosè di pietra come se si fosse trattato di un ,essere vivente, che mutava di sentimenti ed era i[...]

[...]della psicoanalisi » (Lettere del maggio e del luglio 1908 ad Abraham).
Bakan sostiene che Freud avrebbe pubblicato inizialmente anonimo il saggio sul Mosè di Michelangiolo, per il timore di attrarre su di sé l'ostilità degli antisemiti. È una affermazione del tutto infondata. La verità è soltanto che Freud nel suo saggio parla del Mosè di pietra come se si fosse trattato di un ,essere vivente, che mutava di sentimenti ed era in movimento: e cioè di un paziente di cui si vuol ricostruire un processo di pensiero. E non voleva di fronte ai critici d'arte (che di fatto in genere non hanno seguito il suo modo di ragionare) prestarsi a critiche che avrebbero investito anche la psicoanalisi. L'antisemitismo non c'entra proprio per nulla.
Preoccupazioni d'ordine politico Freud ebbe invece piú tardi per il libro sull'uomo Mosè: benché coloro che questa volta potevano risentirsi delle tesi sostenute da Freud, fossero proprio gli stessi' ebrei, che si vedevano privati della ebraicità del loro piú grande profeta. Ma al tempo del libro su Mo[...]

[...] esse un grandissimo interesse scientifico. Per contro ho sempre avuto molto forte il senso di appartenenza al mio popolo, senso che ho cercato di coltivare anche nei miei figli. Abbiamo tutti conservato la denominazione ebraica » (l'ultima frase significa che i membri della famiglia Freud dichiaravano — come la legge del paese allora richiedeva — di essere e di voler essere considerati ebrei). In casa sua non si rispettava molto il coscerüth (e cioè il complesso delle prescrizioni della cucina ebraica), benché sua moglie si sforzasse di conservare il piú possibile le vecchie abitudini tradizionali.
Dal 1896 in poi Freud restò sempre socio del B'nai B'rith di Vienna (circolo culturale ebraico, senza alcun rapporto con elementi religiosi), dove, quando poteva ancora parlare in pubblico, tenne spesso conferenze. L'appartenenza al B'nai B'rith diede anzi luogo ad una complicazione quando i nazisti invasero Vienna e perquisirono la sede della Società psicoanalitica. Ci si illudeva di poter salvare la continuità della Società, malgrado la presenza dei nazisti, ma questi posero la condizione che fossero allontanati i soci che risultavano ebrei (cioè in pratica quasi tutti), e che la associazione non avesse nulla a che fare con organi[...]

[...]a alcun rapporto con elementi religiosi), dove, quando poteva ancora parlare in pubblico, tenne spesso conferenze. L'appartenenza al B'nai B'rith diede anzi luogo ad una complicazione quando i nazisti invasero Vienna e perquisirono la sede della Società psicoanalitica. Ci si illudeva di poter salvare la continuità della Società, malgrado la presenza dei nazisti, ma questi posero la condizione che fossero allontanati i soci che risultavano ebrei (cioè in pratica quasi tutti), e che la associazione non avesse nulla a che fare con organismi ebraici. Saltò però fuori, durante la perquisizione dei locali, la tessera del B'nai B'rith, di cui Freud aveva pagata anche la quota dell'anno in corso, e si dovettero dare infinite spiegazioni per superare momentaneamente lo scoglio. Piú tardi, come si sa, ogni riferimento alla psicoanalisi fu vietato dal governo nazista. E i fascisti italiani, senza capirne niente, scimmiottarono un tale comportamento.
Nel libro di Bakan sono contenute molte affermazioni riguardanti Freud e la sua ebraicità, le quali[...]

[...] quali tuttavia a mio parere sono del tutto infondate.
Cosí quando Brücke spinse Freud, allora giovanotto, ad abbandonare gli studi puramente scientifici per dedicarsi alla professione medica, egli lo fece certamente perché non esistevano prospettive di una rapida carriera universitaria per Freud, che aveva invece assolutamente bisogno di guadagnare. Pensare che il comportamento di Brücke nel 1882 fosse dettato da antisemitismo, e dal desiderio cioè di non tenere, per questo motivo, ulteriormente Freud nel proprio Istituto, come suppone Bakan, è assolutamente assurdo.
È vero che gli ebrei sono stati e sono spesso oggetto di persecuzioni reali; ma bisogna tener conto che questo ha anche sviluppato fra loro una certa mania di persecuzione, per cui possono tendere ad attribuire ad antisemitismo situazioni che coll'antisemitismo nulla hanno a che vedere.
Freud fu invece sempre grato a Brücke di averlo indotto a mettersi a lavorare professionalmente, e riconobbe che Brücke aveva contribuito a toglierlo da una situazione indignitosa, per no[...]

[...]parabile con quella che si trova nelle edizioni successive al 1909 della Traumdeutung di Freud. Ma molte altre corrispondenze possono essere trovate in documenti provenienti da diverse civiltà.
La via di trasmissione di queste corrispondenze non è dunque storico culturale, ma semplicemente psicologica, per la uniformità dell'apparato psichico degli uomini.
Bakan parla anche di una certa dissimulazione della propria persona da parte di Freud in ciò che pubblicava; e la attribuisce pure ad un bisogno di nascondersi in funzione del problema dell'antisemitismo. Cita Bakan, a tale proposito, il fatto che molti dei sogni, od altri episodi analizzati nelle sue opere, non vengono da Freud riferiti a se stesso, che ne è il vero soggetto, ma ad ipotetici pazienti, o comunque ad altre persone.
Freud però faceva semplicemente quello che fanno tutti gli analisti. Un analista non dovrebbe parlare di se stesso (come invece ho proprio io il brutto vizio di fare), per un riguardo verso i propri pazienti, e perché l'analisi con questi si possa svolgere[...]

[...]punto Freud) non soltanto verso i propri pazienti, ma anche verso la propria persona.
694 VARIETÀ E DOCUMENTI
Un legame di tutt'altro genere può invece essere trovato fra Freud e il mondo ebraico, quando si prenda in considerazione quello strano suo libro, da lui a dir la verità poco amato, e pure a mio parere molto importante teoreticamente, che è Der Witz und seine Beziehung zum Umbewussten (Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio). La battuta di spirito nasce per lo piú spontaneamente ed improvvisamente in chi la pronuncia, in seguito ad un processo dinamico interiore che si svolge automaticamente nell'inconscio, per cui si esplicita un impulso prima represso o rimosso. Esso riesce ad estrinsecarsi utilizzando una certa struttura formale, la quale rende il motto compatibile con le norme abituali che regolano i rapporti verbali fra gli uomini: evitando in tal modo di essere una semplice insolenza o una espressione triviale.
Cosí attraverso il motto di spirito (senza che l'autore neppure si renda conto di come esso nasca) può esprimersi un impulso aggressivo, o anche lascivo, che non sarebbe altrimenti tollerato nelle comuni relazioni fra le persone cosiddette civili e bene educate.
Teoreticamente qu[...]

[...]a racconti di Heine, che (nonostante il battesimo) rimase sempre per mentalità, spirito e genialità, un ebreo tipico.
Queste storielle ebree sono caratterizzate dal fatto di essere non tanto comiche, quanto umoristiche. E, come Freud nota esplicitamente, l'umorismo è una produzione in cui l'autore stesso si offre personalmente, oppure identificandosi con la propria comunità, o gruppo, quale bersaglio ed oggetto della ilarità aggressiva altrui.
Ciò significa che le storielle ebree sono tutte lievemente masochistiche ed autolesionistiche. Freud del resto in altra occasione aveva affermato che nella mentalità ebraica è sempre presente una certa componente masochistica. E quanto alle storielle, ci si deve riferire a quelle costruite e pronunciate proprio da ebrei, le uniche veramente spiritose; giacché le battute dovute ai gentili nei confronti degli ebrei, sono per lo piú soltanto aggressive e non raggiungono mai la efficacia di quelle, per cosi dire, fabbricate in casa. Il rivestimento spiritoso che copre il contenuto critico nobilita, a[...]

[...] certa componente masochistica. E quanto alle storielle, ci si deve riferire a quelle costruite e pronunciate proprio da ebrei, le uniche veramente spiritose; giacché le battute dovute ai gentili nei confronti degli ebrei, sono per lo piú soltanto aggressive e non raggiungono mai la efficacia di quelle, per cosi dire, fabbricate in casa. Il rivestimento spiritoso che copre il contenuto critico nobilita, anche di fronte a chi ascolta, l'autore (o ciò che egli rappresenta). Egli ironizza su se stesso, o su la propria gente con cui si identifica, ponendo in rilievo determinati aspetti tipici, o ricorrenti, nel mondo ebraico. Col sottolineare egli stesso tali elementi criticabili, rende per cosi dire superflua la aggressività altrui e raggiunge una propria forma di superiorità.
All'inizio del 1938 io stesso stavo completando il mio Trattato di psico
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analisi, che, data la situazione politica, poté essere pubblicato soltanto dieci anni dopo.
Mi misi allora alla ricerca di un materiale idoneo ad illustrare il problem[...]

[...]bro sul Witz unicamente rifacendosi al proprio ambiente di origine, e dimostrando nel modo piú aperto la propria appartenenza alla realtà ebraica.
A proposito di questa voluta appartenenza, qualcuno ha sollevato dubbi, citando alcune difficoltà nevrotiche che Freud ebbe, per dare esecuzione, verso la fine dello scorso secolo, al suo vivissimo desiderio di visitare Roma, dove, malgrado vari tentativi, non era mai riuscito ad arrivare. Si è detto cioè che Roma, il centro del cattolicesimo, gli incuteva un particolare rispetto, supponendo perfino che nel corso della sua vita avesse talora pensato di farsi cattolico. Queste sono fantasie senza fondamento alcuno, sostenute questa volta non da un ebreo come Bakan, ma da pii cattolici, convinti che tutti, nel fondo del loro cuore, dovrebbero aspirare ad essere accolti nel seno della santa madre Chiesa cattolica.
La fobia di Freud per arrivare a Roma, malgrado l'intenso desiderio che ne aveva, fobia durata diversi anni, e che si inquadrava in una piú ampia fobia per i viaggi in genere, ha tutt[...]

[...]) senza riuscire a raggiungerla, fosse determinata dal suo complesso edipico.
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Solo alla fine della propria autoanalisi la fobia scompare. Allora Freud (come racconta nell'ultima lettera a Fliess del 1902) poté contemporaneamente arrivare a Roma, e brigare a Vienna, per ottenere il titolo di Professore universitario, liberandosi dagli scrupoli di coscienza che lo avevano precedentemente ostacolato. Insieme egli riuscí a sciogliersi dal legame quasi omosessuale e di tipo transferenzialeanalitico con lo stesso Fliess: pervenendo in tal modo alla propria piena autonomia e indipendenza scientifica.
Tracce per convalidare questa interpretazione si ritrovano in un tardo scritto di Freud: una lettera dedicata a Romain Rolland del 1936.
Non Roma soltanto lo turbava, ma anche Atene con la sua Acropoli: ancora una madre per un uomo imbevuto di cultura classica, quale egli era. Qui ovviamente non poteva trattarsi di una assurda tentazione di gettarsi fra le braccia della Chiesa cattolica romana. Freud raccontò a Romain Ro[...]

[...]to e con i piú grandi onori, constatò come neppure l'Inghilterra e la Francia fossero del tutto immuni dall'antisemitismo. I due giornali avevano infatti scritto accusando si i nazisti di barbarie, ma col tono di invocare, per i poveri ebrei, un po' piú di tolleranza da parte dei nazisti.
No, replica Freud, non tolleranza. Finché si parla di tolleranza si dà per scontata una condizione di inferiorità, e comunque un elemento di discriminazione.
Ciò che in queste sue ultime pagine egli chiede per sé, per gli ebrei, e per tutti gli esseri umani, è il riconoscimento della piena eguaglianza di ogni uomo, nella dignità, nei diritti e nel rispetto della persona.
CESARE MUSATTI



da Giovanni Battista Bronzini, Varietà e documenti. Togliatti e i canti popolari [scritto del 1953, per metà inedito [quadre nel testo]] [e trascrizione documento di Rocco Scotellaro [quadre di catalogo]] in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]are il momento della creazione e di identificare i singoli autori o elaboratori, che spesso a torto e anche volutamente per « comodo intellettuale » vengono registrati come ignoti. Il fatto è che l'interesse di Ernesto De Martino era rivolto al momento della recitazione, non direi neppure della fruizione obiettiva, ma della recitazione del contadino o dell'operaio nell'incontroscontro diretto tra lui e l'altro, tra il « nostro » e l'« alieno ».
Ciò che qui dice Scotellaro è vero soprattutto per uno speciale genere di poesia popolare cantata, che è quello sociale e politico, di carattere progressista, per la cui creazione si può arrivate, dalla cooperazione fra popolo e intellettuali fino alla delega ad essi data dal proletariato per la composizione dei canti di protesta 2. Comunque, richiamando l'attenzione sulla « fase creativa di solito comune, ma spesso individuale », Scotellaro ripropone un'antica (come tutti sanno) querelle in termini nuovi: dando una consistenza reale a quella comunione; non accettando l'alternativa, mal posta, o [...]

[...] e le ragioni storiche di certe espressioni, ne ha analizzato l'ambiente sociale di persona attraverso quella che è stata chiamata « la spedizione in Lucania ».
Mentre è legittimo attendersi una sistematica esposizione del materiale raccolto — che pare non debba tardare a venire alla stampa — occorre dire che dagli articoli finora letti si ha l'impressione che il termine « popolare », attribuito a certe manifestazioni, venga un po' troppo artificiosamente sovraccaricato di significati estranei; e ciò è vero soprattutto per quanto riguarda il momento creativo di una poesia, di una canzone, di un racconto, di un semplice brindisi.
Se, molte volte, è praticamente impossibile identificare — e non soltanto nella loro veste sociale, ma nella loro individuale personalità — gli autori del monumentale libro popolare che circola e vive in tanta parte del nostro Paese, è vero, invece, che nella produzione contemporanea dell'arte popolare si possono e si devono rintracciare e segnalare i veri autori con il loro nome e cognome, anzi che porli, mentre vivono, nel registro degli ignoti solo perché può [...]

[...] canzoni e le poesie, quelle soltanto, naturalmente, che siamo riusciti a trascrivere, cantate e scritte in onore dell'On. Palmiro Togliatti in svariate circostanze della recente storia politica italiana.
Si sa come il dialetto, in genere, e, in un modo diverso, i tanti dialetti italiani operano una specie di frantumazione delle parole della lingua. Alcune parole vengono nell'uso comune masticate tanto da ricevere una conformazione inaspettata. Ciò si verifica, anche, per i nomi degli uomini politici, chi benedetto
e chi maledetto, che pure, con la radio, i giornali e la propaganda, sono continuamente detti e consacrati alla memoria.
Ma Roosevelt diventa, come si sa, Rosa Verde; Truman lo chiamano, con disprezzo, Trumone (bottiglia); Einaudi, in un paese lucano, significa « io e un altro » dalla pronunzia dialettale della parola « eie e naute »: per il nostro presidente non sia offesa affermare che quella pronuncia è, per noi, un'invenzione linguistica che spiega un fatto politico: la intelligente, liberale e aperta mentalità di un pr[...]

[...] fisica e morale dell'uomo: i contadini trovano in Togliatti la persona dimessa e intelligente, consapevole
e ferma.
I primi segni di affetto e di stima, i piú commoventi, si notano nell'ambito
della vita familiare: vi si colgono i tratti di un'amicizia piú sentita e profonda
e vicina di quanto non sia la diversa partecipazione delle folle ai comizi.
Trammone Michele, un bracciante di 35 anni, con tre figli, al piú piccolo, che porta in braccio, presenta i suoi amici o semplici conoscenti in una maniera inconsueta: — Ecco questo è compagno di Togliatti — dice di uno. Il bambino chiude il pugno e sussulta sulle braccia. Per scherzo, a volte, Trammone dice:
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— E questo sta con Casciparro (De Gasperi). Il bambino resta imbambolato e scontroso, alza il pugno, poi abbraccia il padre.
Oltre che nei canti e nelle poesie popolari, nelle feste dell'ultimo dell'anno, di carnevale e in quelle piú intime dei battesimi e degli sposalizi, c'è sempre qualcuno che si alza per primo a chiedere, col bicchiere in mano, di par[...]

[...]e luglio
na mane assassina
nce 'o vuleve luvà;
ma Togliatte ch'è cchiú forte
a scunfitte pur'a morte
e o guverno sta a tremmà.
Nè De Gà, che te crerive
c'a partita se chiureva
quante cunte te facive
senza l'oste, sai pecché?
Pecché o popolo onesto e sincero
tuccate int'o core
à strillate accussi:
Nu tuccate a Togliatte
chist'ommo sta inte o core
nun ce pruvate ancora tutte o popolo italià. L'avviso mo a chi tocca c'a a collera pò sciocca nuie pe sta libbertà nce facimme subbissà.
Finalinn
Dicimmece Togliatti
al " nostro capo amato
ca sti faticature
son venute fine e ccà
per porgergli il saluto
d'o popolo cchiú e core
pe le dà na stretta e mane
e l'abbraccio 'e sta città.
In Lucania, durante le occupazioni delle terre, nelle soste dei lunghi percorsi e nelle pause del lavoro per tracciare i. solchi, un brindisi all'acqua diceva:
« Quánne si 'ncudene statte / quanne si martidde batte; / fauce e martidde, fauce e martidde / ama vence cò Togliatti (dobbiamo vincere con T.) ».
Quando, dopo l'approvazione del Patto Atlantico, il governo fece pervenire le prime cartoline rosa di preavviso di chiamata (una ne pervenne a un giovane già morto in guerra) cominciarono caute le prime proteste.
Altrove si era sparato sui contadini, c'erano stati morti e f[...]

[...]sando alle porte dei contadini, divenne una gran folla che si trattenne a cantare fino all'alba: portavano le serenate, dissero ai carabinieri: « Hanne mannate le cartulline / cume se fossero pane e vine. / Nuie alla guerra nun ce sciame / ca vulime pace e pane. / E Togliatti dille forte / pace pace fin'a la morte ».
Nell'imminenza delle elezioni amministrative del Maggio 1952, a Tricarico correva una canzone di un giovane contadino, MariaMincuccio, che commentava il fatto, davvero straordinario, di due fratelli, già grossi affittuari, che improvvisamente decisero di investire i loro capitali nella gestione del principale caffè del paese.
Era una lunga cantilena monotona che suonava aspra rampogna per i due transfughi della terra: « Rocco e Michele, Michele e Rocco / chi l'amore ri li caramelle (per amore delle caramelle) / s'àane vennute le picurelle... (hanno vendute le pecorelle) / Rocco e Michele, Michele e Rocco / si ni sò giute int' u café (se ne sono andati al caffè)».
Sullo stesso motivo, nella camera del lavoro, con la partec[...]

[...]na monotona che suonava aspra rampogna per i due transfughi della terra: « Rocco e Michele, Michele e Rocco / chi l'amore ri li caramelle (per amore delle caramelle) / s'àane vennute le picurelle... (hanno vendute le pecorelle) / Rocco e Michele, Michele e Rocco / si ni sò giute int' u café (se ne sono andati al caffè)».
Sullo stesso motivo, nella camera del lavoro, con la partecipazione del gio
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vane autore, MariaMincuccio, e di un intellettuale furono commentati gli atteggiamenti dei vari partiti della coalizione governativa.
Lu cuverne cu lu mal de ventre vaie cercanne cugini e parente. E risponne u signore Pacciardi m'accuntente de nu poco de larde.
E risponne Giuseppe Romita: Ero malate ma sel guarite. E risponne Villabruna
E risponne Saragat: tene l'ucchie sta fortuna.
Agge cantato lu Magnificat Pe) risponne pure Tupini
guerra 'n famiglia nun è fine.
Il ritornello era composto da tre strofe che si alternavano:
Don Alcide Don Alcide
tutto fernesce (finisce) e to nun ci cride (credi)
Chiamatelle am[...]

[...]o informazioni di canti e poesie, in cui comunque si accennasse a Togliatti, il cinquantenne Nilvetti Atti
lio, stagnino che fu già, da giovane, artista del canto napoletano nelle riviste di varietà e che con una voce squillante da contralto si esibisce al microfono nelle feste popolari, mi ha detto di aspettarlo. È venuto poco dopo a dirmi di aver composto alcuni versi in onore di Togliatti, cantabili sul motivo di « A Rossa » del noto maestro Cioffi: « Viate chella mamma ch' l'ha fatte / Riceva tutt' a gente r'o paese. / È nate nu uaglione e tene 'n faccia / doie schiocche 'e russe e nu ranate (di melograno) / Viate chella mamma de Togliatti ».
ROCCO SCOTELLARO
IL GENOCIDIO CIRENAICO E LA STORIOGRAFIA COLONIALE
In una recente nota polemica un esponente della storiografia coloniale piú legata ai temi e miti del passato, Enrico De Leone, ha vivacemente attaccato un mío articolo di vari anni fa sulla repressione italiana della resistenza delle popolazioni cirenaiche culminata nel 193031, prendendo in particolare di mira l'espressione [...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Ciò, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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