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Il segmento testuale Ciò è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da (9 Domande sul romanzo) Giorgio Bassani in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]n Italia, di manierismi narrativi del genere di quelli di Butor, RobbeGrillet, Nathalie Sarraute, dipenderà in gran parte dalla sorte che sarà riservata alla nostra democrazia. L'impassibilità mortuaria del Voyeur e della jalousie evoca direttamente la dittatura del grande capitale indu
4 GIORGIO BASSANI
striale, il « moderno » qualunquismo neopositivista (E la conseguente messa al bando dei comunisti).
5
È un'ipotesi, un sogno, una chimera. Ciò non toglie che molti nostri critici di sinistra ne parlino come di qualcosa veramente esistente o realizzabile; e che continuino a confrontare ogni romanzo che vien fuori con questo ideale, platonico (anche se marxistico) nulla.
6
Non é simpatico polemizzare con le domande. Tuttavia, una volta tanto, mi sia consentito chiedere: « Perché questa domanda ? » Siamo nel 1959, ben avanti nel secolo, abbastanza adulti, direi. E ancora a doverci baloccare con questi falsi problemi ? Ancora a dover scegliere tra la via di Svevo e quella di Tomasi di Lampedusa, tra quella di Cassola e quella di Gadda[...]



da (Mito e civiltà moderna) Vittorio Lanternari, Frammenti religiosi e profezie di libertà fra i popoli coloniali in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA
FRA I POPOLI COLONIALI (1)
Fremiti di rivolta scuotono il Congo Belga, il Nyassa, l'Africa Equatoriale Francese. Sono di ieri i moti sediziosi del Kenya e dell'Africa occidentale. Per l'etnologo e per lo storico delle religioni che non abbia veli sugli occhi — come invece può esser indotto ad avere il funzionario coloniale — ciò non é una sorpresa. È l'eco conturbante ma per nulla inatteso di fermenti religiosi — ancor prima che politici i quali hanno maturato e vanno sconvolgendo la cultura dell'Africa Negra da oltre un cinquantennio con vigore crescente. Alla radice di ogni rivolta politica e militare di popoli indigeni stanno effettivamente altrettanti moti di rinnovamento religioso premonitori, cioè i culti profetici di liberazione.
Essi son venuti fiorendo nell'Africa Negra, dal Sud Africa alla Rhodesia, al Tanganika all'Africa Equatoriale e Occidentale, all'Angola, al Congo all'Uganda al Kenya, ecc. Ma altri numerosissimi sono venuti sviluppandosi e via via diffondendosi, dove piú presto dove più tardi, in Melanesia, Polinesia, Indonesia e nell'America indigena settentrionale e meridionale. Di pari passa con l'urto tra cultura egemonica e culture aborigene: soprattutto via via che le conseguenze dell'urto si son fatte pressanti e sconvolgenti — specialmente a seguito delle due guerre[...]

[...] il feticismo, o impiego cultuale e socialmente utile di oggetti opportunamente confezionati e pertanto « caricati » di valore taumaturgico. Ora il feticismo è in stretto rapporto con le prime manifestazioni profetiche di questa grande regione (4) : manifestazioni che presentano fin dapprincipio, e che poi continueranno a serbare fino ai giorni recenti, la combinazione — per null'affatto ingiustificata come vedremo — di due essenziali caratteri, cioè un intento dichiaratamente xenofobo ostile ai bianchi, una funzione di protezione dalla magia nera.
È del 1904 il primo grande movimento profetico, ed ha carattere tipicamente feticista e insieme xenofobo. Il fondatore fu Epikilipikili, taumaturgo autore e divulgatore di un nuovo feticcio (bwanga), composto di polveri e parti di animali, dotato di speciali poteri contro ogni forza ostile, e in particolare contro la magia nera. Fu fondata un'organizzazione magica che guadagnò proseliti via via in regioni più vaste e ottenne il consenso dei capi locali. La ricetta tra l'altro doveva immunizzare gli indigeni dai proiettili sparati dai bianchi. In realtà l'organizzazione magica di Epikilipikili è il prototipo e la forma embrionale di quelle numerose società segrete (Mani di Boma, Punga o Muana Okanga fra i minatori del Katanga, Nebili degli Azande, ecc.) che nell'Africa centrale e[...]

[...]edizioni e le soffocavano, era facile agli indigeni convincersi che la sconfitta dipendeva da trasgressioni commesse alle, norme cultuali. Infatti le varie associazioni segrete svolgevano riti particolari.
(4) Comhaire, « Africa », 1955, 55.
(5) De Jonghe, pp. 567.
58 VITTORIO LANTERNARI
Più tardi, nel sudovest della stessa provincia del Kasai, i Bashilele si univano in un'analoga organizzazione fondata sull'uso di una panacea (nkisi) o feticcio, che ingerito dagli iniziati li avrebbe immunizzati da malattie e dai perniciosi effetti degli stregoni (ndoki): era la società Lukusu (—Lukoshi=Nkisi Lukoi). Ma essa doveva ben presto sboccare nel culto del «Serpente parlante » (uomoserpente), con funzione protettiva contro ogni sorta di mali. Con ciò essa appare come una forma locale di quel grande complesso di culti segreti, e delle relative società di uominibestie che rappresentano uno dei lineamenti più notevoli della religione dell'Africa equatoriale: associazioni intese a procurarsi potenza (magica) contra ogni creatura e forza ostile. Ma qui importa sottolineare che nell'ambito dell'associazione del Serpente parlante dei Bashilele si sviluppava un mito nuovo e chiaramente antieuropeo. Dal serpente, seconda il mito, sarebbero nati alcuni profeti o messia i quali avrebbero lottato contra la nazione egemonica e scacciato i bianchi dal [...]

[...]a tutte le forme religiose tradizionali: tanto più quelle volte già a un intento esplicitamente salvifico, di guarigione, di padroneggiamento delle forze maligne.
Secondo la credenza dei Bashilele diffusasi nel 1933 (il Congo
Belga era stato costituito come colonia belga nel 1907: il contatto europeo dava i primi frutti in campo religioso e politico insieme) — l'avventa del messia liberatore sarebbe stato contrassegnato da eventi catastrofici, cioè il ritorna collettivo dei morti, l'eclisse solare; un cane nero avrebbe fatto la sua comparsa tra i villaggi parlando agli uomini. Indi sarebbe apparso un uomo in parte bianco, in parte nero. Gli aborigeni avrebbero potuto assicurarsi un inconcusso potere contra i bianchi bevendo da speciali tazze, cariche di virtù magica. Cominciarono di fatto a indirsi riti segreti, nottetempo, presso le tombe degli antenati; si sospese ogni lavoro di coltivazione, insomma si attese che i morti tornassero, portando seco ogni ricchezza e benessere, inaugurando un'epoca nuova e beata (7).
(6) De Jonghe, pp.[...]

[...]ito di espulsione dei bianchi sta al fondamento di infiniti culti profetici di liberazione. Il mito esprime l'esigenza di un'era di libertà e di benessere, contra l'attuale stato d'oppressione e miseria. Il ritorno dei morti, l'eclisse solare, l'avvento del cane parlante e dell'uomo bianconero, la cessazione del lavoro sono altrettante manifestazioni d'un tema mitico — lo sconvolgimento dell'ordine attuale e relativa palingenesi attuati per annuncio di un messia — che costituisce il nucleo di ogni culto profetico. In esso rifluiscono via via le forme religiose tradizionali — mito dei morti che tornano, uso di bevande magiche, ecc. — rielaborate in vista di una funzione nuova, che non appartiene alla tradizione ma è prodotta dall'urto fra la cultura subordinata ed egemonica. La nuova funzione consiste nella liberazione dai bianchi, nell'acquisizione di un più alto livello di vita, il cui desiderio
acuito appunto dal confronto dei sopravvenuti stranieri, apportatori di un'ignota cultura industriale e di straordinari strumenti di supremazi[...]

[...]me elemento tradizionale nel nuovo culto kimbangista. La sua azione, sincretistica nel contenuto, ma chiaramente polemica verso i colonizzatori e volta all'emancipazione religiosa dei Negri, favoriva un'atmosfera sempre più ostile ai bianchi, vagheggiava la fondazione di una « chiesa nativa » (10). Ormai perseguito dall'autorità amministrativa, Kimbangu veniva arrestato, fuggiva, ma poco dopo si sottometteva volontariamente all'arresto, anche in ciò esprimendo il suo atteggiamento di « imitatore di Cristo ». Moriva più tardi in carcere a Elisabethville nel 1950 (11).
Al di là della intransigente polemica antibianchi, il Kimbangismo rappresenta un momento notevolmente avanzato, e nello stesso tempo dimostra quale sia il preciso, inderogabile limite nel processo di rinnovamento della cultura religiosa aborigena al contatto con la cultura cristiana. In effetti nel Kimbangismo alcuni essenziali elementi della tradizione culturale aborigena — culto di guarigione, tema del ritorno collettivo dei morti, figura di un Essere supremo, ecc. — veng[...]

[...]atsúa e gli altri profeti di quella fede novella (18). Così nasceva, o meglio si rinnovava con inopinato fervore (poiché già esso aveva avuto modo di manifestarsi anche prima, come sopra s'è vista) il messianesimo indigeno: un messianesimo improntato al modello cristiano dei missionari, ma ritorcentesi contra di essi a causa della politica colonialista delle nazioni egemoniche e delle loro chiese.
In conclusione Matsúa da quel ch'era in vita, e cioè non più che un capo politico, si trasformò — e senza sua deliberata intenzione — in un profetamessia, modello — accanto a Kimbagu — di una religione di redenzione terrena: egli è divenuto il Cristo Negro.
(16) Balandier 1955, 397416; Andersson, 11725.
(17) Balandier 1957, 2367.
(18) Balandier 1957, 237; Balandier 1955, 434.
64 VITTORIO LANTERNARI
A delineare lo speciale carattere del culto GunzistaAmicalista proprio delle attuali chiese negre del Congo (emanate dai detti movimenti profetici), basti dire del particolarissimo sincretismo che contraddistingue il segno della croce. Desunto [...]

[...]o propria la concezione paleotestamentaria del DioPadre in quanto affine alla originaria concezione pagana dell'Essere supremo, sostituiscono, o meglio identificano chiaramente Gesù con i due profeti aborigeni. Il bisogno di libertà culturale e religiosa che sta al fondamento dei loro culti profetici trova la sua espressione concreta in un legame di continuità con la tradizione passata. Infatti il « Dio » oggetto di culto non é che Nzambi Pungu, cioè l'Essere supremo della tradizione avita. Inoltre nel rito di accensione dei ceri si conserva, pur attraverso trasformazioni, l'impronta e il significato di antichi riti pagani (22).
« Cristo é un Dio francese », dicono i Negri: e pertanto a lui contrappongono il binomio KimbanguMatsúa. Insomma il Cristianesimo é implicitamente tenuto corresponsabile della politica colonialista gavernativa. Perciò esso nell'opinione nativa si configura come « la religione degli Europei, [la quale] vale a conservare le ricchezze fra le mani di questi, e a nascondere un segreto che nessuno vuol rivelare agli indigeni » (23).
Onde ancor meglio mostrare su quale linea continui a elaborarsi a tuttoggi il sincretismo negrocristiano, descriveremo sommariamente l'altare della chiesa negra di culto gunzistaamicalista. Entro una cappella di paglia tritata e fango, ad imitazione delle cappelle missionarie,
(19) Balandier 1957, 232.
(20) Quanto al concetto di « nativismo », il Linton (1943, 230) così si esprime[...]

[...]olesi e dei loro discepoli. Il pugnale rappresenta la fedeltà giurata agli antenati, mentre la lampada nonché la croce derivano dal rito cristiano. Ma è nella grande V troneggiante su tutto, che più clamorosamente si esprime l'idea di rivolta e, soprattutto, di vittoria. La V altro non é che il portato culturale dell'ultima guerra mondiale, la fatidica V di Winston Churchill e degli alleati, riplasmata in funzione antibianchi come simbolico annuncio della fine della dominazione colonialista (24).
Come in effetti il GunzismoAmicalismo sia una religione di rivolta e di guerra lo dice con identica coerenza una serie di profezie, fra le quali una suona cosí: « La guerra é prossima — essa dice —... Siamo venuti ad annunciare la buona novella di Dio al mondo. Chi fa parte della nostra chiesa non dovrà rivolger parola a chi é legato al governo o alle missioni, o a coloro dei Negri che ancora affondano nelle tenebre. Il tempo del rosso sangue é venuto... Coloro che risusciteranno entreranno nella gloria del regno trionfante... ». Ed ancora, con[...]

[...]ffetti Simon Mpadi fondava la « Mission des Noirs », poi nota come movimento Kakista, che stabilisce attorno al « capo degli apostoli » una complessa e organizzata gerarchia ecclesiastica, cui si prescrive l'uso di un'uniforme color kaki (onde il name
(24) Balandier 1957, 2324. Id. 1955, 458.
(25) Balandier, 1957, 2345.
66 VITTORIO LANTERNARI
del movimento), a indicare pur esso lo spirito battagliero della religione kakista, ed in una l'auspicio di vittoria. Il culto tradizionale degli antenati resta al centro anche del nuovo messianesimo Kakista, caratterizzato altresì da manifestazioni di possessione collettiva, da un culto di guarigione mediante imposizione di mani, da un nuovo impulso antistregonistico: ció che lo riallaccia alla tradizione religiosa indigena legata alle più immediate esigenze terrene (26).
L'arresto (1944), la prigionia di Simon Mpadi non impedirono al movimento di propagarsi e assumere ben più ampi sviluppi, nelle città come fra i villaggi. Da allora s'impose la personalità di Kufinu Philippe, noto come Mavonda Ntangu. Pur attraverso reiterate persecuzioni questo profeta, nativo del Congo Belga (Basso Congo) e considerato a tuttoggi « maestro dell'intero paese », cioè del Congo Belga e Francese, prosegue l'insegnamento di Kimbangu, Matsúa e Mpadi. Il culto GunziKakista di Mav[...]

[...]eligiosa indigena legata alle più immediate esigenze terrene (26).
L'arresto (1944), la prigionia di Simon Mpadi non impedirono al movimento di propagarsi e assumere ben più ampi sviluppi, nelle città come fra i villaggi. Da allora s'impose la personalità di Kufinu Philippe, noto come Mavonda Ntangu. Pur attraverso reiterate persecuzioni questo profeta, nativo del Congo Belga (Basso Congo) e considerato a tuttoggi « maestro dell'intero paese », cioè del Congo Belga e Francese, prosegue l'insegnamento di Kimbangu, Matsúa e Mpadi. Il culto GunziKakista di Mavonda Ntangu si svolge — onde sfuggire alle persecuzioni dei bianchi — in un luogo circoscritto ed aperto (Pendele), o sulle tombe degli antenati. Consiste in preghiere, canti, confessione — elementi d'origine cristiana —, nonché in riti di guarigione, di resurrezione di morti; divinazione, eseguiti dal profeta o dai suoi apostoli, i quali entrano in uno stato d'estasi — fra convulsioni epilottoidi —, che si trasmette al pubblico dei proseliti, in un'atmosfera di eccitazione collettiva[...]

[...]) Andersson, 140 sgg., 151 sgg., 16275.
(28) Andersson, 174.
(29) Andersson, 193.
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 67
Così il messaggio profetico di libertà fonde indissolubilmente il momento religioso con il momento politico: perché al livello di queste culture l'esperienza sacrale tanto più insopprimibilmente accompagna le esperienze profane, quanto più queste ultime si rendono, per condizioni obiettive, angosciose e pungenti.
Nell'atmosfera messianica sviluppata nel Congo dal Kimbangismo con le sue varie emanazioni trova la sua giustificazione un particolare fenomeno che vale la pena di ricordare, promosso dall'arrivo, nel 1935, dell'Esercito della Salvezza (Salvation Army). Questa organizzazione laica avente scopi puramente umanitari, scevra da interessi istituzionali ed ecclesiastici, estranea ad ogni forma di proselitismo, si configuro ben presto all'occhio dei nativi come la controparte, sorprendentemente attraente, delle missioni cristiane. Quanto queste, per i sistemi coercitivi, l'intransigen[...]

[...]piegate, esercitavano sopra i nativi una suggestione di nuovo genere, per certa affinità con le loro feste pagane, e per lo spirito battagliero da cui si sentivano mossi nella loro nuova religione profetica. Dimodoché facilmente essi poterono essere indotti nell'erronea opinione che si trattasse, quasi, di una organizzazione missionaria europea con costumanze cerimoniali affini relativamente alle loro, e comunque tali da suscitare simpatia. Se a ció si aggiunge l'energica azione che i ministri di quell'Armata venivano conducendo per eliminare la stregoneria, contro cui gli stessi nativi, prima col feticismo poi con gli stessi culti profetici avevano dovuto da tempo difendersi e che costituiva pur sempre una fonte di terrore per loro, ben si comprende come i Congolesi potessero scorgere nell'Esercito della Salvezza un insperato soccorso, anzi l'incarnazione di una misteriosa forza benefica. In breve, si diffuse l'opinione che quei bianchi eccezionalmente condiscendenti e disinteressati nei riguardi dei Negri reincarnassero lo, spirito del[...]

[...]itistica (30).
L'episodio dimostra quanta profondamente il messianismo, con la sua speranza di liberazione dai mali e dalle oppressioni d'ogni ordine e provenienza, fosse penetrato nella coscienza collettiva: o meglio esso attesta con quanta efficacia il messianismo esprimesse da un canto il bisogno di salvezza, dall'altro la situazione di rischio da cui gli indigeni sentivano presa la loro vacillante esistenza, a causa dell'intransigente, minacciosa egemonia culturale, politica, religiosa dei bianchi.
Che la salvezza, suprema meta di ogni messianismo, potesse raggiungersi attraverso l'unica via dell'unione solidale degli indigeni d'Africa, veniva facendosi una delle idee dominanti dei vari movimenti profetici, in qualunque regione del continente sorgessero. Zaccaria Bonzo, altro profeta congolese, penetrava nell'Angola col motto « l'Africa agli Africani! ». Simon Toko nel 1949 fondava un nuovo movimento, la « Stella rossa », basato sul principio che Dio sta con i più, e perciò in Africa Egli é a fianco degli Africani. Secondo la profe[...]

[...]i ogni messianismo, potesse raggiungersi attraverso l'unica via dell'unione solidale degli indigeni d'Africa, veniva facendosi una delle idee dominanti dei vari movimenti profetici, in qualunque regione del continente sorgessero. Zaccaria Bonzo, altro profeta congolese, penetrava nell'Angola col motto « l'Africa agli Africani! ». Simon Toko nel 1949 fondava un nuovo movimento, la « Stella rossa », basato sul principio che Dio sta con i più, e perciò in Africa Egli é a fianco degli Africani. Secondo la profezia di Toko, Dio invierà un suo figliomessia incarnato in un Negro, a redenzione dei Negri (31). Così dal sincretismo negrocristiano va sviluppandosi una coscienza religiosa panafricanista — già implicita del resto nel Kimbangismo, Gunzismo e Kakismo —, fondata su una omogeneità di esperienze di fronte ai bianchi e su una crescente consapevolezza etnicoculturale determinata dallo stesso confronto con la cultura straniera egemonica.
Mentre nell'Africa equatoriale e nel Congo, fra alterne esplosioni e repressioni, in un ininterrotto pro[...]

[...]stico urto sociale tra indigeni
e bianchi, il movimento Kitawala o Kitower, attivo già in Rhodesia e nel Nyassa ove ispirò a varie riprese moti sedizioni violentemente repressi. Il movimento Kitawala proviene per processo separatistico indigeno dalla congregazione americana della Watch Tower (Kitawala
o Kitower é deformazione dell'originario termine inglese), o Associazione dei Testimoni di Geova, fondata nel 1874 da Charles Taze Russell, e perciò nota anche con il name di « Russellismo ». Il movimento Watch Tower s'accentra nell'attesa millenaristica di un'era di paradiso che seguirà, in età non lantana, allorquando la decisiva battaglia di Dio contro Satana esploderà ad Armageddon. I miscredenti saranno debellati, sulla terra regnerà la giustizia. Negatori della Trinità, della divinità di Cristo, dell'immortalità dell'anima, degli eterni castighi ultraterreni; per di più antimilitaristi ed antinazionalisti ad oltranza, i Testimoni di Geova condannano sia lo Stato sia ogni forma di organizzazione ecclesiastica come emanazione di Satan[...]

[...], volto all'unificazione spirituale dei Negri di America e d'Africa. Dalla Liberia al Nilo all'Uganda al SudAfrica, Marcus Garvey proclamava l'espulsione dei bianchi, l'instaurazione di una religione negra, con un Cristo Negro, con angeli negri. Di tali esperienze doveva risentire dunque anche il movimento Kitawala, il quale per un certo periodo indulse ad una messianica attesa degli Americani visti come mitici liberatori (35). Bene si scorge da ciò come il drammatico bisogno di rinnovare religione e cultura assuma, nei movimenti nativisti, forme mitiche e millenaristiche spesso caotiche e puerili, nelle quali vanno a conglomerarsi le più elementari esperienze vissute.
Il movimento Kitawala resta a tuttoggi una fra le più estese organizzazioni religiose nativiste dell'Africa Negra (36). « Noi siamo figli di Dio e perciò non siamo tenuti a riconoscere le leggi degli uomini » : cosí suona un annuncio dei fedeli Kitawala, dato in occasione d'una rivolta nell'Uganda nel 1942. E continua: « I tempi sono mutati: non obbediremo più alle leggi temporali, perché prestare obbedienza agli uomini significa obbedire a Satana » (37).
Annuncio di un'età che porrà fine per i Negri alle alienazioni, annuncio della fine del mondo con rovesciamento imminente dell'ordine attuale, invincibilità nella rivolta, lotta contra la stregoneria: sono questi i temi comuni non solamente alle varie organizzazioni locali dei Kitawala, ma a tutti i profetismi africani, specialmente diffusi tra genti di lingua Bantu. Così in particolare tra i profetismi del SudAfrica.
Il SudAfrica fu, ancor prima dell'Africa equatoriale, uno dei maggiori epicentri del messianesimo Negro. Nel 1892 sorse la chiesa Etiopista, il più antico modello delle chiese cosiddette «separatiste» (o « indigeniste ») — fra cui le stesse formazio[...]

[...]at. Amer. Church of U. S.), il Peiotismo si fonda su un complesso di miti e riti accentrati intorno al peiote, un cactus d'origine messicana (Lophophora williamsii) il cui potere terapeutico e allucinatorio viene impiegato dai proseliti in un pasto sacramentale, fonte di visioni ritenute sacrali.
Il Peiotismo é la « nuova religione degli Indiani ». « Voi Indiani — dice il profeta Hensley — finora combatteste l'un l'altro. Con la nuova religione ciò deve finire. Voi vi stringerete le mani e dividerete il cibo fra voi... ». Cosi si esprime in termini espliciti una nuova esigenza panindianista: esigenza di solidarietà religiosa fra tutti gli Indiani contro i tentativi americani di uniformare alla propria la loro cultura mediante un processo di deculturazione e assimilazione forzata. Legato alla tradizione originaria locale, il Peiotismo reinterpreta il Cristianesimo secondo le esigenze autonomiste indigene. Il processo reinterpretativo é equivalente a quello già visto per i movimenti nativisti africani. « Gesù respinto e ucciso dai bianchi[...]

[...]iformare alla propria la loro cultura mediante un processo di deculturazione e assimilazione forzata. Legato alla tradizione originaria locale, il Peiotismo reinterpreta il Cristianesimo secondo le esigenze autonomiste indigene. Il processo reinterpretativo é equivalente a quello già visto per i movimenti nativisti africani. « Gesù respinto e ucciso dai bianchi — dice Hensley — si volse a proteggere gli Indiani, vittime anch'esse dei bianchi. Perciò il Peiote é parte del corpo di Cristo (49).
Il Peiotismo, con il suo emancipazionismo pacifico, col suo sincretismo, con la sua « chiesa » e il suo Panindianismo, é la risposta culturale alla crisi generata dalla vita nelle riserve. Con esso, e con altri vari movimenti profetici collaterali, fondati sul sincretismo paganocristiano e sulla simbiosi pacifica tra Indiani e bianchi — come la Danza del Sogno dei Menomini, il Grande Messaggio del profeta Handsome Lake fra gli Irochesi, il movimento Shakerista dei gruppi del NordOvest, ecc. — si attua un aggiustamento dei rapporti religiosi e cultu[...]

[...]rgicamente e intensamente protese alla liberazione dai bianchi.
(51) Mooney 1896, 771 sgg., 827, 903 sgg.
78 VITTORIO LANTERNARI
Anche l'America Meridionale è stata ed è tuttora teatro di manifestazioni messianiche indigene, ripullulanti di tempo in tempo fin dal
l'età dei primi contatti coi bianchi, fra le popolazioni e le classi sociali
più misere e oppresse. Fra gli Indios del Brasile nel territorio nordoccidentale di Rio Icano sullo scorcio del sec. XIX si presentava un
messia proclamantesi « Cristo secondo ». Una grande agitazione s'impadronì delle masse che lo seguirono. Il messia guariva le malattie. Egli ammoniva i proseliti a cessare ogni lavora nei campi, perché era alle porte l'età del benessere nella quale la terra avrebbe prodotto spontaneamente frutti abbondanti. Fini col venire arrestato (52).
Vari movimenti popolari messianici sboccavano d'altra parte in aperta rivolta contra i bianchi occupanti. Così i Chiriguano, tribù guer
riera di Guarani abitante ai piedi delle Ande e cristianizzata dai Francescani, alcuni de[...]

[...]o di Solares (55).
Si ripete nell'America Latina, con questo e altri molteplici esempi che non stiamo a narrare, l'esplosione di fanatismi messianici prodotti dall'urto fra una cultura egemonica e le culture native. Anch'essi, come altri movimenti già visti dell'Africa e dell'America settentrionale, sono tesi alla liberazione dai bianchi. Anch'essi denunciano una condizione oppressiva e un bisogno di redenzione economica, sociale, religiosa. Perciò sono volti all'ansiosa attesa d'una catastrofe rigeneratrice, foriera di un'età dell'oro.
Il mito dell'età dell'oro imminente, contrassegnata dall'espulsione dei bianchi, dal capovolgimento delle attuali condizioni di soggezione e miseria, sta al fondamento degli innumerevoli culti profetici pullulanti da alcuni decenni fra le popolazioni di coltivatori primitivi delle isole melanesiane. Guidati da altrettanti profetimessia, gli indigeni hanno via via abbandonato il lavoro, si sono dati, fra grandi feste, ad attendere l'auspicato ritorno collettivo dei morti, l'uscita dei bianchi, l'avvento [...]

[...]settentrionale nonché in Melanesia (58), la fase apostolica dei movimenti profetici sbocca in una successiva fase organizzativa e di n assestamento religioso, in vista di una spontanea esigenza di emancipazione e nel segno di un non mai sopito nativismo creativo, innovatore.
In nessuno dei casi suddetti i movimenti religiosi di liberazione hanno effettivamente portato alla realizzazione dei loro postulati millenaristici e di redenzione sociale: ciò a causa della intransigente opposizione e della resistenza organizzata ed armata delle potenze colonialiste dominatrici. In un caso estremamente ammonitore ed attuale il « millennio », almeno nel suo senso di liberazione sociale, culturale, politica, si è realmente avverato: il caso é quello dell'Indonesia. Anche in Indonesia, con centro in Giava e irradiazioni nelle altre isole, i moti rivoluzionari antieuropei ebbero il loro crogiolo in una serie molteplice di culti messianici di liberazione, sorti fra le popolazioni indigene rurali, imbastiti su temi mitici e millenaristici comuni alla mag[...]

[...]lenaristici comuni alla maggior parte dei culti d'altre regioni fin qui esaminati. Sboccati nell'aperta lotta antiolandese, essi portavano nel 1949 alla conquista dell'indipendenza (59).
Dal panorama fin qui esposto si scorge che gli intensificad contatti tra bianchi e indigeni dell'ultimo secolo, sollecitati in particolar modo dai due grandi conflitti mondiali, hanno promosso una serie di culti nativisti in plaghe del mondo le più disparate. A ciò hanno contribuito come fattori determinanti da un lato l'intensificato processo di assoggettamento dei popoli indigeni, dall'altro l'acquisita, concomitante esperienza del dislivello economico e culturale, da parte delle popolazioni native, rispetto ai portatori della cultura europea.
Per ciò che riguarda il contrasto, che qui più c'interessa, tra religioni native e Cristianesimo, risulta dall'insieme dei dati suesposti come le società cosiddette « primitive » siano venute assumendo dall'insegnamento missionario, ed in ispecie paleotestamentario, una molteplicità
(57) Lanternari 1957; Greenwood 1942.
(58) Worsley (1957, 273) pone in evidenza che i più recenti culti profetici in Melanesia non mirano più (come i primi) al puro e semplice allontanamento dei bianchi e dei loro portati culturali, bensì tendono all'acquisizione dei loro beni e del loro potere. Tendono all'indipendenza[...]

[...]nelle persecuzioni subite dall'antico popolo ebraico il prototipo biblico che li autorizzava a proclamarsi discendenti delle perdute tribù d'Israele (60). La poligamia di Giacobbe, David e Salomone veniva a giustificare religiosamente la tradizionale loro poligamia incongruamente condannata dai missionari. Lo stesso profetismo emancipazionista trovava il più autentico suo modello nel Mosaismo, mentre la passione, l'arresto, la cattura, il sacrificio subito dai singoli profetifondatori nativi ha in Gesù il suo precedente più valido. Inoltre i Nativi hanno potuto rintracciare un'ulteriore convalida e autenticazione delle proprie posizioni religiose, attraverso i movimenti messianici occidentali di derivazione giudaicocristiana pervenuti fra loro, come il Russellismo.
Tale autenticità e validità, se rettamente si guarda, si regge su una notevole corrispondenza di esperienze storiche. Certo i Negri africani, gli indigeni Oceaniani e Americani oggi ripetono esperienze religiose — millenarismo, messianesimo, profetismo, attesa di liberazio[...]

[...]1957, 70, 778. Sulla indipendenza dei vari culti profetici considerati come fenomeni tipicamente a convergenti », a livelli culturali e in territori i piú disparati, cfr. Lowie, 1957.




82 VITTORIO LANTERNARI
insediarsi fra genti agricole e sedentarie, e la civiltà politeista di cui quelle genti erano portatrici (61). Il Messianesimo esilico era sorto a sua volta a riscatto di una sconvolgente esperienza — l'esilio — che minacciò alla radice l'esistenza del popolo ebraico.
Che dunque si tratti di conflitto interno (Cristianesimo) o determinato da urti fra eterogenee culture (Mosaismo, Profeti dell'Esilio), che il messia impetri una salvezza ultraterrena (quando il conflitto é interno) o una salvezza prevalentemente terrena (se il conflitto proviene dall'esterno), ne risulta comunque che i movimenti profetici e messianici di cui é stata protagonista la civiltà religiosa occidentale al suo nascere costituiscono altrettanti ed autentici precedenti storici dei movimenti profetici « nativisti » dei popoli coloniali, sia p[...]

[...]culturale i fattori precipitanti sono d'origine esterna, negli altri i fattori precipitanti sono d'origine interna.
Moventi d'origine esterna ed interna s'intersecano nella formazione del profetismo giudaico, dal Mosaismo ai profeti dell'Esilio. Infatti all'urto interculturale tra due correnti, la pastorale e l'agricola, s'intreccia l'interno conflitto fra monoteismo e politeismo, fra elementi religiosi « idolatrici » e religione « ufficiale », cioè sacerdotale.
Non per nulla la storia religiosa dell'antico Israele si svolge sul binario continuo del conflitto tra un « ufficiale » monoteismo e l'idolatria o politeismo « popolare » : conflitto che profondamente l'impronta.
Ora, precisamente il contrasto interno fra religione « popolare » e religione « ufficiale », intese come momenti particolari di un unico processo dialetticostorico, si perpetua per entro la storia del Cristianesimo, diretto erede del Giudaismo. Ciò non è senza rapporto con lo sviluppo assunto nel mondo cristiano dalle istituzioni ecclesiastiche (eredi del sacerdotalis[...]

[...]ulla la storia religiosa dell'antico Israele si svolge sul binario continuo del conflitto tra un « ufficiale » monoteismo e l'idolatria o politeismo « popolare » : conflitto che profondamente l'impronta.
Ora, precisamente il contrasto interno fra religione « popolare » e religione « ufficiale », intese come momenti particolari di un unico processo dialetticostorico, si perpetua per entro la storia del Cristianesimo, diretto erede del Giudaismo. Ciò non è senza rapporto con lo sviluppo assunto nel mondo cristiano dalle istituzioni ecclesiastiche (eredi del sacerdotalismo giudaico), e con le contraddizioni che ne scaturiscono, fra esigenze istituzionali da un canto e dall'altro le esigenze religiose della società nel suo insieme.
D'altra parte il suddetto conflitto tra momenta popolare e momento ufficiale della religione — inteso quest'ultimo nella forma di sacerdotalismo teocratico — presiede alle origini stesse del Cristianesimo, e non solamente d'esso ma dei vari movimenti profetici cananei, dall'Essenismo alla Setta di Qumran. Infine[...]

[...] carattere endogeno la via di salvezza é rivolta all'azione religiosa e morale assai più che all'azione politica esterna. Gli esempi del Cristianesimo apostolico e degli altri piú recenti movimenti profetici d'origine cristiana sono eloquenti. Salvarsi significa metodicamente avviarsi ad un'esistenza ultraterrena che sola può attuare la piena liberazione individuale. La salvazione si polarizza nell'escaton o fine del mondo, il cui significato perciò diventa univocamente positivo, mentre si proclama la rinuncia ai valori immediati e immanenti d'utilità terrena : di quei valori che dominano con il loro grande peso nei movimenti nativisti a livello etnologico.
(66 bis) Per il conflitto tra momento « ufficiale » e momento « popolare » della vita religiosa, vedi: Lanternari, 1954.
86 VITTORIO LANTERNARI
Tale carattere trascendentista distingue storicamente il Cristianesimo sia dai profetismi precedenti, sia dalle formazioni nativiste a livello etnologico, entrambi carichi di valori religiosi drammaticamente immanenti e protesi alla salvezz[...]

[...]vimento profetico cristiano. Prodotto da una cultura urbana altamente gerarchicizzata, il Cristianesimo sorse e si sviluppò, come manifestazione « popolare », dal confronto con forze egemoniche oppressive — il sacerdotalismo giudaico, lo statalismo romano — scaturite dal seno della società di cui esso era parte integrante. Combattere su terreno religioso contro tali insopprimibili forze era possibile in un modo soltanto e ad un'unica condizione, cioè globalmente rovesciando i valori dell'esistenza sociale, additando come positivi unicamente i valori ultraterreni.
Insomma, il programma salvifico del Cristianesimo, contro il sacerdotalismo e insieme contro lo statalismo, doveva necessariamente fondarsi su una evasione integrale dalla storia, sulla fondazione di un Regno che doveva attuare il rovesciamento, anzi l'annullamento delle vigenti sovrastrutture sociali.
Sembra significativo che un'analoga, altrettanto radicale evasione dalla storia si adempie, pur in differenti forme, presso religioni profetiche a livello etnologico. Si tratta [...]

[...] popolazioni non v'è in nessun caso possibilità di supine acquiescenze. Le cosiddette conversioni sono in larga misura — come i missionari più illuminati ammettono di buon grado — più apparenti che reali, e toccano comunque la superficie più che il fondo della vita religiosa. Nessuna propaganda esterna, nessuna imposizione o proibizione proveniente dall'alto hanno il potere di frantumare l'inderogabile libertà della storia. La quale ultima ha in ciò la sua legge suprema: che gli itinerari futuri sui quali essa va a svolgersi non sono mai tronconi aggiunti da fuori agli itinerari del passato, sibbene di questi sono continuazione e germinazione spontanea. Insomma, la tradizione religiosa può trasformarsi, correggersi, superarsi: non pue) mai rinnegare se stessa: poiché annullare se stessa non é carattere della storia.
VITTORIO LANTERNARI
BIBLIOGRAFIA
GENERALE E MONDO OCCIDENTALE
BARBER B., Acculturation and messianic movements, Amer. Sociol. Review, VI.5.1941.
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[...]ui quali essa va a svolgersi non sono mai tronconi aggiunti da fuori agli itinerari del passato, sibbene di questi sono continuazione e germinazione spontanea. Insomma, la tradizione religiosa può trasformarsi, correggersi, superarsi: non pue) mai rinnegare se stessa: poiché annullare se stessa non é carattere della storia.
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[...]one popolare e storicismo, Belfagor 1954.6.
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da Alberto Caracciolo, A proposito di controllo e democrazia operaia in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]rte specifica e insopprimibile.
Un interessante apparta a questa discussione é dato oggi, ci sembra, dalle proposte che da più parti vengono ad una rivalutazione dei motivi di democrazia operaia e di controllo diretto sulla produzione. Si é già detto e scritto parecchio negli ultimi tempi in ordine a tali problemi, e si è già riusciti ad approfondirli sotto diversi aspetti, indicando dubbi e conclusioni cui é dato arrivare: qui
80 ALBERTO CARACCIOLO
vorremmo procedere un poco nella ricerca delle effettive difficoltà che vi sono dinanzi alle proposizioni del controllo e della democrazia operaia, dei nodi che vanno affrontati quando si voglia consentire al movimento una più diffusa democratizzazione ed iniziativa creatrice di classe.
2. E veniamo subito a un primo grosso quesito, con il quale ci si deve misurare. Ridotto, se si vuole, un po' all'essenziale, esso suona così: « In una tendenza, com'è quella dell'epoca nostra, alla massima concentrazione, organizzazione, pianificazione di tutti i processi della produzione e della vita soc[...]

[...]
Le risposte decisive si devono dare, invece, non sul piano di una interpretazione di idee generalissime, né sul piano di una esegesi di testi. Siamo di fronte a un preciso quesito scientifico, che va risolto di volta in volta con le armi dell'osservazione e della previsione scientifica di fenomeni determinati. E qui sarà possibile, in tal senso, suggerire almeno alcuni temi e qualche risposta.
Una cosa, innanzitutto, sembra da sottolineare: e cioé come la scienza economica contemporanea sia lontana dal ritenere che il problema dello sviluppo economico possa ricondursi a nn proble
82 ALBERTO CARACCIOLO
ma di massima organizzazione dall'alto delle forze produttive. Confidare ad un organismo centrale le leve di un estesissimo patere di pianificazione non fornisce ancora la garanzia della migliore efficienza neppure sotto un profilo strettamente tecnico. Come è noto, anzi, su questo punto, e cioè sugli elementi di sensibilità che possono indirizzare di volta in volta le scelte della pianificazione, non da oggi è in atto la discussione fra specialisti.
Determinati errori, anche seri, di squilibrio, di spreco e sacrificio registrati nelle condizioni di accentrata pianificazione polacca e ungherese, sovietica e jugoslava, hanno ancor più richiamato negli ultimi anni l'attenzione sulle maniere in cui controllare la funzionalità del K piano » elaborato centralmente, allorché manchino i tradizionali contrappesi della domanda e dell'offerta. E da una critica a questi errori, precisamente, si è partiti in Jugoslavia per combinare il piano con le richieste periferiche degli organi di autogestione; in Unione Sovietica nell'estendere a consultazioni decentrate la determinazione dei piani pluriennali; in Cecoslovacchia,[...]

[...] il piano consentirebbe di superare arbitrariamente le leggi economiche, si è passati anzi a rivalutare, in questi stessi paesi, elementi della legge del valore regolatrice delle economie mercantili.
È questa nel suo insieme una grossa discussione, che le esperienze più recenti, con le loro luci e le loro ombre, permettono forse di giudicare matura per importanti avanzamenti. Di essa è possibile mettere in evidenza almeno una constatazione: che cioé la pianificazione socialista, nel momento stesso della sua evidente efficacia in un sistema di produzione sempre più sociale com'è quello generato dall'industrialismo contemporaneo, è soggetta a degenarazioni qualora non venga accompagnata da un sistema di controlli democratici. In campo marxista, la polemica condotta dai trotskisti contro il cosidetto K centralismo burocratico », contro il « capitalismo di Stato », contra i regimi di apparato, aveva mostrato da qualche decennio una certa sensibilità a questo ordine di problemi. Un paese importante, come la Jugoslavia, ha successivamen
A PR[...]

[...]na competizione: la ricerca di quale tra i sistemi possibili riesca più armonicamente a risolvere non il problema della quantità della produzione e quantità né quello, a sé preso, dei ritmi della produzione, bensì quello del soddisfacimento dei bisogni crescenti degli uomini. Perché è anche vero come ricordava Luciano Cafagna in un articolo su Passato e Presente che si può avere talvolta in economia molto « dinamismo », ma « cattivo dinamismo », cioé in definitiva né tecnicamente efficiente né realmente socialista.
4. Analogo, parallelo discorso, può esser fatto, ci sembra, sul terreno degli istituti politici. Si dice che la logica dello Stato moderno sia quella dell'accentramento massimo, in rapporto alle crescenti esigenze della vita associata. Ricorderò fra i tanti uno scrittore francese di un secolo fa, il Dupont White, che affermava perentoriamente: « Le progrés developpe la vie...A' plus de vie il faut plus d'organisations, á plus de force, plus de règle; or, la règle et l'organ d'une société c'est l'Etat ». E utopisti e retrograd[...]

[...]erò fra i tanti uno scrittore francese di un secolo fa, il Dupont White, che affermava perentoriamente: « Le progrés developpe la vie...A' plus de vie il faut plus d'organisations, á plus de force, plus de règle; or, la règle et l'organ d'une société c'est l'Etat ». E utopisti e retrogradi, apparivano fin da allora i critici, pur numerosi, di questo processo, gli esaltatori dell'individualismo contra lo strapotere dello Stato. A
84 ALBERTO CARACCIOLO
maggior ragione sociologi, giuristi, filosofi si trovano oggi a fare i conti con questa problematica: talora accettandolo, più spesso forse deplorandolo, essi sono costretti a riconoscere il crescente accentramento di poteri nelle mani di pochi « tecnici » o burocrati o specialisti della politica.
Ma anche rispetto a questa legge di tendenza emergono nello stesso tempo limiti e contraddizioni. E lasciando stare, per quanto diffuse, le deplorazioni moralistiche, almeno uno di questi limiti vogliamo segnalare, che risiede nella crescente emancipazione delle idee e delle capacità politiche creata dall'assetto democr[...]

[...] indagare in che senso e in che misura simili istanze possano anche nell'Italia della seconda metà del XX secolo proporsi concretamente.
Non ce lo possiamo nascondere, anche tra noi tutto sembra procedere in un modo che scoraggia orientamenti di tal genere. Di fronte a noi, o se si vuole sopra di noi, vi è un sistema ben conchiuso, pesante, che sembra destinato a soffocare le energie non conformiste, nella politica come nell'economia. Contro di ciò non é che manchi resistenza o ribellione, ma le stesse forze organizzate della sinistra, che ne dovrebbero essere a capo, sembrano aver preso qualche cosa dai loro nemici. Non riescono ad essere i luoghi del più vivace, continuo, critico e creatore fermento di idee e di energia nuova. Accolgono troppo spesso il burocratismo, il tatticismo, le soluzioni di comodo. Al Leviathan statale di oggi sembrano portati a contrapporre più c e aí t?rai'immaglñé di `ún altro Leviathan del doman socialista sia pure, ma .nel quale ancora una volta si imporrà il criterio della delega a una élite del potere. E[...]

[...]enze di fondo della società contemporanea. Nella concreta situazione nostra una ripresa di democrazia operaia e di impegno socialista sembra aver bisogno in sostanza di muoversi lungo una triplice direzione per trasformarsi in una spinta effettiva: ha bisogno di far progredire una teoria per la_con quinta del socialismo in « paesi _come l'Italia»; di farespa dere istituti e strumenti di controllo sulla produzione e di intervento
86 ALBERTO CARACCIOLO
democratico sul potere; di dar luogo a una coscienza e a un indirizzo
criticamente adeguata in sede partitica e sindacale.
6. Non mi fermerò qui sul problema della teoria: non perché sia di poca importanza, ma perché di tale profondità che si gioverà piuttosto, e già si è giovato, di apporti particolari, puntuali, tratti dall'osservazione e dalla comparazione di singoli fenomeni.
Accennavamo in altro luogo recentemente, riprendendo osservazioni diffuse, di quale portata sia il problema di uscire dagli schemi dell'età di Marx o dalle soluzioni proposte al tempo della rivoluzione russa, [...]

[...]i strumenti propriamentte parlamentari o esclusivamente partitici, dalle forme del controllo e della democrazia operaia sembra prendere consistenza l'idea stessa di una via democratica al socialismo.
Significa, quando diciamo questo, che si voglia con un gioco della volontà o dell'immaginazione, dar vita d'un tratto ai Consigli di fabbrica gramsciani o alla piramide dei Soviet leniniani, dai quali nascerà finalmente il potere socialista? Non di ciò si tratta, evidentemente. Non abbiamo nessuna intenzione di formulare schemi per un nuovo « sistema » di istituti, ben congegnati orizzontalmente e verticalmente, con i loro statuti e regolamenti elettorali, come faceva nel 1920 Nicola Bombacci col suo progetto di Soviet. Quel che occorre é rivalutare, fondandosi sull'esperienza, sulla tradizione, culle forze e le sollecitazioni in atto, tutti gli elementi autogoverno e di controllo diretto presenti alla base; é indirizzarsi con i lavoratori dell'azienda e con tutti i possibili apporti tecnici e intellettuali, alla ripresa dei motivi di inter[...]

[...]zionale capacità creativa di popolo. In essa la rofonditá della crisi dello Stato pone all'or
dine del giorno edificazione di un sistema originale, d iverso da
un semplice ritorno al prefascismo. L'apporto unitario di masse ingenti, al di là delle divisioni di colore politico, si fa suscitatore di forme di democrazia diretta. Persino le forti inclinazioni alla partitocrazia in senso stalinista, presenti specialmente tra i comu
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nisti, di fronte alla magnifica espansione popolare si sperdono in gran parte, se non a Salerno e a Roma, certo nel vivo della battaglia partigiana.
Non ci interessa qui tanto il problema della solidarietà fra i partiti antifascisti, minata dal resto anche da tendenze poco unitarie. Ma ci interessa il genuino spirito di eguaglianza fra tutti i combattenti, invalso in numerose formazioni garibaldine, pur nella scelta di una piattaforma assai avanzata di rinnovamento. Ci colpisce la spinta al fronte unico che dal basso fa superare lacerazioni e riserve. E richiama la nostra attenzione il fi[...]

[...]glianza fra tutti i combattenti, invalso in numerose formazioni garibaldine, pur nella scelta di una piattaforma assai avanzata di rinnovamento. Ci colpisce la spinta al fronte unico che dal basso fa superare lacerazioni e riserve. E richiama la nostra attenzione il fiorire di embrioni di potere popolare intorno alla guerra partigiana e nelle zone libere, che ha un significato tutt'altro che contingente.
Si comincia dalle fabbriche, nei grandi scioperi del marzo 1943, con i comitati unitari, che stanno quasi a dimostrare `l'impassibilità, senza una rinascita di democrazia operaia, del fatto rivoluzionario. La ricostituzione delle Commissioni interne secondo l'accordo BuozziMazzini, all'indomani del 25 luglio, va anch'essa nella interpretazione dei lavoratori, ben oltre le competenze regolamentari. E di 11 prendono vita quei Comitati di agitazione e C.L.N. aziendali che in molti luoghi tengono in mano la Resistenza fino alla Liberazione.
Non solo nelle fabbriche, ma in ogni altro luogo, si fa luce fra i motivi centrali della lotta antif[...]

[...]e a quella esigenza dell' autonomia dei produttori già cara a Gramsci. Nel sobrio linguaggio di un documento di governo, la relazione del ministro Rodolfo Morandi riassumeva felicemente questo significato: « Spesso, fuggiti o dispersi i dirigenti, furono i Consigli di gestione a prendere in pugno le imprese. Ma anche dove gli avvenimenti non si svolsero in questa forma estrema, l'intervento dei Consigli di gestione valse a ranno
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dare e a stringere le disperse e scomposte fila delle organizzazioni aziendali, frenando eccessi spiegabili per l'eccezionale contingenza, e infondendo ai dipendenti un'altissima consapevolezza ».
Dobbiamo ricordare che i Consigli si muovevano in una fase di equilibrio economico molto instabile. Dal punto di vista produt
tivo, per un paio d'anni dalla liberazione, le imprese per la mag
gior parte vissero alla giornata, senza impiantare programmi a lunga scadenza. E in mancanza di alti profitti le direzioni lascia
vano di buon grado agli operai una parte di responsabilità, salvo a ripre[...]

[...]salvo a riprendere i pieni poteri col profilarsi di una ripresa. I Consigli di gestione si trovarono di conseguenza risospinti ad una prevalente azione di vigilanza sugli interessi della maestranza, o di rappresentanza della volontà politica dei lavoratori di fronte al potere industriale, confondendosi con gli altri organismi di fabbrica: sindacato, cellula, commissione interna. E si trovarono poi indeboliti e disorientati quando l'economia cominciò a ristabilire la propria dinamica, e lo Stato apparve rinsaldato, fuori della fabbrica, nelle sue strutture tradizionali.
I partiti, anche quelli di sinistra, non mostravano malta attenzione verso il movimento, tutto concentrando in altri settori e in altre battaglie. Il principio estremo dell'autogestione, del quale del resto è lecito discutere il significato in una fase di permanenza della proprietà privata dei mezzi di produzione, era affermato quasi soltanto dal Partito d'Azione, debole fra gli operai, e da Lelio Basso sulla rivista « Socialismo ». I'l Partito comunista oscillava fra una[...]

[...]ngresso chiaramente preelettorale, che consegnò il movimento nelle mani dei dirigenti di partita segnando, nella pratica e nella coscienza stessa dei lavoratori, la fine di ogni suo autonomo significato.
9. Caduto lo « spirito della resistenza », dissolto il movimento dei Consigli di gestione, relegate nella storia queste esperienze e nella lontananza i tentativi di autogestione nei paesi dell'Europa orientale, non manca chi ritiene sepolta con ciò tutta intera l'esigenza consiliare e di controllo dei produttori sulla produzione. Ma ancora qui, nella realtà dell'oggi e nella realtà nostra italiana, si ripropongono spunti che indicano il permanere di queste esigenze e il manifestarsi di esse in forme non solo embrionali.
Procediamo, una volta ancora, per rapidi accenni. Ma almeno sull'istituto della Commissione interna e alla presenza del sindacato dobbiamo richiamare l'attenzione. Nelle Sett& tesi sul controllo, presentate da Panzieri e Libertini su « Mondo Operaio », viene riconosciuto il significato unitario e preliminare di questi o[...]

[...]su « Mondo Operaio », viene riconosciuto il significato unitario e preliminare di questi organismi, ma troppo alla svelta, ci sembra, se ne esclude l'attitudine a partecipare all'azione tipica del controllo, perché lontana dai loro compiti statutari. Per il posto che oggi occupano nella fabbrica, per il loro carattere unitario di rappresentanza, per il loro carattere elettivo e non burocratico, é lecito chiedersi se non risieda nelle c. i. il nocciolo di una ripresa nella fabbrica, anche se domani fosse necessario un più ampio rivoluzionamento di istituti sindacali e aziendali.
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Le recenti battaglie popolari offrono anche altri esempi di democrazia e di unità sorgente dal basso, che male si fa a dimenticare: pensiamo ai tanti comitati formati per l'una o l'altra rivendicazione di quartiere e di categoria, dei comitati meridionali di « rinascita », delle assemblee di inquilini, di consumatori, dei H padri di famiglia » nei villaggi, e via dicendo. Chi vi ha partecipato conosce il genuino slancio che spesso ha dato origine a queste iniziative, il senso che da esse promanava di poter decidere, in qualche misura, di se stessi con le proprie stesse forze. E prima ancora di vedere le ragioni che hanno ogni volta immeschinito e strumentalizzato simili iniziative, un'altra di queste vogliamo porre in risalto, vale a dire le conferenze di produzione.
Ora sostenute, ora dimenticate in sede di partita e di sindacato, le conferenze di produzione non sono del tutto venute meno ancor oggi nella pratica del movimento di fabbrica. Non confondiamole con le assise di questo o quel settore in crisi, [...]

[...]te, finora, ai massimi strumenti di raccolta e direzione del movimento operaio: partito e sindacato. Ma è pensabile forse che specialmente in una situazione come la nostra, con un grande accentramento dell'organizzazione in mano a questi strumenti ed anzi prima di tutto ai loro apparati, una profonda democratizzazione possa svolgersi al di fuori di essi? È pensabile che essa non debba riguardare in modo diretto, decisivo, i partiti politici?
Di ciò parliamo solo a conclusione del nostro discorso per la semplice ragione che vediamo la spinta rinnovatrice nascere prima di tutto dalla classe, dal luogo di lavoro, e ci pare giusto che appunto lì venga svolgendo i suoi primi tentativi, di li eserciti la sua pressione. Ma é anche chiaro che ad una rivalutazione dei motivi del controllo e del decentramento politico vanno conquistati i par
A PROPOSITO DI CONTROLLO E DEMOCRAZIA OPERAIA 93
titi, se si vuole mutare un costume che oggi imbriglia tutte le iniziative autonome e «irregolari ». Bisogna distruggere il mito, l'abitudine a una gerarchia[...]

[...]azione di ideali, programmi, collocazione sociale, affetti di ciascuno; la critica al partito e ai suoi dirigenti diventa attacco e tradimento. Anche il «culto della personalità» e gli eccessi burocratici hanno potuto prosperare solo grazie a questa mitica costruzione dell'idea di partito di cui siamo giunti a leggere, in una notissima poesia di Pablo Neruda, che sarebbe il principio e la fine di ogni uomo progressivo.
Per costruire questo edificio irrazionale, questa delega a una entità partitica infallibile, suprema, il movimento comunista ha lentamente indebolito ogni altro istituto di classe ed ogni altro potere sorgente dalla società . civile. Una battaglia di democrazia operaia non può che accompagnarsi a una serrata critica su questo terreno, a una lotta per la restituzione del partita ai suoi limiti naturali, ai suoi compiti di interpretazione e di orientamento, alla sua capacità di flessibile interprete dei movimenti in atto nella parte più avanzata del corpo sociale. Se una ricerca di democratizzazione e di controllo volesse p[...]

[...]una conquista degli istituti partitici dominanti, esso continuerebbe a subire colpi senza riuscire ad entrare nella coscienza generale del movimento. Chi trasformasse in aristocratico disprezzo la giusta critica ai partiti di sinistra come oggi si sono venuti caratterizzando, si condannerebbe alla funzione di inascoltato predicatore di sogni.
Se troppo spesso, in sede comunista e socialista, le strutture partitiche esistenti rappresentano ormai ciò che si chiama « il vecchio », e tendono alla conservazione di abitudini, mentalità, posizioni costituite, non per questo si può pensare di rinnovare il movimento al di fuori di esse. Troppo spesso anzi questa specie di conservatorismo ha battuto le iniziative periferiche più coraggiose, grazie alla propria potenza globale, rimproverando poi tali iniziative di essere fallite, in questa o quella fabbrica e questa o quella provincia o sindacato, perché sbagliate e « utopistiche ». C'é dunque una grossa battaglia da svolgere in sede di partito per una demolizione di miti e di strutture, per un ar[...]

[...]ppo spesso anzi questa specie di conservatorismo ha battuto le iniziative periferiche più coraggiose, grazie alla propria potenza globale, rimproverando poi tali iniziative di essere fallite, in questa o quella fabbrica e questa o quella provincia o sindacato, perché sbagliate e « utopistiche ». C'é dunque una grossa battaglia da svolgere in sede di partito per una demolizione di miti e di strutture, per un arricchimento del senso
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democratico. Può essere che organismi particolarmente centralizzati come il partita comunista lascino poche speranze di immediato successo a tale battaglia, maggiori speranze abbiamo però diritto di coltivare, almeno, nei riguardi del partito socialista.
Il sindacato è a sua volta un luogo decisivo per verificare proposte di democrazia operaia e per dare ad esse il necessario respiro_ Di più, ci troviamo senz'altro d'accordo con quanti hanno sottolineato, ancora nei recenti dibattiti, il posta che spetta al sindacato anche nella problematica del controllo. Quando il sindacato veda di[...]

[...] sembra garantire meglio un coordinamento fra iniziativa aziendale e ricerca di un piano economico di largo respiro. Guardare alla scissione attuale fra sindacato, commissione interna, consiglio di gestione, come ad una separazione « naturale » e insopprimibile, senza tener conto dei complessi mutamenti di funzione già in atto e senza progettarne eventualmente degli altri, potrebbe essere un modo astratto di proporsi la questione del controllo.
Ciò che comunque resta fisso, anzi deve restare fisso se non si vuole far perdere a queste istanze ogni significato, é la ripulsa delle concezioni non democratiche del partita e del sindacato. Dacché negli ultimi tempi si é tornato a parlare di controllo, abbiamo visto più di un tentativo di trasformare questa proposta in un mero fatto di competenza parlamentare: così, ci sembra, nello spirito di un articolo di Ferruccio Parri sul « Ponte » e così — non stupisca l'ac
A PROPOSITO DI CONTROLLO E DEMOCRAZIA OPERAIA 95
costamento — in alcune note di Paolo Spriano sull' « Unità ». Il controllo in tal modo, si trasforma in una richiesta legislativa, se non addirittura in una semplice delega di maggior poteri a qualche « comitato prezzi » ministeriale.
Evidentemente non è questo che ci può interessare, così come non dice nulla una verbale ripetizione di amore per la democrazia diretta da parte di qualche gruppo il quale, come « Tempi moderni », la vede poi incarnarsi in personalità del radicalismo o della sociolo[...]

[...]ull' « Unità ». Il controllo in tal modo, si trasforma in una richiesta legislativa, se non addirittura in una semplice delega di maggior poteri a qualche « comitato prezzi » ministeriale.
Evidentemente non è questo che ci può interessare, così come non dice nulla una verbale ripetizione di amore per la democrazia diretta da parte di qualche gruppo il quale, come « Tempi moderni », la vede poi incarnarsi in personalità del radicalismo o della sociologia cristiana o americaneggiante, rispettabili finché si vuole ma lontane da ogni « vocazione » proletarie. Il problema é più profondo, è più complesso. Quello che può contare, e può dar nuove forze e prospettive a una battaglia socialista in Italia, é una ripresa di controllo della produzione che non sia solo un fatto tecnico ma politico, e di democrazia operaia che non sia solo un fatto di classe ma acquisti peso in una programmazione politica ed economica: una ripresa di iniziative, di valori, che servano a costruire gli elementi di un socialismo inteso come massima autogestione e come ma[...]

[...]ò dar nuove forze e prospettive a una battaglia socialista in Italia, é una ripresa di controllo della produzione che non sia solo un fatto tecnico ma politico, e di democrazia operaia che non sia solo un fatto di classe ma acquisti peso in una programmazione politica ed economica: una ripresa di iniziative, di valori, che servano a costruire gli elementi di un socialismo inteso come massima autogestione e come massimo autogoverno.
ALBERTO CARACCIOLO



da George Lukacs, La mia via al marxismo [traduzione di Ugo Gimelli] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]ticolare ho studiato a fondo il primo volume del Capitale. Questo studio mi convinse subito dell'esattezza di alcuni punti centrali del marxismo. In primo luogo fui impressionato dalla teoria del plusvalore, dalla concezione della storia come storia delle lotte di classe e dall'articolazione della so cietà in classi. Per il momento, come é ovvio nel caso di un intellettuale borghese, quest'influenza si limitò all'economia e soprattutto alla « sociologia », La filosofia materialistica, nella quale io allora non facevo distinzione fra materialismo dialettico e non dialettico, la ritenevo, come teoria della conoscenza, completamente superata. La tesi neokantiana dell'« immanenza della coscienza » si adattava egregiamente alla mia posizione di classe di allora e alla
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mia concezione del mondo; né io la sottoponevo ad alcun esame critico, ma la accettavo passivamente come punto di partenza per ogni impostazione del problema gnoseologico.
Per la verità io ero in continuo sospetto verso l'idealismo soggettivo estremo (tanto ve[...]

[...]he che volevano risolvere questo problema in forma irrazionalisticorelativistica, talora con sfumature mistiche (WindelbandRickert, Simmel, Dilthey). L'influenza di Simmel, del quale sono stato diretto scolaro, mi dette anche la possibilità di « inserire » in una tale concezione del mondo quanta avevo assimilato di Marx in quel periodo. La Filosofia del denaro di Simmel e gli scritti sul protestantesimo di Weber furono i miei modelli per una « sociologia della letteratura » in cui gli elementi derivati da Marx erano bensì ancora presenti, ma tanto assottigliati e impalliditi da essere appena riconoscibili. Secondo l'esempio di Simmel io da un lato distaccavo quanto più era possibile la « sociologia » dal fondamento economico concepito in modo assai astratto, e dall'altro lato nell'analisi « sociologica » scorgevo soltanto lo stadio iniziale della vera e propria ricerca scientifica in materia di estetica (Storia dell'evoluzione del dramma moderno, 1909; Metodologia della storia letteraria, 1910, ambedue in ungherese). I miei saggi apparsi fra il 1907 e il 1911 oscillavano fra questo metodo e un soggettivismo mistico.
Era naturale che in un tale sviluppo della mia concezione del mondo le impressioni giovanili dalla lettura di Marx impallidissero sempre più e finissero per avere una parte sempre minore nella mia attività scientifica. Consideravo Marx non meno di prima l'economista e il [...]

[...]1909; Metodologia della storia letteraria, 1910, ambedue in ungherese). I miei saggi apparsi fra il 1907 e il 1911 oscillavano fra questo metodo e un soggettivismo mistico.
Era naturale che in un tale sviluppo della mia concezione del mondo le impressioni giovanili dalla lettura di Marx impallidissero sempre più e finissero per avere una parte sempre minore nella mia attività scientifica. Consideravo Marx non meno di prima l'economista e il « sociologo » più competente; ma economia e _« sociologia » avevano per allora una parte minore nella mia attività. I singoli problemi e le fasi dello sviluppo, nel quale questo idealismo soggettivo mi condusse a una crisi filosofica, non interessano il lettore. Ma questa crisi — invero a mia insaputa — era
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determinata_ oggettivamente da un più intenso manifestarsi dei contrasti imperialistici e fu accelerata dallo scoppio della guerra mc ñdiale Certamente questa crisi si manifestò dapprima solo nel passaggio dall'idealismo soggettivo all'idealismo oggettivo (Teoria del romanzò, scritta nel 191215), e naturalmente Heg[...]

[...]a parte dell'antropologismo — comincia il mió secondo intenso studio di Marx. Questa volta stavano per me in prima piano gli scritti filosofici del periodo giovanile, sebbene studiassi anche con passione la grande Introduzione alla critica dell'economia politica. Questa volta però si trattava di un Marx non più guardato attraverso la lente di Simmel ma attraverso quella hegeliana. Non più Marx come « eminente specialista », come « economista e sociologo »; mi si cominciava già a delineare il filosofo dal largo pensiero, il grande dialettico. Tuttavia neanche allora vedevo il significato del materialismo per la con" cretizzazione e l'unificazione, per l'impostazione coerente dei problemi dialettici. Arrivai solo fino a una priorità — hegeliana — del contenuto rispetto alla forma e cercai di sintetizzare, su base essenzialmente hegeliana, Hegel e Marx in una «filosofia della storia ». Questo tentativo acquistò una particolare sfumatura dal fatto che nel mio paese, in Ungheria, l'ideologia del « socialismo di sinistra » più influente era il[...]

[...]ora, dopo quasi un decennio di lavoro pratico e dopo oltre un decennio di sforzo intellettuale per comprendere Marx, il carattere totale e unitario della dialettica materialistica mi é divenuto concretamente chiaro. Ma appunto questa chiarezza porta con sé il riconoscimento che il vero studio del marxismo comincia soltanto ora e non può piú fermarsi. Giacché, come Lenin dice tanto giusta
; ' mente, re il fenomeno é più ricco della legge... e perciò la legge, (qualsiasi legge, é angusta, incompleta, approssimativa >?. Chiunque si illuda di aver compreso una volta per tutte i fenomeni della
LA MIA VIA AL MARXISMO 5
natura e della sodrtà sulla, base di una conoscenza, vasta e profonda quanto si voglia, del materialismo dialettico, deve necessari i té`ricädere dalla viva dialettica nella rigidità meccanica,
1 ri äterialismo che tutto abbraccia nell'unilateralità idealistica.
Il materialismo dialettico, la dottrina di Marx, deve essere conquistata, assimilata giorno per giorno, ora per ora, partendo dalla prassi. D'altro lato la dottrina[...]

[...]trasmesso. (A questo giudizio sul periodo dal '24 al '30 gli anni frattanto trascorsi e le esperienze che li accompagnarono non hanno mutato nulla di essenziale). A questo si aggiunge che la discussione filosofica dal '29 al '30 mi dette la speranza che il chiarimento di rapporti HegelMarx, FeuerbachMarx, MarxLenin e la liberazione da una cosiddetta ortodossia plechanovista avrebbero dischiuso nuovi orizzonti alla ricerca filosofica. Inoltre lo scioglimento della Rapp (1932), alla quale io sempre mi ero opposto, apri a, me e a molti altri una vasta prospettiva, quella di una ripresa, non ostacolata da alcun burocratismo, della letteratura socialista, della metodologia e della critica letteraria marxista; in questa speranza occorre sottolineare con pari rilievo le due componenti, l'assenza di limiti imposti da una burocrazia e il carattere marxista leninista. Se aggiungo che noi proprio in quegli anni abbiamo conosciuto le opere fondamentali del giovane Marx, soprattutto i Manoscritti economicofilosofici, come pure i quaderni filosofici d[...]

[...]criptum » é stato scritto per il a Symposium on contemporary Thought » edito in Giappone col titolo a Isvanami Gendai Schiso ».
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misti) che si allontanavano dal modello imposto, si urtasse contro una resistenza sorda o aggressiva, riuscì solo poco a poco a fare im
pallidire queste speranze. Da principio credevo, e con me non
pochi altri, di trovarmi davanti agli avanzi di un passato non superato del tutto: Rappisti, sociologi volgari ecc. Più tardi capimmo
che tutte queste tendenze contrarie al progresso del pensiero avevano solidi appoggi burocratici. Tuttavia per un certo tempo credemmo a un carattere, dopo tutto, casuale di questo sistema difen sivo del dogmatismo; molti di noi talora sospiravano pensando a Stalin: « Ah, si le roi le savait ». Un tale stato di case non poteva. naturalmente durare indefinitamente. Si dové riconoscere che la fonte del contrasto fra le correnti progressive che arricchivano la cultura marxista e l'oppressione dogmatica di una burocrazia tirannica su ogni pensiero autonomo era [...]

[...]e stesso di Stalin e pertanto anche nella sua persona.
Tuttavia quando si trattava di prender posizione rispetto a questi fatti, ogni persona riflessiva doveva partire dalla situazione storica del momento, che era quella dell'ascesa di Hitler e della preparazione della sua guerra di annientamento contro il socialismo. Mi è sempre stato ovvio che ad ogni decisione che tale situazione imponeva dovesse subordinarsi incondizionatamente tutto, anche ciò che a. me personalmente era più caro, anche l'opera stessa della mia vita. Io ritenevo che il compito principale della mia vita consistesse nel bene impiegare la concezione marxistaleninista in quei campi che io conoscevo, nel farla progredire nella misura in cui ciò fosse imposto dalla scoperta di nuovi dati. Ma poiché al centro del periodo storico in cui . si svolgeva questa mia attività si trovava la latta per l'esistenza dell'unico stato socialista e quindi del socialismo stesso, io subordinavo ovviamente ogni mia presa di posizione, anche riguardo alla mia propria opera, alle necessità del momento. Questo tuttavia non significò mai una capitolazione davanti a tutte quelle tendenze ideologiche che si sono formate, propagate e infine dissolte nel corso di questa lotta. Nello stesso tempo non dubitavo che non soltanto un'opposizione era allora fisicamen[...]

[...]l momento. Questo tuttavia non significò mai una capitolazione davanti a tutte quelle tendenze ideologiche che si sono formate, propagate e infine dissolte nel corso di questa lotta. Nello stesso tempo non dubitavo che non soltanto un'opposizione era allora fisicamente impossibile, ma che essa avrebbe molto fa
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cilmente potuto divenire un aiuto intellettuale e morale per il nemico mortale, per l'annientatore di ogni civiltà.
Perciò io fui costretto a condurre una specie di guerriglia partigiana per le mie idee scientifiche, cioè a render possibile la pubblicazione dei miei lavori per mezzo di citazioni da Stalin ecc. e di esprimere in essi con la necessaria cautela la mia opinione dissidente tanto apertamente quanto lo permetteva il margine di respiro dato di volta in volta dal momento storico. Ne conseguiva talora l'imperativo di tacere. E' noto per esempio, come durante la guerra fosse deciso di dichiarare Hegel ideologo della reazione feudale contro la rivoluzione francese; perciò io non potei allora naturalmente pubblicare il mio libro sul giovane Hegel. Si può certamente vincere la guerra, pensavo, anche senza [...]

[...]ossibile la pubblicazione dei miei lavori per mezzo di citazioni da Stalin ecc. e di esprimere in essi con la necessaria cautela la mia opinione dissidente tanto apertamente quanto lo permetteva il margine di respiro dato di volta in volta dal momento storico. Ne conseguiva talora l'imperativo di tacere. E' noto per esempio, come durante la guerra fosse deciso di dichiarare Hegel ideologo della reazione feudale contro la rivoluzione francese; perciò io non potei allora naturalmente pubblicare il mio libro sul giovane Hegel. Si può certamente vincere la guerra, pensavo, anche senza ricorrere a simili sciocchezze senza basi scientifiche ma, una volta che la propaganda antihitleriana è andata a occuparsi proprio di questo, è più importante per il momento vincere la guerra che questionare sulla giusta concezione di Hegel. E' noto che questa tesi errata si è mantenuta a lungo anche dopo la guerra, ma è altrettanto noto che io ho poi pubblicato il libro su Hegel senza cambiarvi una riga.
Si trattava tuttavia anche di problemi sociali assai più gravi di questo, i quali mettevano allora sempre più in evidenza l'aspetto negativo dei metodi staliniani. Mi riferisco naturalmente ai grandi processi, la [...]

[...] il libro su Hegel senza cambiarvi una riga.
Si trattava tuttavia anche di problemi sociali assai più gravi di questo, i quali mettevano allora sempre più in evidenza l'aspetto negativo dei metodi staliniani. Mi riferisco naturalmente ai grandi processi, la cui legalità io fin da principio giudicai con scetticismo, non molto diversamente per esempio da quella dei processi contro i girondini, i dantoniani ecc. nella grande rivolu zione francese, cioè io riconoscevo la loro necessità storica senza preoccuparmi troppo della questione della loro legalità. (Oggi ritengo che Krusciov abbia ragione quando ne rileva energicamente la superfluità politica). La mia posizione mutò radicalmente allorché fu diffusa la parola d'ordine di estirpare fin dalle radici il trozkismo ecc. Compresi fin dal principio che ne sarebbe seguita nient'altro che la condanna in massa di persone per la maggior parte del tutto innocenti. E se oggi mi si domandassse perché io non presi pubblicamente posizione contraria, non metterei in primo piano neanche questa volta l'impossibilità fisica (vivevo
LA MIA VIA AI. MARXISMO
nell'Unione Sovietica come emigrato politico) ma quella morale: l'Unione Sov[...]

[...]ton, non avessi veduto come erano forti le tendenze contrarie nel mondo capitalistico, e con quanto sforzo certe cerchie influenti dell'occidente cercassero di liquidare l'antica alleanza e di avvicinarsi politicamente e ideologicamente agli exnemici. Già a Ginevra Jean R. de Salis e Denis de Rougemont si presentarono con idee che tendevano ad escludere la Russia dalla cultura europea. Ma sarebbe stato parimenti cecità ignorare che la reazione a ciò in campo socialista recava in sè molti tratti di quella ideologia la cui estinzione io, e con me molti, mi aspettavo dalla pace e dal rafforzamento del socialismo seguito al sorgere delle democrazie popolari nell'Europa Centrale. Appunto perché io insistevo in questo sforzo che, come ritenevo e ritengo, era imposto dalla nuova situazione internazionale, volli aderire al congresso di Wroclaw (1948), al « Movimento per la pace » e ne sono rimasto fino ad oggi convinto seguace. E' sintomatico che l'argomento da me trattato a Wroclaw fu l'unità e la distinzione dialettica dell'avversario di ieri [...]

[...]mo seguito al sorgere delle democrazie popolari nell'Europa Centrale. Appunto perché io insistevo in questo sforzo che, come ritenevo e ritengo, era imposto dalla nuova situazione internazionale, volli aderire al congresso di Wroclaw (1948), al « Movimento per la pace » e ne sono rimasto fino ad oggi convinto seguace. E' sintomatico che l'argomento da me trattato a Wroclaw fu l'unità e la distinzione dialettica dell'avversario di ieri e di oggi, cioè la reazione imperialistica.
L'anno 1948 rappresentò forse la più importante svolta della storia a partire dal 1917: intendo la vittoria della rivoluzione proletaria in Cina. Appunto in seguito ad essa vennero in evidenza
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le contraddizioni decisive nella teoria e nella prassi di Stalin. Giacché oggettivamente questa vittoria significava che il periodo del socialismo in un solo paese — quale Stalin l'aveva difeso a ragione contro Trozki — apparteneva definitivamente al passato; il sorgere delle democrazie popolari nell'Europa Centrale aveva già rappresentato un passaggio all[...]

[...]ente fu evidente che Stalin e i suoi seguaci non volevano né potevano trarre dalla situazione internazionale radicalmente mutata le conseguenze teoriche e quindi pratiche. Stalin stesso, da uomo assai accorto, ha, nella sua azione, colto certamente sintomi e momenti della nuova situazione. Tuttavia mai veramente con coerenza, giacché l'idea che essa potesse significare una rottura coi metodi dell'epoca del socialismo in un solo paese, coi metodi cioé oggettivamente derivati dal continuo stato di pericolo di una Russia industrialmente arretrata, che per() proprio lui aveva spinto ben al di là di questa esigenza, tale idea, dicevo, era del tutto al di fuori della sua cerchia visiva Avvenne allora che il nuovo assetto mondiale, che richiedeva categoricamente una nuova strategia e una nuova tattica, fu avviato con un atto in cui fatalmente si assommavano e acutizzavano la strategia e la tattica antiche: cioè la rottura dell'Unione Sovietica con la Jugoslavia. Ne consegui necessariamente il ritorno ai metodi dell'epoca dei grandi processi.
A[...]

[...]amente derivati dal continuo stato di pericolo di una Russia industrialmente arretrata, che per() proprio lui aveva spinto ben al di là di questa esigenza, tale idea, dicevo, era del tutto al di fuori della sua cerchia visiva Avvenne allora che il nuovo assetto mondiale, che richiedeva categoricamente una nuova strategia e una nuova tattica, fu avviato con un atto in cui fatalmente si assommavano e acutizzavano la strategia e la tattica antiche: cioè la rottura dell'Unione Sovietica con la Jugoslavia. Ne consegui necessariamente il ritorno ai metodi dell'epoca dei grandi processi.
A me personalmente il riconoscimento della contraddizione fra il fondamento nuovo e l'ideologia vecchia fu facilitato dalla discussione che sorse in Ungheria a proposito del mio libro Letteratura e democrazia. Dal mio ritorno nel 1945 io, benché non sia mai stato funzionario dirigente in senso organizzativo, mi sforzavo continuamente di trarre dalla nuova situazione le conseguenze del caso, di perseguire il passaggio al socialismo in modo nuovo, graduale, sull[...]

[...]stione vitale per la civiltà umana, la tesi di Stalin della socialdemocrazia come « fratello gemello » del fascismo rese impossibile questo fronte. Egli rimase dunque attaccato a una strategia e a una tattica che erano giustificate nella tempesta rivoluzionaria del 1917 e subito dopo, ma che, col placarsi di quella, dopo lo spiegarsi della grande offensiva del capitalismo monopolistico più reazionario, erano oggettivamente del tutto invecchiate. Ciò che accadde dopo il 1948 cominciai a considerarlo come ripetizione storica dell'errore fondamentale degli anni venti.
In questo scritto, ove l'argomento vero e proprio é formato. dall'intimo sviluppo delle mie idee, é impossibile anche solo accennare al sistema di pensiero che sta all'origine di tali concezioni errate; sia notato soltanto questo, che il tragico dissidio nel pensiero di Stalin mi divenne sempre più evidente. Lenin, all'inizio del periodo imperialistico, ha messo in luce, partendo dalla dottrina dei classici, l'importanza del fattore soggettivo. Stalin ne ha fatto un sistema d[...]

[...]neanche una parola sull'argomento; è morto senza lasciare nessuna esatta citazione o irrefutabile indicazione
in proposito. Dunque bisogna cercare di cavarsela da soli ». —
Come qui ho già detto, nei primi anni dopo la morte di Lenin io nutrivo delle speranze in una edificazione leninista del marxismo. Ho anche descritto esaurientemente la successiva, crescente delusione. Come conclusione di queste considerazioni importa riassumere brevemente ciò che in questa situazione è essenziale dal punto di vista della teoria della scienza. Avvenne dunque che, man mano che il predominio spirituale di Stalin si rafforzò e si irrigidì in culto della personalità, la ricerca marxistica degenerò largamente in un'esposizione, applicazione e diffusione di « verità definitive ». La .ris sta e
d lla vita e della scienza era, secondo l'insegnamento dominante, dep iitata nelle_ o eres dei classici, pr
soattútt& in qúéllé di RStalin. Da principio Marx ed Engels furono spinti sempre più energicamente in secondo piano da Lenin e poi Lenin da Stalin. Ricor[...]

[...] Engels furono spinti sempre più energicamente in secondo piano da Lenin e poi Lenin da Stalin. Ricordo bene, per esempio, il caso di un filosofo che fu ripreso perché trattava le determinazioni della dialettica secondo i Quaderni filosofici di Lenin. Stalin, gli si fece presente, aveva enumerato nel quarto capitolo della Storia del partito meno distinzioni della dialettica e così aveva fissato definitivamente il loro numero e la loro natura. Perciò interessava soltanto trovare per ogni problema trattato la citazione da Stalin appropriata. « Che cos'è una idea ? » domandò una volta un compagno tedesco. « Un'idea è il collegamento fra due citazioni ». Sarebbe veramente ingiusto negare il fatto che la porta per un ulteriore sviluppo del marxismoleninismo non era stata
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serrata del tutto. Stalin possedeva il privilegio di arricchire il tesoro delle verità eterne con verità nuove e di mettere fuori circolazione una verità considerata fino ad allora come inconfutabile.
Che con tale sistema la vita scientifica soffrisse g[...]

[...]nei problemi di metodologia o nei concetti base, si manifestavano più marginalmente.
Io non era affatto il solo che conducesse una lotta partigiana ininterrotta contro questo spirito di irrigidimento. Ma a partire dalla morte di Stalin e specialmente dal ventesimo congresso questo complesso di problemi entrò in uno stadio qualitativamente nuovo; finalmente tutti questi problemi furono discussi apertamente, l'opinione pubblica della scienza cominciò ad esprimersi più o meno chiaramente. Anche a questo proposito é impossibile, nel presente abbozzo di autobiografia intellettuale, anche solo accennare a quelle discussioni e alle tendenze che vi si manifestavano; devo perciò limitarmi a riassumere brevemente la mia propria opinione. Io credo che oggi ii pericolo più grande per il marxismo sia rappresentato dalle tendenze alla sua revisione. Poiché per decenni tutto quanta Stalin affermava veniva. idéritificato col marxismo e anzi veniva addirittura proclamato il coronamento di esso, gli ideologi borghesi si sono affannati a utilizzare l'erroneità, divenuta evidente, di alcune tesi di Stalin, di. momenti essenziali della sua metodologia, allo scopo di promuovere la revisione anche dei risultati dei classici del marxismo, messi alla pari con Stalin. E poiché questa[...]

[...]e dogmatica, é il caso di parlare di un pericolo molto serio. Fintanto però che i dogmatici rimangono attaccati all'identità sostanziale di Stalin coi classici del marxismo, si troveranno altrettanto disarmati intellettualmente davanti a quelle correnti (con segno contrario) quanto i revisionisti in buona fede. Per la conservazione e il progresso del marxismoleninismo deve trovarsi un « tertium datur » come uscita da questo vicolo cieco; si deve cioè estirpare il dogmatismo per combattere il revisionismo.
Lenin ha indicato per primo e chiaramente il punto archimedico d'appoggio della presa di posizione qui necessaria. Soltanto se saremo coscienti che il marxismo ci ha lasciato un metodo sicuro, uno straordinario numero di verità salde, una quantità di spunti quanto mai fecondi per il suo proprio sviluppo; che noi non possiamo fare alcun progresso reale sulla via della scienza senza un'assimilazione e un'applicazione approfondita di quei principi; che tuttavia l'elaborazione di scienze universali sulla base del marxismo è un compito da s[...]

[...]ione piena di speranza dei grandi, entusiasmanti doveri scientifici che possono fecondamente riempire la vita di intere generazioni.
Naturalmente è impossibile in questi brevi limiti parlare concretamente anche solo della prospettiva di queste imprese; non mi rimane spazio neanche per trattare dei miei propri lavori. Posso soltanto dire che la pratica coi classici del marxismo mi ha dato per la prima volta in vita mia la possibilità di compiere ciò verso cui sempre furono diretti i miei sforzi, cioè di cogliere esattamente, descrivere fedelmente ed esprimere secondo
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verità nei loro tratti storicosistematici, i fenomeni della vita dello spirito quali essi realmente sono in sé. La lotta contro il dogmatismo fu, andie da questo punto di vista, un'autodifesa. Giacché le ideologie borghesi, sotto la cui influenza io cominciai la mia attività avevano certamente deformato questi fenomeni. Tuttavia il dogmatismo nella sua apodittica soggettivistica era contro ogni approfondimento nell'oggetto, contro ogni generalizzazione che dall'oggetto partisse. Chi tollerò simili para[...]

[...]azione che dall'oggetto partisse. Chi tollerò simili paraocchi sulla sua fisionomia intellettuale, poté solo fornire paragrafi di dogmi bell'e fatti e perse ogni collegamento con la realtà. La mia lotta partigiana contro il dogmatismo non soltanto ha salvato il mio rapporto con la vita e coi suoi oggetti, ma l'ha anche promosso. Se io oggi posso lavorare a un'estetica e posso sognare il compimento di un'etica, lo devo a questa lotta.
Appunto perciò scrivo anche queste righe nello stato d'animo di un'attesa piena di tensione. So bene che la lotta per la nuova via é ben lungi dall'essere conclusa; anzi, abbiamo visto e vediamo tutt'oggi diverse ricadute nel dogmatismo, col corrispondente rafforzarsi del revisionismo. Io personalmente — e
qui parlo soprattutto di me, del mio lavoro — sono convinto che il serio sforzo in direzione di una scienza marxistica uni
versale può dare alla mia vita un contenuto indistruttibile. (Qua
le valore obbiettivo avrà il mio contributo a quest'opera giudicherà la storia. Io non sono autorizzato a pronunci[...]

[...]ita un contenuto indistruttibile. (Qua
le valore obbiettivo avrà il mio contributo a quest'opera giudicherà la storia. Io non sono autorizzato a pronunciare un giudi
zio su di esso). Esistono ancora oggi vari impedimenti su questa
via. Il movimento operaio rivoluzionario dovette superare fin dal suo sorgere i piú diversi smarrimenti ideologici; finora vi é
sempre riuscito e io sono profondamente convinto che vi riuscirà anche in avvenire. Perciò mi sia consentito chiudere con il detto di Zola, un po' modificato: « La verité est lentement en marche .et á la fin des fins rien ne l'arrêtera ».
GEORG LUKÁCS
(traduzione di Ugo Gimmelli)



da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...] di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso». Si tratta di «identificare gli elementi stabili e ' permanenti ',.., assunti come pensiero proprio », distinguendoli dal materiale che é servito di stimolo, e fissando « dall'intrinseco » gli eventuali « periodi » e i possibili « scarti » (1).
E' osservazione comune di ogni studioso come esperienza personale — prosegue Gramsci — che ogni nuova teoria studiata con ' eroico furore ' (cioè... non per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per un certo tempo, specialmente se si è giovani, attira di per se stessa, si impadronisce di tutta la personalità, e viene limitata dalla teoria successivamente studiata,
(*) Per concessione dell'Istituto Gramsci e degli Editori Riuniti pubblichiamo due delle quattro relazioni tenute al Convegno di Studi Gramsciani (svoltosi in Roma nel gennaio 1958) i cui atti sono in corso di pubblicazione.
** Le abbreviazioni per i riferimenti ai volumi delle opere sono quelle adottate per l'indice generale posto in fondo al vol. VII. Il[...]

[...]recchi suonano indicativi proprio per uno studio sulla sua opera i suoi avvertimenti: distinguere fra scritti compiuti e pubblicati, e scritti postumi; fra lavori conclusi (« un'opera non può essere mai identificata col materiale bruto raccolto per la sua compilazione: la scelta definitiva, la disposi zione degli elementi componenti, il peso maggiore o minore dato a questo o a quello degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sóno appunto ciò che costituisce l'opera effettiva »). Delle lettere converrà usare con cautela: «un'affermazione recisa fatta in una lettera non sarebbe forse ripetuta in un libro. La vivacità stilistica delle lettere, se spesso é artisticamente più efficace dello stile più misurato e ponderato di un libro, talvolta porta a deficienze di argomentazione; nelle lettere come nei di scorsi si verificano più spesso errori logici; la rapidità maggiore del pensiero é spesso a scapito della sua solidità » (2).
E' difficile pensare che Gramsci, nel '33, quando stendeva queste pagine così precise, non avesse presente[...]

[...]di discorsi pronunciati nel delirio: « ero persuaso di morire, e cercavo di dimostrare l'inutilità della religione e la sua inanità, ed ero preoccupato che, approfittando della mia
(2) Cfr. M. S. 137.
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debolezza, il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che mi ripugnavano e da cui non sapevo come difendermi. Pare che per un'intera notte ho parlato dell'immortalità dell'anima in un senso realistico e storicistico, cioè come una necessaria sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessaria, e come un incorporarsi di esse nel mondo di fuori » (3).
E' un testo umanamente significativo: ma che documenta anche la consapevolezza di Gramsci; ed è un testo che, fra l'altro, richiama una lettera di due anni prima, del 17 agosto 1931, molto importante ai fini della determinazione « dall'intrinseco » dei momenti dello sviluppo del suo pensiero. Ricordando i tempi in cui era allievo di Umberto Cosmo dichiara che, ' sebbene allora non avesse precisato la sua posizione ', aveva tuttavia il senso di trovarsi su un ter[...]

[...]otto il segno del nuovo idealismo.
D'altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l'aspetto o l'influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l'uso, bisognerà tener presente l'avvertenza
(7) « Il grido del popolo » di Torino, 20111915: « il Serra ha dato una lezione di umanità: in ciò egli ha veramente continuato Francesco De Sanctis, il più grande critico che l'Europa abbia avuto... Ora non possiamo aspettarci più nulla da Renato Serra. La guerra l'ha maciullato, la guerra della quale aveva scritto con parole così pure, con concetti cosí ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui: era l'uomo nuovo dei nostri tempi, che tanto ancora avrebbe potuto dirci ed insegnarci, Ma la sua luce s'è spenta e noi non vediamo ancora chi per noi potrà sostituirla... » Ne La Città Futura (Numero unico, Torino 11 febbraio 1917), ove pure riporta un lungo[...]

[...]vimento storico concreto ». D'altra parte, mentre non mancano testi di ampio re
(8) P. 130; L. 2728; 39 (23 maggio 1927).
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spiro, e di stesura quasi compiuta, non è difficile individuare anche nei frammenti la costanza di temi ritornanti in un contesto unitario profondo. Manca la forma sistematica, non la coerenza intima. « Si crede volgarmente — egli osserva una volta — che scienza voglia assolutamente dire ' sistema ', e perciò si costruiscono sistemi purchessia, che del sistema non hanno la coerenza intima e necesaria ma solo la meccanica esteriorità » (9). Al contrario non di rado alla forza di un metodo preciso e di una chiara concezione la forma frammentaria offre la possibilità di puntualizzare le ' piccole cose ' in un voluto contrasto con la tendenza a « vedere le cose oleograficamente, nei momenti culminanti di alta epicità ». «Nella realtà — si legge in un testo esemplare — da dovunque si cominci a operare, le difficoltà appaiono subito gravi perché non si era mai pensato concretamente a esse; e siccome occ[...]

[...]si é liberata da ogni residuo di trascendenza e di teologia anche nella loro ultima incarnazione speculativa; lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa s.
(12) L. 41.
(13) « Quaderni della Critica », 10, 1948, pp. 789.
(14) L. 137 (sulla ' frammentarietà', pref. a M.S., XIXXX).
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losofiastoria « porta alla conseguenza che occorre negare la ' filosofia assoluta' o astratta e speculativa, cioè la filosofia che nasce dalla precedente filosofia e ne eredita i ' problemi supremi ' cosidetti, o anche solo il ' problema filosofico ', che diventa pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia. La precedenza passa.., alla storia reale dei rapporti sociali, dai quali quindi... sorgono (o sono presentati) i problemi che il filosofo si propone ed elabora. Se la filosofia è storia della filosofia, se la filosofia è ' storia', se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali in cui gl[...]

[...]problema filosofico ', che diventa pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia. La precedenza passa.., alla storia reale dei rapporti sociali, dai quali quindi... sorgono (o sono presentati) i problemi che il filosofo si propone ed elabora. Se la filosofia è storia della filosofia, se la filosofia è ' storia', se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali in cui gli uomini vivono), e non già perché a un grande filosofo succede un più grande filosofo e così via, è chiaro che lavorando praticamente a fare storia si fa anche filosofia... » (15').
Commentare questo testo fino in fondo, seguirne la genesi e discuterne il senso, porterebbe ad un'analisi completa del pensiero di Gramsci, che a me non compete: sarebbe necessario infatti seguire il maturare della sua riflessione attraverso la lotta politica, che lo portò a leggere, o a rileggere con occhi resi diversi da eventi decisivi, le pagine medesime di Marx (16). Ma in tale [...]

[...]a possibilità interpretativa, cosí a un'altra storia d'Italia volle saldare un'altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un'Italia capace di riscattare in tutta la sua storia altre possibilità costantemente vinte, soffocate o mistificate. E proprio perché era un politico e non un filosofo — e con ciò si vuol dire solo che era anche uno storico e un filosofo serio, e non un professore — non si preoccupò di raccogliere in candidi mazzolini temi incontaminati perché a tutti estranei, ma combatté sul terreno reale, nella situazione reale, ed affrontò l'unica posizione veramente operante in Italia (e non a caso era tale), veramente potente, e con essa si impegnò: ne prese talora il linguaggio, vide l'ambito della sua validità, non ne sottovalutò né l'importanza, né la forza, né le conquiste reali. Oggi può sembrare che sulla linea RomagnosiCattaneo ci fosse una forza teorica più robusta: e può[...]

[...]so un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall'intrinseco » certe posizioni — ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola: ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che é vivo da ciò che é morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.
La rottura con una certa tradizione e la lotta per un'altra Italia, si configurano così — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella stessa storia d'Italia: rappresentano la vittoria di forze vitali, di possibilità positive contra soluzioni esaurite: e sono, perciò spesso, non più parziali, ma veramente rispondenti all'aspirazione di tutta l'Italia, di tutta la sua storia, di tutto il suo popolo. Come non ricordare l'articolo pubblicato nel '19 sull'Ordine Nuovo, a proposito dei rivoluzionari russi (19): « hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la... vita più intima [del popolo], la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda... Hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato e arricchito una tradizione... In ciò sono stati rivoluzionari » in quanto h[...]

[...]a, di tutto il suo popolo. Come non ricordare l'articolo pubblicato nel '19 sull'Ordine Nuovo, a proposito dei rivoluzionari russi (19): « hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la... vita più intima [del popolo], la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda... Hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato e arricchito una tradizione... In ciò sono stati rivoluzionari » in quanto hanno rivelato al popolo che « il nuovo stato era il suo stato, la sua vita, il suo spirito, la sua tradizione ». La rivoluzione non va mai contro il moto storico: é il punto in cui il processo rompe gli argini che lo volevano chiudere — in cui gli istituti già elaborati come strumenti si irrigidiscono in barriere: é ve
in riferimenti generici, che, come nel caso de La città, mostrano un desiderio di letture piuttosto che letture già fatte. Certo, acuto com'era, Gramsci si rese ben conto che anche in posizioni legate al « positivismo » non mancavano temi [...]

[...]rdoti; sono queruli e scontenti sempre, perché le forze del male impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso. mondo ».
Nell'idea di una ' natura' umana si cela «un residuo ' teologico ' e ' metafisico' ». « La natura dell'uomo — insiste Gramsci — é la 'storia'... se... si dà a storia il significato di 'divenire ', di una ' concordia discors ' che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile; perciò la ' natura umana' non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del ' genere' umano » (22). Ove, ancora, quella ' storia del genere umano' lungi dall'essere « pura dialettica concettuale » é storia di uomini reali in rapporti reali, in cui i processi che modificano le situazioni e la coscienza che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge così... all'... equazione fra filosofia e politica', fra pensiero e azione, cioè a una filosofia della prassi... La sola filosofia é la storia in in atto » (23) — la storia che « riguarda gli uomini vi[...]

[...]uò ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del ' genere' umano » (22). Ove, ancora, quella ' storia del genere umano' lungi dall'essere « pura dialettica concettuale » é storia di uomini reali in rapporti reali, in cui i processi che modificano le situazioni e la coscienza che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge così... all'... equazione fra filosofia e politica', fra pensiero e azione, cioè a una filosofia della prassi... La sola filosofia é la storia in in atto » (23) — la storia che « riguarda gli uomini viventi... tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliorano se stessi » (24).
Proprio per questo la politica di Gramsci doveva saldarsi indissolubilmente con una visione storica, anzi con una revisione della storia di quel popolo a cui apparteneva e tra cui operava. « Scoprire e inventare modi di vita originali » — com'egli dice — non si può se non rispondendo concretamente e positivamente a
(22) M.S. 312.
(23) Seguita[...]

[...]e modi di vita originali » — com'egli dice — non si può se non rispondendo concretamente e positivamente a
(22) M.S. 312.
(23) Seguita: e in questo senso si può interpretare la tesi del proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca — e si può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da Lenin è stata anche un grande avvenimento ' metafisico ' D. E ancora (M.S. 32): a nella storia l'uguaglianza ' reale, cioè il grado di spiritualità' raggiunto dal processo storico della ' natura umana ', sì identifica nel sistema di associazioni ' private e pubbliche ', ' esplicite ed implicite ' che si annodano nello ' Stato' e nel sistema mondiale politico: si tratta di ' uguaglianze' sentite come tali fra i membri di un'associazione e di ' diseguaglianze ' sentite tra le diverse associazioni; uguaglianze e diseguaglianze che valgono in quanto se ne abbia coscienza individualmente e come gruppo a. A proposito di Lenin, è interessante il testo di Croce, Pagine sparse, II, p. 177.
(24) L. 255.
GRAMSCI NELLA CU[...]

[...] opporsi a qualsiasi trasformazione della filosofia della prasi in una metafisica o teologia, per svolgerne « uno ' storirismo' assoluto », inteso come « mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero », come un «umanismo assoluto della storia ».
Per questo l'attività critica, la sola possibile, é impiegata costantemente a risolvere «i problemi che si presentano come espressione dello svolgimento storico »; e poiché « l'unità della storia, ciò che gl'idealisti chiamano unità dello spirito, non é un presupposto ma un continuo farsi progressivo », l'indagine storica é di continuo sollecitata a riesaminare le scelte già operate in funzione di certi modi d'agire, per saggiarne la validità, respingerne l'insufficienza, risolverne la parzialità in un'azione più comprensiva, davvero popolare e nazionale.
Di fronte alla cultura tradizionale, a tutta la vicenda di un paese quale é sboccata nella situazione del presente, di fronte alla cultura presente, la filosofia della prassi tende, non a rifiuti radicali o a scelte interessate, ma a una[...]

[...]renziarsene o almeno le differenziazioni sono di carattere secondario e si esauriscono quindi nell'entusiasmo declamatorio » (28).
Costretto a trasferire la propria attività su un piano diverso, nei quaderni Gramsci tende soprattutto a una storia della tradizione culturale italiana vista nel concreto della vita dei gruppi intellettuali allo scopo di definire una ' concezione del mondo'. « La fondazione di una classe dirigente — egli scrive — (e cioè di uno stato) equivale alla creazione di una Weltanschauung », che, d'altra parte, non è solo «elaborazione ' individuale' di concetti sistematicamente coerenti, ma inoltre e specialmente... lotta culturale per 'trasformare' la 'mentalità popolare' e diffondere le innovazioni filosofiche che si dimostreranno ' storicamente vere' nella misura in cui diventeranno concretamente cioè storicamente e socialmente universali » (29). Ove la « traduzione » di cui s'è detto si presenta come inserimento attivo di una ' visione della vita' in una situazione ' nazionale', ossia come esame critico di tutta una tradizione, in modo che la nuova concezione ne appaia la risoluzione vitale. Né importa che tale risoluzione possa presentarsi come totale rifiuto (« talvolta è avversario tutto il pensiero passato ») — importa veramente ricordare che si dimostra più ' avanzato' chi comprende che « l'avversario può esprimere un'esigenza che deve essere incorporata, sia pure come ele mento sub[...]

[...] ele mento subordinato, nella propria costruzione ».
In questi termini l'elaborazione della filosofia della prassi fa corpo con una storia d'Italia, dei suoi gruppi intellettuali, non isolati nelle loro idee o nei loro scritti, ma visti in rapporto con le forze reali operanti, e con quei popolani la cui voce solo di rado sembra affiorare o essere ascoltata e conservata, ma che pure hanno espresso lungo i secoli artisti e contadini, artigiani, e ciompi, e soldati. Non è difficile « schedare » il materiale dei « quaderni » gramsciani lungo queste linee, e ordinarlo per argomenti ad esse riconducibili. D'altra parte questa « storia » doveva sempre le
(28) P. 34, 63, 131.
(29) M.S. 21 sgg., 25, 75 sgg. (per la distinzione forze materialiideologiecontenuto forma, distinzione « meramente didascalica », cfr. M.S., 49).
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garsi criticamente alle « altre storie »: a quelle più valide per intima solidità, esprimenti efficacemente forze e temi di rilievo; così come a quelle dominanti e trionfanti sul piano politico italiano. Un[...]

[...]i forza e di attualità di un pensiero che non lavorava alteri saeculo, ma per questo secolo. L'altro secolo che poi giudica, che indica limiti e ingiusti giudizi, probabilmente non sarebbe mai nato così acuto senza quelle discussioni. La caducità di certi giudizi non é che l'altra faccia della loro storicità: e, mentre l'impegnarsi nel tempo é il segno della responsabilità di un dibattito, il discorso polemico col discorso più efficace, a cui perciò stesso si lega, é anche il lavoro storicamente più costruttivo — il solo veramente costruttivo.
Sarebbe ben difficile negare oggi, nello spostarsi di una discussione, che certe valutazioni gramsciane dì importanti movimenti sono particolarmente insufficienti o almeno discutibili: basterebbe pensare all'atteggiamento di fronte al positivismo, e, per altro verso, all'apprezzamento del modernismo. Nel primo caso, anche se probabilmente converrebbe andar molto cauti, _per non incorrere in frettolose revisioni, e tener distinte cose distinte, e rendersi ragione di pur sempre validi temi polemici [...]

[...] si lega a una situazione storica; si rende conto che « lo stesso
(32) Cfr. L. 144 (a quando vidi il Cosmo, l'ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il Machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »).
(33) Le due e figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la 'passione' di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l'Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla ' politica' del M. intorno al '25, e subito dopo (dr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: a è risaputo che il M. scopre la necessità e l'autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il[...]

[...]e é fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un'ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Del la Casa — dei tratti che li avvicinano a Machiavelli, ma un'immagine artificiosa dell'uomo del Rinascimento gli preclude un'adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia d'Italia (34). Su Machiavelli, invece, é veramente originale e suggestivo. « Bisogna
considerare — premette il Machiavelli come espressione neces
saria del suo tempo... Non solo l'Arte della guerra deve essere connessa al Principe, sibbene anche le Istorie fiorentine, che devono servire appunto come un'analisi delle condizioni reali ed europee da cui scaturiscono le esigenze immediate contenute nel Principe... La dottrina di Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente ' libresca'[...]

[...] Savonarola e con Rousseau.
« L'opposizione SavonarolaMachiavelli, scrive, non é l'opposizione tra essere e dover essere... ma tra due dover essere, quello astratto... del Savonarola, e quello realistico del Machiavelli, realistico anche se non diventato realtà », perché Machiavelli non fu capo di uno stato, né capitano di un esercito: ma si « uomo di parte, di passioni poderose, un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non pub non occuparsi del dover essere ». Machiavelli non é mai «un mero scienziato »; «si fa
(34) Mach. 6, 9, 141; P. 34; 1. 345.
(35) Mach. 9, 13, 15.
y
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popolo; [e] non con un popolo genericameìite inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso (36). Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l'idea di un Machiavelli fondatore della scienza [...]

[...]l'opera di Gramsci si colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando così largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un'elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i ' mistificatori ' del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti — Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa — e Croce per quanto contribuì a mantener vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso, sempre più chiaramente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione dell'hegelismo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabili: un ' sistema ' della ' filosofia dello spirito', una ' natura umana' assoluta. Gramsci, al contrario, non si l[...]

[...]
(40) P. GosETTI, La rivoluzione liberale, Torino, 1950, p. 117: « La figura di Lenin gli appariva come una volontà eroica di liberazione: i motivi ideali che costituivano il mito bolscevico... dovevano agire... come l'incitamento a una libera iniziativa operante dal basso ».
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EUGENIO GARIN
l'ultima lettera al figlio? « io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi, e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacere più di ogni altra cosa ».
EUGENIO MARIN



da Jacques Howlett, I comunisti e la lotta contro il colonialismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...] 8 agosto 1853 sulla dominazione britannica in India, articoli nei quali si trovano già quelle idee essenziali che saranno più tardi sviluppate da Lenin.
Questi due articoli, pochissimo conosciuti, testimoniano d'una presa di coscienza assai approfondita dell'infelice stato dei popoli colonizzati, che per opera dell'uomo bianco son rimasti tagliati fuori dalle loro basi sociali e culturali tradizionali : « L'Inghilterra ha demolito tutto l'edificio della società indù, senza che possa
(5) V. il bellissimo Discours sur le colonialisme di Armi C sAsxs. Ed. Réclame, Paris 1950.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 63
ancora scorgersi alcun indizio d'una organizzazione nuova. Questa perdita del vecchio passato non essendo stata caratterizzata dalla conquista di un mondo nuovo, l'attuale miseria degl'Indù è caratterizzata da una specie particolare di malinconia; l'Indostan sotto dominazione britannica é separato da tutte le sue antiche tradizioni e da tutto il suo passato storico ».
Un'altra idea importante espressa in questi art[...]

[...] del capitale. La concentrazione del capitale é essenziale all'esistenza del capitale stesso in quanto potenza autonoma. L'effetto distruttivo di questa concentrazione sui mercati del mondo non fa che svelare, in proporzioni gigantesche, le leggi organiche immanenti all'economia politica quali agiscono oggi in ogni città del mondo civilizzato ».
Marx riconduce in questo modo l'essenza dell'imperialismo al semplice fatto economico, e liquida con ciò implicitamente, ma definitivamente, tutte le buone ragioni invocate dal liberalismo per giustificare la colonizzazione : superiorità razziale, vocazione provvidenziale dell'uomo bianco, pseudoargomenti scientifici tratti da Darwin (6), politica di prestigio, obbligo d'ordine morale, ecc.. .
Un'analisi dell'imperialismo é stata condotta anche da scrittori borghesi come Charles A. Conant in T he Economic Basis of Imperialism (1898) e soprattutto dall'inglese J. A. Hobson in
(6) V. PEARSON, National life from the standpoint of the Science (1900).
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Imperialism (1902). Lenin [...]

[...]o e la guerra », Lenin difende il diritto dei popoli arretrati a disporre di se stessi; e Stalin, nel 1913, precisa questa politica di liberazione : « La rivoluzione d'ottobre — egli scrive (8) — ha scosso l'imperialismo non soltanto nei territori metropolitani, ma anche nei paesi coloniali e dipendenti, minando colà la sua dominazione. La liberazione del proletariato è per sua essenza universalista, e il proletariato non pub liberarsi senza con ciò stesso liberare i popoli oppressi ». V'è del resto, continua Stalin, più di un'analogia tra il proletario e il colonizzato : l'uno e l'altro si trovano in una posizione di dipendenza, l'uno e l'altro producono ricchezza senza tuttavia goderne, l'uno e l'altro appartengono alla classe oppressa.
Così « la Rivoluzione d'ottobre inaugurato un'epoca nuova,
l'epoca delle rivoluzioni coloniali nei paesi oppressi del mondo, in alleanza con il proletariato, sotto la direzione del proletariato ». La leggenda secondo cui il mondo sarebbe diviso in razze inferiori e razze superiori, in neri sfruttati e[...]

[...] il mondo sarebbe diviso in razze inferiori e razze superiori, in neri sfruttati e in bianchi sfruttatori, questa leggenda é rifiutata in blocco. La teoria staliniana afferma che « i popoli non europei affrancati, tratti sulla via dello sviluppo sovietico, non sono meno atti dei popoli europei a far progredire la cul
(8) 11 carattere internazionale della Rivoluzione d'Ottobre, Pravda 5, 7 novembre 1927.
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tura e la civiltà in ciò che la cultura e la civiltà hanno di veramente progressivo ».
Qual é il processo di liberazione dei popoli oppressi? Bisogna partire dalle due tesi seguenti (9). Da una parte, la lotta rivoluzionaria condotta dai popoli oppressi contro l'imperialismo è il solo mezzo che essi hanno per liberarsi dall'oppressione e dallo sfruttamento : la crisi del capitalismo nascerà da questi movimenti di liberazione. D'altra parte, un fronte comune di lotta contro l'imperialismo dev'esser formato dai movimenti proletari dei territori metropolitani e i movimenti di liberazione dei territori coloniali; la vit[...]

[...]oggio deve consistere nella rivendicazione, nella difesa e nell'applicazione di quella parola d'ordine che è data dal diritto delle nazioni a separarsi e ad esistere come stati indipendenti. Altri~tnenti, sarebbe impossibile di organizzare l'unione e la collaborazione delle nazioni in una economia mondiale, unica base materiale della vittoria del socialismo.
Partendo da questa base teorica, Stalin denuncia due errori politici : da un lato « lo sciovinismo metropolitano » di coloro (i socialisti) che non vogliono appoggiare la lotta condotta dai popoli colonizzati per darsi uno stato; e dall'altro la tendenza, presso i popoli colonizzati stessi, a confinarsi nel loro quadro strettamente nazionale, nel loro particolarismo. Lenin — citato a questo proposito da Stalin — aveva ben visto il legame dialettico che unisce queste due posizioni apparentemente contradittorie : nei paesi oppressori, gli operai difenderanno la libertà di separazione dei
paesi colonizzati, ché «senza di ciò non v'è internazionalismo )); nei paesi colonizzati, per con[...]

[...]condotta dai popoli colonizzati per darsi uno stato; e dall'altro la tendenza, presso i popoli colonizzati stessi, a confinarsi nel loro quadro strettamente nazionale, nel loro particolarismo. Lenin — citato a questo proposito da Stalin — aveva ben visto il legame dialettico che unisce queste due posizioni apparentemente contradittorie : nei paesi oppressori, gli operai difenderanno la libertà di separazione dei
paesi colonizzati, ché «senza di ciò non v'è internazionalismo )); nei paesi colonizzati, per contro, bisogna lottare « per l'indipen
denza politica della nazione e per la sua unione con gli altri stati ». In ogni caso, bisogna lottare contro i ristretti punti di vista nazio
(9) STALIN, Conferenze sui Principi del leninismo fatte all'Università di Sverdlov (aprile 1924).
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 67
nalistici, contro l'isolamento e « per la subordinazione dell'interesse particolare all'interesse generale ». Per gli uni, dunque, lotta per la libertà di separazione; per gli altri, lotta per la libertà d'uni[...]

[...]re i paesi colonizzati all'eguaglianza; bisognerà studiare la situazione economica e la cultura, sviluppare questa cultura, sviluppare l'educazione politica e associare quei popoli alle forme superiori dell'economia; bisognerà infine, organizzare la collaborazione economica tra i lavoratori delle nazioni arretrate e quelli delle nazioni progredite (11). Nel 1925, Stalin lancia la parola d'ordine : « Bisogna proletarizzare le regioni coloniali », cioè svilupparne l'industria, creatrice d'un proletariato forte e cosciente, capace di trascinare le masse. Nelle zone d'influenza capitalista, gli stessi imperialisti sono condotti a sviluppare l'industria dei paesi da essi dominati, avviando così la liquidazione delle antiche strutture sociali e aiutando, loro malgrado, l'ascesa del proletariato. Così la crisi rivoluzionaria guadagna terreno nelle colonie.
Quali che siano i processi che hanno condotto a queste crisi nei vari paesi colonizzati, non si pub dire che, dal 1925 in poi, gli avvenimenti abbiano smentito i dottrinari della rivoluzione[...]

[...] Il resto della popolazione, che vive della terra, in un certo senso é ancora più esposto agli abusi dei coloni e dell'amministrazione (requisizioni, lavoro forzato).
Perché questa miseria? domanda il comunista. Il suolo e il sottosuolo africani sono dunque così poveri? Gl'indigeni così incapaci? Niente affatto. Cosa son venuti dunque a fare i bianchi in questi paesi? Nient'altro che a far danaro il più rapidamente possibile, per poi andarsene. Ciò che loro importa non è, perciò, di organizzare la produzione e di sviluppare razionalmente le ricchezze del paese. Come scrive il prof. Jean Dresch : « L'economia africana è ancora soprattutto un'economia di tratta » (15). L'europeo si contenta di drenare i prodotti, di ammassarli, e quindi di trasportarli dalla costa in Francia. In cambio, egli introduce nel paese degli oggetti fabbricati : cotonate, chincaglieria, sigarette, alcoolici, biciclette, ecc. Queste operazioni s'effettuano in comptoirs e in centri d'immagazzinaggio che appartengono a potenti società metropolitane : la C.F.A. (di Marsiglia), i cui comptoirs domi[...]

[...] : la C.F.A. (di Marsiglia), i cui comptoirs dominano la zona che s'estende da Dakar al Congo Belga; la S.C.O.A. (società commerciale dell'Africa occidentale, con interessi che fanno capo a Lione e in Isvizzera); le società bordolesi Maurel & Prom, Peyrissac, ecc., e le filiali del trust Unilever. Una delle conseguenze di questa « economia di tratta » è che le società commerciali interessate reinvestono una parte ridottissima dei loro benefici : ciò che esse cercano sono dei profitti immediati senza importante impiego di capitali, ed è per questo che la produzione industriale é così debolmente sviluppata in A.O.F. e in A.E.F. « Dei 27 miliardi di franchi investiti da privati nell'Africa Nera prima della guerra — nota il Dresch — ben 10,5 miliardi erano investiti in imprese commerciali, contro 4,9 miliardi nelle piantagioni, 3,383 in imprese industriali, e appena 2 nelle miniere n (16).
(15) V. Le colonialisme économique en Afrique Noire, « Le Musée Vivant u, n. 3637, Paris 1948.
(16) Les trusts en Afrique Noire, « Servir la France n, a[...]

[...] culturelle dans les pays coloniaux, «La Nouvelle critique », marzo 1950.
(18) Stalin, nel 1929, dichiarava che: « la politica di assimilazione é assolutamente esclusa dall'arsenale del marxismoleninismo, in quanto politica antipopolare e controrivoluzionaria, in quanto politica funesta ». Le Marxisme et la question nationale et coloniale, Editions Sociales, 1950, p. 260.
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che fa del Noir l'emblema sognato delle colazioni al cioccolato (« Y a bon Banania! ») o l'archetipo della sentinelladicolorefedelissima (« N'avancez pas, y en a sauvages! »), o ancora il buon figlio sottomesso del missionario barbuto. A questo proposito, basta sfogliare i numerosi « bollettini » (« La Voix du... » , « L'Evangile en... ») editi dalle Missioni. Si veda per esempio quella « Voix du Congolais » che nel numero di maggiogiugno del 1946 insegnava ai suoi lettori « come vivere sotto l'occhio dei nostri dirigenti »
La semplicità e la modestia sono le qualità del civilizzato. Se vogliamo guadagnarci la stima dei nostri dirigenti, dobbiamo [...]

[...]u uno sfondo di piante grasse, e sotto la dicitura : « Un bel gruppo di evoluti di Léopoldville ».
C'è un mito del negro che ossessiona le coscienze dei borghesi francesi. Io non credo che, tra costoro, l'idea del negro susciti aggressività; essa non scatena tempeste affettive simili a quelle suscitate dagli ebrei e dagli staliniani; ma questi ultimi, almeno, sono presi sul serio : li si teme, li si invidia, e se alcuni vorrebbero vederli morti ciò significa che essi esistono. Il negro, ed è questa la sua maggiore disgrazia, non esiste veramente; come le cose sensibili dell'universo platonico, le quali non esistono che in quanto partecipi delle idee, sole reali, così il negro non ha che un'esistenza relativa alla bianca Idea. Ê un'ombra, e noi siamo il sole. Ne segue che, se il comportamento del negro non s'inquadra nelle categorie del nostro intendimento, non si tratterà d'impotenza nostra, ma di assurdità sua : non saremo noi ad essere accusati d'incomprensione, ma lui ad esser qualificato di « primitivo ». (Bisogna tuttavia osservare[...]

[...] gli etnografi — l'idea del lavoro é legata a quella del prestigio : « Lo sforzo di chi coltiva, e quello di chi danza in occasione d'una cerimonia religiosa, non sono molto differenti, poiché dal corretto a
(27) V. Les Temps modernes, novembre 1951. D.O.C., Le procès des 400 noirs de Côte d'Ivoire.
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dempimento di questi compiti così eterogenei risulterà per colui che li adempie uno stesso beneficio: godere del prestigio dell'« uomo buono » che ha saputo nutrire il prossimo coltivando o che ha saputo, danzando, suscitare delle forze che tendono anch'esse ad assicurare la sussistenza della collettività » (28). Non v'è, per il negroafricano, un individualismo del lavoro; egli lavora per il proprio gruppo, per la propria famiglia. Nel suo proprio ambiente, dunque, il lavoratore non è un individuo alienato da se stesso, che abbia da opporsi a qualcuno che lo impiega o che lo sfrutta : egli rende un servizio alla sua famiglia, e magari a tutto il villaggio o a tutta la tribù. Su questo piano,[...]

[...]ario generale non fu assunto dal dort. N'Krumah, di ritorno dall'Europa. Nacquero però anche, all'interno del movimento, dei dissensi che portarono alla sua scissione (1949) ed alla costituzione della sua ala sinistra in un nuovo partito, il Convention People's Party (C.P.P.), sotto la guida di N'Krumah. Il C.P.P. mise in programma la lotta per l'autonomia immediata del paese e invitò il popolo alla disobbedienza civile e alla noncollaborazione, ciò che portò all'incarcerazione
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 81
è al centro delle discussioni tra le giovani élites di cui dicevamo. Ma queste discussioni, e il prestigio di quell'opera esemplare, non superano il ristretto cerchio di quei giovani intellettuali attualmente tagliati fuori dal loro ambiente. L'avvenire dell'Africa Nera francese potrà dunque esser segnato dalla loro presenza, ma é sulle basi determinanti dell'industrializzazione e della lotta sindacale che quest'avvenire sembra prepararsi più sicuramente.
JACQUES HOwLETT
dei suoi capi. Ma la base tenne fermo e, [...]



da Tibor Mende, L'Asia Sud-Orientale tra due mondi in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]dioOriente.
La storia stessa, del resto, giustifica questa definizione. Tutti questi paesi, che si estendono dal passo di Khaibar a Bali, hanno molti tratti in comune. Innanzi tutto, il fatto che la maggior parte di essi sono stati recentemente liberati dalla tutela straniera. La scomparsa degli imperi coloniali inglese, francese e olandese é avvenuta nel corso degli ultimi dieci anni, che hanno visto tornare alla libertà 600 milioni di uomini, cioè un quarto , della specie umana.
Ma questo cambiamento intervenuto recentemente e quasi simultaneamente nello stato politico dei suddetti 600 milioni di esseri umani, non costituisce il solo denominatore comune che possa esser loro applicato. Certe analogie hanno una storia antica di tre millenni : nel corso di queste decine di secoli, i diversi paesi del SudEst asiatico hanno avuto delle esperienze analoghe, dalle invasioni arie all'arrivo della civiltà tecnica dell'Occidente, passando per le influenze di Budda, di Laotze e di Confucio, per l'insegnamento di Maometto, per le conquiste di Al[...]

[...]imultaneamente nello stato politico dei suddetti 600 milioni di esseri umani, non costituisce il solo denominatore comune che possa esser loro applicato. Certe analogie hanno una storia antica di tre millenni : nel corso di queste decine di secoli, i diversi paesi del SudEst asiatico hanno avuto delle esperienze analoghe, dalle invasioni arie all'arrivo della civiltà tecnica dell'Occidente, passando per le influenze di Budda, di Laotze e di Confucio, per l'insegnamento di Maometto, per le conquiste di Alessandro Magno e l'impero dei Mongoli. Ciascuno di questi avvenimenti ha portato dei mutamenti e lasciato delle tracce più o meno profonde, modellando l'eredità
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intellettuale e morale di tutta questa immensa regione. Le maggiori influenze furono esercitate dall'India e dalla Cina : sono l'ombra monumentale dell'India e la fantastica vitalità della Cina che hanno lasciato le tracce più profonde nell'evoluzione dei popoli del SudEst asiatico.
Fu il Buddismo, più di ogni altra cosa, a ravvicinare l'India
e la Cina. Dal tem[...]

[...]fonde nell'evoluzione dei popoli del SudEst asiatico.
Fu il Buddismo, più di ogni altra cosa, a ravvicinare l'India
e la Cina. Dal tempo dei missionari di Açoka, gli scambi di pellegrini e di eruditi non hanno più cessato tra i due paesi. Durante il viaggio, questi pellegrini accostavano alle rive d'Indocina, di Sumatra e di Giavà : diffondendo da una parte il Buddismo, la cultura dell'India e la sua potenza; e dall'altra la scienza e il commercio della Cina.
Per secoli l'Asia del SudEst fu zona d'incrocio di idee e di dottrine religiose. Sorsero civiltà miste indocinesi. Nell'interno del continente — come per esempio in Birmania, nel Siam o nel Tonkino — l'influenza predominante fu quella cinese. Lungo le coste
e nelle isole, per contro, la supremazia spetto all'India. Ma le due civiltà impiegarono nella loro lotta amni affatto pacifiche, mettendo in concorrenza i loro sapienti, i loro mercanti, i loro missionari,
e tutta una gamma di " agenti diversi, che servivano a diffondere le loro idee.
Oggi, dopo alcuni secoli di supremazia occidentale, noi vediamo riaffermarsi le tendenze d'un tempo[...]

[...]ina economica installata dalle potenze occidentali, anche nei casi in cui aveva per scopo di servire gli interessi dei paesi colonizzati, non poteva funzionare in modo soddisfacente senza l'esistenza d'un personale qualificato, d'una amministrazione competente, e, soprattutto, dei necessari capitali di gestione.
Nei paesi che per liberarsi hanno dovuto ricorrere alla forza, la produzione non ha ancora raggiunto il livello di prima della guerra; ciò deriva dalle distruzioni, ma anche dalla disorganizzazione risultante dalla penuria di personale e di capitali. In Indonesia, dopo quattro anni di guerra contro l'Olanda, e dopo tre anni di indipendenza, il reddito medio é ancora di poco più del 60% di quello di prima della guerra. In Birmania, dove le distruzioni dovute alla guerra sia intestina che esterna furono assai maggiori, si é al di sotto del 70%. Ma negli stessi paesi che hanno raggiunto l'indipendenza mediante negoziati, la produzione non è affatto superiore a quella del 1939. Là stesso dove si potrebbe constatare un leggero miglio[...]

[...]elle rivendicazioni d'uguaglianza con il resto del mondo; é una passione dominante, che condiziona tutto il clima politico e ideologico del SudEst asiatico d'oggi. In altre parole, possiamo dire che nel SudEst asiatico domina oggi una atmosfera di disinganno : conseguenza abituale delle speranze eccessive. Ci si è resi conto che l'indipendenza politica, da sola, non mette fine alla servitù economica, e da questo riconoscimento é derivato appunto ciò che noi, in Occidente, generalmente chiamiamo « il rapido insorgere del nazionalismo asiatico ».
Abbiamo così assistito al formarsi di movimenti politici i cui scopi non differivano molto da quelli delle rivoluzioni europee dei secoli XVIII e XIX: riforme agrarie, migliori possibilità di istruirsi, una giustizia e un'amministrazione migliori, e la liquidazione dei privilegi economici. Ma le forze appoggiate dall'Occidente si sono opposte a queste domande relativamente modeste, ed é per questo che gli asiatici son venuti convincendosi, in numero sempre maggiore, dell'impossibilità di realizza[...]

[...] esperienza di diventare dei semplici ingranaggi d'una società tecnologica.
E tuttavia inevitabile che queste forme idilliache di società rurali asiatiche siano alla lunga condannate a sparire.
I tentacoli della civiltà occidentale sono già penetrati in profondità nei residui dei modi di vita tradizionali.
La maggior parte di quei popoli, costretti a rivolgere contro di noi i nostri stessi metodi per raggiungere la loro indipendenza, hanno in ciò stesso potuto avere un primo assaggio d'un desiderato futuro. Lo sviluppo delle comunicazioni, la progressiva abolizione delle distanze e la propaganda politica sono altrettanti passi coim
AEI
L'ASIA SUDORIENTALE TRA DUE MONDI 41
piuti su questa strada. Inoltre, l'impresa commerciale dell'Occidente ha creato nuove abitudini di consumo, assai sproporzionate allo sviluppo economico delle odierne società asiatiche sudorientali.
Conseguenza di tutto questo è che i popoli di quella zona hanno appreso che in altre zone del mondo le popolazioni godono di un tenore di vita differente dal loro; h[...]

[...]e d'un governo forte, efficace e giusto, o non vi giungeranno, e in questo caso il malcontento e i dissensi che ne risulteranno faciliteranno la presa del potere da parte di nuove forze che, questa volta, non saranno occidentali.
Sta qui, in sostanza, il problema dell'Asia sudorientale. Per parlare più semplicemente e rientrare nel quadro politico di questa nostra epoca a metà del secolo, diremo che si tratta di sapere se le forze opponentisi a ciò che noi chiamiamo l'occidente riusciranno o non riusciranno ad annettersi un quarto della popolazione del globo. L'importanza di questo problema é abbastanza evidente perché sia necessario alcun commento. Non sono dieci anni che i paesi del SudEst asiatico hanno riconquistato la loro
L'ASIA SUDORIENTALE TRA DUE MONDI 45
indipendenza, ed é tuttavia già lunga la storia dei tentativi fatti dalle potenze occidentali per influenzare i paesi stessi nella scelta che ad essi si impone.
Nel clima psicologico che ha seguito l'epoca coloniale, ogni sforzo dell'Occidente per riannettersi indirettament[...]

[...]on degli esempi, perché il medesimo fenomeno s'é verificato nella maggioranza dei paesi economicamente arretrati in cui l'assistenza straniera ha tentato di agire. Portiamo, tuttavia, almeno un esempio. Milioni di dollari sono stati investiti nel Brasile. Grattacieli, fabbriche, città immense sono state edificate. Ma il Brasile resta
L'ASIA SUDORIENTALE TRA DUE MONDI 47
forse il solo paese del mondo in cui il consumo di candele sia in aumento, ciò che prova incontestabilmente lo stato di ristagno economico delle campagne. Dietro i grattacieli scintillanti di Rio o di San Paolo si estendono regioni immense abitate da una popolazione miserabile e arretrata, che non ha il potere d'acquisto necessario per procurarsi i prodotti fabbricati nelle grandi città.
Un altro esempio, per dimostrare la necessità di certe condizioni politiche e sociali alla base dello sviluppo economico : esaminiamo un paese come la Birmania. In cento anni di amministrazione britannica, il reddito nazionale si è moltiplicato per dodici o per quattordici. Ma le stati[...]

[...]prestigio, e per ragioni analoghe, l'arredamento Impero o della monarchia al suo apogeo. A Berlino, le più belle case ricordavano l'interno d'una di quelle corazzate che fecero credere al Kaiser di poter conquistare il mondo. In India, i nuovi ricchi costruiscono le loro ville nello stile dei Mogol. Penso che queste osservazioni possano applicarsi a civiltà intere.
Se a noi occidentali è riuscito di tanto progredire rispettó al resto del mondo, ciò è dovuto ad un concorso di circostanze unico in un dato momento della nostra storia. I fattori principali sono stati tre : il nostro entusiasmo di puritani per il risparmio e per l'investimento produttivo di questo risparmio; la dura volontà di guadagno e lo spirito d'iniziativa dei nostri uomini d'affari; la mobilità e l'adattabilità della nostra mano d'opera. Questo concorso di fattori — ciò che chiamiamo iniziativa privata o economia
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liberale — ci ha dato la possibilità, in un dato momento della nostra storia, di moltiplicare i nostri beni di produzione, di sfruttare continenti nuovi e di estendere la nostra impresa su parti immense d'umanità che non avevano beneficato di questo concorso unico di circostanze. Questo periodo di fioritura dell'economia liberale e della libera impresa è stato il più brillante della nostra civiltà, e noi cerchiamo ancora di ammobiliare con i suoi ricordi il mondo che ci circonda, proprio come facciamo coi candelieri dell'epoca vitto[...]

[...]dito in generale manca, e la produzione ne risente. La maggior parte é gravemente indebitata. Infatti, in tutte queste regioni, quello che detiene la massa di risparmio esistente è un gruppo assai esiguo. Vi sono, certo, delle eccezioni; certuni hanno fatto prova, con successo, di spirito d'iniziativa; ma, nell'insieme, quell'esiguo gruppo che detiene tutto il risparmio del paese si contenta di trarre dei modesti benefici dalla terra e dal commercio; é ben raro che esso rischi i suoi capitali in campi nuovi. Esaminiamo la zona che va dal Pakistan all'Indonesia; un piccolo gruppo di proprietari investe i suoi capitali nella proprietà fondiaria e immobiliare, il commercio di esportazione e importazione, le sale di spettacolo, o ancor più semplicemente l'oro e i preziosi. L'investimento industriale è un caso del tutto eccezionale. Il tenore di vita in India è tra i più bassi del mondo; purtuttavia l'India importa ancora grandi quantità d'oro per rispondere al tradizionale istinto di tesaurizzazione. Se esistessero statistiche in materia, si potrebbe probabilmente provare che nell'insieme della penisola indiana le somme spese dalla popolazione, ricca o povera, per l'acquisto di gioielli d'oro e d'argento, superano quelle destinate ai beni di produzione. Si tratt[...]

[...]assi del mondo; purtuttavia l'India importa ancora grandi quantità d'oro per rispondere al tradizionale istinto di tesaurizzazione. Se esistessero statistiche in materia, si potrebbe probabilmente provare che nell'insieme della penisola indiana le somme spese dalla popolazione, ricca o povera, per l'acquisto di gioielli d'oro e d'argento, superano quelle destinate ai beni di produzione. Si tratta di tradizioni profondamente radicate; ma non è perciò meno vero che l'attività dei proprietari, di coloro che detengono il risparmio, non contribuisce che pochissimo all'accrescimento del potenziale di produzione. In Occidente il « capitalista » dell'epoca della rivoluzione industriale rischiava i suoi capitali; egli credeva all'impresa e, quali che fossero i suoi moventi, creava nuovi mezzi di produzione. Nel SudEst asiatico moderno, come d'altronde in tutti i paesi economicamente arretrati, il « capitalista. » possiede immobili e terra dati in fitto, dà danaro in prestito o fa collezione di palazzi o di perle. Solo in casi del tutto eccezional[...]

[...]: per accrescere del 2,5% annuo il loro reddito, i paesi dell'Asia sudorientale dovrebbero investire nell'industria e nell'agricoltura il 20% circa del loro attuale reddito nazionale. Ponendo che il reddito individuale medio sia di 70 dollari l'anno, giungiamo a un totale di 42 miliardi di dollari. Occorrerebbe dunque destinare 8,5 miliardi annui all'investimento; laddove il risparmio netto di questi paesi non eccede il 4% del reddito nazionale, cioè approssimativamente un miliardo e mezzo di dollari. Anche, dunque, se tutto il risparmio venisse investito in modo produttivo (ciò che non é), mancherebbero ancora oltre 7 miliardi di dollari annui. Inoltre — e arriviamo qui all'aspetto più tragico
L'ASIA SUDORIENTALE TRA. DUE MONDI 51
del problema — la popolazione asiatica aumenta annualmente dell'1,52%. Dunque, anche se per miracolo potessero trovarsi le somme necessarie, il miglioramento del tenore di vita non sarebbe del 2,5%, ma supererebbe appena l'1%.
Torna opportuno ricordare che di fronte a questi bisogni — sette miliardi di dollari all'anno — gli investimenti privati, i prestiti governativi e i diversi programmi d'assistenza non superano complessivamente i 2[...]

[...]mico dalla sua attrattiva puramente finanziaria. La remunerazione del lavoro ha costituito uno stimolo sufficiente in Occidente; evidentemente non é così nell'Asia sudorientale. La funzione svolta nell'espansione economica occidentale dai capi d'impresa dev'essere assunta nel SudEst asiatico da organismi governativi. In una parola, in mancanza di quel concorso unico di circostanze che assicurò la prosperità materiale dell'Occidente, occorrerà, acciocché un'espansione analoga possa compiersi nel SudEst asiatico (come d'altronde, a mio avviso, in qualunque altro paese economicamente arretrato) che essa sia diretta dall'alto: che l'iniziativa venga dai governi, che l'amministrazione sia assicurata dallo Stato. Occorrerà, insomma, una pianificazione di stato.
La storia offre pochi esempi di paesi che abbiano imitato, in un ambiente sociale differente, l'espansione materiale dell'Occidente. Si pensa irresistibilmente al Giappone, alla Russia, e alla più recente esperienza della Cina. I tre esempi sembrano suffragare la nostra tesi.
Il Giapp[...]

[...]el Passo di Khaibar, li ho visti pulire i fucili mentre ascoltavano un'emissione radio da un piccolo apparecchio americano. Tutta questa gente va al cinema e sfoglia i giornali illustrati; sa che nelle altre regioni del mondo i piaceri della vita sono tutt'altri; ed è assai più facile allargare il campo delle sue abitudini e dei suoi bisogni, che aumentare le sue risorse produttive. Ma questo non é che un aspetto del problema. Ve n'è un altro, e cioè che tutti questi milioni di uomini hanno ormai compreso che per metter fine alla loro servitù economica v'è bisogno di macchine. Il loro nazionalismo, sempre più profondo e appassionato, reclama l'uguaglianza con il resto del mondo; e per ottenere quest'uguaglianza bisogna passare per le fabbriche; la maggior parte di essi lo comprende, anche se l'idea gli dispiace. Dopo secoli di soggezione, non è un esercito di uomini come Albert Schweitzer o di funzionari del Punto Quarto, non è l'artigianato, non sono i portacenere dipinti o i telai a mano che daranno a questi uomini l'uguaglianza che de[...]

[...]on è un esercito di uomini come Albert Schweitzer o di funzionari del Punto Quarto, non è l'artigianato, non sono i portacenere dipinti o i telai a mano che daranno a questi uomini l'uguaglianza che desiderano; essi, o almeno le loro élites, lo sanno. Questa uguaglianza così ardentemente desiderata non potrà venire che da un'industria possente, da fabbriche capaci di produrre acciaio, aerei a reazione e, al bisogno, persino bombe atomiche. Tutto ciò, essi lo sanno. Ciò che tanti asiatici anche non comunisti ammirano nell'Unione Sovietica non sono le fabbriche, non è il monolitismo di una società disciplinata, non sono i campi di lavoro forzato (tutte cose che, al contrario, li spaventano); ciò che essi ammirano è il fatto che un paese arretrato quanto il loro abbia potuto trovare il mezzo di mettersi su un piede d'uguaglianza col mondo privilegiato dell'Occidente, e di imporgli timore e rispetto.
Per rattristante che ciò possa sembrarci, non dobbiamo nascondercelo : sarebbe un errore gravissimo ignorare le passioni ispirate dal desiderio di una liberazione totale, e credere che gli uomini agitati da queste passioni trascureranno i mezzi più efficaci per conseguire il loro fine.
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Ma torniamo al nostro assunto. Abbiamo visto che oggi, nel SudEst asiatico, le circostanze che hanno permesso il successo della libera iniziativa nel mondo occidentale non esistono. Non è l'iniziativa privata che darà impulso all'espansione dei mezzi di produzione; saranno delle direttive 'concertate venute dal ceto di[...]

[...]e circostanze che hanno permesso il successo della libera iniziativa nel mondo occidentale non esistono. Non è l'iniziativa privata che darà impulso all'espansione dei mezzi di produzione; saranno delle direttive 'concertate venute dal ceto dirigente e rafforzate da una campagna d'educazione ideologica capace di fornire gli incentivi necessari.
Abbiamo visto più sopra che un paio di migliaia d'anni fa l'Asia sudorientale fu il territorio d'incrocio di due scuole rivali, emananti l'una dalla Cina l'altra dall'India; due scuole da cui la zona in questione derivò la sua eredità culturale. Oggi la storia si ripete; India e Cina di nuovo spediscono dottori e missionari a portare le rispettive ideologie nell'insieme del SudEst asiatico. Di nuovo, é l'ombra di questi due paesi a pesare sul pensiero di quei popoli. E che cosa vediamo?
L'India sta realizzando un piano quinquennale sotto la direzione di un governo devoto a un ideale occidentale di libertà politica, malgrado le ineluttabili concessioni implicate da una certa forma di coordinament[...]

[...]a. Né v'è per essi altra scelta possibile.
Se tra cinque, dieci, quindici anni, i seicento milioni di abitanti del SudEst asiatico si renderanno conto, su prove tangibili, che il sistema cinese ha dato risultati migliori del sistema indiano,
L'ASIA SUDORIENTALE TRA DUE MONDI 57
saranno tentati d'imitare l'esempio della Cina. In questo caso, un altro quarto dell'umanità passerà dal campo occidentale all'altro lato della barricata ideologica, e ciò avverrà, in gran parte, perché l'Occidente non sarà stato capace di rivedere concezioni divenute inapplicabili e di ammettere che liberalismo economico e libera iniziativa, non potevano risolvere i problemi sociali del SudEst asiatico.
Se non vogliamo assistere ad una evoluzione in questo senso, una sola strada ci é aperta : fare tutto il possibile perché l'esperienza indiana riesca meglio della pianificazione forzata dei cinesi, e perché i suoi risultati siano più attraenti. Non basterà, per questo, di depositare qualche centinaio di milioni di dollari nelle casse del signor Nehru, poiché c[...]

[...]ico e libera iniziativa, non potevano risolvere i problemi sociali del SudEst asiatico.
Se non vogliamo assistere ad una evoluzione in questo senso, una sola strada ci é aperta : fare tutto il possibile perché l'esperienza indiana riesca meglio della pianificazione forzata dei cinesi, e perché i suoi risultati siano più attraenti. Non basterà, per questo, di depositare qualche centinaio di milioni di dollari nelle casse del signor Nehru, poiché ciò non riguarda che un aspetto della questione. Il vero problema é di rigettare utopie pericolose e di trovare metodi nuovi perché quel qualche centinaio di milioni di dollari divenga realmente produttivo; e per questo bisognerà probabilmente rivedere tutta una serie di concetti che ci sono ancora cari in Occidente.
Bisognerà ammettere la necessità di una certa costrizione, e far apparire il capitale nazionale necessario mediante un risparmio forzoso. Bisognerà probabilmente riconoscere che per ottenere risultati, anche modesti, una pianificazione delle più rigide dovrà sostituire l'iniziativa [...]

[...]ili misure non sono forse del tutto compatibili con la nostra nozione di libertà politica e di democrazia parlamentare. Infine, bisognerà qualche volta riconoscere — ed é questa una verità ancor più difficile da ammettere — che per realizzare quest'opera con l'onestà e la determinazione necessarie, i meglio
58 TIBOR MENDE
qualificati non saranno forse quegli uomini che, attualmente, meglio rispondono ai voti politici dell'Occidente.
Ma perché ciò sia possibile, bisognerà modificare radicalmente certe idee profondamente radicate nel mondo occidentale. Dirò di più. Tutti sanno che il popolo meglio qualificato per aiutare economicamente i popoli arretrati é anche quello che, per lo svolgimento stesso della sua storia, continua a coltivare con maggior attaccamento l'ideale del liberalismo economico. Finché l'americano medio crederà che il liberalismo economico e la libertà d'iniziativa siano all'origine della sua prosperità, difficilmente accetterà che una parte delle imposte che paga serva ad organizzare una struttura economica rigidamen[...]



da Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, I minatori maremmani (con tre documenti) [documenti: Lettera del Sindacato Minatori aderente alla CGIL, al Distretto Minerario di Grosseto del 7-8-1953 in cui si prospettano i pericoli derivanti dai metodi di conduzione della miniera, e in particolare dal cosiddetto metodo dei franamenti del tetto, firmata in calce «per la segreteria» Betti Duilio; Lettera di risposta del Distretto Minerario di Grosseto del 29 Ottobre 1953 firma in calce «L'ingegnere capo» Tullio Segu... in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]o dei paesi della zona, Montieri, allude esplicitamente (« mons aeris ») ad una origine mineraria.
Oggi il principale prodotto minerario della Maremma é la pirite, un bisolfuro di ferro, che viene usato, con il processo delle camere di piombo, per la fabbricazione dell'acido solforico, elemento fondamentale per la produzione di esplosivi e di concimi chimici. Nel 1953 in provincia di Grosseto sono state estratte 956 mila tonnellate di pirite, e cioè l'80 per cento della pirite nazionale. A sua volta la pirite italiana rappresenta quasi il 10 per cento della produzione mondiale, per cui si può dire che la pirite maremmana costituisce quasi l'8 per cento della produzione mondiale.
Al secondo posto della produzione mineraria maremmana troviamo la lignite (189 mila tonnellate estratte nel 1953). Di gran lunga inferiore la produzione di altri minerali (mercurio, antimonio, caolino, piombo, sostanze refrattarie). In complesso l'attività mineraria maremmana impiega circa 9 mila lavoratori, pari al 12 per
2 LUCIANO BIANCIARDI CARLO CASSOLA
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[...] lunga inferiore la produzione di altri minerali (mercurio, antimonio, caolino, piombo, sostanze refrattarie). In complesso l'attività mineraria maremmana impiega circa 9 mila lavoratori, pari al 12 per
2 LUCIANO BIANCIARDI CARLO CASSOLA
cento della popolazione mineraria italiana, e dà una produzione annua del valore di almeno dieci miliardi.
La pirite di ferro si estrae in Maremma nelle tre miniere principali di Gavorrano, Boccheggiano e Niccioleta, e nelle minori di Ravi, Ritorto e Isola del Giglio. Di recente si é iniziato anche il lavoro preparatorio per lo sfruttamento di un importante giacimento al Monte Argentario; e non é improbabile che tutto il massiccio delle Metallifere nasconda un immenso giacimento di pirite, sfruttato sino ad oggi solo in minima parte. Le miniere attualmente, in funzione hanno comunque assicurata l'attività per parecchi decenni.
Fatta eccezione per le miniere di Ravi, Ritorto e Monte Argentario, che appartengono rispettivamente alla Marchi, alla STIMA, ed alla FERROMIN, le altre miniere, ivi incluse le tre principali, appartengono alla Montecatini. La Montecatini controlla quindi tutta la pirite italiana, sia in fase estrattiva, che nelle successive trasformazioni. Questa società infatti estrae il 75 per cento della pir[...]

[...]e di profitti difficilmente calcolabili, dato che si realizzano alla fine del ciclo di lavorazione, ma che non dovrebbero essere inferiori, per il 1953, e per il solo bacino piritifero maremmano, ai 2 miliardi di lire (1).
La più antica fra le miniere di pirite maremmane é quella di Gavorrano : la sua scoperta risale al 1898. Ma già nella prima metà del secolo scorso aveva destato interesse un ammasso ferruginoso di limonite (il cosiddetto « brucione »), che poi era niente altro che lo strato affiorante del giacimento, con le relative alterazioni prodotte dagli agenti atmosferici. Si era tentato già allora di utilizzare il brucione in siderurgia, per la fabbricazione della ghisa, ed un piccolo stabilimento era sorto a questo scopo in località Bagno di Gavorrano; ma il fallimento dell'impresa troncb i lavori di escavazione, che erano stati molto superficiali e non avevano dato quin
(1) Per determinare i profitti delle Società ci siamo basati sui dati forniti dalle Commissioni Interne.
I MINATORI MAREMMANI 3
di la possibilità di rilevare la presenza del giacimento di pirite. Fu solo nel 1898 che la Società Praga di Roma scopri sotto l'ammasso di brucione il giacimento, un deposito di oltre quattrocento metri di poten[...]

[...]a sorto a questo scopo in località Bagno di Gavorrano; ma il fallimento dell'impresa troncb i lavori di escavazione, che erano stati molto superficiali e non avevano dato quin
(1) Per determinare i profitti delle Società ci siamo basati sui dati forniti dalle Commissioni Interne.
I MINATORI MAREMMANI 3
di la possibilità di rilevare la presenza del giacimento di pirite. Fu solo nel 1898 che la Società Praga di Roma scopri sotto l'ammasso di brucione il giacimento, un deposito di oltre quattrocento metri di potenza (l'apice si trova infatti a 235 metri, e le esplorazioni sono giunte fino a 200 metri sotto il livello del mare). Lo sfruttamento viene oggi realizzato per mezzo di due grandi pozzi, il « Roma » e l'« Impero » (i nomi indicano l'epoca in cui la miniera fu potenziata, durante la guerra d'Africa). Dai due pozzi principali si distaccano le gallerie, e da queste i cunicoli di avanzamento ed i fornelli di estrazione. Fra sorveglianti, impiegati ed operai, i dipendenti della Montecatini a Gavorrano sono 1700, in buona parte abitant[...]

[...]genti sindacali ci hanno fatto osservare la sospetta puntualità con cui gli autobus arrivano e ripartono : allo scopo, si dice, di impedire i contatti tra i minatori di Gavorrano e quelli degli altri paesi. Ma di queste « astuzie » avremo modo di parlare in seguito. Una ottantina di operai scapoli abitano infine nei cosiddetti «:camerotti », vecchie costruzioni già allestite per alloggiare prigionieri di guerra.
A Boccheggiano la pirite si cominciò ad estrarre nel 1910: anche in questo caso l'attenzione dei ricercatori fu in un primo tempo attratta dalla limonite affiorante in superficie. La miniera pareva destinata ad un rapido esaurimento, quando le ricerche misero in evidenza nuovi filoni : i recentissimi lavori per la costruzione di una galleria di scolo delle acque di miniera, lunga 7 chilometri, nonché la costruzione di nuovi impianti per lo sfruttamento integrale del minerale scartato negli anni passati, hanno ridato vitalità a questo sta'biliinento, che oggi dà lavoro a circa 1100 operai; essi risiedono in gran parte nel vecchio[...]

[...]ometri, nonché la costruzione di nuovi impianti per lo sfruttamento integrale del minerale scartato negli anni passati, hanno ridato vitalità a questo sta'biliinento, che oggi dà lavoro a circa 1100 operai; essi risiedono in gran parte nel vecchio paese di Boccheggiano, sito su un cocuzzolo dominante la val di Merse, o nei vicini paesi di Prata, Tatti, Roccatederighi, Montieri, Ciciano, Chiusdino.
La più recente delle tre miniere é quella di Niccioleta, di cui
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fu iniziato lo sfruttamento solo nel 1929; a quell'epoca risale anche la fondazione dell'omonimo villaggio minerario, che non figura ancora sulle carte topografiche, benché ormai conti una popolazione di 1500 persone. La miniera di Niccioleta occupa oltre 1400 dipendenti, che abitano in parte nel paese omonimo, in parte nei vicini centri di Massa Marittima, Prata e Monterotondo. Le gallerie di sfruttamento operano a quattro livelli diversi (175, 178, 252, 320 metri). L'estrazione si realizza per mezzo di sei pozzi, due di produzione e gli altri di areazione e di sgombero. I pozzi si chiamano Mezzena, Montomoli, Fonte Grilli, Serpieri, Ovest : sono, come si vede, nomi di località, o degli ingegneri costruttori, o semplicemente di un punto cardinale. Dal ciglio della collina su cui sorge il paesino, si abbraccia con un unico col[...]

[...], o semplicemente di un punto cardinale. Dal ciglio della collina su cui sorge il paesino, si abbraccia con un unico colpo d'occhio tutto il complesso della miniera, che si stende nella vallata sottostante : una vallata interamente boscosa che certo, prima del '29, era conosciuta solo dai boscaioli e dai cacciatori. Ecco in alto i rompitori che frantumano il materiale, più giù tutta la serie dei canali e dei traballatori che separano lo sterile, cioè gli scisti permici mischiati sempre con la pirite, e che, scartati, formano quei mucchi immensi, biancastri, che seppelliscono lentamente la vegetazione circostante. È una vera e propria colata che la miniera vomita tutto intorno. Più in là vediamo i piazzali di caricamento, con le linee sottili dei décauville, ed i castelli di legno, alti e scuri, che segnano l'entrata dei pozzi. Nel fondovalle passano anche i vagoncini della teleferica, una delle più lunghe d'Europa : da Niccioleta questa teleferica si porta infatti sotto Massa Marittima, qui si raccorda con l'altra, proveniente da Boccheg[...]

[...]mpre con la pirite, e che, scartati, formano quei mucchi immensi, biancastri, che seppelliscono lentamente la vegetazione circostante. È una vera e propria colata che la miniera vomita tutto intorno. Più in là vediamo i piazzali di caricamento, con le linee sottili dei décauville, ed i castelli di legno, alti e scuri, che segnano l'entrata dei pozzi. Nel fondovalle passano anche i vagoncini della teleferica, una delle più lunghe d'Europa : da Niccioleta questa teleferica si porta infatti sotto Massa Marittima, qui si raccorda con l'altra, proveniente da Boccheggiano, per proseguire fino al casello ferroviario di Scarlino ed al Puntone di Follonica, dove il minerale viene imbarcato. Al casello di Scarlino fanno anche capo le teleferiche di Gavorrano e di Ravi.
Per conto nostro il paesaggio minerario è francamente bello : le lamentele contro le brutture della civiltà industriale, che deturpa la natura, non ci sembrano qui giustificate. La bellezza del paesaggio minerario è determinata, ci sembra, dal contrasto fra le strutture industriali[...]

[...] miniera alla isola del Giglio, in località Il Faro. Qui i lavori furono cominciati in modo serio solo nel 1938, a cura della Società Mineraria Tirrena. La concorrenza della Montecatini ha avuto ragione di questa società. Oggi la Montecatini é proprietaria della miniera; la pirite estratta viene lavorata nei suoi stabilimenti di Orbetello.
La concorrenza della Montecatini minaccia anche di far chiudere la piccola miniera di Ritorto, vicino a Niccioleta, di proprietà della STIMA, che occupa un centinaio di operai. Anche la Marchi, proprietaria della miniera di Ravi, lavora in certo qual modo sotto il controllo della maggiore consorella; quanto alla Ferromin, pro prietaria del giacimento dell'Argentario (20 milioni di tonnellate di pirite già localizzate) ha sospeso di recente i lavori di allestimento, sempre a causa della concorrenza della Montecatini. Lo stesso prezzo commerciale della pirite, fissato a 7 mila lire la tonnellata, pub sembrar basso, se si considera che la Montecatini lavora praticamente in situazione di monopolio; ma si [...]

[...]gli altissimi profitti realizzati dalla Montecatini nel campo delle piriti: quálcosa come 2 miliardi annui, pari a 25 mila

8 LUCIANO BIANCIARDI CARLO CASSOLA
II
Può sembrare strano, ma in Maremma non esiste il termine « minatore » : i lavoratori delle miniere si chiamano « operai ». Minatore ha un significato tecnico ben preciso, ed indica quegli operai che sono direttamente impegnati nell'estrazione del minerale (una esigua minoranza, perciò). La distinzione fondamentale degli operai é quella fra « interni », addetti al lavoro di sottosuolo, ed « esterni ». Numerose le sottodistinzioni : elettricisti, che sono addetti all'illuminazione; armatori, cioè gli operai addetti ad « armare » le gallerie; carichini, cioè quelli che eseguono le « sparate vale a dire le esplosioni delle cariche mediante le quali si abbatte la roccia : arganisti, che manovrano gli argani ai pozzi d'accesso; stradini, addetti alla manutenzione dei décauville; finalmente i minatori, termine, come si é detto, inesistente nel gergo operaio : gli operai addetti al lavoro estrattivo si definiscono « operai a produzione ».
Il gruppo minimo estrattivo è la compagnia, composta di solito di due soli operai, il minatore e l'aiuto minatore. Un gruppo di compagnie, in generale dieci, è sorvegliato da un « caporale » (nel gergo di miniera s[...]

[...] Di solito il caporale è un operaio anziano, promosso a quel grado per qualità di provata esperienza, ma di recente le società hanno cominciato a far ricorso a dei sottotecnici, con un minimo di licenza scolastica. Ogni miniera inoltre ha due o tre caporalmaggiori, ciascuno preposto ad un gruppo di cinque caporali, con il controllo quindi di una media di cinquanta compagnie.
L'apparato propriamente direttivo della miniera è costituito da un ufficio tecnico, dal quale dipendono cinque o sei capiservizio, tutti ingegneri o periti minerari, con a capo il vicedirettore; e da un ufficio amministrativo, diretto da un capoufficio. Il capoufficio ed il vicedirettore sono subordinati alla maggiore autorità della miniera, il direttore, il quale soprintende sia al lavoro tecnico che all'amministrazione.
Di recente la Montecatini ha istituito al disopra dei direttori
I MINATORI MAREMMANI 9
di miniera un Gruppo Miniere Maremma, con un segretario, i cui compiti, definiti « assistenziali », sono in realtà politici. Ma di questo ultimo organismo parleremo dopo.
Ogni miniera ha anche un certo numero di guardie giurate (in media da dieci a venti) reclutate prevalentemente fra gli excarabinieri : queste guardie vestono una divisa nera, con i[...]

[...]le a queste cifre moltiplicate per venticinque. Un'assenza per festività, per malattia, o per qualsiasi altra ragione, non viene retribuita : fanno eccezione le ferie annuali, che sono di dodici giorni per gli operai con meno di sette anni di lavoro, e di quattordici per quelli che hanno superati i setti anni.
Alla paga si aggiunge la retribuzione dei cottimi, alla quale però sono ammessi solo gli operai direttamente impiegati nella produzione, cioè i minatori e gli armatori. Gli altri ricevono solamente 75 lire giornaliere a titolo di indennità per mancato cottimo. Agli impiegati, sia tecnici che amministrativi, spetta un premio di produzione, proporzionale al tonnellaggio mensile di minerale estratto.
Il calcolo dei cottimi non é casa semplice. È regolato da un accordo, che stabilisce i minimi di produzione (la cosiddetta « produzione ad economia »), che occorre superare per poter beneficiare del cottimo. Una compagnia, che nel giro di un turno lavorativo estragga un quantitativo di minerale inferiore all'economia, viene punita con m[...]

[...]i operai ad una sorta di gara di velocità, contro quello che sarebbe stato il loro più elementare interesse. Inoltre i calcoli complicati sono facili a provocare, se non la frode, almeno il sospetto di essa. Gli operai più anziani e più autorevoli protestarono col direttore, a Gavorrano, e questi li assicurò che il nuovo metodo andava bene, e che in nessun caso avrebbero avuto paghe inferiori alle solite : non pochi salari furono aumentati d'ufficio, avendo il Bedaux dato risultati inferiori, per calmare i più scontenti.
D'altra parte la crisi economica portò in quel tempo ad una diminuzione dei salari degli operai, in misura che raggiungeva persino il 28 per cento. Quando poi la razionalizzazione dei servizi portò al licenziamento di parecchie centinaia di operai, a Boccheggiano ed a Gavorrano si ebbe una vera e propria insurrezione : gli operai entrarono a forza negli uffici della direzione, sfasciando imposte e mobilio : le spese maggiori le fecero, com'era logico, le odiate macchine che calcolavano il Bedaux e compilavano il foglio [...]

[...]no di arrestare i sediziosi, anzi, furono gli stessi gerarchi fascisti del luogo ad intromettersi in favore degli operai.
I MINATORI MAREMMANI 13
Il Bedaux non superò così la fase sperimentale, e fu messo in disparte.
Durante la guerra gli operai, fra i quali le idee antifasciste erano assai diffuse, parteciparono attivamente alla lotta partigiana. Quando i tedeschi iniziarono la ritirata, per impedire azioni di sabotaggio nella miniera di Niccioleta furono disarmati i repubblichini e venne costituito un servizio di vigilanza sulle installazioni della miniera. La rappresaglia fascista fu sproporzionata e feroce : un reparto italotedesco di S.S. massacrò 83 minatori (1314 giugno 1944).
Nel dopoguerra pareva che la Montecatini si fosse fatta più aperta e comprensiva : rivalutati i salari, vennero riconosciuti i di' ritti delle commissioni interne a partecipare alla vita produttiva della miniera. Le prime avvisaglie di restrizioni sono posteriori al 18 Aprile 1948, ma diventarono più pressanti durante e dopo quella che si è chiamata la [...]

[...]nere il cottimo collettivo. Era una grossa pasta, forse sproporzionata alle possibilità generali di lotta in un clima come quello dell'Italia di allora. Il fallimento dell'obbiettivo fondamentale (anche se si ottennero non trascurabili risultati marginali) segnò l'inizio della controffensiva della Montecatini. I diritti delle commissioni interne vennero lentamente ristretti. Soprattutto si provvide ad isolarle, confinando il segretario in un ufficio sorvegliato costantemente dalle guardie giurate e quindi sempre meno in grado di svolgere la sua funzione. Oggi l'operaio che vuol conferire con il segretario della C. I. deve prima ottenere l'autorizzazione del direttore. Ma soprattutto con un'azione discriminatoria nelle assunzioni, nella concessione di premi, licenze, permessi, si é mirato a stroncare la forza organizzata delle maestranze. Gli attivisti politici e sindacali sono perseguiti in vari modi : si cambia loro di frequente il posto di lavoro, li si concentra tutti nello stesso cantiere, li si esclude da premi e gratifiche, od addi[...]

[...] maestranze. Gli attivisti politici e sindacali sono perseguiti in vari modi : si cambia loro di frequente il posto di lavoro, li si concentra tutti nello stesso cantiere, li si esclude da premi e gratifiche, od addirittura si ricorre alla multa, alla sospensione, al licenziamento. Alla fine della lotta dei cinque mesi furon licenziati, fra
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gli altri, e per dichiarati motivi sindacali, gli operai Chedo Periccioli, Arnaldo Nannetti, Bino Malossi, Ideale Tognoni, della miniera di Boccheggiano, e i sorveglianti Lamberto Fierli ed Armelindo Prati, della miniera di Ribolla. Le motivazioni sono esplicite : « Perché si presume abbia fatto delle scritte in miniera », « per aver aderito ad uno sciopero », « per aver tenuto un'assemblea durante uno sciopero », « per essere intervenuto durante una riunione della Commissione Interna », « per aver reclamato contro un rapporto del capoguardia ».
I casi più recenti sono ancora più gravi. Otello Tacconi, operaio di Ribolla, é stato licenziato in questi mesi per aver criticato la Montecatini in un articolo di giornale. « Grave insubordinazione » afferma la società, ed aggiunge, per bocca dei suoi dirigenti, che « non è lecito sputare sul piatto nel quale si mangia ». Per lo stesso reato sono stati licenziati gli operai Arnaldo Senesi e Luigi Mezza, di Gavorrano il primo e di Monte Argentario il se[...]

[...]a CGIL, che peraltro regredì un poco dopo la lotta dei cinque mesi. Assai scarsa la forza della CISL, assente addirittura in alcune miniere; più consistente quella della UIL.
Nelle ultime elezioni per la commissione interna, avvenute nel '52, la situazione era la seguente, nelle principali miniere:
Gavorrano: CGIL 997 voti e 5 seggi; CISL 162 voti e 1 seggio; UIL 147 voti e 1 seggio; Indipendenti 70 voti e 2 seggi;
I MINATORI MAREMMANI 15
Niccioleta: CGIL 889 voti e 7 seggi; UIL 335 voti e 4 seggi;
Boccheggiano : CGIL 656 voti e 6 seggi; CISL e UIL unite 184 voti e 3 seggi;
Ribolla : CGIL 991 voti e 9 seggi; CISL e UIL unite 181 voti e 3 seggi;
Baccinello : CGIL 92 voti e 3 seggi; CISL 37 voti e 1 seggio; UIL 28 voti e 1 seggio;
Ravi: CGIL 236 voti e 3 seggi; UIL 54 voti e 1 seggio; CISL 14 voti.
IV.
Opera del Riccardi è l'inclusione in miniera del « prete di fabbrica », un sacerdote che dipende dall'ONARMO, e che fa azione spirituale presso gli operai e le loro famiglie : una voce non smentita vuole che il prete di fabbrica ri[...]

[...]o sparse in disordine, senza un vero e proprio tracciato urbano, case grigie e squallide, anche quelle degli impiegati o del direttore, e l'impressione prima é che non siano mai state nuove, anche se risalgono a pochi anni or sono. Sparso qua e lá il materiale di miniera, travi, legname da armatura, e detriti, in 1lna campagna brulla, senza più una fresca nota di verde. Al centro della vita urbana la grossa e goffa costruzione littoria dello spaccio aziendale, del bar e del circolo. Per le strade polverose e diseguali, con pochi alberi, passeggiano su e giù due carabinieri col mitra a brac
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ciarm, a tratti compaiono le nere figure delle guardie giurate che scrutano il forestiero.
Alla fine dei turni sfilano a piccoli gruppi gli operai, davanti al basso magazzino delle lampade ad acetilene : un altoparlante li avverte dei pericoli della miniera, legge i motivi delle punizioni, minaccia multe. Con l'inasprimento della lotta sindacale (e quasi certamente per questo, anziché per deficienze tecniche di l[...]

[...]ella sua responsabilità. Ma il fatto é che il Bartolini era gravemente affetto da silicosi : impegnato in un lavoro pesante, con aria impura, é stato preso da uno svenimento, durante il quale é sopraggiunta la paralisi. Se nelle miniere di lignite c'é il rischio professionale dei reumatismi e degli scoppi di grisou, in quelle di pirite la silicosi é, per i minatori, praticamente inevitabile. La silicosi é la conseguenza del lavoro sulla piastra, cioè sugli strati silicei che separano i filoni del minerale. Sotto l'azione dei perforatori si leva una gran polvere di silicio che, respirata, attacca i polmoni dei minatori provocando traumi, e preparando il terreno alla tbc. Una percentuale del 25 per cento, fra i ricoverati nel sanatorio di Grosseto, é costituita da minatori.
Anche a Ribolla gli incidenti vanno aumentando, ed il medico della società li attribuisce ad una causa più psicologica che tecnica. In realtà i rapporti delle C. I. e delle organizzazioni sindacali han spesso denunciato come pericoloso il metodo di coltivazione a franamento e la insufficiente ventilazione delle gallerie. L'attuale direttore della miniera, che è un dirigente palesemente polit[...]

[...]à qualche innocua informazione e si raccomanda poi che non si faccia il suo nome. In questi giorni é stato licenziato, per scarso rendimento.
Il clima della vita dei tecnici e degli impiegati é questo : scarsi i contatti e le visite reciproche, quando ci si trova, dopo il lavoro, non si parla di nulla, se non di donne, o si raccontano barzellette il più possibile anodine; da qualche tempo, fra gli argomenti da evitare, c'é anche il gioco del calcio.
Ribolla, subito dopo la fine della guerra, ebbe una brillante squadretta, che giocava nelle divisioni minori : a quel tempo infatti il direttore era un tifoso del football. Il direttore attuale non ne vuol sapere, e fa squadra langue. I tecnici e gli impiegati preferiscono il tennis, perché questo é lo sport che piace all'ingegnere, il quale ama canzonarli per la loro inabilità, quando si cimentano con la racchetta in mano. Sul lavoro poi è mordace : « All'Ente Maremma vi manderei, quello è il posto adatto per voi ». L'Ente Maremma, infatti, nel ceto medio locale, passa per una greppia che [...]

[...]lo dei signori ».
Quanto all'attività culturale, il circolo ha allestito una piccola biblioteca, ha organizzato alcune conferenze, tenute da professori americani, da impiegati dell'USIS, da padri gesuiti, dallo stesso Riccardi, che ha parlato di Garcia Lorca. Fu organizzato un circolo del cinema, affiliato all'UICC, che proiettava film in formato ridotto; si tennero serate filodrammatiche e piccoli concerti : una o due manifestazioni al mese, e cioè un'attività culturale disorganica e frammentaria, che si è andata man mano estinguendo. La fortuna del circolo, a conti fatti, è stata affidata alle serate danzanti ed alle cene.
Lo scopo politico dell'iniziativa culturale del Riccardi è evidente: si intende rallier la borghesia locale, rastrellando quegli elementi che, in mancanza di altro, finivano col gravitare intorno al locale Circolo Minatori, fondato nel 1949, che gestisce il maggior cinema cittadino, ed organizza conferenze culturali, concerti, rappresentazioni in anteprima, sostiene un circolo del cinema, aderente alla FICC, ed ha [...]

[...] dei franamenti del tetto;
2) la risposta, di tono complessivamente tranquillante, del Distretto Minerario di Grosseto;
3) una seconda lettera del Sindacato Minatori, ohe si dichiara insoddisfatto dei chiarimenti forniti e ribadisce il proprio punto di vista sullo stato di pericolo esistente nella miniera di Ribolla.
RIBOLLA Ribalta, 781953
All'Ispettorato del Lavoro Roma Al Distretto Minerario Grosseto Al Signor Prefetto Grosseto All'Ufficio del Lavoro . Grosseto Alla Direzione Soc. Montecatini Alla Camera del Lavoro Grosseto Alla C. I. S. L. Grosseto
Alla U. I. L. Grosseto
Questo Sindacato, nell'informare le Autorità competenti, gli Enti, le Organizzazioni in indirizzo, sulla situazione esistente nella Miniera dei cantieri e graduale smobilitazione da parte della Soc. Montecatini della miniera stessa, nonché sulla trasgressione della legge di polizia mineraria, ed il continuo pericolo che minaccia la vita dei minatori.
SINDACATO MINATORI COMUNALE
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È bene toner conto innanzi tutto, che [...]

[...]iamo l'attenzione delle Autorità, iddllVIspettorato del lavoro e 'in special modo del Distretto Minerario perché si interponga presso la Soc. Montecatini affinché siano rispettate le Leggi vigenti di polizia mineraria, e si garantisca la continuità della miniera, con nuovi criteri tecnici, produttivi, salvaguardando l'incolumità del personale ed incrementando 1'occupazione di mano d'opera per il bene dell'economia provinciale e nazionale a beneficio della nazione e di tutto il popolo.
p/la Segreteria: BEM DUILIO
I MINATORI MAREMMANI 23
CORPO DELLE MINIERE
DISTRETTO DI GROSSETO
Prot. n. 3999 Grosseto, 29 Ottobre 1953
Oggetto: La situazione della miniera
di Ribolla e la sicurezza nelle miniere.
A S, E. Il Prefetto della provincia di Grosseto
ep.c.
Al Ministero dell'Industria e del Commercio
Direzione Generale delle Miniere
Ispettorato Tecnico Roma.
All'U~zcio Provinciale del Lavoro Grosseto
All'Associazione degli Industriali e Grosseto
Alla Camera Sindacale Provinciale (U. I. L.) Grosseto
All'Unione Sindacale Provinciale (C.S.I.L.) Grosseto
Alla F.I.L.I.E. Federazione Provinciale Grosseto
Al Sindaco del Comune di Roccastrada
Al Sindacato minatori aderente alla C.G.I.L. Ribolla
Con riferimento allarichiesta delll'Erc. Vostra e al recente interessamento di organi sindacali e della stampa relativamente alla situazione nella Miniera di Ribolla e alla sicurezza nelle miniere della Provincia, lo scrivente si pregia di fornire le seguenti no[...]

[...] di organi sindacali e della stampa relativamente alla situazione nella Miniera di Ribolla e alla sicurezza nelle miniere della Provincia, lo scrivente si pregia di fornire le seguenti notizie.
MINIERA DI RIBOLLA
La produzione e la mano d'opera. — 11 rendimento delle miniere di lignite e di carbone di tutto il mondo si avvicina alla tonnellata/.uomo/giorno o la supera anche sensibilmente.
Infatti dalle riviste e libri reperibili in questo ufficio si ricavano i dati della tabella seguente.
Rendimento in Kg : uomo giorno
u ti U. S. A.
Anni Ribolla Sarre ,° '' Paesi
o Bassi . Antracite

w
Carb. Bit.
U Lignite
1945 179 733 755 617 1020 2790 5780
1946 229 834 601 939 1050 2840 6300
1947 264 868 597 1120 1090 2780 6420
1948 293 764 618 1326 1130 2810 6260
1949 322 845 711 1047 1180 2870 6430
1950 342 960 779 1426 1210 2830 6770
1951 314 1043 858 1420 1230 2970 7040
1952 441 1037 906 — 1210 — —
24 LUCIANO BIANCIARDI CARLO CASSOLA
Risulta che dei paesi stranieri citati nella tabell[...]

[...]tuale impossibilità non deve intendersi dal punto di vista tecnico (perché tecnicamente è sempre possibile creare 'un circuito indipendente per ogni cantiere) ma solo dal punto di vista economico, e Ribolla, miniera passiva, non può essere gravata ditte lo strettalmente necessario compatibile con la sicurezza. Del resto l'inconveniente, the si è presentato in alcuni cantieri nelle zone vecchie di coltivazione (es. zona di coltivazione dell massiccio di protezione .del pozzo n. 7 e zone contigue) ove cantieri del tipo nuovo a fondo cieco si sono inseriti fra la zona di coltivazione ripiena per lo spoglio dei pilastri, sparirà nel prossimo futuro nedle zone nuove.
Infatti per es. sono stati creati con ventilazione indipendente i cantieri 71, 72, 73, 74, della zona del divello 225 e così, nasceranno gli altri cantieri, salvo qualche eventuale difficoltà per ora non prevedibile.
È doveroso far rilevare che i tracciamenti per la ventilazione indipendente sono stati iniziati mesi prima che fosse stata segnalata la presunta infrazione.
Incen[...]

[...]le gallerie di Ribolla, è facile rendersi conto del fatto che, anche volendolo non si potrebbero tracciare delle gallerie di preparazione con forte precedenza sull'apertura dei cantieri.
Tenuto conto di quanto sopra si considera soddisfacente l'entità dei tracciamenti eseguiti nei primi nove mesi del corrente anno (m. 1326 in carbone, m. 1701 in sterile nonché assaggi con m. 1395 di sondaggi interni) secondo un programma approvato da questo Ufficio e dal superiore Ministero.
Chiusura dei cantieri. — I focolai di incendio che si sviluppano obbligano :a chiudere continuamente dei cantieri creando un tappo stagno nel fornello di ingresso. Per mancanza di aria, o con iniezioni di fango o di cemento il fuoco vien spento e allora il cantiere viene riaperto e il lavoro proseguito. Un solo cantiere, quello della compagnia 8075 della zona Costan
tino, incendiato nell'estate del 1952, riaperto nel gennaio 1953 e incendiatosi di nuovo quasi subito, è stato definitivamente chiuso abbandonando in esso due passate. per circa 1200 tonnellate di lign[...]

[...]ena attività perché i suoi impianti erano usciti quasi indenni all passaggio del fronte. Fu allora che per non disperdere mano d'opera specializzata e per lenire la disoccupazione, la Soc. Montecatini fece affluire operai a Ri bolla dalle altre miniere del gruppo ed anche dalla miniera di Grottaôalda (Sicili a) della stessa Società. Per questo le maestranze di Ribolla hanno raggiunto i1 massimo di circa 3500 unità nel 1947. Già nel '48 pero comincio la flessione del personale sia per il ritorno di molte unità alide miniere di provenienza sia per necessario adeguamento alle minori possibilità di vendita della lignite, entrata in crisi nel 1948, sempre meno richiesta per la concorrenza del carbone estero e per la trasformazione a nafta di molti impianti che usavano lignite.
La sicurezza nelle miniere della Maremma. — L'industria mineraria è quella che in tutto .il mondo presenta 'gli indici di frequenza e di gravità fra i più alti di tutte le industrie. È quindi facile prevedere che vi saranno infortuni ed altrettanto facile è atteggiarsi[...]

[...]vi saranno infortuni ed altrettanto facile è atteggiarsi a censori dopo che un infortunio è avvenuto, dicendo che do si era previsto e segnalato alle autorità competenti. +I1 persistere degli infortuni nelle miniere di tutto il mondo malgrado gli sforzi per combatterli, sta a dimostrare la ineluttabilità del fenomeno e di questo fanno fede gli indici riportati nella tabella seguente; pure essi estratti da libri e riviste reperibili in questo ufficio.
28 LUCIANO BIANCIARDI CARLO CASSOLA
Numero dei morti ogni 3.000.000 di giornate lavorative:
Totale miniere provincia di Totale Francia Sarre Paesi Bassi Inghilterra U. S. A.
Grosseto Italia tutte 0 Miniere co Miniere
le miniere ïn di carbone öo di carbone
Anni Miniere Miniere Tot. minie re escluso .▪ ~ sferro e carb. miniere di carbone Miniere di antracite Min di carI bone bitu
di ferro di carbone w min. e lig.
e lignite
1946 3,3 16,7 15,7
1947 11,5 16,5 20 14 9,2 11,4 9,5 10,1 27,6 30,4
1948 4,6 9,6 17 11,4 11,7 14,9 4,5 7,5 22,1 2[...]

[...] del mondo e la lusinghiera situazione dalia provincia di Grosseto rispetto alle medie italiane. L'annc corrente stato purtroppo finora particolarmente sfavorevole, per i molti infortuni che si sono dovuti registrare, ma è da sperare che si tratti di un anno eccezionale, analogamente a quanto si é avuto nel 1950 e nel 1947.
Con questo si ritiene di poter affermare che si é fatto il possibile da parte delle direzionidelle miniere e di questo ufficio per contenere il fenomeno infortunistico, e si è lieti di comunicare che, nel piano di lotta contrc gli infortuni, la società Montecatini ha istituito un ufficio sicurezza di gruppo, diretto da un ingegnere coadiuvato da periti minerari dislocati in ogni miniera. È lecito sperare risultati brillanti, che peró potranno essere sensibili solo a scadenza di almeno run armo o due.
A proposito della sicurezza del metodo di coltivazione di Ribolla, malgrado le maestranze non fossero (meno poche unità) abituate con metodi a franamento del tetto e malgrado altre innovazioni siano state introdotte in miniera fra cui quella molto importante dille armature metalliche, in due amni non si é dovuto registrare nessun infortunio mortale e solo pochi con degenza super[...]

[...]. V. ritenga soddisfacenti i risultati raggiunti e assicura che saranno intensificati gli sforzi per garantire al massimo la vita dei lavoratori, facendo presente che nelle miniere l'imponderabile ha sempre costituito e costituirà, purtroppo, un fattore che non pub essere trascurato.
L'INGEGNERE CAPO Tullio Seguiti
SINDACATO COMUNALE MINATORI
RIBOLLA Ribolla 18111953
Al Distretto Minerario di Grosseto
e p. c.
Al Ministero Industria e Commercio
Direzione Generale delle Miniere
Ispettorato tecnico Roma
Al Sig. Prefetto della Provincia Grosseto
All'Ufficio Provinciale Lavoro Grosseto
All'Associazione Industriali Grosseto
Alla U. I. L. Grosseto
Alla C. I. S. L. Grosseto
Al Sindaco del Comune di Roccastrada
Ci sentiamo, da parte nostra, in dovere di rispondere e chiarire le errate affermazioni fatte da Codesto Distretto Minerario, nel documento inviato al Signor Prefetto, ad altri uffici ed a noi per conoscenza, riguardante la situazione nella miniera di Ribolla. Questo perché riteniamo che quanto andremo ad esporre, possa rendere chiara visione agli organi a cui la presente diretta e soprattutto a Codesto distretto, di come realmente sta[...]

[...] per poter mettere i1 35 % del personale alla coltivazione il rendimento globale di 550 Kg. nel 1942 sarebbe salito a 665 nel 1951.
Analoga situazione rimane nell mese di luglio 1953:
Dipendenti in forza . n. 1.414
Media presenze giornaliere n. 1.050
Rendimento coltivazione ▪ Kg. 2.008
Rendilmento globale miniera . » 535
Produzione mensile T. 13.500
Operai addetti fronti abbatt.. 20%
Operai addetti alla preparazione nuovi cantieri n. 20
Ciò dimostra in primo luogo che non è vero che i lavoratori non rendono, poiché .il loro rendimento è quasi raddoppiato rispetto al 1942, mentre le condizioni di lavoro sono enormemente peggiorate. Basti considerare che nel 1942 la temperatura media nelle coltivazioni era di 2425 gradi, mentre oggi si aggira sui 3637 gradi. È facile quindi, a chiunque abbia un minimo di conoscenza del lavoro della miniera, comprendere a quale estenuante fatica i minatori siano sottoposti.
E dimostrato altresì che l'aumento della produzione e di conseguenza la diminuzione del costo si pub avere, non con il nuovo [...]

[...] ventole nella quasi totalità risucchiano il riflusso di altri cantieri come avviene ,per esempio al livello 225 del pozzo Raffo, diramato in due gallerie dove una di queste si alimenta di aria naturale proveniente dalia rimonta staccata al' livello 260, ove in cima è situato ill cantiere dellla compagnia 21. Pertanto, solo questo ha l'aria indipendente, mentre le compagnie 20,25 e 59 bis, situate nella stessa zona, devono prendere il riflusso e cioè la 20 quello della 21, la 25 quello della 20 e 21, la 59 quello dalia 25,20 e 21 e così dicasi per le compagnie 71727374 situate nella stessa zona e, citate come esempio nel documento.
Analoga situazione esiste in diversi altri cantieri della miniera e questo non comporta solo il forte disagio ai lavoratori ma se, come è possibile, dovesse verificarsi uno scoppio di grisou in uno di questi cantieri per il collegamento d'aria come sopra decritto, ila esplosione si propagherebbe a tutti gli altri, con l'inevitabile morte degli operai che vi lavorano.
In riferimento poi all'art. 28 della (leg[...]

[...]osione si propagherebbe a tutti gli altri, con l'inevitabile morte degli operai che vi lavorano.
In riferimento poi all'art. 28 della (legge idi polizia mineraria 1907 n. 152, messo in risaltò nel documento, per la frase contenuta nello stesso, « PER QUANTO È POSSIBILE », vorremmo osservare che il «QUANTO È POSSIBILE » non è riferito alle possibilità dal punto di vista economico, ma alle possibilità tecniche come tutta la legge è inspirata. Perciò, riconosciute da codesto Distretto le possibilità tecniche, non rimane che far applicare la 'legge.
Incendi. — Si dice che gli incendi nella miniera di Ribolla sono sempre esistiti in ànisura maggiore di quella attuale, imputando questo alla natura del carbone ricco di materie volatili e con presenza di pirite sotto forma di sottile placcatura. Teniamo innanzi tutto ad osservare che nella miniera di Ribolla, mai si sono avuti incendi come nel momento attuale, e che proprio per la natura deil carbone, non pub essere adeguato il metodo di coltivazione a franamento, in quanto questo determina d[...]

[...]stranze.
Preparazioni. — Basta considerare il numero di operai addetti alle grandi preparazioni per rendersi conto di come vengono eseguite. I tracciamenti accennati nel documento non rientrano nelle grandi preparazioni di nuovi cantieri, che solo per alcune centinaia di metri sono stati eseguiti, tria sono traverse di comunicazione dei vari cantieri già esistenti.
Chiusura dei cantieri. — E del tutto inconcepibile come da parte di Codesto Ufficio, si possa affermare che nella miniera di Ribolla un solo cantiere è stato chiuso, imprigionando solamente 1.200 tonn. di lignite, mentre basta riferirsi all'annata 5253 per rendersi conto delle decine di cantieri chiusi e non riaperti, imprigionando migliaia di tonnellate di carbone, armamento in ferro, arnesi di lavoro ecc... Alcune dimostrazioni al pozzo Costantino, livello 125 la compagnia n. 8 é stata chiusa con tappo, vi sono rimaste svariate tonnellate di lignite e tutto lo armamento in ferro; la colmpagnia 74 chiusa con tappo, rimanendovi carbone per 5 mesi circa di lavoro per 12 opera[...]

[...]o Ile decine di operai Glie ogni giorno vengono chiamati dalla Segretaeria della Direzione per costringerli ad accettare :il licenziamento con il premio consensuale, minacciandoli altrimenti di licenziatnento in tronco e con la perdita di ogni indennità, mostrando ad ogni singolo la propria cartella personale discriminatoria ove é segnalata l'attività politica o sindacale che questi svolge come libero cittadino fuori dell'orario di lavoro e gli scioperi che questi ha effettuato.
La smobilitazione, la Montecatini e codesto Distretto Minerario, attraverso il documento, la giustificano con la minore possibilità di vendita della lignite, mentre in questi giorni, degli autotreni sono costretti a tornare via a vuoto da Ribolla per la mancanza di lignite a disposizione nei piazzali.
Sicurezza nella miniera. — Non si comprende veramente perché, da parte di un organo governativo preposto al controllo e all'applicazione delle norme di prevenzione e di sicurezza nelle aniniere, si possa ritenere ineluttabile, l'infortunio in miniera, tentando di [...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte terza: Vita di Giuseppe Marotto pastore orgolese in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]i famigliari più grandi non mi davano che il cagnolino o l'agnellino. Ricordo un episodio di quando avevo quattro anni, che fui colpito di febbre malarica e mi tormentava la testa e piangevo sempre. Per distrarmi la mamma si é dovuta imprestare un cagnolino, la qual presenza riusciva a vincere il dolore e farmi divertire se piangevo. Se pur non mangiavo chiamavano il padrone del cane, un ragazzo del vicinato, e minacciavano di prendermi il cane: ciò sentito... sempre pronto a ridere e a mangiare, anche quando la febbre era piú infuocata.
In età scolastica i miei genitori fecero di tutto per farmi andare a scuola ad impararmi a scrivere e leggere. Ma i loro impegni e le ripetizioni della maestra non riuscivano a vincere nei bambini la fantasia di diventare dei buoni pastori. Anziani pastori, analfabeti, pur disprezzando la vita di stenti e patimenti, sostenevano che per essere buoni pastori non era necessario andare a scuola, né sapere leggere e scrivere, ma, piuttosto, non avere paura delle tempeste, né dei ladri, ecc. Mentre gli studen[...]

[...]allo portando il latte e l'agnello, ripetendo la cantilena antica che le donne dicono per distrarre i bambini:
Torna Pappae dae Baronia
a che leare custos pizzineddos.
Hana a tentare tantos anzoneddos
dorminde in forasa in ghiddighia (1).
Frequentai cosí senza imparare niente la seconda elementare e, dopo che fui pochi giorni in terza, un mio zio si offerse di prendermi a su sartu (il salto, territorio comunale e demaniale) come anzoneddaru cioè pastore di agnelli. Non so descrivere quale fu la gioia nel partire a cavallo con un vestitino di velluto e un paio di gambaletti.
Una delle virtù del pastore é quella di conoscere le pecore. Per i bambini era consuetudine metterli alla prova con sinzolandeli s'anzone, insegnandogli l'agnello. L'indomani che arrivammo mio zio mi condusse agli agnelli: erano oltre cento. E mi disse: — Guarda quell'agnello, se lo conosci te lo dò a te. Lo guardai e tra quei cento lo conobbi. La prima prova era superata, e venni considerato subito come un ottimo pastore, fui molto apprezzato nella custodia, mi[...]

[...]bbi. La prima prova era superata, e venni considerato subito come un ottimo pastore, fui molto apprezzato nella custodia, mio zio ne era entusiasta. — Sembra battezzato — diceva — per andare con le pecore. E nella mia bravura fu attirata l'attenzione di molti pastori e, come ero un ragazzo principiante, molti si offersero di darmi un agnello. Così dopo un anno ne possedevo quasi una ventina. La mia carriera cominciava bene, e l'inverno dopo cominciò a presentarsi il problema del pascolo.
Come un mio zio era servo, il padrone disse: — Io posso accomo
(1) Torna Papà dalla Baronia / per prendere questi ragazzini. / Custodiranno tanti agnellini / dormendo fuori nella brina.
242 FRANCO CAGNETTA
dare soltanto le pecore tue, Peppino é necessario che si arrangi. Difatti trovai un altro padrone col quale rimasi due o tre anni: mi dava tre pecore all'anno, mangiando due volte al giorno s'orzattu e sa frue, pane d'orzo e latte cagliato. La mattina prima di uscire e dopo il rientro, dormendo con le pecore, ci fosse caldo o freddo, facesse acqua,[...]

[...]dall'appello fraterno e sentissi il desiderio di vederlo per l'ultima volta, non fu possibile spezzare l'abitudine dei padroni, ed era una parola tornare prima che tornassero le pecore a s'Orgulesu, nell'Orgolese.
Nel '38 tornai nuovamente con mio zio che aveva un centinaio di pecore, ed aveva deciso di rompere con i padroni perché troppo stanco di fare per oltre quarant'anni il servo. Il primo anno ce la siamo cavata discretamente. Il secondo, cioè il '940 per il '41, non abbiamo potuto trovare pascolo invernale, ed avendo fatta una pessima annata, ci furono morte più della metà delle pecore, e per poco non siamo morti anche noi. Allora cominciavo a capire che la vita del pastore orgolese non era un incanto come si figurava da bambini, e, nonostante fosse rimasta impressa la simpatia per le bestie e il pastore, indietreggiava quella prima idea di possedere un proprio gregge, vedendo di rimpetto una tragica realtà: cioè che era inutile possedere il gregge senza il pascolo. Pensare di possedere tutt'e due le cose era inutile, assolutamen[...]

[...]bbiamo potuto trovare pascolo invernale, ed avendo fatta una pessima annata, ci furono morte più della metà delle pecore, e per poco non siamo morti anche noi. Allora cominciavo a capire che la vita del pastore orgolese non era un incanto come si figurava da bambini, e, nonostante fosse rimasta impressa la simpatia per le bestie e il pastore, indietreggiava quella prima idea di possedere un proprio gregge, vedendo di rimpetto una tragica realtà: cioè che era inutile possedere il gregge senza il pascolo. Pensare di possedere tutt'e due le cose era inutile, assolutamente inaccessibile per un servo pastore che prendeva sulle 400 o 500 lire all'anno, in quei tempi. Fatti bene i calcoli delle opere e dei danni subiti quell'anno, constatando che se non si faceva il servo al padrone delle pecore toccava a farlo al padrone del pascolo, e questo non sempre si trovava anche se si era disposti a servire, decisi così di vendere le pecore e, non trovando altra via di scampo, fare il servo iscotiu, senza pecore. Ricardo ancora quel giorno dell'agosto [...]

[...]era disposti a servire, decisi così di vendere le pecore e, non trovando altra via di scampo, fare il servo iscotiu, senza pecore. Ricardo ancora quel giorno dell'agosto del '41 quando vendetti le pecore ad un commerciante fonnese: erano una trentina quelle che mi erano rimaste da quella tragica annata che eravamo rimasti senza pascolo invernale. Nel riflettere che si trattava del
INCHIESTA SU ORGOSOLO 243
prodotto di tanti duri anni di sacrificio, costituenti il principio del mio capitale « ideale », continuai intanto quella dura vita di schiavo pastore, tra l'un padrone e l'altro, fino al marzo del '45, che fui avvisato di partire soldato.
Eravamo la prima classe che si presentava a riabilitare l'Esercito italiano logorato dal famigerato ventennio fascista. Siamo rimasti pochi giorni nel distretto di Oristano, dove ci passarono la visita, e ci destinarono il Corpo. Venni assegnato alla fanteria e destinato a Trani, provincia di Bari. A Napoli abbiamo visto il disastro apportato da quel regime che ci avevano detto e si sentiva ripete[...]

[...]ani ci lasciarono un paio di mesi accampati nei pidocchi e nella fame, e ci imparavano l'un dué con la stupida disciplina del « signorsì » , « Ottimo per la truppa ». Eravamo circa duemila sardi, ed eravamo tutti d'accordo nell'abborrire quella vita. Nutrivamo tutti un odio profondo contro quegli ufficiali che si presentavano fanatici ed ancor nostalgici del risorgere di un Esercito servito solo in passato a proteggere la Corona Reale ed il « fascio » del Mostro. Nel mese di giugno ci partirono in traduzione per Trevignano, provincia di Roma, che vi arrivammo dopo 3 giorni di viaggio. Ci accamparono vicino al lago di Bracciano, in un bosco di ciliegie, e i Caporali credettero che fosse giunto il momento di imporre quella stupida dottrina — dato che ci trovavamo ormai separati, noi « sardi malandrini » — come ci chiamavano loro. Difatti, da Trani ci avevano spediti pochi per parte, ma noi, quanto più aumentava la loro arroganza, tanto più sentivamo il dispregio e cercavamo di disertare. Eravamo una diecina di Orgosolo ed oltre un centinai[...]

[...]CAGNETTA
questa vita per una diecina di giorni, ottenne la convalescenza perché, pur essendo di corporatura normale, non pesava allora nemmeno cinquanta chili. Uno accuse, la malattia dell'orina e passarono una quindicina di giorni prima che fosse preso all'ospedale orinandosi addosso e camminando con un bastone come un uomo di ottant'anni. Uno accusò dolori reumatici facendosi gonfiare il ginocchio a pugni e camminando zoppo per oltre un mese, cioè finché non ottenne la convalescenza. Io ero contrario alla vita militare, ma lo ero ancor più a fare anche la minima cosa che potesse dannare la salute. E dopo tre mesi di cosi detto ammaestramento con le armi, siamo stati scelti tutti i Nuoresi a fare una compagnia dimostrativa in Cesano di Roma. I signori ufficiali credevano che noi, perché ignoranti,' avremmo dimostrato bene alle Eminenti visite degli Ufficiali Americani di essere degli ottimi servi, di sentirci soddisfatti di rifare un Esercito con le loro armi ed i loro metodi. Ma avveniva il contrario e dopo 3 o 4 giorni abbiamo fatto [...]

[...]te. E dopo tre mesi di cosi detto ammaestramento con le armi, siamo stati scelti tutti i Nuoresi a fare una compagnia dimostrativa in Cesano di Roma. I signori ufficiali credevano che noi, perché ignoranti,' avremmo dimostrato bene alle Eminenti visite degli Ufficiali Americani di essere degli ottimi servi, di sentirci soddisfatti di rifare un Esercito con le loro armi ed i loro metodi. Ma avveniva il contrario e dopo 3 o 4 giorni abbiamo fatto sciopero per il rancio, dato che ci davano sempre peperoni e cavoli in brodo, avevamo stabilito che nessuno si doveva presentare a prendere il rancio. Ma quando venne a conoscenza il signor Capitano, un vecchio fascista, fece l'adunata e ci portò inquadrati a prendere i peperoni: e lui si piazze. di fronte alla marmitta, mentre noi si doveva passare in fila per tre. Nella mia fila c'erano tre paesani: quando abbiamo preso i peperoni li abbiamo rovesciati di fronte al Capitano. Fu uno scandalo, il Capitano fu sorpreso e divenne lui come un peperone, cercò di fermarci con minaccie, ma fu accolto da una reazione generale che tutti, oltre al buttare i peperoni si lanciarono rovesciando la marmitta, e al posto dei peperoni venne messo il Capita[...]

[...]a, mentre noi si doveva passare in fila per tre. Nella mia fila c'erano tre paesani: quando abbiamo preso i peperoni li abbiamo rovesciati di fronte al Capitano. Fu uno scandalo, il Capitano fu sorpreso e divenne lui come un peperone, cercò di fermarci con minaccie, ma fu accolto da una reazione generale che tutti, oltre al buttare i peperoni si lanciarono rovesciando la marmitta, e al posto dei peperoni venne messo il Capitano, e portato in braccio per un pezzo.
La domenica siamo andati a Roma in permesso e, al rientrare la sera, ci é capitato di assistere ad una specie di dialogo tra due sergen
tini firmaiuoli, uno dei quali si vantava di aver reso buoni servigi alla patria di Mussolini, di avere dato prova contro i Partigiani, e che
adesso era stato chiamato a domare «quei farabutti di sardi », che si erano permessi di picchiare il signor Capitano. La sera vennero informati tutti i compagni di questo nuovo comandante che ci avrebbe dovuto stangare. La mattina dopo ci fu presentato come il futuro capo
INCHIESTA SU ORGOSOLO 245
e c[...]

[...] firmaiuoli, uno dei quali si vantava di aver reso buoni servigi alla patria di Mussolini, di avere dato prova contro i Partigiani, e che
adesso era stato chiamato a domare «quei farabutti di sardi », che si erano permessi di picchiare il signor Capitano. La sera vennero informati tutti i compagni di questo nuovo comandante che ci avrebbe dovuto stangare. La mattina dopo ci fu presentato come il futuro capo
INCHIESTA SU ORGOSOLO 245
e che per ciò ci dovevamo obbedienza e rispetto. — Avanti, marciate pochi metri a passo — ci ordinò subito. La corsa, nonostante un tale ordine fu ripetuto diverse volte a voce alta, andò a vuoto. Tutti si era, d'accordo per non eseguirlo. Il sergentino andò in bestia, ordinò l'alt e ci apostrofò con minaccie di essere il comandante, e, che se un prossimo comando gli veniva disubbedito, ci avrebbe fatto correre fino a creparci. Ripeté l'ordine e venne respinto di nuovo. Fu il colmo della rabbia del comandante, ed infuriato lanciò la sfida: chi non vuole correre alzi la mano. La alzai per primo, poi seguiro[...]

[...]passo — ci ordinò subito. La corsa, nonostante un tale ordine fu ripetuto diverse volte a voce alta, andò a vuoto. Tutti si era, d'accordo per non eseguirlo. Il sergentino andò in bestia, ordinò l'alt e ci apostrofò con minaccie di essere il comandante, e, che se un prossimo comando gli veniva disubbedito, ci avrebbe fatto correre fino a creparci. Ripeté l'ordine e venne respinto di nuovo. Fu il colmo della rabbia del comandante, ed infuriato lanciò la sfida: chi non vuole correre alzi la mano. La alzai per primo, poi seguirono i miei paesani che portavo al fianco. E mi chiese con rabbia: — Tu perché non vuoi correre? «Per dimostrargli che questi farabutti di sardi — come lei ha voluto chiamarci ieri sera — non sono affatto disposti a farsi prendere per il naso da leccappiatti come lei, che fino ad ieri ha fatto buon servo a Mussolini ». Nel sentirsi ripetere le frasi pronunciate la sera prima perdette le staffe e rinunciò ad affrontare il comando. Dopo avermi minacciato che mi denunciava ci piantò li e corse in caserma a chiamare il Ten[...]

[...]re alzi la mano. La alzai per primo, poi seguirono i miei paesani che portavo al fianco. E mi chiese con rabbia: — Tu perché non vuoi correre? «Per dimostrargli che questi farabutti di sardi — come lei ha voluto chiamarci ieri sera — non sono affatto disposti a farsi prendere per il naso da leccappiatti come lei, che fino ad ieri ha fatto buon servo a Mussolini ». Nel sentirsi ripetere le frasi pronunciate la sera prima perdette le staffe e rinunciò ad affrontare il comando. Dopo avermi minacciato che mi denunciava ci piantò li e corse in caserma a chiamare il Tenente. Quando rivenne con il Tenente era un lupo sdentato, non mordeva piú: non ebbe nemmeno il coraggio di aprir bocca quando il Tenente chiese perché ci rifiutavamo di eseguire gli ordini del sergente che era un brav'uomo. Fu accolto da un grido generale: « Non lo vogliamo! Non vagliamo essere comandati dai fascisti! ». Il sergentino fu messo in riposo. La sera siamo rientrati un po' in ritardo con un compagno di Fonni e, mentre ci mettevamo in branda, un tipo del Logudoro, che[...]

[...]io di aprir bocca quando il Tenente chiese perché ci rifiutavamo di eseguire gli ordini del sergente che era un brav'uomo. Fu accolto da un grido generale: « Non lo vogliamo! Non vagliamo essere comandati dai fascisti! ». Il sergentino fu messo in riposo. La sera siamo rientrati un po' in ritardo con un compagno di Fonni e, mentre ci mettevamo in branda, un tipo del Logudoro, che faceva il lavativo ed era sempre schifato, ci intimò con tono minaccioso di stare zitti. Per il modo che si atteggiò, ci siamo messi a ridere. Costui si alzò e tirò una scarpa in faccia al fonnese. Io, che gli stavo a fianco, gli detti una schiaffo e si mise a piangere. Il sergente ci venne subito incontro e, vedendolo scorrere di sangue, chiese: « Chi é stato? ». Avendogli indicato che ero io, il sergente mi apostrofò con ingiurie come mascalzone, ecc. Ma fu presto messo a tacere che, vedendomi alzare di scatto; scappò chiudendosi in fureria. Dopo un'ora, quando era già dormito, venne a prendermi con sei guardie armate. Ero già dormito quando venni svegliato da[...]

[...]azzotti perché non avevo argomenti seri contro gli avversari
e, da allora, dicevo che se la Sardegna era « pecoraia » e « terra bruciata » non era colpa dei pastori e dei sardi, ma di governanti e capitalisti forestieri, che 1a avevano spogliata e spogliavano delle sue ricchezze e avevano appiccato fuoco, una volta, alle sue terre, rendendole sterili e deserte.
Rimasi circa due anni in Piemonte ed in Liguria e spesso ora, se io parlavo così, cioè giusto, mi mandavano in prigione e mi facevano trasferimento. Per gli uflicialetti fascisti ed i camorristi ero diventato lo Spettro. Ovunque, anche dai meno curiosi, ero distinto ora non come « il sardo beduino », « il pecoraio », ma come « il comunista ». E, come parola, mi piaceva. Quando mi arriva il congedo alla caserma Cavour di Torino, dove mi trovavo, dovetti stare un mese ancora per scontare trenta giorni di consegna, pur avendo finito il mio servizio, che si era chiuso con trenta giorni di cella di rigore, per uno sciopero fatto contro lo sfruttamento sul rancio.
Rientrai a casa i[...]

[...]i fascisti ed i camorristi ero diventato lo Spettro. Ovunque, anche dai meno curiosi, ero distinto ora non come « il sardo beduino », « il pecoraio », ma come « il comunista ». E, come parola, mi piaceva. Quando mi arriva il congedo alla caserma Cavour di Torino, dove mi trovavo, dovetti stare un mese ancora per scontare trenta giorni di consegna, pur avendo finito il mio servizio, che si era chiuso con trenta giorni di cella di rigore, per uno sciopero fatto contro lo sfruttamento sul rancio.
Rientrai a casa i primi di febbraio del '47. In casa mi accolsero con gran gioia e festa. Giorni e giorni, qualche ora dopo, parlavo delle condizioni della famiglia: erano tristi. Che cosa dovevo fare?
Un giorno stavo con mia madre e chiedo se esiste in paese un Partito Comunista, come, infatti, esisteva. La mamma mi interrompe con disprezzo e mi dice che quelli sono pochi e mal voluti dai ricchi perché parlano male di loro e della religione. «Proverei il pia grande dispia
INCHIESTA SU ORGOSOLO 249
cere — diceva — se ti ascoltassi a fare propaganda comunista. Perché, anche se hanno ragio[...]

[...]nde, nelle nostre campagne si poteva guadagnare qualcosa con i maiali. Ma la nostra speranza fu presto delusa, perché poco dopo qualche mese appena passò la peste suina, e da 30 che ne avevamo ne rimasero solo 5. Il padrone, un proprietario di Nuoro, per la prima aveva promesso di soccorrerci molto: siamo, a stento, riusciti a convincerlo a comprarcene altri 10 maiali per farne 15, almeno. Ed abbiamo fatto tutto il nostro meglio, con ogni sacrificio, per poterli poi aumentare. Difatti, alla fine del '49, prima ancora dei tre anni stabiliti, avevamo oltre 200 capi. Ci eravamo solo preoccupati di far crescere i maiali, senza ricavare niente per tre anni, rimettendo di tasca le spese necessarie: intenti a pater possedere un gregge proprio. Ma nel mese di agosto, eravamo in territorio di Nuoro, nel pascolo estivo, e ci colse una brutta notizia.
E da notare che il porcaro orgolese va sempre soggetto a clima: d'inverno deve restare nei boschi, dove cerca le ghiande, d'estate deve scendere in pianura, in quelle terre seminate a grano, fave e c[...]

[...]per rovinare tutto l'orto, unica speranza di cavare qualche cosa dopo la perdita dei maiali. Li convinsi a togliermi le manette e condurmi slegato. Abbiamo percorso tutta la strada, per più di un'ora, e prima di arrivare al paese l'appuntato mi diceva di essere Saragattiano, finendo per dare a me ragione e suggerendo all'orecchio che a lui dispiaceva portarmi in caserma, che, per conto suo, era propenso di lasciarmi fuggire. Risposi: « Io non faccio il latitante », e trovandomi con la coscienza pulita, non avevo nessuna paura di un raffronto con la giustizia. Appena giunti in caserma il maresciallo esclamò: « Mi dispiace, caro Marotta, ma questa volta non dipende da me. Non ostante voi ve la prendiate sempre con me. Sono venuti da Nuoro, con la macchina, apposta per prendere te ». A Nuoro mi condussero nella caserma principale ed un carabiniere di scorta riferì della mia presenza al capitano. Costui, con un'aria di mercante, mi venne subito incontro toccandomi le catenelle che già mi mordevano i polsi perché troppo strette. E con la facc[...]

[...]esta volta ti dò 5 più 3. Di rigore ». Lo interruppi dicendo che mi avevano preso dal lavoro, che ero un cittadino onesto.
La sera stessa fui condotto al carcere mandamentale di Sorgono (quello di Nuoro era troppo pieno), e mi chiusero in una cella e vi fui 3 giorni senza interrogato, che non mi davano acqua o pane, al terzo giorno, quasi sfinito dalla fame, dalla sete, cominciai a gridare, finché non mi hanno tirato fuori. Mi condussero in ufficio dal mare
252 FRANCO CAGNETTA
sciallo, che mi interrogò su una rapina avvenuta tempo prima nella foresta di Urzulei, e disse che il giorno ero stato visto nel Sopramonte con la banda di Liandru, latitante. Risposi che Sopramonte era più di un anno che non passavo, e che se sosteneva di avermi visto con la banda Liandru, un latitante che non conoscevo, questa era un pretesto infame: volevano colpirmi perché comunista. « Intanto — dicevo — avete oltraggiato già il mio fisico, e questo è un sopruso, in quanto non avete il diritto di torturare un individuo lasciandolo tre giorni senza mangiare, [...]

[...]varie domande rivoltemi in viaggio per i banditi e per le rapine finivano in argomento politico. « Tu sei un comunista » dicevano. « Evviva il Comunismo! » dicevo io.
La sera mi lasciano a Nuoro e il giorno dopo ripartono per Urzulei. Diceva il tenente: « C'é uno che ti dirà di averti visto il giorno della rapina con Liandreddu, un altro latitante » . Rispondo che era soltanto un agente infame, ben pagato dagli anti comunisti. « Non puoi dire . ciò. È una persona seria ». Difatti, appena arrivati inviano a cercare una guardia di foresta, un certo Capra, che nulla sapeva nei miei confronti. Ed io ho pensato che si stava cercando ora, di giustificare il mio arresto. Il Capra si trovava in casa, quando i carabinieri lo avvisarono di venire alla caserma; ma la moglie — allarmata come tutto il paese dell'arrivo di un borghese sconosciuto, con la macchina dei carabinieri, che pensavano trattarsi di qualche spia in
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INCHIESTA SU Or,GOSDL0
cerca di accusare qualcuno, chi sa perché (come spesso fanno i carabinieri) — disse che ìl marito no[...]

[...]per la mia assenza. Mi fece impietosire e mi costò molto per farlo sorridere, annunziandosi l'innaffiatura al mio ritorno. La disoccupazione si faceva sempre più sentire. I lavoratori disperati andavano in cerca di qualsiasi lavoro. Molti cercarono di emigrare (ed una
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volta fui tentato anch'io), ma poi decisi di andare servo pastore con un proprietario di Nuoro, che mi dava 11 mila lire al mese. Rimasi due mesi laghinzazzu, cioè pastore di quelle pecore che non davano figli, sempre solo, senza avere la possibilità neanche di farmi la barba e di cambiarmi il vestito: tosi dopo due mesi sembravo una belva. Non potevo più sopportare quella vita e mandai a dire al padrone che, senza pretender altro, io non rimanevo piú. In paese la situazione era molto complicata. Le rapine di strada aumentavano. Diversi erano ricercati per il confino, e, fra gli altri, i fratelli Tanteddu, uno dei quali ancora alla macchia con 5 milioni di taglia, e l'altro ucciso nel '51.
Intanto abbiamo cominciato a fare qualche manifestazione contr[...]

[...]a molto complicata. Le rapine di strada aumentavano. Diversi erano ricercati per il confino, e, fra gli altri, i fratelli Tanteddu, uno dei quali ancora alla macchia con 5 milioni di taglia, e l'altro ucciso nel '51.
Intanto abbiamo cominciato a fare qualche manifestazione contro la disoccupazione, « Ordini del giorno » e « Delegazioni » al Sindaco. Ma non facevano costoro altro che promesse, e nel mese di marzo del '50 abbiamo organizzato uno sciopero a rovescio, in una strada vicinale, già progettata, che volevamo costruire.
Il giorno prima dello sciopero incontro il maresciallo e mi dice: « Io sono a conoscenza di questo sciopero. Ti sfido che qualsiasi cosa accade tu sei il responsabile. Perciò, se vuoi, lo sciopero si può evitare ». Risposi che non sapevo niente di questa decisione di cui lui parlava e, in quanto a me, sarei stato il primo ad andare ad avvisarlo, perché io lo ritenevo più ancora che normale, data la tragica situazione che la disoccupazione aveva creato nel paese. Che, se era interessato che la gente di Orgosolo si procurasse da vivere onestamente, doveva lui stesso promuovere lo sciopero, non reprimerlo. Sembrò quasi di assentire e mi licenziò.
La mattina presi una vecchia conchiglia di mare, che gli antenati usavano ad Orgosolo per suonarla nei grandi richiami — sa corronetta —e con quanto fiato avevo nei polmoni me la metto a suonare. Subito, nel punto stabilito per lo sciopero, si trovano un centinaio di lavoratori, con picconi e badili, e, dopo divisi in squadre, ci mettiamo sul lavoro. Era un punto che si vedeva da tutto il paese, e tutto il paese ci guardava e parlava di noi.
Verso le 9 del mattino viene il Sindaco e mi prega di convocare gli operai in quanto voleva parlare di notizie importanti. Ci siamo raccolti e, tra la vergogna e la paura, il Sindaco ci invita a cessare lo
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Ì
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sciopero, in guanto lui aveva già provveduto ad informare il Prefetto e, senz'altro, avrebbe provveduto a darci lavoro. Venni autorizzato a risponde[...]

[...]o, si trovano un centinaio di lavoratori, con picconi e badili, e, dopo divisi in squadre, ci mettiamo sul lavoro. Era un punto che si vedeva da tutto il paese, e tutto il paese ci guardava e parlava di noi.
Verso le 9 del mattino viene il Sindaco e mi prega di convocare gli operai in quanto voleva parlare di notizie importanti. Ci siamo raccolti e, tra la vergogna e la paura, il Sindaco ci invita a cessare lo
i
Ì
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sciopero, in guanto lui aveva già provveduto ad informare il Prefetto e, senz'altro, avrebbe provveduto a darci lavoro. Venni autorizzato a rispondere, e gli dissi: « Promesse ce ne avete fatte abbastanza. Noi continuiamo lo sciopero. E fino a che il Prefetto veramente non interviene con impegni precisi di iniziare i lavori ». E tutti furono d'accordo.
Continuiamo lo sciopero e verso le 11 invece del Prefetto vediamo arrivare le macchine della Celere. E subito siamo stati circondati da una cinquantina di poliziotti, in stato di guerra, come se fossimo dei nemici, e non lavoratori.
Si presenta un Commissario di Pubblica Sicurezza e ci invita in Municipio, per trattare. E partiamo con gli attrezzi sulle spalle seguiti dai poliziotti e da tutta la popolazione. In Municipio abbiamo trovato che c'era un milione lordo avanzato dal bilancio del '48, e decidiamo di servircene per iniziare un qualsiasi lavoro. Infatti ci siamo accordati per iniziare una strada in regi[...]

[...]invece del Prefetto vediamo arrivare le macchine della Celere. E subito siamo stati circondati da una cinquantina di poliziotti, in stato di guerra, come se fossimo dei nemici, e non lavoratori.
Si presenta un Commissario di Pubblica Sicurezza e ci invita in Municipio, per trattare. E partiamo con gli attrezzi sulle spalle seguiti dai poliziotti e da tutta la popolazione. In Municipio abbiamo trovato che c'era un milione lordo avanzato dal bilancio del '48, e decidiamo di servircene per iniziare un qualsiasi lavoro. Infatti ci siamo accordati per iniziare una strada in regione « Canas », che è la zona più impervia e deserta, dove non si trova neanche una mulattiera, sicuro nascondiglio di volpi, e dove fu trovato cadavere l'ingegner Capra. Vennero cosí occupate quelle persone con l'impegno di pagarle a 1000 lire al giorno, come opera pubblica del Comune, e la popolazione tutta fu entusiasta di questa vittoria dei lavoratori.
Ma molti rimanevano ancora disoccupati: si rivolgevano a me pregandomi di occuparli come fossi un impresario e n[...]

[...]iù impervia e deserta, dove non si trova neanche una mulattiera, sicuro nascondiglio di volpi, e dove fu trovato cadavere l'ingegner Capra. Vennero cosí occupate quelle persone con l'impegno di pagarle a 1000 lire al giorno, come opera pubblica del Comune, e la popolazione tutta fu entusiasta di questa vittoria dei lavoratori.
Ma molti rimanevano ancora disoccupati: si rivolgevano a me pregandomi di occuparli come fossi un impresario e non uno scioperante. Rispondevo che noi avevamo scioperato per essere occupati, e che tutti i disoccupati avevano diritto a scioperare. Ed ecco che un'altra ventina si misero in isciopero, ma ci fu l'intervento dei carabinieri che li tradussero in caserma. Visto, ció abbiamo subito abbandonato tutti il lavoro, e ci siamo recati con gli attrezzi in caserma dove, per tutta la sera, abbiamo rivendicato il rilascio degli innocenti lavoratori. Il Sindaco, che prima aveva autorizzato l'arresto, fu costretto dalla pressione popolare ad autorizzare rilascio. Ma il maresciallo rifiutó dicendo che aveva già spedito il rapporto, e così furono tradotti al carcere di Nuoro. Rilasciati poi, per inconsistenza di reato, una settimana dopo.
La reazione popolare contro il Sindaco e il Maresciallo divenne paurosa, mentre la simpatia per noi si aumentava ed i proprietari del paese, cioè i nemici del Progresso e della Pace, divenivano furibondi.
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D'accordo col maresciallo decisero di sospendere i lavori, e lavorava mo appena da 10 giorni quando ci venne annunciata la sospensione con la scusa che finiti i fondi. Rispondemmo che del milione di lire non si erano spese neanche duecentomila lire e che noi avevamo bisogno di lavorare, di fare la strada. Che malgrado l'ordine del Sindaco non smettevamo di lavorare. E abbiamo cosi continuato per venti giorni ancora, senza ricevere un solo soldo ma contenti, perché facevamo una strada che era stato il sogno, irre[...]

[...]rare, di fare la strada. Che malgrado l'ordine del Sindaco non smettevamo di lavorare. E abbiamo cosi continuato per venti giorni ancora, senza ricevere un solo soldo ma contenti, perché facevamo una strada che era stato il sogno, irrealizzato, di tutti i nostri antenati. Io facevo il caposquadra e un giorno mi feci sostituire perché dovevo andare alla vigna. Ed il giorno vennero una diecina di macchine ed arrestarono tutti gli operai. Nel paese ciò suscitò indignazione ed il Sindaco chiese, anch'egli, le dimissioni. Io, quando venni dalla vigna e appresi la notizia, mi mordevo le dita per non essermi trovato, e la sera, dalla rabbia, mi venne pure la febbre. L'indomani tornai al lavoro con altri due — aspettavo che mi arrestassero — e invece, no, verso le 10 vennero i carabinieri e mi chiesero le generalità. Dissero che questa era una buona opera, e non mi arrestarono.
Dopo una diecina di giorni i lavoratori furono rilasciati: ma ne uscirono disperati per le condizioni di miseria ed oppressione a cui volevano sottometterci. Gli attrezz[...]

[...]voro con altri due — aspettavo che mi arrestassero — e invece, no, verso le 10 vennero i carabinieri e mi chiesero le generalità. Dissero che questa era una buona opera, e non mi arrestarono.
Dopo una diecina di giorni i lavoratori furono rilasciati: ma ne uscirono disperati per le condizioni di miseria ed oppressione a cui volevano sottometterci. Gli attrezzi di lavoro non ci furono mai restituiti, malgrado le continue richieste, e si può dire cioè, rubati. Io fui denunziato per ammutinamento.
La situazione in paese diventava sempre piú allarmante. Intanto furono portate le Forze Repressione Banditismo. I marescialli dei carabinieri che avevano il mandato di arrestare disoccupati in cerca di lavoro, ed i fuori legge che ora fermavano corriere, con pressioni ricattatorie incitavano i miei paesani più fragili a collaborare con loro.
Il giorno 16 settembre 1950 viene ucciso uno tra i tanti, Nicola Taras, barbiere, ed il giorno dopo il 17 settembre fu assediato i1 paese da oltre 300 carabinieri armati persino di mitragliatrici, che mette[...]

[...] e confinati per gelosia di qualche a amico », ossia amico dei carabinieri, che noi diremmo, a sa sarda, chiamandolo col disprezzo: 'ispia. Nei siciliani, in generale, si denotava invece un ambiente malandrinesco, di carattere imprudente
e sfacciato, rumoroso ma pur poco socievole.
258 FRANCO CAGNETTA
L'ambiente di Ustica, che é un paesetto di un migliaio di abitanti, gente assoggettata all'ambiente del prete e della polizia, ci preparava, perciò un trattamento gesuiticosbirresco. In quest'Isola di .poche risorse i migliori terreni sono del Commendator Gargano, un grande Industriale Palermitano, e di altri Signori Continentali chee si sono co struite delle ville per villeggiatura estiva.
Dopo poco essere arrivati ci consegnarono una carta di permanenza, ed in essa venivano spiegate le regale del confinato. Nel consegnarmi la carta, a differenza degli altri, mi fu chiesto da un Brigadiere se ero già iscritto Comunista. Alla risposta affermativa mi intimava di tenere canto come la carta di permanenza mi imponeva di non fare politica, n[...]

[...]nista. Alla risposta affermativa mi intimava di tenere canto come la carta di permanenza mi imponeva di non fare politica, neanche in modo occulta. Dissi: « Mi avete confinato, o falsi, solo per ragioni politiche. Non vedo la ragione del perché in Ustica potete vietarmi di fare la politica ». Nella carta suddetta si trovava inoltre il divieto di saltare i limiti di circolazione stabiliti dalla P. S., che erano fissati nelle uscite del paese: perciò si era obbligati di restare entro quell'« antro », cioè quella fossa di insetti, come era di solito chiamarla. Se non con speciali permessi della P. S. non potevamo uscire se non per motivi di lavoro. Come domicilio ci assegnarono dei cameroni, specie di scuderie di cavalli, costruiti dal fascismo. Per vivere ci erano assegnate 300 lire al giorno, e di queste ce ne davano solo la metà, cioè L. 150, che l'altra metà la ritirava un dipendente del Commendator Gargano per la lavatura delle lenzuola e per la distribuzione delle brande, giorno per giorno, lavoro che veniva fatto da un confinato per 150 L. in tutto: così il Commendatore si fregava la metà della paga dei confinati. Nel camerone non c'era cucina, né stufa. Vi erano una diecina fra accattoni, borsaiuoli, frosci, che dominavano l'ambiente della « scuderia. ». Facevano bordello, fumo e porcherie. Inoltre vi erano 4 o 5 siciliani scimuniti dalla galera: che l'uno diceva di essere più malandrino dell'altro, e ogni tanto si s[...]

[...]l'Impresa ci faceva fare 5 chilometri a piedi, non ci dava gli attrezzi di lavoro e non ci assicurava. Abbiamo subito organizzato la Camera del Lavoro, e venni eletto Segretario. Un altro centinaio di lavoratori erano
INCHIESTA SU ORGOSOLO 261
disoccupati e chiedevano lavoro. Si ingaggió la lotta e riuscendo a fare aprire un Cantiere per il lavoro da parte del Comune, per occupare tutti i disoccupati in quella strada, impedita all'epoca dello sciopero. Fu una grande vittoria dei Disoccupati! E riuscimmo per gli altri, e cioè per gli occupati nella foresta, a fargli prendere un camion, a darci gli attrezzi, ad assicurarci. Io venni assunto come capo squadra nel cantiere Comunale. Avevamo ottenuto il lavoro: che altro vi era di indispensabile? E chi in paese era rimasto? Neanche l'ombra!
E la pace?
Qualcuno potrebbe ridere a questo punto e dire: quando c'è il lavoro la pace viene da sé, perché i lavoratori occupati per la costruzione di strade, taglio di foresta ecc. non hanno tempo di far male: guadagnano di che vivere onestamente.
Questo è un punto di vista troppo semplicista.
Se c'è lavoro non tutti lavoran[...]

[...]i gravi avvenimenti non è sufficiente il solo lavoro (e saltuario) per ristabilire in Orgosolo una normale situazione. Era necessario intanto, per il momento, (non certo per sempre, ché ci vuole la trasformazione completa della nostra economia, la Rivoluzione Sociale) trovare una via che, indipendentemente dalle proprie condizioni di povero e di ricco, dalla politica, ogni Orgolese poteva percorrere insieme senza paura della Vendetta, che l'uno, cioè, potesse freddare di nascosto l'altro. Cercare la pace! Così poteva permettersi il lavoro, il vero benessere nel paese.
Non era cosa facile per la nostra Sezione promettere la Conciliazione, ossia invitare gli avversari ad una intesa per pacificare il paese. In certi compagni c'era molta sfiducia nei riguardi dell'avversario e quella sfiducia io la giudicavo « estremismo primitivo s. Alle elezioni del Comune — 1951 —, considerando la situazione particolare esistente ad Orgosolo, i Capi Comunisti avevano invitato tutti, quasi arrivando
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a baciare i piedi, per formare una[...]

[...]smo primitivo s. Alle elezioni del Comune — 1951 —, considerando la situazione particolare esistente ad Orgosolo, i Capi Comunisti avevano invitato tutti, quasi arrivando
262 FRANCO CAGNETTA
a baciare i piedi, per formare una lista unica nell'interesse del paese. Contro il sopruso. Ma i Sardisti specialmente si ostinavano nel rifiuto,
e scoprendo chi soffiava il fuoco — hanno invece preferito fare un
blocco Anticomunista mettersi a friggere cioè nella padella del prete — con quegli ortaggi che sono D.C., M.S.I., Monarchici, e facendo eleggere casi l'Ipocrisia, il Terrore del Diavolo, la Corruzione. La nostra amministrazione, per poco ancora, è una amministrazione di sacrestani scimuniti, delle più inette ed A servizio della reazione che il paese abbia conosciuto mai.
Ma, tuttavia, si decise ancora gli avversari a fare la pace nel paese, indipendentemente dalla ricchezza personale, dalle proprie idee politiche. La proposta fu accolta con piacere dai nostri avdersari che, anzi, sospirarono e guardarono in alto, come se si aprisse lor[...]

[...] questa era la questione più importante o urgente), se erano disposti a venire ad un compromesso con Orgosolo: sospendere quelle misure di forza che con mal consiglio, per rovina nostra e loro pure, erano soliti pigliare. E in cambio non più furti, e non più ricatti, non più sequestri e non più morti.
Acconsentirono: «Perché il paese fosse pacificato — dicevano ci
impegniamo a liberare i confinati, i perseguitati, a non fare più ingiustizie, e cioè arresti alla cieca, maltrattamenti, tortura ».
L'unico mezzo che si è potuto trovare nel paese dai promotori per garantire il rispetto del patto era il mezzo antico del giuramento. Il prete, i d. c. avevano imposto di farlo sulla Croce: quello che contava era la parola, che è più antica della Croce. Avevamo accettato: « Verrà S. E. il Vescovo, ed il prete. Sono loro gli iniziatori, i nostri benefattori ». Anche questo. Tanto sanno tutti che vivono questi per mentire, per seminar zizzanie, per farsile aquile — e non corvi, come sono — con le penne degli altri.
Cominciamo a preparare squadre[...]

[...]iuramento, di discordie e di uccisi si credeva che non rimanesse il ricordo che di un triste passato. I confinati, in numero di sei, invece, non erano rientrati, malgrado le promesse. Le Autorità, lo Stato, non mantenevano la parola.
Una sera, mentre si era riuniti in Municipio, al primo imbrunire, si odono delle fucilate e subito si sparge la voce che hanno ucciso un carabiniere nella periferia del paese. Ne siamo ancora atterriti, e con tutto ciò, il paese si rovescia disperato verso il luogo indicato, per accertare se tal crimine corrisponde a verità.
Ma riceviamo una amara accoglienza. I carabinieri ci respinsero considerandoci tutti, uomini e donne, degli assassini; mettendoci tutti davanti con i mitra spianati; e gridando come pazzi: « Mani alla nuca! », «Quello che si muove é spacciato »; e colpendo con il calcio del mitra anche delle donne incinte. In numero di una cinquantina ci portarono, in catene, fino in caserma e vi erano donne e ragazzi che li fecero sedere sul pavimento, tra la folle spavalderia dei carabinieri che gridavano di ammazzarci tutti. Un brigadiere che manovrava i1 mitra, la
269 FRANCO CAGNETTA
mentoso, diceva: « Proprio questa sera si doveva inceppare, che dovevo uccidere una cinquantina di Orgolesi a. In questo modo ci tennero fino alle tre di notte fra il panico ed il freddo, fino a che non venne un Cornmissario di " P. S. ed un Colonnello dei carabinieri. La mattina dopo abbi[...]

[...] di " P. S. ed un Colonnello dei carabinieri. La mattina dopo abbiamo saputo che forse un carabiniere aveva sparato ad un brigadiere della P. S. mentre questi andava a cerca dell'assassino, e si é avuta anche una baruffa con minaccia di spararsi addosso tra carabinieri ed agenti di P. S. Questi ultimi sostenevano che i membri del Comitato non dovevano essere respinti in quel modo, che dovevano essere mobilitati, anzi, alla ricerca del criminale. Ciò dicevano i poliziotti stessi.
Nell'assistere a quel troppo nervoso e folle comportamento dei carabinieri, dall'ascoltare le deposizioni di tutta la gente del vicinato ove si era svolto l'omicidio, che non avevano visto nessuno da una finestra che domina il sentiero, e non avevano sentito nessuna fucilata, se non quelle, e molte, dei carabinieri, tutti di accordo si é stati nel sostenere che quel colpo fatale per il carabiniere — Loria, diciamo — sia partito involontariamente dai carabinieri stessi. Per paura di essere puniti non volevano ora dirlo ed osavano addossare la colpa a tutto i'1 no[...]

[...]le Tanteddu é rimasto latitante e di nuovo lo chiamano « un Giuliano ». E in tutte le famiglie dei colpiti é rimasto un brutto stato di perplessità e di odio per quelli che potrebbero essere stati gli organizzatori, ingannatori, delle due stragi.
II Comitato rimase barcollante come una foglia appesa e alla pia piccola bufera già pronta a cadere. Era il 6 novembre e avvenne il sequestro o rapimento dell'ingegnere Capra di Cagliari.
In seguito a ciò venne pure arrestato il mio fratello minore Pasqua le, che era stato chiamato poco prima a fare il servizio militare, e un membro stesso del Comitato, Mereu Giuseppe. Dopo un mese di carcere, senza imputazione, mio fratello veniva ammonito di non fare non si sa ancora che, il Mereu, poveretto, era inviato 2 anni al confino per non far « male ».
Il vero male é che noi tutti eravamo comunisti.
Il Comitato era ora legato ad un filo di vita, e le morte dell'ingegner Capra nel conflitto di Meninfili lo aveva troncato. In quel conflitto tra i carabinieri guidati da una spia, ed Emiliano Succu che[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte terza: Orgosolo moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]imperialista italiana conduce contro Orgosolo e, largamente, contro tutta la Sardegna pastorale.
L'economia pastorizia sarda, e particolarmente, quella della Barbagia pu) essere considerata da quel tempo sino ad oggi — e con pro
prietà di termine una economia di tipo coloniale.
Abbiamo visti i caratteri « primitivi » dell'azienda pastorale sarda. Dobbiamo qui precisare che non si tratta più di un'azienda primitiva vera e propria, una azienda, cioè, che vive in un mercato naturale o di baratto, ed il cui territorio è chiuso, limitato al paese. Si tratta, invece, di una azienda già in pieno immessa nell'epoca moderna: che vive in un mercato artificiale, che ha bisogno di denaro, ed il cui territorio è vastissimo : il mercato finanziario, il mondo.
Da quando la borghesia italiana introduce la proprietà privata nelle terre di pascolo che, conseguentemente, si danno in affitto, la prima necessità dell'azienda del pastore — procacciarsi il pascolo — comincia a coincidere con la necessità di procacciarsi il denaro. L'affitto, richiesto in d[...]

[...] (l'abitante della Barbagia, per es., ha un reddito medio 1015 volte inferiore a quello dell'abitante di Roma); poi piano piano cominciano a vendere il gregge; infine, a poco a poco, si riducono alla disoccupazione. Per la prima volta dopo millenni la disoccupazione tra i pastori (almeno per larghezza) é il fenomeno nuovo. La formazione di una classe di disperati disposti a qualsiasi lavoro : pastorizio, agricolo, artigiano, industria
le ecc. — cioè la formazione di un proletariato pastorale — é il risultato nuovo della storia imperialista.
Ed in Barbagia il pastore disoccupato non può sperare di sfuggire a questa proletarizzazione con il mutare lavoro, mestiere:
1) L'agricoltura é pochissimo sviluppata (la terra, per la comodità della rendita agraria, si fitta a pascolo); il contado presenta fenomeni di disfacimento : di proletarizzazione agricola.
2) L'artigianato ed il piccolo commercio, con la schiacciante concorrenza dei nuovi prodotti di fabbricazione industriale, sono rovinati: scendono sempre più verso una situazione di prole[...]

[...]è la formazione di un proletariato pastorale — é il risultato nuovo della storia imperialista.
Ed in Barbagia il pastore disoccupato non può sperare di sfuggire a questa proletarizzazione con il mutare lavoro, mestiere:
1) L'agricoltura é pochissimo sviluppata (la terra, per la comodità della rendita agraria, si fitta a pascolo); il contado presenta fenomeni di disfacimento : di proletarizzazione agricola.
2) L'artigianato ed il piccolo commercio, con la schiacciante concorrenza dei nuovi prodotti di fabbricazione industriale, sono rovinati: scendono sempre più verso una situazione di proletariato « di paese ».
3) Industrie in Barbagia non ne esistono. Quelle che esistono in Sardegna (miniere del Sulcis e Iglesiente) sono lontane e, anche queste, di tipo coloniale: il carbone si estrae ma non si lavora: si spedisce in continente. La loro capacità di assorbimento di mano d'opera è, perciò, scarsa; la concorrenza tra operai fortissima; le condizioni di vita peggiori, probabilmente, di quelle del pastore. E per di piú, oggi, dopo l'invio del commissario governativo Landi, è diventato chiaro il proposito di smobilitare Carbonia, (si parla già esplicitamente della « necessità » di licenziare 4.000 dei 10.000 operai).
Ogni nuovo lavoro o mestiere propone così ai pastori condizioni non diverse da quelle che hanno, se non peggiori: la prospettiva finale è, ancora, la disoccupazione. E così i pastori — categoria tipicamente «conservatrice », perché da millenni abituata alla sola past[...]

[...]a. La proprietà privata delle terre per pascolo non è molta; il territorio comunale estesissimo; gli industriali caseari che incettano il latte non sono visibilmente presenti nel paese : pochi centri di raccolta esistono ai margini del territorio di Orgosolo.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 215
Ma la sottrazione del paese alla economia imperialista è soltanto illusoria. I pastori di Orgosolo, seminomadi — per ragioni climatiche — per la meta dell'anno e cioè per l'inverno, sono costretti ad andare nei territori circostanti, cioè in terre private di pascolo che pagano in denaro. L'accerchiamento del territorio di Orgosolo da parte della economia imperialista fa sottostare per metà il paese a questa economia. La introduzione stessa della proprietà privata di terre di pascolo — sia pur in forma meno pronunciata che altrove — introduce, ancora, nel paese, il cavallo di Troia della economia imperialista. Sempre piú, dalla guerra 191518, ma specialmente, dalla guerra 193943, i pastori di Orgosolo sono costretti sempre più a ricorrere, per il denaro dei fitti del pascolo, agli industriali.
Dalla fine di questa ultima guer[...]

[...]pei oppressi dal potere feudale, il comunismo nel XX secolo è il solo movimento di liberazione nazionale dei popoli coloniali oppressi dall'imperialismo. Per comprendere la situazione di Orgosolo in una scala assai ridotta bisogna riferirsi su scala mondiale a ben più vaste situazioni che possono ritrovarsi tra i popoli coloniali dell'Africa e dell'Asia. Il comunismo orgolese presenta singolari identità con ìl comunismo di quei paesi coloniali.
Ciò che crea un terreno « naturale » per il comunismo in Orgosolo é costituito, innanzitutto, da due particolari condizioni:
INCHIESTA SU ORGOSOLO 219
1) La prima é una situazione economica comune, per es., in alcune zone e popolazioni africane: l'economia locale é basata sul comune uso del pascolo. La proprietà privata, oltre che veramente estranea, é estremamente nociva alla vita del paese. L'antica abitudine al pascolo comune, il patriarcale « comunismo » (e tale é infatti l'antico termine locale) é lo sfondo per il moderno comunismo :
Tottu dipende dae sa facenda
de non esser comune sa [...]

[...] fanno « moderne, comuniste ».
Per avere, per es., un'idea del rapporto di ingenuo proselitismo al comunismo che si instaura tra confinati e famigliari, riporto qui di seguito alcune lettere anche queste scelte a caso tra molte e che, con pochi squarci sono di per sé esemplari :
1) « Cara sorella, rispondo con ritardo alla tua. Siamo qui circondati dall'oceano, nell'isola di dolore, ossia "confino". Molti sono comunisti e pensano bene. Io comincio a vedere ».
2) « Compare carissimo, il 30 luglio o ricevuto la vostra adorabile letterina e sono contentissimo. Vi faccio sapere delle novità del paese
ZZZ FRANCO CAGNETTA
che hanno ammazzato a ziu P. gli hanno ammazzato 210 pecore ed hanno arrestato il servo C. poi due buoi mancati a ziu M. poi hanno ammazzato a ziu V. e gli hanno tagliato la gola, un orecchio bucato, gli occhi e poi hanno fatto un conflitto su territorio Gavoi il quale sono restati R. ed hanno ferito e arrestato T. Io vi prego di non dire che per voi non dobbiamo lasciare la rabbia. No e poi no. Che siete condannati innocentissimamente pro su confinu. Vi assicuro che qui tutti adirati siete adorati come un santo, assai piú. Sono per questo t[...]

[...]gistrato, funzionario ecc.
224 FRANCO CAGNETTA

diviene il più fedele esecutore di questo e il nemico piú crudele del pastore e del contadino. Non é in questo, certamente, che il pastore e il contadino può trovare la sua guida. Il sospetto, il disprezzo verso l'intellettuale (abitualmente non espresso apertamente, se non nei momenti critici) é l'aspetto piú profondo di questa incolmabile divisione.
La cultura comunista non poteva trovare perciò altra via (una via non « sospetta », una via « genuina ») se non attraverso le ferme culturali proprie e tradizionali del pastore e del contadino. E una via la ha trovata soprattutto, e la trova tuttora, nella antica forma culturale di su tenore.
Abbiamo visto esattamente che cosa, per l'aspetto « formale » é su tenore (4); indicheremo ora, in breve la sua funzione di moderno « formatore » o « organizzatore » di cultura.
È singolare osservare, per es., che questo antico, millenario strumento culturale é divenuto la forma più larga, piú profonda di propaganda del comunismo in Orgosolo. Dieci[...]

[...]itica. La Federazione di Nuoro del P. C. I. é una federazione forte e ben organizzata, composta di sardi intelligenti, sensibili, preparati ai loro problemi, coraggiosi, e, buoni conoscitori dei problemi di Orgosolo. È interessante notare — ed è un dato indicativo che la sua vera possibilità di azione e di successo in Orgosolo, la possibilità di creare una sua organizzazione locale le si è aperta solo dopo le elezioni politiche del 1948: quando cioè il P. C. I., uscito dalla coalizione governativa con la D. C., è divenuto « il partito dell'opposizione », il partito che si batte contro i governi di classe cioè lo Stato ». La Federazione di Nuoro del P. C. I. con una azione ben condotta di propaganda, di contatti, è riuscita a mettere in evidenza in Orgosolo i legami che ha il proletariato pastorale e tutto il paese con il movimento nazionale e internazionale degli operai, dei contadini, degli intellettuali; ha sviluppato in difesa di Orgosolo una campagna contro i soprusi statali, polizieschi e burocratici; ha sottolineato la necessità di pace, di abbandono del terrorismo individuale, dei delitti ecc. e la improrogabile necessità (perché questo si ottenga) che vi sia lavoro, progresso economico, t[...]

[...] La corruzione « civile o statale » del carattere é il fondo dell'italiano: un popolo che da millenni ha subito la civiltà. L'orgolese non ha ricevuto e non ha subito la civiltà.: non conosce ancora corruzione « civile o statale ».
Questo, naturalmente, in certo senso é un limite, poiché non si può prevedere la sua capacità a resistere una volta entrato nella « civiltà », una volta entrato nello « Stato ». Ma per ora, come nei popoli coloniali, ciò consente una riserva di freschezza, di entusiasmo, di forza tra noi del tutto sconosciuta.
Esiste ancora tanta onestà tra questi uomini che é impossibile trovare ormai, credo, in tutt'Italia, se non tra uomini ridotti ad un uguale stato di estraneità dalla società italiana, dalla « civiltà »: operai, contadini ecc. Uomini tutti d'un pezzo, uomini integrali.
Nella conoscenza che il popolano di Orgosolo ha dello Stato, della « civiltà », egli é, in un certo senso, in una situazione privilegiata: egli
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conosce già il « male » della società italiana, ne ha sentito, e pesant[...]

[...]i inglesi.
Le loro conoscenze a prima vista sembravano ancora rozze, limitate. Ma bastava parlare con loro, sentire parlare per rendersi conto come fossero informati, e informati sino allo scrupolo, dei loro problemi di pastori, di contadini, in nesso ai nostri maggiori, ai più gravi problemi. Un fondo culturale di reale, di profondo sapere. La volontà tenace ma non lamentosa di apprendere, di sapere si univa ad un'ansia, ad una sete, per tutto ciò che era moderno. Uomini antichi, tenacemente, radicalmente affondati nella loro terra, ma tutti . protesi al moderno, tenacemente, radicalmente portati ad una trasformazione. Una gente che voleva il lavoro, voleva lavorare. Ed al lavoro l'orgolese é abituato da millenni: é un lavoratore fortissimo, tenace, primitivo.
La loro intelligenza, frutto della loro storia secolare, era poi una intelligenza acutissima, violenta, ma raffinata ed equilibrata. Per riportare i risentimenti e le reazioni ad una ragionevole misura subentra sempre nell'orgolese un umorismo popolare. Questo direi è il motivo [...]

[...]erché il Comunismo non vuole.
La Legge deve essere uguale
come sono le bimbe nelle scuole.
Essere analfabeta, o quanta male:
è non avere la luce del sole.
Inquisitori, Signori brutali,
sarete uccisi a colpi di pugnale.
Ma altrettanto l'azione pratica, l'organizzazione della lotta e del lavoro ha avuto in Orgosolo già una storia, ed una storia epic,a.
Il 1950, in lotta contro la disoccupazione 300 pastoribraccianti organizzano il primo « sciopero », uno sciopero « a rovescio », la prima « rivoluzione » nel paese. La sua cronaca si può leggere nel vivo racconto del protagonista, Peppino Marotto, di cui pubblico qui alla fine l'autobiografia.
Il 1953 tra i braccianticontadini invece si verifica la prima « rivoluzione ». Novantadue c,ontadini della cooperativa «La popolare », sorta formalmente il 1948 ma inattiva sino al 1950, con sforzo eroico acquistano il 1° novembre 1953 al prezzo di 9 milioni (con contributo) un trattore Ansaldo T. C. 70, il primo mezzo di lavoro meccanico entrato in Orgosolo. Dissodata mediante questo la terra essi lavorano su 120
INCHIESTA [...]

[...]ciali — tra un'ecatombe di agnelli e di pecore squartate, cotte li, all'aperto, tra barili di vino e di birra che non restano mai pieni.
Lo sviluppo del comunismo in Orgosolo, come si vede, acquista forme specialissime : tipicamente « coloniali », non riscontrabili, almeno per intensità, in ogni altro paese d'Italia.
Rimane qui da sottolineare un aspetto fondamentale che riguarda l'atteggiamento « nuovo » del paese nei riguardi del banditismo, cioè del problema più grave, piú immediatamente grave del paese.
L'attività sociale di « liberazione » dei comunisti pare la sola forma volta profondamente alla pace, allo sviluppo della cultura, alla lotta per il lavoro : la sola che non porti al sangue ma combatta il sangue, che combatta la ribellione individuale, il banditismo.
Riporto qui, ad es., due documenti importanti per la storia del paese : l'intervento del calzolaio Giovanni Menneas fatto al congresso della sezione comunista di Orgosolo nell'aprile 1953 ed una lettera del pastore Peppino Marotto, inviata al Maresciallo dei carabinie[...]

[...]. Non solo deve riscattare la mia persona dall'ozio, per vivere, come ho fatto sempre, nel lavoro. Per la mia famiglia. Ma deve anche appoggiare le mie sincere propagazioni di fratellanza umana, di pace, e soprattutto di civile progresso in quella arretrata terra. Si persuada che l'arretratezza civile e morale è la fonte del mal costume ivi esistente. Nessun altra lotta diversa dalla mia servirà a sterminarlo. Lasci il mitra ad arrugginire.
Fiducioso dell'osservanza e ansioso di favorevole esito
con reverenza.
Giuseppe Marotto ».
Eppure contro questi uomini, contro i « comunisti » di Orgosolo
seppure in forma non aperta — lo Stato ha incominciato a svolgere — come nelle colonie — una politica di repressione, di persecuzione. Si cerca di colpire « i capi », gli « intellettuali », i « dirigenti proprio coloro che dovrebbero cioè essere piuttosto incoraggiati, assistiti, se non altro perché sono i soli, in luogo dello Stato, che si battano e facciano qualche cosa per eliminare nel paese la mentalità « propensa » al banditismo, per introdurre praticamente un progresso reale.
L'istituto del confino è lo strumento attraverso il quale sì sviluppa questa politica (ricompare la vera natura « politica », fascista del con
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fino). Di volta in volta col pretesto del « favoreggiamento » di banditi, senza prove, contro tutte le prove, si colpiscono uomini ostili al banditismo che lottano notoriamente contro[...]

[...]gliori e più apprezzati poeti orgolesi, é l'esempio di quanto la disposizione « spirituale » di un orgolese, la ricchezza di un uomo orgolese possa essere insidiata, frustata da una società e da un mondo che impediscono più di ogni altro lo sviluppo della personalità.
Costretto alla dura vita del pastore sin dalla più piccola età, obbligato a lasciare presto le scuole, disoccupato, poi militare, arrestato perché comunista e organizzatore dello sciopero di pace, confinato ad Ustica dal 1950 al 1952, organizzatore della « Pace di Orgosolo », nuovamente minacciato di arresto e nuovamente condannato al confino per la sua attività politica, il suo amore costante alla cultura, il suo
INCHIESTA SU ORGOSOLO 239
sforzo allo studio é stato ed é veramente eroico (9). La cultura di Marotto è una cultura non fatta di ripiegamenti, di intimismi, ma militante, impegnata : viva, di grandi problemi. Uomo che ama profondamente la pace (e la cultura é pace, difesa della pace), condannato al confino (1 anno a Castelmauro, prov. di Campobasso), dopo esser[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Ciò, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---siano <---italiana <---Pratica <---italiano <---ideologia <---Diritto <---socialista <---Filosofia <---marxista <---socialismo <---comunista <---abbiano <---Logica <---italiani <---marxismo <---Così <---Dialettica <---ideologico <---comunisti <---fascismo <---socialisti <---ideologica <---Ecco <---Stato <---Del resto <---Perché <---ideologie <---materialismo <---comunismo <---imperialismo <---marxisti <---Scienze <---capitalismo <---storicismo <---Francia <---Più <---fascista <---psicologico <---Marx <---idealismo <---ideologiche <---realismo <---Gramsci <--- <---italiane <---psicologica <---Psicologia <---Sociologia <---sociologia <---Dinamica <---Lenin <---Partito <---Sulla <---cristiana <---psicologia <---Engels <---Fisica <---Metafisica <---Storiografia <---ideologici <---Dio <---Poetica <---dell'Europa <---Basta <---Dogmatica <---Quale <---fascisti <---leninista <---Meccanica <---cristiano <---d'Italia <---gramsciana <---leninismo <---liberalismo <---metodologia 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