Brano: [...].
Il Croce mi rispose gentilmente così: a La ringrazio del Suo opuscolo, e mi sono rallegrato nel leggerlo, vedendo l'avviamento nuovo che Ella dà allo studio dei miti. Certamente il mito non è arte; perché vi si unisce sempre un elemento intellettivo (logicostorico); ma, consistendo appunto in un miscuglio di arte e di pensiero, è impossibile studiare i miti senza avere bene in mente il concetto dell'arte, e in ispecie, dell'arte come libertà. Ciò Ella ha visto benissimo... ».
In una pagina di quell'articolo, erano svolte alcune idee generali sul mito, e su queste si era fermata l'attenzione del Croce. a ...Il processo mitogenetico » — dicevo — a è un processo fantastico. Con ciò si pone la ragione di un radicale criticismo di fronte a tutte le teorie mitologiche a tendenza interpretativa, dai vari allegorismi — fisico degli Stoici, storico di Evemero, politico di Aristotele e di Bacone, biblico dei Padri della Chiesa — al simbolismo di Creuzer e in parte al meteorologismo di Adalb. Kuhn e di Max Müller. Il mito non è spiegabile: spiegabil[...]
[...]a garantire la durata del mondo. Recitare il Poema della creazione alla festa di capodanno, come si faceva in Mesopotamia nel III e II millennio a. Cr., è come ripetere l'atto della creazione, e in ció sta il suo valore inaugurale, cioè augurale per la nuova annata. L'efficienza sacrale, cultuale, religiosa del mito sta nella magia della parola, nel potere evocativo e realizzatore inerente alla parola parlata, al mythos non come `discorso favoloso', ma come incantesimo, onde la fabula, nell'atto e per effetto della enunciazione, diviene fatum, irrevocabile destino.
E stato detto che tutti i miti sono miti delle origini (2). Presa alla lettera, questa generalizzazione dei mitologi moderni non sembra avere maggior consistenza di quelle di cui si compiaceva la vecchia mitologia naturistica, quando tendeva a ridurre tutti i miti a miti meteorologici
(1) R. PErrAzzoNI, Verità del mito, in « Studi e materiali di storia delle religioni », 194748; Miti e Leggende, I, Torino 1948, p. VII e segg.; Die Wahrheit des Mythos, in « Paideuma », 1950;[...]
[...]n una gara a chi sa raccontarne di più, il narratore delle storie vere ha la peggio, perché il suo repertorio non é inesauribile e le storie vere son quelle che sono, e vince invece il narratore delle storie false, perché queste possono essere inventate e moltiplicate a volontà da un narratore sbrigliato di fantasia qual é appunto il Coyote, furbo matricolato e mentitore senza scrupoli.
Qui si tocca con mano la differenza fra il sacro che é `vero' e il profano che è `falso'. Resta a vedere se le storie false del Coyote non siano state anch'esse altra volta vere, se non siano anch'esse antichi miti delle origini, già veri in un mondo oltrepassato, nel quale il Coyote stesso sarà stato una figura divina, e poi sconsacrati e divenuti argomento di riso e di trastullo in un nuovo clima storico, col Coyote decaduto a figura subalterna di un altro Essere supremo e sua controfigura secondaria nell'opera della creazione.
La differenza fra storie vere e storie false non riguarda la forma del mito. Per la forma il mito è pensiero fantastico, e di questa forma partecipano [...]