Brano: [...]i ha neanche l'idea di un dubbio del genere. Si tratta dunque di storie vere, rivelazioni relative ad un periodo extratemporale, pieno di esseri ed avvenimenti che appartengono alla sopranatura, ma la natura attuale è ad essi solidale e ne è inseparabile. E precisamente questi rapporti che essi contengono ne attestano il carattere sacro e garantiscono loro un'autorità incomparabile: la qual cosa può parimenti dirsi dei libri sacri ». (LévyBrühl, Carnets, tr. it. 1952, p. 114, 115).
Ci potremmo chiedere — in via preliminare se è legittimo parlare di mito come di un mondo unitario, se cioè esiste una realtà storicoculturale cui si possa, senza essere tacciati di arbitrio o di genericità, dare il name di mito. L'esistenza di questa realtà ci è comprovata dalle mitologie presenti in tutte le culture e in tutte le epoche, ai livelli più diversi di civiltà. Gli studi di Cassirer, Lévy Brühi, Kerény, Eliade, Jung, Gusdorf — per non citare che alcuni studiosi recenti — ci autorizzano a parlare di un « pensiero mitico » o di una « coscienza mitica [...]
[...]l LévyBrühl, che collegano individuo e gruppo, gruppo e totem, gruppo
e antenati, gruppo e suolo, non sono una prerogativa esclusiva dei popoli primitivi. Il mondo della partecipazione che il primo LévyBrühl, ad esempio quello delle Fonctions mentales dans les sociétés inférieures del 1910, qualificava come un mondo « prelogico », nettamente distinto dal nostro universo dominato dalla logica e dall'uso dei concetti, ci appare negli interessanti Carnets, scritti nel 19389, e pubblicati postumi, come una esperienza universale e non certo limitata alle sole società inferiori. Ciò non significa che le credenze magiche, le rappresentazioni
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mitiche, le varie pratiche rituali in uso presso i primitivi continuino ad avere valore per noi. Noi non crediamo che le cosiddette e appartenenze » (capelli, avanzi di cibo, tracce di passi, unghie, vesti impregnate di sudore, ecc.) siano identificabili con l'individuo, né crediamo, ad esempio, che piantare una lancia nella traccia del piede di un nemico o di un animale equivalga a ferire o[...]
[...]più o meno consapevole, ma pur sempre esistente e necessario per vivere e orientarsi in una realtà che ci rifiutiamo di riconoscere come un regno assurdo e angoscioso nel quale saremmo scagliati per i decreti di un dio ostile e straniero.
Il LévyBrühi non ha voluto, se non con timidi cenni, sviluppare il problema della partecipazione fuori dall'ambito della mentalità primitiva. Questa scrupolo fa onore alla sua probità scientifica. Negli stessi Carnets il LévyBrühl si avventura molto raramente e con estrema cautela nella fenomenologia moderna della partecipazione. Egli afferma soltanto che l'esperienza della partecipazione esercita un suo compito nella religione, nella metafisica, nell'arte e anche nella concezione complessiva della natura (cfr. op. cit., p. 260), ma lascia intravedere che la partecipazione, da lui studiata nel mondo delle culture primitive, costituisce il nucleo emozionale di un'esperienza sui generis e index sui assai diversa dall'esperienza fondata sull'uso dei concetti, sulla regolarità del
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le sequen[...]
[...]mozionale di un'esperienza sui generis e index sui assai diversa dall'esperienza fondata sull'uso dei concetti, sulla regolarità del
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le sequenze fenomeniche e sulla fissità delle forme. Questa esperienza LévyBrühl l'ha chiamata « mistica », sebbene la parola « mistico » non andasse troppo a genio nemmeno a lui. Ma a chi gli suggeriva di sopprimere la s di mistico egli, come ci informa Maurice Leenhardt nella sua Prefazione ai Carnets, «opponeva il suo fine sorriso». Con quel termine LévyBrühl alludeva, secondo il Leenhardt, a « forze impercettibili ma reali, e non si rendeva conto che il vocabolo forza già di per sé é una parola che circoscrive un avvenimento a un dato momento, cioè già un mito » (p. 24). « In realtà » — conclude giustamente il Leenhardt — « mistico era allora, ed é tutt'ora, il termine rifugio in cui si racchiude tutto ciò che, nel comportamento umano, sfugge alla chiara analisi. Ha fatto fortuna oggi, anche se gli etnologi l'hanno abbandonato per usarlo, con cognizione di causa, solo quando si è in pres[...]