Brano: [...]re gioiva del progresso, ripeto frutto del suo onesto lavoro, tanto da consentirgli ritirare vagoni di merce dalla Germania, e segnatamente articoli di vetro argentato e dorato, che in quell'epoca erano molto ricercati e andavano a ruba. Fu tale lo sviluppo che mio padre fu costretto fittane due depositi, uno presso la Posta Vecchia, e un altro via Porta Rufina, depositi che servivano per lo smistamento, per la distribuzione all'ingrosso, sia al capoluogo, sia in provincia, e fu necessario prendere un altro garzone, e comprare un carretto ed un asinello. L'unica difficoltà era l'organizzazione che mancava, perché mio padre era analfabeta, e la merce nei depositi era messa alla rinfusa, senza scaffali.
D'altra parte, il caffè gestito da mia madre (donna astuta, lavoratrice, e piena di volontà) non era meno remunerativo dell'altro negozio, perché lei preparava i liquori correnti dell'epoca e cioè rosolio, anice e rhum, ed aveva sviluppato una clientela invidiabile. Io avevo cinque anni (incredibile ma vero), di Natale, con l'aiuto della se[...]
[...] noi che aveva fatto buon viaggio, e che aveva trovato lavoro presso una raffineria di zucchero, situata Gran Chaimen d'Aix (2) guadagnando lire 2,60 al giorno, portando da un punto all'altro molti sacchi sulle spalle (lavoro che non aveva mai fatto) e spesso faceva dello straordinario, e cosí la sua mercede si arrotondava a lire 3 e anche 3,30 al giorno. Pagava 1,20 di pensione presso una buona famiglia sarda, il di cui titolare era chef (ossia capo del reparto in cui lavorava) che prese tanto a ben volere il mio povero padre, che gli cambiò adibendolo ad un lavoro piú leggier°. E mio padre buono, ma molto buono (e lo dico fino alla noia) scriveva, 'o meglio faceva scrivere delle lettere pieno di entusiasmo, esprimendo il desiderio di essere raggiunto da noi: non poteva restare piú solo, era troppo preso dalla nostalgia della famiglia. Ed infatti dopo pochi mesi, e precisamente l'11 novembre 1888 (ricordo questa data perché S. Martino, onomastico di un parente che ci accompagnò a Napoli all'Immacolatella Vecchia) e dopo di aver provvedut[...]
[...]o averci pulito alla meglio, ci recammo a pranzo da questo zio. Mio padre ebbe cura di comprare una gallina per farci un ottima tazza di brodo (tanto necessaria a mettere a posto il nostro intestino rimasto privo di alimento per quattro giorni) malgrado la mancanza di suppellettili, che man mano venivano comprati, con qualche piccolo risparmio: tantoppiú che mio padre, per il suo carattere buono, e per la sua onestà e attaccamento al lavoro, dal Capo reparto, (che Doi divenne nostro compare, perché un figlio suo fu tenuto a battesimo da mio padre) ebbe un posto di fiducia, e la paga salì a lire 4,30 giornaliera, e con 10 straordinario spesse volte toccava le lire 5, somma favolosa per quei tempi.
Eravamo felici, raccolti nella nostra famiglia, senza rimpianto della vita beata di Benevento, insomma eravamo allegri nella nostra miseria. Dimenticavo raccontarvi la funzione del battesimo di un figlio del Capo reparto. Esso venne celebrato in una piccola chiesetta di campagna, perché noi vivevamo quasi alla periferia, e il nostro rione abbond[...]
[...]che Doi divenne nostro compare, perché un figlio suo fu tenuto a battesimo da mio padre) ebbe un posto di fiducia, e la paga salì a lire 4,30 giornaliera, e con 10 straordinario spesse volte toccava le lire 5, somma favolosa per quei tempi.
Eravamo felici, raccolti nella nostra famiglia, senza rimpianto della vita beata di Benevento, insomma eravamo allegri nella nostra miseria. Dimenticavo raccontarvi la funzione del battesimo di un figlio del Capo reparto. Esso venne celebrato in una piccola chiesetta di campagna, perché noi vivevamo quasi alla periferia, e il nostro rione abbondava, o meglio era una colonia di atripaldesi e salernitani, quest'ultimi ogn'uno possedeva un carretto, e faceva il commercio di frutta e verdura. Uscito dalla chiesa, mio padre ebbe cura (dopo il suggerimento di qualche paesano) cambiare un cinque franchi d'argento in soldini piccoli, e buttarli dietro al corteo di piccoli ragazzi, che rotolando nella polvere facevano a gomiti per raccoglierli. A casa del compare Capo reparto vi fu un pranzo di gala. Debbo con[...]
[...]iferia, e il nostro rione abbondava, o meglio era una colonia di atripaldesi e salernitani, quest'ultimi ogn'uno possedeva un carretto, e faceva il commercio di frutta e verdura. Uscito dalla chiesa, mio padre ebbe cura (dopo il suggerimento di qualche paesano) cambiare un cinque franchi d'argento in soldini piccoli, e buttarli dietro al corteo di piccoli ragazzi, che rotolando nella polvere facevano a gomiti per raccoglierli. A casa del compare Capo reparto vi fu un pranzo di gala. Debbo confessarlo, fu il primo pranzo di lusso che incominciai a vedere. Non ricordo le portate che furono numerose, ne ricordo solo due, un antipasto assortito, compreso burro (che non avevo mai mangiato), ravanelli, che tante volte avevo mangiato per companatico nelle taverne, quando andavo con mio padre, e polli. Ripeto non ricordo il resto, ricordo solo che fu un pranzo che non finiva mai, e che noi non potevamo ricambiare con la famiglia del compare, perché mancava il necessario, i piatti e i bichieri. Avevamo un bel tavolo da pranzo comprato per pochi so[...]
[...]o bravo —; mi chiese il mio indirizzo, e mi diede il suo. Era un insegnante di scuole elementari francese, seppi poi che il padre era di origine piemontese, mi pregò di andare a casa sua qualche volta, specie la domenica. Mi
(1) L'invalido, il ferito porta chi é valido.
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accorsi che era un patito di Rittardo (I) per le canzoni napoletane, e promisi di andarci la domenica prossima, tantoppiú che abitava alla Caposelle, Boulevard St. André poco distante da noi; e ritirandomi a casa raccontai in famiglia tale incontro.
Le cose mie andavano benino, lo sviluppo cresceva giorno per giorno ma il mestiere scelto di ciabattino non era adatto per me, giovanotto svelto, 'e perché rio? di alte vedute, era un mestiere adatto per un vecchio. Una mattina nel recarmi a fare delle compere di certi articoli per il mio lavoro, passando per il corso della strada principale che da Marsiglia portava a Aix, lessi nella vetrina di un grande negozio di scarpe (non potevo uscire dalle scarpe) due cartellini uno in italiano e[...]
[...]amiglie bisognose vi era una disposizione del console italiano a Marsiglia: concedeva il viaggio gratis, però senza vitto, naturalmente dopo le burocratiche pratiche di accertamento di famiglia povera. Intanto il tempo stringeva, il padrone di casa minacciava lo sfratto. Io conoscevo Marsiglia palmo per palmo, e tutte le mattine alle nove mi recavo al palazzo del console alla Rue Canebière per vede re se la pratica nostra era ultimata. L'usciere capo, un tipo nervoso, non mi dava neanche il tempo di domandare, e mi mandava fuori dalle scatole. A furia di andare, a furia d'insistere tutti i giorni, una mattina non vi era quell'usciere capo, che tanto aveva preso ad odiarmi, e con buoni modi cercai persuadere quello di servizio, perché mi avesse annunziato al Console Generale. Questo si mise a ridere e mi rispose: — Ma siete pazzo, volete essere ricevuto dal Console? Se mai, al suo segretario —. Fui contento lo stesso, e difatti fui introdotto al suo cospetto, narrando ogni cosa, e mi ascoltò col massimo interesse. Dopo di che, chiamò un impiegato per sapere a che punto stava la mia pratica, ma la mia domanda era sul tavolo e nessuna informazione ancora era stata chiesta. Il segretario diede ordine, in mia presenza, che le dette[...]
[...] narrando ogni cosa, e mi ascoltò col massimo interesse. Dopo di che, chiamò un impiegato per sapere a che punto stava la mia pratica, ma la mia domanda era sul tavolo e nessuna informazione ancora era stata chiesta. Il segretario diede ordine, in mia presenza, che le dette informazioni il giorno dopo dovevano essere pronte. Fui licenziato ed avvertito di ritornare dopo tre giorni, che puntualmente ritornai, trovando, però; di servizio l'usciere capo, di cui ero l'odio suo. Di questo non mi potevo rendere ragione: mentre tutti mi volevano
bene, costui mi odiava. Come mi vide: Ebbene, ragazzaccio sempre
insistente, oggi non potete essere ricevuto —. Però feci presente che ero atteso dal segretario generale del Console, e così finalmente, si degnò introdurmi da lui. Ricordo che fui ricevuto molto benevolmente col sorriso sulle labra, compiacendosi della mia sveltezza, dicendomi che la pratica rispondeva esattamente alla verità, e che avrei potuto ritirare, fra qualche giorno, da un ufficio (che non ricordo) i biglietti d'imbarco, e che la[...]
[...]ngere alla nota [le] cinque persone della mia famiglia. E cosí alle ore dodici io andai a ritirare la minestra in un gran recipiente di latta, la carne, la gallette, e mezzo litro di vino. La sera alle ore diciannove e trenta il medesimo pasto, al mattino caffè per tutti e dieci gallette. La Provvidenza nella sventura veniva ad aiutarci. Occupai il mio posto di lavoro con una sveltezza che solo alla mia età si poteva ottenere, ero ben voluto dal caporeparto, che relazionava a lcomandante il mio zelo e attaccamento al lavoro. Se fossero vivi i miei genitori, potrebbero attestare quanto sto narrando.
La traversata fu bellissima, sviluppando un appetito formidabile; il mare era calmo, tanto che parecchi passeggieri giocavano a tombola. La mattina del 17 [correggi: 6] agosto alle ore nove eravamo per arrivare a Napoli. Non posso descrivervi la tristezza quando si lascia Napoli, allontanandosi di sera dalla bella città, e la gioia che si prova quando nelle prime ore del mattino, da diversi chilometri, si vede la Città.
(1) Nel ms. :« , e che[...]
[...]a contabilità, perché anche questo barese, era analfabeta. Insomma io che avevo frequentato la seconda classe elementare e due mesi della terza, ero un padreterno. Ma solamente alla divisione dei lucri e della merce, incominciarono a sorgere delle dificoltà, ed allora mi convinsi che nessuna società potevamo fare.
Occorre tornare qualche anno indietro, e precisamente nel settembre del 1890.
Frà i moltissimi clienti di mio zio Sabino, vi era il Capotreno Recine di Montefusco, che poi doveva diventare prima cognato e poi suocero mio, ed un giorno raccontò a mio zio che la moglie a Napoli si era partorito di una bellissima ragazza, ed aveva bisogno di una nutrice urgentemente. Mio zio voleva un gran bene a questo Capotreno; e perché assiduo suo cliente, e perché della nostra provincia, gli promise il suo interessamento. Lo zio Sabino aveva una sorella che si chiamava Lena, moglie di un operario di Sarno, Luciano Pappacena, che lavorava a Pianodardine, dove vi era una fabrica inglese di filati,
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il di cui proprietario si chiamava Turner. Questa zia Lena da poco si era partorito di una terza figlia, che fatalità volle dopo quindici giorni gli mori. Rimasta così la madre piena di salute e latte buono abbondante, lo zio Sabino telegrafò al Capotreno Recine che portasse la bambina perché ave[...]
[...]ento. Lo zio Sabino aveva una sorella che si chiamava Lena, moglie di un operario di Sarno, Luciano Pappacena, che lavorava a Pianodardine, dove vi era una fabrica inglese di filati,
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il di cui proprietario si chiamava Turner. Questa zia Lena da poco si era partorito di una terza figlia, che fatalità volle dopo quindici giorni gli mori. Rimasta così la madre piena di salute e latte buono abbondante, lo zio Sabino telegrafò al Capotreno Recine che portasse la bambina perché aveva pronto la nutrice. Infatti il giorno dopo arrivarono ad Avellino, il Capotreno, la moglie e la bambina che si chiamava Amelia. Si aggiustarono per il prezzo, e altre modalità, e fu affidata alle cure di questa zia Lena, che era una bella e simpatica donna.
Tutte le domeniche (io avevo tredici anni) e per la cupa (1) di S. Lorenzo (perché questa nutrice zia abitava al bivio della cupa, sulla strada che da Pianodardine porta ad Atripalda: abitazione caratteristica, perché aveva esternamente una scalinata) andavo da questa zia, perché aveva cura di conservarmi sempre un piatto di maccheroni di zita che io nell'ora di merenda, mangiavo con avidità. Spesse volte per ri[...]
[...]mpre un piatto di maccheroni di zita che io nell'ora di merenda, mangiavo con avidità. Spesse volte per riscaldarmi i maccheroni, mi affibiava in braccia questa piccola Amelia, che cresceva bellissima e che io divoravo con baci innocenti. Passato il periodo di allattamento, il padre ritirò questa bambina, con gran dispiacere di mia zia, vuoi per la morte della figlia, vuoi perché gli aveva dato latte, tanto si era affezionata.
I rapporti tra il Capotreno Recine e mio zio Sabino non solo rimasero cordiali, ma si cementarono fraternamente. Si era alla fine di giugno del 1896. Mio zio Sabino, malgrado i miei diciannove anni, voleva che io sposassi, sapendo che questo Capotreno aveva una sorella signorina a Montefusco, e lo sapeva perché la trattoria di mio zio era il punto d'appoggio di lettere e pacchi, sia da Napoli per Montefusco che da Montefusco a Napoli. Un giorno mio zio abbordò questo Capotreno che era in vena, e gli disse queste testuali parole: — Don Carlo, mi è venuta un'Idea. Perché non facciamo sposare Angelino con vostra sorella? — Il Capotreno su due piedi non sapeva che cosa rispondere, e disse: — Poi vedremo.
Stavano così le cose. Io senza approfondire troppo a questa proposta, seguitavo a lavorare con passione. E si avvicinava l'epoca della fiera di S. Egidio e siccome avevo ricevuto da questa fiera delle belle soddisfazioni e incoraggiamenti, aumentavo con maggiore esperienza, e l'esposizione diventava sempre interessantissima. Ero diventato l'idolo di tutta la clientela eletta, di tutte le signore: aspettavano con pazienza delle ore, perché loro dovevano contrattare solamente con Angelino. I successi crescevano senza mis[...]
[...] gusti indovinati, che i migliori negozii di tutta Napoli non possedevano.
Fu un successone. Le migliori famiglie dei paesi viciniori si fermavano ad ammirare tutti gli articoli, aspettando delle ore per essere servite. Il primo a felicitarsi con mio padre e con me, fu l'agrimensore Don Ciccio Bocchino, nonno del povero Dottor Francesco Bocchino, e
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sua moglie la signora Luisella Recine, sorella al padre del Capotreno Recine, donna di rare virtú domestiche. Questa si avvicinò a mia ma
dre, ed all'orecchio gli disse: — Eppure, è cosí abile e simpatico tuo figlio, che gli dobbiamo far sposare una nostra nipote. — Vi era un
gran negoziante di articoli svariati e bene assortiti di merceria, confezioni dell'epoca per signore, signorine e contadine, molto ricco, il quale avanzò con mio padre proposte di matrimonio di una sua figlia. Ed un altra proposta del genere [fu quella] di un forte negoziante in tessuti di Monteforte Irpino. E quando fu la sera mia madre a tavola ne parlò, tutti ci mettemmo a ridere[...]
[...]articoli svariati e bene assortiti di merceria, confezioni dell'epoca per signore, signorine e contadine, molto ricco, il quale avanzò con mio padre proposte di matrimonio di una sua figlia. Ed un altra proposta del genere [fu quella] di un forte negoziante in tessuti di Monteforte Irpino. E quando fu la sera mia madre a tavola ne parlò, tutti ci mettemmo a ridere, perché avrei dovuto sposarmi con quattro. Solamente dopo seppi che la sorella del Capotreno Recine e la nipote di Don Ciccio Bocchino era la stessa cosa. Finí la cosa cosí, imballammo quel poco di residuo della merce, e tornammo ad Avellino, soddisfatto anche quell'anno del risultato.
Ricominciavo la mia vita di cameriere, gestore, sguattero, padrone del buffet, nonché amministratore dell'azienda di cristalli e porcellane, e nel fare qualche sommario, grossolano, chiamiamolo bilancio, a modo mio, mi avvidi che in tutte le aziende vi erano passività, o meglio i guadagni venivano assorbiti dalle tratte, che mensilmente scadevano, e che purtroppo bisognava pagarle, per acquisti s[...]
[...]ervizio di piatti che era una meraviglia: però ci teneva, un poco vanitosa, perché le altre famiglie lo vedessero. Il terzo giorno, nel pomeriggio (vi erano pochi clienti) vedo avvicinare una donna anziana ed una signorina, per scegliere un bichiere col manico. La signorina, nel chiedermi il prezzo, s'incontrò col mio sguardo, e siccome aveva un dente avanti piú grande, come suo fratello, gli domandai: — Scusate signorina, siete forse sorella al Capotreno Recine? — E lei mi rispose di sí, chiedendomi il perché di questa domanda, e come conoscessi suo fratello. Dissi che per caso l'avevo conosciuto ad Avellino, e che gli rassomigliava moltissimo, e il nostro discorso fini cosí. Gli dissi il prezzo del bichiere, è lei di rimando mi disse: — Però siete molto carestoso (1). Acquistò lo stesso il bichiere, salutarono e andarono via, chiamai a mia madre (ché essa veniva sempre alla fiera) e gli raccontai questo episodio.
Io non potetti pronunciarmi dippiú, perché ignoravo se il Capotreno ne avesse fatto qualche .accenno alla sorella.
Finí la [...]
[...]ome conoscessi suo fratello. Dissi che per caso l'avevo conosciuto ad Avellino, e che gli rassomigliava moltissimo, e il nostro discorso fini cosí. Gli dissi il prezzo del bichiere, è lei di rimando mi disse: — Però siete molto carestoso (1). Acquistò lo stesso il bichiere, salutarono e andarono via, chiamai a mia madre (ché essa veniva sempre alla fiera) e gli raccontai questo episodio.
Io non potetti pronunciarmi dippiú, perché ignoravo se il Capotreno ne avesse fatto qualche .accenno alla sorella.
Finí la fiera, sempre con ottimi risultati, e tornammo ad Avellino ed a mio zio raccontai il piccolo episodio, dicendogli che ne avevo ricevuto buona impressione. Pregai mio zio Sabino di parlarne di nuovo al fratello Capotreno perché a sua volta ne avesse parlato a Don Ciccio Bocchino suo tutore, alla zio Canonico e a zio Francischiello, e poi saremmo andati a Montefusco, a parlare di ogni cosa. Passarono due mesi dalla fiera, ed il fratello Capotreno Carlo Recine era stato a Montefusco e ne aveva parlato alla sorella, ed agli zii, e cosí id 15 novembre 1897 nolleggiammo una carrozza chiusa e partimmo alla volta di Montefusco, io, lo zio Sabino, e il compare Fusco — ed eravamo diretti alla casa dello zio Don Ciccio Bocchino. Però il compare Ciro propose di andare prima alla casa della sposa, e cosí facemmo. Per quanto preavvisati della nostra visita, la futura sposa rimase sorpresa, e dopo di averci lo stesso ricevuti ci disse gentilmente che la richiesta doveva essere fatta in casa dello zio Bocchino, giusto come si era rimasto stabi[...]
[...]rande umiliazione, entrare in qualità di futuro sposo, in quella casa, che diversi anni prima avevo vergogna e paura di sporcare i pavimenti, con le scarpe piene di chiodi.
S'intavolarono le discussioni, e superate quelle piú essenziali, cioè le simpatie suscitate reciprocamente, fra me e la sposa, si parlò della posizione reciproca, non per farne un mercato, ma perché bisognava dar conto allo zio Canonico, allo zio Francischiello e al fratello Capotreno di residenza a Napoli. Quindi lo zio Bocchino si riservò dare una risposta entro quindiciventi giorni. Ci offrirono del vino perché s'era fatto tardi, per quanto il compare Fusco ripetute volte fece comprendere che eravamo digiuni, e su questo fecero orecchie da mercanti, e per questo fatto rimase un detto, fino alla morte del povero compare Fusco, il quale diceva: — Alla richiesta della mano della signorina Recine a Montefusco, bevetti a digiuno tre bichieri di vino.
Rimasti cosí d'accordo ci salutammo, e verso la fine del paese comprai del pane, prosciutto e vino, e facemmo ritorno a [...]
[...]l quale ci riferí del consiglio di famiglia da lui
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presieduto, in qualità di tutore, e che tutti erano rimasti soddisfatti per le buone informazioni morali sui mio conto, ma non si trovavano d'ac
dordo per la posizione finanziaria. E non avevano tutti i torti: io non
possedevo nulla, la sposa portava in dote circa 6 mila lire, in contanti 3.800 e 2.200 una casa e terra, ancora in comune col fratello Carlo
Capotreno. Però mio zio Sabina e mia zia Angelarosa mi donavano lire 1.000 ciascuno alla rispettiva loro morte, e ,il contante della sposa veniva ipotecata su una loro casa, e quindi .garentita; lo zio Sabino s'impegnava fare tutte le spese del matrimonio, mobilio, vestiti per me e per la sposa, quel poco di oro, ecct. ecct.
I zii della sposa quasi non volevano aderire a questo matrimonio, perché non avevano voluto accettare due .matrimoni, uno di un ricco orefice di Gesualdo, e un altro in quell'epoca esattore di Montefusco, tutti e due ricchi, di buona famiglia, ma di pessimi precedenti giovani[...]
[...]e, a cui intervennero le piú spiccate personalità del paese. Furono distribuiti dolci confetti e liquori, e gli onori di casa furono fatti impeccabilmente dalla signora Donna Mariannina Bocchino, nuora di Don Ciccio Bocchino e madre del Dottor Bocchino. Il cerimoniale sarebbe riuscito superiore ad ogni aspettativa, se non fosse stato funestato da un contrattempo, e cioè il mancato intervento allo sposalizio dell'unico fratello della sposa Carlo, Capotreno a Napoli delle F.F. dello Stato: coincidenza da tener presente. Iil fratello Carlo (unico fratello) non potette intervenire allo sposalizio perché la figlia Amelia (di cui è una protagonista di queste memorie, come rileverete nei primi capitoli, e che poi divenne mia seconda moglie) era in quel periodo in fin di vita, ammalata di tifo, che in seguito fortunatamente superò.
Dopo la cerimonia, si partí alla volta di Avellino, accompagnati da quasi tutti i parenti intimi e fioccava la neve piacevolmente. Ad Avellino nella casa dove abita adesso Siani Vincenzo, ci aspettava un lauto banchet[...]
[...]ura). I regali (per quanto in quell'epoca poco si usassero) pur tuttavia i'l piú di valore era il biglietto di lire 25 dello zio Franceschiello. Però il regala di zia Carmela (non lo posso mai dimenticare) fu di un portabiglietto di seta, costruito, forse, con le sue mani.
Dopo il pranzo, ripartirono alla volta di Montefusco, con due carrozze di gala, i parenti della sposa, ed alla sera grande trattenimento in famiglia, con qualche invitato, il Capo Stazione titolare e qualche impiegato, o amici di famiglia, si ballò fino all'una del mattino, con distribuzioni, di dolci, liquori, spumanti, tutto a profusione.
Dopo tre giorni facemmo il nostro viaggio di nozze. Incredibile ma
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vero, con lire 25, dico venticinque in tasca, oltre il biglietto AvellinoNapoliSaviano (paese di mia madre) e ritorno, naturalmente ospite di parenti. Ero tanto felice nella mia miseria.
Tornai a casa, presi il mio posto di lavoro, e che lavoro. Nessuna umiliazione, ero padrone, cameriere, sguattero, facchino, venditore di acqua ai treni ecc.: [...]
[...]teressi che si accumulavano, le banche ci chiudevano i sportelli, perché [sul] l'unica casetta vicino a1 Ponte dell'acquedotto di Serino, era ipotecata la dote di mia moglie; ed io vedevo aprire un baratro innanzi a me spaventoso.
Una mattina nel buffet mio zio Sabino con gli occhi fuori dell'orbite e con una rivoltella spianata verso di me, pretendeva una mia firma ad una cambiale, che io non volevo mettere. Per fortuna mio zio fu chiamato dal Capo stazione, ché doveva pagare il canone del buffet scaduto da parecchio tempo. Spaventato presi mia moglie, e mia so rella Mariuccia e scappai in casa, col preciso proposito di non tornare mai più al buffet e piansi amaramente il mio destino. Scrissi allo zio
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Francesco Bocchino a Montefusco mettendolo al corrente, pregandolo che mi facesse un prestito di 500 lire, cosa che fece subito, rilasciandogli una cambiale firmata da me e mia moglie.
Intanto mio zio Sabino, per far fronte ai suoi impegni, precipitò la vendita del residuo di merce cristalli e porcell[...]
[...]modo come si erano potuto adattarsi, ma intanto andava in certo qual modo pareggiare il bilancio molto passivo. Quanti sacrificii, quante privazioni, è inutile descriverlo, eppure ringraziavo sempre la provvidenza. Eravamo arrivati a1 gennaio del 1903 e sembrava che le cose
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si appianavano per il meglio, ma il lato finanziario era sempre ristretto. Il 20 aprile 1903 un'altra tegola mi doveva ancora cadere sul capo. Mia moglie Vincenzina si ammalò di tifo, dibattendosi fra la vita e la morte per tre mesi. Fui costretto far venire sua zia Filomena da Montefusco, colei che per tanti anni gli aveva fatto da madre, e dovetti allontanare i bambini Amato e Sabino, inviandoli a casa di mia madre, perché il medico curante aveva proibito in modo assoluto che fossero rimasti nella medesima casa, anzi proibirono anche a me di coricarmi nel medesimo letto. Ma questo era assurdo, perché non avevo la forza di allontanarmi, anche a costo di morire insieme a lei, tanto più che il suo desiderio era quello di essere fatt[...]
[...]l'orgoglio, che col mio sudore, dovevo portare avanti la famiglia. Purtroppo però per tante difficoltà, avevo bisogno di essere coadiuvato da mia madre, dalle mie sorelle e dalla moglie: queste erano per me delle grandi umiliazioni, perché avrei voluto lavorare solo, ed avere la soddisfazione di dire: Ho io il dovere di portare a casa il necessario. Ma tante cose nella vita non si possono avere, però ricordo ai miei figli (se qualc'uno è ancora scapolo) all'epoca che leggeranno, se pure leggeranno, queste noiose mie memorie, di scegliere bene la compagna della loro vita, una donna che abbia delle doti, non importa se non ha dote, perché solo la buona compagna è capace a farci progredire ed a guidarci, ed a sopportare con rassegnazione il travaglio continuo della nostra vita, piena di dolori, di sagrificio, di privazioni.
Si era arrivato al 1904 e le cose del buffet si avviavano ad un lieve miglioramento, e in quell'anno mio zio Sabino ricevette dal Brasile da un suo cognato, marito della sorella, una rimessa di lire 2.800 con preghiera d[...]
[...]ano a crepapelle, per tante mie trovate, per tante mie barzellette. Una sera arrivarono trentadue immigranti, che dal loro vestire avevano l'apparenza di essere molto ricchi (sempre cafoni). Tutti allegri mangiarono e bevevano a profusione, regalavano senza parsimonia. Ebbi uno dei momenti miei, che alla mia età (malgrado i disagi) tanto ini distinguevano.
Nella sala da pranzo vi erano i seguenti ferrovieri, che tutte le sere si divertivano: un capotreno, chiamato Cuomo suonava la chitarra; un macchinista, Durante, suonava il violino; un frenatore, Pirone, cantava con una bella voce delle canzonette napoletane, e un fuochista che aveva la faccia della fame, tutti in abito borghese, con cappelli o berretti civili. Mi presentai a loro ,e dissi: — Questo è il momento di far denari, prendete i vostri strumenti, passate dal piazzale della ferrovia e entrate come suonatori ambulanti —. Al fuochista (che aveva la faccia della fa
(1) Ma non sono le bellezze, sono i modi che tu hai.
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me) gli diedi un piattino, e dopo pochi mi[...]
[...]rtuna ad una circostanza. La stazione di Avellino e tutto il piazzale, era sfornito di luce elettrica (malgrado che la nostra città fosse stata la prima dopo Napoli avere la luce elettrica), e l'amministrazione ferroviaria venne nella determinazione mettere un impianto colossale di acetilene per la stazione e per tutto il piazzale, e fu stabilito il collaudo e l'inaugurazione il quarto giorno che i miei zii erano partiti per la cura. L'ingegnere capo della società degli impianti acetilene volle offrire un pranzo al Capo compartimento e a diversi pezzi grossi delle ferrovie: un pranzo abbastanza lussuoso. E d'accordo con me e il cuoco (che era di un arte ed una abilità, in cui potevo benissimo affidarmi), mi diedi da fare comprando quanto occorreva, compreso dei vini rari e lo spumante della nostra molto rinnomata (in quell'epoca) R. Scuola Enologica, [e] pesce speciale da Napoli. Ed il pranzo riuscì imponentissimo, dall'antipasto al dolce, dalle numerose portate, ad un gelo speciale: nolleggiai due camerieri per il servizio inappuntabile. Fui chiamato dal Capo compartimento ed a tavola, in presenza di tutte [...]
[...]o con me e il cuoco (che era di un arte ed una abilità, in cui potevo benissimo affidarmi), mi diedi da fare comprando quanto occorreva, compreso dei vini rari e lo spumante della nostra molto rinnomata (in quell'epoca) R. Scuola Enologica, [e] pesce speciale da Napoli. Ed il pranzo riuscì imponentissimo, dall'antipasto al dolce, dalle numerose portate, ad un gelo speciale: nolleggiai due camerieri per il servizio inappuntabile. Fui chiamato dal Capo compartimento ed a tavola, in presenza di tutte le autorità, volle complimentarsi con me, dicendomi: — Ma come avete potuto fare per mettere insieme tante rare e primizie portate? — Ed io di risposta, con il mio sorriso abbozzato: — Commendatore, sono i piatti del giorno —. Senza sapere che i piatti del giorno si riducevano in fagioli e baccalà, tanto che il Capo stazione titolare, il giorno dopo, prima si congratulò con me e con il cuoco, e poi mi disse: — Caro Angiolino, solamente la faccia tosta tua poteva avere quella spudoratezza di dire: Sono i piatti del giorno, Commendatore!
Dimenticavo dire che per l'occasione avevo fatto stampare su diversi cartoncini il menù stampato a lettere d'oro che feci distribuire ad ogni singolo invitato.
Il pranzo fu pagato dalla società dell'impianti ad acetilene molto profumatamente; ed al cuoco e personale, delle laute mancie. A que ,st'inipianti, ne seguirono molti altri dove non vi era la luce elettrica e per[...]
[...]coincidenza di data, e fu per me il primo pianto e lo strazio doloroso di un figlio lontano. Però, sempre diplomatico, cercò tutti i mezzi di evitare fare le prime nozioni della recluta con i suoi disagi. Dopo tre mesi vi fu un corso allievi ufficiali a Caserta e lui, malgrado ch'io fossi contrario, fece domanda e frequentò tale corso, riuscendo ad avere una buona graduatoria. Non ricordo se da soldato o da ufficiale [partecipò] alla ritirata di Caporetto ove per quaranta giorni era disperso, e non ricevevo sue notizie e scrivervi lo strazio di quei giorni, è cosa vana. Un giorno ricevetti un telegramma che lui era su un treno ospedale diretto all'ospedale militare di Nocera Inferiore. Malgrado che facesse un freddo intenso, stabilimmo di partire l'indomani col primo treno, volle accompagnarmi Amelia e Carlo che in quell'epoca aveva cinquesei anni.
L'incontro nell'atrio dell'ospedale fu commoventissimo quando, dopo di averlo fatto chiamare, ci venne incontro: io che pensavo che fosse ferito, invece era guarito da una lieve infermità (sem[...]
[...] presenza di un avvocato per 5 mila quintali di vino al prezzo di lire 12.50 per q.le, messo in una stazione della Campania in serbatoi
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del compratore. Feci inserire nel contratto la mia spettanza e la gioia di aver guadagnato in tre giorni lire 5.000 mi fece dimenticare di far inserire nel contratto che tale mediazione mi doveva essere corrisposto per tutta la merce . che oltre i 5 mila quintali avrebbe caricato. Seppi dal capostazione di Nola amico mio, che in 19 mesi questo francese aveva caricato circa 70 mila q.li di vino. Certo per tre giorni di lavoro, per aver messo in contatto due persone guadagnando lire 5.000 (che sarebbero 100 mila di oggi) é una bella somma.
Sempre in quel periodo '14'18, un mio amico da Roma mi scrisse se volevo interessarmi per la fornitura all'annona di Roma, diverse migliaia di quintali di patate, e diversi vagoni di fagioli, corrispondendomi lire due a quintale netto, segnalando telegraficamente il prezzo di acquisto, e spedire dietro conferma, vagoni valuta e sacchi a soddisfazio[...]
[...]non conoscevo riposo, conoscevo solo la soddisfazione morale e il conforto che solo una moglie intelligente sa dare.
A titolo di cronaca, queste patate che spedivo a Roma venivano vendute dagli spacci comunali lessate a lire 0.60 il chilo, prezzo politico, perché costavano crude molto di piú. Non voglio atteggiarmi a vittima del lavoro o del sagrificio, ma vi prego di credermi che se avessi quella età e quel conforto familiare, incomincerei da capo.
Che cosa non ho fatto in vita mia, tutti i mestieri, e tutti riuscivano a meraviglia, perché fatti con passione.
Utilizzai quei guadagni fatti col vino, patate o fagioli, nocciole, mele ecct. fabbricando il seguito a quello vecchio, — prevedendo la sistemazione dei primi figli Amato e Sabino, che si sposarono e furono sistemati. E nelle tre camere al primo piano del nuovo fabricato la prima fu adibita a salottino e passaggio, la seconda a camera da letto di Sabino, e la terza a camera da letto di Amato, mentre tutto il secondo piano fu esibito tutto per Albergo.
ANGELO MUSCETTA