Brano: [...]re », e per i vari Zii, che vegliarono sul destino dell'autore e gli combinarono due matrimoni, come usava anni fa, con costume da vecchia Cina. Altre volte son segni di riguardo per i notabili, dal Caporeparto al Console Generale, dal Canonico al Notaio, ai Dottori (più o mena abusivi). Ne ho tenuto conto, perché il protagonista li colloca al loro posto sulla scala sociale che fu ben deciso ad ascendere e ciò valeva anche e innanzi tutto per il Capo Treno delle FF. SS., Carlo Recine, cognato e poi suocero, col quale egli fu orgoglioso di « apparentare » due volte (era una famiglia di piccoli proprietari terrieri, più indigenti che agiati, ma « apparentati » a loro volta a « veri signori », cioè a gente avvezza a vivere di rendita o sul lavoro dei contadini).
Spesso queste maiuscole brillano come l'equivalente grafico di una impostazione enfatica della voce. Io la risento, mi risuonano profondamente care. Credo di intenderne quasi sempre il motivo. Ma non posso pretendere che il lettore le apprezzi e se ne giovi per seguire l'« odissea» dell'a[...]
[...]a ricco vulgo » (come lo chiamava Foscolo), che ha sepoltura, prima di morire, nella sua stessa miserabile banalità. Angelo Muscetta nelle sue memorie vive ancora, ricco della sua raggiante felicità di vivere. E non so di quanti letterati o senza lettere, borghesi o proletari, un figlio possa scrivere quel che si legge sulla sua tomba, dove egli riposa accanto alle donne che amò, e ai suoi genitori, e allo zio Sabino e alla zia Angela Rosa, e al Capo Treno e a nonna Cristina. Tutta gente per la quale l'« onestà animosa» (qualità essenziale di mio padre, ricordata nell'epigrafe) era una virtù, mentre i miracoli economici son riserbati a certa borghesia del nostro tempo, agli strateghi del parassitismo, agli eroi delle cambiali.
CARLO MUSCETTA