Brano: [...]perché ignoranti,' avremmo dimostrato bene alle Eminenti visite degli Ufficiali Americani di essere degli ottimi servi, di sentirci soddisfatti di rifare un Esercito con le loro armi ed i loro metodi. Ma avveniva il contrario e dopo 3 o 4 giorni abbiamo fatto sciopero per il rancio, dato che ci davano sempre peperoni e cavoli in brodo, avevamo stabilito che nessuno si doveva presentare a prendere il rancio. Ma quando venne a conoscenza il signor Capitano, un vecchio fascista, fece l'adunata e ci portò inquadrati a prendere i peperoni: e lui si piazze. di fronte alla marmitta, mentre noi si doveva passare in fila per tre. Nella mia fila c'erano tre paesani: quando abbiamo preso i peperoni li abbiamo rovesciati di fronte al Capitano. Fu uno scandalo, il Capitano fu sorpreso e divenne lui come un peperone, cercò di fermarci con minaccie, ma fu accolto da una reazione generale che tutti, oltre al buttare i peperoni si lanciarono rovesciando la marmitta, e al posto dei peperoni venne messo il Capitano, e portato in braccio per un pezzo.
La domenica siamo andati a Roma in permesso e, al rientrare la sera, ci é capitato di assistere ad una specie di dialogo tra due sergen
tini firmaiuoli, uno dei quali si vantava di aver reso buoni servigi alla patria di Mussolini, di avere dato prova contro i Partigiani, e che
adesso era stato chiamato a domare «quei farabutti di sardi », che si erano permessi di picchiare il signor Capitano. La sera vennero informati tutti i compagni di questo nuovo comandante che ci avrebbe dovuto stangare. La mattina dopo ci fu presentato come il futuro capo
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e che per ciò ci dovevamo obbedienza e rispetto. — Avanti, marciate pochi metri a passo — ci ordinò subito. La corsa, nonostante un tale ordine fu ripetuto diverse volte a voce alta, andò a vuoto. Tutti si era, d'accordo per non eseguirlo. Il sergentino andò in bestia, ordinò l'alt e ci apostrofò con minaccie di essere il comandante, e, che se un prossimo comando gli veniva disubbedito, ci avrebbe fatto correre [...]
[...]ano, che avevo menato a sangue uno che mi chiedeva di star zitto. Quando lui intervenne, in seguito alle grida dei compagni, dice che mi ero avventato addosso come un dissennato minacciandolo di morte, che avevo osato prendere le baionette contro il sergente ecc. Ma questo venne smentito, più che da me, dai miei compagni, che mi esaltarono come il più calmo, forse, tra tutti noi. Quello da me schiaffeggiato fu costretto da essi a presentarsi dal Capitano a dirgli che si era meritato lo schiaffo, e, in molti, andarono a dire la falsa accusa del sergente che voleva vendicarsi per la meschina figura fatta nella istruzione. Insomma, vennero messi in discredito quei due infamoni, ed io, con grande entusiasmo di tutti, fui messo in libertà.
Pure, malgrado le proteste dei compagni, il sergente riuscì, con carte false, a farmi trasferire in una Compagnia provvisoria che doveva partire in Piemonte. I primi giorni non potevo sopportare l'idea della separazione dai miei compagni e amici Nuoresi. Provai anche a fare il lavativo, pur di non essere abband[...]
[...]che a fare il lavativo, pur di non essere abbandonato, chiedevo visita ogni giorno. Ma, 15 giorni dopo, mi misero in traduzione: per destinazione ignota.
Il giorno dellla mia partenza fu un giorno di lutto per i miei paesani e amici della compagnia dimostrativa, tutti si astennero dal presentarsi all'adunata e, come poi seppi dall'avermi scritto in seguito, quel giorno stava per essere fatale a un maresciallo. Ad una delegazione presentatasi al Capitano per protestare contro il mio allontanamento, quel maresciallo, non richiesto, diceva che io ero un tipo nervoso, che tutti gli orgolesi, in genere, non sanno controllare i nervi, ecc. ecc. Per il momento fu risparmiato ma la sera, rientrando, tutti lo videro con i due occhi gonfi.
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Il viaggio per il Piemonte mi colse molto preccupato per quel distacco dai paesani, ma, d'altra parte, mi confortava la bramosia di vedere l'Italia, di conoscere quella brava gente piemontese e d'Alta Italia che avevo sentito apprezzare come civile e ospitale. Rimasi molto perplesso nel v[...]
[...] faccio il latitante », e trovandomi con la coscienza pulita, non avevo nessuna paura di un raffronto con la giustizia. Appena giunti in caserma il maresciallo esclamò: « Mi dispiace, caro Marotta, ma questa volta non dipende da me. Non ostante voi ve la prendiate sempre con me. Sono venuti da Nuoro, con la macchina, apposta per prendere te ». A Nuoro mi condussero nella caserma principale ed un carabiniere di scorta riferì della mia presenza al capitano. Costui, con un'aria di mercante, mi venne subito incontro toccandomi le catenelle che già mi mordevano i polsi perché troppo strette. E con la faccia del padrone, disse rivolto ai carabinieri: « Chi ha messo queste manette? ». Scattando come una burba il capo scorta disse: « Io, signor capitana ». Il capitano, sghignazzando, con uno strillo disse: « Sono troppo larghe P. Per questa volta ti dò 5 più 3. Di rigore ». Lo interruppi dicendo che mi avevano preso dal lavoro, che ero un cittadino onesto.
La sera stessa fui condotto al carcere mandamentale di Sorgono (quello di Nuoro era troppo pieno), e mi chiusero in una cella e vi fui 3 giorni senza interrogato, che non mi davano acqua o pane, al terzo giorno, quasi sfinito dalla fame, dalla sete, cominciai a gridare, finché non mi hanno tirato fuori. Mi condussero in ufficio dal mare
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sciallo, che mi interrogò su una rapina avven[...]
[...]rmata come tutto il paese dell'arrivo di un borghese sconosciuto, con la macchina dei carabinieri, che pensavano trattarsi di qualche spia in
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cerca di accusare qualcuno, chi sa perché (come spesso fanno i carabinieri) — disse che ìl marito non era in paese. Lasciarono l'ordine, appena rientrato, di andare in caserma, ma costui si dette alla macchia e rimase più di 15 giorni senza rientrare in paese. La sera venne un capitano e, con finzioni di gentilezza, dicendosi da poco ospite della Sardegna, e trovandosi molto seccato per lo stato primitivo e l'arretratezza delle campagne sarde — massime i contadini che non conoscevano ancora la trebbia — mi osservò con rammarico che il male peggiore della Sardegna erano i banditi: rapinatori di strada che erano ragazzi di Orgosolo: ed io dovevo ben conoscerli. Risposi che ero un lavoratore onesto, che per la peste suina avevo perso i maiali e perso i1 lavoro per tre anni, che mi trovavo disoccupato. Ma che per nessuna cosa al mondo avrei fatto questo atto sporco di infamone.[...]
[...]na avevo perso i maiali e perso i1 lavoro per tre anni, che mi trovavo disoccupato. Ma che per nessuna cosa al mondo avrei fatto questo atto sporco di infamone. Che non potevo rovinare un lavoratore onesto, senza saper nulla. E come me centinaia di Orgolesi, anche se tutti disoccupati. Non mi interessavano i banditi, e tanto meno le rapine di strada. « Se siete la giustizia — dissi — dovete arrestare i responsabili di quelle rapine, non me ». Il capitano, che prima era venuto con il sorriso gentile, si é arrabbiato ed ha richiesto subito un tenente. E venuto e gli chiede: «Come si è comportato il `compagno' » ? . Risponde: cc I compagni ti trattano col sorriso sulle labbra. Hanna imparato bene a sapere chi siamo, e ci trattano proprio bene ». Infatti io gli avevo risposto subito al sorriso.
Dopo due o tre giorni venni messo in libertà senza che il Capra si presentasse per giustificare il mio arresto.
In famiglia furono disperati: non sapevano neanche dove mi avevano portato; non avevano saputo fare più niente, dato che nessuno della nostra [...]