Brano: NUOVI ARGOMEN TI
N. 30 GennaioFebbraio 1958
ULTIME COSE SU SABA (1)
Alla fine del '47, Saba scriveva a un suo critico: « tu che se non sei stato proprio il mio De Sanctis, poco — molto poco, ti c'é mancato ». Queste parole mettono a nudo un sogno che Saba probabilmente coltivò per tutta la vita: trovare, per il Canzoniere, un critico come il De Sanctis. Oggi, se dovessimo deporre un fiore sulla tomba del nostro amico, gli diremmo che il suo De Sanctis non gli occorreva piú: l'aveva già trovato, e proprio nella persona di Francesco De Sanctis. Perché Saba verifica, a suo modo, l'augurio e l'ammonimento che il De Sanctis, negli ultimi tempi del proprio lavoro, rivolgeva alla poesia italiana: di liberarsi dall'ideale, dal non so che, di risolversi una buona volta a diventare una poesia tutta cose. Naturalmente, il nostro fiore non dovrebbe rimanere un tributo soltanto affettivo, convenzionale, come una lode da ep[...]
[...]rio e l'ammonimento che il De Sanctis, negli ultimi tempi del proprio lavoro, rivolgeva alla poesia italiana: di liberarsi dall'ideale, dal non so che, di risolversi una buona volta a diventare una poesia tutta cose. Naturalmente, il nostro fiore non dovrebbe rimanere un tributo soltanto affettivo, convenzionale, come una lode da epitaffio. Perciò soggiungeremmo che il De Sanctis, se per miracolosa longevità fosse vissuto fino a poter leggere il Canzoniere, forse non vi avrebbe trovato la poesia che raccomandava. Toccava a noi di trovarvela, e solo perché abbiamo imparato a leggere, anche se molto meno bene del De Sanctis, tanti anni dopo di lui.
Adesso però il nostro turno di critici, con Saba, pare concluso; ormai ci converrebbe di cedere la parola. Noi abbiamo accompagnato, un po' scortato, quella poesia negli anni in cui si apriva al più pieno rigoglio: l'abbiamo aiutata, se non é presunzione, a farsi capire; forse perfino un poco a capirsi, se non é presunzione anche peggiore. Perché era anche una poesia difficile, nella sua estrema facil[...]
[...]timenti ad alto livello, ad alta frequenza, superlativi, con sempre qualcosa più in su della normale condizione umana: non faceva eccezione nemmeno l'umiltà di Giovanni Pascoli, quella vera e quella ostentata. Saba invece ebbe l'eccezionalità opposta: di rimanere nella media; ma col materiale, di cui gli altri uomini sono costretti a fare la loro prosa quotidiana, riuscì a fare poesia.
La sua biografia, vista nei fatti, ma anche controllata sul Canzoniere, é quella di un piccolo borghese, nato sul finire del secolo scorso e maturato nel nostro. Non presenta punti singolari, anche se talvolta egli volle accentuare i più vivi influssi su di lui dell'amore o, come preferì dire dopo che ebbe imparato la psicanalisi, di eros. Un momento un po' vistoso fu il dramma tra lui e la moglie, registrato e cantato in Trieste e una donna; ma si lascia facilmente ridurre a una di quelle transitorie, per quanto dolorosissime, smentite d'amore, delle quali a un certo punto non si sa più se si é le vittime o i colpevoli e che, in ogni modo, tutte le vite capaci [...]
[...] un umano ritegno per risparmiare all'interlocutore il disagio di sentirsi decifrato troppo in fondo. Ma perché proprio allora, quando la sua fama a lungo aspettata cominciava a salire; quando la pienezza dei suoi giorni (« un lago cristallino è la maturità una sosta, una pace ») venuta a coincidere con la breve, ma generale e contagiosa distensione del primo dopoguerra, l'aveva incoraggiato a tessere gli episodi più felicemente scorrevoli del Canzoniere, a mutare la « serena disperazione » della prima età adulta nelle ilari, giocose, sollevate malinconie dell'Amorosa spina e di Preludio e Canzonette, perché proprio allora Saba confidava agli amici di voler scrivere un'autobiografia in prosa, nella quale avrebbe confessato un cupo, sgomentevole segreto e che si proponeva di intitolare « Memorie di un uomo malnato » ? Doveva, dunque, trattarsi di un riflesso quasi biologico, provocato da una cronica diffidenza
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per i momenti favorevoli, per i piccoli, benigni incerti del mestiere di vivere. Fatto sta che egli metteva il [...]
[...]essi delle cose tra loro, e delle cose col nostro sentimento, nonché il modo come queste cose entrano a far parte dei nostri eventi, divenuti essi stessi cose da toccarsi con mano. Un cantare, dunque, che è anche un discorrere, perché in Saba le cose che si fanno poesia non sono soltanto viste o sentite. Sono anche pensate, come occorre per ogni discorso sensato. Qui però bisogna ammettere il grave paradosso, dimostrato sperimentalmente vero dal Canzoniere: sono pensate si, ma pensate col cuore. E il cuore, senza offesa per il cervello, antico depositario della facoltà di strappare l'assenso, rimane l'organo più sicuro per ottenere il consentimento.
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Saba aveva in uggia la critica per dissertazioni. Preferiva che si esprimesse per immagini. Se ora egli ci regalasse un po' della sua grazia d'autore di raccontini e favolette, noi potremmo restituirgli la sua storia di poeta racchiusa in un apologo. Terremmo dietro al salmone che, per andare a compiere il suo atto più vitale: l'amore fecondante, intraprende un cammino opposto al corso delle a[...]
[...]impoetico e rissoso, stia dimenticandosi di essere un ragguardevole secolo di poesia. Ma nelle gare tra poeti vale questa sacrosanta ingiustizia: che chiunque taglia il traguardo é un primo arrivato. Forse la morale del nostro apologo ci ha deviato in una parentesi che però era utile aprire, proprio perché ci si augurerebbe di poterla chiudere per sempre.
Torniamo all'itinerario di Saba, che era il succo più vero dell'apologo. Supponiamo che il Canzoniere capiti nelle mani di un lettore di tra due o trecent'anni, armato di alcuni strumenti della stilistica, ma privo di qualunque scheda biografica. Costui conchiuderà, soprattutto sulle prime parti, che quella é l'opera di un poeta del secondo Ottocento, emerso con doti più meritorie dalla costellazione dei maestri minori che, a fatica, con risultati stridenti, cercarono di tenere in caldo la poesia italiana negli anni di eclissi seguiti alla morte del Leopardi. Forse farà i nomi dell'Aleardi, del Praga, del Prati, un po' del Tommaseo, parecchio del Betteloni: proprio di coloro che Saba più sdeg[...]
[...]ismo é un piccolo indovinello letterario che porta la sua soluzione tra le righe. Verga si limitò a farci sentire l'eco degli anni di caserma, i suoi giovanotti ce li mostra quando tornano congedati; Saba si mette dentro alle giorna te in uniforme, elimina l'aneddoto alla De Amicis, afferra gli scorci: e dove un narratore farebbe bozzetti, lui poeta riesce a fare sonetti coi dovuti requisiti lirici.
Qualche anno dopo, l'altra tappa decisiva del Canzoniere é Trieste e una donna. Anche qui, chi volesse cinicamente ridurre l'episodio centrale (la storia del momentaneo abbandono della Lina) al fatto nudo e crudo, troverebbe una trama da bozzetto verista. Dipenderà soltanto da un nostro vizio di lettori quel veder riaffiorare qua e là la presenza di un Verga, al quale Saba forse non ha mai pensato? In alcuni versi, che egli era contento di avere scritti: « Non veduta una tua lacrima cade sulla tovaglia macchiata di vino », il movimento appartiene senza dubbio alla Lina, protagonista della poesia; ma potrebbe essere anche di Santuzza o della Mena. [...]
[...]IME COSE SU SABA
Però, un problema abbastanza simile a quello di Saba si era già presentato a certi facitori di versi, per lo più quasi innominabili nel consorzio dei veri poeti. Anche quelli dovevano nominare cose, mostrare fatti, muovere azioni nelle strafe più martellate, spesso di strettissimo giro e implacabilmente corredate di tutte le rime. In quell'irritante e adorabile, infantile e sapientissimo libro che è la Storia e Cronistoria del Canzoniere, Saba non li ha del tutto sconfessati; perciò niente ci vincola a tacerne il nome. Sono i librettisti di melodrammi. Dovevano anch'essi trovare, come che fosse, una conciliazione tra quel realismo di fondo, che fece la gloria del melodramma, e una certa nobiltà, anche se balorda, di eloquio e di verseggiatura, che non sfondasse troppo sguaiatamente la linea del canto. Un lustro di parole che stava alla materialità del contenuto come lo sfarzo e stravaganza dei costumi alla psicologia elementare, schematica dei personaggi. Ma Saba, con ben altre responsabilità, non doveva lui pure ottenere una[...]
[...]vagio e servizievole modello, rimane la differenza che i librettisti alzavano più o meno goffamente i loro versi a reggere la musica futura, mentre la poesia di Saba, dove é più lei, ci appare come staccata in quell'attimo dalla linea invisibile di una musica non scritta, ma di cui l'aria serba la presenza e l'impronta.
Non ci saremmo permessi questo accostamento ai libretti d'opera, se non ci richiamasse a una parentela ben più rivelatrice del Canzoniere. Oggi ci pare — ci dispiace solo che la strettezza
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del tempo non ci consenta di darne tutte le prove necessarie — che Saba abbia veramente adempiuto il suo compito di poeta proprio perché, senza saperlo, senza proporselo, é riuscito a comporre, con le sole parole e la musica delle parole, un vasto e trascinante melodramma. Lui parlava piuttosto di « romanzo ». Ma il romanzo presuppone certe coerenze di sviluppo, un giuoco di cause e di effetti tra il prima e il poi. Il melodramma invece, proprio nei suoi esemplari più grandiosi, può permettersi perfino un andare assur[...]
[...]elodrammi, al Trovatore, alla Forza del Destino: non molti di noi saprebbero riassumerne le storie, ma non ce ne importa. Quei grossi garbugli devano funzionare come macchine, come dinamo costruite di vecchio ferrame e tuttavia capaci di fare esplodere momento per momento situazioni, gesti, gridi, che non si dimenticano piú. Dunque, una specie di indifferenza, di trascurabilità della vicenda rispetto a ciò che essa genera o scatena. Ma anche nel Canzoniere il tenue filo, quel dipanarsi di una vita d'uomo senza nulla di intrecciato o di avventuroso, passa in seconda linea, potrebbe anche contraddirsi, perdere la coerenza, e forse non ce ne accorgeremmo neppure. Quella che conta é invece l'irresistibile caratterizzazione fisionomica dei singoli episodi: ognuno col suo colore e il suo divenire. Ascoltiamo con rapimento e insieme vogliamo sapere quel che vien dopo, la prossima aria, la prossima romanza di quell'episodio. Il Canzoniere ci mette in un atteggiamento da spettatori di melodramma.
Ma anche la sua linfa vitale, quando si mostra allo scop[...]
[...]anarsi di una vita d'uomo senza nulla di intrecciato o di avventuroso, passa in seconda linea, potrebbe anche contraddirsi, perdere la coerenza, e forse non ce ne accorgeremmo neppure. Quella che conta é invece l'irresistibile caratterizzazione fisionomica dei singoli episodi: ognuno col suo colore e il suo divenire. Ascoltiamo con rapimento e insieme vogliamo sapere quel che vien dopo, la prossima aria, la prossima romanza di quell'episodio. Il Canzoniere ci mette in un atteggiamento da spettatori di melodramma.
Ma anche la sua linfa vitale, quando si mostra allo scoperto, ha la densità e l'empito di una sostanza di melodramma. Sono quasi simbolici, a questi effetti, il gesto che virtualmente apre e quello che effettivamente chiude il Canzoniere. Il primo è la chiamata di Saba alla poesia, come è ricordata in uno dei sonetti autobiografici. Il ragazzo, che sognava giacendo in riva al mare, ha avuto quella visione e promessa di gloria, e balza in piedi, e veramente squilla:
E' possibile, o Ciel, che questo sia?
i
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Con un moto simmetrico, e tanto più significativo perché senza dubbio involontario, il poeta si congeda dal suo libro. Ormai è anziano; ma in quel momento, come sorretto da un « tutti » dell'orchestra, perdutamente canoro, ritrova l'antico squillo:
Ho in cuore di una vita il canto
dove il sangue f[...]
[...]io dell'Appassionata:
Tu hai come il dono della santità
nacque con te, ti segue ove ti porta la passione...
Si accolgono questi versi come se già da alcuni attimi una orchestra, scandendo il ritmo su cui si articolerà la melodia, abbia incantato l'aria, ne abbia influenzato la disponibilità acustica a ricevere, a ospitare proprio quel disegno sonoro; abbia già avviato i nostri cuori a battere in concordia con quegli accenti.
Ma anche dove il Canzoniere tende a segni più epigrammatici, a definizioni più, come si dice, di essenze, ad un cantare più spoglio e rasciugato, troveremo ancora movimenti come questo: « Muto parto dell'ombre per l'immenso impero ». Si arriva a supporre che l'ascendente esercitato su di noi da quel gesto, che rischia e sventa un minimo di fatalità scenica, si prevalga di una eco non ben localizzabile, ma quasi sicuramente emanata da qualche accento del Re Filippo nel Don Carlo verdiano.
C'è stato addirittura un momento in cui Saba ha sottoposto a una prova cruciale il suo istintivo ricreamento delle strutture del mel[...]
[...]ome in quel periodo le cose che più lo ispiravano erano cose viventi, erano figure, egli prese ad argomento, né più né meno, che tutt'intera la vita di un uomo. Stiamo parlando, come è chiaro, del poemetto L'Uomo. Sulla vita di quel suo personaggio un popolano, un lavoratore che impersona la media dei lavoratori in una città di traffici e di industrie — Saba operò come sempre aveva fatto anche sulla propria vita per ottenerne i vari episodi del Canzoniere. Controllò se nel flusso dei giorni si potessero condensare alcune situazioni tipiche, proverbiali, quasi emblematiche: il momento in cui l'uomo vive le proprie esuberanze adolescenti, quello in cui si mette a lavorare, e poi quando sposa, e via di seguito fino alla vecchiaia e alla morte. Un tentativo che si era già visto in certi drammi espressionisti: senonché quelli schematizzavano tali momenti per esasperarne la nuda, contratta apparizione in risonanze sinistre e angosciose. Saba invece andò a vedere se quelle varie situazioni sapevano colmare, con l'intima e disagevole poesia del quotid[...]
[...]tizzavano tali momenti per esasperarne la nuda, contratta apparizione in risonanze sinistre e angosciose. Saba invece andò a vedere se quelle varie situazioni sapevano colmare, con l'intima e disagevole poesia del quotidiano, le misure del canto. Ogni situazione una strofa, ogni strofa un grande arioso, un ampio pezzo d'opera. Ma questa era proprio il «metodo» con cui egli personalmente aveva cavato dal decorso della propria vita gli episodi del Canzoniere: situazioni che diventavano libretto, libretto che diventava poesia. Di quel metodo L'Uomo era dunque la prova spe rimentale e in vitro. Saba sperava di uscire da se stesso, di raggiungere le cose senza la mediazione della propria persona, di darsi una nuova e diversa misura della sua partecipazione alla « calda vita » di tutti. Invece chiedeva, a occhi bendati, un responso esplicito e diretto alla propria sorte, come se interrogasse un'indovina: quasi che avesse voluto sapere, attraverso l'esito di quell'oratorio o melodramma, se i suoi procedimenti poetici fossero giusti. La risposta, come [...]
[...] da una punta acuta come un rimorso). Quando Saba lesse, appena quarantenne, lo studio di un suo critico che faceva su di lui la prima, grande scommessa della propria vita, rispose, smuovendo una celebre eco: « Un'aurora ha incontrato un tramonto ». Adesso, un tramonto saluta una dipartita. E' giusto che due amici di tutta la vita conservino, per sé soli, un piccolo innocente segreto.
D'altronde, non si defrauda nessuno. La cosa importante, il Canzoniere, é di tutti. E ormai soprattutto di quelli non ancora nati che, del nostro Umberto Saba, dell'uomo che noi vedemmo e ascoltammo vivo nella sua « vendemmiante età », non conosceranno se non le sembianze irrigidite nei monumenti. Forse anche le rondini, prima di migrare, impareranno a posarsi su quelle spalle di marmo per un'ultima sosta. Lassi le saluteranno gli uomini destinati a rimanere nell'inverno:
Quest'anno la partenza delle rondini mi stringerà, per un pensiero, 'il cuore.
GIACOMO DEBENEDETTT