Brano: [...] vivono di un lavoro che non è lavoro, si industriano, si arrangiano, vivono e non vivono. Si. tratta, dal punto di vista sociale, di un'inchiesta circoscritta soltanto al cosiddetto (( proletariato degli stracci », nelle forme di disgregazione che son proprie di Palermo e provincia: quasi un quinto delle popolazione in Palermo città. È un monde, umano ben caratterizzato, che ha per squallido scenario della sua. vita i cortili Cuscino, la Kalsa, Ballarti, Piazza Donnissini, Castello S. Pietro; Spine Sante, Partinico etc. Ë un mondo che non conosce mestieri, ma, come si è detto, modi di arrangiarsi, e, arrangiandosi, di campare la vita: arrifiatori, panerari, venditori di milza, di mussu, di budelle arrostite, minestrari, caramellai, cioccolatari; bancarellari, spicciafaccende, ruffiani, prostitute ufficiali e private, cantastorie, cenciaioli, e infine ladri o peggio. Così intenzionalmente circoscritta ai ceti sociali disgregati di Palermo e provincia l'inchiesta del Dolci si sottrae alla solita obiezione che Palermo e provincia ((non sono soltanto questo »: che è poi la obiezione di coloro che in fondo, per vari motivi, non sono disposti a riconoscere che Palermo e provincia sono ((anche» questo. D'altra parte nei documenti raccolti dal Dolci appare che oggi qualche cosa si muove persino in questi ambienti sociali così obbiettivamente co[...]
[...]elativamente alle prime due la biografia di Gino O. documenta certo il livello più alto. ll testo delle biografie è stato trascritto dal Dolci con
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 137
tutta la scrupolosa fedeltà che é necessaria per documenti che non sono destinati ai letterati, ma unicamente ai politici di oggi affinché se ne giovino nella loro opera e agli storici di domani affinché sia piú concreto e individuato il loro giudizio. Abbiamo abbastanza fiducia nella intelligenza dei lettori per non temere che taluno possa scandalizzarsi di alcuni pochi particolari molto crudi della biografia di Gino O.: la rivista si svolge a un ristretto pubblico di studiosi e pertanto non é legittimo lo scrupolo che quei particolari, indebitamente fraintesi nel loro significato, possano turbare le candide anime di fanciulli e di fanciulle.
ERNESTO DE MART P%10
CORTILE CASCINO
È chiamata « Cortile Cascino » la zona — a 200 metri dalla Cattedrale — da via D'Ossuna a Cortile Grotta; e, in senso lato, anche l'altra, a nord, separata dalla prima dalla linea ferrata.
I nudi e sudici bambini che giocano sulla ferrovia e nel fango, è quanto più impressiona a prima vista. Cinque costruzioni scalcinate di due o tre piani, e baracche a sud; tre fabbricati a due otre piani a nord: tutti con umide mura brulicanti di cimici, scorpioni e scarafaggi.
Diverse donne nella strada, intente, spidocchiano la testa di un parente o di un vicino. Due o tre fontane. Qualche a maarla » sulla porta.
Gli scoli, nel cortile Cascino propriamente detto, si raccolgono in uno spiazzo fetido. Se d'estate grande è sempre il pericolo del tifo, d'inverno nelle case più basse c'é da morire annegati. Una decina di locali, i più sottoposti, hanno porte, e talvolta finestre, protette da ripari in muratura alti circa settanta, ottanta centimetri, perché la fogna, quando piove, non inondi le case.
138 DANILO DOLCI
Tutte le costruzioni sono assolutamente inabitabili; in alcune, dai muri sfatti, é troppo pericoloso starci. Alcune stanze sono più pulite, ordinate (queste, nelle tabelle seguenti sono state segnate con « m » : le migliori); ma il tutto deve essere rifatto di sana pianta o rinnovato.
In una stanza c'é un vecchio nudo, seduto su un letto senza lenzuola [...]
[...]tanze sono più pulite, ordinate (queste, nelle tabelle seguenti sono state segnate con « m » : le migliori); ma il tutto deve essere rifatto di sana pianta o rinnovato.
In una stanza c'é un vecchio nudo, seduto su un letto senza lenzuola (c'è solo una coperta di tipo militare): non si capisce se sia paralitico da un lato, come dice lui, o immobilizzato per l'estrema magrezza e debolezza, come dicono i vicini. In un'altra stanza si arriva per un ballatoio pericolante. E in tutte le case, (panda passa il treno, uno deside rerebbe essere fuori, e coi piedi a terra. Un «mura» si sposta oscillando per centimetri alla semplice pressione del pugno.
A un giovane, lo scorbuto ha fatto cadere tutti i denti. In una stanza vive con i giovani sposi un fratello del marito, quasi ventenne.
Da un'altra é stata rapita una ragazza a dodici anni e mezzo. In un'altra erano morti cinque bambini: « Perché io me ne andavo a lavorare — dice la mamma — e lasciavo i picciriddi incustoditi; che ci potevo fare?».
Qui una vedova di 68 anni vive facendo la lavandaia; li un marito, ma il caso é unico, «é morto divertendosi, bevendo troppo vino ». Da un cortiletto, largo tre metri, si scende, curvi, in una grotta di 2,80 X 2,20 nera, madida già d'estate, dove il terreno bagnato cede molle alla persona che si muove: non si capisce — orrido indimenticabile — come possano dormirci in otto.
Di sera soprattutto, « bugliunu gli scarafaggi ».
Nel primo dei «Cortili Cascino» le stanze sono 130 circa per 160 famiglie; nel secondo sono 80 per un centinaio di famiglie.
Essendo costanti le caratteristiche, si sono considerate 100 stanze consecutive, di cui riportiamo alcuni dati (v. lo specchio intercalato).
La maggior parte delle famiglie, spiegando noi il perché del lavoro, é stata ospitale; alcune opponevano difficoltà perché « non volevano andare sul giornale: tant[...]
[...]0 X 6,00; h = 3,20) con 11 persone; una stanza (di 4,00 X 4,30; h = 4,00) per 10 persone; 3 stanze, ciascuna per 9 persone; 6, ciascuna per 8 persone; 14, per 7 persone; 8, per 6 persone; 11, per 5 persone; 19, per 4 persone; e 54 per meno di 4 persone. Diciannove sono stati ammalati di tifo: 2 ne sono morti.
Il lavoro degli uomini: 39 «trafficanti », «accatta e vinni »; 18 cenciaiuoli; 4 manovali; 2 « portantini di fatica »; 2 netturbini; 2 ciabattini; 1 militare di leva; 1 ortolano; 1 aiuto fabbro; 1 usciere; 1 cromatore; 1 marmista; 1 aiuto fornaio; 1 tubista; 1 falegname; 1 « petrusinaro » (venditore di prezzemolo).
Delle donne, 11 lavandaie, 11 cameriere, 2 comprano capelli a 40 lire ogni 200 grammi e fanno parrucche, qualcuna «lava scale »; le altre in casa.
Settantaquattro sono i bambini fino a 3 anni. Spesso denutriti, malati spesso di «infezioni, intossicazioni, interocoliti, polmoniti »; di questi malanni, negli ultimi 10 anni, ne sono morti un'ottantina; anche per «mancanza di latte ».
Dei bambini da 3 a 6 anni, 2 soli vanno all'asilo: gli altri 43 no.
Da 6 a 13 anni, 33 ragazzi vanno a scuola (spesso a 12 o 13 anni frequentano la 2a o la 3a): ma 45 ragazzi, in obbligo di scuola, né vanno né ci sono mai andati, a scuola.
I figli, non trovando lavoro, crescendo, continuano, per lo più « trafficanti» e cenciaiuoli, l'attività dei padri: di cui 31 sono stati, anche diverse volte, in carcere: ma per lo piú, « per cose di poco conto ».
Essendo 386 le persone oltre i 6 anni, e 317 gli anni complessivi di scuola, ogni persona, di media, ha frequentato 8,2 decimi di prima elementare.
[...]
[...]0 no
79 S.D. 1 5,0 3,5 4,0 no
80 S.G. 1 3,8 4,0 2,5 no
81 F.A. 1 3,0 3,2 2,9 no
82 C.G. 1 3,5 3,5 3,2 no
83 M.T. 1 3,5 3,5 3,2 no
84 M.G. 1 4,5 3,5 3,2 no
85 O.S. 1 5,0 3,5 3,0 no
86 I.F. 1 3,5 3,5 3,5 no
87 X.Y. 1 2,5 3,0 2,2 no
88 N.G. 1 3,1 4,0 2,2 no
89 L.P. sì 1 3,0 3,7 2,7 no
90 L.R. 1 2,5 2,5 2,4 no
91 A.B. sì 1 3,5 4,0 3,0 no
92 X.Y. si 1 4,0 5,0 3,5 no
93 O.A. 2 2,5 3,0 2,1 no
2,5 2,8 2,0 no
94 B.A. 1 2,5 4,5 2,3 no
95 S.G. 1 3,8 2,8 2,1 no
96 N.M. 1 5,0 2,8 2,3 no
97 F.G. 1 3,2 3,8 3,5 no
98 F.S. 1 4,5 3,0 2,6 no
99 C.G. 1 2,7 4,0 2,7 no
100 C.A. 1 4,5 2,2 2,6 no
2
5
9
7
5
8
10
9
7
8
4
7
6
8
2
3
4
3
4
3
7
4
5
3
7
7
5
6
4
3
2
2
4
2
2
4
2
2
2
3
2
3 2 2 2
2
3
2
3
2
2
3 2 2 2 2
2 no
3 no
4 no
2 no
W.C.
no no no no no no no no no no no no no no
no no no no no no no
no no no no
no
Acqua
no no no no
no no no no no no no no no no no no no no no no no no no
no no no no nò no no
PAGINE DI,UNA INCHIESTA A PALERMO 145
[...]
[...]utti. Ci avemu un nutricheddu, certo scennemu se fa acqua. Se uno si curca, aggranca a dormire sempre cussi; aggranca e si stinnicchia e dice l'altro: — Aspetta che mi metto buono. — Chiddu in fondo dice: — Lassami mettere lu pede.
Quattro a li pedi e quattro al capizzo. D'estate fa caldo, si piglia la segatura dal mastro d'ascia e si mette in terra e si dorme anche in terra ».
Ridono intorno, con maliziosi sottintesi negli occhi, anche alcuni bambini mentre un vicino aggiunge che ogni tanto, traballando il letto, c'é qualcuno che deve stringersi ad un altro. Intanto ci hanno buttato addosso da sopra, per isbaglio, dell'acqua calda e ora pioviggina fitta fitta della terricciola. Un blocco di qualcosa, in testa.
« Dormiamo con la porta aperta per respirare meglio; d'inverno la chiudiamo. Pure me soru cun so maritu, s'accurcano cu nuatri. Ma i masculi si curcano vestuti, sono tanto educati. Cu li picciriddi...
Di giorno stiamo tutti fora. Cuciniamo ca fora, sotto la scala, che quandu piove semu riparati chiù assai.
È dodici anni che mi infilai dintra sta grotta che prima serviva di rifugio. Poi c'é venuta me soru. Dodici anni. Vogliono la buona uscita. Ventimila lire, venticinquemila lire. Uno pov[...]
[...]due viaggi a Monte Pellegrino, scalzi, a pedi in terra, con le torce in mano fino a Monte Pellegrino. È bello. Bellissimo. C'é Santa Rosalia, tutta curcata, con tutto l'oro in testa. Che bellu veru! Nuatri ci facemu la promessa : — Santa Rosalia fammi stare bona, fammi capitare una casa. — Vede che bella! e ci fa vedere un'immagine nuova che comincia ad ammuffirsi.
« Have un rinale d'oro, un rinale pieno d'oro. Le scarpe tutte d'oro. Che bella. Bastone d'oro. Sono promissioni che dipende come nescono di bocca. Se uno sta bono, ci porta le promissioni lá in capo: la vesta, orologi, piccioli, diecimila lire, collana, braccialetti.
Ci hanno venuto a scrivere tutti i partiti: democrazia cristiana, comunisti, repubblicani, monarchia, e tutti dicono: — Dobbiamo fare fognature a questo cortile. — E più di cento anni che é così. Ci fanno vedere che tutto il mondo é nostro, poi niente. Più vampa c'é, più disperazione. — Nun dubitasse signora, nun dubitasse. — Magari signorine sono venute. Assai. Quando fu delle votazioni. Ma niente dunanu. Avì[...]
[...]formaggino. Minestra niente; anche se la famiglia vuol fare entrare la minestra nella carta velina, non la fanno entrare.
Dopo tre giorni, posato su una tavola, le informazioni sono bene:
— Andate fuori. — E si busca il pane di nuovo un'altra volta. Succede dopo due o tre mesi la stessa canzone, in un'altra pattuglia, e si va a passare di nuovo questo capriccio: informazioni, carta d'identità. Se il padre di famiglia porta la cartella vuota, i bambini piangono:
— Papà u pane, voglio u pane. — Certo queste cose si sanno. E il papà per non sentire piangere i bambini va a fare una passeggiata e poi torna, tanto per svariare il cervello. Certe volte la moglie dice: — Chissi stannu
PAGINE DI UNA INCHIESTA. A PALERMO 149
piangendu: come facemu? — Il marito, certo, che deve fare, che non
s'affida ad andare a rubare. Per questo ci vuole quello nativo.
Certe volte ci donano a credenza.
Aspettamo che Santa Rosalia ci fazza la grazia. Di illuminarci il
cervello alle teste grosse ».
IGNAZIO P.
«Qui nel Cortile Cascino (via D'Ossuna, cortile Grotta), non abbiamo mai lavorato nessuno nei cantieri perché non abbiamo avuto mai lavoro. Siamo tutti cenciaioli in generale, i maschi; le donne, lavandaie. Qualche giovane qualche volta ha trovato lavoro per qualche tempo, qualche cantiere: ma quando, dopo poco, lo lasciavano a spasso, tornava a fare il cenciaiolo che almeno era quasi continuo.
Circa sett'anni [...]
[...]na, ma certe donne buttano li davanti nello spiazzo che fa il posto di concentramento dell'acqua morta. (A tempo d'inverno vengono i pompieri, tanto si alza l'acqua e il fango: ma i pompieri dicono che non c'é niente da fare: tirano solo fuori un po' d'acqua, la succhiano dal fondo delle case e vanno via). Questo tifo pidocchiale che é venuto, é venuto più di una volta: un'altra volta sono morte due persone, di tifo, e ammalate diverse decine di bambini. Soprattutto i bambini, morivano di tifo.
Quando ci hanno esiliati i carabinieri, che nessuno poteva uscire fuori, ci portavano da mangiare nelle caldaie. Quando venivano i carabinieri ad avvisarci che portavano da mangiare, sonavano la tromba. E ci venivano centinaia di persone con le latte, queste che ci mettono la conserva, pentole e così, e ci mettevamo in coda, in riga come i militari. Ci davano da mangiare perché non potevamo uscire a andare a lavorare. Per i bisogni corporali andavamo sempre, per forza, nel cortile o, se c'era qualche carabiniere buono, ci lasciava andare sulla ferrovia.
150 DANILO DOLCI
Nel mangiare, poi, c'era una specie di medicinale per disinfettarci i corpi: e doveva essere purgativo perché tutti i millecinquecento, maschi
e donne, avevamo il corpo sciolto (diarrea).
Il tifo, per forza doveva venire[...]
[...]1500, 2000 lire ogni famiglia e rimandavano da dove erano venuti. Perché dice che case non ce n'erano.
Noi uomini alla mattina, tutte le mattine, chissà da quando (mi ricordo, anche la buonanima di mio padre) andiamo a fare i nostri bisogni corporali sulla ferrovia. Certe volte vengono i Metropoli di servizio e ci danno la multa: 2500 lire. Dobbiamo pagare a caro prezzo pure fare i servizi corporali. Le donne fanno a casa sua nella stanzetta. I bambini fanno o in giro o sulla ferrovia: sei mesi fa c'è andato sotto il treno un piccolo di cinque anni di alcune case più sotto.
A duecento metri dalla Cattedrale, dal centro di Palermo.
Oltre i cenciaioli e le lavandaie, alcuni non fanno nulla, alcun i fanno le bandierine con l'immagine di Santa Rosalia, poche fanno le prostitute ma in altra parte di Palermo, perché li siamo troppo stretti: per non essere viste dal vicino di casa.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO' 151
La maggioranza dei bambini non va a scuola. Giocano nel cortile, nella puzza. Quando hanno dodici, tredici anni, le ragazze si cercano subito di sposare. Si sposano fra noi stessi del cortile, tra cenciaioli, tra piccoli cenciaioli e piccole lavandaie.
Sono ritornato da prigioniero l'8 ottobre '44. Circa un mese di viaggio. A casa ho trovato la famiglia mezza morta di fame. Allora non ero sposato. Quando sono arrivato a Palermo, si sono presentati due amici miei, mi hanno chiesto se lavoravo, e io ho risposto che non lavoravo. Mi hanno portato con sé a trasportare un po' di legna che era abbandonata tra le maceri[...]
[...]sare. Si sposano fra noi stessi del cortile, tra cenciaioli, tra piccoli cenciaioli e piccole lavandaie.
Sono ritornato da prigioniero l'8 ottobre '44. Circa un mese di viaggio. A casa ho trovato la famiglia mezza morta di fame. Allora non ero sposato. Quando sono arrivato a Palermo, si sono presentati due amici miei, mi hanno chiesto se lavoravo, e io ho risposto che non lavoravo. Mi hanno portato con sé a trasportare un po' di legna che era abbandonata tra le macerie. Si é presentata una signora e mi ha domandato cosa facevo io lì, che era stato bombardato. Si sono presentati i carabinieri e mi hanno invitato di venire con sé. La signora diceva ai carabinieri che ci avevano portato via la mobilia di casa. Pere. a me non m'hanno trovato nulla. Il maresciallo mi ha interrogato e mi ha detto se avevo documenti: il giorno proprio prima ero venuto da militare. Io mi trovavo sprovvisto di documenti e il maresciallo mi ha mandato in carcere. Io non ero stato mai arrestato nella mia vita. Circa cinque mesi che ero io al carcere, mi hanno fatto la causa. E mi imputarono per tentato furto, e mi hanno condannato à dodici mesi: non ci avevo avvocato c[...]
[...]più. Questo mestiere, arrivato a mezzogiorno, non vende più nessuno. E finita la nostra pe
152 DANILO DOLCI
ranza. Tutti nel cortile facemo lo stesso: in tutto saremo duecento. Il posto di concentramento di stracci e ferro e rame, a Palermo, éproprio questo.
Si comprano le bucce degli aranci, dei mandarini, dei limoni, a 10 lire al chilo. E si rivendono al magazzino. Il magazzino li rivende a 16, 18 lire, alle fabbriche di essenze.
Molti dei bambini vanno in giro a raccogliere cicche per la strada: le sbucciano e le vendono. Ma non li spendono loro: li danno in aiuto alla famiglia. Ci sono gente che lavorano nei cantieri, gente bisognosa che non può comprare sigarette vere, comprano dieci, venti lire di questo tabacco, per risparmiare. Vanno, questi piccoli, al centro della città, in via Libertà, al Massimo, dove passa la popolazione. Se le guardie l'acchiappano li portano al Malaspina, la casa di correzione. È proibito, é vergognoso: capiscono che è uno smacco per loro stessi.
Quando piove non si lavora: in quasi tutto l'inverno si lavora pochi giorni. Nell'inverno si va da quello della pasta, o quello del pane, per fare un po' di credito. E poi giriamo da una bottega ad un'altra perché uno solo, una volta può fare credito: 1000, 1500 lire.
La gente del cortile nel pomeriggio, stiamo sulla strada al [...]
[...]dieci e mezzo di mattino, monarchico, ha sdraiato le mani d'improvviso e ci ha acchiappato la macchina fotografica, che non vogliono che facciano fotografie. E quelli là, meschini, si misera in paura che si spezzava la macchina fotografica di 80.000 lire.
Chi ci ha otto figli, chi sei, chi dieci: é l'unica delizia avere figli. E l'unica delizia della povertà.
Due tre volte ci son venuti i preti in questo quartiere, per insegnare la dottrina ai bambini : mancavano due mesi alle elezioni. Noi abbiamo pulito alla meglio e ammucchiata e spianata della terra. Dopo due o tre giorni sono venuti a fare un cinema di Madonne e santi. Poi hanno visto che il cortile era troppo sporco e i bambini erano indiavolati e non ci potevano badare e sono scomparsi dalla circolazione. I bambini
gli dicevano parole sporche: Stronzi, ci rompete la minchia, all'ora
delle elezioni vi presentate — é scomparso il cinema, é scomparso tutto ».
GINO O. '
« lo nacqui come? Mia madre era una donna che si interessava di uscire documenti, era spicciafaccende, dopo essere restata vedova di un calzolaio. E frequentava gli uffici del Municipio, per l'attività che essa faceva. Li conobbe mio padre, il quale era un impiegato al Municipio. Mía madre era una bella donna e quello incominciò a farle la
154 DANILO DOLCI
corte: non dicendo per) che era sposato, promettendole di sposarla. Mia mad[...]
[...]spicciafaccende, dopo essere restata vedova di un calzolaio. E frequentava gli uffici del Municipio, per l'attività che essa faceva. Li conobbe mio padre, il quale era un impiegato al Municipio. Mía madre era una bella donna e quello incominciò a farle la
154 DANILO DOLCI
corte: non dicendo per) che era sposato, promettendole di sposarla. Mia madre gli si diede.
Nato io, nel 1912, non potevo avere il nome. Mia madre non si sentì la forza di abbandonarmi e mi diede il suo nome. Ricordo solo che giocavo 11 in mezzo a la strada e qualche volta, ricordo, vagamente, mia madre mi lasciava in consegna a qualche vicina per andare a lavorare. Poi, per la spagnola, mia madre s'ammalò e morì. Non si presentò nessuno perché mia madre era considerata armai..., e io sono rimasto íl figlio del peccato di cui . nessuno voleva interessarsi. C'era un mio fratello, figlio del primo padre, il quale era promesso sposo. E fui consegnato alla famiglia della fidanzata. Li in quella casa vi era un giovane il quale andava a borseggiare. E cominciò a insegnarm[...]
[...]erché mia madre era considerata armai..., e io sono rimasto íl figlio del peccato di cui . nessuno voleva interessarsi. C'era un mio fratello, figlio del primo padre, il quale era promesso sposo. E fui consegnato alla famiglia della fidanzata. Li in quella casa vi era un giovane il quale andava a borseggiare. E cominciò a insegnarmi a me, prendendo una borsetta da signorina, che si diceva in gergo ladresco «magghia appendente », che io dovevo « sbacchettare », cioè aprire. Lui stesso mi insegnava il modo: il frontino, il mezzo frontino. Che cos'è il frontino? Io dovevo andare avanti un cinque, sei metri dalla donna destinata al borseggio. Poi dovevo ritornare di scatto per prenderla di fronte. Arrivato all'altezza della borsa, alzavo il braccio sinistro e con la mano destra, passata sotto il gomito, facevo scattare la molla o il bottone, che in quei tempi si usava il bottone nelle borse; e c'erano quelle che si aprivano scorrendo, come certe valige: bisognava essere specializzati in tutti i tipi di aperture. Dunque, prima si apre, e poi[...]
[...]a, passata sotto il gomito, facevo scattare la molla o il bottone, che in quei tempi si usava il bottone nelle borse; e c'erano quelle che si aprivano scorrendo, come certe valige: bisognava essere specializzati in tutti i tipi di aperture. Dunque, prima si apre, e poi si torna col mezzo frontino, infilando la mano nella borsa e prendendo il portafoglio o quello che c'era.
Quando si era già avviati, c'è un altro problema, quello dell'omertà del bambino che doveva essere provato, prima di essere affittato a borseggiare. Qualcuno di questi adulti, che veniva pure da questa carriera diceva: — Questo è un bravo ragazzo che non parla — e lo portava in giro per le città d'Italia. Io per la prima volta fui ingaggiato da un certo B. La prima volta ero timido, mi veniva come d'andare al gabinetto. Per me era una cosa paurosa, temevo che quello se ne accorgesse e mi desse botte. Da solo non era capace: ma c'era l'altro e mi dava coraggio. Io non volevo dimostrarmi un timido, un vile, e non essere ingaggiato. I soldi poi lui li portava alla famig[...]
[...] non essere ingaggiato. I soldi poi lui li portava alla famiglia dove stavo, una parte, perché li mangiavo e dormivo. A me,. non mi dava mai la soddisfazione di sapere quello che si trovava dentro i portafogli: apriva
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 155
lui. Potevo riuscire due o tre volte al giorno. E lui faceva da palo, quello che sta per non far vedere alla gente che passa.
Nella strada dove io abitavo, quasi tutte le famiglie avevano un bambino avviato alla mia stessa strada. Via S. Agostino, Cortile Catarro, Cortile Salaro (Scalilla), e quasi in ogni strada intorno, vi era o un borsaiolo o un centro di insegnamento di borsaioli. E la cosa ancora continua, lì e a Ballar) e altrove, ma è meglio non essere troppo precisi se no li vanno ad arrestare tutti: gli fanno più male, invece di aiutarli e dargli lavoro. Che non si ripeta come alla calata del Mori: era suc cesso che per sanare il male, mettevano in galera pure Dio. Se c'era qualcuno che s'accorgeva dell'operazione, in questo rione,' nessuno parlava, anche i proprietari dei negozi: si poteva star sicuri di poter scappare, quando «s'attuzzolava », che significa: era scoperto.
Ci sono anche ora « le squadre » addette per il borsaioli, ci sono gli agenti cosiddetti specializzati, ma non hanno nessuna sp[...]
[...]nevo », (mettiamo io ero « apparanzato » con te, e « scendevamo » vuol dire andavamo a « lavorare »), ed all'angolo della via Sant'Agostino con via Maqueda (dove era il centro « di lavoro » delle varie « paranze », vicino a tutte le vetrine e i negozi) veniva « la squadra ». E mi accorsi che era capitanata da Sciabbica. Avvertii subito i compagni, facemmo un dietrofront e ognuno di noi fuggì nei vicoletti. Io corsi a scattafiato fino a casa, che bastava essere preso per rimanere in carcere a disposizione, minimo tre giorni. Arrivai a casa tutto spaurito che mi spaventavo solo al pensiero che mi avesse riconosciuto. Quando si arriva di corsa a casa, quelli di casa non sanno se si arriva di corsa con « u surci », il bottino, o se si é « attuzzulati ». Bisognava riprendere fiato per spiegare la cosa.
Questa é la vita che conducono, ancora, tutte « le paranze» : soprassalti, spaventi, esaltazioni, la tema d'incontrarsi sempre con la squadra. Che ogni mattina, come escono « le paranze », cos]. escono le squadre.
Quelli che abbiamo detto, s[...]
[...]a. Tante volte per far « lavorare » bene i piccioteddi, gli promettevano che li avrebbero portati ai casini. I ragazzini si facevano le seghe in comune, ognuno per conto
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 157
suo, una specie di gara a chi godeva prima. « Calava u' duce »: che a quell'età non c'era ancora sperma. Una specie di estasi.
Una volta ci hanno portato in quattro in camera da una donna che dedicava le sue opere particolarmente a questi bambini: essa si gettò nel letto supina; il più grandicello, appunto perché tale, ci andò sopra proprio, e gli altri più piccoli, contemporaneamente, lei ne masturbava uno e gli altri due facevano da sé, incitati dalla scena, toccati da essa stessa. Facevano, tenendole un piede, palpandole le cosce, le natiche. Lasciamo stare queste cose che ripugnano, che altrimenti dovrei dire che certe volté a chi faceva la spia lo inculavano per sfregio, ecc. ecc.
A dodici anni (c'era una specie di mercato), uno sapeva che ero capace ormai di borseggiare: e quindi venne a parlare con la famiglia e si rimase d'accordo che giravo con lui. Le mie prime esperienze, di più alto livello, sono cominciate: siamo andati anche in continente. Che si faceva? La stessa cosa. Solo[...]
[...]chi faceva la spia lo inculavano per sfregio, ecc. ecc.
A dodici anni (c'era una specie di mercato), uno sapeva che ero capace ormai di borseggiare: e quindi venne a parlare con la famiglia e si rimase d'accordo che giravo con lui. Le mie prime esperienze, di più alto livello, sono cominciate: siamo andati anche in continente. Che si faceva? La stessa cosa. Solo a ricordare fa male. Certe volte si faceva « l'appiccico ». Io fingevo di essere un bambino scappato di casa e l'altro, con una cinta in mano, fingeva di cercarmi da tre giorni: mi, vedeva, fingeva di volermi cinghiare, io mi ripavaro abbracciando i ginocchi di uno che prima ci eravamo assicurati che avesse « u surci » ne « la culatta ». Io gridavo, gli stringevo i ginocchi gridando — perdono —, e chiedendo aiuto a quell'uomo. Quello si impietosiva, si chinava cercando di proteggermi dalle busse, e intanto l'altro gli sfilava il portafoglio. Perché io fossi messo a conoscenza che l'operazione era riuscita, vi era un segnale convenzionale: mi faceva « a resta »: raschiava con la[...]
[...]ti impauriti ci buttammo subito sulla carrozzella e fuggimmo. Che poi la gente credeva che fosse un rapimento di una ragazza, come di costume.
Che da Palermo e Napoli, si girava. Si stava in albergo, ci si do
158 DANILO DOLCI
veva vestire bene. Si diceva di essere commercianti. A Milano, Torino: tutta mezza l'Italia ho conosciuto. Una volta il mio apparanzato era in possesso della tessera di giornalista. E tornavamo ogni tanto a Palermo, alla base.
Una volta, in una città, eravamo in tre, abbiamo incontrato una donna che poi portammo all'albergo. Io avevo un quattordici anni, gli altri erano maturi. Prima ci andarono gli altri, per ultimo io ci passai la notte e questa mi ha fatto raccontare cosa facevamo. La mattina dopo, questa é sparita senza farsi pagare. E ci siamo accorti, quando la polizia ci ha arrestato, che la polizia sapeva tutto quanto io avevo raccontato alla donna. Li s'era a farci da « nona » un brigadiere dei carabinieri, palermitano come noi, che conoscevamo. Perché abbiama pensato che la donna era una spia? La poli[...]
[...]to a casa, ripresi a gironzolare per l'Italia. In questo periodo riportai due condanne di venti giorni e trenta, segnate ma non scontate perché minorenne. Un giorno fui arrestato a Roma, e da quella questura ebbi fatte le pratiche per essere rinchiuso, questa volta nell'Istituto Vittorio Emanuele III,. in provinzia di . Mantova. E qui fu la mia prima esperienza « rivoluzionaria ». Ci davano botte, il Direttore faceva cose che é meglio non. dire; bastava che noi giocassimo a tamburello quando lui dormiva, durante il giorno, per buscarci due o tre giorni di cella. Andavamo in cucina di notte a scassinare per prendere del pane, o nell'orto per meIoni o pomodori. Abbiamo deciso di denunciarlo: scrissimo una lettera al Podestà del comune, nella quale denunciavamo i sopprusi ricevuti, sottoscritta dai piú grandicelli, e a sorte toccò proprio a me consegnarla.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 159
nelle mani del Podestà. È andata a finire che il Direttore, quando son tornato, mi ha puntato la rivoltella addosso, ma lui poi é stato costretto [...]
[...]te che diceva: — Povarin, povarin, daghe un pezo de pan, una gota de vino —. Che cosa ci avevano di educatori quelli là non si sa: se il primo lasciava tutto alla legge dell'anarchia, quell'altro voleva fare andare dritto tutto e invece andava tutto storto. Non si sa se andava peggio prima o peggio dopo.
Li ho incominciato dalla terza, per finire alla sesta elementare: mi han portato li perché sapevo un po' leggere per conto mio, avevo quasi la barba e ero came il padre dei bambini del paese, che erano mischiati insieme nella classe. Mi ricordo ancora che il primo giorno di scuola c'era il maestro che aveva disegnato un triangolo alla lavagna e diceva: — L'area del triangolo si trova moltiplicando la base per l'altezza e dividendo... —, e mi domando: — Tu laggiù l'hai capito? — Io non avevo capito niente ma gli dissi di si. Dettava: — O cavallina cavallina stoma, virgola —, e io scrivevo — virgola —; e poi: — Tu fosti buona ma parlar non sai, punto —, e io scrivevo — punto —.
Avevo diciott'anni quando frequentavo la sesta; e perché an[...]