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Il segmento testuale Angelo Muscetta è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 18Analitici , di cui in selezione 2 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Carlo Muscetta, [Saggio introduttivo a] Angelo Muscetta, Memorie di un commerciante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: MEMORIE DI UN COMMERCIANTE
Queste che leggerete sono le memorie di mio padre, il cav. Angelo Muscetta, morto ad Avellino a ottant'anni il 4 ottobre 1957. Le cominciò a scrivere sulla fine del 1943 e le interruppe qualche tempo dopo, forse nel '45.
Vorrei subito levarmi di mezzo, e dirvi solo che sono stato incoraggiato a stampare queste pagine dopo il collaudo di due lettori disinteressati, e di gusto e cultura diversissimi, come Eduardo De Filippo e Alberto Carocci. Ma è lecito fare appello al troppo comodo principio di autorità? Un critico, un professore deve pur spiegare per quale interesse oggettivo sia stato indotto a stampare queste cronache domestiche, riservate dall'autore alla ristr[...]

[...]opo
MEMORIE DI UN COMMERCIANTE 33
il suicidio di mia madre, nel 1941, era stata disertata da tutti. Ma i depositi e gli scaffali son vuoti. Gli scarsissimi capitali sono inviliti dall'inflazione. La ripresa del commercio è lenta e caotica. I borsari neri spuntano da ogni parte, la concorrenza di nuove ditte ben presto incalzerà. In questa situazione difficile gli acquisti, appena saranno possibili, diventeranno oggetto di ricerche avventurose. Angelo Muscetta non è un uomo da perdersi d'animo, riprenderà i suoi traffici, riuscirà a dare un impulso decisivo alla ricostruzione dell'azienda: «ho sessantasette anni e ancora vivo e ancora lavora» (scrive nel corso della autobiografia).
Ma nei primi tempi di questa ripresa le ore di inattività sono lunghe e malinconiche per un vecchio rimasto vedovo per la seconda volta e afflitto dal diabete. Accanto a lui i due figli non sposati sono una preoccupazione e un tormento, che supera il conforto del loro affetto. E ci si aggiunga l'assillo di altri due figli: il mio fratello minore, ufficiale a Rodi e prig[...]

[...]ri cuori incominciassero a battere all'unisono, e bastò fra noi due un furtivo sguardo »...). Ecco il viaggio per il fidanzamento ufficiale (« nolleggiammo una carrozza chiusa e partimmo alla volta di Montefuscò »). Ecco l'intervento deciSivo dello zio, tutore della fanciulla orfana («lo zio Bocchino Si alzò e disse ai famigliari tutti: — Io per conto mio, e ne assumo piena responsabilità, son del parere di dare in sposa mia nipote Vincenzina ad Angelo Muscetta, povero, come voi volete, ma ricco di esperienza, e soprattutto onesto lavoratore »). Ma non voglio anticiparvi altri episodi eroificanti, dove le immagini e il linguaggio son visibilmente atteggiati a poetica dignità e moralità (« presi commiato dal mio tesoro: distacco doloroso, ma necessario, perché ho conosciuto da che era piccolo, solo il senso del dovere, e poi eventualmente il senso (se pure) del diritto, e in
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compagnia dell'alba che si schiudeva mi incaminai a piedi... ». Il contesto da cui tolgo queste espressioni vi mostrerà tuttavia che il nostro caro autobiogra[...]

[...]iano tirate via e che s'interrompano. Come mai nel racconto mio padre dimentica tante cose, e certo non trascurabili? Capoelettore del deputato liberale del luogo, (l'on. Alfonso Rubilli, rimasto poi sempre fedele al suo Giolitti), era divenuto consigliere comunale, nel 1921. E anche il nuovo regime lo corteggiava: il 21 dicembre 1922 il ministro per l'industria e il commercio gli mandava la nomina che avrebbe fregiato ormai la sua ditta: « cav. Angelo Muscetta e figli »...
Perché finiscono queste memorie ? Mi sorprendo a pensare come e se avrebbe raccontato questo o quell'epiSodio. Non potrò mai dimenticare le elezioni del '21, quando vidi mio padre schiaffeggiare un omone che era il doppio di lui, un contadino che, sottoposto come gli altri elettori a diligente perquisizione (nell'uffizio elettorale messo su in un (( basso» di casa nostra), era stato trovato in possesso della scheda di un altro partito. Benché si comportasse slealmente, voleva tentare di esercitare il suo diritto di voto. Ma evidentemente per il nostro borghese e per i suoi leade[...]

[...]re Torlonia.
Ma mio padre non fu soltanto un uomo d'affari, fu un uomo. E anche a lui, modestamente, sarebbe convenuto, per la sua capacità di rivolgersi a tutti, l'epiteto che Omero attribuiva al suo « politropos » Ulisse. Una qualità che è fondamento umanistico di ogni umano « commercio ».
MEMORIE DI UN COMMERCIANTE 51
C'è un a ricco vulgo » (come lo chiamava Foscolo), che ha sepoltura, prima di morire, nella sua stessa miserabile banalità. Angelo Muscetta nelle sue memorie vive ancora, ricco della sua raggiante felicità di vivere. E non so di quanti letterati o senza lettere, borghesi o proletari, un figlio possa scrivere quel che si legge sulla sua tomba, dove egli riposa accanto alle donne che amò, e ai suoi genitori, e allo zio Sabino e alla zia Angela Rosa, e al Capo Treno e a nonna Cristina. Tutta gente per la quale l'« onestà animosa» (qualità essenziale di mio padre, ricordata nell'epigrafe) era una virtù, mentre i miracoli economici son riserbati a certa borghesia del nostro tempo, agli strateghi del parassitismo, agli eroi delle cambi[...]



da Angelo Muscetta, Memorie del cavaliere Angelo Muscetta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA
Nacqui ad Avellino (Puntarola) il 24 settembre 1877 da genitori lavoratori, ma onesti. Mio padre, guardia di finanza, si sposò a Saviano (Nola) e dopo di essersi congedato, esercitava il mestiere di venditore oggetti di vetro, guadagnando benino. Da Avellino, dopo dieci mesi dalla mia nascita, i miei genitori (1) si trasferirono a Benevento, Vico Carrozzieri, e con i risparmi onesti del proprio lavoro impiantarono un piccolo negozio di terraglie e cristalli, che in quell'epoca, credo, bastavano poche centinaia di lire. Questo negozio, vuoi per la bontà e il saper fare del povero padre mio, v[...]

[...]asso attiguo al negozio di terraglie, ed impiantarono un piccolo civettuolo caffè che per l'abilità di mia madre, il successo fu superiore ad ogni aspettativa. Tanto furono gli affari, che fu necessario prendere una cameriera di Saviano con lire 3 mensili e un garzone con lire 8 mensili, naturalmente con tutti i trattamenti. La cameriera era di Saviano ed il garzone di
(1) Nel ms. questo soggetto precede i1 successivo verbo " impiantarono „
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Avellino, e di quest'ultimo vi sono tutt'ora i nipoti che vivono alla ferrovia di Avellino. Nel 1880 nacque la prima sorella Maria, e nel 1883 nacque la seconda sorella Carolina. Si cresceva nell'abbondanza e mio padre gioiva del progresso, ripeto frutto del suo onesto lavoro, tanto da consentirgli ritirare vagoni di merce dalla Germania, e segnatamente articoli di vetro argentato e dorato, che in quell'epoca erano molto ricercati e andavano a ruba. Fu tale lo sviluppo che mio padre fu costretto fittane due depositi, uno presso la Posta Vecchia, e un altro via Porta Rufina, depositi che serv[...]

[...]levarci.
La mattina del 17 settembre 1884 ore undici, che ricordo benissimo pur avendo sette anni, Benevento fu colpito da una forte scossa di terremoto, e quel garzone di Avellino senza pensare alle cose più necessarie, andò in cucina, prese la pentola dove bollivano due piedi di smarrimento, mandò a rilevare noi alla scuola, e tutti prendemmo di vitello e scappò in campagna.. Mia madre, passato il primo momento
(1) Cartocci
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la via della campagna, restando sotto un pagliaio quaranta giorni, sotto il terrore di centinaia di scosse, di cui parecchie violentissime, tanto da distruggere moltissime case, compreso i due nostri depositi pieni (ché di recente si erano scaricati due vagoni di vetrerie e cristallerie), distruggendo ogni cosa.
Apro una parentesi, per ricordare la data fatidica:
17 settembre 1884, ore undici: distruzione del patrimonio di mio padre col terremoto.
17 settembre 1943, ore undici: distruzione della nostra casa in via Littorio, col seguito, con i bombardamenti.
Durante la permanenza in ca[...]

[...]e più scuola —. Ad Avellino trasferimmo con due carrette una piena di mobilia e che, ricordo, era bellissima, s'intende di quei. tempi, e l'altro carretto ben carico di merce, cioè terraglie e cristalli.
Ad Avellino fittammo la casa Via Umberto 1°, e precisamente dove è ora il negozio di scarpe di Arturo Petracca: avanti la vendita e dietro l'abitazione. Ma gli affari scemavano giorno per giorno. Stando
(2) Nel ms. : « un fratello frate u.
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così le cose, a mia madre oltre la mania di cambiar casa, gli sopravvenne la nostalgia del paese suo natio (Saviano) e quella delle sorelle (molto affettuose per il saccheggio fatto) e nell'anno 1887 ci trasferimmo a Saviano. Tale trasferimento era contrario a mio padre, ma mia madre 10 convinse con uno stratagemma: quella casa era piena di spiriti, spiriti che, neanche farlo apposta, apparivano durante l'assenza di mio padre. A questo proposito, chiedo perdono alla mia povera mamma, di queste accuse necessarie per la narrazione esatta, e non vorrei mi maledicesse, dall'altro mondo, perché l[...]

[...]tori moderni. Però ero felice, la sera frequentavo la casa di un lontano parente di mia madre, calzolaio, e con suo figlio mio cugino, imparai qualche cosa, però ero retribuito bene, avevo 12 soldi. La domenica al giorno (1) quando tornavo dal mercato di Caiazzo ed insieme a mio cugino si usciva a fare qualche passeggiata, ed in tempo di stagione estiva, prendevamo lo spumone dell'epoca, e cioè 1 soldo quattro
(1) Di pomeriggio
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giarrette di neve zuccherato, con colori variopinti, anche se non nocivi (I), e dalla sera, specie d'inverno, al Teatro dell'Opera ossia l'Opera dei pupi. Quando avevamo il borsellino pieno, prendevamo i primi posti, 2 soldi. Ero felice.
Le cose andavano maluccio, il capitale di mio padre andava assottigliandosi, e ricordandosi che a Marsiglia vi era un fratello di zio Sabino (che in seguito conoscerete), scrisse mio padre a lui, se emigrando a Marsiglia, potesse trovare lavoro. La risposta fu favorevole, e se non erro, verso la fine dell'anno, pare nell'agosto 1888 (sono in questo momen[...]

[...]oè sopra coverta, per terra). Mia madre aveva provveduto di tutto: pane, vino, salame, formaggio, frittate di maccheroni, uova sode, frutta della stagione, limoni, insomma provvista per due giorni, che il vapore per cattivo tempo ne impiegò tre.
Partimmo da Napoli alle ore diciassette, e la prima notte non fu tanto cattiva, tanto piú che avevamo fatto amicizia con diverse donne
(1) hiel ms. : «anche se non inocui«.
(2) Grand chemin d'Aix.
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atripaldesi, che come noi raggiungevano i loro cari. Erano passate circa venti ore che stavamo a bordo e nessuno aveva toccato cibo. Facevamo a gara, a chi piú rovesciava (per il mal di mare) non abituati, e credo che a stento rimasero gl'intestini: i limoni furono la nostra salvezza, e ci trovammo una buona provvista, perché quel parente Martino ce lo aveva consigliato. Sopravvenne la notte, e verso le ventuno arrivammo al golfo di Genova, golfo pericoloso, come diceva il personale del vapore. Fu tale una tempesta, che tutti credevamo fosse vicino la nostra fine. Le grida maggiori furono de[...]

[...]l carretto, però senza il mio somarello, che avevamo venduto in Italia. A piedi, seguendo il carretto, e facendo buona guardia alle masserizie, feci circa quattro chilometri. La distanza, e la fame sopraggiunta, pareva quella strada che non finiva mai. Mio padre aveva avuto cura di fittare una bella casetta di due stanze e una bella cucina al primo piano, senza balconi, con due finestre, e propriamente in una traversa, sul Gran
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Chaimin d'Aix, Rue Pherafins n. 6, poco lontano, dalla casa dello zio; e cosí, dopo averci pulito alla meglio, ci recammo a pranzo da questo zio. Mio padre ebbe cura di comprare una gallina per farci un ottima tazza di brodo (tanto necessaria a mettere a posto il nostro intestino rimasto privo di alimento per quattro giorni) malgrado la mancanza di suppellettili, che man mano venivano comprati, con qualche piccolo risparmio: tantoppiú che mio padre, per il suo carattere buono, e per la sua onestà e attaccamento al lavoro, dal Capo reparto, (che Doi divenne nostro compare, perché un figlio[...]

[...]ire in aiuto al mio povero padre, ma ero piccolo di età, vecchio e procace in esperienza, e pieno di volontà. Un giorno passai per una piazza caratteristica, chiamata Piazza Pantagone, poco distante da noi (che potrei uguagliare a Piazza Francese di Napoli), dove accoppiato alle bancarelle di tutti gli articoli diversi usati, e rubati da vagabondi. vi era un gran commercio di abiti usati. L'occhio fu attratto da una forma di ferro, che appli
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candosi nella scarpa e posato sulle ginocchia, potevo lavorare applicando mezze suole e sopratacchi inchiodati anziché cuciti, e [da] qualche altro arnese utile per un ciabattino. E ricordandomi che a Sa
viano avevo con un ,mio cugino imparato a fare qualche cosa, avrei
potuto sfruttare il vicinato per la riparazione delle scarpe. Mi avvicinai alle diverse bancarelle, e da un calcolo esatto o approssimativo,
occorrevano 1012 lire. A mio padre non osavo chiederle, per non guastare il già modesto bilancio, e come sempre si fà, mi rivolsi a mia madre, non perché lei avesse dei risparmii, ma [...]

[...]uti si alzò un signore dal tavolo (che era seduto poco lontano, con la famiglia) e si avvicinò a me, parlando benino l'italiano. Mi accarezzò dicendomi: — Molto bravo —; mi chiese il mio indirizzo, e mi diede il suo. Era un insegnante di scuole elementari francese, seppi poi che il padre era di origine piemontese, mi pregò di andare a casa sua qualche volta, specie la domenica. Mi
(1) L'invalido, il ferito porta chi é valido.
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accorsi che era un patito di Rittardo (I) per le canzoni napoletane, e promisi di andarci la domenica prossima, tantoppiú che abitava alla Caposelle, Boulevard St. André poco distante da noi; e ritirandomi a casa raccontai in famiglia tale incontro.
Le cose mie andavano benino, lo sviluppo cresceva giorno per giorno ma il mestiere scelto di ciabattino non era adatto per me, giovanotto svelto, 'e perché rio? di alte vedute, era un mestiere adatto per un vecchio. Una mattina nel recarmi a fare delle compere di certi articoli per il mio lavoro, passando per il corso della strada principale [...]

[...]perché cliente. Dissi che sarebbe stato mio desiderio prendere servizio come commissionario, ma non avevo il libretto di lavoro. Il maestro mi ascoltò benevolmente, e mi promise farmi avere il certificato di terza classe Elementare Francese (necessario per avere questo libretto di lavoro), se io avessi con buona volontà frequentato
(1) Si dicevano cosí gli appassionati dei cantastorie e dell'eroe popolare dei romanzi cavallereschi, Rinaldo.
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.uiti .i giorni alle ore sedici la sua casa, per aver lezione gratis da lui. Lascio immaginare la gioia che provai a questa generosa offerta. Volle che cantassi anche senza accompagnamento qualche canzonetta offrendomi dei dolci (che da molto non mangiavo), dandomi un pacchetto che portai a casa, con gran festa delle mie sorelle.
La mattina successiva presi servizio alle otto, facendomi indicare le mie mansioni, cioè spazzare il grande negozio, spolverare, mettere in ordine i diversi scaffali. Dimenticavo dirvi che questo proprietario, era sposato da due anni con una francese e da pochi mes[...]

[...]la passione e la pazienza del maestro verso di me era piú che paterna, mi metteva fra le sue ginocchia, e nei primi giorni m'imparava gradatamente le cose piú ele
(1) Dors, dors, bel ange d'amour,
Jusqu'au tombeau je te serai fidèle
(21 Il Certificat d'instruction primaire élémentaire prescritto dall'art. 9 della legge 19
maggio 1874 reca la data del 28 settembre 1890. Il Livret No 20511 reca la data del
giorno successivo.
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mentari per esempio, il viso, gli occhi, il naso, le orecchie, le scarpe, i capelli ecct. ecct.
Lasciai il posto di balia e apprendista, per occupare (sempre da Sassone) il posto di commissionario. Vi furono i primi giorni di difficoltà, per le strade che non conoscevo ancora, ed il tratto abbastanza lungo. La posizione era questa. Fate conto che noi abitavamo come [a] S. Giovanni o Portici, e per espletare le commissioni dovevo andare verso Toledo, il Museo, Piazza dei Martiri. Avevo dal principale 4 soldi, oppure 8 soldi, quando vi era doppia corsa del tram con i cavalli, e quando ero [...]

[...]endo quella fraganza che dalla pentola veniva fuori, domandò confidenzialmente a mia madre che cosa stava preparando, e mia madre rispose che stava preparando il ragù, ossia la salsa per condire i maccheroni. Ringraziò ed usci. Mia madre, orgogliosa per il complimento, al momento del pranzo, preparò un piatto di maccheroni, e lo portò alla francese vicina di casa. Non
(1) Il domicile indicato sul libretto di lavoro è Traverse des Moulins, 8
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l'avesse mai fatto. Questa francese avrebbe voluto quel piatto tutte le domeniche, anche perché la loro cucina è orribile.
La vita era gaia e felice, nella nostra miseria. Qualche volta si faceva anche qualche scampagnata al mare: mia madre curava portare qualche cosa, e si inaffiava con qualche bichiere di birra. Avevo incontrato altri amici, e qualche domenica andavamo a fare delle passeggiate nel giardino zoologico, molto bello, e ricco di moltissimi animali di tutte le specie. Si era arrivato al 15 agosto del 1889. Detto giorno si festeggiava su una collina, come se fosse il Vamero di N[...]

[...] genitori ammalati. Avevo avuto cura di portare a vendere tale verdura in altro rione per non umiliarmi, però per caso mi riconobbe una donna vicino di casa, e rimase talmente stupita del mio atto (uomo, giovanotto, andare a vendere la verdura il giorno di Natale) che si commosse, che sparse la voce in tutto il vicinato che la sera facevano a gara, a chi. portare piú roba, dal pane ai dolci rituali di Natale. Le mie sorelle man
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giarono con avidità ogni cosa, ma io piangevo ed ero tanto umiliato, che non mi veniva la voglia di assaggiare cibo. Insieme con me piangevano i genitori, però alla sera, dietro loro insistenza, dovetti mangiare qualche cosa.
I giorni dopo il Natale, mia madre si guarí completamente, e nei. primi giorni dell'anno 1890 seguí anche la guarigione di mio padre. Io intanto avevo scritto in Italia allo zio Sabatino, e [a] zia Angelarosa, e ricevetti dopo pochi giorni da entrambi lire 50, che sparirono per incanto, per alimentare i poveri genitori durante la convalescenza. Io intanto al mia pri[...]

[...]oveva arrivare un vaglia dall'Italia: vaglia che non doveva arrivare, perché la vera intenzione, (confesso la verità) di mia madre, era quello
di non pagarlo, perché milionario, e si era rifiutato di farci un piccoloaccomodo in cucina.
Espressi al mio principale la decisione dei miei genitori, che volevano rimpatriare, e si rammaricò tanto. Volle vedere i miei genitori per disuaserli da tale decisione, ma non ci fu verso. Voleva per forza.
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farmi rimanere con lui, come un figlio, assumendo qualunque responsabilità, ma specie mio padre non ne volle sapere.
Decisi allora di darmi da fare, per le dovute pratiche. Avevo saputo che per le famiglie bisognose vi era una disposizione del console italiano a Marsiglia: concedeva il viaggio gratis, però senza vitto, naturalmente dopo le burocratiche pratiche di accertamento di famiglia povera. Intanto il tempo stringeva, il padrone di casa minacciava lo sfratto. Io conoscevo Marsiglia palmo per palmo, e tutte le mattine alle nove mi recavo al palazzo del console alla Rue Canebière per ve[...]

[...]scarico di merce, e che avrei dovuto provvedere per il cibo, per tutti questi cinque giorni.
Andai a casa tutto contento e ci preparammo ogni cosa. Ricevetti dal mio principale come premio un orologio d'argento, grande, fuori moda, con una chiavetta per dargli la corda, senza catena, e al posto di essa misi un cordoncino colorato, orologio che conservavo come ricordo, ma che poi dopo tanti anni, non trovai piú, e lire 100, che
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consegnai a mia madre, che negli ultimi giorni preparò il necessario per alimentarci durante il viaggio. Salutai tutti gli amici, non escluso il maestro elementare, a cui esternai tutta la mia riconoscenza, e volle essere cantato per l'ultima volta una canzonetta napoletana a lui tanto cara (peccato che non ricordo il titolo). Mi diede il suo indirizzo, che ricordo benissimo (perché per cinque sei anni gli scrivevo: Doctor Luis Lecouvré, Rue della Paix, 34 Marseille). Non era professore, ma gli piaceva essere chiamato Doctor. Salutai con mia madre la signora francese (dei maccheroni) con[...]

[...]r sole quattro ore, e che alle ore diciassette dovevamo trovarci tutti a bordo. Sbarcammo io e mia madre per comprare qualche cosa, ma ci avvedemmo che i generi
(1) Ho ritrovato i dati esatti, segnati a matita, sul libretto di lavoro.
(2) La chiesa di NotreDamede laGarde (o della Bonne Mère ), che domina il porto: la statua della Madonna è collocata in cima al campanile. Quest'opera dell'architetto Espérandieu era stata terminata nel 1864.
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per noi erano cari, ed il denaro era poco, ricordo benissimo (E volli [poi] (1) rivedere quei vecchi portici, dopo circa cinquant'anni che erano
rimasti tali e quali, e facevo questa riflessione. Avevo visto Genova in veste da povero immigrante, ed ora la rivedevo, in qualità di grande
commerciante, che aveva preso alloggio all'Hotel Columbia, vicino alla stazione Principe, prendendo i pasti nei migliori ristoranti. Ho vissuto tutta la vita (tanto necessaria) dal pane duro e salacche, al burrothe, e marmellata, dalla taverna dormire sulla paglia, al vagone letto, a Genova).
Salimmo a bord[...]

[...]hi passeggieri giocavano a tombola. La mattina del 17 [correggi: 6] agosto alle ore nove eravamo per arrivare a Napoli. Non posso descrivervi la tristezza quando si lascia Napoli, allontanandosi di sera dalla bella città, e la gioia che si prova quando nelle prime ore del mattino, da diversi chilometri, si vede la Città.
(1) Nel ms. :« , e che volli rivedere ». Qui e alla fine della " riflessione " Ho introdotto mie parentesi.
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Salutai con mio padre il Capitano ringraziandolo per quanto aveva fatto per noi, e lui accarezzandomi, mi propose di seguirlo, facendo la vita di bordo. Mio padre lo ringraziò, ma gli fece comprendere che cid era impossibile, e che io rappresentavo per lui l'unica spalla forte.
Alle ore dodici del 17 [6] agosto del [1891] dopo una breve visita. sbarcammo all'Immacolatella Vecchia, fuori vi era un carretto venuto insieme con un mio cugino avvisato a tempo e caricammo le poche masserizie e noi, partendo alla volta di Saviano. I parenti ci accolsero con gioia, ci istallammo in casa di due s[...]

[...]na colonnetta, residui della mobilia di Benevento, perché il resto fu tutto venduto. Questa residua di mobilia la rimanemmo a Saviano, quando partimmo per Marsiglia,
e finalmente mia madre fu sodisfatta per questo trasloco e che tu l'ultimo.
Fuori i Platani, e propriamente di fronte al nuovo Ospedale, vi era una fabbrica di vetro soffiato, ossia vetro ordinario chiamato comunemente niretti e carrafoni. Questa fabrica [era] gestita da Luigi
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Masullo, vecchia conoscenza di mio padre, il quale ci accordò un credito che non doveva superare le lire 100, credito che veniva estinto appena venduta la merce, ripigliando l'altro. Il lavoro procedeva benino, e si arrivava fino alla provincia di Foggia. Io mi sentivo umiliato guidare quel carretto, ché quando era carico mi toccavo seguirlo a piedi. Non solo. Ma per le salite mi toccavo a tirare, perché il povero somarello non ce la faceva. Eppure ero felice. Per le discese, salivo a cavallo e cantavo sempre, specie quando si avvicinava l'ora del pasto alla sera. In quell'epoca in tutte le [...]

[...]vo il cameriere insieme ad una serva, ed avevo cosí a tavola con loro una buona cena.
Mio padre aveva restituito al compare Fusco le lire quaranta ed aveva messo da parte qualche cosa. Vi era in quell'epoca il nonno dell'attuale Acone, il quale aveva il negozio, dov'è attualmente la Rustica, e i depositi nel portone di Lanzara, di terraglie, porcellane e cristalli, e cosí accoppiato al commercio di vetri ordinaria, aggiungemmo
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i generi piú fini, terraglie, porcellane e cristalli, e poco per volta, con questi nuovi articoli gli affari andavano molto bene. Diventammo importantucci, s'incominciava a girare per .i paesi grandi: Ariano, S. Angelo dei Lombardi. Fittavamo un basso, facendo bella esposizione di tutto, e le migliori famiglie acquistavano dei servizii completi. Io andavo in giro, con un grosso paniere, pieno di articoli piú eccentrici, che il popolino acquistavano con piacere. Per mangiare bene (perché mio padre mi manteneva a stecchetto) escogitai un bel mezzo: mi fidanzavo con tutte le figlie di tavern[...]

[...], e dalla ditta Cappadonna di Partici, scartando quelli di vetro corrente, e negli acquisti che facevamo, ero diventato cosí provetto che, appena facevo un'esposizione, le migliori famiglie facevano a gara per acquistarli. Avevamo acquistato la fiducia dei suddetti fornitori, tanto che essi largheggiavano a farci credito di mille lire e piú, somma favolosissima per quei tempi.
Si faceva la fiera a S. Egidio (Montefusco), [un] convento, dove
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affluivano tutti i paesi viciniori, a fare la provvista per un anno di tutti gli articoli, e segnatamente i nostri. Avevo saputo che a questa fiera faceva un'esposizione una ditta barese residente a Benevento. Si era al luglio del 1895. Passando per il convento, fittammo per otto giorni tutto il cortile interno, con due stalle pulite per il ricovero nostro, andai a Napoli per fare delle spese, ed oltre il contanti ottenemmo lire 2.500 di credito, firmando 5 cambiali da lire 500 cadauna a breve scadenza.
La fiera incominciava il 29 agosto di ogni anno, ed aveva la durata di sei giorni.
Inco[...]

[...]venduti doveva ritirarli chi li aveva portati, (perché io ero sicuro di vendere gli articoli che acquistavo con gusto, e difficilmente ne rimanevano invenduti). Rimanemmo cosí d'accordo. A noi conveniva tale società, per due ragioni. La prima, non vi era concorrenza, e vendevamo esattamente con un guadagno abbastanza forte, e la seconda perché il barese portava degli articoli correnti, ma ricercati, per esempio delle grosse lan
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gelle di terra cotta di Grottaglie (Taranto) per conservare olio, vino, peperoni in aceto, i piatti per contadini, e tante altre cose, in modo che il cliente da noi trovava tutto. Ai miei articoli avevo aggiunto coltellerie e posaterie di alpacca e falso alpacca.
Il capitale era cresciuto abbastanza. Avevo l'aria di grossista, incominciavo a fornire dei piccoli rivenditori, ad Atripalda ed Avellino. Si rese necessario fittarsi un locale per mettere un magazzino e deposito, e fittammo precisamente quei bassi che attualmente è il magazinetto di Santomauro alla Ferrovia. Preparai dei bei sc[...]

[...]a mio zio che la moglie a Napoli si era partorito di una bellissima ragazza, ed aveva bisogno di una nutrice urgentemente. Mio zio voleva un gran bene a questo Capotreno; e perché assiduo suo cliente, e perché della nostra provincia, gli promise il suo interessamento. Lo zio Sabino aveva una sorella che si chiamava Lena, moglie di un operario di Sarno, Luciano Pappacena, che lavorava a Pianodardine, dove vi era una fabrica inglese di filati,
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il di cui proprietario si chiamava Turner. Questa zia Lena da poco si era partorito di una terza figlia, che fatalità volle dopo quindici giorni gli mori. Rimasta così la madre piena di salute e latte buono abbondante, lo zio Sabino telegrafò al Capotreno Recine che portasse la bambina perché aveva pronto la nutrice. Infatti il giorno dopo arrivarono ad Avellino, il Capotreno, la moglie e la bambina che si chiamava Amelia. Si aggiustarono per il prezzo, e altre modalità, e fu affidata alle cure di questa zia Lena, che era una bella e simpatica donna.
Tutte le domeniche (io avevo tredici ann[...]

[...]menti, aumentavo con maggiore esperienza, e l'esposizione diventava sempre interessantissima. Ero diventato l'idolo di tutta la clientela eletta, di tutte le signore: aspettavano con pazienza delle ore, perché loro dovevano contrattare solamente con Angelino. I successi crescevano senza misura fino al marzo 1897. un fatto nuovo sopravvenne e fatalità volle che dovevo cambiare mestiere.
(1) Via di campagna, delimitata da siepi.
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Il padre di Maioli, appaltatore, propose a mio zio Sabino la gestione del buffet alla stazione di Avellino; e mio zio, per l'avidité di diventare proprietario di un buffet, accettò senz'altro, e si stipulò, tramite il compare Fusco, il contratto di cessione tra il vecchio gestore Amedeo Fontana di Brescia, ottimo organizzatore, che per ragioni di famiglia doveva trasferirsi al suo paese, e mio zio Sabino Tommasetta. E la gestione fu affidata a me, naturalmente sotto il controllo di mio zio Sabino, e così il 21 aprile 1897 avvennero le consegne.
Si era trasferita. da Saviano ad Avellino ([...]

[...]rdo ci lampicchevamo il cervello, ma poi mi decisi tornare al banco, e con molte scuse feci intendere che eravamo sprovvisti di quello che chiedevano. Ed il signore un poco irritato mi disse: — Ma come dite di non averne, mentre li in quello scaffale ce ne sono diverse bottiglie? — Ed infatti la richiesta sua si riferiva ad un liquore chiamato Elixir Coca. Feci le mie scuse di nuovo, giustificando che da soli tre giorni avevo preso servizio.
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Avevo preso buona cognizione del mio compito, che espletai (come sempre) superando ogni difficoltà, con grande soddisfazione di mío zio Sabino (proprietario) e con soddisfazione della clientela, che accresceva giorno per giorno, sia ferrovieri che privati, e viaggiatori di transito. Tutti volevano Angiolillo, tutti cercavano Angiolillo. Chiamai con me le mie due sorelle poiché avevo bisogno di aiuto, oltre la serva, qualche piccolo garzone, per riempire bottiglie e fiaschi di vino. Mio zio era tale la soddisfazione che forni quel buffet dei migliori liquori esteri e nazionali, biscotti, cioc[...]

[...]randi trasportammo su quella fiera di campagna della merce di primizia moda e di gusti indovinati, che i migliori negozii di tutta Napoli non possedevano.
Fu un successone. Le migliori famiglie dei paesi viciniori si fermavano ad ammirare tutti gli articoli, aspettando delle ore per essere servite. Il primo a felicitarsi con mio padre e con me, fu l'agrimensore Don Ciccio Bocchino, nonno del povero Dottor Francesco Bocchino, e
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sua moglie la signora Luisella Recine, sorella al padre del Capotreno Recine, donna di rare virtú domestiche. Questa si avvicinò a mia ma
dre, ed all'orecchio gli disse: — Eppure, è cosí abile e simpatico tuo figlio, che gli dobbiamo far sposare una nostra nipote. — Vi era un
gran negoziante di articoli svariati e bene assortiti di merceria, confezioni dell'epoca per signore, signorine e contadine, molto ricco, il quale avanzò con mio padre proposte di matrimonio di una sua figlia. Ed un altra proposta del genere [fu quella] di un forte negoziante in tessuti di Monteforte Irpino. E quan[...]

[...] (calzone) imbottita di ricotta, qualche soldo di frutta, ed alla sera dopo la chiusura della cassa sotto l'orologio esterno della ferrovia, andavamo al pranzo dalla trattoria della Fortuna (tutt'ora esistente) alle spalle della statua di Garibaldi, ove spendevamo 8590 centesimi, massimo 1 lira. I miei compagni, per lo stesso servizio, erano tre: Cioffi Gaetano, calzolaio di Solofra, Fiumara Pietro, esercente una trattoria di Salerno, e Saturno
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Antonio di Cassino. Era la seconda sera che stavo in loro compagnia, dopo di aver mangiato, facemmo una passeggiata a piedi dalla ferrovia alla Galleria. Lessi un manifesto che al S. Carlo si rappresentava La Forza del Destino, con dopo il Ballo Excielsior, e al loggione di quinta fila (non numerato a quei tempi) si pagava lire 1.25 a persona. Proposi ai miei amici di andare: tutti profani di opere liriche. Ma per convincerli, ce ne volle, perché loro preferivano farsi una partita con qualche litro di vino. Io tenevo lire 2.40, somma che potevo disporre, loro invece erano diretti padroni e p[...]

[...]ita affluenza di clienti; però la prima sera e cioè il 29 agosto 1897 vedemmo entrare in una cameretta del convento, adibita da noi a sala da pranzo e camera da letto, due formose contadine con delle grosse ceste piene di ogni bene di Dio, dicendo a mia madre che venivano da parte di Don Ciccio Bocchino, e che erano sue colone. Le ceste contenevano gnocchi, carne di vitello, polli arrosto, pane, vino e frutta in abbondanza. Ave
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vano fatto questo atto di cortesia, perché la nuora di Don Ciccio, Donna Mariannina, madre di Manfredo e del Dott. Bocchino, ci teneva far rimanere per sé (segnandoci Venduto) ancora in esposizione un servizio di piatti che era una meraviglia: però ci teneva, un poco vanitosa, perché le altre famiglie lo vedessero. Il terzo giorno, nel pomeriggio (vi erano pochi clienti) vedo avvicinare una donna anziana ed una signorina, per scegliere un bichiere col manico. La signorina, nel chiedermi il prezzo, s'incontrò col mio sguardo, e siccome aveva un dente avanti piú grande, come suo fratello, g[...]

[...]rlò del piú e del ;meno, e bastò questo perché i nostri cuori incominciassero a battere all'unisono, e bastò fra noi due .un furtivo sguardo (che è il primo linguaggio dell'amore) per intenderci. Preceduti da un buon tratto, da una strada diversa lei si diresse dallo zio Bocchino suo tutore, e dopo poco anche noi raggiungemmo l palazzo, che era in fondo al paese. Ci presentammo, ed arrivato al mio turno, lo zio Bocchino disse: — Ma
(1) Caro
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io conosco bene Angelino, figlio di Amato — Diventai rosso come un gambero, perché ricordavo che in quella casa, negli anni precedenti, dalla
piazza del mercato portavo dei cesti di roba, che lo zio Bocchino acquistava da mio padre, ed io come misero ,garzoncello andavo in quella casa, perché la zia Luisella Recine Bocchino mi riempiva le tasche piene di frutta a secondo la stagione, oltre un bel pezzo di pane, con salame o formaggio, e altro ben di Dio. Lascio a voi lettori, figli nuore nipoti, la mia grande umiliazione, entrare in qualità di futuro sposo, in quella casa, che diversi anni [...]

[...] zio Bocchino ci invitò di nuovo a Montefusco per vedere eventualmente superare qualche difficoltà incontrata nel consiglio di famiglia. Un giorno che non ricordo, partimmo con la stessa carrozza chiusa, però munita di un cesto con polli salame formaggio e vino (tutta questa roba rimase nella carrozza, e che avremmo dovuto mangiare dopo). Ci recammo in casa dello zio Bocchino, il quale ci riferí del consiglio di famiglia da lui
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presieduto, in qualità di tutore, e che tutti erano rimasti soddisfatti per le buone informazioni morali sui mio conto, ma non si trovavano d'ac
dordo per la posizione finanziaria. E non avevano tutti i torti: io non
possedevo nulla, la sposa portava in dote circa 6 mila lire, in contanti 3.800 e 2.200 una casa e terra, ancora in comune col fratello Carlo
Capotreno. Però mio zio Sabina e mia zia Angelarosa mi donavano lire 1.000 ciascuno alla rispettiva loro morte, e ,il contante della sposa veniva ipotecata su una loro casa, e quindi .garentita; lo zio Sabino s'impegnava fare tutte le[...]

[...]cct.
I zii della sposa quasi non volevano aderire a questo matrimonio, perché non avevano voluto accettare due .matrimoni, uno di un ricco orefice di Gesualdo, e un altro in quell'epoca esattore di Montefusco, tutti e due ricchi, di buona famiglia, ma di pessimi precedenti giovanili. Lo zio Bocchino si alzò, e disse ai famigliari tutti: — Io per conto mio e ne assumo piena responsabilità, son del parere di dare in sposa mia nipote Vincenzina ad Angelo Muscetta, povero, come voi volete, ma ricco di esperienza, e sopratutto onesto lavoratore. — E credetemi (disse a loro) la nostra Vincenzina, non gli mancherà mai nulla —. A queste parole, tutti si pronunziarono consenzienti, e fu superata ogni cosa.
Lo zio Bocchino volle festeggiare il fidanzamento ufficiale, con un banchetto (che il compare Fusco non l'ha mai dimenticato) con dolci e vino rarissimo, brindando alla salute dei sposi, e che il destino crudele volle spezzarlo (come in seguito vi dirò) dopo solo undici anni di matrimonio.
Dopo il pranzo solenne, ci recammo in casa dello zio Canonico e [...]

[...] arrivava a Montefusco alle ore diciassette. La prima sera cenai dalla fidanzata, e a dormire andiedi dalla zia Teresa, sorella di zia Cristina, però all'indomani andammo a salutare un altro zio in secondo grado, Giacomino Recine, ammogliato senza figli, ed abbastanza ricco, e costui volle assolutamente che fossi andato a dormire da lui tutte le sere che mi trattenevo a Montefusco, per tutto il periodo di fidanzamento, e per quest'altro zio,
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diventai piú di un figlio. E quindi la seconda sera fui suo ospite: la sua abitazione era poco lontana dalla casa della fidanzata, e dal balcone della mia camera da letto alla finestra della camera da letto della fidanzata ci divideva un piccolo vicolo stretto. Io dormivo in un letto grande insieme a questo zio, letto con quattro materassi di lana, che io non ne avevo la massima idea: di una sofficità che, per me, quei tre o quattro giorni di permanenza a Montefusco rappresentavano un paradiso, perché ad Avellino id mio letto era un piccolo materasso su un tavolo da pranzo, e il riposo era s[...]

[...]che, e non uscirono che lire: 1,15, — dico ventitrè soldi, ed un pacchetto di sigarette, e una scatola di cerini. Io rimasi male, ma piú male e umiliato rimase mio zio Sabino, il quale mi disse queste testuali parole: —Dapo il tuo fidanzamento, ti sei circondato di invidia e gelosia, però questo risultato negativo non ha fatto altro che cementare il mio bene e la mia fiducia, per quanto quest'ultima, mai perduta —. Voleva darmi
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del danaro, ma rifiutai energicamente, dicendogli: — Non mi serve, perché a Montefusco non mi fanno mancare neanche le sigarette. — Mi vestii in fretta, presi la mia piccola valigetta, presi pasto nella carrozza, facendo le mie scuse ai miei compagni di viaggio, chè per un contrattempo li avevo fatti attendere venti minuti, e partimmo.
Posso assicurarvi che furono tre ore di tortura per me, avrei voluto ritornare in Francia perché ero sempre in corrispondenza col mio antico principale Sassone Battista, odiavo mio zio Sabina, odiavo il mio vicinato e volevo andar via lontano da quella gen[...]

[...]madre e le mie sorelle Maria e Carolina, che anche loro lavoravano nel buffet (che aveva preso un buon sviluppo) avevano fatto quistione con zio. Sabina, e da due giorni non erano andati nel buffet. Indagai la ragione, e mia madre era solita ingrandire le cose ed era sempre quella che inventava delle cose inutili, a volte gravi, inesistenti, e mi trascinò per qualche giorno anche a me a scioperare. Intanto per due giorni feci lo sciopero
Al
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della fame e piangevo amaramente la mia sorte, pensando che il matrimonio potesse andare a monte, e l'amare era cosí potente, balenandomi nel cervello di commettere qualche sciocchezza. Però fidavo sempre nella preghiera, e di cui non mi sono mai staccato, e nella mia vita ho trovato sempre conforto. Un giorno mia zia Angelarosa, [di] nascosto del marito Sabino, venne a trovarmi e si rammaricò per quello che era successo, e lo stato mio compassionevole e disperato. Mi mandò subito dalla trattoria da mangiare, e venne di nuovo ad assicurarsi, se io avessi mangiato, perché quasi da tre giorni [...]

[...]iamai in disparte mia zia Angelarosa, e gli dissi che quello era il momento per far dissipare ogni voce messa in giro, circa il nostro dissidio, e che lei e mia sorella Maria dovevano andare a Montefusco in occasione della festa. La zia Angelarosa, non solo acconsenti di buon grado, e disse che avrebbe convinto anche zio Sabina suo marito, ma che avrebbe portato alla fidanzata un regalo di un bracciale d'oro. Infatti il venerdì
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che precedeva la festa di domenica, zia e mia sorella Maria partirono per Montefusco, senza nessun preavviso. Lascio a voi immaginare la sorpresa e la gioia della mia fidanzata, con la zia, nel vederle arrivare: questa era per loro la conferma di quanto io gli avevo scritto, cioè l'avvenuta pacificazione. Naturalmente la gioia non era completa, perché mancavo io, però la mia mancanza . era giustificata, perché tutti in una volta non potevamo lasciare il buffet.
La mia tortura era quella di vedere la festa da Avellino e non poterci andare. Mi spiego in che modo io vedevo la festa da Avell[...]

[...] posso descrivervi l'impressione che tutti provarono, nel vedermi arrivare a quell'ora a piedi dalla stazione di Prata, e alquanto sudato. Bevetti due birre, ci godemmo i fuochi artificiaili, ed a casa ci aspettava una bella cena, residuo di un pranzo cucinato dalla zia Angelarosa, provettissima, ed espertissima nell'arte culinaria; gnocchi, carne, polli insalata, ecct., inaffiata con ottimo vino. Quale gioia fu per noi fidanzati, può descri
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verlo solo chi ha sofferto di simili mali: con grande soddisfazione dei parenti tutti, e specie dello zio Canonico, che vedevano dissipate quelle voci messe in giro da invidiosi, i. quali avrebbero visto con piacere andare in fumo questo matrimonio. La cena fini alle tre e mezzo del mattino, e dopo di aver bevuto due tazze di caffè miscelato con la cicoria (surrogato in voga e che costava due soldi il pacchetto, e il caffè puro costava, bello e tostato, 4 soldi l'oncia: come dire 3 lire e centesimi il chilo), presi commiato dal mio tesoro, distacco doloroso, ma necessario, perché ho conosciu[...]

[...]e difficoltà che nel sentiero della mia vita ho sopportato con francescana rassegnazione.
Con la speranza che il giorno tanto desiato presto si avverasse, si era arrivato al 10 gennaio del 1899, giorno che si fissò la data del matrimonio per .i'1 9 febbraio 1899. Infatti tale giorno, di giovedì, S. Sabino, partimmo da Avellino con quattro. carrozze di gala, alle ore sei del mattino, e andammo a Montefusco, ed in casa sempre di
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Don Ciccio Bocchino alle ore 10 ebbe luogo il matrimonio civile officiato personalmente dal Sindaco, e quello religioso officiato dallo zio della sposa, Canonico Recine. Cerimonia austera, bellissima, signorile, a cui intervennero le piú spiccate personalità del paese. Furono distribuiti dolci confetti e liquori, e gli onori di casa furono fatti impeccabilmente dalla signora Donna Mariannina Bocchino, nuora di Don Ciccio Bocchino e madre del Dottor Bocchino. Il cerimoniale sarebbe riuscito superiore ad ogni aspettativa, se non fosse stato funestato da un contrattempo, e cioè il mancato in[...]

[...]ostruito, forse, con le sue mani.
Dopo il pranzo, ripartirono alla volta di Montefusco, con due carrozze di gala, i parenti della sposa, ed alla sera grande trattenimento in famiglia, con qualche invitato, il Capo Stazione titolare e qualche impiegato, o amici di famiglia, si ballò fino all'una del mattino, con distribuzioni, di dolci, liquori, spumanti, tutto a profusione.
Dopo tre giorni facemmo il nostro viaggio di nozze. Incredibile ma
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vero, con lire 25, dico venticinque in tasca, oltre il biglietto AvellinoNapoliSaviano (paese di mia madre) e ritorno, naturalmente ospite di parenti. Ero tanto felice nella mia miseria.
Tornai a casa, presi il mio posto di lavoro, e che lavoro. Nessuna umiliazione, ero padrone, cameriere, sguattero, facchino, venditore di acqua ai treni ecc.: credetemi, non esagero, dalle quattro del mattino a mezzanotte. L'unico conforto era mia moglie, che passato qualche mese incominciò a coadiuvarmi, acquistando pratica, e [a] stare al banco. Eravamo tanto felici, da invidiarci vicendevolmente.
Diment[...]

[...]hi fuori dell'orbite e con una rivoltella spianata verso di me, pretendeva una mia firma ad una cambiale, che io non volevo mettere. Per fortuna mio zio fu chiamato dal Capo stazione, ché doveva pagare il canone del buffet scaduto da parecchio tempo. Spaventato presi mia moglie, e mia so rella Mariuccia e scappai in casa, col preciso proposito di non tornare mai più al buffet e piansi amaramente il mio destino. Scrissi allo zio
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Francesco Bocchino a Montefusco mettendolo al corrente, pregandolo che mi facesse un prestito di 500 lire, cosa che fece subito, rilasciandogli una cambiale firmata da me e mia moglie.
Intanto mio zio Sabino, per far fronte ai suoi impegni, precipitò la vendita del residuo di merce cristalli e porcellane, gestione tenuta con capitali suoi, e venduta da mio padre.
Intanto col prestito delle 500 lire fattemi improntare dallo zio Bocchino pensai aprire un negozio sempre di cristalli e porcellane, fiatai quel basso, dove tutt'ora esiste la trattoria di Brigida, di fronte alla ferrovia, e mi[...]

[...]arai le mie cose, e dopo due giorni arrivò il vagone di merce nuova e bellissima, malgrado la sicurezza di mio zio Sabino che io non avrei avuto mai il piacere di avere un vagone di merce con un credito (a quei tempi colossali) di lire 3.600.
Il lavoro ebbe inizio, mio padre lavorava giorno e notte per i mercati viciniori, Atripalda compreso, avrei voluto accompagnare mio padre col carretto, ma non volli farlo, non per il lavoro, né per ver
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gogna di farlo, (perché il lavoro onesto, qualunque specie di lavoro, anche umiliante non mi aveva fatto mai impressione); ma per non dare adito alle persone che mi avevano sempre invidiato, dopo il mio matrimonio, perché non potevano rendersene ragione come io ero stato capace di apparentare con una delle prime famiglie di Montefusco. Presi un garzone e lo misi al servizio di mio padre.
Si lavorava benino, e si sbarcava alla men peggio il lunario. Fu venduto primo vagone di merce, molto prima del previsto. I'l mio capitale iniziale, al netto di interessi e delle spese generali, da lire 500[...]

[...], mentre la piccola cucina fu adibita per camera da letto di mio zio e mia zia, cucina umida, che a stento conteneva i1 letto. Avevo pietà dei miei zii nel .modo come si erano potuto adattarsi, ma intanto andava in certo qual modo pareggiare il bilancio molto passivo. Quanti sacrificii, quante privazioni, è inutile descriverlo, eppure ringraziavo sempre la provvidenza. Eravamo arrivati a1 gennaio del 1903 e sembrava che le cose
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si appianavano per il meglio, ma il lato finanziario era sempre ristretto. Il 20 aprile 1903 un'altra tegola mi doveva ancora cadere sul capo. Mia moglie Vincenzina si ammalò di tifo, dibattendosi fra la vita e la morte per tre mesi. Fui costretto far venire sua zia Filomena da Montefusco, colei che per tanti anni gli aveva fatto da madre, e dovetti allontanare i bambini Amato e Sabino, inviandoli a casa di mia madre, perché il medico curante aveva proibito in modo assoluto che fossero rimasti nella medesima casa, anzi proibirono anche a me di coricarmi nel medesimo letto. Ma questo era a[...]

[...] d'infezione da riempire due catinelle. Occorsero delle forti cure ricostituenti perché cinquanta giorni dovette alimentarsi di acqua del Serino e latte d'asina. Per i cibi a lei adatti durante la convalescenza non me ne mancarono al buffet.
Fortuna, nella sfortuna, sognai un sogno, e siccome non ero stato mai amante del giuoco del lotto, giuocai quattro numeri, che non ricordo, e ne usci fuori un terno, che data la modesta giocata di 30 cen
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tesimi presi lire 275. Fu la mia salvezza: raggranellai il resto della somma, e riscattai ii pegno mettendo a posto l'oro prezioso, che avevo come un ladro prudentemente trafugato. Credetemi, non esagero, vi sono stati momenti molto umiliativi nella mia vita, ma in compenso la Provvidenza, mi ha dato come contropartita, delle grandi soddisfazioni, mi sono sempre forzato a mantenere quel prestigio che ad ogni uomo onesto s'impone, sobbarcandomi ad ogni specie di lavoro, pur di avere l'orgoglio, che col mio sudore, dovevo portare avanti la famiglia. Purtroppo però per tante difficolt[...]

[...]rio.
In quell'epoca, non so per quale ragione, ci fu una grande immigrazione, e tutte le sere arrivavano con i due ultimi treni da Napoli ventitrentaquaranta immigranti della nostra provincia, che dovevano ripartire l'indomani, e quindi costretti a mangiare, e pernottare alla stazione di Avellino. Io avvalendomi del buffet, internamente mi rimorchiavo a fila indiana quest'immigrarti, (come un facchino accaparratore) e con una
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valigia pesante li precedevo, e tutti mi seguivano attraversando la sala da pranzo del buffet, dove erano raccolti amici ferrovieri. Ed a proposito, quando mi vedevano passare, cantavano la canzone:
Ma nun songo li bellizzi
songh'e tratti ca tu tiene (I).
Li facevo sedere, ordinavo dei maccheroni, carne e vino, gli mettevo una bottiglia di vino di tre quarti per ogni persona, avendo cura di mettere ad ogni uno dei bichieri grandi, ed alle loro proteste, che il vino era troppo, una bottiglia per ciascuno, io gli rispondevo: — Si paga a consumazione —. Ma intanto, le bottiglie erano di t[...]

[...]frenatore, Pirone, cantava con una bella voce delle canzonette napoletane, e un fuochista che aveva la faccia della fame, tutti in abito borghese, con cappelli o berretti civili. Mi presentai a loro ,e dissi: — Questo è il momento di far denari, prendete i vostri strumenti, passate dal piazzale della ferrovia e entrate come suonatori ambulanti —. Al fuochista (che aveva la faccia della fa
(1) Ma non sono le bellezze, sono i modi che tu hai.
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me) gli diedi un piattino, e dopo pochi minuti entrarono chiedendo il permesso a mio zio Sabino proprietario, di suonare. Credetemi, fu un successone. Quando usci il fuochista col piattino, non lo dimentico mai, raccolse lire 41 che in quell'epoca era una forte somma. La buonanima di Vincenzina, mia moglie, e lo zio Sabino e zia Angelarosa, non potevano fare a meno di commentare le mie gioviali trovate. Quanta ero felice.
Nel gennaio del 1905 rimpatriarono dal Brasile il cognato di mio zio Sabino con la moglie e tre figli, e naturalmente si piazzarono in casa nostra a mangiare e dormire. Ne[...]

[...] stata ipotecata la dote di mia moglie Vincenzina. Ed un giorno, profittando della malattia di mio zio Sabina, gli suggerii che la questione dei parenti brasiliani si poteva risolvere nei modi seguenti: cedere a costoro la casa di quattro vani, su cui era gravata l'ipoteca, facendo passare detta ipoteca alla casa fabricata di recente alla ferrovia, naturalmente con una deliberazione del Tribunale, trattandosi di ipoteca dotale.
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Dopo numerose e difficili pratiche, ottenni tale deliberazione: fu ceduta questa casa, dando a contanti la differenza, e con sollievo mio e dello zio Sabino ci liberammo dei parenti parassiti brasiliani, i quali pensarono a vivere per conto loro. Un figlio era barbiere, una figlia sarta, la quale si sposò un sarto di Pianodardine, e dopo poco tempo uno dopo l'altro emigrarono nell'America del Nord.
I1 1906 mio Zio Sabino ebbe un forte attacco di gotta, e i medici gli consigliarono la cura di bagni caldi e stufe a Casamicciola, e per la prima volta mio zio e mia zia affidarono a me casa, [...]

[...]cartoncini il menù stampato a lettere d'oro che feci distribuire ad ogni singolo invitato.
Il pranzo fu pagato dalla società dell'impianti ad acetilene molto profumatamente; ed al cuoco e personale, delle laute mancie. A que ,st'inipianti, ne seguirono molti altri dove non vi era la luce elettrica e per conto della società, che aveva bisogno di reclame, e indirettamente me ne vantaggiai anche io: fu pubblicato in tutti i giornali di Napoli, e
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qualche giornale di Roma, l'inaugurazione e il menù del pranzo, facendo gli elogi al proprietario mio zio Sabino Tammasetta.
Comprai i diversi giornali e l'inviai a Casamicciola, e in una busta gl'inviai un cartoncino stampato in oro del menù. Sapevo, ed ero certo, dato il temperamento di mio zio analfabeta e molto vanitoso, che avrebbero fatto su lui un piacere, che mai in vita sua aveva ricevuto.
Al ritorno di mio zio e mia zia da Casamicciola, vi fu una festa in famiglia, e di me non poteva soddisfarsi di complimentarmi, ed elogiarsi. E dal giorno che tornarono mi chiamarono in dis[...]

[...] o meglio dell'avvenire dei miei due figli. Avevo trent'uno anno, con tanto lavoro di vent'anni e con figli grandicelli, non ero ancora proprietario di un pacchetto di sigarette. Avevo estinto il debito dello zio Francesco Bocchino, il residua del mio commercio delle terraglie lo avevo dato al mio povero padre, per farlo continuare a vivere, eppure ero tanto tanto felice. Ricevevo solo dei rimproveri dalla mia povera Vincenzina
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mia moglie, perché lavoravo troppo e tutte le sere mi ritiravo pieno di sudore, anche nei mesi freddi. Pensavo tra me e dicevo a me stesso: — Con questa vita che faccio, morirò presto —. Invece il destino, la Provvidenza non mi abbandonava: al momento che scrivo ho sessantasette anni, seguito a lavorare, seguito a vivere.
Intanto la salute di mio zio Sabino peggiorava giorno per giorno per la malattia di gotta che soffriva, e il 18 febbraio del 1909 morì, lasciando nel dolore la moglie zia Angelarosa, noi tutti e tutti coloro che lo avevano conosciuto, e che a tutti aveva beneficato. Eff[...]

[...]nel Salernitano. Descrivervi il lavoro per noi, giorno e notte è impossibile. Mentre il giorno si lavorava con i pranzi per gli ufficiali ininterrottamente, la notte si doveva lavorare con la truppa, fornendo vino in fiaschi e liquori. Mobilitai diversi ragazzi e, insieme a me, svegliavamo tutti i soldati, e tutti acquistavano vini, liquori e panini imbottiti. Basti dirvi che dopo un anno dalla morte di mio zio, avevo non solo pagato tutti i
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debiti, rifornito abbondantemente il buffet dai migliori salami di Modena ai formaggi di ogni specie, ai vini pregiati di Chianti, ai migliori liquori. Avevo in cassa come riserva lire 6000, somma favolosa per quei tempi, e che al momento che scrivo non si può comprare neanche un paio di scarpe modeste. Eravamo tanto felici, che abbracciavamo il lavoro a piene mani.
L'anno 1910, e precisamente nel mese di maggio, si ammalò il mio povero padre con un forte dolore nelle costale che non gli dava tregua. Fu giuocoforza trasferirlo nella casa nuova al n. 5, per non dare l'impressione che i medic[...]

[...]uomo che sopportò con tanta rassegnazione le sue sofferenze, per non arrecarmi altri Mori, tutte le volte, e dieci minuti prima di morire, alla mia domanda, come si sentisse, rispondeva: — Molto meglio, figlio mio —:
Povero padre, povera moglie! Chi può descrivervi il dolore, che cosa può essere una disgrazia simile? Perdere in ventotto giorni di distanza i due esseri più cari, la moglie di un primo amore a 38 anni, e il padre
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bello, roseo più giovane di me a 63 anni. Che anno, 1910, non l'auguro a nessun mortale nemico!
Cercai allontanare i miei figli inviandoli a Montefusco, ma dopo pochi giorni ritornarono, volevano almeno rinfrancarsi dell'affetto paterno dopo di aver perduto quello materno. Sabino si lasciò convincere andare a Solofra da un nostro compare, che eravamo legati come fratelli, ma dopo pochi giorni si ammalò di scarlattina, dibattendosi fra la vita e la morte, tenendomi nascosto ogni cosa. Una domenica volli andare a trovarlo, e quale fu la mia sorpresa vederlo seguire scalzo, con un cero acce[...]

[...]n trovava pace. Ed un giorno del mese di agosto di quell'anno venne per quattro giorni da Montefusco zio Franceschiello, il quale voleva molto bene a me ed alla buonanima di Vincenzina sua nipote carnale. E nel trattenersi con me, un giorno mi chiamò in disparte e mi disse: Caro Angiolino, tu sei giovane, dato la tua azienda, con due piccoli figli, difficilmente potrai rimanere solo, e al solo pensiero che un giorno i miei nipoti dovrebbero
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passare sotto la guida di un matrigna, e questa dovesse maltrattarli, io ne morrei di dolore. Tu devi sposare mia nipote Amelia, se lei acconsente, e se il padre Cariuccio non trovasse difficoltà. — Infatti ne parlò a lei ed al padre, e dopo avere avuto da lei il consenso, il padre rimase li per 11 perplesso, e si riservò dare qualche risposta.
La piaga del dolore era sempre ancora aperta (ed a questo proposito debbo chiedere perdono ai miei primi due figli, se mi accingevo a dare questo passo molto [in]tempestivamente, profanando così presto la memoria di colei che fu il primo amore).
Cer[...]

[...]lie assortite di kg. 10. Mi portai a Napoli e feci la prima grande commissione e cioè di kg. 5 di caffè per ogni qualità al prezzo di lire 2.40, a 2.70 il chilo, zucchero a 68 centesimi, riso a 22 centesimi, e altri articoli.
Iniziai la vendita della pasta esportazione di Gragnano a 48 centesimi al chilo, quasi a prezzo di costo, e fu tale un successone che tutti i giorni affluivano dalla città diecine e diecine di carrozzelle
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(che allora si pagava cent. 50 la corsa) e caricava ogni famiglia pasta zucchero, riso, olio, liquori, cioccolato, biscotti, sapone, ecct. Le mie previsioni, come sempre, furono superiori ad ogni mia aspettativa, non ho mai dimenticato il famoso motto Volere è Potere.
L'appetito viene mangiando, pensai di diventare grossista, mi nauseava la vendita a minuta, e mi riuscí, come in seguito vi descriverò.
Dopo 18 mesi circa di vedovanza e precisamente il 11 [corr.: 131 novembre del 1911 passai in seconde nozze, iniziando una vita molto piú lavorativa, ma piú ordinata. Feci il mio secondo vi[...]

[...]ano vuotare e selezionare quindiciventi casse, ed i tre artefici ero io, la mia povera Amelia e mio figlio Sabino, il quale fin da piccolo aveva una passione per il commercio, e di scuola era poco appassionato; figlio che in questo momento benedico e lo addito ai fratelli tutti, ai figli, ai nipoti, come esempio di lavoratore, onesto ed obbediente, mai un dispiacere, mai un rifiuto ai suoi doveri. Con questo non voglio menomare l'affetto
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loo ANGELO MUSCETTA
per gli altri figli, che per un buon padre rimane sempre uguale per tutti, anche se in momento di narrazione se ne voglia tessere qualche elogio.
Dal principio del secondo matrimonio non fu il solo negozio che fu causa della mia ascesa a gradazione, ma furono molti i sagrificii: due sole camere per dormire, una per noi ed un'altra piccola (che fu adibita dopo per salotto) per la zia Angelarosa, e i figli Amato e Sabino, e tutto il resto della casa adibita per albergo, che ci ha sempre fruttato abbastanza, oltre tre quartini al palazzo Alvino di fronte, che fittavamo, a camere mobigliate, ch[...]

[...]Durante questo periodo, la mia povera Amelia, zia Angelarosa si occupavano per la vendita a minuto perché erano diventate molto provette, ed io mi incaricavo per la vendita all'ingrosso, e per gli acquisti. La mia casa si allietò del primo figlio Carlo, poi Vincenzina che insieme a Umberto, e Mario venuti dopo, furono cresciuti su sacchi di pasta, farina, e persino nei tiretti del caffè, senza tante sottigliezze, né bambace, né
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paramenti di seta, merletti ecct., ma solamente con l'affetto materno e paterno: á. quali gioivano, lavorando e cantando. Che bei giorni felici! Si andò avanti fino al 1914, epoca che scoppiò la prima Guerra Mondiale, guerra sentita da tutto il popolo Italiano e verso la fine del 1914 e 1915 incominciò il panico, la mobilitazione generale, in seguito altri richiami ecct., tesseramento pasta, olio e zucchero. Si approssimava la chiamata di altre classi, e prevedendo anche la chiamata della mia classe mi diedi da fare, ed ottenni dall'Ente autonomo fornitore di quell'epoca (una specie di S[...]

[...]é oltre il lavoro della mia azienda già molto bene avviato, dovevo occuparmi della fornitura di quasi 600 famiglie, ed alla sera dovevo prepararmi ogni cosa, e cioè pacchi di pasta da 123 chili e così per lo zucchero. Però la sera ero aiutato dalle figlie del controllore Venturi, che eravamo più che parenti e spesse volte la sera a mezzanotte si finiva a maccheroni aglio ed olio cucinati sapientemente da mia suocera o, meglio, zia Cristina.
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Si andò avanti cosí fino al 1916, venne il richiamo di mio figlio Amato, e fu per me un grande dispiacere, sia perché esso veniva tolto dagli studii, sia perché aveva solo diciassette anni, e fino a quella età non aveva conosciuto privazione, disagi. Fu destinato al 3° Genio telegrafista con destinazione a Firenze, perché io, prevedendo il suo richiamo, gli avevo fatto apprendere in ferrovia l'esercitazione all'ufficio telegrafico. Dolorosamente la sua partenza capitò verso la fine di giugno arrivando a destinazione il 1° luglio, anniversario della morte di sua madre. E ricordo la prima lett[...]

[...] figli, di cui tre piccoli.
Andai a casa con altri otto della mia classe, di Avellino e provincia, e dopo di aver aspettato quattro ore vidi passare un Maggiore medico, mi avvicinai e dissi — Signor Maggiore, siccome siamo di Avellino, vi saremmo molto grati se ci visitaste al più presto: tanto la visita è inutile, perché se ci fondete tutti nove non riuscireste fare un soldato. — Facendo dello spirito, risultato: tutti abili.
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Comunque ebbi l'esonero, fui subito incaricato per gli acquisti. Da un mese la città era senz'olio, e in due giorni comprai ad Andria q.li 450 olio, dalla Sardegna 250 q.li di formaggio, tanto che ebbi un elogio dal Prefetto, il quale mise a mia disposizione fondi e personale. Ero soddisfatto, sia per l'esonero, che mi dava l'agio di guardare la mia azienda. La notte per me non esisteva, la passavo in treno, sui carretti, e pur di fare bella figura e in parentesi anche redditizia.
Come se non bastassero tutte le occupazioni, non tralasciavo coltivare le altre che si presentavano.
Una s[...]

[...]ndosi dal comm.re Giugliano mio amico,
e dopo l'assaggio di diversi campioni, mi disse sottovoce che era ottimo. Prima di stringere l'affare mi riservai dal compratore e dal venditore centesimi 50 per quintale per ciascuno (in quell'epoca la mediazione era di soli 25 centesimi). Conclusero il contratto alla presenza di un avvocato per 5 mila quintali di vino al prezzo di lire 12.50 per q.le, messo in una stazione della Campania in serbatoi
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del compratore. Feci inserire nel contratto la mia spettanza e la gioia di aver guadagnato in tre giorni lire 5.000 mi fece dimenticare di far inserire nel contratto che tale mediazione mi doveva essere corrisposto per tutta la merce . che oltre i 5 mila quintali avrebbe caricato. Seppi dal capostazione di Nola amico mio, che in 19 mesi questo francese aveva caricato circa 70 mila q.li di vino. Certo per tre giorni di lavoro, per aver messo in contatto due persone guadagnando lire 5.000 (che sarebbero 100 mila di oggi) é una bella somma.
Sempre in quel periodo '14'18, un mio amico da Roma [...]

[...]ai quei guadagni fatti col vino, patate o fagioli, nocciole, mele ecct. fabbricando il seguito a quello vecchio, — prevedendo la sistemazione dei primi figli Amato e Sabino, che si sposarono e furono sistemati. E nelle tre camere al primo piano del nuovo fabricato la prima fu adibita a salottino e passaggio, la seconda a camera da letto di Sabino, e la terza a camera da letto di Amato, mentre tutto il secondo piano fu esibito tutto per Albergo.
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Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Angelo Muscetta, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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