Brano: [...] subalterno ed erede putativo, anche se probabile e poi effettivo, del terribile zio dal cuore d'oro, gli fa passare ore drammatiche e umilianti, anche per il lavoro a cui è costretta la sua delicata e gentile Vincenzina. Il secondo matrimonio con una ragazza senza dote, ma (requisito importante come egli ammonisce nel corso del racconto), con molte doti di laboriosità, a cominciare dal viaggio di nozze è vissuto « con più agiatezza ». E poi zia Angela Rosa (l'affettuosa vedova di zio Sabina) e la cara Amelia diventano
provette » commercianti accanto a lui, in un'azienda ormai tutta sua, che prospera a gonfie vele. Il senso di questo ritmo narrativo si manifesta anche nell'iterazione di frasi epiche (« eravamo tanto felici da invidiarci vicendevolmente », dice della prima moglie) opportunamente variate (« eravamo tanto felici, che abbracciavamo il lavoro a pieni mani », dice di mia madre). Lo stesso si può osservare per le due traversate NapoliMarsiglia e viceversa, entro le quali son comprese le pagine più riuscite di questo racconto, dove l'a[...]
[...]i ogni altro vien fuori il carattere dello zio Sabino, singolare tipo di borghese velleitario, che vorrebbe fare affari solo per far credito ai clienti ferrovieri della sua trattoria, ma che fallirebbe senza l'aiuto di Angelina, oggetto del suo amoreinvidia, delle sue gratuite sopraffazioni di autoritario inconcludente « con gli occhi fuori delle orbite » e perfino « la pistola in pugno »; ma che infine si arrende alle intercessioni della moglie Angela Rosa e al nipote. Il quale diventa suo erede universale, anche perché non ha le sue vanità, non confonde la beneficenza col commercio, riesce a conciliare i suoi affari con i suoi affetti, conoscendo l'arte di tramutare in beni mobili ed immobili i beni che ha avuto in dono dalla sorte, o (se Si vuole) dal buon impasto che riuscirono a mettere insieme il padre e la madre. Forse le fate, come nel celebre poemetto in prosa di Baudelaire, a questi due bottegai chiesero quale dono preferissero quando gli nacque Angelino. Ma poiché erano borghesi veri (e non fantocci polemici di un populismo quarantott[...]
[...]CIANTE 51
C'è un a ricco vulgo » (come lo chiamava Foscolo), che ha sepoltura, prima di morire, nella sua stessa miserabile banalità. Angelo Muscetta nelle sue memorie vive ancora, ricco della sua raggiante felicità di vivere. E non so di quanti letterati o senza lettere, borghesi o proletari, un figlio possa scrivere quel che si legge sulla sua tomba, dove egli riposa accanto alle donne che amò, e ai suoi genitori, e allo zio Sabino e alla zia Angela Rosa, e al Capo Treno e a nonna Cristina. Tutta gente per la quale l'« onestà animosa» (qualità essenziale di mio padre, ricordata nell'epigrafe) era una virtù, mentre i miracoli economici son riserbati a certa borghesia del nostro tempo, agli strateghi del parassitismo, agli eroi delle cambiali.
CARLO MUSCETTA