Brano: [...]lche energico provvedimento di fronte al l’audacia provocatrice dei fasci dei lavoratori ».
L’ammirazione per Crispi non gli impedì comunque (dopo Adua) di abbandonarlo, fino a scontrarsi con la regina che avrebbe voluto proclamare lo stato d’assedio e continuare la guerra in Africa. Con più prudenza, Umberto invece nominò presidente del Consiglio il Rudinì (che era contrario a ogni avventura coloniale), dimostrando con ciò di tenere alla salvaguardia della monarchia, il cui prestigio era uscito assai compromesso dalla provata incapacità dell’apparato militare.
La strage di Milano
L’incoerenza, l’incapacità di dominare gli eventi, la mancanza di una strategia che tenesse conto del nuovo blocco storico tra borghesia industriale e movimento operaio settentrionale che andava determinandosi nel paese, spinsero Umberto I su posizioni ondeggianti tra liberalismo e reazione, tra rispetto delle regole democratiche e velleità di potere personale, fino a osteggiare un ridimensionamento delle spese militari e a logorare l’iniziativa del Rudinì, spianando la strada al ministero Pelloux e ai decreti liberticidi. In questo clima, reso più preoccupante e confuso dai fat[...]
[...]settentrionale che andava determinandosi nel paese, spinsero Umberto I su posizioni ondeggianti tra liberalismo e reazione, tra rispetto delle regole democratiche e velleità di potere personale, fino a osteggiare un ridimensionamento delle spese militari e a logorare l’iniziativa del Rudinì, spianando la strada al ministero Pelloux e ai decreti liberticidi. In questo clima, reso più preoccupante e confuso dai fatti di Milano (69.9.1898) e dal dilagare della protesta popolare per il rincaro del pane, Umberto I si mosse tra sollecitazioni diverse e contrap
poste che ne evidenziavano tutti i limiti politici e il disorientamento, essendo combattuto tra la preoccupazione per le vittime e la solidarietà con il generale Bava Beccaris che aveva fatto prendere a cannonate la folla inerme dei manifestanti milanesi (v. Eccidi in Italia).
il mito del “re buono"
Come sovrano, commise poi l’imperdonabile imprudenza, di cui non valutò tutte le conseguenze, di decorare il sanguinario generale con la croce di grand’ufficiale dell’ordine militar[...]
[...] allo Statuto », cioè limitando i poteri del Parlamento e rafforzando le prerogative reali) e ora pensando a una soluzione di tipo tedesco, con l’instaurazione di un regime personale e del cancellierato. Questi progetti comunque emersero attraverso fasi ben precise che portarono alle dimissioni di Rudinì (giugno 1898) e alla nomina di Pelloux, alle leggi eccezionali (febbraio 1899), alla riforma autoritaria del regolamento della Camera, alla battaglia ostruzionistica dei partiti popolari e infine alla sconfitta elettorale del blocco reazionario (giugno 1900).
In definitiva, nella crisi di fine secolo il re non seppe decidersi coerentemente tra un sistema all'inglese, strettamente parlamentare, e quello tedesco extraparlamentare: un comportamento che alla fine contribuì ad « assommare contro l'istituto monarchico i danni delle due possibili alternative: un risultato che suona condanna delle capacità politiche di Umberto » (U. Alfassio Grimaldi). Le inclinazioni quantomeno assai poco democratiche dei Savoia erano state certificate.
[...]
[...]ografia: C. Rinaudo, Umberto I di Savoia re d'Italia, Torino, 1900; E. Pedrottl, Umberto
I re d'Italia, Napoli, 1900; A. Comandinl, Il regno d'Umberto I (18781900). Storia e critica, Milano, 1900; U. Pesci, Il re martire: La vita e il regno di Umberto I, Bologna, 1901; Lettere di Umberto I re d'Italia riunite, annotate e precedute da uno studio critico biografico di E.E. Ximenes, Cremona, 1904; A. Labriola, Storia di dieci anni, Milano, 1910; A.G. Guerra, Umberto I, Torino, 1935; A. Amante, “Umberto I”, in Un secolo di regno. L'unità nazionale, Bologna, 1959, pp. 33371;
D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma, 1962; U. Alfassio Grimaldi,
II re "buono”, Milano, 1970; A. Guccioli, Diario di un conservatore, Roma, 1973; U. Levra,
Il colpo di stato della borghesia. La crisi politica di fine secolo in Italia; 18961900, Milano, 1975; G. Artieri, Cronaca del Regno d'Italia, Voi. I. Da Porta Pia all'interventò, Milano, 1977; R. Brancalini. La Regina Margherita, Milano, 1983.
E.Tor.
// regicidio
Emblematic[...]
[...]li, Roma, 1962; U. Alfassio Grimaldi,
II re "buono”, Milano, 1970; A. Guccioli, Diario di un conservatore, Roma, 1973; U. Levra,
Il colpo di stato della borghesia. La crisi politica di fine secolo in Italia; 18961900, Milano, 1975; G. Artieri, Cronaca del Regno d'Italia, Voi. I. Da Porta Pia all'interventò, Milano, 1977; R. Brancalini. La Regina Margherita, Milano, 1983.
E.Tor.
// regicidio
Emblematicamente speculare alla falsa immagine del “re buono” fu quella creata per il suo uccisore, dipinto come un assassino fanatico, pazzoide e infine suicida. Ma la storia ha fatto giustizia di entrambe le mistificazioni e mentre oggi Umberto I, pur essendo presente con il suo nome in tante vie e piazze italiane, viene ricordato quasi esclusivamente per la sua morte, l'operaio Gaetano Bresci è rimasto nella memoria popolare come un coraggioso e coerente giustiziere. Trentunenne, originario di Coiano (Castelfiorentino), Bresci era stato costretto a emigrare in America, come tanti suoi compagni, per trovare un lavoro. Occupato in una fabbrica tessile di Paterson (New Jersey), iscritto al circolo anarchico Società per il diritto all'esistenza, alla notizia della strage compiuta dal Bava Beccaris a Milano e deM’encomio solenne tributatogli dal re, aveva deciso di vendicare le vittime. Senza chiedere aiuti a nessuno, aveva acquistato l’arma, si era portato in Italia e, con accuratissima preparazione, aveva portato a termine la missione che si era proposto.
« Non ho ucciso Umberto. Ho ucciso un re. Ho ucciso un principio », così egli rispose calmo, davanti alla folla inferocita che stava per linciarlo. E in tribunale ribadì le proprie motivazioni ideali.
Condannato al carcere a vita (con 7 anni di segregazione cellulare), dichiarò: « Non farò ricorso, l[...]
[...], davanti alla folla inferocita che stava per linciarlo. E in tribunale ribadì le proprie motivazioni ideali.
Condannato al carcere a vita (con 7 anni di segregazione cellulare), dichiarò: « Non farò ricorso, lo mi appello soltanto alla prossima rivoluzione! ».
Recluso in una speciale cella del carcere di Santo Stefano a Ventatene, vi fu trovato morto pochi mesi dopo (22.5.1901). La versione ufficiale fu di « suicidio », ma nulla potè suffragarla. Più attendibile è l’ipotesi che Bresci sia stato ucciso dai suoi carcerieri per togliere di mezzo un personaggio diventato punto di riferimento di numerose organizzazioni popolari.
A! l'indomani del l’attentato gli anarchici avevano telegrafato dagli Stati Uniti: « Noi esultiamo per la morte massacratore del popolo stop Hurrà per il compagno Bresci ».
Nel 1984 l'amministrazione comunale di Carrara ha deciso (a maggioranza) di erigere un monumento per ricordare l’anarchico caduto. Contro tale decisione sono intervenuti
i monarchici italiani con il sostegno della magistratura.
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