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Poche parole di un [...]. Vive in una scatola [...] e lacero, vicino al Colosseo. Così riassume, con spa-valda [...] della propria vita, come parlasse di [...] vita immaginaria, tra cinema [...]. [...] della stazione Cen-trale, a Milano, [...] notte, un uomo, probabilmente poco più di [...]. Con grande rispet-to per [...] e per [...] stende un materasso a [...] alcuni cartoni per isolarsi meglio. Le coperte sono ri-piegate [...] cuscino è rigon-fio. [...] visto una volta mentre si [...] sotto le coperte, indossava ancora una pesante cappotto grigio [...] si calcava sulla testa un berretto di lana. Si guardava attorno con [...]. Poi si girava [...] parte e co-minciava il suo [...]. [...] rivisto giorni dopo e dormiva [...] stessa posizione. Un miracolo perché i [...] polizia lo avrebbero potuto cacciare in qualsiasi [...]. Mi sono chiesto perché [...] camera da letto proprio [...] principale [...] fermata dei taxi, tra [...]. In piedi, accanto a [...] vicino a una edicola di [...] Monte Rosa, [...] sempre lui, come dire, un [...] grasso e piccolo, più largo che alto. Mi pare che indossi in [...] sopra più strati di indumenti, giac-che, maglioni. Sulla panchina siste-ma le sue [...] di plastica [...] con i manici annodati, perché [...] si perda nul-la. Spezza il pane secco [...] che sono una nuvola nera ferma [...]. Ogni [...] della linea rossa della metro-politana, [...] Molino Dorino, sale un ragazzo. Indossa una giacca a [...] ha sempre uno zainet-to [...]. Chiede [...] tra una fermata [...]. Quando ha fi-nito cambia [...]. Continua nella questua. Si trascina curvo. Ra-re volte ho visto un [...] estrarre [...]. Quella dei barboni o [...] dimora o degli homeless, come si dice [...] Stati Uniti, è probabil-mente una condizione antica e pro-babilmente [...]. Appartiene ai paesi del [...] più solido e diffuso e [...] quelli dai più in-tensi contrasti [...] non contasse e il clochard [...] una condizione [...] «Per me è come una [...] se [...]. [...] Usa, gli homeless erano [...] i seicentomila nel 1988, se-condo una stima [...] quasi ottocentomila nel 1996, ma secondo la [...] circa quattro milioni le perso-ne che hanno [...] tratto almeno della loro vita la con-dizione [...]. Svanisce la fi-gura un [...] accovacciato sotto un ponte davan-ti a un [...] qualche tronchetto di legna emana fiamme e [...] alla Roth (e poi alla Olmi) della [...] consunto dal vino ma [...] sacrifi-cio. E neppure regge nel [...] metafora fantastica di Terry Gillian che ne [...] re [...] chiama gli «scarti di [...] «semafori morali» per passanti frettolosi, ri-scattando il [...] fronte alla impossibilità del miraco-lo rigeneratore e [...]. Le immagini romantiche sono [...]. Il barbone vive una [...] intanto per sopravvivere, per fuggire il freddo, [...] aggressioni dei nazi-skin. Ma non ha scelto [...]. Cade in quella dolorosa [...] delusioni affettive (stati-sticamente è il quaranta per [...] la fine di un rapporto con i [...] coniuge, con i figli. Molti sono ex [...] o alcolisti, cacciati dalle famiglie. [...] an-ni di reclusione in una [...] tante «istituzioni [...] carcere piutto-sto [...]. Mol-ti hanno soltanto perso [...] sono stati sfrattati da casa. Tra i senza fissa [...] su tre si lascia alle spalle [...] della prostituzione (e spesso [...]. Nella spiegazione si può [...] scuola: il fallimento scolastico è il primo [...] stare al passo, riconoscere la propria esclu-sione. Il ragazzo della metropolitana dà [...] conto di una trasformazio-ne. [...] tra i quaranta e i [...] a Roma sono più [...]. Potrebbero diveni-re molto più [...] calcola che siano centomila le per-sone che [...] della po-vertà estrema rischiando di finire oltre [...] mondo normale. Nove milioni sono gli [...] di parziale indigenza. Giovani però, sempre più [...]. Oggi [...] media dei senza fissa di-mora [...] tra i trenta e [...] entro il duemila sarà al [...] sotto dei venti anni. Il paesaggio futuro po-trebbe [...] con-temporaneo di tanti paesi del [...] migliaia di giovani e [...] margini della [...] società civile, del mondo [...] per quanto largo, dei ricchi. Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità [...] Capodarco e pre-sidente del Coordinamento nazio-nale delle Comunità [...] in meno conto le condi-zioni materiali. Non è [...] casa, non è la [...] la difficoltà nasce dalla interruzione delle relazioni, [...] propria solitudine: «Ciascuno di noi vive in [...] relazioni, anche chi dice di vivere solo [...] che possono essere inten-se, quando il collegamento [...] traumaticamente, quando [...]. [...] molto comune [...] dei barboni, una storia di [...] abbandoni: la famiglia, gli amici, la casa, il lavoro, [...] stesse associazioni che assistono. Ogni stanza, una do-po [...] chiude. Quando sei fuo-ri, il [...]. Vengono a consumarsi le [...] gradini più bassi: ad esempio può non [...] si può trovare di che vestirsi, più [...] lavare. Eppure la pulizia personale [...] conquista per il riconosci-mento di se stessi [...] riaffac-ciarsi alla società senza il timore di [...]. Come sopravvivono i «senza [...] La [...] (il 43 per cento) chiedendo [...] o ru-bando, molti altri [...] cento) con [...] agli enti di assistenza. Ma [...] di [...] sociale e [...] chi vive di tutto que-sto [...] di un lavoro saltuario, ovvia-mente in nero, senza regole [...] senza garanzie. Molti senza fissa dimora [...] perché inva-lidi fisici o psichici. Invece a una oc-cupazione [...] minori difficoltà [...] che è il più [...] homeless, povero e basta, che vive questa [...] momento di passaggio dalla clandestinità alla integrazio-ne. [...] senza una carta [...] precipita in [...] gliela possono rubare, così non [...] chiedere [...] medica di base, non può [...] la pensione sociale, non può pre-sentare [...] civile. Una nuova carta [...] gli è proibita: non ha [...] casa e per la legge italiana senza residenza [...]. Gli anni venti americani [...] gloriosa degli homeless che [...] Anderson raccontò in un [...] (pubblicato nel 1923), che ripercor-re in alcuni [...] au-tobiografica de [...] di Jack London insieme [...] alla Steinbeck di [...] (an-che nel film che [...] John Ford). [...] mol-to chiaro. Le migliaia di diseredati [...] a [...] il quartiere alle porte [...] Chicago, [...] degli [...] perché [...] Stati [...] una forza lavoro di [...] «Le [...] stagionali, i cicli economici, [...] di periodi di occupazione [...] del si-stema delle imprese, [...] grande esercito industriale di riserva di senzacasa, [...] periodi di occupazione stagnan-te, come [...] si concentrano nei nodi [...] le nostre più grandi città. [...] è indispensabile [...] or-ganizzazione industriale fondata [...]. Nessuno penserebbe oggi agli [...] un «esercito di riser-va». La distanza tra le [...] e i quartieri «al-ti» si è allungata [...] degli [...] della società moderna. Ne vive e ne [...] patologie, è un mondo a parte verso [...] esercita il volontariato, che ha un nome, [...] Gruppo Abele di Torino al Banco Alimentare di Monza, [...] San Francesco di Milano, e che chiede esperienza: «Chi [...] mondi -spiega Vinicio Albanesi -senza conoscen-za rischia [...] danni. Una [...] percorrere la [...] è [...] di giorno e di notte, [...] in-verno e in estate». Il mondo dei sen-za [...] ancora Vinicio Albanesi, esprime una condizione limite, [...]. Dai margini del-la società [...] complessità ineluttabile, che mette alla prova il [...]. Racconta Antonio, ex marinaio [...] Livorno: «Non la posso cambiare la vita. Il destino è questo. Siamo quelle persone, tipo Garibaldi, [...] nati con questo dono ad-dosso. Abbiamo dentro di noi [...]. Barboni Un letto curato [...] La lunga notte a Milano con il [...] ORESTE PIVETTA Il racconto Dalle violenze infantili, [...] dalla famiglia, alla droga. Poi la scelta di [...] «Barbona? È un complimento: io amo la strada» La [...] pubblichia-mo è di Antonella, «senza fissa di-mora» [...] una baracca del Tufello, a Roma. È tra le tante [...] Mirella Fulvi, con la collaborazione di Francesco [...] ha raccolto per la [...] «Camminare [...] mondo» che va in onda su Radio Uno [...] e che in venti pun-tate (fino a [...] la vita dei barboni. Aspetto il mio secondo [...] mesi e mezzo e sono stati quattro [...] ma anche di gioia e di felicità [...]. Non sono sposata. Sono stata sposata due [...] accompagnata con il papà dei miei bimbi. Non ho più intenzio-ne [...] sembra che porto sfortuna agli uomini. Il primo è morto [...] il matrimonio. E con il secondo [...]. Sono stata per quindici [...] sono sta-ta in ospedale psichiatrico per la [...]. Vorrei dire ai ragazzi [...] che è neces-sario tornare alla vita, perché [...] effetto di droghe va-rie pensiamo di essere [...] questa la vera libertà. La vera li-bertà è [...] altri, ma se non amiamo noi stessi [...] nessuno. Io mi sono fatta [...] e eroina. [...] ha una crisi di astinenza [...] più lunga di quella [...] e si viene spinti anche [...] prassi terapeutica a continuare a bere. Avevo il deli-rium tremens, [...]. Mi bastava pochissimo alcol [...] passasse. Quando dovevano nascere i [...] di smettere ed era una decisione totale, [...]. Ho sofferto per questo [...]. O subito o non lo [...] mai, mi di-cevo. Ho avuto otto gravidanze. Tre portate a termine [...] por-tare a termine anche la quarta. [...] una mia amica che [...] essere mamma fosse un lavoro pagato, io [...] più pa-gata a Roma. /// [...] /// Ho dei rapporti con [...] stupendi. Purtroppo ho un picco-lo [...] ad accet-tare al cento per cento i [...] ho subìto diverse violenze carnali. Per raccontare una vita biso-gnerebbe [...]. Sono stata una bambina pur-troppo [...] voluta da una metà della mia famiglia. Mia madre non voleva [...]. Forse anche per questo, [...] figlie femmine. Sono nata a Brescia [...] il mese in cui secondo me dovrebbero [...] desiderati, il mese più gioioso che esiste [...]. Ho frequen-tato la scuola [...] me-dia, sognando di diventare un neurochirurgo infantile. Mio pa-dre è stato [...] Belgio, è ritornato a casa con un [...] di sol-di. [...] in Italia faceva lo squadra-tore [...] marmo, ma non era il pa-pà che dava [...] borghese alla famiglia. Mia madre era una [...] lavorava in risto-ranti dove guadagna-va anche quattro [...] mese. Mio padre per quanto riguarda [...] carattere era di una femminilità stupen-da, di una dolcezza [...]. Mia ma-dre era chiamata [...]. Mio fratello mi chiese [...] a prendere la ruota [...] in cantina. Io andai in cantina [...] ragazzi che mi usarono come un tappetino. Non riesco a [...] bene. Mi aspettavo che ci [...] violenze, non le ho mai de-nunciate perché [...] fu denunciata. Mancava qualche mese agli [...]. Quando entrai in analisi [...] di mio padre scoprii che me lo [...] di [...] e quando ho scoperto [...] la denunciai. Mi ricordo il nome [...] che si chiama Omar. È scap-pato e io non [...] mai avuto giu-stizia, non ho più avuto giustizia e [...] chiederò mai più giustizia. Avevo diciotto anni. Amo talmente la strada [...] farmi sentire male mi dicono «barbona» io [...] impiegato. Sono di ideologia anarchica, [...] caos come tutti pensa-no, è rispetto, è [...] è stare vicini a chi ha meno, [...] ha meno, non guardare se sono puzzolenti, [...] a credere in se [...] io non ci cre-do. La tossicodipendenza è stata una [...] del mio uscire di casa. Avevo paura, ero sola, non [...] mai stata lontana più di cento metri da mio [...] o da mio fratello o da una sorella o [...] una nonna. Per cui il primo [...] gestire la strada. Io non sono andata [...] so-no stata cacciata, mi sentivo come una [...] un vaso e buttata per ter-ra senza [...] sen-za più niente a cui ap-partenere. /// [...] /// Non sapevo che era-no [...]. Ero terrorizzata dalle iniezioni, [...] a bu-carmi e io per un an-no [...] donna di servizio, pagata con [...]. La cicatrice che por-to [...] un segno della mia vita di eroinomane, [...] un ragazzo che si bucava rubai [...] a una organizza-zione siciliana, [...]. La mattina esco, vado [...] colletta, qualche volta mi capita di fare [...] lettura, per-ché ho scritto delle poesie che [...]. Allora fanno la colletta [...] me, non ho bisogno di uscire il [...] molto volentieri con mia fi-glia. Alle quattro e mezza o [...] a [...] io [...] cosa che mi fa ridere [...] domi-ciliare. Ci sono gli anziani [...] domiciliare e non gliela [...] richiesta e invece me [...] gra-zie alla denuncia della mia vicina di [...] decreto che dice che ho abbandonato mia [...] le ho dato da mangiare, che la [...] cose [...]. Penso che il mio [...] il marchio che mi de-vo portare sempre [...]. Non [...] redenzione, non [...]. Sono carcerata a vita e [...] mio fine pena non sarà mai mai mai . Non ho desideri particolari. Mio marito mi dice [...] così poche necessità che non mi accorgo [...] manca. Per i miei figli [...] vorrei solo cambiare la gente che ci [...] la vita dei miei figli non venisse [...] dagli assistenti sociali, né dai vicini di [...] politici né da nessu-no». /// [...] /// Per i miei figli [...] vorrei solo cambiare la gente che ci [...] la vita dei miei figli non venisse [...] dagli assistenti sociali, né dai vicini di [...] politici né da nessu-no». (0)
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