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Sulle vie consolari e [...] della cintura vesuviana Nel nono giorno di [...] è azzannato, divorato dalle fiamme: sembra un [...]. Precipito con [...] nello sgarro del Lazio: [...] Genzano, [...] si affaccia sul lago di Nemi e [...] Nemi ap-pare come un [...] con la soldataglia armata [...] lance, e con il lago che è [...] e il paesino tirato a lucido con [...] di bosco e fragole con panna, e [...] Lanuvio: che prima che ci arrivo scoppia [...] mondo. Ecco infatti le gocce [...] e alla mia sinistra la campagna che [...] Aprilia e puntando meglio gli occhi: [...] pontino e Latina e [...] i monti Lepini e in fondo il Tempio [...] Gio-ve (Terracina) e il promontorio del Circeo: famoso [...]. Ogni cosa ribolle, come [...] in questo dito mozzo di luglio. Sulla strada, che taglia [...] con a de-stra [...] maschione monte selvaggio, la [...] e canne e querce e pini e [...] e un ciliegio e cipressi, sembra una [...] sfuma-tura alta, argentea, soprattutto per le foglie [...] il vento li fa fibrillare. È un giorno [...] tempesto-sa, oggi, fortunatamente. Qualcu-no, da [...] in corsa, grida non so [...] cosa. Le automobili corro-no verso [...] Los Angeles di nani e [...] mentre le nuvole ne-re [...] divertono al gioco della dama. In questa contrada bassa, [...] palude, dove ora mi ri-trovo, i tralicci [...] la parte degli spaventapas-seri proprio quando un [...] il vento, sulla strada di-rezione Aprilia, con [...] un filo spinato che nessun guasta-tore riuscirebbe [...] fret-ta. [...] anche il treno [...] che mi taglia in [...] muto mi suggerisco: La salute! Poi mi accorgo che [...] e le colline so-no [...]. E il cielo ha [...] e la strada statale 148, universalmente nota [...] Pontina, [...] prende [...] parte, dove ora, in [...] precisamente, hanno co-struito un [...] dove nel Ventennio avrebbero voluto co-struire un [...] Fiumici-no. Così [...] oltre al carcere ci [...] al pascolo e una torre bianca con [...] che domina i vigneti. E la strada a [...]. E il poligono di [...] spari la smettono sola-mente di notte. Ebbene quando entro ad Apri-lia [...] Arrivano i banditi! Ora Aprilia è una [...] le case basse e i funghi di [...] piovana, con le casette tinteggiate di fresco [...] nuova di zecca; ma non è più, [...] il ricovero remoto del [...]. O il luogo che [...] non è campagna, non è periferia. E che era invece [...] carta, tre bicchieri, due piatti di trattoria, [...] alla finestra. Oggi i ragazzini vanno [...] la testa rasata e i ragazzi con [...] alla [...] tutti che si intruppano [...] vespine di ferro. E il gelato a [...] (caffè, cioccolato, amarena e [...] lo posso lec-care, perché la gelaterie è [...]. E la tempesta frigge [...] di più, perché le stagioni, ora-mai, sono [...] pal-lottole. Alla fine, impazzito da [...] palazzi e da queste mac-chine che non [...] ne-gozi sono chiusi come il cielo, cambio [...]. Sulla [...] i platani sono piccoli [...] Campo [...] Carne e la ne-gra fa lo stop [...] attraversa, senza strisce pedonali, come un africano. Poi si incontrano le [...] luo-ghi che mi appresto a trascrivere: lavori [...] Lido dei pini; or-tensia lilla; stazione di Lavinio; [...] morto; cane sgangherato; alligatore di plastica attaccato [...] un al-bero; farmacia; petunia quasi ros-sa; [...] puttana; bicicletta ab-bandonata; autosalone; [...] cavalcavia; semaforo; via Botticelli; [...] quale ri-fanno il tetto; bandierine; murato-re; cellulare; [...]. E più [...] Anzio che odo-ra di guerra. E più giù Nettuno: [...] imbalsamato di Maria Go-retti. Cambio nuovamente strada. /// [...] /// Questa è una arteria [...] come la via Ap-pia che corre parallela. [...] infatti, trafigge il cuore, [...] dei folletti che sono so-pravvissuti agli esseri [...] palude. E i pini che [...] sono antichissimi e carichi di ferite e [...]. Eppoi [...] torce a sinistra, immediatamente, [...] viscere del sud: mare di vetro fuso, [...] Gaeta la borboni-ca. Invece la Pontina ama le [...] certo costeggia il parco del Cir-ceo, ma è [...] cosa. E i pini so-no [...] corti di memoria. /// [...] /// Normale mare in tempesta. Litri e litri e [...]. [...] neri e bianchi che non [...] sono. /// [...] /// Vela che si inabisserà. Il promon-torio invece è [...] lo abita. Tento di [...] con [...] strabico, altrimenti mi risuc-chia. /// [...] /// E un indiano sdraiato. La tempesta non si [...]. E le dune cancelleranno [...] la strada, lasciando accesa la so-la luce [...]. Ma scap-po ancora. /// [...] /// Ho nostalgia della Madonna, [...] Santa Maria della Cima, che si nasconde [...] degli alabastri di Casa-mari; [...] di capelli e gocce di sangue. /// [...] /// O proseguo in [...] Quando [...] Latina le gru, dei cantieri edili, hanno vinto [...]. E il cielo è di [...] rosa cipria. Le nuvole, pur avendo [...] non hanno nulla a che spartire con [...] uma-ni. Al limite esse sembrano [...] dunque hanno sem-pre a che fare con [...]. A [...] comunque, le immagini di cui [...] abusano sono: porcelloni, di-schi volanti, barbe, ali marmoree [...]. E infine [...] una nuvola che rassomiglia a Eolo. Re dei ven-ti. BASSO LAZIO Statale 148 [...] Aurelio Picca: giovinezza di fronte alla sconfitta Aurelio Picca [...] affermato con [...] di maturità», pubblicato da Giunti [...] fotografia di vita scolastica intessuta di autobiografismi, [...] ironico, fino allo sberleffo. Di recente ancora Giunti [...] «I mulatti», un romanzo in realtà precedente a [...] di maturità». E di struttura e [...]. Il romanzo di apre [...] «Gli uomini usano la crudeltà per cercare [...] Picca [...] il sentiero impervio posto da questo interrogativo, [...] manipolo di giovani [...] narrante, i suoi amici Gianni [...] Alfredo, la ragazza Mara), giovani senza giovinezza e [...] appunto come «mulatti» violentatori, cercando il nesso [...] loro incoerente brutalità e la loro sofferenza. Il linguaggio cerca spazio [...] corretto che piaga i giovani trasgressivi o [...] novanta, senza alcunchè di fastidiosamente sperimentale. AURELIO PICCA Pellestrina OTTAVIANO Bruno Arpaia: [...] napoletano tra il Messico e le [...] Che ci sei nato [...] un paese, se poi, quando ci tor-ni, [...] giro e non vedi nemmeno uno straccio [...] un comune e [...] Da Napoli a Ottaviano, [...] in là, fino a Terzigno e a Sarno, [...] strada che alle spalle del Vesuvio costeggia [...] Somma, ormai ci sono quasi solo case. Case bas-se e palazzi, [...] ve-nute su in fretta e nemmeno into-nacate, [...] di tufo ad asciugare [...] come panni ste-si. Qua e là capannoni [...] del terre-moto. Lo chiamano «degrado», ma [...] parola, buona per tutti gli usi. Per chi ci è [...] inve-ce, è una specie di imprinting, un [...] impari a ri-conoscere soltanto quando te ne [...]. Adesso, te ne accorgi: [...] strade dis-sestate, nei cornicioni pericolan-ti, nelle viuzze [...] fi-le di palazzi in bilico, nei cortili [...] punto di tra-sformarsi in paludi alle prime [...] negli sterpi e nelle erbacce che aggrediscono [...] e le scale delle case. Peggio ancora: nella volgarità invadente [...] una ricchezza gua-dagnata male. Ma un tempo, al-meno, [...] e ti potevi rotolare giù dalle scarpate [...] nespole [...]. Oggi, nemmeno quella. Anche la strada nuova, che [...] evitarti di passare in mezzo a quel delirio, da [...] finisce [...] aspetta [...] ai bordi di un viadot-to [...] non è stato ancora co-struito. Ti consola soltanto, nelle [...] panorama degli Ap-pennini oltre la piana di Pomi-gliano [...] Nola; a destra, invece, il monte Somma: dopo [...] ci si arrampicano in corda-ta, se fingi [...] la di-scarica tra Ottaviano e Somma Vesuviana, [...] di robinie, [...] sulla ter-ra nera, lavica, [...] sole pare ancora calda [...] eruzione di lapilli. Ma bisogna [...] da lon-tano, il panorama, [...] da cui guardare in pro-spettiva. Se no, non te [...]. Appena ti ci cali [...] paesaggio, ecco di nuovo le strade rognose [...] bu-che e avvallamenti, i marciapie-di sconnessi, gli [...] le aiuole spelacchiate di paesi che sono [...] su-burbio sconfinato. Hanno perso tutti i vantaggi [...] campagna senza [...] in cambio nemmeno uno della [...] solo macchine in co-da, negozi pretenziosi al posto di [...] magari con [...] luminosa su cui leggi, [...] con tanto di [...] e [...] da periferia mancata, da sobborgo [...] una città lontana, [...] inventata. Viene in mente la [...] film di Giuseppe Tornatore, con [...] piazza stremata di automobili, [...] marciapiede: lo shock di chi è partito [...]. È la moder-nità, mi [...] che adeguarsi. Ma il nostro Sud [...] uguale, a tutti i Sud del mondo. O forse è il [...] diventato un solo grande Sud? La storia [...]. Uno va via più [...] sente che lì la vita si è [...]. Poi qualche volta torna, [...] amici e chiede: «Come va?». Ti rispondono: «Bene. O vuoi che sul [...]. Sei stato via due, [...] e già hai saltato il giro delle [...] conosce, i giovani nei bar non sono [...] cambiano faccia i luo-ghi. Guardi e riguardi, prendendo [...] la memoria, e a stento riconosci il [...] dove, da ragazzino, hai fat-to in tempo [...] Il dottor [...] in sesta o settima [...]. Invece in giro, se [...] noti fugaci apparizioni di polacchi e di [...]. Sono arriva-ti [...] a migliaia, dormono in [...] in una sola stanza, e per il [...] nero, [...] nelle piccole fabbri-che di [...] camicie, nei sottoscala dei grandi commer-cianti. E intanto, a mezzogiorno, [...] lato della piazza, vedi i disoccupati. Uno ogni due ragazzi, [...]. [...] chi si arrangia con [...] in famiglia, e questo è ancora preferibile [...]. Lo scriveva di Piadena, John Berger, [...] credo valga anche per Ottaviano o Gela, [...] città bastardo posto»: «I giovani, [...] aspettano i mo-menti in [...] conta qual-che cosa. Quando poi arrivano, questi [...] fretta. Do-po, niente è più [...] e si mettono [...] volta ad aspettare». Non è che prima [...]. Però il filo dei [...] tanto appiccicoso, sospeso a un nulla così [...]. /// [...] /// Sarà [...] è passato il terremoto, sarà [...] la camorra che ha spazzolato tutto, sarà perché negli [...] Ottanta, se Mi-lano era una città da bere, an-che [...] queste parti non scherza-vano. Per questo, quando torni, [...] farti sentire uno stra-niero solo la tua [...] della memoria, dal basso in alto, dalla [...] lungo stradine appese per cui non hai [...]. Sono sempre le stesse, [...] sempre hanno a che fa-re con i [...] morti: vai al cimi-tero, a chiacchierare muto [...] di tuo padre; nel centro antico, attorno [...] al vicolo dove sei na-to [...] fa; davanti a quel [...] il tuo amico consigliere co-munale; in cima [...] mezzo alle felci, ai noccioli e alle [...] strada muore. Uno slargo, si gira [...] cavallo e si discende ammiran-do la piana [...] Nocerino [...] si offre allo sguardo, se non ha [...]. Però ti fanno male, le [...]. Sono parenti a un [...] che va e viene, aggrappato ai più [...] che non hanno bisogno di [...] per tornare improvvi-si dal [...]. E allora, da lontano, [...] Milano in un reticolo piatto, or-dinato, cartesiano, di [...] semafori, vivi come se fossi sem-pre in [...] tuoi spiccioli di mondo. Finché capisci che laggiù non [...] ritornerai mai per davvero. Che sarai sempre in [...] tua vita e un ricor-do pasciuto di [...]. Ti toc-ca questo, e [...] di tanti altri destini. /// [...] /// Non la si fa [...] tempo, mai. Bruno Arpaia è nato [...] Ottaviano, [...] provincia di Napoli, nel 1957. Esperto e traduttore di [...] latino americana, laureato in Scienze politiche, ha [...] paesi del [...] da Cuba al Messico, [...] per lunghi periodi. Ha curato e tradotto, tra [...] «Le meditazioni del [...] di Ortega [...] pubblicato da Guida. Collaboratore de Il Mattino, [...] Grazia e Linea [...] dal 1990, lavora alla [...] La Repubblica di Milano, città dove vive dal [...]. Il suo primo romanzo «I [...] da Leonardo nel 1990, ha vinto il [...] Opera Prima. Due anni fa è [...] Donzelli «Il futuro in punta di piedi», secondo [...] Arpaia ci parla del Sud attraverso la [...] tra un padre e un figlio. In questo momento sta [...] di un ragazzino di diciassette anni che [...] formazione personale e politica durante la rivoluzione [...] minatori nelle [...]. Mezzogiorno [...] Lo chiamano degrado, ma è [...] una parola. /// [...] /// Mezzogiorno [...] Lo chiamano degrado, ma è [...] una parola. (0)
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