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Docente universitario, editorialista del «Corriere [...] Sera» e noto politologo ha scritto numerosi saggi. Giovanni Sartori «Scelsi [...] perché ero sazio del mio Paese» Come mai negli Stati Uniti per [...] «Mah, mi ha portato il [...] che [...] italiana io ero sazio. [...] stato, come professore per [...] anni, 25 anni è un numero qualsia-si. Ma un quarto di [...] un numero rispettabi-le. E quindi dopo un [...] ho detto: [...]. Non ero contento del Sessantotto. Ero [...] delle conseguenze. Trova-vo tutto sbagliato e [...]. E quindi me ne [...]. Ma mi fa piacere [...] chiedi perché dicono, a volte, che io [...] questo proprio non mi somi-glia. /// [...] /// Dove vedo odore di [...]. Adesso la se-conda parte [...]. Che cosa mi trattiene? Anche [...] finta di essere molto mobile non lo [...]. Oramai sono [...]. New York è una cit-tà [...] straordinaria vitalità. E poi mi affascina. [...] non mi sembra così appetibile. Mi pare più como-do, come Italiano, stare lonta-no [...]. Perché mai do-vrei rientrare? Questa [...] do-manda da un miliardo di dol-lari. Potresti [...] una buona ragione?» Allora parliamo [...]. Quanto apprezzamento, quanta [...] «Quanto apprezzamento? Voglio cominciare con [...] banale. Quasi tut-to il mondo [...] America. Vuol dire che qual-che [...]. Non [...] molta gente che vo-leva scappare [...] Russia. /// [...] /// Questo vuole dire che [...] Stati Uniti sono un paese visto dal resto del [...]. Io [...] sto bene. Le università ameri-cane funzionano [...] italiane. Ma non è che [...] straordi-nario. Anche [...] è pie-na di problemi. Dipende an-che da dove [...]. Fra la Columbia University [...] Park West si vive [...]. Forse in altre parti [...] non ci metterei nem-meno piede. Quanta fiducia? Siamo tutti [...]. Ma pri-ma di scassare Gli Stati Uniti ce ne vuole. Ci sono seri pro-blemi [...]. Non il multi-culturalismo ma [...] cul-turale, secondo me, è molto [...]. Non è più vero E [...] scritto sui dollari. Il [...] non funziona più. Quindi la pro-spettiva si [...]. Le scuole medie sono [...]. Ci sono tanti nodi [...] pettine. Però, come dice Putman, [...] diminuisce. E se casca [...] casca tutto. Immagino che non cascherà. E poi mi hai [...] Io non sono americanizzando per nulla. /// [...] /// Ma non sono americanizzato. Or-mai sono troppo vecchio [...]. Resto cittadino italiano. Trovo abbastanza ri-dicolo cambiare [...]. In Italia sono nato. Ho inse-gnato per quel [...] secolo e resto cittadino ita-liano. A New York, direi, la [...] e [...] si sente pochissimo. Que-sto è un grande [...]. /// [...] /// Anzi io vedo più [...] New York di quanto non li veda [...] Italia. Quindi la distanza, a New York, [...] sento pochissi-mo. Invece quando insegna-vo [...] di Stanford, in California, [...] sentivo molto. Li [...] il Paci-fico, i giornali italiani [...] tre giorni dopo. La di-stanza [...] era tal-mente grande. Il mondo era lontano. A New York, ripeto, [...] si sente». In questo paese a [...] molto, e da cui hai ricevuto mol-to, [...] accademico, quali cambiamenti hai notato? Ti interessa [...] «Si. [...] già stato prima come [...] ne-gli anni Settanta a [...] a Yale. È un paese che [...]. /// [...] /// Era tutto nuovo. Ora mi sono abituato. La rou-tine un [...] logora. Uno vive una di miele [...] poi diventa un matrimonio. Intanto il grosso delle [...] tra-sferisce nel resto del mondo per un [...] pro-babile. A torto o a [...]. Detto questo, ora io [...] tirato per i capelli nel-le cose italiane. Seguo più [...] che gli Stati Uniti. Ma perché è andata [...]. Non [...] una traiettoria esteriore che riporta [...] vecchio in patria. Intanto io non sono [...] trasferir-mi. No, [...] è in un tale [...] quantome-no per un osservatore, che so-no di [...] occu-parmi di cose italiane ogni giorno». [...] americani e allievi italiani, che [...] ministri, manager, parla-mentari o docenti da una parte e [...]. Che [...] «È una domanda che nessu-no [...] ha mai fatto. Direi che non [...] grande differenza. Io ho allievi che [...] molto affezionati, italiani o non italiani. [...] giova-ni vengono spesso a [...]. Sono molto simpatici. Ma an-che [...] che sono oggi professori, [...] credo che mi vogliono bene. Almeno molti di loro. La prova di questo è [...] io andai [...] di Stanford lasciai [...] di Firenze. Invece di fare come [...] il piede in due posti, io ho [...]. In Italia, allo-ra, non [...] professore senza lo stipendio. Se restavo professore dovevo [...]. Non mi pareva corretto. Quindi non era più [...] Firenze. Poi alla fine degli [...] Ottanta [...] hanno richiamato a Firenze. Questo è molto raro [...]. Perché, come si dice negli Stati Uniti, quan-do uno lascia [...] diventa una non persona. Ma io non sono una [...] perso-na. Mi hanno richiamato a Fi-renze. E anche in tutti [...] cui ero professore in America, appena tornavo [...] Fi-renze [...] festeggiavano. Il rap-porto è sempre stato [...] buono. [...] alterni periodi di insegnamento italiano [...] periodi di [...] «Io ora sono [...]. Grazie a Dio ho [...] a non insegnare. Però li vedo ancora. /// [...] /// Ma mi hai chiesto [...] tra studenti italiani e america-ni. Direi che il livello [...]. Ma è sceso di [...] America. Io ricordo che negli [...] Sessanta [...] studenti Americani con un livello cul-turale molto [...] di oggi. Poi chi è bravo [...] dopo otto anni pren-de il dottorato. Ma il livello generale [...] è sceso. È questo per colpa [...] e non per colpa delle universi-tà. Le grandi università sono [...] di cultura. E poi le mode. Que-sto è un paese [...] a mode, le mode che prevalgo-no, che [...] sono mai stato molto dialetti-co. Non sono mai stato molto [...]. E soprattutto non sono mai [...] fanatico. Det-to questo, [...] ameri-cana è come il paese. È una macchina colossale. Quindi produce ancora. Ma non [...] dubbio che la media è [...]. E, curiosamente in Italia, [...] in ripresa. E non per merito [...]. Ma perché gli studenti [...]. Sono nati bravi. Ce [...] nel sangue. Forse per-ché vengono dalla [...]. Perché anche in Italia [...] sta-to il crollo della scuola. Ma lo studente italiano arriva [...] e si riprende. Quan-do sono tornato in Italia [...] studenti meno prepa-rati ma che veramente lavora-vano [...] che riparava i guasti [...] generale. [...] qualche cosa di straordinario in Italia. È un paese che [...] va a guardare, sembra che vada tutto [...]. Ma alla fin fine, così [...] stato il miracolo economico, perché [...] stato. In Francia non [...] stato), [...] una materia prima ancora di [...] vitalità. E non come lo [...]. Stati Uniti, Europa, Asia. Dove [...] «È una domanda comples-sa. Da un punto di vista [...] commerciale, [...] globale avanza [...]. Quando la Cina si [...] credo che creerà gra-vissima difficoltà per [...]. Dicevo, anni fa, a [...] colleghi, che erano maoisti, faccio [...] il tifo per Mao [...] per mezzo secolo. Adesso Mao non [...] più e la Cina ha [...] capacità [...]. Però, intendiamoci, questi sono [...] col tempo cambiano elementi e situazioni. Cioè, dieci, [...] fa il Giappo-ne era ancora [...] superiore [...] adesso si sta adeguando. [...] del lavoro giapponese era forte. Adesso lo è meno, con [...] generazione. Probabilmente lo stesso processo [...] gli altri paesi. In Cina sarà più [...] perché partono dai livelli comunisti, il tempo [...] di-ventare anche loro ricchi ci vuole. Poi lì [...] il fattore [...] del lavoro che è impor-tante. Non voglio dire neces-sariamente [...] confuciana, anche se alla lun-ga lo è. Ma lì [...] ancora il nu-cleo familiare. I cinesi fuori della Cina [...] che lavorano intensamente. La frattura delle generazioni, [...] Occidente, in Cina, non è ancora venuta. /// [...] /// Quando loro saranno [...] noi saremo pu-trefatti con [...] che ab-biamo. Quindi questo vantag-gio comparato [...] è economicamente possibile. Detto questo dipende da [...] gli attaccati. Avremo la [...] con Bossi come baluardo [...] Gli Stati Uniti si difenderanno? [...] Latina creerà un aggregato [...] Ameri-che? Ci saranno, io credo, lar-ghe aree di [...]. Questa valutazione dipende ancora [...]. Una volta che viene asse-diato [...] il suo successo dipenderà della difesa» Come descrivi [...] quando ne devi parlare negli Usa, e come [...] «Mah, quando ne devo par-lare [...] poiché questo è un paese in cui [...] di essere [...] più che altro me la [...] con delle battute. Viene fuori un paese [...]. Che cosa pen-so [...] in Italia, questo lo scrivo. Io ho veramente la [...] avere nessun condizionamento. Nessuno mi impedisce di [...] penso. [...] è la mia natura. Non ho alcun interes-se [...]. Sono nato fiorentino perciò [...] lingua, e scrivo esatta-mente ciò che penso. Non ho ragione di [...]. Non sono [...]. So-no una specie di vacca [...]. [...] il paese dal quale in [...] non ti sei mai allontanato, come giudichi i cambiamenti [...] «Che cosa hai in mente? [...] o cultura politica? Perché per [...] la cultura politica ha subito una trasformazione straordinaria. Una cultura marxista molto gram-sciana [...] operosità, faceva la guerra di [...] e ha conquistato abilmente una posizione. Secondo me stava quasi [...]. Paolo degli anni Settanta. Ma intanto è successo [...]. [...] stato il terrorismo. Ci sono state le Brigate Rosse [...] hanno disturbato il Pci nella [...] linea. Ma soprattutto il guaio [...] posizione gramsciana è che è durata troppo. /// [...] /// [...] quello degli anni Cinquanta. E quindi arriva Berlinguer. Poi un al-lontanamento più [...] Sovietica, non tanto in politica internazionale quanto nella [...]. Così arriva un partito [...] e sempre più euro-comunista, distaccato [...] Sovietica, ma distaccato nella [...] nella base operaia. Poi, per [...] la cultura marxista domi-nante in Italia è stata straordinaria. Era pronta per il [...] di Berlino. Che ha consentito ad Oc-chetto [...] addirittura no-me e simbolo del Partito comunista [...]. /// [...] /// Quindi questa è una trasforma-zione [...]. Ad un certo momento [...] perché sono passate quasi tre generazioni. Ciò che è stato straordinario [...] come una cultura marxista dominante ad un certo momento [...] fare un simile cambiamento. È un fatto unico. Nessun altro partito [...] Alice [...] 3. /// [...] /// Nessun altro partito [...] Alice [...] 3. (0)
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