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Il segmento testuale umanesimo è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 594Analitici , di cui in selezione 32 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] S. G. Graziano, Alcune considerazioni intorno all'umanesimo di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Salvatore Giacomo Graziano
ALCUNE CONSIDERAZIONI
INTORNO ALL'UMANESIMO DI GRAMSCI
Nel quadro generale del pensiero gramsciano, nel suo contributo a sviluppare il marxismo come autonoma e integrale applicazione del. marxismoleninismo alla realtà italiana, particolare importanza, nell'attualità di certi problemi, assume la concezione della filosofia della prassi come umanesimo assoluto. Qui si vuol dire: importanza non di una definizione, ma di una concezione coerentemente sviluppata sul piano teorico, come sintesi e come elementi di sintesi, e concretamente inserita e connessa in una realtà storica nazionale: importanza della maniera. attraverso la quale si afferma l'umanesimo di Gramsci: sia come umanesimo assoluto che si risolve nello storicismo assoluto della filosofia della prassi, risultato di tutta la storia precedente; sia come concezione che,. inserita nella storia della società e della cultura italiana, si apre in una. prospettiva concreta e operante. Come concezione che, compenetrata nella realtà, assume significato preciso di fronte ai problemi e agli avvenimenti attuali: prendendo posizione, negando o affermando, difendendo l'importanza della persona umana. Come concezione che non può essere separata dalla particolare azione storica necessaria alla sua realizzazione. Umanesimo, quind[...]

[...]cezione che,. inserita nella storia della società e della cultura italiana, si apre in una. prospettiva concreta e operante. Come concezione che, compenetrata nella realtà, assume significato preciso di fronte ai problemi e agli avvenimenti attuali: prendendo posizione, negando o affermando, difendendo l'importanza della persona umana. Come concezione che non può essere separata dalla particolare azione storica necessaria alla sua realizzazione. Umanesimo, quindi, che nella consapevolezza di una dialettica unità di filosofia e ideologia (in senso gramsciano) trova il suo vero significato, iI suo concreto e vivo valore. 'In Gramsci è presente la società italiana non resa evanescente in generici riferimenti, ma nella sua storia passata. e presente, nei suoi contrasti, nelle sue classi, nei suoi gruppi. Egli « pensa » in riferimento ad una « condizione umana » ben configurata
150 1 documenti del convegno
nelle sue contraddizioni. ipotizzare l'uomo in una condizione umana predeterminata significa farne un feticcio. Affermare in concreto l'import[...]

[...]todi della filologia e della critica » 1. « Inoltre: l'insieme dei rapporti sociali è contraddittorio in ogni momento ed è in continuo svolgimento, sicché la "natura " dell'uomo non è qualcosa di omogeneo per tutti gli uomini in tutti i tempi » 2. Tutti i problemi sono da Gramsci posti in maniera conseguentemente storicistica. Porre il problema dell'uomo in generale, in generali condizionamenti, è una astrazione. Non si può quindi parlare cli un umanesimo che non sia assoluto storicismo. Come pure non si può parlare di umanesimo senza affrontare alcuni problemi che specie entro il campo del pensiero marxista assumono particolare importanza.
In che senso la filosofia della prassi di Gramsci assume la dimensione di autonoma concezione del mondo: di fronte al pensiero precedente, alle componenti storiche del marxismo stesso e alle formulazioni che esso ha avuto? e con quali nessi con le altre sovrastrutture e con la struttura? con quale connessione con l'azione?
ovvio che marginali annotazioni non possono non rivelarsi inadeguate di fronte a questi interrogativi — e alla molteplicità di questioni che vengono a porre —[...]

[...]. 93.
4 M. S., p. 133.
3 M. S., p. 126.
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xismo è autonoma e integrale concezione del mondo come coscienza concreta della storia, del divenire dialettico, come « scienza della dialettica o gnoseologia, in cui i concetti generali di storia, di politica, di economia si annodano in unità organica » '. « La filosofia della prassi è lo " storicismo " assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia » 2.
Quale rapporto implica l'umanesimo totale di Gramsci con la componente naturalistica del marxismo? Non si tratterà tanto di rilevare, con una considerazione piú facilmente immediata, il rivolgersi preminente del pensiero di Gramsci aile scienze umanistiche e storiche — a quelle cioè che, come scrive Gramsci in una nota 3, « si riferiscono all'attività storica dell'uomo, al suo intervento attivo nel processo vitale dell'universo » — quanto di definire il significato che, in esso, queste assumono rispetto alle scienze naturali, o piú esattamente, quanto le prime si estendono dialetticamente nelle altre nella considerazione del r[...]

[...]o nella rigida negatività, incapaci di imporsi se non come rinuncia dei propri presupposti storici. La nuova cultura non può essere una « formula di vita », ma espressione di una attività che abbia radici e validità nella storia, un consapevole posto nello sviluppo degli avvenimenti umani: i soli che possano permettere il riconoscimento di esigenze concrete.
Un concetto centrale in Gramsci è che la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, non può essere distinta dalla creazione di una nuova coscienza nazionalepopolare. Una nuova cultura che si inserisca nello sviluppo storico organico dovrà rendere consapevoli nuove forze e renderle positivamente fattive. Sembra opportuno, in questo senso, collegare ciò che si è andato dicendo alle note di Gramsci sull'Umanesimo, sul Rinascimento, sul Machiavelli e sulla funzione del « moderno principe ». Gramsci diede dell'Umanesimo e del Rinascimento — momenti conclusivi di un vasto movimento che inizia dopo il Mille — un giudizio severo. Qui, ovviamente, non si tratterà di impegnare le vaste questioni che vengono a porsi con tale giudizio che, isolato in sé, ricalca impostazione insoddisfacenti, quanto di notare che in Gramsci esso ritrova efficacia nella contrapposizione UmanesimoRiforma, esemplificazioni storiche di cultura di pochi e di cultura popolare, di concezione che non riesce a farsi ideologia popolare e di concezione che riesce ad influire sullo sviluppo della storia inserendosi nel corso della realtà sociale come attività collettiva. L'Umanesimo, considerato nel quadro del movimento rinnovatore sorto nell'XI sec. e in quello della funzione politicosociale degli intellettuali in Italia, è valutato come espressione di « uno strato di intellettuali che sente e rivive l'antichità e che si allontana sempre piú dalla vita popolare », astraendosi dal vivere i'l presente e con
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tribuendo cosí al progressivo decadimento della nuova classe borghese 3. I:n questo senso di « casta cosmopolita » gli umanisti, staccati dal popolonazione, non superarono le concezioni universalistiche romana e medioevale in modo parti[...]

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tribuendo cosí al progressivo decadimento della nuova classe borghese 3. I:n questo senso di « casta cosmopolita » gli umanisti, staccati dal popolonazione, non superarono le concezioni universalistiche romana e medioevale in modo particolare. « Classe intellettuale di portata europea » , non caratterizzandosi come forza nazionale, gli umanisti in Italia esercitarono una funzione cosmopolita reazionaria. La funzione progressiva fu dall'Umanesimo esercitata all'estero dove partecipò alla formazione de
Stati moderni 2. il movimento progressivo che inizia dopo il Mille — scrive Gramsci — « proprio in Italia è decaduto e proprio coll'Umanesimo e il Rinascimento che in Italia sono stati regressivi mentre nel resto d'Europa il movimento generale culminò negli Stati nazionali... » 3. E cosí in un'altra nota: « Il contenuto ideologico del Rinascimento si svolse fuori d'Italia, in Germania e in Francia, in forme politiche e filosofiche: ma lo Stato moderno e la filosofia moderna furono in Italia importati perché i nostri intellettuali erano anazionali e cosmopoliti come nel Medioevo, in forme diverse, ma negli stessi rapporti generali » 4. Se è giusto indicare in queste osservazioni il nucleo del negativo giudizio di Gramsci sull'Umanes[...]

[...]osí in un'altra nota: « Il contenuto ideologico del Rinascimento si svolse fuori d'Italia, in Germania e in Francia, in forme politiche e filosofiche: ma lo Stato moderno e la filosofia moderna furono in Italia importati perché i nostri intellettuali erano anazionali e cosmopoliti come nel Medioevo, in forme diverse, ma negli stessi rapporti generali » 4. Se è giusto indicare in queste osservazioni il nucleo del negativo giudizio di Gramsci sull'UmanesimoRinascimento, occorre nello stesso tempo mettere in rilievo come ad esso è congiunto il riconoscimento di quello che a giusta ragione Gramsci definisce il « contenuto piú originale e pieno d'avvenire » : l'esigenza di una educazione integrale dell'uomo creatore della propria vita e della storia. Solo che questa concezione non si tradusse in coscienza nazionale, in attività ideologica. Mancando in questa sua funzione nazionale, l'UmanesimoRinascimento fini col negare se stesso, col contribuire alla propria negazione, con l'assumere il « carattere di una restaurazione », appunto perché la sua elaborazione « rimase patrimonio di una casta intellettuale, non ebbe contatto col popolonazione » 5.
Il pensiero di Machiavelli su questa linea assume dimensione storica di grandissimo rilievo. Le opere di Machiavelli sono « espressione di una personalità che vuole intervenire nella politica e nella storia del suo
I R., p. 20.
2 R., p. 15.
3 R., p. 13.
4 R., pp. 278.
5 R., p. 27.
162 I documenti del convegno
paese e in tal senso so[...]

[...] contatto col popolonazione » 5.
Il pensiero di Machiavelli su questa linea assume dimensione storica di grandissimo rilievo. Le opere di Machiavelli sono « espressione di una personalità che vuole intervenire nella politica e nella storia del suo
I R., p. 20.
2 R., p. 15.
3 R., p. 13.
4 R., pp. 278.
5 R., p. 27.
162 I documenti del convegno
paese e in tal senso sono di origine democratica » 1. In tal senso Gramsci può parlare di un « neoumanesimo » di Machiavelli basato « sull'azione concreta dell'uomo che per le sue necessità storiche opera e trasforma la realtà» z. Esprimendo la « necessità politica e nazionale di riavvicinarsi al popolo come hanno fatto le monarchie assolute di Francia e di Spagna » 3, il pensiero politico di Machiavelli esprime le questioni di fondo che il mondo moderno ha chiaramente approfondito. « Il Machiavelli è rappresentante in Italia della comprensione che il Rinascimento non può esser tale senza la fondazione di uno Stato nazionale, ma come uomo egli è il teorico di ciò che avviene fuori d'Italia, non di [...]

[...] fatte sulla carta, contro lo storicismo che si risolve in atto di volontà arbitrario, in una dialettica di comodo per il buon uso dei riformisti: «ciò che del passato verrà conservato nel processo dialettico non può essere determinato a priori, ma risulterà dal processo stesso, avrà un carattere di necessità storica, e non di scelta arbitraria da parte dei cosí detti scienziati e filosofi » 2. In questa prospettiva, la realizzazione di un nuovo umanesimo, di un nuovo ordine morale e intellettuale nazionale, non può non essere « un movimento democratico con radici italiane e con esigenze italiane » 3, che degli elementi operanti del passato sappia ritrovare la continuità negli attuali interessi per uno sviluppo che porti a trarne le conseguenze innovatrici inespresse. Il presente operoso, innestandosi nella tradizione, continua e sviluppa il passato di cui la struttura è testimonianza, come documento « di ciò che è stato fatto e continua a sussistere come condizione del presente e dell'avvenire » 4. Anche qui il discorso dovrebbe svolgersi, us[...]



da Giovanni Mari, Ritratti critici contemporanei. Louis Althusser in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]esima ideologia. Dell'« ideologia giuridica e filosofia borghese », la cui struttura è caratterizzata dall'« opposizione della Persona (Libertà = Volontà = Diritto) e della Cosa » (EA, p. 16). Il xx Congresso, in altre parole, avrebbe favorito, con le proprie « pseudospiegazioni » interamente sovrastrutturali della deviazione staliniana, la diffusione nel movimento operaio delle interpretazioni ideologiche e filosofiche umanistiche del marxismo (umanesimo marxista, filosofia marxista dell'uomo, umanesimo socialista, umanesimo reale, ecc.). « Dopo il xx Congresso, un'ondata apertamente di destra si diffuse... Si strappò nuovamente ai socialdemocratici e ai preti... lo sfruttamento delle opere giovanili di Marx, per ricavarne una ideologia dell'Uomo, della Libertà, dell'Alienazione, della Trascendenza, ecc.... L'ortodossia, come dice J. Lewis, ne fu quasi sommersa: non il `pensiero' di Stalin, che continuò, e continua da parecchio tempo, ad andare avanti indisturbato, nelle sue basi, nella sua `linea' e in alcune delle sue pratiche — ma proprio la teoria di Marx e di Lenin » (RJL, p. 103).
Che Althusser possa stabi[...]

[...]o » di Stalin, per l'altro non intende ridurre né Stalin né la III Internazionale alla « deviazione staliniana », ed ammette l'esistenza di « meriti » storici di Stalin. Una posizione, in altre parole, che non intende fare, come invece fanno certi umanisti marxisti, tabula rasa di una complessa esperienza del movimento operaio, e che per molti versi si può ricondurre a certe posizioni del Pcc. Quello teorico è rappresentato dalla tesi dell'« antiumanesimo teorico di Marx », del rifiuto, cioè, di Marx della « pretesa teorica » della concezione umanistica (radicata nella tradizione della « grande filosofia classica ») di spiegare la storia e la politica a partire da un'« Essenza dell'Uomo ». Marx non parte dall'uomo e dal Soggetto (soggetto razionale, economico, morale, giuridico e politico), bensí dal modo di produzione, dalle forze produttive, dai rapporti di produzione, dalla lotta di classe, dalla sovrastruttura, ecc. Per Althusser, comunque, il carattere antiumanista della teoria marxista non esclude affatto l'assunzione da parte del movime[...]

[...]lito volta per volta con criteri strettamente politici (si può fare « Una (eventuale) politica marxista dell'ideologia umanista », PM, p. 206). Ciò che lo studioso francese combatte è dunque soltanto la riduzione del marxismo ad una ideologia umanistica, sia perché il marxismo non è un'ideologia (è una filosofia e una scienza della storia), sia perché tale riduzione farebbe cadere il marxismo sotto l'influenza dell'ideologia dominante, essendo l'umanesimo una componente essenziale dell'offensiva ideologica della borghesia volta a mettere da parte la lotta di classe in nome dell'Uomo. Ebbene questo gruppo di tesi che qui abbiamo assai schematicamente ricordato, e che si presentano sostanzialmente identiche in tutta la prima fase della ricerca di Althusser, sono elaborate dal filosofo francese proprio a partire dai suoi interventi sul giovane Marx. I quali, quindi, si presentano, da un lato, come rivolti contro le pseudospiegazioni del xx Congresso ed i fondamenti ideologici della « critica di destra » dello stalinismo, e, dall'altro, come una «[...]

[...]damentale tappa di questa evoluzione rappresentata dagli scritti del 1845 (Tesi su Feuerbach e Ideologia tedesca) mediante la categoria filosofica di « rottura epistemologica »; 2) la definizione della deviazione staliniana come « recrudescenza » e « vendetta postuma » della tendenza fondamentale della ii Internazionale, l'economicismo, affermatasi nuovamente nel movimento operaio a partire dagli anni Trenta sotto la « copertura obbligata » dell'umanesimo. Lo stalinismo cioè come espressione nel movimento operaio della « coppia economicismo/umanesimo » che caratterizza nella sua intima essenza l'ideologia borghese dominante.
A questo punto si possono fare due osservazioni. La prima per sottolineare che nella interpretazione del giovane Marx compiuta da Althusser si riflettono la svolta della congiuntura politica e la svolta della stessa ricerca dello studioso francese. In altre parole che si hanno due interpretazioni della storia di Marx e della « rottura epistemologica », le quali contribuiscono, a loro volta ed in modo profondo, a caratterizzare i due periodi principali in cui è divisa dall'« autocritica » la ricerca althusseriana: all[...]

[...] tra la scienza marxista della storia e la sua preistoria hegeliana e, soprattutto, feuerbachiana) ed insieme per sottolineare tutta la « specificità » e « novità » della fondazione del materialismo storico (Marx apre il « continenteStoria », precedentemente occupato dalle ideologie e dalla filosofia della storia, alla scienza: un evento teorico e politico
« irreversibile » e « senza precedenti nella storia umana »). Sia infine la tesi dell'antiumanesimo teorico di Marx. Tuttavia egli dà due interpretazioni della « rottura epistemologica » e quindi della storia e della periodizzazione di Marx. Nel primo periodo (non solo negli scritti compresi nel Per Marx: 196065, ma anche in Lenin e la filosofia: 1968) Althusser non vede le
« condizioni sociali, politiche, ideologiche e filosofiche » della « rottura epistemologica » e riduce questo evento ad un solo fatto interno al pensiero di Marx. Ne « constata » l'esistenza e da questa parte per definire l'ideologia come il regno dell'« errore », della preistoria del materialismo storico, e per concepi[...]

[...]e serve all'egemonia borghese, individuata essenzialmente nell'umanismo teorico. Non si tratta, naturalmente, di misconoscere i meriti storici della « grande tradizione umanistica » che ha saputo affermare, al

LOUIS ALTITUSSER 435
l'inizio dell'era moderna, un'idea laica e terrena della dignità e della libertà dell'uomo contro la Chiesa e le ideologie religiose. Ciò che ad Althusser preme rilevare è l'origine e la funzione di classe di tale umanesimo (storicamente non separabile dalla borghesia in ascesa) che trova le sue espressioni piú elaborate nella « filosofia classica » e nell'economia politica borghese. Entrambe volte alla ricerca di una spiegazione della storia e della società fondate teoricamente sull'idea di un « soggetto originario », su « un concetto di uomo dalle pretese teoriche, cioè come soggetto originario dei suoi bisogni (homo oeconomicus), dei suoi pensieri (homo rationalis), dei suoi atti e delle sue opere (homo moralis, juridicus et politicus) » (EMP, p. 169).
In Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati (196[...]

[...]on
ditions of Marx's Scientific Discovery. On the New Definition of Philosophy (1970),
« Theoretical Practice », 1973, n. 7/8, pp. 411 (tr. it. in n. 60). 53. Réponse à
John Lewis, Paris, Maspero, 1973, pp. 99, che oltre al n. 51 comprende un Avertissement, p. 7; una Note sur « la critique du culte de la personnalité » (1972), pp. 6990; una Remarque sur une catégorie: « procès sans Sujet ni Fin(s) » (1973), pp. 9198 (tr. it. di F. Papa, L.A., Umanesimo e stalinismo, Bari, De Donato, 1973).
54. Intervento nella discussione su « I comunisti, gli intellettuali e la cultura », Festa dell'Humanité (Settembre 1973), ripreso in « France Nouvelle », 1973, n. 1453,
p. 11. 55. Prefazione a DOMINIQUE LECOURT, Une crise et son enjeu, Paris,
Maspero, 1973 (tr. it. D.L., Lenin e la crisi delle scienze, Roma, Editori Riuniti,
1974). 56. Testo ciclostilato del 1' maggio 1970, pubblicato in S. Karsz, op. cit.,
pp. 321323 (tr. it. cit., pp. 340343). 57. Lettera a Régis Debray a proposito
di Révolution dans la Révolution, del 1° marzo 1967, in R.D., La [...]



da Ernesto De Martino, Nuie simme 'a mamma d' 'a bellezza in KBD-Periodici: Calendario del Popolo 1952 - numero 89 - febbraio

Brano: DIFESA DELLA LETTERATURA DIALETTALE
Hule Siffiffle 'a mamma (ra flelleiia
«Noi siamo la mamma della bellezza» : con questa poetica immagine i contadini lucani esprimono la presa di coscienza delle masse popolari di essere la parte migliore della nazione, la portatrice di un nuovo umanesimo. E in ciò sta la validità, oggi, della poesia dialettale progressiva.
LA LOTA,
PER LA TERA
(La lotta per la terra)
del poeta popolare ravennate
RAOUL BERTOLOTTI
A l'impruvis
All'improvviso
d'nèz i riz di du fang
davanti ai raggi dei due fanali
u m'é piers d'avdé da ql'i òmbar mi tiarso di vedere delle ombre
e a s'e armòst séza rispir
e sono rimasto sema respiro
Ombrar
Ombre
ch'al's'muvévo
che si muovevano
coma qui' ch'aveva davinti come quelli che avevo davanti
cun dal ghêmb e cun dal braz
con delle gambe e delle braccia
d'arivè a tuchè é zil d'arrivare a toccare il cielo [...]

[...]a, o, se più piace, ne abbiano imboccato una che non spunta. Se dovessi definire in breve di quale difetto fondamentale risente l'impostazione del loro problema, direi che essi sono come prigionieri di un pericoloso settarismo culturale, di una sorta di illusionismo immediato, per cui ogni problema di cultura viene concepito in termini di diffusione dall'alto di lumi razionali, come educazione delle «plebi» Ora il problema fondamentale del nuovo umanesimo non è quello di illuminare le plebi, ma di enucleare sempre meglio la nuova civiltà espressiva che già vive nel mondo popolare, il nuovo più ampio umanesimo di cui è portatore il proletariato in lotta per la propria emancipazione. Senza dubbio sussiste anche il problema di diffondere tra le masse popolari le conquiste tecniche della civiltà borghese, e di addestrare e istruire tali masse a queste conquiste: ma per quanto riguarda la cultura vera e propria, la nuova visione della vita e del mondo, la nuova arte, la nuova morale, la nuova concezione dei rapporti politici, giuridici e sociali, è il proletariato che nel corso della sua emancipazione, e per il fatto di questo movimento, guida, indirizza, ispira, forma i suoi intellettuali e la loro cu[...]

[...]istinti: da una parte assistiamo a uno sblocco del folklore dalle sue posizioni tradizionali, e la costituzione di un folklore progressivo, legato alle esperienze della Resistenza, della occupazione delle terre, della occupazione delle fabbriche, ecc. ecc.; dall'altra parte, tutta una schiera , di intellettuali demo
cratici, avvertendo come già esaurito il destino espressivo della cultu
ra tradizionale, cercano di istituire
saldi legami con l'umanesimo popolare e di inaugurare un fecondo
dialoga con gli uomini semplici:
Cristo si è fermato a Eboli di Levi, Le terre del Sacramento di Jo
vine, il cinema neorealistico di De
Sica, di Visconti, di De Santis ecc., le tele o i disegni di Guttuso, di
Purificato, di Mazzullo, di Ricci,
ecc., il rifiorire della poesia dialettale di un Vann'antò, di un Euge
nio Cirese, dï un Rocco Scotellaro ecc. appartengono in proprio a questo movimento. Si sta dunque determinando, sia pure con lentezza fatica, con deviazioni e errori, quel processo di unificazione della cultura nazionale che fu indicato come[...]

[...]rminando, sia pure con lentezza fatica, con deviazioni e errori, quel processo di unificazione della cultura nazionale che fu indicato come compito da Gramsci, e che ora sta davanti a noi non già come programma astratto di alcuni letterati, ma come fatto spontaneo, che l'esperienza nazionalepopolare della Resistenza ha iniziato e alimentato. Nella concretezza di tale processo storico, che metterà capo attraverso vie e modi imprevedibili al nuovo umanesimo socialista, deve essere valutata la quistione del dialetto, o più esattamente il problema del valore e della funzione della letteratura dialettale nel momento presente della vita culturale nazionale. Che cosa esprime, oggi, la letteratura dialettale dei canti popolari progressivi
e della poesia dialettale? Esprime, nel folklore progressivo, l'unico modo storicamente possibile per cui alcuni strati delle masse popolari in movimento possono, prendere culturalmente contatto con la loro storia e con il loro destino, esprimendo letterariamente il loro mondo. Quando i contadini della Ràbata di Tr[...]

[...]e arcaica e recessiva: ma oggi, nelle condizioni attuali, è già un fatto importante ehe quei contadini inizino il loro progresso culturale in forme vernacole, e in queste forme inaugurino il distacco dal folklore tradizionale. Ma il valore e la funzione del dialetto nell'attuale momento storico della vita culturale nazionale non si esaurisce nel fatto che il dialetto può mediare l'ingresso di certi strati delle masse popolari nel mondo del nuovo umanesimo in movimento. Il dialetto, la letteraturadialettale, può mediare anche, attraverso la poesia dialettale culta, la formazione di una nuova unità intellettualipopolo, esprimendo nuovi motivi di comunione umana nazionalepopolare, e nuovi fermenti di universalità in una letteratura che è appunto in crisi di umanità e di universalità per il progressivo esaurirsi della funzione storica dei rapporti sociali tradizionali. Forse gioverà a illustrare questa funzione progressiva della poesia dialettale
culta il riferimento a un esempio concreto (1). Nella provincia di Ravenna sono state recentemente oc[...]

[...]vissuta nel dispregio del « volgo », sì trovano oggi davanti alla civiltà espressiva del popolo quasi nella stessa condizione in cui stanno rispetto alla letteratura straniera. La necessità di accompagnare i prodotti dialettali con traduzioni in italiano, glossari, commentari, ecc. non è dunque una prova della limitata universalità del dialetto, ma esprime solo il fatto che nell'attuale momento storico, cioè nel processo di formazione del nuovo umanesimo, della nuova unità intellettualipopolo, la nazione culturale non esiste ancora, e sussistono difficoltà per inaugurare concretamente il dialogo unificatore.
Riassumendo: la quistione del dialetto va impostata nel quadro del momento storico attuale della nazione italiana. In questo quadro il
dialetto dei canti popolari e della poesia dialettale culta esprime uno
dei modi con i quali, in date cir
costanze, può ristabilirsi il contatto fra popolo reale e cultura, fra
intellettuali democratici e mondo
popolare. In linea di fatto é sempre possibile combattere determinati
prodotti letterari [...]



da (Mito e civiltà moderna) Ernesto De Martino, Mito, scienze religiose e civiltà moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]di credere che, anche così come si è riusciti ad attuarlo, il presente tentativo ha qualche merito, soprattutto se si tien conto che in Italia rappresenta in certo senso il primo del genere, soprattutto per la prospettiva che lo caratterizza: infatti solo in parte potrebbero essere considerati come antecedenti i fascicoli dell’Archivio di Filosofia diretti dal Castelli (Filosofia della Religione, 1955; Filosofia e Simbolismo, 1956) e la raccolta Umanesimo e Simbolismo, curata dallo stesso Castelli (Padova, 1958). Numerosi sono invece gli antecedenti stranieri, come

— per ricordare i più recenti e i più importanti — i due volumi delYEranos Jahrbuch del 1949 e del 1950 (rispettivamente dedicati al mito e al rito), i numeri di Studium Generale del maggio, giugno e luglio 1955, il Journal of American Folclore del 1955, n. 370, e soprattutto il recentissimo fascicolo di Daedalus, Journal of thè American Academy of Arts and Sciences, che è della primavera del 1959 e che è dedicato interamente al mito e alla mitopoiesi (myth and mythma\ing). Tutta[...]

[...] storico al centro del divenire, e di un processo escatologico che si attua nel tempo, non soltanto dischiude di fatto la storia umana, ma alza il velo sulla storicità della condizione umana e fonda de jure nella prospettiva della fede, il senso dc\Y opera, la coscienza della tensione fra « situazione » e « valore ». Se la civiltà occidentale si è guadagnata nel corso della sua storia una egemonia fondata sulla potenza del mondano operare, se un umanesimo fiducioso ed entusiasta è venuto sempre più intensificando

(60) Castello, V Mans., Cap. III.42

ERNESTO DE MARTINO

la sua straordinaria messe di opere economiche, politiche, morali, artistiche, scientifiche e filosofiche, la conquista di questo primato civile è certamente impensabile senza la nuova esperienza del divenire storico inaugurata dal Cristianesimo. Il rapporto fra energia morale mondana della civiltà occidentale e simbolo cristiano assume talora vie molto mediate (si pensi al rapporto fra etica protestante e spirito del capitalismo, secondo la tesi famosa del Max Weber): m[...]

[...]iù. Non soltanto il Cristianesimo, al pari di qualsiasi vita religiosa, è stato mediatore di res gestite, non soltanto più di ogni altra forma di vita religiosa ha favorito, in virtù del suo senso della storia, il laicizzarsi di vasti settori della operosità umana, ma ha mediatamente favorito il costituirsi di una historia rerum gestarum, e il maturarsi di una coscienza storicistica che investe lo stesso simbolo cristiano nella prospettiva di un umanesimo sempre più coerente e consapevole di sé. In questa prospettiva doveva necessariamente apparire, come risultato, il limite di attualità del simbolo religioso cristiano. Ciò che, in virtù del simbolo cristiano, progredisce nella storia è in ultima istanza un piano di annientamento della storia, una promessa di cancellazione del divenire. E la incarnazione è, sì, un evento storico avvenuto « una sola volta », ma il suo privilegio è così « deciMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sivo » che nulla di veramente nuovo può accadere « dopo » di esso (61). Per questa via il mito di Crist[...]

[...]ensiero occidentale riconosce nel simbolo cristiano la dinamica del suo proprio destino di liberazione come « pensiero della storia umana » non è più possibile, per chi si sia innalzato a questa presa di coscienza, immettersi di nuovo in buona fede nella dinamica religiosa di cui storicamente tale coscienza è il risultato: il passaggio dal simbolo miticorituale alle res gestae, può sempre rinnovarsi, ma il passaggio dal simbolo miticorituale all’umanesimo storicistico dispiegato può effettuarsi una sola volta, salvo che non si cerchi di « dimenticare », alimentando in tal modo una fede artificiale, inautentica e sostanzialmente irrispettosa della stessa grandezza storica del Cristianesimo. Il simbolo miticorituale cristiano media il valore della storia umana: ma proprio questa mediazione, nel momento stesso in cui distingue il Cristianesimo fra le altre religioni, e ne fonda l’alta funzione pedagogica nella storia culturale dell’occidente, costituisce necessariamente il principio di un’agonia religiosa, anzi il principio dell’agonizzare di tut[...]

[...]decisa e l’avvenimento essenziale è al centro e non al termine » {Essai sur le mystère de Vhistoire> 1953, p. 83).44

ERNESTO DE MARTINO

esperienze e di eventi che volenti o nolenti portiamo nel sangue — ma un urto irrisolvente fra terrore della storia, nostalgia del simbolo cristiano e più o meno consapevole impossibilità di dimenticare il processo culturale che ha fatalmente dischiuso all’uomo moderno il senso della storia e più ancora l’umanesimo integrale che gli è potenzialmente congiunto. Né quest’urto irrisolvente può trovar esito legittimo in tormentati compromessi sul tipo della cosiddetta «demitizzazione del Nuovo Testamento», patrocinata dal Bultmann: il quale — nel proposito di restituire al messaggio cristiano un significato accettabile per il mondo moderno — si è adoperato a cernere, avvalendosi degli strumenti analitici offerti dalPesistenzialismo heideggeriano, quanto nel Nuovo Testamento è « mito » e quanto « messaggio », col risultato di conservare come « messaggio » ciò che, per l’uomo moderno, è ancora « mito », e di [...]

[...]57, pp. 199 sgg.; M. Bendi scioli, Interpretazioni razionalistiche del Cristianesimo primitivo, Padova 1952, pp. 68 sgg.; R. Tucci S. Un nuovo allarme fra i teologi protestanti, in « Civiltà Cattolica », quad. 2562, 16 marzo 1957, pp. 580 sgg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sere facile spiegare Fattuale interesse per la religione facendo appello alla frustrazione delle speranze che parecchi avevano riposto nella scienza, nell'umanesimo, nei movimenti politici secolari. Avendo sopravalutato il potere della scienza e avendo riposto troppa speranza nei movimenti politici secolari, si ritorna alle vie religiose della salvezza. La grande confusione e ansietà e sofferenza della nostra epoca incoraggia tale orientamento': e la « bomba atomica » — questa terrificante prova del potere autodistruttivo dell’uomo — induce anche il più insensibile alla riflessione e allo sbigottimento. Tuttavia, malgrado ciò, occorre avare cautela nelTinterpretare la situazione presente come caratterizzata dal « ritorno alla religione ». La Bibbia può e[...]

[...]nti passeg48

ERNESTO DE MARTINO

geri: confusione tanto più dannosa in quanto concerne un dominio di fenomeni in cui molteplici interessi congiurano ad alimentarla, e in cui quindi più si avverte il bisogno della distinzione rigorosa.

Nel complesso, malgrado i suoi aspetti positivi, il movimento di rivalutazione della vita religiosa e del mito negli ultimi quarantanni appare esso stesso coinvolto nella crisi di crescenza che travaglia l’umanesimo occidentale in cammino: una crisi che si configura come conflitto fra le imprescindibili necessità della maggiore età umanistica e la nostalgia di protezioni tradizionali che assolsero la loro alta funzione pedagogica in una infanzia non più autenticamente ripristinabile. Per quel che ci sembra, alle scienze religiose spetta oggi una parte non irrilevante nell’aiutare la civiltà occidentale a prendere coscienza del vero carattere della sua crisi, e nel restituire alla potenza morale dello scegliere un’attualità armonizzata con la storia passata e con la situazione presente, per entro simboli [...]



da Georg Lukacs, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Introduzione agli scritti di estetica di Marx ed Engels in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]n questo però non sono ancora esauriti i motivi principali da trattare qui. L'ostilità dell'ordine capitalistico della produzione all'arte si palesa anche nella divisione capitalistica del :lavora Per svolgere compiutamente questo motivo occorrerebbe rifarsi una volta di più allo studio della totalità dell'economia. Dal punto di vista del nostro problema ci possiamo accontentare di scegliere un solo principio, e sarà di nuovo il principio . dell'umanesimo;
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che la latta emancipatrice del prolelàYi èt ata, s~l~üppan dolo su un piano qualitativamente superiore, dai grandi movimenti democratici e rivoluzionari che l'hanno preceduta; sarà la rivendimione dello sviluppo armonico e integrale dell'uomo tutto. Laddove la tendenza ostile all'arte e alla cultura che è propria del modo capitalistico di produzione comporta lo smem bramento dell'uomo, lo smembramento della totalità concreta in specializzazioni. astratte.
Anche gli anticapitalisti romantici riconoscono questo stato. di cose in sé e per sé. Ma non vi hanno scorto null'alt[...]

[...]mo parlato, a proposito di Balzac, della salvaguardia dell'integrità umana. Nella maggior parte dei grandi realisti é questa che dà l'impulso a raffigurare il mondo reale, benché con caratteri ed accenti assai diversi a seconda del periodo e dell'individuo. Grandezza artistica, realismo autentico e umanismo sono indissolubilmenté uniti. E il principio unificatore é proprio quello prima rilevato; la preoccupazione dell'integrità dell'uomo. Questa umanesimo conta tra i principi fondamentali più importanti dell'estetica marxista. Ripetiamo ancora una volta che Marx ed Engels non furono i primi a situare il principio umanistico al centro dell'estetica. Anche qui come dappertutto Marx ed Engels continuarono l'opera dei massimi rappresentanti del pensiero filosofica ed estetico, sviluppandola fino a un livello qualitativamente superiore. D'altra parte pera, proprio perché non ne sono gli iniziatori, ma segnano il coronamento di una lunga evo
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luzione, essi sono i rappresentanti di gran lunga più conseguenti di [...]

[...]ncipio umanistico al centro dell'estetica. Anche qui come dappertutto Marx ed Engels continuarono l'opera dei massimi rappresentanti del pensiero filosofica ed estetico, sviluppandola fino a un livello qualitativamente superiore. D'altra parte pera, proprio perché non ne sono gli iniziatori, ma segnano il coronamento di una lunga evo
58 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
luzione, essi sono i rappresentanti di gran lunga più conseguenti di tale umanesimo.
E se lo sono, lo sono — contrariamente agli abituali pregiudizi borghesi — proprio in base alla loro concezione materialistica del mondo. Molti pensatori idealisti hanno già parzialmente sostenuto principi umanistici analoghi a quelli difesi da Marx e da Engels; molti pensatori idealisti hanno lottato in nome dell'umanismo contro tendenze politiche, sociali e morali avversate anche da Marx e da Engels. Ma soltanto la concezione materialistica della storia é stata in grado di intendere che la vera e più profonda lesione del principio umano, lo smembramento e la mutilazione dell'integrità del[...]

[...]ealizzazioni di esse e alla loro azione cultúrale ed artistica (ciò che possiamo invece spesso constatare nei piatti volgarizzatori del marxismo). D'accordo: la vera storia dell'umanità comincerà col socialismo. Ma quella preistoria che conduce al socialismo é un elemento integrante della formazione del socialismo stesso. E le tappe di questo cammino non possono
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essere indifferenti per i seguaci dell'umanesimo marxista, né per l'estetica marxista.
L'umanesimo socialista rende possibile all'estetica marxista l'unione di conoscenza storica e conoscenza puramente estetica, il continuo convergere di apprezzamento storico ed estetico. Cosa l'estetica marxista risolve proprio quella questione che ha maggiormente tormentato i predecessori, quando erano veramente grandi, e che è stata quindi sempre elusa dai minori: l'unità del valore estetico imperituro dell'opera d'arte e del processo storico da cui essa, proprio nella sua perfezione, nel suo valore estetico, è inscindibile.
GEORG LUKACS
(Traduzione di Cesare Cases).



da [Gli interventi] Gilbert Moget in Studi gramsciani

Brano: [...]dent l’esprit pour chercher l’union ». L’uomo singolo deve cercare raccordo colla propria coscienza morale e, anche quando cittadino « educato », non si sente responsabile di fronte all’uomo collettivo, responsabile di una storia da costruire insieme con tutti gli uomini, di una cultura che unifichi tutti gli uomini di una società, trasformando la loro vita, il loro pensare, il loro operare. Tale concezione della cultura, benché sia quella di un umanesimo tradizionale aperto quanto è possibile, non ha abbandonato il miraggio di quell’uomo da ritrovare, di quella permanenza di una natura umana o dell’uomo, già tipica della concezione rinascimentale. L’ambiguità che c’era nel Rinascimento, paganesimocristianesimo, è scomparsa, ma la concezione della cultura, in un radicale come Alain, è praticamente rimasta la stessa.

A questa concezione umanistica tradizionale, Gramsci oppone la concezione della cultura quale può impostarla, appunto, la filosofia della prassi. È una concezione totale, universale, la quale non può essere scissa dalla stessa f[...]

[...]terreno nazionale. La concezione di Gramsci apre prospettive nuove, pur rimanendo sempre legata a una concezione del mondo e dell’uomo. Gramsci ingrandisce fino all’universale la comprensione della cultura.

1 Lettres à S. Solmi sur la philosophie de Kant, Paris, Hartmann, 1956, p. 63.Gilbert Moget

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La cultura assume il suo vero significato dalla stessa definizione della filosofia della prassi concepita come storicismo assoluto, come umanesimo assoluto, legata quindi ad una concezione della storia e dell’uomo che Gramsci ribatte come principio fondamentale, opponendola a quella delle filosofie che postulano implicitamente o esplicitamente una « natura umana ». Gramsci infatti, fa questa domanda : « cos e l’uomo?» e risponde: «L’uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti. E vogliamo sapere cosa siamo oggi e non in qualsiasi tempo e non in qualsiasi vita, ma in funzione di ciò che abbiamo visto, in funzione di ciò che abbiamo fatto, che abbiamo riflettuto ». La cultura, definita in rapporto con l’uomo storicamente de[...]

[...]mo sapere cosa siamo oggi e non in qualsiasi tempo e non in qualsiasi vita, ma in funzione di ciò che abbiamo visto, in funzione di ciò che abbiamo fatto, che abbiamo riflettuto ». La cultura, definita in rapporto con l’uomo storicamente definito « il processo dei suoi atti », si oppone quindi ad una concezione statica di un uomo permanente, di una faccia dell’uomo o di un certo « umano » da ritrovare attraverso l’arte, ciò che appunto tentava l’umanesimo tradizionale; la cultura assume tutta l’umanità, tutto l’umano, è assoluta anch’essa, è anch’essa un processo obiettivo e non è solo legata alila particolare ricchezza e sensibilità di una persona eccezionale.

La concezione di Gramsci è una concezione audace, è una concezione difficile. Egli vuol dare alla filosofia della prassi il suo pieno carattere di filosofia nuova, autonoma, liberata sia dai residui di materialismo tradizionale che dall’idealismo. Colpisce, in tutta l’opera di Gramsci, la sua costante esigenza di fare del metodo dialettico un mezzo realmente efficiente per conoscere [...]

[...]lle correnti avverse e, superandoli, dar loro un nuovo significato.

Ce anche un punto importante della cultura, come la concepisce Gramsci, a cui vorrei fare un accenno: è l’aspetto morale. E ritroviamo qui ciò che abbiamo detto degli umanisti moderni, scegliendo Alain come esempio tipico.

Si è già insistito sull’alta moralità di Gramsci; diremo solo che in lui la morale viene considerata proprio in funzione di una concezione assoluta dell’umanesimo, di una concezione universale della cultura: seGilbert Moget

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l’uomo è il processo dei suoi atti, se l’uomo è responsabile, tale concezione progressiva dell’uomo, che non dipende da una « natura umana », ma che pone l’uomo signore del proprio destino, non può non legare alla cultura una norma di vita. Anzi la filosofia della prassi è l’unica concezione che possa sistemare questa perfetta adesione della filosofia alla vita, alla pratica, alla morale vissuta. Tutti devono sentire questo impegno culturale, partecipare a questa volontà collettiva di creare l’uomo e di sviluppare tutte l[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...] di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già superato proprio dalla migliore filologia tedesca (se con qualche seria ricaduta in un discutibile neoumanesimo e nazionalismo, non importa qui discutere). Di quel ben piú complesso e raffinato modo di porre il problema del rapporto tra l'opera poetica e i suoi antecedenti, che aveva prodotto già esempi insigni nel commento del Wilamowitz all'Eracle di Euripide o nella Kunstprosa e in altre opere di Norden o in lavori, pur discutibili per altri lati, di R. Heinze, Marchesi non avverte la novità e la fecondità. Accenna, è vero, a una distinzione che ha notevole importanza, tra fonti, per cosí dire, meramente « contenutistiche » e analogie di espressione formale, le sole, queste seconde, che dimostrerebb[...]

[...]quisizione perenne, un ktêma es ad: la critica deve cercare il contatto con lo scrittore in quanto uomo (cioè vita, sensibilità, stati d'animo, nodo piú o meno intricato di bisogni e di problemi morali, cultura ecc.) e cercare nelle forme retoriche l'espressione dell'uomo. L..] L'espressione letteraria passa attraverso l'uomo: non riesco ancora a capire una storia della letteratura senza soggetti, senza persone (la polemica di Althusser contro l'umanesimo ha alcune ragioni valide, ma gli esiti non convincono interamente) L..] ] Credo che anche la biografia, a parte le curiosità futili, sia un passaggio obbligato » (p. 94 s.).
Mi sia lecito, en passant, esprimere la mia gioia nel vedere finalmente in La Penna una « presa di distanza » da Althusser, che in questi ultimi anni egli aveva considerato come il marxista piú originale dei tempi recenti: una presa di distanza, a mio parere, ancora insufficiente, poiché credo che su Althusser vada dato un giudizio ben piú duro (non mi pento di ciò che ho scritto in Sul materialismo, Pisa 19752, pp. 4546[...]

[...]ò che piú conta, molto fuggevoli. Anche le letterature medievali e moderne soffrivano in varia misura, per Marchesi, di quelle angustie « civiche » di cui la cultura romana si era liberata. Di qui proviene, fra l'altro, la sua tenace battaglia, dopo la caduta del fascismo, per l'insegnamento del latino esteso a tutti i ragazzi, o quanto piú possibile esteso (cfr. La Penna, p. 84 s.). In uno degli ultimi scritti dedicati a questo problema (ora in Umanesimo e comunismo, Roma, Editori Riuniti, 19742, p. 389) ribadiva: « Lingua morta, dunque, la lingua latina: ma in questa lingua parla al mondo una delle piú grandi letterature: e certamente la piú universale » 6.
6 Accanto all'argomento, piú tipicamente marchesiano, dell'« universalità », compare in questi scritti anche la tesi classicistaumanistica, secondo la quale l'arte classica è l'unica che può essere gustata solo nella lingua originale e non in traduzioni, laddove in Shakespeare o in Tolstoj « la grandiosità e la ricchezza della scena e l'immensa forza suggestiva della rivelazione umana s'[...]

[...]la piú universale » 6.
6 Accanto all'argomento, piú tipicamente marchesiano, dell'« universalità », compare in questi scritti anche la tesi classicistaumanistica, secondo la quale l'arte classica è l'unica che può essere gustata solo nella lingua originale e non in traduzioni, laddove in Shakespeare o in Tolstoj « la grandiosità e la ricchezza della scena e l'immensa forza suggestiva della rivelazione umana s'impongono su ogni vizio di forma » (Umanesimo e comunismo, p. 397). Ma, a parte quell'accenno stranamente sprezzante a « ogni vizio di forma » in autori grandissimi, è facile obiettare che la maggiore o minore traducibilità delle opere artistiche si misura caso per caso, e anche a seconda del genere letterario, non già con una contrapposizione globale antichimoderni. Sarebbe arduo sostenere che, traducendo in lingua diversa dall'originale Shelley o Leopardi o Verlaine,
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Ma come si era formata questa cosmopoli romana che « costituiva veramente non uno Stato, ma una civiltà » (Storia lett. lat., if, p. 468)? Non c[...]

[...]olto costante nei suoi amori e odi per artisti e personaggi politici), oscillò fortemente da uno scritto e da un'occasione all'altra. Nella Storia, dalla prima all'ultima edizione, domina l'esaltazione senza riserve. Nel discorso su Livio del 1942 (= Voci di antichi, p. 117; dr. LA PENNA, p. 34) l'esaltazione è seguita da una nota di profonda incertezza se la grandezza di Cesare sia stata benefica o distruttiva. In un articolo politico del 1952 (Umanesimo e comunismo, p. 81), di contro alla tirannia di Mussolini e di Franco tornava a esaltare la tirannia di Cesare, certo con ragione quanto all'abissale distanza, ma senza esprimere su Cesare nemmeno l'ombra di una riserva, anzi attribuendogli il merito di esser riuscito « a realizzare esigenze democratiche spietatamente combattute e a dilatare civilmente i confini di un impero dentro un tessuto barbarico ». Ma l'anno dopo, commemorando Stalin (ivi, p. 258), lo contrapponeva agli uomini come Cesare che « hanno creato sulla morte e per la morte »!
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vano e dicevano che pe[...]

[...]persona e rivisse negli autori antichi a lui piú cari. La scienza alla quale egli si riferisce è la scienza materialistica, a cui egli non muove propriamente un rimprovero di « falsità » (ché, altrimenti, se in questo mondo lo Spirito regnasse, il dolore e il senso angoscioso di finitudine dell'uomo non avrebbero ragion d'essere), ma di orgoglio ottimistico, di pretesa di fugare il « mistero ». Ancora nel 1956, un anno prima della morte, diceva (Umanesimo e comunismo, p. 32): « Sappiamo che oltre la realtà tangibile e sperimentabile c'è l'ignoto e l'inconoscibile, c'è la favola e il sogno ». Questo, in pieno secondo Novecento, è ancora Graf o Pascoli o addirittura Spencer, non certamente Croce né Bergson. Anagraficamente piú giovane di Croce e di Gentile e, piú ancora, di Bergson, Marchesi restò sempre ancorato a una formazione spirituale anteriore.
Alcuni di quegli intellettuali di formazione tardoottocentesca finirono con l'approdare a una loro religione teistica (come il Graf) o al cristianesimo (come un « minore » molto amato da Marchesi,[...]

[...] anche il « mistero », e disprezzava il positivismo come un'epoca di decadenza filosofica. Marchesi, se non si sentiva appagato dalla scienza, ancor piú era irritato dal trionfalismo della filosofia: dall'aspra invettiva contenuta in un saggio del 1910 (SM, ir, p. 669 s., messa in rilievo anche dal La Penna, p. 36) alla drastica asserzione, nel già citato discorso del 1956, che « le costruzioni filosofiche del pensiero puro sono tutte fallite » (Umanesimo e comunismo, p. 32), il suo atteggiamento a questo riguardo non ha mutamenti, in un'Italia in cui la maggior parte dei critici letterari e degli storici filosofeggiava, anche se spesso la cultura filosofica di costoro si riduceva a un po' di Croce. Quando, nella già citata commemorazione del Bertacchi (Divagazioni, p. 132) Marchesi contrapponeva « l'ottocento pieno di grandezza » al « novecento pieno di boria », intendeva certo dichiararsi fedele all'ambiente della propria giovinezza; e parlando di « boria » si riferiva, con tutta probabilità, in primo luogo alla filosofia.
L'amore di Marche[...]

[...] troppo divulgativa, con tendenza allo psicologismo e al « bello scrivere », spesso anche alla retorica. Naturalmente si sottraggono a tale caratterizzazione capolavori come il Virgilio nel Medio Evo del Comparetti; ma non vi si sottrae del tutto il Carducci (a
9 Specialmente negli ultimi anni, e in scritti di argomento estraneo alla letteratura latina, l'accenno ai « tre presenti » compare piú volte, anche senza che Agostino sia nominato: cfr. Umanesimo e comunismo, pp. 30, 45, 182, 342; ma in una forma estremamente generica, per significare l'intero corso della storia umana, oppure ciò che è sempre attuale. Si ha l'impressione che Marchesi si fosse innamorato della formula in quanto tale (nel terzo dei passi ora citati la usa addirittura in senso ironico) piú che del suo significato filosofico o teologico.
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SEBASTIANO 'TIMPANARO
parte la « retorica civile » estranea a Marchesi), e meno ancora tutta la schiera degli eruditiletterati carducciani; e non vi si sottrae, malgrado la grande diversità di temperamento dal Carducci, il Graf, un[...]

[...]tteristiche e certe contraddizioni di Marchesi ne usciranno, penso, meglio chiarite. E per quel ché riguarda gli italianisti e i medievalisti di fine Ottocento, non si dimentichi che nella produzione giovanile di Marchesi la filologia medievale e umanistica prevalgono, come quantità e anche come valore, sulla filologia classica, seguendo l'esempio di Remigio Sabbadini, anche lui, malgrado le cure date al testo di Virgilio, migliore studioso dell'umanesimo che della letteratura latina antica. Di questa produzione giovanile di Marchesi tratta in modo eccellente il La Penna nel cap. ir del suo saggio, e io non ho nulla da aggiungere; qualcosa, piú oltre, dirò del Marchesi filologo classico.
Con ciò non intendo certo sostenere che Marchesi abbia trascorso la maggior parte della sua vita intellettuale chiuso dentro una corazza tardopositivistica, insensibile ad ogni influsso del neoidealismo e dell'irrazionalismo novecentesco. La condanna del filologismo (quale appare specialmente nella prolusione del 1923, per poi attenuarsi), la preferenza per l[...]

[...]zioni morali e disciplina storica, Bari, Laterza, 1929, pp. 107117). A sua volta, Marchesi, pur non desistendo mai dalle sue puntate contro la filosofia « incapace di consolare », non s'impegnò mai in polemiche esplicite contro l'idealismo crociano e gentiliano e contro l'estetica crociana 10; non è improbabile che,
Io Una sua replica a Croce di argomento politico, assai rispettosa e tendente a conciliare piú che ad accentuare il dissenso, è in Umanesimo e comunismo, p. 50 ss. (da « La città libera », 24 maggio 1945). Con Gentile aveva avuto una discussione a proposito dell'Etica Nicomachea nella tradizione latina medievale (Messina 1904): cfr. LA PENNA, p. 18 e n. 10. Sui posteriori rapporti con Gentile, fino alla sdegnata lettera aperta del 1944 (il cui testo, peraltro, fu diffuso con una frase finale non autentica, che poté sembrare un incitamento all'uccisione di Gentile) cfr. FRANCESCHINI, Marchesi, p. 110 ss. Ma discussioni filosofiche, pare sicuro, non ve ne furono. Sull'equivoco per cui molti considerarono ortodossamente idealistica e[...]

[...]PANARO
alcun modo essere confuso con certi odierni universitari del Pci: a suo modo, era appassionatamente comunista davvero, e, benché incapace di ogni atteggiamento coerente di opposizione interna al PCI togliattiano, fu anche, talvolta, un militante « scomodo »: non votò, unico tra i parlamentari del PCI, a favore del famigerato art. 7 della Costituzione; insisté piú volte, senza far nomi ma con un tono abbastanza marcatamente polemico (cfr. Umanesimo e comunismo, passim), sulla necessità di non degradare la cultura a propaganda di partito (la cultura, s'intende, era per lui l'espressione dell'« umanità eterna »; ma quella polemica aveva pure un suo valore difensivo non disprezzabile); la sua stessa passionale difesa di Stalin all'viiz Congresso del Pci nel 1956, politicamente aberrante, non mancò di una certa dignità di fronte ai destalinizzatori italiani dell'ultima ora (e destalinizzatori solo in superficie), i quali, a cominciare da Togliatti, avevano pronunciato all'indirizzo di Stalin vivo e potente, o appena morto, le piú vergognose[...]

[...]ne e di ciò che è male, ma di ciò che avviene e diviene nella società umana; non parla in nome del diritto naturale o della ragione suprema, ma in nome di una realtà che, piaccia o n o , bisogna riconoscere nel fluire stesso delle cose E...]. Diceva ciò che è, non ciò che dovrebbe essere, ciò che accade, non ciò che dovrebbe accadere: ciò che accade necessariamente. E qui sentivo la forza di quelle parole, in questo imperativo della necessità » (Umanesimo e comunismo, p. 30 s.).
Qui ancora la necessità è vista come qualcosa che dà incentivo alla lotta; e quel « piaccia o no » non autorizza certo a pensare che al giovane Marchesi degli anni Novanta (e tanto meno al Marchesi vecchio che rievocava quel lontano se stesso) la prospettiva del socialismo « non piacesse ». Ma in un articolo del 1908 su Orazio (SM, ii, pp. 545561) la concezione fatalistica conduce Marchesi a enunciazioni che vanno assai al di là della lettera di Graf a Turati. Questo articolo non è sfuggito a La Penna, che giustamente parla di « riflessioni sorprendenti sul socialismo[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Martano, Il problema della autonomia della filosofia della prassi nel pensiero di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...] opposte « combinazioni » dottrinarie.
A questo punto insorge la significativa istanza del Gramsci, che trova oggi conferma sempre piú chiara in tendenze del pensiero contemporaneo.
11 Gramsci sente l'esigenza a) di confutare la necessità di inserire la filosofia della prassi nei vecchi filoni della tradizionale metafisica, b) di mantenere vivo il concetto di dialettica, come superamento continuo di posizioni, c) di tentare una fondazione dell'umanesimo su basi e forme diverse dalle antiche.
« La funzione e il significato della dialettica possonoessere concepiti in tutta la loro fondamentalità, solo se la filosofia della prassi è concepita come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale del pensiero, in quanto supera (e supe rando ne include in sé gli elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali, espressioni delle vecchie società. Se la filosofia della prassi non è pensata che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella [...]

[...]ad una pura illusione, avevano élimi
1 M. S., pp. 132133.
I documenti del convegno
nato il trascendente rispetto alla natura, ma avevano ricollocato la trascendenza dell'Essere totale nei riguardi dell'uomo. Insomma nell'idealismo l'Assolutooggetto è diventato Assolutosoggetto, sicché nel panlogismo come nel panteismo l'uomo storico è giuoco, maniifestazione, strumento dell'Assoluto.
Contro le due metafisiche combatte, secondo il Gramsci, l'umanesimo della sinistra hegeliana. Ma una fondazione di una teoria dell'uomo come « primum » di ogni filosofare, l'idea di uomoprotagonista della storia, principio dell'azione e dell'essere, non ha avuto un'adeguata sistemazione dottrinaria, e il rapporto uomonatura è rimasto vago ed incerto, essendo mancata alla filosofia della prassi una noncontraddittoria postulazione teorica: anzi rimanendo per essa condannata la nozione dell'uomo ad essere contesa culturalmente dall'idealismo e dal materialismo, e perciò a persistere, in sostanza, problematica ed ambigua.
Difesa, nel senso di cui sopra, la diale[...]

[...]scrizione f enomenologica del contenuto coscienziale e riprende l'antico refrain del l'io persistente nel mutare dei suoi stati, e finisce con lo strappare l'io correlato alla relazione per renderlo capace di descrivere altri io (ancora l'insidia del vecchio pluralismo monadistico!) allora si perde l'occasione di salutare l'avvento di una nuova era speculativa con la davvero piú « rilevante combinazione » possibile tra personalismo husserliano e umanesimo marxista.
Né il concetto scheleriano di persona riesce a sfuggire alla ricaduta nel trascendente.
L'attacco kierkegaardiano non solo alla tradizionale logica astratta ma anche a quella hegeliana del concreto, nella quale l'individuo viene in ghiottito nell'infinito abisso dell'eternità, rivendica l'individualità esistenziale, rovesciando i termini del movimento eternotemporale, e, ponendo come prius ònnicondizionante l'individuali à (temporalità), vi include, in una dialettica senza superamento e destinata ad un perenne angoscioso scacco, l'invocazione all'eterno. Non ci pare felice per lo [...]



da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]tonica ma nell'intima coerenza . e feconda comprensibilità di ogni soluzione particolare. Il pensiero filosofico non è concepito quindi come uno svolgimento — da pensiero altro pensiero — ma pensiero della realtà storica etc. ».
(10) P. 7.
(11) M.S. 191: a la filosofia della prassi deriva certamente dalla concezione immanentistica della realtà, ma da essa in quanto depurata da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia o storicità o a puro umanesimo. Se il concetto di struttura viene concepito 'speculativamente', certo esso diventa un 'dio ascoso'; ma appunto esso non deve essere concepito speculativamente, ma storicamnte, come l'insieme dei rapporti sociali in cui gli uomini reali si muovono e operano, come un insieme di condizioni oggettive che possono e debbono essere studiate coi metodi della ' filologia' e non della ' speculazione '. Come un ' certo ' che sarà anche ' vero ', ma che deve essere studiato prima di tutto nella sua ' certezza ' per essere studiato come ' verità '.
Non solo la filosofia della prassi è connessa all'imman[...]

[...]agatore dell'Esperanto a. E prosegue: « non c'é nella storia, nella vita sociale, niente di fisso, di irrigidito, di definitivo. E non ci sarà mai. Nuove verità accrescono il patrimonio della sapienza, nuovi bisogni, nuove curiosità intellettuali e morali pungono lo spirito... a.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 167
essere combattuta teoricamente come infantilismo primitivo ». E in un testo dell'Ordine Nuovo aveva ben precisato cosa fosse il suo umanesimo integrale: «studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali, le studia nelle interferenze reciproche, nella dialettica ' che si sprigiona dai cozzi inevitabili tra la classe capitalista, essenzialmente economica, e la classe proletaria, essenzialmente spirituale, tra la conservazione e la rivoluzione. La demagogia, l'illusione, la menzogna, la corruzione della società capitalistica non sono accidenti secondari della sua struttura; sono inerenti al disordine, alla scatenamento delle brute passioni, alla feroce concorrenza in cui e per cui la società capitalistica vive..[...]

[...] di Salvemini) — inserirono, proprio sulle linée più avanzate, una nota originale, che appare oggi, nell'esaurirsi di altri temi, singolarmente stimolante. Ed é proprio in questi toni che più giova afferrare il significato della meditazione gramsciana.
«L'Italia — osserva Gramsci — ebbe e conservò... una tradizione culturale che non risale all'antichità classica, ma al periodo dal Trecento al Seicento, e che fu ricollegata all'età classica dall'Umanesimo e dal Rinascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogico politico (31). Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei
cancellato. Malgrado la sua cognizione meravigliosa della vita reale, ci rimase un metafisico in mezzo a una generazione di positivisti, vagheggiando la determinazione dell'Idea fra genti che non ne comprendevano il nome ». Presso lo stess[...]

[...]della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all'indagine della realtà »).
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 175
richiamo a Roma é meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima dell'Umanesimo e del Rinascimento ». Da altra parte, mentre é fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un'ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Del la Casa — dei tratti che li avvicinano a Machiavelli, ma un'immagine artificiosa dell'uomo del Rinascimento gli preclude un'adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Seroni, La distinzione fra «critica d'arte» (estetica) e «critica politica» in Gramsci, il concetto di «lotta culturale» e le indicazioni metodiche per un nuovo storicismo critico in Studi gramsciani

Brano: [...]tto da Gramsci e il suo concetto della fusione ricostituiscono l'unità fra critica estetica o puramente artistica e lotta per una nuova cultura; non solo, ma, attraverso l'elemento lotta culturale, come s'è visto, anche con la lotta politica generale. Ecco il concetto come è espresso da precise parole di Gramsci: « il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi... deve fondere la latta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » 1.
La preminenza da noi concessa alla necessità della lotta culturale ci par ribadita in questa citazione; e del resto trova una piú certa conferma attraverso la lettura del paragrafo dedicato ai criteri metodici della critica letteraria 2; dove, chiaramente, al principio crociano della distinzione astratta fra poesia e non poesia è opposto il metodo della tendenza culturale (« Pare certo che l'attività critica debba[...]

[...]sse di carattere generale, si sono rifatti a quest'esempio negativo, riproponendo, in guisa di schema cristallizzato, il brescianesimo e l'antibrescianesimo.
Chiusa qui l'esemplificazione, ci sia consentita un'ultima annotazione, che, riallacciandosi a quanto dicevamo all'inizio, può avviare una prima parziale conclusione sul tema che ci interessa: i modi di quella possibile fusione fra critica estetica e lotta per una nuova cultura in un nuovo umanesimo ecc.
Gramsci non tratta mai ex professo degli strumenti di indagine: ma intanto ci sembra che l'insistere che egli fa sui concetti di arte pura e di critica estetica, l'introduzione, anche per exempla, del rapporto linguistico presuppongano come punto di partenza metodico la lettura sperimentale dei testi, la conoscenza « scientifica » delle caratteristiche storicopolitiche dei periodi (soprattutto l'attenzione alle contraddizioni; quindi il rifiuto di ogni schema cristallizzato e il rifiuto di ogni possibile uniformismo di un momento storico) e il rapporto vitale fra conoscenza testuale e c[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine umanesimo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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