Brano: [...]o davanti a una macchina della quale le braccia o le gambe dell'operaio non sono che prolungamento, e il pensiero assente. Esisteva, come monotonia e ripetizione, certo ben prima della rivoluzione industriale, ma è diventato problema, male sociale, solo in seguito ad essa; e subito, sin dai primi anni dell'ottocento studiato e denunciato, é andato per) aumentando, soprattutto dopo la seconda rivoluzione industriale, quella dell'elettricità e del taylorismo, alla fine del secolo scorso.
Nelle fabbriche l'automatismo é raramente assoluto, cioè tale da annullare qualsiasi necessità di attenzione al compito. Inoltre esso si effettua in particolari condizioni di costrizione, di sforzo, di cadenza, di durata, e soprattutto di rumore. E augurabile l'automatismo perfetto, a condizioni ideali, nel comportamento umano di fronte alla macchina, la « marcia all'incosciente » e la possibilità quindi di fantasticherie, di evasione durante il lavoro? A creare tali condizioni mirano gli psicotecnici piú avanzati, soprattutto in Inghilterra ed in Svizzera. L'op[...]
[...]ripetizione di quel movimento ». Evasioni allora, è chiaro, che non sono liberazione.
Molti invece affermano che il lavoro « parcellare » è stato per loro positivo, nel senso che ha favorito altri interessi. Lo dicono in genere i militanti politici. Mermoz per esempio afferma che solo passare dal mestiere di fotografo a un lavoro automatico, gli ha permesso di aprirsi a problemi sociali. E a qualcosa di simile si riferisce Gramsci. Parlando del taylorismo (ed analizzando il caso dell'operaio tipografo, che fa tanto meno errori quanto meno è interessato dal testo) dice che lo sforzo maggiore che possa essere richiesto da un mestiere è di lavorare astraendo totalmente dal contenuto intellettuale del lavoro. « Tuttavia questo sforzo vien fatto e non ammazza spiritualmente l'uomo. Quando il processo di adattamento è avvenuto, si verifica in realtà che il cervello dell'operaio, invece di mummificarsi ha raggiunto uno stato di completa libertà ». Ma anche qui si presuppone che l'operaio opponga al lavoro un diverso interesse, preciso e costruttivo. [...]
[...] e lo stesso anno la fondazione dei sindacati C.I.O.; e poi. John Lewis, l'unico nella fase psicologica della rivoluzione industriale.
Fatto sta che qualcosa realmente mutò, in quel periodo, nelle industrie; e i nuovi insegnamenti (che, come é noto, da qualche anno professori americani stanno introducendo anche in Italia) incominciarono a farsi pratica e norma. Per cui, dopo la fase tecnica (introduzione delle macchine) e la fase organizzativa (taylorismo) si entrava nella fase psicologica della rivoluzione industrile.
Il succo di questi nuovi insegnamenti si può formulare così: la capacità produttiva di un lavoratore è in funzione non solo dell'attrezzatura e dell'organizzazione, ma anche dell'importanza che egli attribuisce al suo lavoro. Taylor diceva che il suo sistema permetteva di « dare a chi lavora, ciò di cui ha bisogno : alto salario ». Le « Human Relations », in seguito a inchieste, studi, esperimenti, giungono alla conclusione che l'alto salario non é il solo, né il principale, dei bisogni dei lavoratori; e che egli là lavora megl[...]
[...]ne. Per esempio là dove dice, con puritana ingenuità, che lui credeva che assegnandosi esclusivamente alla direzione l' organizzazione, e agli operai invece la attuazione del lavoro (alleggerito così da ogni preoccupazione organizzativa), si sarebbe realizzata una ripartizione dei compiti anche moralmente equa, ed instaurata quindi una serena atmosfera d'eguaglianza! Ma c'é soprattutto un punto, che spesso passa inosservato nelle descrizioni del taylorismo. Quando nella sua « deposizione davanti alla commissione speciale della Camera dei Rappresentanti » Taylor vien costretto dalle domande dei parlamentari a dedurre con coerenza le conseguenze del suo sistema, egli afferma che l'applicazione di questo sistema « comporta una completa rivoluzione mentale ». Consiste
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE 141
proprio in ciò « l'essenza dell'organizzazione scientifica », nell'esser convinti che grazie ad essa verrà instaurata una nuova era, nella quale il « surplus » produttivo sarà tale che ogni lotta per la divisione dei profitti [...]
[...] dovere di cooperare all'instaurazione di tale «era» sarebbe anzi uno dei due principi fondamentali dell' O.S.L.; l'altro essendo invece la « scientificità » dell'organizzazione; morale l'uno, tecnico l'altro. Un vero e proprio messianismo quindi, abbastanza coerente con la formazione puritana dell'ing. Taylor; ma coerente soprattutto con le premesse scientistiche e « sperimentalmente astratte » del suo sistema.
Non si può quindi distinguere il taylorismo dalla successiva politica di « Human Relations », dicendolo chiuso ad ogni preoccupazione del fattore morale. Piuttosto dicendo che queste preoccupazioni restavano sul piano dei principi universali, e particolarmente di quello, cosí tipicamente liberale, del « dovere per ognuno di compiere il proprio interesse ». Mentre nelle « Human Relations » esse si trasformano in tecnica di governo degli uomini, in casistica differenziata (« casemethod »), e quindi in oggetto del trattamento di specialisti.
Più distintamente invece Taylor si caratterizza là dove per esempio dice: « In passato l'elemento[...]
[...]ate finora da operaio a operaio, debbono invece venir determinate scientificamente. L'operaio deve trasferire alla direzione ogni conoscenza, ogni iniziativa, ogni responsabilità; non gli é più accordato di « pensare il suo lavoro ». Una volta, al meccanico Shartle che gli faceva delle domande, Taylor rispose : « Non vi si chiede di pensare! Ci sono altre persone qui, pagate apposta per questo ».
Ciò é quanto ci permette anche di distinguere il taylorismo da quell'altro metodo di incremento della produzione che é lo stacano
142 ALESSANDRO PIZZORNO
vismo. Entrambi tendono ad aumentare la produzione migliorando la organizzazione nella quale l'operaio si trova a lavorare, utilizzando meglio le macchine, la divisione del lavoro ecc. Li accomuna anche la morale universalistica che entrambi presuppongono e quella specie di messianismo finale, che abbiamo trovato, anche se solo marginalmente, nel taylorismo, e che é caratteristico dello stacanovismo in quanto metodo per realizzare la società comunista. Ma mentre il taylorismo é un sistema scientifico di organizzazione, lo stacanovismo è un'iniziativa di operai per distribuir meglio fra di loro il loro lavoro e le loro macchine (iniziativa in un primo momento osteggiata da molti tecnici e ingegneri); e se Taylor é il nome di un capotecnico e ingegnere, Stacanov è il nome di un operaio. Se per Taylor l'operaio deve esser liberato da ogni preoccupazione e quindi responsabilità e iniziativa di organizzazione, e l'operaio ottimo é quindi quello che può venir calcolato sul piano di passività assoluta; per lo stacanovismo l'operaio deve indirizzare il suo sforzo « non pi[...]
[...]e iniziativa di organizzazione, e l'operaio ottimo é quindi quello che può venir calcolato sul piano di passività assoluta; per lo stacanovismo l'operaio deve indirizzare il suo sforzo « non più soltanto ad effettuare correttamente il suo lavoro secondo le direttive che riceve dai suoi superiori, ma anche sul miglioramento del suo metodo di lavoro» (come é stato osservato dall'ingegnere francese L. M. Allain).
È inoltre da notare che mentre nel taylorismo i valori chiamati in gioco sono utilitari: la realizzazione degli interessi dei singoli; lo stacanovismo fa appello principalmente a valori politici, cioè di solidarietà con una comunità (ma non unicamente, perché gli incentivi finanziari sono anche molto forti).
***
Il taylorismo è perciò definito soprattutto da questo spogliare il lavoratore di ogni possibilità di decisione, di partecipazione intellettuale al compito che gli viene assegnato. Il lavoro tocca il limite massimo dell'astrazione: lavorare significa compiere gesti, rispettando delle norme e delle tolleranze. Viene quindi perfezionata quell'estraneità dell'uomo al proprio lavoro, apparsa con la condizione industriale, e in un certo modo costitutiva di essa. D'altra parte il taylorismo, psicologicamente, poneva ancora sullo stesso piano dirigenti e dipendenti: la massima in nome della quale si doveva regolar[...]
[...]ito soprattutto da questo spogliare il lavoratore di ogni possibilità di decisione, di partecipazione intellettuale al compito che gli viene assegnato. Il lavoro tocca il limite massimo dell'astrazione: lavorare significa compiere gesti, rispettando delle norme e delle tolleranze. Viene quindi perfezionata quell'estraneità dell'uomo al proprio lavoro, apparsa con la condizione industriale, e in un certo modo costitutiva di essa. D'altra parte il taylorismo, psicologicamente, poneva ancora sullo stesso piano dirigenti e dipendenti: la massima in nome della quale si doveva regolare la condotta di ognuno era la stessa: realizzare il proprio interesse. Inoltre, certo senza
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE 143
proporselo, esso creava uno stato di fatto, per cui all'operaio era reso possibile (almeno teoricamente, ed entro limiti, come abbiamo visto, di ordine fisiologico) un eventuale atteggiamento di distacco, e in conseguenza, di giudizio, o almeno di rifiuto, della propria condizione. Era ciò che Gramsci avvertiva. Era anche[...]
[...]apporti di lavoro su di un piano psicologico, sul mito della « presa di coscienza », mentre questi si effettuano ancora su di un piano di potenza.
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE 145
Che un'abile politica industriale riesca a convincere l'operaio dell'importanza del suo lavoro, non muterà la semplice realtà del fatto che il lavoro del singolo operaio non é importante. Qualunque sia la coscienza che se ne possa assumere. Il taylorismo, pur con i suoi eccessi e le sue astrazioni, rispecchiava fondamentalmente una situazione reale. Convalidava in formule e sistema la già avanzata abolizione di ogni iniziativa e responsabilità dell'operaio, chiuso nell'organizzazione industriale. Ed é probabile che lo stesso stacanovismo, per quegli aspetti che attribuiscono un'iniziativa organizzativa all'operaio, sia relativo solo a uno stadio giovanile dello sviluppo industriale. Col grado attuale di divisione del lavoro é illusorio tentar di ristabilire un rapporto diretto del singolo operaio con il prodotto del suo lavoro. Non é per tali[...]
[...]ropagande, di valori costituiti; scalzato dai problemi e dalle lotte di una situazione precisa, ben conosciuta dal lavoratore.
146
ALESSANDRO PIZZORNO
A questo punto l'analisi della situazione industriale si deve connettere alla situazione politica complessiva, per esserne chiarita e per chiarirla a sua volta. Né, nel nostro caso, é senz'altro dato di definire tutta questa recita ideologica come un mascheramento, o una mascherata: mentre il taylorismo corrispondeva all'assestamento della borghesia capitalista e alla organizzazione delle sue conquiste interne, le « Human Relations » corrisponderebbero al ritrarsi e al difendersi di essa borghesia, che si copre ed elude il problema grazie ad un'ideologia psicologistica. Siamo sicuri che dietro a questa scena esistano veramente delle onnipotenti « coulisses »? O che non si versi tutta in questo gioco di rapporti sociali, la realtà del sistema economico ? Ma già il porre questi interrogativi deve significare un superamento delle concezioni implicite nella sociologia industriale delle « relazio[...]