Brano: [...]o accantonare per un momento ciò che è opinabile per attenerci a ciò che è certo. Prima di confrontare le conclusioni a cui si è giunti, converrà, cioè, intendersi. sul punto da cui si è partiti, su quella realtà economicasociale di oggi che è l'inizio obbligato per qualsiasi piano di sviluppo della Regione e, ci sembra, per qualsiasi utile discorso sull'argomento.
E possibile trovarsi d'accordo, almeno, su ciò che si intende per odierna realtà siciliana? Parrebbe di si. Vi sono alcuni dati elementari sullo sviluppo dell'isola che nessuno, a quanto consta, mette in dubbio,, Esiste, dunque, un minimo di certezza su cui si può incominciare a costruire un ragionamento. Una premessa, tuttavia, è necessaria, anche se può sembrare ovvia: i dati a cui si fa riferimento per stabilire il ritardo della Sicilia rispetto alle regioni più progredite del nostro paese presuppongono che si riconosca, senza riserve mentali, che l'isola è parte integrante della nazione, della quale deve dividere non solo la pro sperità di domani, se ci sarà, ma anche le diffic[...]
[...]0 su una popolazione complessiva di 4.767.000 persone. Il livello di occupazione, ossia il rapporto tra popolazione attiva e popolazione residente, era pari al 33,3%. Alla stessa data, le forze di lavoro in Italia ammontavano a 20562.000 su una popolazione di 49.779.000 abitanti. Dunque il livello di occupazione nazionale era pari al 41,3%. Dal confronto di questi due dati risulta un dislivello dell'8%, che rappresenta la frazione di popolazione siciliana che dovrebbe diventare attiva per raggiungere la media nazionale. Naturalmente poiché sulla media italiana incide la minore occupazione delle regioni meridionali, il dislivello sarebbe ancor più accentuato se si paragonasse la Sicilia al Nord. Ma già da questo primo confronto si ha una misura del divario esistente. Per colmarlo occorrerebbe che l'8% dei siciliani, ossia circa 380.000 persone, cessassero di essere « inoccupati ». È una cifra forte, che dà un'idea della mole del problema da risolvere. Per:, non vi é da lasciarsi impressionare. Intanto va detto che il livello di occupazione non [...]
[...]uto su scala nazionale un analogo aumento della percentuale come risulta dalla seguente tabella :
Anno Forze di lavoro (migliaia) Popolazione residente Percentuale
(migliaia) f. lav./p. res.
1955 (8 maggio) 19.661 48.308 40,7%
1956 (21 aprile) 19.761 48.714 40,6%
1957 (8 maggio) 20.170 49.063 41,1%
1958 (20 ottobre) 20.761 49.617 41,8%
1959 (20 aprile) 20.562 49.779 41,3%
Se si misura ora lo scarto tra la percentuale nazionale e quella siciliana si rileva una tendenza ad una lenta diminuzione. Il divario che era di 8,4% nel 1955 si é ridotto all'8% nel 1959. Si pu? quindi desumerne che, sebbene la popolazione siciliana aumenti in proporzione un po' più della media italiana (2) 1'« inoccupazione » tende invece a decre
(2) In base al censimento effettuato il 4 novembre 1951, la popolazione residente in Sicilia, ammontava a 4.486.749, mentre la popolazione totale italiana si elevava a 47.515.537. Ossia la popolazione dell'isola rappresentava il 9,44% della popolazione nazionale. Successivamente si sono registrate le seguenti variazioni:
Data Sicilia Italia Percentuale
31.XII.1956 4.721.457 49.554.990 9,52%
31.XII.1957 4.756.271 49.895.283 9,532%,
31.XII.1958 4.794.362 50.270.665 9,537%
LA CONTRASTATA EVO[...]
[...]lia rispetto all'Italia, ha seguito dal 1955 al 1959 questa evoluzione:
1955 8,4%
1956 8,3%
1957 8%
1958 7,6%
1959 8%
In base ai dati relativi al CentroNord si avrebbe avuto, invece, il seguente quadro:
Anno Forze di lavoro Popolaz. res. Percentuale Scarto pert. Sicilia
(migliaia) (migliaia) f.l.,p.r. pere. Nord
1956 11.937 27.224 43,8% 11,5%
1957 12.247 27.376 44,7% 11,6%
1958 12.625 27.644 45,6% 11,4%
Ne deriva che l'inoccupazione siciliana poteva essere stimata a 388.000 persone nel 1956 e a 380.000 persone nel 1958, calcolando in base alla media italiana, mentre sarebbe stata di 535.000 persone nel 1956 e di 541.000 persone nel 1958, rispetto ai dati del CentroNord. Praticamente si può dire che le variazioni registrate in questo periodo non hanno contribuito in misura apprezzabile a coprire il deficit di occupazione in Sicilia rispetto al livello nazionale.
120 RENATO MIELI
plessivo sarebbe passato da 130.000 nel maggio del 1955 a 78.000 nell'aprile dell'anno scorso (4). In entrambi i casi risulta che vi è stata una diminuzi[...]
[...]dic. 1956 al marzo 1959) mentre, stando alle rilevazioni dell'Istituto Centrale di Statistica, il numero dei disoccupati e dei siciliani in cerca di una prima occupazione sarebbe diminuito in media di 13.000 unità all'anno (dal maggio 1955 all'aprile 1959) ovvero di circa 30.000 all'anno, se riferito al periodo 19571959. Da ciò si potrebbe desumere, con relativa approssimazione, che dall'inizio del 1957 alla primavera del 1959, la disoccupazione siciliana sia andata diminuendo in media del 15% all'anno, dopo aver seguito una curva ascendente negli anni precedenti.
(5) Analogamente a quanto si è fatto per la Sicilia, si può così compendiare l'andamento del fenomeno della disoccupazione in Italia, in base al numero degli iscritti alle prime due classi delle liste di collocamento e alle rilevazioni campionarie dell'ISTAT
LA CONTRASTATA EVOLUZIONE DELLA SICILIA 121
neamente sul piano nazionale è passato dal 92,4% al 94,7% (6). Trova così conferma l'impressione che il progresso compiuto dalla Sicilia in questi quattro anni sia stato relativament[...]
[...]ercentuale la diminuzione annua della disoccupazione, dall'estate del 1957 all'estate del 1959, sarebbe dunque stata del 3,5% secondo il numero degli iscritti alle liste di collocamento e di circa il 30% secondo le rilevazioni dell'ISTAT. La considerevole sproporzione di questi due dati non consente di stabilire confronti; induce, semmai, a ricercare le ragioni di tale scarto di cifre, che non trova riscontro, come si è visto, su scala regionale siciliana. Va tuttavia osservato che i dati degli iscritti alle liste di collocamento, nel semestre successivo, tendono ad avvicinarsi a quelli dell'ISTAT, pur restando in valore assoluto, alquanto superiori.
(6) Le rivelazioni dell'ISTAT relative al numero degli occupati e alla loro percentuale in rapporto alle forze di lavoro, in Sicilia e in Italia, consentono di tracciare 11 seguente quadro dell'evoluzione verificatasi durante il periodo in esame:
Anno Sicilia Italia
(migliaia) (migliaia)
Occ. Forze lay. Perc. Occ. Forze lay. Perc.
1955 maggio 1.363 1.493 91,3% 18.170 19.661 92,4%
1[...]
[...]te in cerca di lavoro andrà presumibilmente assestandosi con un insediamento economicamente piú razionale.
Ad ogni modo, non vi é motivo per prevedere un peggioramento della situazione, nell'immediato avvenire. Né si può negare che vi sia stato in Sicilia un progresso che, tutto sommato, resta un fatto positivo e incoraggiante.
Se poi si esamina piú attentamente come si é sviluppato questo processo di parziale assorbimento della disoccupazione siciliana si riscontra una sostanziale disuguaglianza a seconda dei rami di attività.
Dal 1955 al 1959, secondo le indagini dell'Istat, si è registrata la seguente variazione:
Anno Agricoltura (migliaia) Occ. Disocc. Industria (migliaia) Occ. Disocc. Altre attività
(migliaia)
Occ. Disocc
1955 (maggio) 595 27 359 48 409 14
1956 (aprile) 597 36 333 55 425 16
1957 (maggio) 567 33 387 52 456 16
1958 (ottobre) 581 24 427 39 493 17
1959 (aprile) 580 7 443 31 488 9
(7) I nati in Italia durante il periodo bellico sono caduti da 1.046.479 nel 1940 a 937.546 nel 1941 e poi fino a un minimo[...]
[...]In quale senso e con quali mezzi? Questo é il problema.
Qui termina il campo di ció che é certo e incomincia quello dell'opinabile. Ma non é detto che non ci si possa intendere anche su questo terreno, aperto oltreché alle correnti di interessi, spesso contrastanti, a quell'elemento di natura che é il buonsenso. Intanto la stessa evoluzione di questi anni contiene delle indicazioni che non si possono ignorare. Che vi sia un esodo dalla campagna siciliana verso i centri più produttivi e che, in misura diversa, affluiscano verso le attività industriali e terziarie non solo le nuove leve, ma anche aliquote di persone che avevano perduto il lavoro o che non l'avevano mai avuto, sono fatti sui quali si deve riflettere. Anzitutto c'é da osservare che essi rispecchiano una tendenza diffusa in tutto il paese. In Sicilia il fenomeno é forse più accentuato che altrove; ma ha la stessa origine. Lo sviluppo delle tecnologie produttive moderne spinge il potenziale umano a dirigersi verso le zone più sviluppate dove si vanno maggiormente concentrando gli i[...]
[...] fatta intelligentemente con una chiara visione della prospettiva di sviluppo generale. Per la Sicilia ciò significa ragionare in termini non più di una economia di consumo locale,bensì di un'economia di scambio entro un'area di mercato molto più ampia, un'area che tende a diventare sempre più ampia. Sarebbe più che mai avventato non guardarsi attorno prima di decidere in quale senso dovrebbe essere indirizzato un rimodernamento dell'agricoltura siciliana, ossia in funzione di quale mercato dovrebbe essere impostata.
Ma é bene non equivocare su questo punto. Si è parlato di « convenienza », a proposito dei miliardi che verrebbe a costare l'ammodernamento dell'agricoltura. Convenienza per chi? P. ovvio che non si debba pensare ai vantaggi e ai profitti che potrebbe ricavarne qualche azienda privata. Lo scopo che ci si deve prefiggere é quello di assorbire il massimo numero di disoccupati nelle attività produttive; la convenienza va quindi intesa nel senso più largo di utilità pubblica e non di vantaggio aziendale. Ciò non implica affatto che n[...]
[...]re l'agricoltura regionale in modo da porla su un piano di redditività competitiva nei confronti dell'Italia centrosettentrionale e di altri paesi europei. Ma tutti sembrano sottintendere che oltre ad un certo limite, di cui non viene precisata l'elevatezza, é meglio non spingersi, per convogliare piuttosto gli investimenti in altra direzione.
L'ex Presidente della Regione, Milazzo, pensa che ci siano già troppe bocche da sfamare nella campagna siciliana e che la terra sfruttata da secoli e coltivata male offra sempre minori possibilità di viverci. Torna a ripetere, a chi lo interroga su questo argomento che gli sta particolarmente a cuore, che ogni giorno nascono in Sicilia 135 nuovi candidati alla fame e che i contadini disperati non ne vogliono più sapere di sprecare la loro fatica quotidiana per quella terra ingrata. Come uscirne? Milazzo non é ottimista; e non lo nasconde. Da conoscitore
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qual è, vede la situazione molto scura, sempre più scura. Che la campagna siciliana si spopoli un po', per lui, è una necessità penos[...]
[...]erci. Torna a ripetere, a chi lo interroga su questo argomento che gli sta particolarmente a cuore, che ogni giorno nascono in Sicilia 135 nuovi candidati alla fame e che i contadini disperati non ne vogliono più sapere di sprecare la loro fatica quotidiana per quella terra ingrata. Come uscirne? Milazzo non é ottimista; e non lo nasconde. Da conoscitore
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qual è, vede la situazione molto scura, sempre più scura. Che la campagna siciliana si spopoli un po', per lui, è una necessità penosa ma forse salutare: non lo dice, ma dà l'impressione di pensarlo. L'unica via di salvezza che intravvede è nella trasformazione della coltura. Il clima della regione e la richiesta del mercato, a suo giudizio, consiglierebbero di sviluppare al massimo la coltura del cotone e del lino, che sono state finora trascurate. Per farlo, occorrerebbe per() che ci fosse la certezza di un collocamento del prodotto. Ora questa certezza non ci sarà — egli sostiene da convinto autonomista — fino a quando non sorgeranno in Sicilia i cotonifici e i linifici °[...]
[...]va, ormai insostenibile, ad una coltura più redditizia, che alimenti una sana attività industriale.
Il suo predecessore, La Loggia, dice che si deve procedere a una trasformazione radicale dell'economia agraria dell'isola, condannata inesorabilmente a decadere se si continua cosi. La trasformazione alla quale pensa non va confusa con la riforma fondiaria : si tratta di cosa ben diversa. Che certe modifiche della struttura sociale nella campagna siciliana, possano essere utili e perfino necessarie non lo mette in dubbio. Ma una ridistribuzione della proprietà terriera si risolverebbe in una rovina per gli assegnatari se non fosse inquadrata in un piano organico di rinnovamento della agricoltura isolana. Quello che occorre, in primo luogo, è una chiara idea di ciò che si può e si vuol fare. Bisogna studiare anzitutto quali siano le colture più adatte alla Sicilia e più convenienti in termini di sviluppo economico; poi esaminare i metodi di coltura più moderni che dovrebbero essere applicati per elevare al massimo la produttività; e infine adott[...]
[...]ebbero essere applicati per elevare al massimo la produttività; e infine adottare le misure necessarie per l'attuazione del programma di rimodernamento agrario. La Loggia non ritiene che si possa, allo stato attuale, dire quali riconversioni si impongano nell'indirizzo delle colture; è argomento, questo, che va studiato con la massima serietà. Ritiene invece che vi sia qualcosa da dire sul metodo. Il suo pensiero è che per liberare l'agricoltura siciliana dalla secolare arretratezza sia indispensabile liberarla dalla sua insufficiente produttività. dovuta alla mancanza di spirito associativo. Bisogna introdurre e applicare gli stessi criteri che stanno alla base di
LA CONTRASTATA EVOLUZIONE DELLA SICILIA 129
ogni altra forma di attività economica moderna. E finita l'epoca dell'individualismo anarchico e inconcludente. Oggi per avere un alto rendimento si deve e verticalizzare » il processo di produzione agricola, coordinando e organizzando non solo la lavorazione dei campi, ma anche la raccolta, conservazione, distribuzione e trasformazione [...]
[...] spetterebbe in base ad un criterio di ripartizione proporzionale degli aiuti alle zone sottosviluppate. In linea di diritto è una tesi che si può sostenere. Ma non sarebbe una discrimi nazione, diretta di fatto contro le altre regioni meridionali, accogliere il principio che alla Sicilia spetti un contributo proporzionalmente superiore, in virtù di obblighi assunti in precedenza dal governo? Comunque, si voglia giudicarla, questa rivendicazione siciliana, sarebbe certamente meno assillante se il contributo dello Stato, indipendentemente dal titolo di legittimazione, fosse più elevato e adeguato alle necessità dell'isola. Il rimodernamento delle infrastrutture siciliane richiede effettivamente di piú. Però, possono i siciliani dire di aver fatto finora il miglior uso possibile dei mezzi, sia pure insufficienti, di cui disponeva la Regione? Onestamente, quando si sente affermare, senza convincenti smentite, che alcune decine di miliardi giacciono inutilizzati da mesi nelle casse della Regione, un certo senso di disagio è difficile non provarlo.[...]
[...]capitale per ogni occupato è di gran lunga inferiore. Tanto per dare un'idea: per un impianto di grandi dimensioni, come una raffineria, si calcola che occorra un investimento medio di 40 milioni per ogni occupato, mentre per una fabbrica di lavorazione di materie plastiche potrebbero bastarne due milioni per addetto. Questo sbalzo del coefficiente di utilizzazione del capitale agli effetti del massimo assorbimento nell'industria, per l'economia siciliana, che soffre soprattutto dell'eccesso di manodopera, inoccupata e disoccupata, ha un'importanza più che evidente. Tuttavia non si deve dedurne automaticamente che, data tale sproporzione, si debba senz'altro concentrare lo sforzo per lo sviluppo industriale esclusivamente in direzione delle piccole e medie aziende che assorbono un maggior numero di lavoratori in rapporto agli investimenti occorrenti. Sarebbe un po' troppo semplicistico. In realtà senza un'industria di base non si sviluppa un'industria manifatturiera sana. Bisogna incominciare con creare quel tronco vitale che è l'industria pes[...]
[...]sabili fino a pochi anni addietro. Nessuno può contestarlo. Se polemiche vi sono state in tale campo, sono state dettate da altre considerazioni, che non hanno avuto per oggetto il disconoscimento di quanto ha fatto l'iniziativa privata in questo settore. Si é ,detto che la grande industria settentrionale, beneficiando di condizioni di estremo favore, si è avvantaggiata per costruire impianti che non hanno recato un serio contributo all'economia siciliana in quanto hanno assorbito una aliquota molto scarsa della manodopera locale. L'osservazione, francamente, non regge ad una analisi serena. Le grandi aziende moderne hanno una loro economia interna che non può essere modificata da considerazioni di carattere sociale. Che sia impresa pubblica o privata, un complesso petrolchimico, se è costruito secondo le tecniche più moderne in modo da ridurre al minimo i costi di produzione, non può assorbire più di un certo numero di addetti, che é, come tutti sanno, molto limitato rispetto al capitale investito. Non c'é nulla da fare: nel ramo dell'industr[...]
[...]sorbimento di manodopera vanno ridimensionate, con un po' di realismo. L'impianto di Gela non potrà creare molti posti di lavoro, trattandosi di complessi che tecnicamente richiedono un immobilizzo di oltre 40 milioni per addetto. Non é serio e nemmeno onesto perciò fare balenare speranze che andrebbero poi deluse. I complessi dell'E.N.I., tosi come quelli della Montecatini, ,o della Sincat, non possono risolvere il probelma della disoccupazione siciliana; possono stimolare con la loro presenza uno sviluppo produttivo che dovrebbe elevare al massimo l'occupazione. Il loro contributo alla soluzione del problema è più efficace come concorso indiretto che come apporto diretto. Non ci si deve attendere quindi miracoli da Gela : gli esperti non prevedono più di 3000 assunzioni. _
A questi ridimensionamenti psicologici si aggiungono alcune riserve circa altri aspetti del progetto. Tra le critiche che ad esso vengono mosse due sembrano meritevoli di confutazione nell'interesse della Sicilia. Si osserva che il progetto prevede la costruzione di u[...]
[...]rsi attorno ad Augusta piuttosto che a Ragusa. Ma neanche questa previsione ha trovato l'attesa conferma. Vicino ad Augusta sono sorti, infatti, i grandi complessi della Sincat a Priolo. Pere) Siracusa, che come capoluogo aspirava a diventare un centro industriale é rimasta quella che era: una stupenda città museo. Tranne il cementificio del Barone Pupillo — uno dei rarissimi esemplari di imprenditore siciliano — e lo stabilimento dell'« Eternit Siciliana », più qualche fabbrica minore, non si è visto sorgere null'altro di nuovo in questi anni. Nemmeno il progetto di creazione di una « zona industriale », dopo tante discussioni e opposizioni, si è riusciti a varare. Non si pile, dunque dire che, almeno fino a questo momento, Siracusa abbia saputo ricavare tutti i vantaggi che il sorgere dei grandi complessi industriali sembrava dischiudere.
Per ragioni che si spiegano in parte, tenendo conto della favorevole ubicazione, la città che ha più risentito o utilizzato la benefica vicinanza di Augusta, è stata invece Catania. Il maggiore dinamismo d[...]
[...]di uomini, non di capacità. Dove si è cercato di trasformare il manovale in operaio qualificato e l'intellettuale in tecnico o in dirigente d'azienda, i risultati sono stati largamente positivi. Occorre, però, attraverso una estesa, per non dire generale, opera di riqualificazione dei lavoratori e di correzione dell'indirizzo, quasi esclusivamente umanistico, della scuola creare quella preparazione moderna che fa tuttora difetto alla popolazione siciliana. E un'opera di gran respiro, che richiede tempo e perseveranza; ma tutt'altro che impossibile. Con il materiale umano dei siciliani si può essere certi di raggiungere sotto questo profilo il livello delle società più progredite.
Economie esterne: altro serio svantaggio. Tutto costa di più in Sicilia rispetto alle regioni più avanzate: a cominciare dalle fonti di energia (scarse le risorse idriche, data la irregolarità delle precipitazioni stagionali e la natura del terreno, e notevole la dispersione degli utenti) per finire con le materie prime e i semilavorati che dovrebbero essere importat[...]
[...]dentale. Dire che non abbiano oggi capacità imprenditoriali, non è un giudizio critico, bensì un riconoscimento di una diversa formazione storica. Non si fa dunque torto a nessuno se si constata che in Sicilia non ci sono gli uomini che abbiano la vocazione e la capacità di diventare industriali. Le poche eccezioni confermano la regola.
Si deve ammettere che non è facile dimostrare capacità imprenditoriali in un'area sottosviluppata come quella siciliana. A parte gli impedimenti oggettivi ai quali si è fatto cenno in precedenza e le limitate disponibilità di capitale privato, vi é da tener presente che per avviare un'attività industriale occorre oggi avere una preparazione adeguata. Occorre non solo possedere una conoscenza delle tecniche produttive piú avanzate, per la progettazione degli impianti, ma anche una conoscenza del mercato, in base ad una analisi continua e aggiornata. Non è più il tempo degli industriali che credono di saper tutto da
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soli e di decidere per intuito. Non solo; ma i programmi di investimento e[...]
[...]elle forze economiche. Se si lascia fare ad esse il divario tende ad aumentare. Per correggere lo squilibrio esistente, occorre intervenire con una azione appropriata.
Ai siciliani bisogna riconoscere il merito di aver ideato uno strumento che in teoria ha tutti i requisiti per svolgere tale azione. Questo strumento ideale é la Sofis. Concepita come mezzo di propulsione e non come semplice istituto di credito industriale, la Società Finanziaria Siciliana (società per azioni di cui la Regione detiene la maggioranza), ha appunto per finalità quella di partecipare con funzione pilota al sorgere e al consolidarsi di attività industriali nell'isola. A tale scopo può disporre di un capitale iniziale che ammonterebbe a 13 miliardi e 600 milioni. Però, con una legge che dovrebbe essere varata senza troppe difficoltà dall'Assemblea Regionale, questo capitale potrebbe essere portato a circa 20 miliardi, mediante un versamento anticipato di 6 miliardi che la Regione é tenuta a corrispondere alla Sofis nel prossimo triennio. Questo capitale iniziale cons[...]
[...] le spiegazioni che vengono date sottovoce negli ambienti della direzione della Sofis. « Renderemmo un servizio ai nostri avversari — si dice — se divulgassimo i suggerimenti che scaturiscono da quell'indagine ». Sembra di dover capire che la Sofis si riprometterebbe di cogliere di sorpresa, con un intervento massiccio, distribuito in varie direzioni, quelle forze economiche che avrebbero interessi contrari ad uno sviluppo autonomo dell'economia siciliana. Per parlar chiaro, questa linea di prudenza sarebbe dettata dal propo
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sito di non far conoscere ai grandi industriali del Nord quali investimenti si stanno contemplando da parte della Sofis, in modo da creare delle situazioni di fatto a cui sia estranea la Confindustria. Create queste situazioni, il gruppo di aziende a partecipazione regionale potrebbe trattare con gli industriali settentrionali, partendo per tosi dire da posizioni di forza. In altre parole, prima farsi le ossa e poi discutere con i e monopoli »: questa sarebbe la ragione tattica che avrebbe consigliato al[...]
[...] Chi giudica così sbaglia, e non contribuisce certo a promuovere quello sviluppo della Regione che é nell'interesse anche della nazione.
Ma La Cavera, come si diceva, non si nasconde che, anche a voler usare il metodo più appropriato, l'opera di riforma della mentalità isolana é molto ardua e di lungo respiro. E se non riuscisse? Se nonostante tutto l'impegno appassionato e i mezzi impiegati non si riuscisse a formare una classe imprenditoriale siciliana, quale situazione si verrebbe a creare? È inutile nasconderselo: se l'iniziativa privata siciliana non sarà capace di affermarsi, dovrà cedere il posto o a quella « settentrionale » o a quella pubblica, regionale e statale. Non vi é alternativa, fuori di questa.
Qui non si é più nell'ambito del certo, bensì in quello dell'opinabile. La scelta di indirizzo che la classe dirigente siciliana è chiamata a compiere non si basa unicamente su un calcolo razionale dei vantaggi e degli inconvenienti prevedibili. Molti altri fattori intervengono nella determinazione di tale scelta; fattori che hanno un'importanza decisiva, anche se sfuggono ad una precisa identificazione da parte di chi é estraneo alla mentalità ambientale, e forse degli stessi siciliani. Sarebbe interessante cercare di comprendere i motivi che dall'esterno sembrano imponderabili ed hanno invece tanto peso all'interno di una società come quella siciliana. Vivide intuizioni si affacciano subito alla mente per analogia co[...]
[...]vantaggi e degli inconvenienti prevedibili. Molti altri fattori intervengono nella determinazione di tale scelta; fattori che hanno un'importanza decisiva, anche se sfuggono ad una precisa identificazione da parte di chi é estraneo alla mentalità ambientale, e forse degli stessi siciliani. Sarebbe interessante cercare di comprendere i motivi che dall'esterno sembrano imponderabili ed hanno invece tanto peso all'interno di una società come quella siciliana. Vivide intuizioni si affacciano subito alla mente per analogia con il comportamento di paesi di antica civiltà che si accingono a superare oggi la loro arretratezza economica. E vien fatto di pensare che il valore che si attribuisce al superamento della povertà sia diverso da quello che si attribuisce al passo successivo, ossia alla creazione di una relativa agiatezza. Per chi deve vincere la fame, non c'è prezzo di sacrifici che sia troppo alto, ma al tempo stesso non c'è rinuncia più difficile di quella delle risorse morali di dignità e di speranza, che sono l'unico bene rimasto. L'esasper[...]
[...]uta l'ora di muoversi per impedire l'insidioso processo di infiltrazione o di rassegnarsi ad essere, prima o poi, eliminate. Allarmate e umiliate dalla espansione della grande industria settentrionale e convinte di non poter contrapporre ad essa una resistenza basata sull'iniziativa privata locale, intravvidero una sola possibilità di arginarla: quella di trincerarsi dietro l'autonomia per proteggere in qualche modo la formazione di un'industria siciliana. Per esse la Sofis si configurò subito come uno strumento necessario per formare e rinvigorire una e destra economica » regionale, capace di resistere alla invadenza e concorrenza di quella settentrionale. Non c'è quindi da stupirsi che exqualunquisti di un tempo o monarchici di ieri si siano schierati attorno a Milazzo per sostenerne l'esperimento autonomistico. È un istinto di conservazione che li ha spinti a tentare in extremis di formare un ceto industriale, consociandosi in uno sforzo collettivo per non essere dispersi e sommersi come individui. Però, non c'era nemmeno da aspettarsi che [...]
[...]ono sempre state: forze di destra, per origine e orientamento economico, anche se alleate a forze di sinistra per realizzare, con mezzi politici, la diga protettiva dell'autonomismo, al riparo della quale pensavano di ricostruire le loro vacillanti posizioni.
Sotto questa duplice spinta, politica ed economica, il milazzismo
LA CONTRASTATA EVOLUZIONE DELLA SICILIA 157
si é presentato per un certo verso come una nuova incarnazione di una destra siciliana, che si era andata sgretolando e consumando negli ultimi anni: un'incarnazione più sveglia e dinamica, capace di utilizzare il suo atavico qualunquismo per sviluppare una politica spregiudicata nei metodi ma tenace nei fini.
Si é detto che la politica di questa destra era obbiettivamente di sinistra. Vero fino a un certo punto. Nella fase iniziale di convergenza autonomistica, il movimento di Milazzo può aver reso un prezioso servizio al P.C.I. e al P.S.I., in quanto ha impedito il ricostruirsi in Sicilia di una maggioranza dominata dalla D.C. e, di riflesso sul piano nazionale, ha alimentat[...]
[...]ell'esperimento Milazzo, rimane aperta all'interno della Sofis. Può darsi che, in tema di utilizzazione di questo strumento di sviluppo industriale, prevalgano le tendenze privatistiche, che avrebbero il loro più forte assertore nel Presidente della Società, Bianco; o quelle pubblicistiche, che farebbero capo al Direttore, La Cavera. Può anche darsi che, neutralizzandosi a vicenda, le due tendenze finiscano per paralizzare la Società Finanziaria siciliana, condannandola a un'azione spicciola, disordinata e inconcludente. E ancora troppo presto per fare previsioni, anche se sono già trascorsi tanti mesi dalla nomina dei due dirigenti; é sempre troppo presto per pronunciare un giudizio definitivo su una questione in cui si scontrano interessi e personalità siciliane.
Per il Partito Comunista la via da seguire era evidente. Avendo individuato un gruppo politico regionale che, nella carenza di una classe imprenditoriale, aveva scelto l'alleanza con le sinistre per sopravvivere e riformarsi, i comunisti non potevano che incoraggiarlo e sostenerlo.[...]
[...]ne, l'esperimento Milazzo, i socialisti comprendevano che non avrebbero potuto sottrarsi alle conseguenze di un eventuale insuccesso. Anch'essi, per la partecipazione indiretta al potere, si sentivano impegnati ad impedire il fallimento di un tentativo di progresso accelerato sul piano regionale. Per il P.S.I. che è, in campo nazionale, assertore dell'alternativa democratica, si poneva, però, l'imbarazzante dilemma se considerare o no la formula siciliana come una esemplificazione della prospettiva additata al paese. La politica di Milazzo — ci si chiedeva — era quella che si sarebbe voluto riprodurre al livello del governo nazionale? Palermo sarebbe dunque stato un banco di prova per ciò che si sarebbe dovuto ritentare a Roma. Ma il P.S.I. ha sempre esitato a considerarlo tale e non si è fidato di dare quell'esperimento a modello per il resto del paese.
Ancor più impacciata e preoccupata è stata la D.C. La frazione che
da essa si era distaccata per dar vita al movimento di Milazzo non era
quella che aveva dimostrato in precedenza di avere [...]
[...]
Ancor più impacciata e preoccupata è stata la D.C. La frazione che
da essa si era distaccata per dar vita al movimento di Milazzo non era
quella che aveva dimostrato in precedenza di avere una propensione
per l'apertura a sinistra. Al contrario era sostanzialmente l'ala conser
vatrice del partito, allarmata dai propositi e soprattutto dai metodi di Fanfani e dei fanfaniani. Andandosene, quella frazione spostò l'equilibrio interno della DC. siciliana, che si venne a trovare cosí su posizioni più vicine a quelle dei partiti di sinistra, anche per effetto del contraccolpo subito e della preoccupazione di non restare tagliata fuori dal nuovo clima diffusosi nell'isola. Ne é derivata una situazione contraddittoria. La D.C. siciliana, diventata suo malgrado opposizione di destra ha continuato a professare idee più avanzate di quelle di una parte della. maggioranza formatasi attorno a Milazzo. In tema di industrializzazione, per esempio, si é arrivati a uno stato di cose veramente parados
LA CONTRASTATA EVOLUZIONE DELLA SICILIA 159
sale: l'impostazione suggerita dai fanfaniani era piú vicina a quella dei socialisti di quanto non lo fosse l'impostazione di una parte dei milazziani. Il pensiero di Lanza, La Loggia, Carollo, Lo Magro era in sostanza questo: poiché l'iniziativa privata dimostra di aver esaurito il suo intere[...]
[...]alle conseguenze della politica liberistica, in generale, e del MEC, in particolare, che maggiormente colpiscono le aree sottosviluppate in questa. fase del loro incipiente sviluppo industriale. Tener conto delle leggi del mercato, non solo nazionale ma mondiale, operando con una prospettiva non di consumo locale ma di scambio, è una necessità inderogabile.
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Non si può rinchiudere il rimodernamento dell'economia e della società siciliana nei confini ristretti dell'isola. Occorre ragionare con mente aperta al futuro e guardarsi dal confondere l'autonomia con l'isolazionismo.
Queste riflessioni ci hanno condotto a non condividere nel passato il facile ottimismo di chi vedeva negli sviluppi della situazione siciliana il segno di un'immancabile affermazione di un nuovo corso economico e sociale, destinato a liberare in pochi anni l'isola dalle sue condizioni di sottosviluppo. Con molta franchezza, ci sembra doveroso dire che le buone intenzioni non sono sufficienti a risolvere un problema di questa mole, se non vi é una chiara conoscenza delle difficoltà ed un onesto impiego delle forze occorrenti per venirne a capo. Ora, la prima riforma da operare è quella della stessa mentalità con cui si affrontano questi problemi e del costume. L'individualismo spinto agli estremi, come in Sicilia, non permette nemmen[...]
[...]di industriali del Nord né al governo di Roma, aspirano unicamente ad interporsi tra queste fonti di potere reale e la Sicilia come mediatori. Con questa mentalità si viene a creare un diaframma artificiale tra l'isola e il resto del paese, senza che si formi una nuova classe dirigente, moderna e responsabile. No, questo non é autonomismo, anche se viene contrabbandato come tale. Questo é un vecchio vizio di uno strato parassitario della società siciliana, contro il quale bisogna stare in guardia.
Conclusione: dietro la facciata dell'autonomismo siciliano si nasconde un equivoco. Nella coalizione di forze e di interessi che ha consentito a Milazzo di dar vita ad un esperimento, ricco di tante promesse, vi era una contraddizione che i comunisti cinesi definirebbero di tipo antagonistico. Tra l'ala destra e l'ala sinistra dello schieramento autonomistico non vi è mai stata una vera intesa sulla via da seguire per il rimodernamento economico e sociale dell'isola; vi é stata una serie di compromessi, avvolti spesso da un trasparente velo di ambig[...]
[...]iduce alla ricerca affannosa di un quarantaseiesimo voto qualsiasi pur di raggiungere la maggioranza nell'Assemblea regionale, diventa una semplice etichetta senza contenuto. E lo si è visto.
Ora bisogna decidersi a riconoscere che per fare una politica di progresso ci vogliono uomini di progresso. Credere che chiunque dichiari di essere autonomista sia davvero disposto a contribuire allo sviluppo dell'economia e al rimodernamento della società siciliana sarebbe una imperdonabile ingenuità. Oltre alle forze di conservazione, che non nascondono di essere tali o che cercano di salvaguardare i privilegi del passato, vi è un ceto che, considerandosi come mediatore naturale e insostituibile tra i siciliani e il resto del paese, fa di questa sua inconfessata vocazione una vera e propria professione. Ieri era con Milazzo, perché si vedeva maltrattato e minacciato, nella propria sopravvivenza, dagli industriali del Nord e dai dirigenti dei partiti di Roma. Oggi è in parte contro, perché spera di ottenere qualche segno di riconoscenza, mettendosi a di[...]
[...]luzione, matura e necessaria, o per impedirla, se dovesse attuarsi al di fuori del suo controllo.
Gli slogan sono sempre pericolosi per quel tanto di passionale ed indefinito che si presta a confondere le idee. Quello autonomistico ha avuto in Sicilia il torto di non chiarire, con il programma e con i fatti, che intendeva assumere il significato concreto di progresso. Ora è venuto il momento di lasciare da parte i miti e di cercare nella realtà siciliana gli elementi di una maggioranza omogenea, che voglia sul seriosuperare l'arretratezza economica e sociale dell'isola. Questa maggioranza c'è nella popolazione e, pur con tutte le riserve, nella sua classe dirigente; occorre avere l'onestà di individuarla e la capacità di ricomporla sulla base di un programma che non consenta equivoci. Non è
più tempo da surrogati. RENATO MIELI