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Il segmento testuale riformisti è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 172

Brano: Riformismo socialista

Questi moti misero in contrasto i sostenitori dei tumulti con la corrente riformista del P.S.I. e il Gruppo parlamentare socialista che, schierato con i riformisti, approvò un ordine del giorno in cui si condannava il movimento popolare. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale (agosto 1914) il riformismo entrò in crisi, mettendo a nudo i limiti della propria strategia di fronte ai gravi avvenimenti in corso. I progressi economici avevano infatti determinato il sorgere di élites operaie, ma a spese di altri lavoratori, indebolendo la solidarietà di classe; la stessa fisionomia del Partito socialista era andata in parte mutando in seguito all’afflusso di nuovi strati sociali a danno della presenza operaia. La guerra provocò inoltre il naufragio della S[...]

[...]te ai gravi avvenimenti in corso. I progressi economici avevano infatti determinato il sorgere di élites operaie, ma a spese di altri lavoratori, indebolendo la solidarietà di classe; la stessa fisionomia del Partito socialista era andata in parte mutando in seguito all’afflusso di nuovi strati sociali a danno della presenza operaia. La guerra provocò inoltre il naufragio della Seconda Internazionale che, praticamente dominata dai rappresentanti riformisti dei vari paesi, vide prevalere nelle proprie fila gli interessi “nazionali” che, nel sanguinoso conflitto, si contrapponevano a quelli del socialismo e della solidarietà internazionale.

Il P.S.I. la cui segreteria venne affidata a Costantino Lazzari (v.), il quale non faceva parte della corrente riformista, prese subito posizione contro la guerra, pubblicando nel luglio e nel settembre 1914 due manifesti che invitavano i lavoratori a schierarsi in favore della pace e della neutralità. L’atteggiamento dei riformisti in questa circostanza fu incerto, anche in conseguenza della crisi che avev[...]

[...] “nazionali” che, nel sanguinoso conflitto, si contrapponevano a quelli del socialismo e della solidarietà internazionale.

Il P.S.I. la cui segreteria venne affidata a Costantino Lazzari (v.), il quale non faceva parte della corrente riformista, prese subito posizione contro la guerra, pubblicando nel luglio e nel settembre 1914 due manifesti che invitavano i lavoratori a schierarsi in favore della pace e della neutralità. L’atteggiamento dei riformisti in questa circostanza fu incerto, anche in conseguenza della crisi che aveva investito la Seconda Internazionale: alcuni di essi appoggiarono senza esitazioni la formula proposta dal partito « Non aderire, non sabotare », mentre altri si schierarono a favore degli interventisti (v.).

La lotta contro l’entrata in guerra fu coerente nei principi sostenuti dalla grande maggioranza dei socialisti, ma debole nell’applicazione pratica e nel rapporto con le masse. Turati, in particolare, seppure in ritardo, si rese conto che occorreva un’intesa tra socialisti, cattolici e giolittiani per portare [...]

[...]erra fu coerente nei principi sostenuti dalla grande maggioranza dei socialisti, ma debole nell’applicazione pratica e nel rapporto con le masse. Turati, in particolare, seppure in ritardo, si rese conto che occorreva un’intesa tra socialisti, cattolici e giolittiani per portare avanti una decisa azione parlamentare e popolare contro la guerra, ma non tutto il gruppo riformista fu in ciò d’accordo e questo fatto creò disorientamento nel paese. I riformisti vissero quindi il dramma della mancanza di una linea unitaria da parte dei socialisti europei.

Ciò risulta anche da uno scritto di Turati ad Anna Kuliscioff, nel quale il leader socialista afferma: « ...la guerra è come una malattia: può uccidere, può indebolire, niente altro. Non ci farà né più ricchi, né più

saggi, né più produttivi, né più liberi, né più onesti, né più felici di quel che siamo ».

Con la fine della guerra e il sorgere del fascismo, il contrasto tra riformisti e rivoluzionari aH'interno del Partito socialista divenne sempre più acuto: la scissione di Livorno (v.) de[...]

[...]mancanza di una linea unitaria da parte dei socialisti europei.

Ciò risulta anche da uno scritto di Turati ad Anna Kuliscioff, nel quale il leader socialista afferma: « ...la guerra è come una malattia: può uccidere, può indebolire, niente altro. Non ci farà né più ricchi, né più

saggi, né più produttivi, né più liberi, né più onesti, né più felici di quel che siamo ».

Con la fine della guerra e il sorgere del fascismo, il contrasto tra riformisti e rivoluzionari aH'interno del Partito socialista divenne sempre più acuto: la scissione di Livorno (v.) del 1921 e quella di Roma dell’ottobre 1922 (dalla quale, capeggiato da Turati, Treves e Modigliani nacque il Partito socialista unitario, esplicitamente riformista) lacerarono le forze socialiste dando maggior spazio al fascismo che, nel frattempo, si era posto definitivamente al servizio degli interessi del grande capitalismo industriale e agrario. I riformisti cercarono di imbastire una loro azione specifica, ma ormai fuori da ogni connessione fra tattica e strategia e solo su posizioni[...]

[...]onari aH'interno del Partito socialista divenne sempre più acuto: la scissione di Livorno (v.) del 1921 e quella di Roma dell’ottobre 1922 (dalla quale, capeggiato da Turati, Treves e Modigliani nacque il Partito socialista unitario, esplicitamente riformista) lacerarono le forze socialiste dando maggior spazio al fascismo che, nel frattempo, si era posto definitivamente al servizio degli interessi del grande capitalismo industriale e agrario. I riformisti cercarono di imbastire una loro azione specifica, ma ormai fuori da ogni connessione fra tattica e strategia e solo su posizioni difensive, per tentare di arrestare la sconfitta dei lavoratori. Già il 20.7.1922 (per la prima volta nella storia politica italiana) il socialista Turati si era recato dal re per proporgli di dar vita a un governo con la presenza dei socialisti, ma con il fallimento di questa iniziativa i riformisti pagarono quel

lo che era stato il loro graduale distacco dalle masse, sempre più insoddisfatte dalle condizioni di vita in cui si trovavano. In altri termini, ai riformisti fu impossibile un compromesso con la borghesia in quanto non godevano più dell'appoggio unitario delle masse. Si chiudeva così un ciclo storico del movimento operaio italiano, destinato a subire un lungo periodo di sacrifici imposti dalla dittatura mussoliniana. Durante il ventennio fascista, parte dei riformisti fu costretta all'esilio, ove alcuni chiusero la loro esistenza. Nel luglio 1930, a Parigi, i socialisti si riunificarono riportando all'interno del loro ricostituito partito la dialettica fra le varie espressioni di pensiero. La corrente riformista riprese forza, con il contributo particolare dei vecchi rappresentanti, tra i quali Turati, Treves, Modigliani, Pallante Rugginenti (v.) e di giovani come Giuseppe Faravelli (v.) e Giuseppe Saragat (v.).

Una posizione non sempre coerente col proprio passato fu assunta da alcuni riformisti rimasti in Italia. Fra questi, un gruppo di ex sindacalis[...]

[...]a Parigi, i socialisti si riunificarono riportando all'interno del loro ricostituito partito la dialettica fra le varie espressioni di pensiero. La corrente riformista riprese forza, con il contributo particolare dei vecchi rappresentanti, tra i quali Turati, Treves, Modigliani, Pallante Rugginenti (v.) e di giovani come Giuseppe Faravelli (v.) e Giuseppe Saragat (v.).

Una posizione non sempre coerente col proprio passato fu assunta da alcuni riformisti rimasti in Italia. Fra questi, un gruppo di ex sindacalisti che arrivò a un compromesso con Mussolini attraverso la pubblicazione della rivista Problemi del Lavoro (v.)f o come Emilio Caldara (v.) che, trascinato in un tentativo di intesa con lo stesso Mussolini, fu duramente criticato dai socialisti più giovani.

Secondo dopoguerra

Dopo la Seconda guerra mondiale il riformismo, nelle diverse situazioni esistenti nei vari paesi europei, si orientò sempre più a divulgare il concetto che il progresso di una società non può essere affidato a un solo urto risolutore, ma ai mezzi forniti dall[...]

[...]solini, fu duramente criticato dai socialisti più giovani.

Secondo dopoguerra

Dopo la Seconda guerra mondiale il riformismo, nelle diverse situazioni esistenti nei vari paesi europei, si orientò sempre più a divulgare il concetto che il progresso di una società non può essere affidato a un solo urto risolutore, ma ai mezzi forniti dalle nuove conquiste della democrazia. Alcuni concetti di fondo vennero di nuovo richiamati nei programmi dei riformisti come: portare avanti con le conquiste economiche il principio della libertà deH’uomo; togliere di mezzo tutti i privilegi e le ingiustizie creati dagli uomini stessi rifuggendo dai mezzi violenti; ricercare sempre più l'unione fra azione riformista e rivoluzionaria (intesa come mutamento della situazione esistente) per fare avanzare le forze del lavoro; dare consapevolezza a un riformismo moderno in cammino verso l’esaltazione del sapere, per aprire nuove vie e scoprire nuove verità da conquistare.

Come per tutte le grandi idee, divenute poi ideologia, anche nella storia del riformismo dal[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 390

Brano: [...]ata enorme. La vittoriosa esperienza bolscevica impose d'altra parte la revisione critica di tutta la tattica e la strategia dei partiti socialdemocratici che, nella lotta per le riforme democratiche, si erano esposti a un processo di degenerazione fino a subire l’egemonia politica e ideologica della borghesia. All’interno dei principali partiti socialisti si erano così affermate correnti revisioniste dei principi rivoluzionari del marxismo (dei riformisti italiani si diceva che « avevano messo Marx in soffitta »), e sempre più profondo si faceva il divario tra affermazioni generali e pratica politica. L’esempio più clamoroso era stato, nel 1912, il monito che il Congresso di Basilea della Seconda Internazionale (v.) aveva rivolto ai governi europei di non scatenare una nuova guerra perché, altrimenti, i socialisti avrebbero fatto « guerra alla guerra ». Due anni dopo, quando in effetti la guerra scoppiò, i socialisti francesi, tedeschi, belgi, inglesi e austriaci s’erano affrettati a unirsi alle rispettive borghesie, votando i crediti di guerr[...]

[...]ra una che comportava l'espulsione della corrente riformista capeggiata da Filippo Turati, la delegazione aveva sospeso le trattative per rimettere ogni decisione al Congresso del partito.

Lo schieramento congressuale

A Livorno il P.S.I. si trovò diviso in tre correnti: 1. La massimalista (v. Massimalismo), guidata da Serrati, che era disposta ad accettare le condizioni poste dall’Internazionale salvo una, ossia quella della espulsione dei riformisti fintantoché questi avessero rispettato la disciplina del partito; 2. La corrente comunista capeggiata da Amadeo Bordiga (v.), netla quale confluivano il gruppo delVOrdine Nuovo di Torino (con Gramsci, Terracini, Togliatti, Tasca ecc.), il gruppo del Soviet di Napoli (con lo stesso Bordiga), il gruppo del Lavoratore di Trieste e quello facente capo alla frazione Anseimo Marabini Antonio Graziadei di Imola; 3. La corrente riformista capeggiata da Turati, alla quale aderivano Claudio Treves, Camillo Prampolini, Emanuele Modigliani, Giacomo Matteotti nonché i maggiori dirigenti della Confederazi[...]

[...]ente capo alla frazione Anseimo Marabini Antonio Graziadei di Imola; 3. La corrente riformista capeggiata da Turati, alla quale aderivano Claudio Treves, Camillo Prampolini, Emanuele Modigliani, Giacomo Matteotti nonché i maggiori dirigenti della Confederazione generale del lavoro e del movimento cooperativistico.

Mentre la corrente comunista era d’accordo di accettare tutte le condizioni poste da Mosca, compresa l’espulsione préliminare dei riformisti dal Partito, la corrente riformista sosteneva la necessità di respingere qualsiasi condizione, rinunciando a far parte della Terza Internazionale. I riformisti si impegnavano tuttavia a rispettare, in nome dell’unità del partito, le decisioni della maggioranza.

L’intervento dell’Internazionale

Oltre al rendiconto dell’attività svolta, erano all’ordine del giorno del Congresso vari punti: sul piano di socializzazione, sul programma agrario, sul movimento sindacale, sui comitati di fabbrica, sul controllo operaio, sulla questione nazionale e su quella coloniale, sull’azione del partito nelle pubbliche amministrazioni. Ma l’argomento centrale, che faceva passare in secondo piano tutti gli altri, era quello riguardante l’adesione all’Internazional[...]

[...]ordine del giorno del Congresso vari punti: sul piano di socializzazione, sul programma agrario, sul movimento sindacale, sui comitati di fabbrica, sul controllo operaio, sulla questione nazionale e su quella coloniale, sull’azione del partito nelle pubbliche amministrazioni. Ma l’argomento centrale, che faceva passare in secondo piano tutti gli altri, era quello riguardante l’adesione all’Internazionale Comunista, quindi l’espulsione o meno dei riformisti dal Partito.

In apertura del congresso venne letto un appello dell’Intemazionale che ne riassumeva la posizione sul problema italiano, così come era stata votata dal II Congresso dell’Internazionale stessa svoltosi sei mesi prima a Mosca. Tale appello imponeva, in termini molto duri, la rottura con i riformisti:

« Chi si rifiuta di effettuare questa scissione viola una deliberazione essenziale deirinternazionale Comunista e, con questo solo atto, si pone fuori dalle sue file ». L’appello proseguiva attaccando con aspro tono polemico gli ispiratori della rivista riformista Critica sociale (v.) che si dimostravano contrari alla dittatura del proletariato e aH’Internazionale, quindi aggiungeva: « Nessuna diplomazia ci convincerà che la frazione di concentrazione [riformista] è favorevole alla rivoluzione proletaria. Coloro che vogliono fare entrare i riformisti nell'Internazionale Comunista vogliono[...]

[...]onale Comunista e, con questo solo atto, si pone fuori dalle sue file ». L’appello proseguiva attaccando con aspro tono polemico gli ispiratori della rivista riformista Critica sociale (v.) che si dimostravano contrari alla dittatura del proletariato e aH’Internazionale, quindi aggiungeva: « Nessuna diplomazia ci convincerà che la frazione di concentrazione [riformista] è favorevole alla rivoluzione proletaria. Coloro che vogliono fare entrare i riformisti nell'Internazionale Comunista vogliono in realtà la morte della rivoluzione proletaria. Costoro non saranno mai dei nostri. Il Partito comunista italiano deve essere creato in ogni modo ».

La deliberazione deH’Internazionale venne illustrata da un lungo discorso (letto in italiano da Francesco Misiano) del comunista bulgaro Christo Kabakciev (v.), delegato del Comitato esecutivo dell’I.C. al posto di Zinoviev e Bucharin che non avevano ottenuto dalle autorità italiane il visto di ingresso in Italia. Kabakciev fece un’analisi della situazione economica e politica mondiale concludendo che in[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 391

Brano: [...]ati aggiungeva: « E poi, io penso, son ben rari coloro che si trovano d'accordo con voi a proposito dell'aiuto che potrà venire alla rivoluzione italiana non soltanto dall'Europa centrale, ma anche dall’Inghilterra, dalla Francia e dagli Stati Uniti, nei quali paesi la rivoluzione, sotto vostro ordine, dovrebbe essere affrettata».

Lenin, per contro, muoveva dalla impostazione generale del II Congresso dell’I.C. sulla necessaria epurazione dei riformisti e dei controrivoluzionari dai partiti aderenti alla III Internazionale. Egli notava che anche tra i socialisti italiani vi erano due partiti inconciliabili, i comunisti e i socialdemocratici, quindi bisognava scegliere: o con gli uni o con gli altri. La rottura con i socialdemocratici era inevitabile se si voleva stare nella III Internazionale, tanto più in quanto « si avvicinano battaglie decisive del proletariato contro la borghesia per la conquista del potere statale ».

La tesi centrale dei bolscevichi era che « per la rivoluzione, per la vittoria della rivoluzione, l’avanguardia effett[...]

[...]o rivoluzionario nel quale vive ».

Il dissenso era originato da valutazioni radicalmente diverse della situazione italiana e mondiale, cui conseguivano due contrastanti indirizzi della tattica e della strategia. Gli avvenimenti successivi dimostreranno che Serrati era più vicino alla realtà, sebbene nella foga polemica Kabakciev fosse arrivato a dire al Congresso: « Se voi fate un parallelo fra le dichiarazioni di Serrati e la risoluzione dei riformisti votata a Reggio Emilia, vedrete chiaramente che il compagno Serrati si è definitivamente collocato sul terreno dei riformisti ».

Le parole del delegato del TLC. suscitarono un putiferio, tanto che Io stesso Serrati dovette intervenire per permettere a Kabakciev di continuare il suo discorso. Kabakciev contestò allora la tesi dei massimalisti (comunisti unitari), secondo la quale esistevano « condizioni speciali e particolari dell'Italia » per chiedere l’adesione aH’Intemazionaie senza espellere la corrente riformista, fino a quando questa avesse accettato la disciplina di partito. Premettendo che il Partito comunista italiano doveva « creare subito una organizzazione ben centralizzata e disciplinata del proletari[...]

[...] Partito comunista italiano doveva « creare subito una organizzazione ben centralizzata e disciplinata del proletariato italiano, unificare e codificare e coordinare gli sforzi rivoluzionari

parziali in un grande e profondo movimento rivoluzionario e dirigerlo coscientemente verso la conquista del potere politico e l'instaurazione della dittatura del proletariato », Kabakciev affermò che tutto questo non sarebbe stato possibile fintanto che i riformisti fossero restati « nelle sue file per disorganizzarlo e sabotare la sua lotta rivoluzionaria », in quanto i riformisti « nei momenti decisivi avrebbero paralizzato la sua azione e consegnato la fortezza nelle mani del nemico ». Questo avrebbe preparato, insomma, « il soffocamento della rivoluzione ». Quanto al pericolo di un attacco controrivoluzionario dall’esterno in caso di conquista del potere in Italia, Kabakciev lo ammise, ma aggiunse che la solidarietà del proletariato europeo l’avrebbe sventato.

Erano precise direttive politiche e, riguardo ai riformisti, giudizi basati sulla generalizzazione di ciò che la socialdemocrazia aveva fatto in altri paesi, specialmente in Germania (v.). Vi era certamente un ritardo nel prendere atto che, in Europa, l’ondata rivoluzionaria seguita alla guerra mondiale era in riflusso, ma ormai le posizioni erano irremovibili: si andava verso la scissione del vecchio Partito socialista e verso la costituzione di un Partito comunista autonomo.

Le mozioni

li dibattito congressuale a Livorno si polarizzò intorno a tre mozioni fondamentali: 1. Quella riformista, detta di « concentrazione » o di Reggio Emilia; 2. Qu[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 720

Brano: [...]versari. Di queste dottrine non ho mai dubitato e non dubito ancora (...) la violenza è un metodo di lotta inferiore, brutale, Illusorio soprattutto, figlio di debolezza, fonte di debolezza (...). Chi saprà patirla e non renderla, domani sarà il più forte ».

Del resto, al di sotto di questo rinunciatarismo c’è una estrema incertezza sul contenuto reale di classe del fascismo, che sulle colonne della stessa rivista e nei discorsi dei dirigenti riformisti è talvolta confusamente intuito e tal'altra negato e svuotato. Come quando il Turati (discorso parlamentare del 22.3.1921) afferma che il fascismo « non è, come si vuol sostenere, un

fenomeno di borghesia, ma (...) di disoccupazione della guerra, di anticiviltà e quindi di antiborghesia per eccellenza». Un vivente anacronismo, quindi, necessariamente di breve durata.

Sarebbe vano, in questo fondo comune, cercare nella rivista la personalità politica che si stacchi per la precisione dell’analisi e per la ricerca di una diversa indicazione politica. Lo stesso combattivo Matteotti non oltr[...]

[...]esto riprende il ciclo già de* lineato dei disinganni, dei vacui moniti alla classe dominante, della investitura antifascista di forze borghesi specie attraverso l'instaurazione di un « colloquio » con i cattolici del Partito popolare e l’appello diretto alla Corona (andata di Turati al Quirinale, 28.7.1922).

Con tutto ciò, specialmente da parte del Turati e del Treves, è costantemente riaffermata la tipica « visione collaborazionistica » dei riformisti: « penetrazione socialista nello Stato; destreggiamento sul terreno democraticoparlamentare; dividere la borghesia strappando dal centro al controStato antiproletario l’appoggio dello Stato ufficiale »7 (editoriale Sulla piattaforma del dolore, del lavoro, della speranza!, 1 15.8. 1922); e siamo all’ultimo ministero Facta, alla vigilia della marcia su Roma, alla nuova scissione del P.S.I. con l’allontanamento dei riformisti.

« Se» come noi fermamente crediamo, la borghesia e il regime capitalistico non possono vivere fuori del sistema rappresentativo e delle forme democratiche, presto verrà che i ceti più consapevoli e vigili della borghesia ritorneranno al proletariato per chiedere umilmente aiuto e cooperazione alla riscossa necessaria e per chiedere perdono della folle, iniqua e crudele politica di persecuzione del proletariato da essi armata, quando — gli imbecilli! — si prestavano a segare con gran foga il ramo dell’albero su cui si assidevano! ». Più che un commento politico alla marcia su Roma queSte p[...]

[...]sa necessaria e per chiedere perdono della folle, iniqua e crudele politica di persecuzione del proletariato da essi armata, quando — gli imbecilli! — si prestavano a segare con gran foga il ramo dell’albero su cui si assidevano! ». Più che un commento politico alla marcia su Roma queSte parole di Claudio Treves, apparse nel numero della rivista del 1630.

11.1922 sotto il titolo Libertà, possono essere Intese come l’epitaffio che i socialisti riformisti ponevano sulla loro stessa politica d| fronte all’avvento del fascismo, e sull’analisi che avevano condotto dei caratteri storici di tutto il dopoguerra italiano. C’è, infatti, nello scritto di Treves, la teorizzazione di un rapporto capitalismo

democrazia che è quella classica del riformismo, e che proprio il fascismo al potere doveva dimostrare nel modo più chiaro erronea e illusoria. E c’è, in conseguenza, una concezione della politica del proletariato come interna alla democrazia e come puntello di una sua pacifica evoluzione in senso costituzionale e progressivo, dalla quale il prolet[...]

[...]quale « Critica sociale » era stata, per oltre un trentennio, la coerente banditrice in Italia.

Dopo la marcia su Roma

Le prime reazioni alla conquista fascista del potere sono unanimi nella considerazione che « il socialismo è nei fatti» (115.11.1922) e che il fascismo « si sta sgretolando fatalmente » (Turati a Nofri, 27 novembre, ma probabilmente ottobre 1922). Ma i nuovi eventi lasciano lacerazioni profonde tra le esigue file dei socialriformisti, ed esse si riflettono anche sulle pagine della rivista, particolarmente in ordine all’atteggiamento da tenere nei confronti del nuovo governo. Se si prevede il « profilarsi, a non lontana scadenza, (di) una nuova lega di tutti gli uomini liberi (...) per la salvaguardia degli interessi collettivi più alti e più veramente nazionali » (editoriale Ora di attesa e di preparazione, 115 novembre); se non cessa, ma anzi trova espressione ufficiale, nel manifesto del 2.11.1922 del nuovo Partito socialista unificato, l’appello al « silenzio », alla « prudenza », alla « virtù di sacrificio », vario e [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 532

Brano: [...]per i lavoratori. Grazie a quell’ondata di lotte, le Camere del lavoro diventarono 58.

Il giolittismo

Dal 1903 venne a instaurarsi fra Giovanni Giolitti (diventato presidente del Consiglio), il P.S.I. e il movimento sindacale un tacito patto di mutua alleanza. La Direzione del Partito socialista, come quella delle Camere del lavoro e delle Federazioni di categoria (che nel frattempo si erano pure moltiplicate) in quegli anni era in mano ai riformisti, ma nello stesso tempo aveva preso piede in Italia il sindacalismo rivoluzionario (v.) che era riuscito . a diventare maggioritario in parecchie Camere del lavoro. Diviso tra riformismo e anarcosindacalismo, il movimento dei lavoratori venne quindi a trovarsi più debole e sulla difensiva, con il rischio di restare paralizzato. A poco valse, per sbloccare questa situazione, la mediazione tentata da un Segretariato centrale della resistenza, costituito nel 1902.

Nel 1904, dopo un eccidio di lavoratori perpetrato dalla forza pubblica a Buggerru (v. Cagliari), i riformisti si videro costretti [...]

[...]maggioritario in parecchie Camere del lavoro. Diviso tra riformismo e anarcosindacalismo, il movimento dei lavoratori venne quindi a trovarsi più debole e sulla difensiva, con il rischio di restare paralizzato. A poco valse, per sbloccare questa situazione, la mediazione tentata da un Segretariato centrale della resistenza, costituito nel 1902.

Nel 1904, dopo un eccidio di lavoratori perpetrato dalla forza pubblica a Buggerru (v. Cagliari), i riformisti si videro costretti a proclamare lo sciopero generale per non farsi scavalcare a sinistra dagli anarcosindacalisti, ma questa prova di forza (che per quattro giorni bloccò l’intero Paese ma senza avere alcuna chiara prospettiva di sbocco) ottenne il solo effetto di spaventare la borghesia. Giolitti fece abilmente un immediato ricorso alle urne e tutte le sinistre (socialisti, repubblicani e radicali) subirono una pesante sconfitta elettorale.

Altrettanto fallimentare fu lo sciopero proclamato dai ferrovieri nel 1905 contro le modalità di nazionalizzazione delle ferrovie: organizzato second[...]

[...]ipazione dei lavoratori delle altre categorie. In seguito a questo nuovo clamoroso insuccesso il Segretariato della resistenza non potè far altro che dimettersi.

Nascita della C.G.L

Sulla spinta della F.I.O.M., la forte Federazione di categoria dei metalmeccanici, in un tumultuoso congresso del 1906 nacque a Milano la Confederazione generale del lavoro [C.G.L.), prima centrale sindacale italiana. Lo statuto approvato fu quello proposto dai riformisti, quantunque i sindacalisti rivoluzionari avessero presentato un loro controprogetto, e i fatti presto dimostrarono che la C.G.L., monopolizzata dai socialisti riformisti, era un'organizzazione solida e accentrata, ma anche burocratica, legalitaria, propensa più ai negoziati che alle lotte e sempre timorosa delle agitazioni. Nonostante si trovassero in minoranza, nel biennio 19071908 i sindacalisti rivoluzionari furono alla testa degli scioperi contro il vertiginoso aumento dei prezzi dovuto alla crisi economica, ma queste agitazioni si conclusero sistematicamente con delle sconfitte (v. Anarchici). Da quel momento anche il padronato cominciò peraltro a organizzarsi sindacalmente, dando vita (1910) alla Federazione lombarda delle Associazioni imprenditoriali e[...]

[...]a Torino il movimento dei Consigli di fabbrica (v.), organismi eletti da tutti gli operai (e non dai soli sindacalizzati), i quali impressero nuova forza alle Commissioni interne (v.) che gli industriali erano stati costretti a riconoscere in tutte le fabbriche nel febbraio 1919. Le lotte sindacali, rapidamente estesesi a tutto il Nord, sfociarono nel settembre 1920 nell 'occupazione delle fabbriche (v.) che, mal gestita dai dirigenti socialisti riformisti, si concluse con una nuova sconfitta. Molto importanti anche sotto il profilo politico, questi eventi influenzarono numerosi quadri operai che, staccandosi dal P.S.I., daranno vita nel 1921 al Partito comunista d’Italia.

La “grande paura” scatenata nel padronato e nell’opinione pubblica

532



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 227

Brano: Roma

trollati dalla Camera del lavoro: vetturini, muratori (giugno 1908) e panettieri (ottobre), decisi a rifiutare la contrattazione nonostante la posizione contraria della Camera del lavoro e della Lega generale, furono sconfitti. Gli “addomesticati” (come venivano chiamati i dirigenti riformisti della Camera del lavoro) tacevano, mentre i sindacalisti rivoluzionari e gli anarchici si muovevano a loro agio nello scomposto proletariato romano, portando le masse alla sconfitta. Anche i metallurgici sfuggirono al controllo della Lega generale, muovendosi indipendentemente dalle sue parole d’ordine (ottobre 1909).

Nel 1909 Leonida Bissolati (v.) affermava che, nei conflitti fra capitale e lavoro, Roma offriva « nel contegno della classe capitalistica le impronte del Medio Evo ». Marcello Sacconi e l’anarchico Ettore Sottovia, della Lega generale del lavoro, dichiaravano: « Il manipolo [...]

[...]rà a termine, nel Nord, l’abortito tentativo romano di scissione.

Il fronte del malcontento si estendeva, mentre i critici del “quietismo” socialista si moltiplicavano. Tra gli altri, a Roma, l’ex dirigente del movimento giovanile Paolo Orano, nella rivista La Lupa, polemizzava contro l’abbandono della lotta di classe, i « bramini del socialismo, il blocchismo ». Nel congresso socialista del Lazio (2.10.1911) gli intransigenti schiacciarono i riformisti (con 732 voti contro 15 e 69 astensioni), denunciando il fallimento della « partecipazione al potere » e l’incompatibilità « dell’appoggio al governo con ogni vera azione socialista ». La decisione segnerà il destino dell’operazione Nathan e prefigurerà lo stesso futuro del partito: infatti a Modena (ottobre 1911) i riformisti, scissi nell’ala tout court collaborazionista di Bissolati e in quella collaborazionista sub condicione di Filippo Turati e Claudio Treves, saranno battuti dagli intransigenti. Ma in quel congresso non si trassero ancora le conseguenze della contrapposizione: l’espulsione di Bissolati e compagni avverrà nel successivo congresso socialista di Reggio Emilia (giugno 1912).

A Modena i riformisti tentarono di ricuperare qualche posizione con lo spostamento dell'“Avanti!” a Milano, decisione contro la quale insorsero inutilmente Romolo Sabbatini e Costantino Lazzari (v.). La battuta d’arresto fu compensata dall’ingresso in Direzione degli intransigenti romani Velia e Zerbini.

Guerra libica (1911)

Nella precaria alchimia socialista, la guerra di Libia operò da reagente. Il partito apparve spiazzato. Lo sciopero di protesta del 26.11.1911, dalla mezzanotte a mezzogiorno, fu un fallimento. I socialisti si posero sulla difensiva, proclamando « orrore per questi metodi briganteschi »,[...]

[...] del lavoro di Roma si susseguivano le polemiche contro la dirigenza milanese, nonché gli scioperi all’insegna di parole d’ordine confuse (lo sciopero per i fatti di Milano del 19.6.

1913 fu volto anche a sollevare la questione ospedaliera), mentre l’U. S.l. rivendicava la direzione del movimento. Nello stesso tempo, gli intransigenti sdegnavano di partecipare alle elezioni del vertice dell'Unione socialista romana, alla cui guida tornarono i riformisti. Analogo risultato questi ultimi ottennero nelle elezioni della Camera del lavoro, sia pure con una risicata maggioranza, contro repubblicani e anarchici.

Settimana rossa

Esistevano le premesse di una crisi multipla: di identità politica e di rappresentatività sindacale. I 15.090 aderenti alla Camera del lavoro del 1911 scesero nel 1912 a 11.651, per risalire a 12.432 nel 1913. Si ripresentava la frizione, quasi connaturata alla realtà romana, fra base e dirigenza socialista, ma il problema non era solo locale: era in atto un duello con la dirigenza della Confederazione generale del lav[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol VI (T-Z e appendice), p. 669

Brano: Appendice

cabilmente. Questi massimalisti fatalisti devono essere rudemente risvegliati dalla voce del proletariato insofferente all’inazione [...]. Per distinguersi con sicurezza assoluta dai riformisti e dai massimalisti evanescenti e d’occasione, nessun mezzo appare più limpido alla nostra coscienza socialista che l’atto di ripetuta adesione alla Terza Internazionale, glorificazione e difesa della rivoluzione russa in se stessa e come focolare, esempio e monito al mondo proletario ».

Poste così le basi per una chiarificazione aH'interno del partito, il manifesto tracciava le direttive d’azione in campo sindacale, dando per la prima volta una base concreta alla parola d’ordine del “fronte unico” e dell’adesione all’I.C..

Attività della frazione

Nonostante la maggiore notorietà di L[...]

[...]ialista della zona omonima, egli farà di questo periodico l'organo della frazione fino all’apparizione del settimanale Più avanti! (v.) che vide la luce per la prima volta a Milano il

26.5.1922.

La polemica coi massimalisti ebbe una momentanea tregua alla vigilia del XIX Congresso del P.S.I., convocato a Roma nelle giornate dall’1 al 4.10.1922 e nel corso del quale una mozione massimalistaterzinternazionalista che chiedeva l'espulsione dei riformisti e l’adesione all'l.C. prevalse, con 32.100 voti contro 29.199, sulla mozione degli “unitari”. Conseguentemente i riformisti, ai quali si aggiungevano i centristi, venivano espulsi dal P.S.I. e costituivano il nuovo Partito Socialista Unitario [P.S.U.).

Nel novembre si riuniva a Pietrogrado il IV Congresso deH'I.C. e, dall'Italia, vi parteciparono due delegazioni, rispettivamente del P.S.I. e del P.C.d’i.. Il Congresso nominò una commissione per la fusione tra i due partiti, composta da Giovanni Tonelli (v.), Fabrizio Maffi e Giacinto Menotti Serrati (v.) per i socialisti, e da Antonio Gramsci (v.), Mauro Scoccimarro (v.) e Angelo Tasca (v.) per i comunisti. La sostanza degli accordi raggiunti da tale commission[...]

[...]faceva.

Il giorno dopo, l’“Avanti!” pubblicava un articolo di Serrati inviato dall'Unione Sovietica e dal titolo L’unità comunista, nel quale si inneggiava alla futura fusione.

« V’è posto per due partiti rivoluzionari, oggi, nella presente situazione, in Italia? — scriveva Serrati. — Vi è posto per due partiti rivoluzionari il cui programma è identico, la cui sola differenza sta nel contegno rispettivamente tenuto tino a Ieri di fronte ai riformisti? Vi è posto per due partiti il cui contegno oggi — anche nei riguardi dei riformisti — è identico? La politica non si fa di irritazioni e di dispetti. La politica è la realtà. La realtà oggi è questa che tra massimalisti che hanno accettato con piena scienza e coscienza il programma di Bologna, e comunisti che si separarono da essi a Livorno, non vi è altra differenza che quella scavata dalle stupide e miserevoli questioni personali e locali, dalle violenze verbali [...]. Al fronte unico borghese i proletari rivoluzionari, i socialisti della lotta di classe devono opporre il loro fronte unico. L'unione dei due partiti Socialista e Comunista è la prima condizione indispensabil[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 170

Brano: Riformismo

pitale e forzalavoro, sono scaturite le politiche riformistiche via via perseguite e realizzate (o meno) nel corso della lotta di classe nei vari paesi. Quando questa dialettica tra le classi è stata coercitivamente bloccata per intervento di gruppi impadronitisi dello Stato, oppure, in situazioni di libero mercato, essa è stata impedita dalle forze capitalistiche consolidatesi fino a togliere ogni possibilità di difesa ai lavoratori, si sono avuti regimi totalitari e fascisti. Naturalmente il problema è sempre presente nelle fila del movimento operaio di ogni paese capitalistico.

ComuniSmo e riformismo

Nel 1962 Pai miro Togliatti, in un saggio d[...]

[...]menticare gli obiettivi finali della lotta delle classi lavoratrici, isolando la riforma stessa dal complesso delia lotta per superare il regime capitalistico. L’azione della classe operaia in conseguenza di questa rottura tende ad arrestarsi, perde il suo slancio, il suo entusiasmo, la molla che la spinge ad avanzare. La lentezza diventa questione non più soltanto di misura, ma di qualità. Il movimento operaio, stagnando attorno a una posizione riformistica, si riduce ad es

sere forza subalterna in una società capitalistica, non riesce a vedere in ogni successiva sua conquista, anche parziale, un passo compiuto verso l’obiettivo finale e a servirsi di esso per procedere con maggior sicurezza e più spedito ». (Da “Rinascita”, a. XIX, n. 13, 28.7.1962).

E.Ni.

Riformismo socialista

Come prassi politica del movimento operaio, a partire dalla fine del secolo XIX il riformismo (v.) si è sempre più largamente affermato in Europa, con caratteristiche e vicende diverse da paese a paese, secondo le rispettive situazioni economiche e i rappor[...]

[...]o, un organo socialista, diventando uno dei più autorevoli esponenti del riformismo in campo internazionale. Eletto deputato socialista indipendente nel 1889, tradendo i suoi compagni nel 1898 lo stesso Millerand entrò a far parte del gabinetto WaldeckRousseau che aveva tra i suoi ministri Gallifet, noto come il “boia” della Comune. Il suo comportamento provocò la spaccatura del Gruppo parlamentare socialista, che si divise tra “rivoluzionari” e riformisti.

Nel 1903 Millerand pubblicò Le socialisme rif or miste f rancai s, un testo che acquistò larga notorietà e che esponeva appunto la concezione del suo autore. In polemica con i compagni egli scriveva: « ...se noi giudichiamo la violenza condannabile e inutile, se le riforme legali ci sembrano l’obiettivo immediato e il solo procedimento pratico per accostarsi al fine lontano, chiamiamoci col nostro nome: riformisti, perché tali siamo ».

Confutando la tesi della “inevitabile catastrofe” del capitalismo, Millerand respingeva quindi come illusoria e peggio l’ipotesi di una “rivoluzione” socialista, sostenendo che la polarizzazione delle classi prevista dai marxisti non si era verificata e che, d'altra parte, il privilegio politico della classe possidente ormai non esisteva quasi più. A suo parere, la democrazia progredita in quasi tutti i paesi aveva permesso al popolo di essere presente nelle istituzioni con propri delegati e, attraverso uno sviluppo sempre più largo delle istituzioni democratiche sott[...]

[...]o delle classi lavoratrici, si sarebbe avuto il sicuro sviluppo del socialismo.

Come è noto, il riformista Millerand finì per diventare ministro della Guerra e fu tra i più duri repressori delle lotte operaie in Francia (v.).

Figura ben diversa di riformista fu Jean Jaurès (v.) che tenacemente lottò per impedire la Prima guerra mondiale, attirandosi l’odio dei peggiori reazionari fino a cadere assassinato da un fanatico il 31.7.1914. Tra i riformisti francesi sono da ricordare anche R.R. Hervé, Léon Blum (v.) posto a capo del governo di Fronte popolare nel 1936, Paul Faure e Léon Jouhaux (v.), segretario generale della C.G.T..

Germania

Primo teorico del riformismo in Germania (v.) fu Ferdinando Lassalle (v.) che, dopo essere stato in contatto con Marx, se ne allontanò. Nel 1862 egli pubblicò il “Programma degli operai”, come testo base per la formazione del movimento socialista tedesco, nel quale teorizzava come metodo di conquista

170



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 171

Brano: [...]mista italiano, al quale si affiancarono, oltre a Prampolini, Claudio Treves (v.), Giuseppe Emanuele Modigliani (v.), Leonida Bissolati e molti altri.

La prima affermazione della corrente riformista in seno al P.S.I. si ebbe al Congresso di Roma (settembre 1900), con la presentazione di un programma « minimo » socialista, « come fase di transizione dall’epoca borghese alla socialista ». Basandosi sulle condizioni allora esistenti in Italia, i riformisti sostenevano la possibilità di collaborare con la borghesia più avanzata per appoggiare quelle leggi che, in qualche modo, avessero favorito il progresso dei lavoratori.

Al successivo Congresso di Imola (1902), riprendendo un’argomentazione già espressa pubblicamente, Turati affermò: « L’azione del partito è riformista perché è rivoluzionaria; è rivoluzionaria perché riformista, ossia l'azione del Partito è semplicemente socialista », definendo così la linea che la sua corrente avrebbe mantenuto anche in seguito. Dopo quel congresso, i contrasti tra riformisti e rivoluzionari all'interno de[...]

[...]qualche modo, avessero favorito il progresso dei lavoratori.

Al successivo Congresso di Imola (1902), riprendendo un’argomentazione già espressa pubblicamente, Turati affermò: « L’azione del partito è riformista perché è rivoluzionaria; è rivoluzionaria perché riformista, ossia l'azione del Partito è semplicemente socialista », definendo così la linea che la sua corrente avrebbe mantenuto anche in seguito. Dopo quel congresso, i contrasti tra riformisti e rivoluzionari all'interno del partito andarono costantemente acuendosi fino a diventare, in alcuni periodi, del tutto insanabili.

Nel 1903 il liberale Giovanni Gioì itti (v.), esponente del capitalismo italiano più progredito, divenuto presidente del Consiglio invitò esplicitamente i capi riformisti a entrare nel suo governo per integrare le forze del movimento operaio nel meccanismo dello Stato liberale borghese, invito che venne raccolto da Leonida Bissolati e dal suo

gruppo. Durante il periodo “giolittiano” furono concessi ai lavoratori il suffragio universale maschile e alcune leggi sociali, ma quando Giolitti, facendosi forte del consenso ottenuto fra i socialisti, pretese di averne l’appoggio per la guerra coloniale di Libia (1911) le masse si ribellarono e Bissolati venne espulso dal P.S.I. in quanto sostenitore deN’impresa libica. Allora egli fondò coi suoi amici un nuovo part[...]

[...]le maschile e alcune leggi sociali, ma quando Giolitti, facendosi forte del consenso ottenuto fra i socialisti, pretese di averne l’appoggio per la guerra coloniale di Libia (1911) le masse si ribellarono e Bissolati venne espulso dal P.S.I. in quanto sostenitore deN’impresa libica. Allora egli fondò coi suoi amici un nuovo partito esplicitamente riformista che però non ebbe seguito fra i lavoratori. Fino all’inizio della Prima guerra mondiale i riformisti costituirono la corrente maggioritaria all’interno del P.S.I. e, attraverso la loro azione, i lavoratori portarono avanti nuove rivendicazioni. La partecipazione alle elezioni di organismi politiciamministrativi permise al Partito socialista di conquistare importanti amministrazioni comunali, fra cui Milano e Bologna, nelle quali furono eletti sindaci socialisti.

In quegli anni, Turati affermò ripetutamente che « le elezioni non sono un atto strumentale e di transizione all'attività trasformatrice »; in altri termini, il leader socialista sosteneva che non bisognava concepire le elezioni c[...]

[...]a costituzionale” e la corrente riformista si arricchì di prestigiose personalità in ogni campo: uomini di cultura (^\lessandro Levi, Rodolfo e Ugo Guido Mondolfo, Giuseppe Rensi, Giovanni Zibordi) ; avvocati di grido, come il già citato Giuseppe Emanuele Modigliani e Genunzio Bentini, economisti cooperatori [Nullo Baldini, Giuseppe Massarenti) ; politici di grande prestigio [Giacomo Matteotti, Enrico Dugoni, Morriconi) che affiancarono i vecchi riformisti fra i quali, oltre a Turati, Treves e Prampolini, spiccavano le figure di Antonio Vergnanini, Anna Kuliscioff, Emilio Cai dar a, Francesco Za nardi, Nino Mazzoni.

Nel giugno 1914, dopo un grande sciopero dei ferrovieri e la proclamazione di uno sciopero generale, scoppiarono ad Ancona tumulti che si estesero non solo nelle Marche e in Romagna, ma anche in altre parti d’Italia (v. Settimana rossa].

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 719

Brano: [...]settembre).

Quando il leader riformista si esprime in questi termini egli ha già dato un giudizio preciso della situazione e ne ha già inquadrato gli sviluppi lungo le tre linee alternative del leninismo, della democrazia e della « dittatura militare ».7tfmanendo ancora in ombra questa terza soluzione, tutti gli sforzi sono rivolti contro la rivoluzione, in nome di una democrazia conseguente (« democrazia e probità ») sostenuta dai socialisti riformisti. Non vi debbono essere dubbi tra Wilson e Lenin. Il pericolo di una reazione di destra compare solo alla fine, come monito di natura morale: « Se la storia chiama poi i becchini, di chi la colpa », tutto rivolto ai compagni di partito (art. Esiste il Parlamento?, in Critica sociale, 115.1.1919).

Più concreto diventa lo spettro del fascismo dopo le elezioni politiche, i cui risultati seminano il terrore nella borghesia. L’editoriale del 1630.11.1919, Il senso di una vittoria, scritto probabilmente dal Treves, chiama già in causa « la plutocrazia, unica vincitrice della guerra, assoldatrice [...]

[...]cialismo? Le Ipombe, che a Milano, a Venezia, a Bologna, a Foggia, hanno risposto alle proclamazioni delle nostre vittorie, sono state il gesto di solitarii insensati. Ma ai riflessi di quelle detonazioni potrebbero trar lume e coordinazione propositi più cauti e più perfidi di reazione! Non si perda di vista che l’Esecutivo in Italia domina ancora il Legislativo ». Sono parole precise, scritte nel momento di massimo « sinistrismo » degli stessi riformisti, dopo il congresso di Bologna del P.S.I.. Ma le indicazioni politiche che sono tratte da quelle premesse già anticipano la linea « tolstoiana » degli anni successivi: « Il proletariato (...) eluderà le sobillazioni della demagogia dei vinti con la sapienza di attesa e la fiducia in se stesso ».

Parallelamente, a dimostrazione che proprio nei gruppi dirigenti del P.S.I. non £i aveva fiducia nel proletariato, Giovanni Zibordi (considerando gli elementi del successo socialista nelle urne, nel numero della rivista dell'115.1.1920) vedeva il « regime borghese palesarsi incapace a continuare la [...]

[...]« di quella faiblesse irritable, come dicono i medici, che può anche condurre, se non sia energicamente curata, alla paralisi progressiva della società come dègll individui »; a cui si può rispondere "solo con il resistere a qualsiasi tipo di violenza, « sia violenza rossa, o bianca, o nera, o gialla o di qualsiasi altro colore » (Turati alla Camera, 21.7.1920).

L’accento è ancora contro il « leninismo »,

perché esso rimane, nella diagnosi riformistica, il pericolo principale. Così lo Zi bordi, commentando i fatti dì Palazzo d’Accursio (v.), rileva che « il tragico, orrendo episodio del Consiglio Comunale fu l’occasione a una ripresa borghese formidabile (che) trova momentanei consensi in quella grande zona media neutra di opinione pubblica, senza di cui nessun partito può dominare, perché alcune forme del nrfovimento socialista e proletario bolognese avevano allontanato da sè questa zona, avevano sparso del malcontento nella cittadinanza (...) perché i socialisti han fatto fare troppi scioperi, han seccato la cittadinanza con troppo freq[...]

[...] zona, avevano sparso del malcontento nella cittadinanza (...) perché i socialisti han fatto fare troppi scioperi, han seccato la cittadinanza con troppo frequenti agitazioni (...). Ecco i massimalisti all’esame. Cos’ha dato di prodotto? Sul campo della violenza, disastri. Non riusciamo; non è il nostro mestiere » (// Congresso della luce, nel numero del 1631.12.1920). Ci troviamo qui di fronte a uno degli aspetti più interessanti della polemica riformistica, cioè alle anticipazioni che in essa ricorrono della critica dj parte democratica all'atteggiamento dei partiti operai (e dello stesso movimento spontaneo delle lotte), di fronte al fascismo. È tipica questa affermazione sulla mancata alleanza con i ceti intermedi, che costituirà un leitmotiv democraticoriformista e che darà luogo a risultati storiograficamente notevoli ma che può nascere solo su un terreno di estraneazione dai temi vivi della lotta, che era allora ingaggiata direttamente sul terreno della rivoluzione e del potere, e non su quello della democrazia e del suo allargamento.
[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine riformisti, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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