Brano: Riformismo
il superamento di istituti e tradizioni feudali obsoleti, senza una più larga partecipazione dei sudditi (visti sia come produttori che consumatori), quindi senza una democratizzazione della vita pubblica e delle istituzioni, cui veniva chiesto di garantire per legge condizioni ottimali allo sviluppo della libera iniziativa privata.
Di queste esigenze si faranno interpreti in Italia i sostenitori del liberalismo (v.) e dello Stato costituzionale contro l’assolutismo, dai cattolici moderati (detti neoguelfi) Cesare Balbo (17891853), Vincenzo Gioberti (18011852) e Giuseppe Montanelli (181[...]
[...] i rapporti di produzione nelle campagne ecc.. La stessa unità d’Italia è da vedersi come il principale obiettivo perseguito dalla borghesia liberale “riformista” (con i noti limiti e, per di più, legata agli interessi degli Stati capitalistici europei più avanzati) per assicurarsi la piena disponibilità delle risorse del paese in un regime di libero mercato.
Carico di significati reali alquanto diversi e di contenuto perfino antitetico è il “riformismo” entrato a far parte del bagaglio ideologico del movimento operaio europeo negli ultimi decenni del secolo XIX e infine di quello italiano, come una particolare ideologia e linea politica nel corso delle lotte di classe. Secondo questa ideologia, il proletariato doveva migliorare le proprie condizioni di esistenza attraverso la conquista di “riforme”, ossia di limitate e graduali conquiste sociali ed economiche, senza pretendere e tanto meno imporre con la violenza radicali trasformazioni nella struttura della società capitalistica. Il riformismo operaio teorizzava quindi la conservazione dei[...]
[...]nni del secolo XIX e infine di quello italiano, come una particolare ideologia e linea politica nel corso delle lotte di classe. Secondo questa ideologia, il proletariato doveva migliorare le proprie condizioni di esistenza attraverso la conquista di “riforme”, ossia di limitate e graduali conquiste sociali ed economiche, senza pretendere e tanto meno imporre con la violenza radicali trasformazioni nella struttura della società capitalistica. Il riformismo operaio teorizzava quindi la conservazione dei rapporti di produzione in atto, lasciando immutato il principio di appropriazione capitalistica del plusvalore prodotto dalla forzalavoro, ma cercando di ottenere che, nella distribuzione di questo plusvalore, una parte dell’incremento determinato dalla crescente produttività del lavoro fosse elargita (direttamente o in forme indirette, cioè sociali) ai lavoratori stessi. Mutuando dalla cultura politica democraticoborghese il concetto di “riformismo”, veniva così
introdotta nel movimento operaio una mistificazione teorica, la quale risulta evi[...]
[...]ne dei rapporti di produzione in atto, lasciando immutato il principio di appropriazione capitalistica del plusvalore prodotto dalla forzalavoro, ma cercando di ottenere che, nella distribuzione di questo plusvalore, una parte dell’incremento determinato dalla crescente produttività del lavoro fosse elargita (direttamente o in forme indirette, cioè sociali) ai lavoratori stessi. Mutuando dalla cultura politica democraticoborghese il concetto di “riformismo”, veniva così
introdotta nel movimento operaio una mistificazione teorica, la quale risulta evidente ove si consideri che, mentre il riformismo classico borghese postulava e perfezionava il passaggio di poteri avvenuto tra due classi entrambe dominanti (cioè dal sistema feudale a quello capitalisticoborghese) senza mutare e anzi sotto vari aspetti perfezionando lo sfruttamento della forzalavoro, il “riformismo” operaio non postulava affatto un passaggio di potere, dava per scontato il dominio capitalistico e lo consolidava nella pratica consentendogli di superare le proprie crisi ricorrenti e di assorbire, ammortizzandole, le conseguenze della inevitabile lotta di classe. Il riformismo diventava così funzionale allo sviluppo del capitalismo.
La storia ha dimostrato che a propugnare il riformismo sono sempre state le élites burocratiche e parlamentari dei partiti operai e dei sindacati (in generale con il sostegno dei capitalisti più accorti e aggressivi), élites che per le loro caratteristiche strutturali e operative hanno sempre costituito obiettivamente un ceto privilegiato all’interno del movimento. I quadri dirigenti di questo ceto in buona parte provengono dalla piccola borghesia e, nel loro insieme, essi vengono di fatto cooptati dai gruppi borghesi dominanti. In quei partiti, movimenti o sindacati, dove si sono trovate a convivere forze rivoluzionarie e gruppi riformisti, nei [...]
[...]ona parte provengono dalla piccola borghesia e, nel loro insieme, essi vengono di fatto cooptati dai gruppi borghesi dominanti. In quei partiti, movimenti o sindacati, dove si sono trovate a convivere forze rivoluzionarie e gruppi riformisti, nei momenti di più acuta lotta di classe questi ultimi si sono pertanto sempre schierati su posizioni conciliatrici e rinunciatarie o sono passati apertamente al campo avverso. Corollario indispensabile del riformismo operaio è il revisionismo (v.) che mira a dare una giustificazione teorica alle pratiche riformiste.
Carlo Marx e Federico Engels presero decisamente posizione contro il riformismo, considerandolo in contrasto col socialismo scientifico e deleterio agli effetti della maturazione della coscienza di classe. L’ideologia riformista, che tra la fine del secolo XIX e i primi del XX riscosse un notevole successo tra il movimento operaio, trovò uno dei suoi maggiori sostenitori nel socialdemocratico tedesco Eduard Bernstein che, nel Congresso di Stoccarda del 1898, teorizzò una revisione a fondo del marxismo, criticandone il carattere dialettico, quindi negando la validità delle sue conclusioni rivoluzionarie e considerandolo storicamente superato. Ma nel 1904,
nel VI Congre[...]
[...]Bernstein che, nel Congresso di Stoccarda del 1898, teorizzò una revisione a fondo del marxismo, criticandone il carattere dialettico, quindi negando la validità delle sue conclusioni rivoluzionarie e considerandolo storicamente superato. Ma nel 1904,
nel VI Congresso di Amsterdam dei partiti socialdemocratici aderenti alla Seconda Internazionale (v.), la linea revisionistariformista fu giudicata come asservita agli interessi borghesi.
Dal riformismo al fascismo
Riformista fu la maggioranza del gruppo dirigente della Confederazione generale del lavoro (v.) che, in coerenza con questa linea, ai primi del 1927 decise di « autosciogliersi » affinché i lavoratori collaborassero con il regime fascista (v. Associazione nazionale studio e Problemi del lavoro).
Decisamente contro il riformismo furono invece Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci (v.) con il gruppo dell’“Ordine Nuovo” che, collegandosi alla Terza Internazionale (v.), sostennero la necessità di un'azione rivoluzionaria e della dittatura del proletariato.
In campo cattolico, un autorevole riconoscimento ufficiale del riformismo nei rapporti sociali può essere fatto risalire a Leone XIII che, con la sua enciclica Rerum Novarum (v.) del 1891, mirò a far assumere alla Chiesa funzioni di guida civile e politica nel mondo moderno, oltre che religiosa e morale. Un importante aspetto del riformismo cattolico può essere considerato il corporativismo, concezione collaborazionista e interclassista alla quale si ispirò anche il fascismo (v. Corporativismo fascista).
Visto dalla parte della borghesia liberale, il riformismo significa fondamentalmente la creazione di un libero mercato e un allargamento della base di partecipazione attiva dei cittadini alla gestione degli affari pubblici. Nel sistema democraticoparlamentare (v. Parlamentarismo) questo allargamento si realizzava attraverso il suffragio universale e il decentramento amministrativo dello Stato (regionalismo, autonomie comunali ecc.), provvedimenti che stimolano la libera iniziativa privata, favoriscono l’accumulazione a favore dei detentori dei mezzi di produzione, consolidano il sistema capitalistico.
Visto dalla parte del proletariato, il riform[...]
[...]degli affari pubblici. Nel sistema democraticoparlamentare (v. Parlamentarismo) questo allargamento si realizzava attraverso il suffragio universale e il decentramento amministrativo dello Stato (regionalismo, autonomie comunali ecc.), provvedimenti che stimolano la libera iniziativa privata, favoriscono l’accumulazione a favore dei detentori dei mezzi di produzione, consolidano il sistema capitalistico.
Visto dalla parte del proletariato, il riformismo si concretizza invece fondamentalmente nella ricerca di un aumento del salario reale, in forme sia dirette che indirette (miglioramento dei servizi sociali e tutela sindacale dei lavoratori).
Dalla contrapposizione e combinazione delle diverse componenti istituzionali ed economiche, risultanti dai rapporti di forza in atto tra ca
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