Brano: [...]ione graduale della tassa sul macinato e riforma elettorale del 1882). L’adozione di formule di fiducia condizionata non era quindi da intendersi come acquiescenza alla politica governativa, ma rientrava nell'ottica di quell'atteggiamento pragmatico che spingeva i radicali a promuovere e accettare progressi anche graduali, senza preclusioni di parte. Non per questo veniva meno l'aspirazione verso riforme più sostanziali: la carica di rottura del radicalismo ottocentesco risultò evidente nel programma della Lega della democrazia (1879), ricalcante quello ormai consueto dei radicali, e nell'agitazione per il suffragio universale (culmi
nata nel famoso “Comizio dei comizi” del 1881).
Altrettanto indicativi furono la convocazione del primo Congresso operaio lombardo (1881), la formazione del Fascio della democrazia in opposizione alla politica trasformista di Depretis (1883), il “secondo patto di Roma” (1890), la costituzione della Lega italiana per la difesa della libertà (1894) e, infine, la battaglia sulla “questione morale” intrapresa da C[...]
[...] patroni degli operai e dei contadini. L’impegno di Bertani per l’inchiesta agraria (varata nel 1876, ma conclusasi solo nel 1885) fu indicativo in tal senso: l’interesse per la questione agraria e per la legislazione sociale era sentito, sebbene in chiave umanitaria o, se si vuole, paternalistica, entro i limiti di un interclassismo che contrapponeva l’arbitrato obbligatorio e il probivirato alla nascente concezione della lotta di classe.
Al radicalismo, considerato come l’espressione della borghesia progressista, colta e “illuminata”, sarà spesso rimproverata l’incapacità di rappresentare organicamente l’alternativa di sinistra ai governi dell’Italia liberale, soprattutto a causa della sua caratteristica connotazione parlamentare e politica e, di conseguenza, degli scarsi legami del partito con il “paese reale”. Di fronte alla penetrazione capillare dei radicali francesi nelle campagne, i successi dei radicali italiani risul
tavano estremamente modesti, ma la loro incostante e disuguale presenza nelle campagne era piuttosto da imputare a[...]
[...]. Di fronte alla penetrazione capillare dei radicali francesi nelle campagne, i successi dei radicali italiani risul
tavano estremamente modesti, ma la loro incostante e disuguale presenza nelle campagne era piuttosto da imputare alla mancanza di una consistente classe media contadina, che viceversa esisteva in Francia.
Diversificazione regionale e sociale
Si ripropone, a questo proposito, la questione della diversificazione sociale del radicalismo nostrano tra regione e regione: l’inesistenza di una corrente radicale nel Mezzogiorno (i liberisti e F. Saverio Nitti meritano un discorso a parte) va ricondotta all'assenza della piccola borghesia fondiaria in queste zone, così che la presenza democratica era circoscritta alle città (soprattutto Napoli e Messina). In sostanza, le roccheforti radicali erano situate quasi tutte al Nord, in Lombardia innanzitutto, in Liguria, in Emilia Romagna. Più tarda fu la penetrazione nel Veneto e in Toscana, mentre ancora differenti caratteri presentava il radicalismo romano, dove i legami con la massone[...]
[...] F. Saverio Nitti meritano un discorso a parte) va ricondotta all'assenza della piccola borghesia fondiaria in queste zone, così che la presenza democratica era circoscritta alle città (soprattutto Napoli e Messina). In sostanza, le roccheforti radicali erano situate quasi tutte al Nord, in Lombardia innanzitutto, in Liguria, in Emilia Romagna. Più tarda fu la penetrazione nel Veneto e in Toscana, mentre ancora differenti caratteri presentava il radicalismo romano, dove i legami con la massoneria e la burocrazia statale erano particolarmente evidenti.
Nella Valle Padana, invece, i radicali aprirono la strada al socialismo cooperativistico: ancora agli inizi del Novecento un radicale (Antonio Maffi) era segretario generale della Lega nazionale delle cooperative italiane, a dimostrazione della iniziale base rurale del radicalismo lombardo. Se questo mantenne a lungo un ruolo preminente nell’ambito dell’intero radicalismo italiano (ne saranno prova la leadership di Bertani, Cavallotti ed Ettore Sacchi, la vastità e l’estensione della rete associativa della regione, l’importanza assunta dal quotidiano milanese II Secolo), un giudizio globale, condotto in chiave nazionale, sul radicalismo non può prescindere dal considerare la sua eterogenea composizione sociale, che comportava l’adozione di una linea politica talvolta diversifi1 cata.
Soprattutto tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, si può avvertire chiaramente il progressivo condizionamento urbano del partito, dopo che la riforma del 1882 aveva escluso (con il criterio dell’istruzione) le masse contadine dall’elettorato e dopo che la crescita autonoma del Partito socialista aveva finito per restringere ulteriormente la base sociale del radicalismo al ceto borghese cittadino.
Fu proprio quando la politi[...]
[...] comportava l’adozione di una linea politica talvolta diversifi1 cata.
Soprattutto tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, si può avvertire chiaramente il progressivo condizionamento urbano del partito, dopo che la riforma del 1882 aveva escluso (con il criterio dell’istruzione) le masse contadine dall’elettorato e dopo che la crescita autonoma del Partito socialista aveva finito per restringere ulteriormente la base sociale del radicalismo al ceto borghese cittadino.
Fu proprio quando la politica riformi
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