Brano: [...]gli inglesi (Wilson ormai conta poco, aggiunse Guggenheim, e « non potrà impedire ai banchieri e agli industriali di aiutare il vostro Paese in cui essi hanno piena fiducia »); e di interessi della « Cunard Line » britannica a Fiume parlò Harold Spencer, ex corrispondente del New York Herald (10).
Se sulla diplomazia americana poté esercitare influenza la pressione di gruppi economici e finanziari, non si creda che in Italia la vasta agitazione nazionalistica per Fiume non avesse le sue radici in ben individuabili interessi costituiti. Vivo era in particolare l'interesse degli armatori triestini a monopolizzare il corn
(7) Cfr. per es. ALCESTE DE AMBRIS, La questione di Fiume, Roma, La Fionda. 1920, pp. 3536.
(8) GIULIO BENEDETTI, La pace di Fiume. Dalla Conferenza di Parigi al Trattato di Rapallo, Bologna, 1924, p. 113.
(9) II Messaggero, 24 febbraio 1920.
(10) L'Idea Nazionale, 7 novembre 1919.
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mercio dell'Alto Adriatico, controllando Fiume. Non a caso l'irredentismo fiumanodannunziano ebbe i[...]
[...]sviluppo; e ciò si poté constatare e confermare quando più tardi gli jugoslavi, perso il controllo di Fiume, ne attuarono l'isolamento e lasciarono vuoti e inutilizzati i capaci e moderni magazzini del bacino Thaon di Revel (13), determinando l'asfissia economica che mortificò il porto e la vita della città nei decenni successivi.
Nitti, per aver preso sul problema fiumano e adriatico in genere un atteggiamento che non coincideva con quello dei nazionalisti, divenne il bersaglio delle più feroci e ingiuste accuse: uno di essi, Armando Hodnig, il fondatore della Vedetta d'Italia, lo
(11) In proposito cfr. lo scritto di GAETANO SALVEMINI nella Quarterly Review del gennaio 1918, ora nel volume Dal Patto di Londra alla Pace di Roma. Documenti della politica che non fu fatta, Torino, Gobetti, 1925, p. 97; ed anche il suo articolo su Il problema di Fiume nell'Unità del 23 novembre 1918, ora nel volume L'Unità di Gaetano Salvemini a cura di Beniamino Finocchiaro, Venezia, Neri Pozza, 1958, p. 543.
(12) Cfr. Les délibérations du Conseil des Quatre (24[...]
[...]l Governo Nitti. Un quesito che è giusto porsi, ma al quale non é possibile dare una risposta netta e univoca, é il seguente: l'impresa dannunziana costituì un elemento positivo o negativo per la soluzione del problema adriatico? Se ci limitiamo all'aspetto strettamente fiumano di quel problema, possiamo affermare che D'Annunzio, inserendo nella situazione un fatto compiuto sul quale si articolò la vasta mobilitazione psicologica organizzata dai nazionalisti, impedì ai negoziatori una soluzione che non implicasse il rispetto e la difesa dell'italianità di Fiume. E lecito tuttavia presumere che anche senza quel fatto compiuto nessun governo italiano avrebbe abbandonato Fiume agli jugoslavi, mentre la soluzione annessionistica, che era quella per cui si battevano D'Annunzio e i nazionalisti, non fu per allora realizzata perché non poteva esserlo. D'altra parte, in una prospettiva più ampia, cioè guardando all'intero problema adriatico e non alla sola questione di Fiume, il pronunciamento militare capeggiato da D'Annunzio, e l'elemento di rottura che egli inserì nella legittimità diplomatica internazionale, non attenuarono ma anzi resero certamente più acerba l'opposizione di Wilson a una sistemazione favorevole alle richieste italiane che al Presidente degli Stati Uniti sembrava basata sulla sopraffazione del più debole da parte del più forte (15): e in tal senso i negoziatori i[...]
[...], 53 e 340.
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a Salata (20) — tanto che più tardi molti di essi dovevano passare armi e bagagli alla collaborazione col fascismo. Bisogna pur sottolineare il fatto che a contatto con la situazione qual era, specialmente quando si trattava di misurarsi con gli Alleati nelle trattative diplomatiche, quegli uomini erano costretti ad acquistare un realismo che era il naturale nemico di ogni atteggiamento nazionalistico. Uno di essi, Salvatore Barzilai, parlando al Senato il 15 dicembre 1920 sul Trattato di Rapallo, diede un riconoscimento prezioso di questo stato di cose: «Chi ebbe l'occasione di trovarsi a Parigi nel 1919 non può, in sua coscienza, moltiplicare le esigenze e accrescere le censure verso i negoziatori del Trattato di Rapallo. Non può per senso di onestà! »; e dopo aver indicato il carattere contraddittorio delle richieste italiane (Patto di Londra più Fiume): « Allora io ebbi il fondato dubbio che la pace italiana non si sarebbe potuta stringere senza una formula di compromesso: ogni più s[...]
[...]; e dopo aver indicato il carattere contraddittorio delle richieste italiane (Patto di Londra più Fiume): « Allora io ebbi il fondato dubbio che la pace italiana non si sarebbe potuta stringere senza una formula di compromesso: ogni più sincero sforzo da molti, da troppi fu fatto, ma era fatale che un compromesso dovesse suggellare la pace »;
(20) Per quanto riguarda Badoglio, vi è un episodio che dimosrra come egli si tenesse in contatto con i nazionalisti anche nel periodo in cui collaborava con Nitti. Durante la Conferenza di San Remo, Badoglio istallò a Villa Devachan un plastico delle Alpi Giulie; Foch, appena lo ebbe osservato, esclamò: « Non c'è da scegliere fra due o più confini. Qui il confine è uno ». Ora, questa osservazione del generale francese, che non poteva essere a conoscenza se non di Badoglio (tanto che VANNA VAILATI la riferisce nel Badoglio racconta, Torino, Ilte, 1955, scritto sulla base di colloqui avuti col vecchio maresciallo d'Italia), la troviamo già riferita dal giornale dei nazionalisti human La Vedetta d'Italia (12 [...]
[...]a Devachan un plastico delle Alpi Giulie; Foch, appena lo ebbe osservato, esclamò: « Non c'è da scegliere fra due o più confini. Qui il confine è uno ». Ora, questa osservazione del generale francese, che non poteva essere a conoscenza se non di Badoglio (tanto che VANNA VAILATI la riferisce nel Badoglio racconta, Torino, Ilte, 1955, scritto sulla base di colloqui avuti col vecchio maresciallo d'Italia), la troviamo già riferita dal giornale dei nazionalisti human La Vedetta d'Italia (12 maggio 1920) e da Robetro Forges Davanzati nell'idea Nazionale (16 maggio 1920).
Tuttavia, nei mesi durante i quali fu Commissario straordinario militare nella Venezia Giulia, Badoglio, se non rinnegò l'antica amicizia per D'Annunzio, nutri verso di lui sentimenti di diffidenza per il suo incoraggiamento al pronunciamento militare, dei quali vale come testimonianza tutta la sua corrispondenza con Nitti. In particolare, nel colloquio che ebbe il 5 dicembre 1919 a Udine con Preziosi e Sinigaglia, Badoglio disse: « Non parliamo nemmeno delle controproposte di D'Ann[...]
[...]mutilata'. Con tutto questo, rimane il fatto che né gli errori dei negoziatori italiani, né la mala volontà di Lloyd George e di Clemenceau, né la ostilità di Wilson arrecarono alcun danno reale alla nazione italiana. La mancata annessione della Dalmazia all'Italia non era da deplorare. La Dalmazia non avrebbe accresciuto né le ricchezze né la sicurezza d'Italia. Era un paese povero e roccioso, abitato da più di mezzo milione di slavi fieramente nazionalisti. C'era una maggioranza italiana solo nella città di Zara, e fuori di Zara non più di ventimila italiani dispersi in un mare slavo. Minoranze nazionali annesse contro voglia non costituiscono guadagno per nessun paese. Avesse occupato la Dalmazia, l'Italia avrebbe dovuto mantenervi una parte notevole del suo esercito in permanente attrezzatura di guerra per tenere soggiogata la popolazione slava ostile. Nel caso di altra guerra europea, in cui fosse implicata l'Italia, questa sarebbe stata obbligata ad
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reva raggiungere un accordo che sgombrasse i[...]
[...]zionalismo esasperato, nel dannunzianesimo ritornante, il pericolo da isolare e colpire, quello che veramente avrebbe sviato l'Italia dalla cooperazione con le nazioni, ben più che non il rumoroso massimalismo o il cattolicesimo politico organizzato ».
(26) Quando nella prima meta di dicembre 1918 si era cominciato a parlare, in seno al Governo OrlandoSonnino di cui facevano parte sia Bissolati che Nitti, delle condizioni di pace, i criteri antinazionalisti esposti dal primo erano stati condivisi da
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pretesto ai nazionalisti, che in lui vedevano uno dei loro veri e maggiori avversari, per lanciare contra di lui una furiosa campagna denigratoria, senza esclusione di colpi. Tuttavia la tesi sostenuta dai nazionalisti e ribadita da Caviglia (27) che l'esercito si mise in stato di sedizione e di virtuale colpo di Stato per reagire alle provocazioni tollerate da Nitti non regge: la sedizione era già in atto prima ancora che Orlando cadesse, e semmai, durante i suoi dodici mesi di governo, Nitti riuscì a riportare un po' d'ordine, utilizzando uomini che godevano di largo prestigio sia nell'esercito che tra i nazionalisti, come Badoglio e lo stesso Caviglia. Ma non si valuterà mai abbastanza i1 peso che ebbe la vasta mobilitazione, anzi la vera e propria congiura nazionalista e militarista contro la quale Nitti si adoperò: già nel '19 fu fatta una specie di prova generale di quella che tre anni dopo, quando fu sanata la divisione tra ex interventisti ed ex neutralisti e attraverso tale riunificazione le forze dirigenti tradizionali ripresero in pieno il controllo della situazione (28) e puntarono sull'eversione degli ordinamenti parlamentari, doveva essere la « marcia su Roma ». Le destre nazionaliste hanno un[...]
[...]ogno organico di « questioni nazionali » su cui montare le agitazioni: sia per giustificare il programma di riarmo e di potenziamento delle forze armate, sia per avere una leva mediante la quale tentare, al momento opportuno, di sollevare l'insurrezione contro il governo parlamentare. Ciò in Italia come in Francia o in Jugoslavia. Infatti, se il conflitto per Fiume, in gran parte artificiosamente gonfiato dopo la guerra, costituì la bandiera dei nazionalisti italiani, non è da credere che le stesse resistenze ad un'equa e moderata soluzione del conflitto non vi fossero da parte del nazionalismo jugoslavo, altrettanto cieco e irresponsabile di quello italiano. Dati i termini del problema fiumano, e più in generale di quello adriatico, data cioè l'intricata struttura etnica dei territori in contestazione, la questione di Fiume era in qualche modo ideale per potercisi ac
quest'ultimo: cfr. l'appunto bissolatiano del 24 dicembre 1918 citato da R. COLAPIETRA, op. cit., pp. 26768.
(27) E. CAVIGLIA, op. cit., pp. 5658.
(28) Cfr. GIAMPIERO CARocci, St[...]
[...] pp. 910.
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canire fra opposti nazionalismi: essa si prestava magnificamente a quella mobilitazione che gli estremisti di destra riuscirono a realizzare nel 1919. Certo, favorendo l'esaltazione patriottica che rendeva impossibile o almeno più difficile l'accordo, e quindi protraendo la contesa e con essa la mobilitazione, e di conseguenza ostacolando la ricostruzione economica su basi di normalità, i nazionalisti facevano gli interessi di cento grandi industriali contro quelli della grande maggioranza del Paese. Ma intanto diffondevano un veleno destinato a mettersi in circolazione nell'organismo nazionale per non più uscirne e dare i suoi frutti tossici negli anni seguenti. Per tutto il 1919, intanto, la vita dello Stato costituzionale, rappresentativo, parlamentare si svolse come sopra un vulcano, pronto ad esplodere in un terremoto da un momenta all'altro: il colpo di Stato era nell'aria, era una minaccia concreta; la « marcia di Ronchi » poteva benissimo trasformarsi in una « marcia su Roma », e p[...]
[...]li anni seguenti. Per tutto il 1919, intanto, la vita dello Stato costituzionale, rappresentativo, parlamentare si svolse come sopra un vulcano, pronto ad esplodere in un terremoto da un momenta all'altro: il colpo di Stato era nell'aria, era una minaccia concreta; la « marcia di Ronchi » poteva benissimo trasformarsi in una « marcia su Roma », e più di una volta sembrò che cosí stesse per avvenire.
Nitti era agli antipodi di ogni atteggiamento nazionalistico e di ogni velleità eversiva delle istituzioni e ciò era sufficiente perché le destre lo accusassero di « disfattismo ». L'Idea Nazionale giunse ad imputargli, non appena ebbe assunto il potere, di essere « l'anti combattente » (29), ciò che era ben difficile dire dell'unico uomo politico italiano che, pur non essendosi abbandonato a demagogiche promesse come Salandra con il suo slogan « la terra ai contadini », aveva concretamente operato per istituire una rete di provvidenze in favore dei combattenti. Ma Nitti non era l'uomo del combattentismo professionale, al quale si sapeva che avrebbe [...]
[...]it., pp. 112 sgg.
(34) R. ALBRECHTCARRIÉ, op. cit., p. VI (nella « Premessa editoriale » di JAMES T. SHOTWELL).
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per le questoni di maggior rilievo che esso implicava, il problema di Fiume avrebbe potuto essere messo da parte dagli storici come relativamente insignificante, ma il suo peso sulla sistemazione della pace nel suo insieme, come sulla successiva storia d'Italia, fu di durevole importanza ».
Per la mobilitazione dei nazionalisti e dei fascisti di tutta Italia che si realizzò attorno ad essa, « dall'ottobre del 1918 al settembre del 1919 Fiume si comporta veramente — come scrive un dannunziano (35) — da legionario e da fascista verso Croati e Alleati, contro Clemenceau e contro Wilson, nei confronti del sempre titubante e sempre commosso Orlando, e contro le preoccupazioni, le insidie e il cinismo rinunziatario di Nitti ».
In Fiume — prendendo il nome della città come simbolo di quella mobilitazione — si incontrano i rappresentanti delle varie frazioni del nazionalismo e del sovversivismo di destra: accanto al figlio[...]
[...]sopra di qualunque istituzione fondamentale dello Stato, della magistratura, del Parlamento; un'istituzione alla quale tutti s'inchinano: la retorica. E una forza che non ho mai posseduto. Noi abbiamo parlato tanti anni in tono superlativo e comparativo, che abbiamo persino dimenticato il tono positivo ».
(38) Non solo II Secolo, giornale radicale di Milano, ma anche il Corriere della Sera, conservatore ma avverso al programma annessionista dei nazionalisti e dei dannunziani, commentarono la caduta del ministero Orlando, nei loro editoriali del 21 giugno 1919, con parole aspre verso il « presidente della Vittoria » e auspicando un nuovo Ministero che abbandonasse la retorica verbalistica e facesse sul serio la smobilitazione, realizzasse le necessarie riforme e seguisse una politica più concreta. Tuttavia il 25 giugno 11 Messaggero, sulla base dei primi commenti al nuovo Ministero Nitti, notava come tutti fossero o si mostrassero scontenti, « ma per cause opposte, per ragioni che si elidono a vicenda » che fu un po' il destino di quel Governo.
[...]
[...] socialista non seppe imboccare decisamente né l'una né l'altra strada. Le due correnti si paralizzarono a vicenda, nessuna delle sue soluzioni possibili fu tentata.
Nell'auspicare una collaborazione coi socialisti, con alcuni dei quali intratteneva rapporti attraverso il suo segretario particolare Magno, Nitti guardava naturalmente quasi esclusivamente ai riformisti. Più di una volta egli espresse l'opinione che i suoi veri avversari fossero i nazionalisti e non i socialisti, anche se questi ultimi
(39) Limitandoci alla questione fiumana, e al solo scopo di dare un'indicazione tipica della confusione di idee che regnava tra i massimalisti, ricorderemo il modo in cui l'Avanti! reagì alla spedizione dannunziana (ediz. piemontese, 28 settembre 1919): titolo su tutta la pagina: « La rivoluzione nazionalista prodromo di quella proletaria »; articolo di fondo: contro chi sostiene che la rivoluzione non si può fare perché c'è l'esercito, « Fiume ci ha dato la prova che l'esercito non è inespugnabile, che l'esercito può passare ai ribelli, che tutto d[...]