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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale gramsciano è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 405Analitici , di cui in selezione 31 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] F. Papi, LA concezione della storicità nel pensiero di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...] essere conchiusa, e a quali feconde aperture teoretiche rimanda se venga interpretata nella direzione stessa del pensiero di Gramsci, sostituendo tuttavia ad alcuni dei piú incerti strumenti filosofici, di cui egli obiettivamente disponeva, i risultati speculativamente piú sottili e piú penetranti che la filosofia contemporanea ci offre dal suo repertorio. Il che, a mio parere, non significa, come potrebbe sembrare, un travisamento del pensiero gramsciano, o una sua assunzione di tipo pretestuale, ma se mai la ferma convinzione che non è legittimo bloccare in una fossilizzazione statica quello che era un pensiero in movimento operoso e pieno di mordente nei confronti delle esperienze fiolosofiche con cui riuscí a pervenire in contatto. In questo senso dialettico e rigorosamente storicistico ha un suo significato particolare l'affermare che il pensiero di Gramsci rappresenta ancora oggi un punto di vista valido per partecipare con criterio critico al grande dibattito ideale che dà il senso spirituale del nostro tempo. E questo significato è dat[...]

[...]tare attenti cosa s'intende in Gramsci
1 M. S., p. 28.
15.
216 L documenti del convegno
con questa espressione. Non credo sia il caso di stare a ripetere per l'ennesima volta che non si tratta affatto di un concetto meccanico, e che le soprastrutrure fanno parte attivamente della concreta storicità di un'epoca. Se mai si tratterà di precisare meglio che cosa si intende affermare con questa proposizione. Analizzando con attenzione il concetto gramsciano di soprastruttura io credo che possiamo indicarne soprattutto due aspetti come fondamentali:
1) piano delle ideologie religiose, politiche, morali secondo differenti ordini di socialità e di interna tecnicità;
2) piano della scienza, e non solo per la ideologicità che da determinate concezioni scientifiche può derivare o per i riflessi che un orizzonte genericamente ideologico può comportare sul piano scientifico, ma proprio per il carattere stesso del metodo della scienza e degli ordini di oggettività che essa investe. La scienza appare come soprastruttura in quanto è costruzione degli uom[...]

[...] quadro della filosofia della prassi di un quasi feticismo, anzi della sola e vera filosofia o conoscenza del mondo » '. Da queste affermazioni mi pare si possa ricavare questo quadro: il pensiero di Gramsci si trova a muoversi fra tre posizioni: quella idealistica, quella scientistamaterialista, e quella formulazione del marxismo come storicismo assoluto che abbiamo lumeggiato. La domanda che ci poniamo ora è la seguente: come opera il pensiero gramsciano muovendosi all'interno di queste tre posizioni e fruendo dei soli strumenti filosofici che derivano strettamente da queste « forme » filosofiche?
1 M. S., p. 139.
Fulvio Papi 217
A me pare che Gramsci adoperi il concetto di soprastruttura estendendolo anche alla problematica scientifica ricuperando cosí, su una base differente, l'istanza positiva (quella che gli pareva positiva) dell'idealismo, la quale, dopo questa traslazione, serve per sottolineare il riconoscimento delle verità scientifiche come verità dell'uomo (a cui l'uomo ha lavorato) intesa sia nella sua accezione piú direttamente[...]

[...]uperstrutture » 2.
3) Quest'ultimo punto non è altro che lo svolgimento implicito negli altri due, cioè rifiuto netto e radicale a considerare in un'accezione unilaterale o « obiettivistica » le prospettive scientifiche accettando il processo per cui esse vengono tradotte su un pino metafisico.
Non credo che a questo punto possa sembrare non giustificato l'affermare quanto si accennava all'inizio del nostro ragionamento e cioè che nel pensiero gramsciano il criterio della storicità costituisce il centro metodico che investe ogni ordine di esperienza e ne condiziona il carattere e lo svolgimento, costituendo un permanente elemento critico capace di impedire qualsiasi possibilità di caduta metafisica. Dal canto mio ritengo che questa impostazione debba essere chiarificata ulteriormente in questi termini: ogni posizione del pensiero che esprime e dipana un ordine di esperienza storica non fa che esprimere il movimento stesso del pensiero che in nessuna sua obiettivazione stabilisce un significato assoluto poiché, come razionalità e teoreticità e[...]

[...] 162.
Fulvio Papi 219
descrizione formaletrascendentale proprio perché ogni categorizzazione che venga assunta su un piano di obiett_vità corrisponde in concreto solo a determinate fasi e a determinati ordini dell'esperienza medesima: parlare quindi di una legge metodica trascendentale ritengo si possa solo. nel caso si voglia indicare la formalità del carattere ideale di ogni obiettività. di pensiero. Cosí a me pare che uno storicismo di tipo gramsciano.. abbia il suo necessario riconoscimento metodico in un razionalismo critico, e un razionalismo critico che sviluppi sino in fondo il proprio significato, sfuggendo a qualsiasi rischio di platonismo, trovi il proprio inveramento e la propria fecondità soltanto in una integrale concezione storicistica. In una prospettiva di questo genere, io penso, è possibile riportare, con assai piú facilità e sottigliezza che nei concetto troppo vasto e generico di superstruttura, il movimento metodico della scienza con i suoi problemi interni, le sue tecniche, quale Gramsci stesso aveva chiaramente individ[...]

[...] pensiero. Per la filosofia della prassi l'essere non può essere disgiunto
1 ANTONIO BANFI, L'Uomo copernicano, Milano, 1949, pp. 234242 e passim.
220 I documenti del convegno
dal pensare, l'uomo dalla natura, l'attività dalla materia, il soggetto dall'oggetto; se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell'astrazione senza senso » 1. Dopo aver riassunto ancora una volta alcuni elementi fondamentali del pensiero gramsciano ci pare a maggior ragione che l'osservazione avanzata da Luporini sia giustificata. Nello storicismo gramsciano manca, a mio avviso, l'approfondimento di quelle ineliminabili strutture naturalistiche che in ogni momento della storicità si presentano come condizioni, ineliminabili e irriducibili, della storicità stessa 2. Si ha insomma l'impressione che la storicità sia rilevata con eccessiva prevalenza nella sua dimensione umanisticoideale e ciò mi pare si verifichi soprattutto per tre motivi: 1) la mancanza di un ulteriore approfondimento del concetto di struttura che viene concepito sempre nella sua accezione tradizionale come insieme dei rapporti economicosociali e quindi in una dimensione già stori[...]

[...]ucano a nuove forme di razionalismo astratto, quanto piú la dimensione della storicità opera come continua coscienza del limite, come richiamo, anche per un'infinita serie di mediazioni, ad un compito che gli uomini svolgono nella propria vita e nella propria storia per un risultato che s'innesti nella vita stessa come arricchimento e nuova storia.
Per conchiudere: dalla concezione della storicità, cosí come viene delineata dal fecondo pensiero gramsciano, e in cui il mantismo si dispiega nel suo proprio carattere originale (una volta che si sia tenuto conto della necessità di sviluppare piú a fondo quella dimensione natu ralistica che ad una concezione della storicità si deve connettere), si ritrovano tutti gli elementi fondamentali per costituire il centro metodico d'innesto in cui le nuove esperienze filosofiche trovino il loro invera mento universale e scontino, senza residui, il rischio di nuove evasioni metafisiche. Cosí concepito il pensiero di Antonio Gramsci si presenta come un elemento che volge verso la risoluzione di quella crisi s[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] N. Bobbio, Nota sulla dialettica in Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]che nel linguaggio quotidiano del marxismo il termine « dialettica » abbia eccessiva fluidità, e nasconda tra le sue pieghe significati vari mal connettibili tra loro, che sono poi la maggior fonte di confusione e d'inutili dispute.
Gramsci è uno scrittore marxista. Usa egli il termine « dialettica » e come lo usa? Ha il termine « dialettica » nel suo linguaggio un significato univoco? Quali sono i diversi significati del termine nel linguaggio gramsciano? Tra i diversi significati, quali sono i prevalenti? Ha il concetto di dialettica rilievo nel pensiero di Gramsci? È un concetto centrale o marginale nel suo sistema dottrinale? Quale uso egli ne fa e per risolvere quali problemi? Non mi pare che il tema della dialettica in Gramsci sia stato sinora affrontato con l'attenzione che l'importanza del concetto richiede. Eppure per comprendere la filosofia di uno scrittore marxista è utile cominciare dal concetto ch'egli ha della dialettica e dall'ufficio che gli assegna.
Non pretendo con questa nota di rispondere esaurientemente a
74 I documenti[...]

[...]udio minuto e organico sulla filosofia di Gramsci, che, se non sbaglio, dopo i primi studi esplorativi e alcuni saggi parziali, non è ancora stato scritto. Questa nota consiste semplicemente nella raccolta di passi sulla dialettica, tratti dai Quaderni — raccolta che non presumo completa —, ordinata intorno a tre problemi: 1°. quale importanza Gramsci assegna al concetto di dialettica; 2°. quali diversi significati il termine assume nel discorso gramsciano; 3°. quale funzione il concetto di dialettica esplica nella parte distruttiva e costruttiva del suo pensiero.
2. Si può dire senza esitazione che Gramsci assegna alla dialettica un'importanza fondamentale. Il passo piú significativo si trova là dove, discutendo la svalutazione della tecnica compiuta dal Croce nel campo dell'arte e della logica, esce in questa osservazione: « Anche per la dialettica si presenta lo stesso problema; essa è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, ma è anche perciò una nuova tecnica » 1. Non ci interessa qui la questione della tecnica; ci interessa l'affer[...]

[...] " » , e spiega quali sono le condizioni storiche necessarie perché l'ideologia trasformi la realtà, ciò che esprime, in termini hegeliani, dicendo che il razionale si fa reale, conclude: < Il ragionamento si basa sulla reciprocità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è appunto il processo dialettico reale) » 2.
L'uso di gran lunga piú frequente e indubbiamente anche piú importante del termine « dialettica » nel linguaggio gramsciano è quello corrispondente al significato di « processo tesiantitesisintesi ». Aggiungiamo che è anche il significato piú genuinamente hegelianomarxistico; basti pensare che confluisce nel concetto di « divenire » . Proprio a proposito del divenire, della distinzione fra progresso e divenire, ci si imbatte in quest'uso del termine: « Nel " divenire " si è cercato di salvare ciò che di piú concreto è nel " progresso ", il movimento e anzi il movimento dialettico (quindi anche un approfondimento, perché il progresso è legato alla concezione volgare dell'evoluzione) » 3. È chiaro che qui con « movi[...]

[...]col passaggio della quantità alla qualità » 3; altrove, ancora, contro la teoria della previsione nella storia, che parte dal presupposto che le forze contrastanti siano riducibili a quantità fisse, mentre cid non accade perché « la quantità diventa continuamente qualità » 4.
1 M. S., pp. 9394. Il corsivo è mio.
2 M. S., p. 163.
3M.S.,p.125.
4 M. S., p. 135.
80 I documenti del convegno
4. La funzione del concetto di dialettica nel pensiero gramsciano è centralissima, ed è legata quasi esclusivamente al secondo significato sopra illustrato che è, come si è detto, il significato genuino hegelianomarxistico. Il concetto di dialettica serve a Gramsci per caratterizzare il marxismo come filosofia nuova, e a dare battaglia, secondo l'interpretazione di Marx piú volte ripetuta da Engels, su due fronti: contro l'idealismo hegeliano, che è dialettico, sí, ma fa un uso speculativo della dialettica, e contro il materialismo volgare che è, sí, antidealistico, ma non è dialettico. Hegel, per Gramsci, ha avuto il merito di presentare tutte in una volta[...]

[...]a. Non si tratta piú dell'antitesi di dialettica speculativa e dialettica reale, ma del contrasto nel modo stesso di concepire i momenti del processo e il passaggio dall'uno all'altro; non piú, si potrebbe dire, di una divergenza nel modo di usare la dialettica, ma nel modo di intenderne il meccanismo. Questo punto, che ci accingiamo ad esporre, dà infine la piena misura della parte primaria che il concetto di dialettica rappresenta nel pensiero gramsciano.
Gramsci muove al Croce, come è noto, il rimprovero di essere un ideologo della restaurazione, ovvero un liberale conservatore ricollegantesi alla tradizione dei moderati; e cerca d'inserire la posizione crociana in un vasto disegno storico che dovrebbe risalire sino al neoguelfismo del Gioberti e valersi, come categoria di comprensione storica, dei concetti di rivoluzione passiva del Cuoco e di rivoluzionerestaurazione del Quinet. Ebbene, Gramsci ritiene di poter spiegare l'atteggiamento del Croce mostrando che questi aveva frainteso la dialettica; per Gramsci, il concetto che Croce ha dell[...]

[...]ività che costituisce il nerbo della dialettica. « Nella storia reale, — prosegue Gramsci — l'antitesi tende a distruggere la tesi, la sintesi sarà un superamento, ma senza che si possa a priori stabilire ciò che della tesi sarà " conservato" nella sintesi, senza che si possa a priori " misurare " i colpi come in un "ring " convenzionalmente regolato » 4. Ci troviamo di fronte, indubbiamente, a uno dei nodi, forse al nodo principale del pensiero gramsciano, in quanto erede, interprete, continuatore del pensiero marxista. Qual è il rapporto fra tesi e antitesi? Vi è un pensiero che tenta di mettere l'accento sulla tesi sia che pretenda di conservare nell'antitesi una parte della tesi (il « lato buono » di Proudhon) sia che, come si legge in un altro passo, pretenda di sviluppare tutta la tesi fino af punto di riuscire ad incorporare una parte dell'antitesi stessa 5 : questo pensiero è una falsificazione della dialettica e sfocia nel riformismo. II
Miseria della filosofia, trad. it., Roma, 1949, p. 91. Vedi anche pp. 9899.
2 Op. cit., p. 99.
3[...]

[...]ramsci trae alcune conseguenze decisive per la elaborazione del suo pensiero critico. Due soprattutto mi paiono degne di rilievo. Anzitutto, l'affermazione che l'antitesi prolunghi e conservi la tesi dà origine alla pretesa, che è carattere permanente e costitutivo di ogni riformismo, di elaborare una storia a disegno, e come tale soffoca ogni volontà rivoluzionaria. Questo concetto dà esca ad uno dei motivi polemici piú persistenti del pensiero gramsciano, la critica della previsione storica 3. « Realmente si "prevede" — dice Gramsci — nella misura in cui si opera, in cui si applica uno sforzo volontario e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato " preveduto ". La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di conoscenza; ma come l'espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva » 4. 'In seconda luogo, questa falsificazione della dialettica, in quanto conduce ad una ricostruzione puramente teorica della storia,. ad uso dei conservatori e dei moderati che temono sopra [...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Caracciolo, A proposito di Gramsci, la Russia e il movimento bolscevico in Studi gramsciani

Brano: [...]astanza completo, ci limiteremo dunque ad esporre nella presente comunicazione alcune avvertenze metodologiche o tecniche, e a suggerire una prima posizione di problemi, rimandando ad altra occasione un'analisi piú diffusa. E limiteremo il discorso strettamente agli anni della rivoluzione e della direzione leniniana in Russia.
96 1 documenti del convegno
2. La ricerca è resa difficile anzitutto da alcune circostanze che valgono per ogni studio gramsciano, ma che pensiamo doveroso segnalare nuovamente in questa sede. In primo luogo sta quella di possedere ancora una edizione assai parziale degli scritti anteriori al carcere. Gli scritti del 191718, ripubblicati su Rinascita quest'anno, lasciano ancora desiderare altri articoli dello stesso periodo che solo adesso, a dodici anni dalla Liberazione, sono in corso di ristampa. Quelli dell'Ordine Nuovo, benché raccolti in volume, contengono omissioni che ognuno di noi ha potuto rilevare. Un vuoto completo vi è poi per la parte che inizia col 1921, benché naturalmente sia sempre possibile supplirvi [...]

[...]iziato a partire, piuttosto che dai testi originali, già subito dalla « interpretazione autentica » che ne dànno i contemporanei. Nel nostro caso specifico questo senso comune fa pensare a prima vista a un Gramsci semplicemente «leninista », che riporta in termini italiani l'esperienza dei bolscevichi. Molte questioni vengono perciò ridotte a una differenza di linguaggio, quando invece significano differenze reali. Molti svolgimenti del pensiero gramsciano attraverso il tempo vengono trascurati, dandosi l'immagine di un unico personaggio che è sempre se stesso 0 almeno che, superate le giovanili incertezze, è subito padrone di un monolitico corpo di concezioni. Sono un po' questi gli errori in cui sembra essere caduta la oleografia gramsciana di questi tempi, e in cui incorre in piú punti lo stesso libro recente di Ottino, per tanti versi peraltro notevole e spregiudicato. È insomma una situazione nella quale occorre molta vigilanza critica per non cadere in un appiattimento dei
Alberto Caracciolo 97
problemi, specie a proposito di questioni [...]

[...]atuazione o all'influenza di teorie sindacaliste e volontaristiche non marxiste. Altri potrà esaminare se non vi sia invece qui precisamente una sensibilità verso la piú genuina concezione marxiana dello Stato comunista come Stato dei produttori, come palestra di autogoverno, come luogo che rivaluta e torna a far emergere progressivamente dalla società politica la società civile. Si tratta comunque di una inclinazione inconfondibile del pensiero gramsciano, che lo distingue dal pensiero di Lenin e che a sua volta distingue il movimento dell'« Ordine Nuovo » — tutto generato dal basso, articolato, autogovernato — dal movimento dei Soviet russi tendente alla centralizzazione.
Non si può confondere il ruolo dei Soviet nella rivoluzione e dopo, col ruolo dei Consigli di fabbrica torinesi. Innanzitutto i Soviet, come organi di potere, erano diversi dai veri e propri Consigli di azienda che in Russia (seppure con compiti modesti, per la povertà dell'iniziativa proletaria in molti luoghi e anche per l'accentramento in atto, fin dalla primavera 1918, [...]

[...]ra 1918, nella direzione economica dello Stato) erano stati creati. E cosí non si può parlare in Russia di gestione operaia nel senso proprio di questa parola, neppure dopo il « decreto sul controllo » del 14 novem bre 1917, benché Gramsci scriva piú volte che « l'esistenza del Consiglio dà agli operai la diretta responsabilità della produzione », e che « nell'organizzazione per fabbrica si incarna dunque la dittatura proletaria » 1_ Il paragone gramsciano cosí consueto, fra i Soviet ed i Consigli torinesi, imperniati appunto sull'idea del « controllo operaio », della autonomia dei produttori, di un potere statale nascente dalla fabbrica, appare pertanto arbitrario nei fatti. Esso vale piuttosto, agli occhi di una nostra critica, come indicazione di una tendenza di cui Gramsci riconosce in Russia alcuni elementi, e che si sforza di immaginare vittoriosa e di portare nel proprio paese fino alle estreme conseguenze. Per questo, laddove egli piú liberamente prefigura il significato di un movimento consiliare che giunga al potere dello Stato, abbia[...]

[...]lla massa stessa, del Consiglio e del sistema dei Consigli, responsabile dinanzi alla massa, costituito di delegati che, se appartengono al Partito socialista oltre che alle organizzazioni sindacali, sono controllati anche dal partito, che segue una disciplina stabilita dai congressi ai quali ha partecipato l'avanguardia rivoluzionaria di tutta. la nazione » 3.
4. Da questo nodo di problemi emergono altri due aspetti caratteristici del pensiero gramsciano. L'uno, sul quale non possiamo qui soffermarci, riguarda la funzione del partito operaio rispetto alla classe, fun
1 «Per l'Internazionale comunista », del 26 luglio 1919, 0. N., pp. 1920.
2 « Lo strumento di lavoro», del 14 feb. 1920, 0. N., p. 79.
3 « L'unità proletaria », del 28 feb. 1920, 0. N., pp. 1001.
102 I documenti del convegno
zione chte indubbiamente, come è già stato rilevato 1, è assunta da Gramsci sí come avanguardia, ma in un senso assai piú educativostimolatore che non direttivorappresentativo. L'altro riguarda la concezione di egemonia e di consenso nella rivoluzione. I[...]

[...]missione rivoluzionaria che l'istituzione deve assolvere » 4. Mentre è vivissima la polemica contro ogni possibilità di giacobinismo dei bolscevichi, per la quale un pugno dii uomini si sostituirebbe alla « libera voce della coscienza universale », e verrebbe instaurata una illimitata dittatura.
1 Vedi tra gli altri gli scritti pubblicati nello scorso anno da R. Guiducci, G. Scalia, M. Spinella. Deformate dalla volontà di ricondurre il pensiero gramsciano alla prassi attuale, invece, le conclusioni che trae F. Ferri su Rinascita, settembre 1957.
2 « Controllo operaio», L'Ordine Nuovo, 10 feb. 1921.
3 « Per conoscere la rivoluzione russa », Il Grido del popolo, 22 giugno 1918, non firmato.
4 « La conquista dello Stato », L'Ordine Nuovo, 12 luglio 1919, O. N., p. 18.
Alberto Caracciolo 103
Tutto il pensiero gramsciano era teso, come si può vedere anche nelle analisi sulla situazione italiana, verso questa concezione dell'egemania e del consenso diffuso come necessità anteriori alla rivoluzione. Per questo egli, vedendo la Rivoluzione russa di lontano, non poteva immaginarla che come un blocco di consapevolezza e di egemonia bene acquisita. Egli riteneva che tanto il proletariato industriale quanto quello agricolo fossero preparati, anche culturalmente, alla direzione della nuova società 1. Insisteva sul « carattere essenzialmente democratica dell'azione bolscevica, rivolta a dare capacità e coscienza polit[...]

[...]ci sulla questione del consenso rimanga sostanzialmente fermo. La stessa lettera dell'ottobre 1926 al Comitato centrale sovietico, purtroppo esclusa fino a ieri alla conoscenza dello studioso', dimostra un uso specifico e molto interessante del termine egemonia, laddove questo nella terminologia russa e internazionale era interamente assorbito dal termine dittatura del proletariato. Dando la sensazione di una persistente originalità del pensiero gramsciano rispetto agli sviluppi che dopo Lenin i dirigenti bolscevichi diedero alla questione.
1 Pubblicata nel 1938 in Francia dalla rivista Problemi della rivoluzione italiana, ed ora, in copia fotografica, da Corrispondenza socialista, dicembre 1957.



da [Gli interventi] Livio Maitan in Studi gramsciani

Brano: Livio Maitan

In alleimi scritti di Gramsci esistono annotazioni sul pensiero di Trotzki. La mia opinione è che questi giudizi di Gramsci non siano pertinenti, cioè riguardino non il reale pensiero di Trotzki, ma una sua deformazione.

Come primo esempio faccio subito quello del motivo cui si è rifatto stamattina Togliatti, il motivo della cosiddetta guerra manovrata e della cosiddetta guerra di posizione.

Benché il riferimento gramsciano non appaia del tutto chiaro, ritengo legittima l'interpretazione secondo cui Gramsci si riferirebbe alla tattica del «fronte unico» adottata dairinternazionale Comunista dopo il III Congresso mondiale. A questa tattica corrisponderebbe la guerra di posizione, valida per i paesi deirOccidente, dove sarebbe riuscita inapplicabile la tattica della guerra manovrata applicata in Russia nel ’17.

Ora, questa valutazione non corrisponde affatto alle posizioni dell’Internazionale Comunista che della strategia e della tattica valide in una fase di crisi rivoluzionaria si è occupata nei suoi due prim[...]

[...]re e che verrebbero a volte attribuite ai Consigli prima della conquista del potere determinate funzioni economiche che in realtà potranno esercitare soltanto dopo.

Non mi paiono invece giuste le accuse di opportunismo o di gradualismo riformista rivolte da taluni a Gramsci e di cui primo formulatore è stato Bordiga. Queste accuse possono essere avanzate solo se si esaminano alcuni passi di certi scritti astraendoli dal' contesto del pensiero gramsciano, non se si considera questo pensiero nel suo insieme e nella sua ispirazione di fondo. E questa ispirazione è genuinamente rivoluzionaria, a parte il fatto che esistono dei passi che mettono esplicitamente in guardia contro possibili illusioni opportunistiche. Né va d’altronde dimenticato che in una situazione come era quella di allora, i Consigli operai aquistavano per la loro stessa dinamica, una volta costituiti su determinate basi, una funzione di rottura rivoluzionaria.

Insussistente mi pare anche la critica secondo cui Gramsci avrebbe trascurato, in una certa fase, il fattore partito[...]

[...]iù specificatamente politico. Se volessimo includere Gramsci nella schiera eletta dei grandi marxisti di tutti i paesi e di tutti i tempi, lo dovremmo includere di più per il suo contributo sul terreno storicoculturale ohe non per il contributo politico specifico.

Manacorda ha sottolineato alcune delle radici italiane del pensiero di Gramsci, Togliatti l’apporto decisivo del leninismo alla sua formazione. Su questo punto concordo. Il pensiero gramsciano si è formato sotto l'influenza diretta delle tesi di Lenin e della III Internazionale e senza questa influenza Gramsci non sarebbe probabilmente giunto a tutte le conclusioni cui è giunto. Schematizzando un po’, si può concludere che, su questo terreno, non esiste una vera e propria originalità di Gramsci.

Qual è il suo merito? Quello di aver compreso a fondo il pensiero leninista — e molto pochi lo comprendevano allora, anche tra coloro che a Lenin e alla III Internazionale si richiamavano, in Italia e in tutto il movimento operaio internazionale —, di arver compreso la portata universale[...]

[...]osso entrare su di un terreno che non è quello di questo Convegno, ma la mia opinione è che le posizioni gramsciane del ’19’21 conservino la loro validità e attualità.

La conoscenza di Gramsci ha attraversato anzitutto la fase della rivelazione : un grande marxista sino ad allora ignoto veniva « scoperto » dai marxisti italiani e da tutta la cultura italiana. Seconda fase: una disamina approfondita, analitica, settore per settore del pensiero gramsciano.

Penso che è necessario oramai inaugurare una terza fase, una fase critica, che stabilisca precisamente la genesi e le linee di sviluppo di questo pensiero e ne determini i veri limiti. Non credo che sussista il pericolo che da un lavoro del genere la figura di Gramsci esca sminuita. Ormai il suo posto nella storia del movimento operaio e del pensiero marxista Gramsci ce l’ha e lo manterrà quali che siano le conclusioni di questa nuova eventuale fase critica.



da [Gli interventi] Giorgio Candeloro in Studi gramsciani

Brano: [...]enni addirittura ossessionato dall’esempio della Rivoluzione. Non si può dire dunque che l’esempio della Rivoluzione sia un paradigma estraneo al Risorgimento, quale esso fu effettivamente; è evidente tuttavia che l’uso di questo paradigma fatto dai pensatori e dagli uomini politici del secolo passato non può più coincidere con l’uso che ne può fare lo storico nel nostro secolo.

Premesso questo, prima di vedere in che consista questo paragone gramsciano e fino a che punto esso possa dirsi propriamente un paragone, è neoessairio soffermarci sulla definizione che Gramsci stesso dàGiorgio Candeloro

517

del giacobinimo. « Il termine di66 giacobino ” — egli dice — ha finito per assumere due significati: uno è quello proprio, storicamente caratterizzato, di un determinato partito della Rivoluzione francese, che concepiva lo svolgimento della vita francese in un modo determinato, con un programma determinato, sulla base di forze sociali determinate e che esplicò la sua azione di partito e di governo con un metodo determinato che era caratter[...]

[...]ssenza di giacobinismo nel Risorgimento, si riferisce alla concezione positiva e comprensiva del giacobinismo, che egli analizza quando si sofferma in vari punti dei Quaderni del carcere suH’azione dei giacobini nella Rivoluzione francese stessa. Secondo lui, i giacobini francesi spinsero avanti in modo violento la stessa borghesia, che inizialmente era su posizioni moderate, ma rimasero sempre nell’ambito di una rivoluzione boghese. Il giudizio gramsciano si avvicina qui a quello dato in modo più ampio e documentato da alcuni storici della Rivoluzione francese, principalmente dal Mathiez. È impossibile però stabilire fino a che punto la concezione gramsciana sia stata influenzata dall’opera del Mathiez che Gramsci mi pare citi due sole volte nei Quaderni2.

Ora, secondo Gramsci, non ce stato nel Risorgimento un movimento giacobino, inteso in questo senso, perché nessun partito politico risorgimentale volle far leva sulle masse popolari e trascinarle nel movimento nazionale in vista di una trasformazione radicale della situazione

1 R., p. [...]

[...]e può, anzi deve, fermarsi ad un punto più o meno avanzato del suo sviluppo per far fronte alla nuova classe rivoluzionaria, mentre la rivoluzione proletaria non può fermarsi prima di essere giunta ad una trasformazione completa e definitiva della società. Essa perciò ha una linea di sviluppo complessa che fu sommariamente ma vivacemente delineata da Marx in un famoso passo dello scritto sul Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte.

Ma il concetto gramsciano del giacobinismo può essere chiarito anche dai giudizi che Gramsci dà su tre uomini del Risorgimento, nei quali egli trova degli spunti giacobini: Giuseppe Ferrari, Carlo Pisacane e Vincenzo Gioberti.

Il giudizio su Ferrari mi sembra particolarmente esatto. Secondo Gramsci, il giacobinismo storico neH’opera di Ferrari si è « diluito e astrattizzato ». Giustamente egli nota come le grandi opere del Ferrari

1 Mach., p. 44.522 interventi

siano degli zibaldoni « f arraginosi e confusi » v mentre notevoli intuizioni politiche appaiono negli scritti polemici o d’occasione. Comunque osserv[...]



da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]he i canoni del materialismo storico valgano solo post factum, per studiare e compren' dere gli avvenimenti del passato, e non debbano diventare ipoteca sul presente e sul futuro... »; o Il nostro Marx (4 maggio 1918: a non è un mistico né un metafisico positivista; è uno storico... »). Poi vennero altre letture di Marx, letture di Lenin, e, soprattutto, esperienze decisive.
GRAMS CI NELLA CULTURA ITALIANA 163
bile giungere circa il linguaggio gramsciano: e respinta la tesi degli ' inconditi abbozzi', degli articoli di giornale occasionali, e delle lettere edificanti, sarà da considerarsi con cautela anche il concetto di una frammentarietà dovuta a una situazione anormale di lavoro — concetto in cui rischia di insinuarsi l'idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l'elaborazione del periodo dal '27 in poi e l'attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a quello dell'azione: opera di storico succeduta a quella del [...]

[...]una situazione anormale di lavoro — concetto in cui rischia di insinuarsi l'idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l'elaborazione del periodo dal '27 in poi e l'attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a quello dell'azione: opera di storico succeduta a quella del politico. Senza dubbio uno sviluppo nel pensiero gramsciano è innegabile — nessuno potrebbe porre mai sullo stesso piano l'articolo del « Grido del Popolo » in morte di Renato Serra e i testi dei quaderni su Croce., Ma si tratta di una chiara linea di approfondimento, non della verifica di una dialettica di tipo crociano fra un pensiero e un'azione fra loro `distinti'. La saldatura di teoria e pratica, di pensiero e azione, fu anzi in Gramsci, a un certo momenta, così `realmente' raggiunta che, come i suoi più energici articoli di « Ordine Nuovo » mettono efficacemente e criticamente a fuoco le questioni del momento in cui operano, così, quanto più pr[...]

[...]o, l'ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il Machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »).
(33) Le due e figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la 'passione' di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l'Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla ' politica' del M. intorno al '25, e subito dopo (dr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: a è risaputo che il M. scopre la necessità e l'autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all'indagine della [...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] L. Gruppi, I rapporti tra pensiero ed essere nella concezione di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]erie di formulazioni filosofiche di Lenin? A noi pare di sì e ci pare che i1 relatore l'abbia riconosciuto là dove ha affermato che per Gramsci sembra esclusa la tesi del conoscere came riflesso. Ci sembra anche che sia; questo l'aspetto della questione che bisogna soprattutto affrontare, poiché qui si tratta non del raffronto delle posizioni di Gramsci con posizioni già superate, come in genere quelle del Bukharin, ma del raffronto del pensiero gramsciano con quanto v'è di piú alto e decisivo nel pensiero marxista; con un momento dal quale Gramsci ritiene di dover trarre una lezione di importanza essenziale.
Eludere tale raffronto significa in realtà evitare un giudizio definitivo sul pensiero gramsciano.
Una affermazione di Lenin — raffrontata a quelle di Gramsci da noi citate — basta a dimostrare la diversità delle posizioni.
i M. S., p. 41. M. S., p. 54. 4 M. S., p. 56. 4 M. S., p. 143.
Luciano Gruppi 171
« Il materialismo è l'ammissione degli " oggetti in sé " ossia fuori dell'intelletto; le idee e le sensazioni sono copie o riflessi di questi oggetti » 1.
Vi è da chiedersi se Lenin, nella sua polemica antidealista, e di questa soprattutto preoccupato, non rinunzi qui ad uno sviluppo conseguente, sul piano strettamente filosofico, della sua concezione dell'egemonia, non attenui e non[...]

[...]nte di difenderne la storicità, di affermare la storicità della coscienza, e insieme quella della realtà obiettiva, la storicità dell'unità tra teoria e pratica, e di ritrovare nello storicismo conseguente del materialismo, indissolubilmente legata alla praticità del pensiero, il tratto che lo distingue in modo decisivo dall'idealismo.
Insieme alla praticità del conoscere, impedisce ogni assimilazione del
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pensiero gramsciano all'idealismo, l'affermazione che esso compie del carattere sovrastrutturale del conoscere, che non è che un modo di definirne e precisarne il carattere pratico.
Affermare il carattere sovrastrutturale del conoscere significa partire dall'esperienza storica, accertare storicamente come la struttura abbia preceduto la sovrastruttura, per poi giungere ad affermare un principio di valore gnoseologico quale è questo del carattere sovrastrutturale del conoscere. Affermare una sovrastruttura significa quindi accertare un fatto obiettivo. Significa attribuire al carattere di « attività » del conosc[...]



da [Le relazioni] E. Garin, Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]impostazione delle vicende degli intellettuali italiani : tutta la sua storia della filosofia, della cultura; anzi, a un certo punto, tutta la storia italiana cercata nel concreto degli individui pensanti e operanti, pensanti in quanto operanti, e capaci di rendersi conto, e di rendere conto in precise proposizioni teoriche volte a suscitare nuove azioni.

Comunque a qualche conclusione preliminare sembra possibile giungere circa il linguaggio gramsciano : e respinta la tesi degli « inconditi abbozzi », degli articoli di giornale occasionali, e delle lettere edificanti, sarà da considerarsi con cautela anche il concetto di una frammentarietà dovuta a una situazione anormale di lavoro, concetto in cui rischia di insinuarsi l’idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l’elaborazione del periodo dal ’27 in poi e l’attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a q/uello dell’azione: opera di storico succeduta a quella de[...]

[...]una situazione anormale di lavoro, concetto in cui rischia di insinuarsi l’idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l’elaborazione del periodo dal ’27 in poi e l’attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a q/uello dell’azione: opera di storico succeduta a quella del politico. Senza dubbio uno sviluppo nel pensiero gramsciano è innegabile: nessuno potrebbe porre mai sullo stesso piano l’articolo del Grido del popolo in morte di Renato Serra e i testi dei Quaderni su Croce. Ma si tratta di una chiara linea di approfondimento, non della verifica di una dialettica di tipo crociano fra un pensiero e un’azione fra loro « distinti ». La saldatura di teoria e pratica, di pensiero e azione, fu anzi in Gramsci, a un certo momento, cosi « realmente » raggiunta che, come i suoi più energici articoli òelYOrdine Nuovo mettono efficacemente e criticamente a fuoco le questioni del momento in cui operano, cosi, quanto più profond[...]

[...] l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione » ).

3 Le due « figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la « passione » di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l’Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla « politica » del M. intorno al ’25, e subito dopo (cfr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: «è risaputo che il M. scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è al di là, o piut414

Le relazioni

Gramsci sa che Machiavelli è esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che «lo stesso richiamo a Roma è meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima deirUmanesimo e del Rinasc[...]



da [Le relazioni] C. Luporini, La metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]mpre presente « concezione del mondo » — che appare in tal modo legata per un verso alle idee, comunque ricevute, e per un altro al pratico operare — non siamo mai punto isolati, ma apparteniamo sempre a un raggruppamento (e perfino sotto l’aspetto ideologico, a una molteplicità di raggruppamenti), siamo sempre « uominimassa », « uomini collettivi » 2.

Mi sia qui consentito di interrompere il filo di questa iniziale ricostruzione del pensiero gramsciano, per introdurre una diversa considera
1 M. S., p. 31.

2 M. S., p. 4.m

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zione. Questi concetti di Gramsci, ora illustrati, li troviamo nei Quaderni del carcere sotto il titolo di « Avviamento allo studio della filosofia e del materialismo storico » quali « punti preliminari di riferimento ». Gramsci certo non pensava di scrivere in quel momento un « avviamento alla filosofia » per le scuole del Regno (come proprio in quegli anni ne entrarono in uso...), tuttavia vi è nel modo di quelle sue riflessioni non solo un nesso logico autonomamente valido, ma un evidente e as[...]

[...]sse rivoluzionaria

11 problema dell 'egemonia (direzione politica e culturale sull’insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col «senso comune». La nozione di «senso comune» diventa perciò fondamentale.464

Le relazioni

Essa, nel contesto gramsciano, è ben più complessa del convenzionale riferimento che sotto tale denominazione serve molto spesso ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento staticamente contrapposto alla « criticità » della filosofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa conciliabile). Il « senso comune » non è per Gramsci univocamente rappresentabile e riducibile nei suoi contenuti, come se fosse l’espressione di un atteggiamento natmale. Esso è sempre, per lui, « prodotto storico » che contiene, stratifica e cristallizza contraddittoriamente le più vari[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Massucco Costa, Aspetti sociologici del pensiero gramsciano in Studi gramsciani

Brano: Angiola Massucco Costa
ASPETTI SOCIOLOGICI DEL PENSIERO GRAMSCIANO
Premesso che non esiste per Gramsci una sociologia filosofica che non coincida con la filosofia della prassi o il materialismo storico, non sembri incongruo l'affermare che egli non esclude la possibilità di una ricerca sociologica, a confini limitati, di carattere empirico.
Due orientamenti, soltanto in apparenza contraddittori, dominano il pensiero gr:msciano nei confronti di questo problema: il primo è il netto rifiuto della sociologia positivistica; il secondo è l'ammissione della possibilità di una sociologia scientifica, ricomprendendo in questo nome piuttosto le scienze sociali che n[...]

[...]profondita critica teoretica intorno al reale significato di ció che s'intende chiamare scienza. E poteva parergli che la scienza matematizzabile, o la scienza sperimentale, non potessero avere, nella storia della cultura e della civiltà, alo stesso peso della scienza come riflessione teoretica su una realtà culturale già costituita ad opera di impulsi relativamente spontanei, il senso comune.
Un'analisi del concetto di spontaneità nel pensiero gramsciano, oggi che le scienze sociali riesaminano questo schema interpretativo dell'agire umano e ne fanno anzi mezzo di azione riflessa, educativa o terapeutica, mostrerebbe quanto egli, di là dalle apparenti contraddizioni, sia vicino alle piú recenti conclusioni al riguardo.
Che la spontaneità non esista allo stato puro è oggi luogo comune. Che gli istinti siano già il frutto di una elaborazione culturale di originarie elementari esigenze di vita, è pure quasi universalmente ammesso. Che lo sperimentare sia già in nuce nei tentativi piú elementari di adattamento, che lo sviluppo della mente e l'en[...]

[...]enze esatte, che alcune delle difficoltà gramsciane non avrebbero piú ragione di essere. Si cercano infatti, non piú cause meccaniche ritenute equivalere ai loro effetti e universalmente necessitanti fuori del tessuto storico in cui operano; ma le condizioni, o i fattori, sperimentalmente verificabili e situazionalmente variabili di processi storici, tali anche per le forme e .i contenuti delle scienze.
L'antinomia, ancora operante nel pensiero gramsciano, tra scienze dello spirito o della cultura, e scienze della natura, oggi, tenuto presente tale concetto causale, non ha piú ragione di sussistere; ed è forse l'oscura preveggenza di questa o altra possibile soluzione, che spiega l'interesse di Gramsci al problema sociologico, presente tanto nella critica al Bukharin e ad alcuni pensatori italiani contemporanei, quanto per contro nei rilievi
I documenti del convegno
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positivi o nei progetti di accertamenti di situazioni effettuali di rapporti umani.
Quando Gramsci, per l'Italia, parla di un fenomeno generale di deterioramento della[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine gramsciano, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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