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Il segmento testuale futuristi è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 189Entità Multimediali , di cui in selezione 23 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Entità Multimediali)


da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 458

Brano: Futurismo

come noi a liberare l'Italia dal Papato?

2. Vendere il nostro patrimonio artistico per favorire tutte le classi povere e particolarmente il proletariato d’artisti? 3. Abolire radicalmente tribunali, polizie, questure e carceri?

Se non avete queste 3 volontà, siete dei conservatori, archeologhi clericali polizieschi e reazionari sotto la vostra vernice di comuniSmo rosso ».

Questo disprezzo verso i socialisti riformisti, i futuristi l’avevano ereditato dagli anarcosindacalisti e, teoricamente, da Georges Sorel. Le Réflexions sur la v io! enee di Sorel erano state pubblicate nel 1908 e già nel 1910 Marinetti aveva tenuto a Napoli il discorso sulla Bellezza e necessità della violenza. Tale idea di « violenza » in Marinetti si accompagnava con l’idea niciana del « superuomo », del tutto esplicita sin dal suo primo romanzo Mafarka le futuriste, uscito in quel

lo stesso anno in francese e tradotto subito dopo in italiano da Decio Cinti. Ma di Nietzsche e Sorel s’interessavano a quel tempo un gran numero d’intellettuali e n[...]

[...]e di « un evento lirico »; Carrà, nel suo libretto Guerrapittura, scriverà:

« Oggi il borghese favorevole alla guerra è certamente più rivoluzionario del cosiddetto rivoluzionario neutralista. Egli arrischia e « opera: dunque è rivoluzionario, mentre il cosiddetto anarchico è nocivo alla vita e al progresso, perché nulla alla vita e al progresso sacrifica in realtà ».

Così dunque tramontava, nella sostanza, l’atteggiamento antiborghese dei futuristi. L’esaltazione della macchina, del dinamismo, della modernità, di cui i loro manifesti, a cominciare dal primo, echeggiavano con tanta enfasi, finì in tal modo cori l’identificarsi con le tesi della più attiva e spregiudicata borghesia del Nord la quale, per ragioni

Carlo Carrà. interventista ».

« Manifestazione 1914

evidenti, voleva l’intervento in guerra, contrapponendosi alla più incerta, ritardataria, paurosa borghesia terriera che esitava a gettarsi nell’avventura in quanto non vi scorgeva i vantaggi immediati che tanto interessavano gli industriali dell'Alta Italia.

Non per [...]

[...]sia terriera che esitava a gettarsi nell’avventura in quanto non vi scorgeva i vantaggi immediati che tanto interessavano gli industriali dell'Alta Italia.

Non per nulla la capitale del futurismo fu Milano (v.), allora in piena espansione produttiva. È qui che, appunto, Marinetti aveva sistemato il suo quartier generale ed è qui che l’azione futurista raggiunse i suoi vertici.

Il nazionalismo futurista

Il nazionalismo di Marinetti e dei futuristi, quale degenerazione del patriottismo risorgimentale, era comunque già presente nel manifesto del 1909: « Noi vogliamo glorificare la guerra — sola igiene del mondo

— il militarismo, il patriottismo [...] », vi si affermava. Ma quanto fosse violento lo spirito nazionalistico tra i futuristi e tra molti altri intellettuali d’allora, lo si può già giudicare dalle reazioni che seguirono, nel 1911, l’inizio della guerra libica. In quell’occasione si allinearono sulle medesime posizioni di plauso sia Enrico Corradini (fondatore del Regno e corifeo esasperato dell’oltranzismo patriottardo) che D’Annunzio, sia i futuristi che Giovanni Pascoli.

Anche i soreliani anarcosindacalisti come Arturo Labriola non disapprovarono l'impresa, mentre Giuseppe Prezzolini, sulla Voce, si guardava bene dal riprovare, sia pure blandamente, l’aggressione africana. Il nazionalismo insomma era già il mastice che incollava tutti e tutto, al di là di ogni divergenza letteraria, politica e filosofica.

I futuristi salutarono la guerra di Libia come una « grande ora futurista ». Nell’ottobre di quell’anno, inneggiando alla conquista di Tripoli, Marinetti scriveva un nuovo manifesto, dove si possono leggere alcune delle sue affermazioni più forsennate:

« Siano concesse all’individuo e al popolo tutte le libertà tranne quella di essere vigliacco. [...] Sia proclamato che la parola Italia deve dominare sulla parola Libertà Orgogliosi di sentire uguale il nostro fervore bellicoso che anima tutto il Paese, incitiamo il Governo italiano, divenuto finalmente futurista, a ingigantire tutte le ambizioni nazio[...]

[...]individuo e al popolo tutte le libertà tranne quella di essere vigliacco. [...] Sia proclamato che la parola Italia deve dominare sulla parola Libertà Orgogliosi di sentire uguale il nostro fervore bellicoso che anima tutto il Paese, incitiamo il Governo italiano, divenuto finalmente futurista, a ingigantire tutte le ambizioni nazionali, disprezzando le stupide accuse di pirateria e proclamando la nascita del Panitalianismo ».

Nella guerra, i futuristi vedevano non solo l’impresa patriottica in sé, ma qualcosa di più; vedevano cioè

458



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 456

Brano: [...]no a considerarlo soltanto una semplice premessa del fascismo, è giusto mettere in evidenza come, nella sua origine, il futurismo sia stato un gorgo di idee e di sentimenti disparati, contraddittori, dove la volontà di rinnovamento in più d’un caso non era né puramente plasticoletteraria né solo reazionaria.

In una lettera di informazione a Leone Trotskij, redatta a Mosca nel settembre del 1922, Antonio Gramsci scrisse: ■ Prima della guerra i futuristi erano molto popolari tra i lavoratori. La rivista Lacerba, che ave

va una tiratura di ventimila esemplari, era diffusa per i quattro quinti tra i lavoratori. Durante le molte manifestazioni dell’arte futurista nei teatri delle grandi città italiane capitò che i lavoratori difendessero i futuristi contro i giovani mezzo aristocratici e borghesi, che si picchiavano coi futuristi ». E Gramsci accenna anche all'episodio di Marinetti che, invitato a Torino da una associazione culturale operaia a visitare una mostra di opere dipinte da un gruppo di lavoratori, non solo accettò l'invito, ma espresse anche la « sua soddisfazione per essersi convinto che i lavoratori avevano per le questioni del futurismo molta più sensibilità che non i borghesi ».

Ciò che tuttavia può apparire anche più sorprendente è quanto Gramsci riferisce ancora: « Al movimento futurista partecipano attualmente monarchici e comunisti, repubblicani e fascisti ».

Come era dunque possibile un tale e[...]

[...]plicazione del vapore, l'elettricità, il gas, il cloroformio, l’elica, la fotografia, la galvanoplastica e mille altre cose ammirevoli che permettono all’uomo di vivere venti volte più e venti volte meglio che nel passato [...]. Che l’arte letteraria dimentichi il tritume delle cose morte e che viva col suo tempo ».

Il Partito futurista italiano

È sul piano di queste idee che, nel 1909, artisti come Umberto Boccioni e Carlo Carrà diventano futuristi. Lo scrittore futurista Libero Altomare, raccontando di un suo incontro milanese con Boccioni a quell’epoca, afferma tra l’altro che fu

lo stesso Boccioni a confessargli di

Umberto Boccioni. « La città che sale ». 1912

456



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 461

Brano: 

Futurismo

Questi futuristi, quando Marinetti nel 1913 si era recato in Russia, lo avevano fischiato come un rappresentante della borghesia bellicista. Majakovskij e i suoi amici infatti, a differenza dei futuristi italiani, erano attestati su posizioni socialiste vere, erano nemici della guerra e contro la guerra; appena scoppiato il conflitto, avevano levato la loro voce d’accusa.

Alla « guerra igiene del mondo » di Marinetti, Majakovskij aveva risposto col suo

schifo e odio per la guerra »; all’esaltazione marinettiana della guerra come « collaudo sanguinoso e necessario della forza di un popolo », si opposero i suoi versi precisi: « Tu che combatti per loro e muori, quand'è che ti leverai in piedi in tutta la tua statura e lancerai sulla loro faccia la tua ira profonda in un grido:

P[...]

[...]etti, Majakovskij aveva risposto col suo

schifo e odio per la guerra »; all’esaltazione marinettiana della guerra come « collaudo sanguinoso e necessario della forza di un popolo », si opposero i suoi versi precisi: « Tu che combatti per loro e muori, quand'è che ti leverai in piedi in tutta la tua statura e lancerai sulla loro faccia la tua ira profonda in un grido:

Perché si combatte questa guerra? ».

La base sociale di questi futuristi russi era una base chiaramente rivoluzionaria, antimilitarista, antimperialista (« Idealmente non abbiamo niente da spartire col futurismo

italiano», affermava Majakovskij). Queste sono le ragioni per cui futuristi e costruttivisti, dopo l’Ottobre, trovarono un attivo inserimento nella giovane Repubblica sovietica.

Resta comunque il fatto che l’influènza del futurismo italiano c'è stata. Lo stesso Majakovskij non ha esitato a stabilire le coincidenze e le affinità: « Tra il futurismo italiano » egli dice, « e il futurismo russo esistono elementi comuni [...]. Nel campo dei procedimenti formali l'affinità tra il futurismo russo e quello italiano esiste [...]. Comune è il modo dell’elaborazione della materia prima ».

Di tutto il futurismo, dal punto di vista creativo, è indubbiamente l’arte figurati[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 460

Brano: [...]o estremismo, al secondo congresso del fascismo (v.), tenutosi a Milano nel maggio del 1920, non potè fare a meno di scontrarsi col nuovo orientamento politico di Mussolini che ormai tendeva a presentare il suo partito come un partito d’ordine per ottenere il consenso generale della borghesia e delle forze monarchiche. A quel congresso infatti Marinetti accusò la direzione fascista di aver fatto macchina indietro e, insieme a Mario Carli e altri futuristi, uscì dall'organizzazione, « non avendo potuto imporre alla maggioranza fascista la loro tendenza antimonarchica e anticlericale ».

La rottura tuttavia non poteva durare a lungo, proprio per la sostanziale identità d’origine dei due movimenti. Abbiamo visto infatti che, pur senza abbandonare le sue fantasie libertarie, già nel 1924 Marinetti si era già riconciliato con Mussolini e col fascismo. Da questa data in avanti Marinetti accetterà lo svolgimento della politica fascista per tutto il ventennio, sino all’ultimo episodio della Repubblica di Salò, alla quale egli aderì, morendo il 2.12.[...]

[...]rce di cui l'opera di D’Annunzio rigurgitava. Ormai dunque anche in arte ci voleva qualcosa che fosse degno della «romanità», della nostra «tradizione millenaria », « latina », « mediterranea ». E così nacque il Novecento, la Mostra della Rivoluzione Fascista; insomma, la restaurazione neoclassica, accademica, celebrativa, anche nelle arti.

Marinetti, è vero, continuò a vociferare, a scrivere « parole in libertà », ma ormai era solo: i vecchi futuristi ,di talento avevano preso altre strade. Nessuno dei problemi di fondo che avevano agitato e agitavano la storia delle avanguardie europee sfiorava più il futurismo. Il regime incominciò così a considerare il futurismo, a cui pure tanto doveva, come una specie di reliquia, alla quale si può rendere ancora un convenzionale omaggio, ma senza altri impegni. In tal modo, mentre altrove le avanguardie si erano sviluppate e si sviluppavano all'opposizione, in Italia il futurismo aveva finito con lo sposare la causa della reazione più nera sino a restarne soffocato.

I futuristi russi

Eppure il [...]

[...]anguardie europee sfiorava più il futurismo. Il regime incominciò così a considerare il futurismo, a cui pure tanto doveva, come una specie di reliquia, alla quale si può rendere ancora un convenzionale omaggio, ma senza altri impegni. In tal modo, mentre altrove le avanguardie si erano sviluppate e si sviluppavano all'opposizione, in Italia il futurismo aveva finito con lo sposare la causa della reazione più nera sino a restarne soffocato.

I futuristi russi

Eppure il discorso sul futurismo non può fermarsi a queste sole considerazioni. Dentro il futurismo infatti, nell’intrico delle sue contraddizioni, si esprimeva anche una serie di esigenze reali dell’epoca nuòva: il bisogno di essere moderni, di cogliere la verità di una vita trasformata dall’era della tecnica, la necessità di trovare un’immagine adeguata ai tempi della rivoluzione industriale.

S’è visto quali siano stati i suoi errori, ma pur con la zavorra di un brutale tecnicismo positivistico nella sua poetica, il futurismo ebbe la giusta intuizione di un’arte che uscisse dai [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 551

Brano: [...], proclamava il manifesto, deve essere spazzato via per lasciare il posto a un’arte nuova che esalti il dinamismo della vita moderna nel mito della macchina: « Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! Perché dobbiamo guardarci alle spalle se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? ».

È indubitabilmente a questa carica rivoluzionaria che Antonio Gramsci pensava quando scriveva suU'Ordine Nuovo del 5.1.1921, a proposito dei futuristi: « Hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, a3solutamente marxista [...]. Quando sostenevano I futuristi, i gruppi di operai dimostravano di non spaventarsi della distruzione, sicuri di potere, essi operai, fare poesia, pittura, dramma, come i futuristi; questi operai sostenevano la storicità, la possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi ».

Marinetti raccolse attorno al suo movimento non solo scrittori (come Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini,

551



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 552

Brano: [...]grafia futurista, Marinetti identificò nel cinema una nuova arte, la più « futurista » di tutte, la più idonea a esprimere la dinamicità del nuovo secolo.

Grazie al suo considerevole patrimonio personale, Emilio F.T. Marinetti potè finanziare gran parte delle iniziative futuriste e viaggiare molto, collegandosi a vari ambienti internazionali e stringendo alleanze letterarie. Nel 1913 Guillaume Apol

I inai re, molto attento all'attività dei futuristi, scrisse L’antitradition tuturiste elogiandone le imprese. Nel

lo stesso anno Marinetti partì per Sofia, per assistere all’assedio di Adrianopoli durante la guerra bulgaroturca. Proseguendo il viaggio arrivò in Russia con non poche ambizioni, ma i futuristi russi gli si dimostrarono ostili, proclamandosi autonomi rispetto al movimento marinettiano.

Dal futurismo al fascismo

I futuristi furono interventisti (v. Interventismo). Nel settembre 1914 Marinetti si fece arrestare a Milano e nel febbraio del 1915 a Roma. Nello stesso anno Palazzeschi, Papini e Soffici si staccarono dal movimento.

Nell’aprile 1915 Marinetti si ritrovò nuovamente in carcere e questa volta insieme a Benito Mussolini (v.). In seguito partecipò alla guerra mondiale, durante la quale fu ferito, ricavandone due medaglie al valore. Nell’aprile 1919 fece parte delle squadre fasciste che distrussero la sede dell’« Avanti! » a Milano. Nel novembre, dopo la sconfitta elettorale fascista, fu nuovamente arrest[...]

[...]nante anelito, volle raggiungere le truppe italiane sul Fronte russo. Rientrò in Italia nel 1943, malato e stanco. L’8.9.1943 aderì formalmente alla repubblica di Salò. Morì l’anno dopo, per una crisi cardiaca. Di Marinetti si ricordano le opere giovanili, soprattutto talune enunciazioni teoriche del suo movimento, ricche di una carica rinnovatrice e entrate ormai a far parte della storia delle arti europee moderne.

Bibliografia essenziale: I Futuristi (a cura di G. Ravegnani), Milano 1963; M. De Micheli, Le avanguardie critiche del '900, Milano 1966; S. Briosi, Marinetti, Firenze 1969;

F. Flora, Dal romanticismo al futurismo, Milano 1925; Marinetti e il futurismo [a cura di L. De Maria), Milano 1973.

G.Ri.

Marini, Donato

N. a San Donato (Frosinone) il 25.3.1911; sarto. Militante nel Partito comunista clandestino, per la sua attività antifascista venne confinato per 5 anni a Ponza e a Ventatene.

Dopo l’8.9.1943 partecipò alla Guerra di liberazione, nelle file della Resistenza romana, tra i dirigenti della VI Zona militare.
[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 859

Brano: [...]goriano e delle antiche modalità grecolatine.

La difesa della tonalità contro il dissolvimento tonale debussyano di Schoenberg acquistava così un preciso significato ideologico e contenutistico, tanto che nel 1914 Pizzetti, in un suo saggio su Schoenberg, rimproverava a quest’ultimo « una troppo ristretta e piccola intuizione della vita » che non gli per

metteva di essere « né uomo felice né eroe ».

In quegli stessi anni anche musicisti futuristi quali Luigi Russoio e Balilla Pratella, apparentemente lontani dalla ricerca spiritualistica ed estetizzante di Pizzetti e del suo gruppo, finivano a questi apparentati dalla comune smania nazionalistica. Mentre nel 1913 il « Manifesto futurista » di Russoio invitava i musicisti a uscire dal regno dei suoni puri per accogliere nelle loro opere i suonirumori, preludendo a una tematica che sarà ripresa solo molto più tardi dai musicisti elettronici, le intuizioni altrettanto geniali di Pratella venivano distorte da un esasperato nazionalismo che affidava alla « razza » italiana una missione imp[...]

[...]la era l’invito all’uso del canto popolare e del folklore nazionale.

Ciò che importa qui sottolineare è il fatto che in ogni caso, al di là delle pur grandi differenze, l’identica matrice nazionalistica di questi musicisti operanti prima della Grande guerra ne favorì un perfetto inserimento nel regime fascista: Pizzetti sarà infatti uno dei compositori favoriti dal regime, fino a ricevere nel 1932 il « Premio Mussolini ».

Anche i musicisti futuristi, ben presto esaurita la carica innovatrice, non faranno fatica ad adeguarsi al clima politico e culturale del governo mussoliniano: Luigi Russoio nel 1932 abbandonerà le ricerche che l’avevano portato a ideare diversi strumenti produttori di rumori e si dedicherà definitivamente alla pittura; Balilla Pratella, direttore con D’Annunzio, Pizzetti e Gian Francesco Malipiero della Biblioteca musicale nazionale italiana, si dedicherà soprattutto allo studio del folclore romagnolo.

Non a caso, del resto, anche in campo politico molti tra i più importanti personaggi fascisti, quali il Corradini, [...]

[...]Rocco, Filippo Tommaso Marinetti, Forges Davanzati, ecc., proverranno dal movimento nazionalista (v. Futurismo).

Alfredo Casella

Il musicista che più di ogni altro riassunse nelle proprie composizioni e nelle formulazioni teoriche le tendenze della musica italiana di quegli anni fu Alfredo Casella. Nato a Torino nel 1883 e compiuti i primi studi musicali in Francia negli anni che avevano visto il Marinetti impegnato nel suo « Manifesto dei futuristi », pianista e direttore d'orchestra oltre che com

positore e instancabile organizzatore di iniziative musicali, con la sua personalità Casella dominò incontrastato gli avvenimenti musicali fra le due guerre. A lui si dovettero importanti iniziative per la diffusione della musica moderna: nel 1917 la fondazione della Società italiana di musica moderna, nel 1937 la direzione del Festival internazionale di musica moderna, nel 1939 la fondazione delle Settimane musicali senesi. La sua intensa attività si estese anche alla collaborazione a riviste e giorna

li e alla pubblicazione di numerosi[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 477

Brano: [...]o conosce? Il mio geniale amico.

Il famoso poeta Majakovskij ". Gli do un urtone. Ma Burlijuk è irremovibile e, andandosene, muggisce ancora verso di me: ” Ora scriva, altrimenti mi mette in una posizione stupidissima ”. Mi toccò scrivere e scrissi la prima poesia professionale, stampata: "Di porpora e di bianco” ». In quel periodo Burlijuk passava al giovane poeta quaranta copechi al giorno perché « non scrivesse affamato ».

Il gruppo dei futuristi russi riempiva di schiamazzi le notti moscovite: su tutti dominavano la figura massiccia e la voce possente di Majakovskij che declamava i suoi versi e sollecitava dibattiti sul ruolo dell’arte e dell’artista nella società moderna, idee che faranno del futurismo russo un « genere » letterario del tutto diverso da quello italiano.

Tra l’estate e l’autunno 1913 scrisse il suo primo lavoro drammatico, che intitolò « Vladimir Majakovskij ».

Il poeta veramente pensava ad altri titoli, come « La rivolta degli oggetti » o « La strada ferrata », ma un fatto curioso lo costrinse a usare come tit[...]

[...]del quale poi tracciò un rapido bozzetto dissacrante.

Nel luglio conobbe Osip Brik, futuro fondatore della scuola di critica formalista, e sua moglie Lili Brik, donna che Majakovskij amerà per tutta la vita.

Il poeta accolse la guerra mondiale « agitatamente ». Tentò di arruolarsi volontario ma non ottenne il permesso perché « manca di buona condotta ».

Nel 1917, allo scoppio della rivoluzione («la mia rivoluzione»), tutto il gruppo dei futuristi russi si trovò naturalmente schierato all’avanguardia e prese parte attiva a quegli eventi memorabili. Da quel momento l’attività di Majakovskij divenne frenetica (« Lavorai — dirà, — a tutto quel che capitava »). Del 1917 sono i poemi Guerra e pace, L’uomo, La nostra marcia. Del

1918 l’opera teatrale Mistero buffo, che sarà messa in scena da Meyerhold a Pietrogrado nel primo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. L’opera sarà però boicottata e avrà solo tre repliche.

Nel periodo dal 1919 al 1920 scrisse « 150.000.000 » ed entrò nella agenzia telegrafica russa Rosta, per la quale rea[...]

[...]. Scrivo e disegno. Ho fatto circa tremila cartelloni e seimila scritte ».

Nello Stato sovietico

Nel 1921 Meyerhold ripropose « Mistero buffo », che questa volta ebbe cento repliche, un successo che aprì all'autore le porte delle « Izvestija », il famoso quotidiano sovietico. Nel 1923 Majakovskij fu inoltre nominato direttore della rivista Lef, organo dell’omonimo movimento (Fronte di sinistra delle arti), nel quale erano confluiti tutti i futuristi, i rappresentanti dell’avanguardia teatrale e cinematografica (Eisenstein, Vertov), i critici formalisti e costruttivisti (Rodcenko, Lavinskij, Popova).

Nel 1924 scrisse il poema Lenin. Nel 1925 compì vari viaggi in Europa e in America. Dal 1926 al 1929 tenne numerose lezioni, letture di versi e comizi attraverso tutta la Unione Sovietica. Nel 1927 pubblicò il poema Bene e nel 192829 le opere teatrali La cimice e II bagno. L’1.2.1930, inaugurandosi a Mosca

V. Majakovskij

477



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 124

Brano: [...]dall’ex capitano Ferruccio Vecchi. Il Carli e il Vecchi furono anche condirettori della pubblicazione L’Ardito.

Non privo di interesse il rapporto tra gli arditi e il movimento futurista. Quest’ultimo aveva sempre espresso la propria vocazione di non limitarsi al campo puramente artisticoletterario, ma di partecipare attivamente (su posizioni di violento bellicismo e di fiero nazionalismo) alla vita politica. Già prima della guerra mondiale i futuristi avevano capeggiato gruppi interventistici e poi, nei giorni della rotta di Caporetto (v.), avevano colto l’occasione per dar vita a Fasci politici futuristi che, nell’intento dei promotori (Marinetti, Carli, Settimelli), avrebbero dovuto promuovere la riscossa morale della nazione. Era quindi naturale che, durante e dopo il conflitto, si avesse la confluenza di una parte degli arditi in quei circoli futuristi che più si davano da



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 796

Brano: [...]perai". Ricordo qui il nome di Peppino Frongia, sardo, operaio alla Fiat, guardia rossa all’"Ordine Nuovo", anche perché un suo pezzo fornirà lo spunto a una polemica fra Piero Gobetti e il quotidiano cattolico di Torino, "Il Momento".

Nel campo artistico l’istituto promuove varie altre iniziative: nel marzo ’22 Marinetti accetta l’invito di partecipare alla inaugurazione nei locali del Winter Club, in piazza Castello, di una mostra di quadri futuristi. È Umberto Calosso, collaboratore a quel tempo deH"’Ordine Nuovo" con

lo pseudonimo di Mario Sarmati, che stende una vivace cronaca deH’avvenimento. []

Una piccola antologia di poeti futuristi (fra i quali il giovanissimo Fillia, impegnato nell’esaltazione della sensibilità meccanica e del mito della Macchina), dal titolo "1 + 1 + 1 = 1. Dinamite. Versi liberi", e dalla copertina scarlatta, edito dell’istituto di cultura proletaria, Torino (senza data), lire 1.50, viene stampato in alcune centinaia di copie, senza però essere messo in commercio. E bisogna pure ricordare una audizione di canti popolari promossa dall’istituto nel maggio. [...]

Ogni ulteriore sviluppo dell’istituto è condizionato dalle drammatiche vicende politiche, mentre la reazione fascista è ormai alle porte. [[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine futuristi, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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