Brano: [...] volontà di potenza » interpretate rudimentalmente s’incontrano con l’apologia della violenza soreliana, di cui il decadentismo dannunziano insieme con quello più frenetico del Mafarka marinettiano danno una particolare versione sadicoerotica, che Marinetti, D’Annunzio e Mussolini, e con loro i numerosi seguaci, si riprovarono uniti negli anni dell’interventismo (v.). Ed è in questa circostanza che ogni possibile fermento di autentica ribellione futurista decadde, travolto da un nazionalismo cieco, isterico, fanatizzato. Mussolini, nel suo articolo su Nietzsche, parlava dei « liberi spiriti fortificati dalla guerra »; D’Annunzio parlerà della guerra come di « un evento lirico »; Carrà, nel suo libretto Guerrapittura, scriverà:
« Oggi il borghese favorevole alla guerra è certamente più rivoluzionario del cosiddetto rivoluzionario neutralista. Egli arrischia e « opera: dunque è rivoluzionario, mentre il cosiddetto anarchico è nocivo alla vita e al progresso, perché nulla alla vita e al progresso sacrifica in realtà ».
Così dunque tramontav[...]
[...]videnti, voleva l’intervento in guerra, contrapponendosi alla più incerta, ritardataria, paurosa borghesia terriera che esitava a gettarsi nell’avventura in quanto non vi scorgeva i vantaggi immediati che tanto interessavano gli industriali dell'Alta Italia.
Non per nulla la capitale del futurismo fu Milano (v.), allora in piena espansione produttiva. È qui che, appunto, Marinetti aveva sistemato il suo quartier generale ed è qui che l’azione futurista raggiunse i suoi vertici.
Il nazionalismo futurista
Il nazionalismo di Marinetti e dei futuristi, quale degenerazione del patriottismo risorgimentale, era comunque già presente nel manifesto del 1909: « Noi vogliamo glorificare la guerra — sola igiene del mondo
— il militarismo, il patriottismo [...] », vi si affermava. Ma quanto fosse violento lo spirito nazionalistico tra i futuristi e tra molti altri intellettuali d’allora, lo si può già giudicare dalle reazioni che seguirono, nel 1911, l’inizio della guerra libica. In quell’occasione si allinearono sulle medesime posizioni di plauso sia Enrico Corradini (fondatore del Regno e corifeo[...]
[...] sia i futuristi che Giovanni Pascoli.
Anche i soreliani anarcosindacalisti come Arturo Labriola non disapprovarono l'impresa, mentre Giuseppe Prezzolini, sulla Voce, si guardava bene dal riprovare, sia pure blandamente, l’aggressione africana. Il nazionalismo insomma era già il mastice che incollava tutti e tutto, al di là di ogni divergenza letteraria, politica e filosofica.
I futuristi salutarono la guerra di Libia come una « grande ora futurista ». Nell’ottobre di quell’anno, inneggiando alla conquista di Tripoli, Marinetti scriveva un nuovo manifesto, dove si possono leggere alcune delle sue affermazioni più forsennate:
« Siano concesse all’individuo e al popolo tutte le libertà tranne quella di essere vigliacco. [...] Sia proclamato che la parola Italia deve dominare sulla parola Libertà Orgogliosi di sentire uguale il nostro fervore bellicoso che anima tutto il Paese, incitiamo il Governo italiano, divenuto finalmente futurista, a ingigantire tutte le ambizioni nazionali, disprezzando le stupide accuse di pirateria e proclamand[...]
[...]ando alla conquista di Tripoli, Marinetti scriveva un nuovo manifesto, dove si possono leggere alcune delle sue affermazioni più forsennate:
« Siano concesse all’individuo e al popolo tutte le libertà tranne quella di essere vigliacco. [...] Sia proclamato che la parola Italia deve dominare sulla parola Libertà Orgogliosi di sentire uguale il nostro fervore bellicoso che anima tutto il Paese, incitiamo il Governo italiano, divenuto finalmente futurista, a ingigantire tutte le ambizioni nazionali, disprezzando le stupide accuse di pirateria e proclamando la nascita del Panitalianismo ».
Nella guerra, i futuristi vedevano non solo l’impresa patriottica in sé, ma qualcosa di più; vedevano cioè
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