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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale dell'Impero è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 180Analitici , di cui in selezione 9 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da relazione di Costantino Lazzari sotto presidenza Azimonti, Discorso Lazzari in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]l fine giustifica i mezzi ». Ah l no. Per me il fine non ha mai giustificato i mezzi; i mezzi malvagi non danno che fini malvagi, ed il fine buono ha bisogno di mezzi buoni. E per questo vincolo, per questa catena immediata e continua fra i mezzi ed il fine che noi siamo contro la violenza. Se c'è un esempio nella storia del mondo che può incoraggiarvi su questa via, non esito a dirvi di considerarlo. Pensate però quello che è avvenuto alla fine dell'Impero romano. Le legioni cristiane di Procaspio che si sono trovate alla guerra di Persia non hanno avuto bisogno di esercitare la violenza. La violenza armata era data dal regime dell'Impero romano: la violenza dei cristiani è stata invece questa: una violenza morale che ha tolto loro il mezzo di adoperare le armi e gli strumenti che erano dati per difendere i privilegi, e con questa violenza morale essi hanno lasciato cadere il regime iniquo dell'Impero romano. Ora questo grande esempio dovrebbe farci capire che noi apprezziamo anche oggi come la violenza sia una triste necessità storica, ma abbiamo bisogno di adoperare questa violenza non per se stessa, non come una bassa azione nostra in concorrenza con l'azione violenta dei nostri nemici e dominatori. Quando noi avremo illuminato la mente e la coscienza di coloro che maneggiano gli strumenti della violenza, avremo fatta la piú grande conquista. (Applausi della maggioranza, interruzioni dei comunisti).
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Purtroppo voi vedete come anche il nostro Partito, che può anche orgogliosamente g[...]



da Massimo Mila, Guillaume Dufay, musicista franco-borgognone in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]ai per l'inaugurazione della nuova cattedrale (1472), fu Dufay ad ospitarlo nella propria casa. Quando il duca Filippo il Buono, commosso per la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi, vaneggiò di
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MASSIMO MILA
bandire una crociata e a questo scopo indisse a Lilla, nel febbraio 1454, un grande banchetto, detto « del fagiano », vi si cantarono una canzone di Duf ay e il mottetto Très piteux, solenne lamentazione della Chiesa per la fine dell'Impero romano d'Oriente.
I contatti amichevoli con la corte di Borgogna continuarono anche dopo l'avvento di Carlo il Temerario, ottimo musicista, che però aveva al proprio servizio Antoine Busnois, ed era attratto dalle innovazioni tecniche della grande polifonia fiamminga, in particolare di Ockeghem. Nel 1467 un Messire Gille Arpin, proveniente di Piccardia e diretto a Roma, ricevette 4 ducati dal tesoriere dei duchi di Savoia, per avere portato « de la part de Messire Guillaume Du Fay aucunes messes faites en l'art de musique nouvellement ». Pure nel 1467, il 1 maggio, l'organista fiorentino Ant[...]

[...]rità liturgica della polifonia quattrocinquecentesca.
Massima testimonianza dell'attitudine di Duf ay ad immergere la propria arte nella realtà circostante della vita pubblica e privata resta la già ricordata Lamentatio Sanctae Matris Ecclesiae Constantinopolitanae, scritta nel 1454 per il famoso « banchetto del fagiano » che si tenne a Lilla il 17 febbraio, su iniziativa del duca di Borgogna Filippo il Buono. Commosso e indignato per il crollo dell'Impero Romano d'Oriente, il buon sovrano di Dufay avrebbe voluto nientemeno che promuovere una nuova crociata. Il mottetto del nostro compositore, sopra un testo francese di lamento messo in bocca alla chiesa costantinopolitana, e tropato con un Tenor latino tratto
GUILLAUME DUFAY, MUSICISTA FRANCOBORGOGNONE 167
dalle Lamentazioni di Geremia con accorta allusione i« Omnes amici eius spreverunt earn ») conferisce vibrazioni epiche al lutto della cristianità, dando voce a un musicale sentimento del tempo e della storia. Un curioso colorito russo sembra rivestire il melos del Tenor per voce di basso,[...]



da Voce Enciclopedica redazionale, Turchia in Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol VI (T-Z e appendice)

Brano: [...]una parte i paesi balcanici, dall'altra il Nordafrica e il Medio Oriente, verso la metà del secolo XIX la Turchia era già stata alquanto ridimensionata dai ripetuti attacchi dell'Austria e della Russia. All'indomani delle rivoluzioni europee del 1848 ebbe origine, all'interno del paese, il movimento detto dei Giovani Turchi che, ispirandosi al liberalismo borghese mutuato dai circoli rivoluzionari dei paesi balcanici, per fermare il disfacimento dell'impero si fece promotore di una modernizzazione in senso occidentale, laico e capitalistico. Nel 1908 i Giovani Turchi, affermatisi come partito degli ufficiali dell'esercito, imposero al sultano Abdul Hamid un assetto formalmente costituzionale. Ma il potere era rimasto nelle mani delle caste feudali e religiose che tentarono un colpo controrivoluzionario; a questo punto una grossa unità militare legata ai Giovani Turchi (capo di stato maggiore ne era il giovane colonnello Mustafa Kemal) occupò Costantinopoli, depose il sultano Hamid e lo sostituì con il fratello Mehmed V ritenuto più fidato. Mehme[...]

[...]zionario; a questo punto una grossa unità militare legata ai Giovani Turchi (capo di stato maggiore ne era il giovane colonnello Mustafa Kemal) occupò Costantinopoli, depose il sultano Hamid e lo sostituì con il fratello Mehmed V ritenuto più fidato. Mehmed V serviva solo da facciata e il potere era completamente nelle mani dei militari.
Alcune potenze europee cercarono di approfittare della temporanea instabilità politica turca per impadronirsi dell'Impero ottomano: nell'ottobre 1908 l'imperatore austroungarico Francesco Giuseppe si annetté la Bosnia e l'Erzegovina, la Bulgaria si proclamò indipendente e l'isola di Creta decise di unirsi alla Grecia, senza che la Turchia potesse impedirlo. Anche il governo italiano decise di sfruttare la favorevole congiuntura: nel settembre 1911 dichiarò guerra alla Turchia, inviò un corpo di spedizione che occupò la Libia (v.) e, nel corso del conflitto seguitone, si annetté anche le isole del Dodecaneso (v.). Dimostratasi tanto palese la debolezza turca, alcuni Stati balcanici appoggiati dalla Russia zarista[...]

[...]ed VI (succeduto al fratello morto nel luglio) il 30.10.1918 sottoscrisse l'armistizio. Nei quattro anni di guerra la Turchia aveva mobilitato 2,8 milioni di uomini, dei quali 325.000 erano morti. Altri 2 milioni di vittime si erano avute tra la popolazione civile, ma per la maggior parte si trattava di armeni trucidati dai turchi.

La rivoluzione kemalista
Era nei propositi delle potenze vincitrici smantellare del tutto non solo ciò che restava dell'Impero ottomano, ma la stessa Turchia. Nel 1919 gli inglesi occuparono pertanto Samsun, nel mar Nero, mentre i francesi tenevano Adana, nella parte opposta dell'Anatolia; gli italiani si erano insediati nella Turchia sudoccidentale e i greci nell'area dell'Egeo. II 15.5.1919 i greci occuparono Smirne, ma a questo punto i turchi reagirono: Mustafa Kemal, nel frattempo divenuto generale, si mise alla testa di unità militari che non accettavano la sconfitta e mobilitò anche la popolazione civile in una guerra mirante a salvaguardare l'indipendenza del paese. Lanciando il programma politico di un "movim[...]



da Giancarlo Lannuti, Cipro: dai complotti allo sbarco turco [sopratitolo: L'ostinata volontà americana di liquidare Makarios ha messo in moto e alimentato la nuova crisi] [sottotitolo: Il conflitto fra le due comunità non basta da solo a spiegare come si è giunti alla fine dell'indipendenza dell'isola. Una lunga storia di interferenze imperialiste. Il ruolo della NATO e dei servizi segreti. L'internazionalizzazione nella proposta dell'URSS accettata dalla Grecia] in KBD-Periodici: Rinascita 1974 - 8 - 30 - numero 34

Brano: [...]ro ottomano si impadronì dell' isola, dopo avere sbaragliato a Famagosta l'esercito veneziano di Marcantonio Bragadin (che fini scuoiato vivo dopo la cattura). Da quel momento Cipro, abitata in grande maggioranza da greci, fu soggetta alla immigrazione turca, e le sue sorti si intrecciarono con quelle della lotta dei popoli balcanici, e segnatamente del popolo greco, contro la dominazione ottomana. L'indipendenza della Grecia nel 1830, il crollo dell'Impero ottomano con la prima guerra mondiale (che trasformò Cipro in colonia britannica), il drammatico scambio di popolazione fra la Grecia e la Turchia di Kemal Ataturk sono gli eventi che più di ogni altro hanno alimentato la ostilità e il risentimento fra i due popoli e, di riflesso, fra le due comunità cipriote.
Favorevoli fin dagli inizi degli anni cinquanta alla spartizione dell'isola, che sottoponendola a Grecia e Turchia la avrebbe automaticamente inclusa nella Nato, ma costretti (dalle circostanze o biettive della lotta di indipendenza cipriRta e dal margine di autonoma mano vra di cui an[...]



da Goffredo Linder, Dietro Barzani adesso c'è lo scià [sopratitolo: La guerriglia kurda aumenta la tensione in Medio Oriente] [sottotitolo: Precedenti storici di una rivendicazione nazionale e democratica. Come il regime progressista di Bagdad ha risolto il problema dell'autonomia del Kurdistan. La casta dominante kurda, di fronte a profonde riforme strutturali, passa dalla parte dell'Iran. Un disegno pericoloso e articolato dell'imperialismo americano. Ma questa volta la maggioranza del popolo kurdo non s... in KBD-Periodici: Rinascita 1974 - 5 - 17 - numero 20

Brano: [...]o, di 15 mi lioni di persone, di cui due milioni risiedono in Iraq, mentre gli altri soni divisi tra la Turchia, l'Iran, l'Urss, ecc. Ma sono qualcosa di più di un semplice gruppo etnico: in realtà costituiscono una nazionalità dotata di una propria lingua, di una propria cultura, di una propria storia, passata anche in tempi recenti attraverso due effimere esperienze di Stati nazionali: il Kurdistan, dopo la prima guerra mondiale, sulle macerie dell'Impero ottomano e travolto da una rivolta turca;, e la Repubblica kurda nel 1946, dissoltasi rapidamente nel giro di pochi mesi.
La guerriglia riprende quasi subito dopo la prima guerra mondiale limitatamente all'Iraq, mentre nell'Iran (3 milioni di kurdi) e in Turchia (4 milioni) la rivendicazione autonomista non si traduce in un movimento organizzato. In Iraq — dove la monarchia hascemita conduce una politica di repressione verso le minoranze nazionali — i kurdi riescono invece a organizzare una vera e propria guerra, avvalendosi delle inaccessibili montagne kurdistane. Il moto rivoluzionario che[...]

[...]o araboisraeliano, dà a Barzani armi, istruttori, viveri, gli mette a disposizione basi e mezzi. Il patto tra il leader kurdo e lo scià di Persia a questo punto è esplicito: l'agitazione nazionalista non si propagherà tra i kurdi iraniani, la guerriglia dovrà minare il regime pro gressista di Bagdad o almeno corroderlo fino a una crisi insostenibile, e in cambio si potrebbe arrivare a un Kurdistan indipendente, come una marca sotto la protezione dell'impero iraniano per impedire che divenga un centro di aggregazione di kurdi dell'Iran e della Turchia. Ma questo è da vedersi e in ogni caso lo scià dispone di forze sufficienti per impedire questa prospettiva. Per ora si procede di conserva: i kurdi riprendono la guerriglia mentre l'esercito iraniano moltiplica gli incidenti di frontiera con gli iracheni, in un comune lavoro volto a provocare la instabilità del regime di Bagdad. Il tutto nel quadro di una mira più alta che ha condotto lo scià a intervenire militarmente nell'Oman, per garantire la « stabilità» in un altro punto della regione decisiv[...]



da Massimo Robersi, Crisi in Turchia [sopratitolo: Il governo di Ismet Inonu ha rassegnato le dimissioni] [sottotitolo: Dopo le speranze suscitate dall'abbattimento della dittatura di Menderes e Bayar il paese si ritrova con un regime inadatto ad attuare le riforme sociali necessarie] in KBD-Periodici: Rinascita 1963 - 12 - 7 - numero 48

Brano: [...]ose affermazioni moralizzatrici pronunciate all'indomani dell'insurrezione del 1960.
In quale modo allora si possono prospettare le vie per un superamento della presente stagnazione?
Anzitutto vanno ricordati gli obiettivi a più immediata scadenza che stanno di fronte alle classi lavoratrici turche, agli intellettuali e alla borghesia progressista. Sono gli obiettivi del completamento della rivoluzione borghese, iniziata in pratica con la fine dell'Impero Ottomano nel 1919 e mai giunta a compimento. I ceti dominanti sono ancora in buona parte quelli precapitalistici dei grandi mercanti, delle gerarchie ecclesiastiche, dei proprietari fondiari e i loro interessi si scontrano quindi con quelli dei gruppi più dinamici della borghesia imprenditoriale, che vuole costruirsi un ambito, uno spazio per l'impianto delle sue industrie . e lo smercio dei prodotti.
Contemporaneamente, privati tuttora di molti diritti elementari, chiedono un cambiamento i lavoratori delle città (e spesso si sono avuti negli ultimi mesi vivaci conflitti sindacali come quell[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]chesi (p. 213) vi trova soltanto lo svolgimento di un cliché: sarebbe uno dei soliti discorsi che ogni storico romano mette in bocca all'uno e all'altro capo dei due eserciti avversi prima della battaglia. Ma nelle parole che Tacito fa pronunziare a Calcago (Agr. 30): Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant c'è (come in tutto il resto di quel discorso) una tale carica di demistificazione dell'impero e della pax Romana che non può non derivare dalla coscienza profonda di Tacito stesso: pare incredibile che Marchesi non se ne sia accorto. E il dire che nella Germania Tacito « lanciava un grido di allarme che era altresí grido di guerra ad oltranza » (p. 163 = 1682) non è falso, ma è parziale. Nella Germania non c'è, sicuramente, amore per i Germani, ma c'è l'angosciosa consapevolezza che la « corruzione » porterà l'impero romano alla decadenza e alla rovina, e che la salvezza può ormai venire piú dalle discordie intestine dei barbari che dalla forza militare romana (Germ. 33). In questa « [...]

[...]che assunse, per il carattere multinazionale e sopranazionale che sempre piú acquisí (mentre gli antichi valori civici si dissolsero e divennero motivo più di rimpianto che di sincero orgoglio, e nessun tentativo di restaurazione valse a resuscitarli), costituí, nella visione di Marchesi, un ambiente piú adatto della polis greca o degli stati nazionali moderni all'espressione artistica dell'individualitàuniversalità umana. Nell'immensa cosmopoli dell'impero il poeta era solo con la propria umanità e con la propria infelicità; e poteva, al tempo stesso, osservare innumerevoli altri tipi umani, tragici o ridicoli, riconoscere in essi e raffigurare artisticamente altrettante variazioni dell'« uomo eterno » senza sentirsi legato ad essi da alcuno stretto vincolo comunitario, rendere omaggio all'imperatore o a qualche potente dell'impero (e verso tali omaggi Marchesi è di solito incline all'indulgenza) senza esser costretto a credere « che Roma dovesse essere la città sacra della virtú, della giustizia, della forza » (SM, r, p. 191).
La Penna osserva con ragione (p. 74, cfr. p. 41) che Marchesi « aveva poca familiarità con la cultura greca ». Aggiungerei che (nonostante alcune notazioni felici sul mito di Eracle, sui poemi omerici, sull'umanità di Socrate) la poca familiarità derivava da una pregiudiziale mancanza di vera ammirazione. Specialmente quella lunga stagione della letteratura greca che era strettamente legata alla[...]

[...]ocratico (troppo presto soffocato dopo i parziali successi dei primi secoli della Repubblica): un civis che proprio in conseguenza delle grandi conquiste mediterranee aveva sempre piú perduto i propri diritti economicosociali e politici, cosicché non si era nemmeno avuta, specie dalla guerra annibalica in poi, quella coesistenza di imperialismo rapace e di democrazia all'interno della polis che vi era stata nell'Atene periclea. E nella creazione dell'Impero avevano avuto una parte importante alcuni capi, alcuni « uomini forti » che Marchesi, disprezzatore della poesia politica e celebrativa, ammirava, anche, certo, per il suo invincibile aristocraticismo, ma soprattutto perché da un lato, comprimendo il potere dell'oligarchia senatoria, avevano esercitato un'azione, in qualche modo, « popolare » (a proposito di Cesare questo motivo, di chiara origine mommseniana, è indicato dal La Penna, p. 34; e in generale direi che Marchesi, giudice storicopolitico non sempre ugualmente acuto, raggiunge il massimo di appassionata lucidità nel disprezzo per l'[...]

[...]est'argomentazione Marchesi si vedeva costretto a porre sullo stesso piano d'intraducibilità i greci e i latini (e infatti citava anche i lirici greci): dunque insegnamento anche del greco nella scuola dell'obbligo? E infine è alquanto sforzato il ricorso a questa tesi da parte di un critico che, come si è detto, tranne eccezioni rarissime, citò sempre brani latini tradotti!
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 649
uomo di Stato fu il fondatore dell'impero romano quale organismo politico universale »7. In confronto a Cesare, Augusto, osserva il La Penna (p. 76),
« non riscuote un'ammirazione neppure lontanamente paragonabile ». Ciò mi sembra vero soltanto in parte. Certo Marchesi non ha attribuito ad Augusto la genialità di Cesare, né lo poteva; ma non ha nemmeno accentuato, come altri studiosi, il contrasto fra la mediocrità dell'uno e la grandezza dell'altro. Anche ad Augusto è tributata una viva lode per quel punto che piú importa a Marchesi: « Con uguale risolutezza procede la politica unitaria provinciale che tende ad associare l'Italia a[...]



da La barbarie prussiana nel giudizio di Marx ed Engels in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 2 - luglio

Brano: [...]deburghesi e non tedeschi e, di conseguenza, in modo tale che, qualunque fossero i vantaggi locali, recava pregiudizio agli interessi veri, generali e permanenti della Germania x `. La stessa politica venne continuata da Federico II, per conquistare territori tedeschi servendosi dell'appoggio di potenze straniere di cui si faceva lo strumento: c La lotta di Federico essendo diretta contro il potere tedesco e in pari tempo contro il capo titolare dell'Impero, egli fa appello a volta a volta con la stessa indifferenza prima ai francesi, poi ai russi, di cui si serve come di alleati > X.
La politica di perfidia verso i suoi alleati e ditradimento della Germania si manifestò particolarmente nella guerra di Federico II contro l'Austria e gli altri Stati tedeschi per la Slesia e nella guerra dei sette anni, in cui alla fine, battuto dai russi che arrivarono a occupare Berlino, egli fu salvato dal voltafaccia di Pietro III. c La storia mondiale,—dice Marx,—non conosce un altro re i cui scopi siano stati così meschini! Che cosa poteva essere di (grande[...]



da Voce enciclopedica di G.Pr [Giovanni Primavera], Siria in Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S)

Brano: [...]ente instabilità politica del Medio Oriente, ha indotto ì dirigenti siriani a convogliare gran parte del bilancio dello Stato nelle spese militari, con grave pregiudizio per lo sviluppo economico complessivo del paese.
Cenni storici
Sede di antiche civiltà e bene amministrata dagli occupanti arabi tra il VII e il XV secolo, dal 1516 la Siria venne occupata dai turchi, subendo da allora un processo di decadenza protrattosi fino al dissolvimento dell'Impero Ottomano seguito alla Prima guerra mondiale. Già da alcuni decenni i nazionalisti arabi lottavano per l'indipendenza del paese e il 30.9.1918 i guerriglieri beduini, capeggiati da Faisal (figlio del re dell'Arabia) e dall'agente britannico D.H. Lawrence, a fianco delle truppe inglesi comandate dal maresciallo E. Hinman Allenby (futuro alto commissario per l'Egitto e il Sudan), entrarono a Damasco. Nel luglio 1919 il Congresso nazionale siriano, riunito nella Capitale, rivendicò l'indipendenza politica per uno Stato comprendente i territori degli attuali Siria, Libano, Giordania e Israele, da [...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine dell'Impero, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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