Brano: [...]ne dai grandi centri che non erano in grado di « decriptare » le immagini fantomatiche brulicanti sul video).
In realtà, lo studio della reale significazione dell'immagine fotografica ci può riservare altre sorprese che riguardano, non solo il problema d'una presunta somiglianza o dissimiglianza del soggetto fotografato, ma anche quello d'una presunta « passività » o meno dell'apparecchio stesso.
In un suo recente e stimolante volumetto Franco Vaccari 3 — uno dei pochissimi artisti nostri che non si limiti a realizzare « opere d'arte » ma che cerchi di indagare a fondo alcuni dei fondamentali quesiti esteticopsicologici dei nostri giorni, afferma: « La fotografia è sempre un segno in quanto, anche in assenza d'ogni determinazione conscia o inconscia del soggetto, la macchina
3 FRANCO VACCARI, Fotografia e inconscio tecnologico, Modena, Ed. Punto e virgola, 1979.
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 343
fotografica opera sempre col proprio inconscio tecnologico una strutturazione dell'immagine [...] obbedisce ad un codice simbolico che non ha affatto bisogno di essere istituito da una convenzione preliminare, in quanto obbedisce già alle convenzioni piú profonde e diffuse della cultura in cui è sorto » (p. 19). « La fotografia è, dunque, un segno strutturato dell'inconscio tecnologico del mezzo », non solo, ma « dato che l'immagine fotografica viene strutturata all'insaputa del soggetto, ess[...]
[...]re istituito da una convenzione preliminare, in quanto obbedisce già alle convenzioni piú profonde e diffuse della cultura in cui è sorto » (p. 19). « La fotografia è, dunque, un segno strutturato dell'inconscio tecnologico del mezzo », non solo, ma « dato che l'immagine fotografica viene strutturata all'insaputa del soggetto, essa può agire separatamente dalla sua significazione » (p. 22).
Ho preferito citare con una certa ampiezza il testo di Vaccari piuttosto che parafrasarlo approssimativamente perché mi sembra che contenga alcuni concetti davvero interessanti. Il primo è quello di « inconscio tecnologico », che, per usare le parole stesse dell'autore: « non deve essere interpretato come pura estensione e potenziamento di facoltà umane; bisogna vedere nello strumento una capacità di azione autonoma: tutto avviene come se la macchina fosse un frammento di inconscio in attività » (p. 11). Come si vede Vaccari mira ad attribuire alla macchina una sua effettiva — seppur inconsapevole — qualità simbolizzatrice dovuta al fatto che « là dove c[...]
[...]che parafrasarlo approssimativamente perché mi sembra che contenga alcuni concetti davvero interessanti. Il primo è quello di « inconscio tecnologico », che, per usare le parole stesse dell'autore: « non deve essere interpretato come pura estensione e potenziamento di facoltà umane; bisogna vedere nello strumento una capacità di azione autonoma: tutto avviene come se la macchina fosse un frammento di inconscio in attività » (p. 11). Come si vede Vaccari mira ad attribuire alla macchina una sua effettiva — seppur inconsapevole — qualità simbolizzatrice dovuta al fatto che « là dove c'è cultura, preesiste al soggetto un campo di significati indipendenti dal fatto che se ne abbia coscienza o meno ».
Il secondo concetto avanzato da Vaccari è quello che si riferisce al principio benjaminiano dell'aura: « È vero che la fotografia ha dissolto l'aura che circondava l'opera d'arte nella sua unicità, ma l'ha sostituita con l'aura della irrepetibilità dell'istante » (p. 31). Un'osservazione che mi sembra estremamente acuta, perché sfata l'importanza data all'unicità dell'opera, ormai superata da tutta la piú recente vicenda artistica, e sottolinea invece l'importanza del concetto di « irrepetibilità dell'istante », dunque del nuovo problema legato alla « fissazione del tempo » istituita dall'immagine fotografica, e alla fissazione del[...]
[...] fissazione del tempo » istituita dall'immagine fotografica, e alla fissazione del « tempo reale » resa possibile dalla sequenza filmica quando questa non venga manipolata attraverso il montaggio, ma permetta la messa in evidenza, spesso drammatica, della realtà temporale in cui una vicenda si svolge (un accorgimento, questo, molto spesso utilizzato dallo stesso autore nei suoi lavori, definiti appunto « in tempo reale »).
Dalle osservazioni di Vaccari, che ho appena citato, emerge, in definitiva un'opinione molto simile a quella che ho ricordato piú sopra a proposito del « furto d'immagine » cosí temuto e deprecato da alcune popolazioni « selvagge » come pure da alcune sette religiose. Non solo, ma del valore conferito alla riproduzione fotografica da parte di « stregoni » e maghi moderni, senza che questi ne diano piú precise giustificazioni.
Il fatto d'ammettere nella fotografia (tanto piú se di soggetti viventi) la presenza d'una qualità simbolica, al punto da potersene valere come di esca per rintracciare un individuo scomparso (o per[...]