Brano: [...]’altro spiegando: « Verso il mio partito non avevo nulla da rimproverarmi. La mia condotta nella produzione sovietica era chiara e lineare: ero sempre stato udarnico (“lavoratore d’assalto” n.d.r.) e stakhanovista, ero stato ripetutamente premiato. Coloro che avevo raccomandato come volontari in Spagna avevano tutti un buon passato e stavano facendo valorosamente il loro dovere. La mia attività alla direzione degli emigrati politici italiani neH’URSS era sempre stata approvata. Tutto, quindi, mi lasciava tranquillo. Tuttavia intuivo che il colpo veniva certamente dal l’emigrazione. Avevo infatti combattuto con elementi collegati con trotskisti sovietici; ero stato severo con alcuni fannulloni; avevo strigliato pure qualche dongiovanni da strapazzo. Perciò era possibile qualche loro vendetta, favorita in quel periodo caratterizzato dalla psicosi del “nemico del popolo” ».
Alla Lubianka (sede della polizia politica), Robotti fu portato al cospetto del generale Jakubovic, uno dei massimi dirigenti delI’N.K.V.D. e ciò gli fece capire che, [...]
[...]ochi giorni più tardi fu nuovamente sottoposto al
lo stesso supplizio per altre 48 ore, dopo di che svenne, senza aver dato però ai suoi aguzzini le risposte che pretendevano da lui. Nei giorni successivi, ripresosi (ma le conseguenze fisiche di quel trauma nelle gambe e nella spina dorsale lo accompagneranno per tutta la vita), attribuì la responsabilità di quanto gli era accaduto a « qualche prima, provocatoria, offensiva di Hitler contro l’URSS e il movimento comunista europeo [...]. La cosa poteva apparire assurda solo se non si fosse tenuto conto della situazione internazionale e della diabolica attività provocatoria del nazismo e non solo di esso ».
Accusato di « terrorismo », che secondo i sovietici era provato dal fatto che egli aveva organizzato all’estero atti di rappresaglia armata contro il fascismo, dopo 14 mesi di carcere Robotti venne a sapere che era stato arrestato in seguito « a due deposizioni contro di me firmate da due emigrati politici italiani e dalla dichiarazione di un altro italiano — vero mascalzone — sull[...]
[...]na dichiarazione, con la quale si impegnava « a non dire a nessuno niente di quanto aveva visto e sentito ».
Si ritiene che la sua liberazione sia stata
dovuta a Dimitrov, l’unico dirigente comunista che ebbe il coraggio di difendere membri del proprio partito e altri dalle persecuzioni staliniane.
La dura esperienza non intaccò le certezze ideologiche di Robotti. Ripreso il lavoro in fabbrica, partecipò poi attivamente alla difesa dell’URSS contro l'attacco tedesco e, dal 1943, divenne uno dei più fervidi propagandisti del sistema sovietico dai microfoni di Radio Mosca, come redattore de “L’Alba” (v.) nonché istruttore nelle scuole politiche antifasciste per i prigionieri di guerra italiani neH’URSS.
Ritorno in patria
Tornato in Italia alla fine del 1946, fu inviato in Sicilia come viceresponsabile della Commissione Stampa e propaganda del partito, infine alla Commissione Esteri (195056).
Nel 1950 diede alle stampe un volumetto dal titolo "Nell’Unione Sovietica si vive cosi”, contenente 100 risposte ad altrettante immaginarie domande sulla vita e sulle conquiste dei lavoratori in URSS: un catechismo apologetico del regime sovietico.
Il libro, più volte ristampato, venne diffuso a decine di migliaia di copie e seguito da un secondo volume.
Eletto membro del Comitato centrale dal VII Congresso del P.C.I., passato alla Commissione centrale di controllo con l’VIII Congresso e poi al IX (1963), dopo la morte di Togliatti venne emarginato dalle sfere dirigenti del partito.
Egli rispose a questa emarginazione pubblicando nel 1965 “La Prova”, nel 1973 il libro
Il gigante ha cinquant’anni (nel quale riaffermava la propria incrollabile fede nel sistema sovietico) e nel 1[...]