Brano: [...]ragedia che si propagò in Italia sullo scorcio del Settecento, conducendo il genere tragico a una voga che mai aveva avuto eguale nel corso dei secoli, è anche vero che la sua passione per il teatro fu sincera e tenace, tale da sopravvivere in lui per lunghi anni a serie difficoltà e forti delusioni, provocate soprattutto da un ambiente culturalmente e politicamente ostile.
Il Foscolo inaugurò ufficialmente la sua attività di drammaturgo con il Tieste, di cui annunciò il compimento al Cesarotti nel 1795, anche se è quasi certo che l'Edipo, scoperto dallo Scotti fra le carte del Pellico, sia da identificarsi con quello « recitabile ma da non istamparsi » nominato nel Piano di studi del 1796 2 e forse composto negli stessi anni del Tieste. Oltre che autore, il Foscolo fu uomo di teatro, come testimonia con sicurezza il suo interessamento continuo e assiduo per il mondo dello spettacolo.
In armonia con gli ideali politici giacobini, il Foscolo volle che il suo nome figurasse fra quelli dei promotori del Teatro Civico di Venezia, in cui avrebbe dovuto prendere forma, almeno in parte, l'ambizioso progetto per la fondazione di un teatro nazionale, messo a punto da F. S. Salfi e da lui pubblicato sul « Termometro politico » il 6 Termidoro (26 luglio) 1796'. Ancora in quegli anni il Foscolo fu socio del Teatro Patriottico di Milano[...]
[...]e che la preferenza accordatagli trova un'ulteriore motivazione nell'esperienza notevole e particolare che il Foscolo aveva maturato nel campo dello spettacolo, pur in anni non piú recentissimi. Ad eccezione del Monti che, presiedendo la commissione da cui l'iniziativa aveva preso le mosse, non era il candidato piú idoneo, forse nessun altro letterato poteva allora vantare esperienza uguale a quella accumulata dal Foscolo con la composizione del Tieste, l'abbozzo di un'altra tragedia che avrebbe dovuto intitolarsi Bibli e Cauno (1809), l'esercizio della critica nei confronti dei drammaturghi contemporanei 7 e un vivo interessamento per i problemi della miseenscène. Proprio quest'ultimo aspetto del lavoro che il Foscolo svolse nel campo del teatro, ci interessa in modo particolare perché fornisce i mezzi necessari per avvicinare i suoi testi tragici in una dimensione critica piú tecnica e specifica. È a tutti noto come il Foscolo sia stato, oltre che drammaturgo, regista, almeno per l'allestimento delle sue opere 8: riteniamo
6 Nell'aprile [...]
[...]nistiche e del capocomicato. La scelta del Foscolo, dunque — che pur non è un caso isolato se si pensa che anche l'Alfieri e il Monti amavano recitare le loro opere drammatiche — rivela il preciso intento di collegare la scrittura drammaturgica alla scrittura scenica, di verificare personalmente alla prova del palcoscenico l'efficacia di un dettato che non è e non può essere meramente poetico. Già nel 1797 il Foscolo collaborò alla regia del suo Tieste, ma di ciò non rimane che qualche vaga traccia. Il contatto con un'esperienza di teatro militante (seppure dilettantistico) come quella del Patriottico milanese e la verifica dell'allestimento veneziano del Tieste, diretto con ogni probabilità dal Fabbrichesi, esperto quanto incolto mestierante, dovettero convincere il Foscolo ad impugnare per intero la responsabilità dello spettacolo. Non mancano le prove di ciò sia per 1'Ajace sia per la Ricciarda: le integreremo a scapito della coerenza cronologica, per disporre in modo piú organico le argomentazioni da cui si possa rilevare in che misura e in quali fasi del lavoro il Foscolo sia intervenuto. La corretta impostazione di un allestimento dipende in buona parte dalla distribuzione. Il Foscolo mostra di saperlo, scrivendo al capocomico Fabbrichesi a pro[...]
[...]della « Ricciarda » di U. Foscolo, in « Giornale storico della letteratura italiana », xxxvi, 1900, p. 384).
19 Negli appunti si specificano infatti le porte attraverso cui devono avvenire le entrate e le uscite dei personaggi (cfr. L. FABRis, art. cit., p. 384).
2D Citando i testi delle tragedie faremo riferimento all'edizione curata da G. BEZZOLA (U.F., Tragedie e poesie minori, Firenze, Le Monnier, 1961). Per la presenza di didascalie, cfr. Tieste, pp. 6, 31, 32, 56, 57; Ajace, p. 108.
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espediente, assente nella tradizione teatrale settecentesca, conferma gli interessi registici del Foscolo che approfitta dello spazio riservato alle note per fornire al lettore (e ad altro eventuale allestitore) puntuali ragguagli sulla scenografia e l'illuminazione (cfr. Tieste, p. 24; Ajace, p. 59), giungendo fino a costruire quasi con le sole didascalie una fra le piú efficaci e suggestive scene della Ricciarda (cfr. p. 194).
L'esperienza di palcoscenico si rivela, inoltre, nella particolare abilità con cui il Foscolo mostra di saper sorreggere la recitazione, fornendo agli attori efficaci supporti su cui far presa per l'enfatizzazione che, come si è detto, era in quel tempo caratteristica dell'impostazione recitativa. Ciò avviene attraverso la frequente iterazione di parolechiave che, all'interno del monologo, segnano i fiati e le punte di carico enfatico 21 e, [...]
[...]i).
22 Si veda lo scambio con cui si conclude il monologo riprodotto nella nota precedente e, a titolo d'esempio, il seguente scambio: « Irr.: Oh ciel! ... vorresti ... / Punir delitti con maggior delitto. / ATR.: Altro ve n'ha del suo maggior — Sí ... forse ... / Altro ve n'ha: ma non delitto; è santo / Anzi il castigo, ed il furor d'un sire. / Irr.: Deh! ti scorda quell'o n t a. / ATR.: O n t a è di sangue, / E sangue vuolsi, ond'obbliarla » (Tieste, p. 45, corsivi e spaziati nostri).
23 Si veda, ad esempio, l'oculata disposizione di pause e spezzature a sottolineare l'accorata tensione di Erope: «Or prendi. / Ma ... oh dio! ... deh ... deh mi lascia ... Almeno o madre, / Seco lui fuggirò ... Romita, ancella, / Purché sia con mio figlio ... Ah lascia. — E dove? / Dove tu il condurresti! ... Atreo! ... di troppo / Ti fidi tu ... No, no ... lungi da questa / Reggia di sangue io me n'andrò ... Ma il figlio, / Il figlio meco, e poi morir. — Si ... morte / Quanto piú cara assai! ... morte; sí morte » (Tieste, p. 12, corsivi nostri).
LA RAPP[...]
[...]ottolineare l'accorata tensione di Erope: «Or prendi. / Ma ... oh dio! ... deh ... deh mi lascia ... Almeno o madre, / Seco lui fuggirò ... Romita, ancella, / Purché sia con mio figlio ... Ah lascia. — E dove? / Dove tu il condurresti! ... Atreo! ... di troppo / Ti fidi tu ... No, no ... lungi da questa / Reggia di sangue io me n'andrò ... Ma il figlio, / Il figlio meco, e poi morir. — Si ... morte / Quanto piú cara assai! ... morte; sí morte » (Tieste, p. 12, corsivi nostri).
LA RAPPRESENTAZIONE DELL'« AJACE » E LA TECNICA TEATRALE FOSCOLIANA 149
del Foscolo va ascritta, a nostro avviso, quella capacità tutta particolare di riscattare un dialogo, una scena povera di tensione drammatica con una battuta, con uno scambio di grande efficacia recitativa 24. Abile nei dettagli, capace di intervenire con l'intuito dell'interprete a sanare difetti strutturali, il Foscolo — come i critici hanno notato — non seppe mantenere costantemente elevato il livello della sua produzione drammaturgica. Muovendo da un'analisi sia pur parziale e limitata dell'[...]
[...] poiché la Scala aveva allora una capienza di tremila posti. Nei palchi riservati alle autorità stavano il conte Bianchetti di Bologna, ciambellano di s.A.R.I. e il segretario generale del ministero della guerra, cavalier Lanoli 2d. Sul palcoscenico, occupato dall'imponente scena dipinta forse da Paolo Landriani 27, agiva la Compagnia
2I Si veda ad esempio la fortissima carica patetica e drammatica con cui Erope taglia il prolisso dialogare con Tieste: « ... Sí, t'amo / Con ribrezzo e rancor: de' miei delitti / Il piú enorme è l'amarti, e il non poterti / Odiar per sempre. — Ah potess'io, che il voglio, / Altrettanto abborrirti ... ma non posso ...» (Tieste, p. 31). Si veda ancora lo scambio RicciardaGuelfo che spicca in forte contrasto con il monologo precedente, attraverso l'efficace contrapposizione di sentimenti e toni recitativi: « RICC.: Apre il suo grembo agl'infelici Iddio. / Padre, deh! vien ... Te fuggir regalmente, / Solo a salvar la figlia tua, vedranno: / Avran pietà di noi prostrati all'ara. / GUE.: L'abbian di te; d'essi non l'ebbi io mai. / Obbrobrio obbrobrio mi sarà lo scettro / Se nol porto sotterra! — O donna, fuggi: / Sto co' miei padri che non fur mai vili ».
25 Cfr. « Corriere delle dame », 14 dicembre 1811; « Giornale it[...]
[...]la 42/2). Paolo Landriani, nacque a Milano fra il 1755 e il 1756 e vi mori il 25 gennaio 1839. La sua attività di architetto e scenografo rientra nel quadro del neoclassicismo milanese che trovò in lui uno dei maestri della nuova scuola scenografica scaligera. Lavorò regolarmente alla Scala dal 1792 al 1817, dedicandosi in seguito tutto all'insegnamento.
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Reale, fortemente modificata nell'organico rispetto all'allestimento del Tieste. Paolo Belli Blanes fu Ajace e il Prepiani fu Agamennone; la celebre Fiorilli Pellandi 28 diede vita al personaggio di Tecmessa, il Tessari fu Ulisse, il Bettini un Calcante un po' giovane e il Fabbrichesi tenne per sé la particina di Teucro. Attori di prim'ordine, dunque, anche se non tutti perfettamente « in parte ». Nonostante le ottime premesse, tuttavia, il successo fu tiepido, come si deduce dalle cronache piú obiettive della serata: gli applausi, abbastanza calorosi per i primi tre atti, divennero sempre piú radi nella seconda parte della tragedia per mescolarsi ai fischi o disperdersi[...]
[...] dell'intreccio e la progressione drammatica verso la catastrofe sono discontinui e si concentrano solo nel quinto atto, che è sicuramente il piú valido sotto il profilo teatrale in quanto alterna azione e tensione psicologica in un crescendo ben calibrato 36. La partizione interna degli atti, per un totale di trentasei scene,
31 G. BEzZOLA, Introduzione a: U.F., Opere, Milano, Rizzoli, 1956, vol. I, p. 35.
32 Tale carenza non si riscontra nel Tieste e nella Ricciarda in cui l'autore, pur perseguendo la medesima essenzialità di gusto ' alfieriano, non dimentica di illuminare i passaggi necessari allo svolgimento della trama. Non manca, per la verità, anche nella Ricciarda qualche passo un po' oscuro (iv, 4; v, 3).
33 « Io per me ... non ho potuto capire perché Ajace siasi data la morte ... Ciò per me a nulla monta ... »: tali le parole attribuite agli spettatori dal Lampredi che conclude: « ... giudizj, che ho poi trovato conformi a quelli della maggior parte degli Spettatori » (« II Poligrafo », 15 dicembre 1811).
34 « Io mi sono annoj[...]
[...]potuto capire perché Ajace siasi data la morte ... Ciò per me a nulla monta ... »: tali le parole attribuite agli spettatori dal Lampredi che conclude: « ... giudizj, che ho poi trovato conformi a quelli della maggior parte degli Spettatori » (« II Poligrafo », 15 dicembre 1811).
34 « Io mi sono annojato moltissimo, e la Tragedia mi è sembrata troppo lunga » (ivi).
33 Piú stringate le altre tragedie foscoliane, rispettivamente di 1407 versi il Tieste e di 1298 versi la Ricciarda.
36 I pareri dei critici sulla validità dei singoli atti sono discordi: in linea di massima, tuttavia, le censure colpiscono soprattutto i primi tre atti (dr. « Giornale italiano », 15 dicembre 1811; E. FLORI, op. cit., p. 157). Dopo la lettura privata dell'Ajace del 14 ottobre 1811, il Foscolo scrisse a G. Grassi: « ... tutti giudicarono che il primo atto fosse peggiore degli altri, e mi raccomandarono d'accorciarlo ... Il quarto e il quint'atto riescono sommamente patetici, tragici, e rapidi, e compenseranno il cattivo de' primi tre; benché il secondo a me paia[...]
[...]ondanza di scene di congiunzione: di scene, cioè, create con il solo scopo di superare un ostacolo d'intreccio, permettendo entrate e uscite di personaggi ed evitando incontri dannosi ai fini dello svolgimento della trama 38. La costruzione simmetrica degli atti, aperti e conclusi da un soliloquio, dovette sembrare al Foscolo maturo un inutile ossequio alla precettistica di ascendenza classica, se, dopo averla rispettata nel 1 e nel iv atto del Tieste e nel iv atto dell'Ajace, la ignorò nella Ricciarda.
Alla base del concetto di teatralità sta quello di azione sul quale, non a caso, insiste molto il Foscolo negli scritti in cui puntualizza la sua poetica drammaturgica 39. Nonostante egli riveli una notevole lucidità speculativa, le sue tragedie, e l'Ajace in particolare, non sono sempre soddisfacenti sotto tale profilo. « Opera nobilmente immota nella sua antiteatrale staticità » 40, l'Ajace è privo di un vero sviluppo tragico: l'azione è svuotata del suo principio motore dal momento che il protagonista è deciso ad uccidersi fin dall'iniz[...]
[...]ti dall'autore o appena accennati nei dialoghi dei personaggi. Pur non mancando, infatti, squarci di notevole evidenza lirica e anche drammatica, scene che per ispirazione, sviluppo ed esecuzione fanno presa nello spettatore, l'interesse non è continuo e non sempre è viva
37 Il numero di scene non è proporzionale alla vivacità dell'azione, come qualcuno vorrebbe, in quanto è appunto in rapporto solo con le entrate e le uscite dei personaggi. Il Tieste è diviso in 24 scene e la Ricciarda in 25: meno numerose della media che, nelle tragedie coeve, supera il numero di 30.
38 Nel Tieste e nella Ricciarda tali scene sono in numero di 3 (rispettivamente: II, 3, III, 3, iv, 4; II, 4, in, 3, Iv, 3). Nell'Ajace il maggior numero di personaggi (sei, contro i quattro del Tieste e i cinque della Ricciarda) e la trama piú debole e confusa comportano un abuso dell'espediente: le scene di congiunzione sono otto (II, 2, 3, 4, 9; ni, 1; Iv, 4, 7; v, 5).
39 « ... L'autore deve nel breve spazio dal principio alla fine della sua azione far nascere tali accidenti che, quantunque naturalissimi e quasi minimi, ridestino quelle antiche passioni, le facciano operare fortemente in que' forti caratteri, e sciolgano pietosamente e terribilmente l'azione » (Epistolario, vol. Iv, p. 215). « ... L'azione e il suo progresso non consiste negli avvenimenti affollati, e incalzantisi, bens[...]
[...]vvenimenti affollati, e incalzantisi, bensí negli accidenti naturalissimi e minimi che rieccitando le passioni de' personaggi le infiammano, e le fanno scoppiare e le riducono alla catastrofe: e questo progresso di passione è per me il vero moto dell'azione tragica » (Epistolario, vol. Iv, p. 221).
4° F. DOGLIO, Il teatro tragico italiano, Parma, Guanda, 1960, p. 144.
41 Quanto piú efficace, sotto quest'aspetto, il pur elementare e scheletrico Tieste, sviluppato su una coerente linea drammatica che conduce all'atroce catastrofe, attraverso una serie di accidenti concreti e conseguenti.
LA RAPPRESENTAZIONE DELL'« AJACE » E LA TECNICA TEATRALE FOSCOLIANA 153
l'alterna tensione che, attraverso crescenti sollecitazioni, dovrebbe fare dell'intreccio tragico un organismo compatto e tutto proiettato verso la catastrofe. Nell'Ajace si trova piuttosto una parvenza d'azione, che azione vera non è: si veda il precipitoso inizio degli atti i e II che sembra gettare lo spettatore nel mezzo di un fatto in pieno svolgimento e che si spegne invece subi[...]
[...] 1;
iv, 8; v, 2); al contrasto fra il lirico delirio di Tecmessa e l'affettuoso, sconsolato eloquio di Ajace, magistralmente condotto attraverso uno scambio di versi spezzatissimi, giocati su parole e sospensioni scenicamente assai efficaci, e una coppia di monologhi suggestivamente disperati (y, 2). Sono assenti, invece, nell'Ajace quei colpi di scena e quel suspense che, pur rifiutati dall'Alfieri, il Foscolo aveva opportunamente adottato nel Tieste (III, 2; Iv, 2;
v, 3) e che, in misura minore, riprenderà nella Ricciarda (1, 4; III, 5). Si tratta — è vero — di artifici, forse poco consoni a un'opera di poesia ma, sotto il profilo teatrale, essi sono assolutamente giustificati dall'esigenza di tener desto l'interesse dello spettatore, coinvolgendolo il piú possibile nel meccanismo dell'azione tragica, cioè a dire in quello scontro di forti passioni in cui lo stesso Foscolo identifica la fonte di ammaestramento morale e civile.
Quanto alla struttura dialogica 42, un'analisi approfondita dell'Ajace rive
42 L'importanza dei dialoghi nell[...]
[...]e si è detto, il Foscolo seppe fornire ai suoi attori indicazioni preziose e supporti validissimi per un'efficace impostazione recitativa, concentrando l'enfasi nella recitazione, di cui la parola teatrale è uno strumento; talvolta, invece, egli trasferí la carica enfatica nei versi, nella parola stessa, privandola di vigore e fissandola in formule elocutive su cui nulla può la perizia dell'interprete (cfr. Ajace, pp. 113, 119, 120). Rispetto al Tieste, tutto fedele al modello alfieriano, l'Ajace presenta un dettato poetico originale, disteso in volute piú ampie e melodiche, per ritornare all'imitazione dell'Alfieri nei momenti culminanti della tensione drammatica: tale procedimento potrebbe essere la spia di un linguaggio tragico mancato, ondeggiante fra desiderio di autenticità e suggestioni letterarie ancor vive. Non è dubbio, infatti, che già nell'Ajace l'aspirazione a un dettato poetico e scenico personale sia assai forte, pur non realizzandosi, neppure con la Ricciarda, in un linguaggio tragico davvero organico e nuovo.
Per valutare [...]