Brano: [...]emontese la pagina di cronaca di Torino, e finisce il 16 dicembre 1920, quindici giorni prima dell'apparizione dell'Ordine Nuovo quotidiano. Dal suo ventiseiesimo al suo trentesimo anno — l'intenso quinquennio della segreteria della sezione socialista, dell'Ordine Nuovo rivista e della latta per la fondazione del partito comunista — Gramsci riesce ad intercalare una costante attività giornalistica, alternando ai caustici commenti della rubrica « Sotto la mole » la critica teatrale. Gobetti, che si compiacque di posizioni paradossali contro la critica teatrale, scrisse: « Si può compiere con utilità anche l'esperienza di critico teatrale; ma se la si smette presto » : e Gramsci, infatti, sotto il peso, d'altronde, di ben piú gravi responsabilità, sembra aver dato ragione a Gobetti, lasciando la rubrica dell'Ordine Nuovo, ed affidandola a lui. Il contributo, comunque, che Gramsci dette al teatro italiano dal 1916 al 1920 fu di importanza notevole, non tanto, crediamo, per la validità critica, pur notevole, delle singole recensioni — quelle note che nascono nelle ore piccole della notte, da una frettolosa fusione fra critica e cronaca — quanto per la visione completa che, in quelle recensioni ed in vari articoli, egli mostrò di avere del fenomeno teatrale, considerato sia sotto l'asp[...]
[...]andola a lui. Il contributo, comunque, che Gramsci dette al teatro italiano dal 1916 al 1920 fu di importanza notevole, non tanto, crediamo, per la validità critica, pur notevole, delle singole recensioni — quelle note che nascono nelle ore piccole della notte, da una frettolosa fusione fra critica e cronaca — quanto per la visione completa che, in quelle recensioni ed in vari articoli, egli mostrò di avere del fenomeno teatrale, considerato sia sotto l'aspetto artistico, sia sotto quello economico.
Quale era la particolare fisionomia del teatro europeo e, in ispecie, del teatro italiano, in quel periodo che va dalla fase drammatica culminante della guerra all'inizio della parabola rivoluzionaria discendente del dopoguerra?
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È importante, a questo proposito, uno scorcio che ritrovo in uno scritto di Alvaro: « A vederlo di lontano, il teatro borghese di quel tempo è dominato da un'inquietudine pratica basata sul ruolo del danaro e delle conquiste materiali; della posizione, dell'arrivare; lo si confronti col mondo di Ibsen, che è il padre d[...]
[...]leggiano sulle acque del teatro i relitti di quel verismo che aveva cominciato a denunziare la corruzione e la decadenza della società borghese, e si era rivelato troppo povera ed ingenua cosa — borghese esso stesso — di fronte a1 travaglio della umanità e allo smarrimento della borghesia che caratterizzavano l'angoscioso e sconvolgitore tempo della guerra e i tormentati anni del dopoguerra. Quanto al teatro di D'Annunzio, esso era franato ormai sotto il peso della sua retorica. La scena italiana, lenta e sospettosa nell'accogliere Ibsen e Shaw — sorda soprattutto ad accogliere il messaggio di Ibsen che tendeva alla ricerca ed alla valorizzazione della personalità umana — si lasciava invadere dal teatro francese, con Bernstein e Bataille da una parte e la pochade dall'altra. Bernstein, « abile alchimista di parole » fra i creatori « per uso industriale » di « un mondo fittizio di avventurieri, di donnine allegre, di vecchi intriganti e di vecchi satiri »; « riduzione meccanica » e « visione artificiosa del mondo, utilissima ai fini del suc[...]
[...]ismo sentimentale, aveva, con l'abilità, acquistata nel suo garzonato di autore rotto a tutte le astuzie della scena », saputo sia « drammatizzare spunti e motivi eminentemente legati all'ideologia popolare » sia accattivarsi lo spettatore piccoloborghese con la creazione di una contrapposta mitologia aristocratica.
Sbocciavano, cosí, speranzose della fortuna del Niccodemi, sia le prime erbacce forzaniane, che si faranno, poi, alte e soffocanti sotto il fascismo e saranno, or è qualche anno, premiate in blocco con un milione dal parastatale Istituto del Dramma Italiano, sia le « piante di stanza » del salottierismo, « la pochade che vuol essere " commedia comica " » e questa che si adorna di spiritosaggini « come — dice Gramsci — un pellerossa da carnevale si adorna di penne ». Gli uomini spiritosi, egli dice, « sono una parte molto importante della vita sociale moderna e sono molto popolari... ». L'ideale della loro vita elegante sono « la conversazione fatua e brillante del salotto, l'applauso discreto e i1 sorriso velato dei fre
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[...]« come — dice Gramsci — un pellerossa da carnevale si adorna di penne ». Gli uomini spiritosi, egli dice, « sono una parte molto importante della vita sociale moderna e sono molto popolari... ». L'ideale della loro vita elegante sono « la conversazione fatua e brillante del salotto, l'applauso discreto e i1 sorriso velato dei fre
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quentatori disalotti ». Anche questo genere di commedia, avrà poi suo massimo sviluppo sotto il fascismo.
Una sola opera, maturata in un clima di volontarismo ibseniano, si è, negli ultimi anni (è del 1912), staccata dalla produzione salottiera, oltre che valorizzata da una interpretazione inimitabile. Il Santo è l'opera; Ruggeri l'interprete: per il resto, Bracco rimane anche lui nel salotto, o talvolta — il che non è, certo, artisticamente piú valido — scende in istrada con gli atti unici di tardo verismo.
I futuristi non avevano portato nel teatro che clownesche stramberie; e, d'altronde, non tarderanno a rivelarsi, in tutta la loro attività, quel « gruppo — come Gramsci disse —[...]
[...]mane anche lui nel salotto, o talvolta — il che non è, certo, artisticamente piú valido — scende in istrada con gli atti unici di tardo verismo.
I futuristi non avevano portato nel teatro che clownesche stramberie; e, d'altronde, non tarderanno a rivelarsi, in tutta la loro attività, quel « gruppo — come Gramsci disse — di scolaretti, che, scappati da un collegio di gesuiti, hanno fatto un po' di baccano nel bosco vicino e sono stati ricondotti sotto la ferula della guardia campestre ».
In contrapposizione al salottierismo erano sorte, sulla scia benelliana, opere intese ad evadere dalla povertà presente, risalendo al passato nella storia e nei miti. Benelli aveva sconfessato D'Annunzio, ma la discendenza era innegabile. Ora la Cena — che Gramsci definisce « castelletto di cartapesta », con personaggi che erano maschere « dalla gioia canora e dall'anima di legno », — Il Beffardo di Nino Berrini, il Glauco di Ercole Morselli hanno momenti di clamorosa fortuna tra le platee, e non solo italiane — « meteore », postilla Gramsci —; ma per que[...]
[...] fantasia legnosamente arida, che scoppietta e frigge per una goccetta d'olio rovesciata dalla lucerna, alla quale si compulsarono gli articoli sulla filosofia delle dame. Una fantasia matematica, una fantasia di ingegneri che sanno il fatto loro, una fantasia da curiosi di sapere come la fantasia era fatta, i quali pertanto l'hanno recisa per notomizzarla
e veder com'era fatta ». Non è originalità, quindi, ma solo bizzarria; la quale è solo un sottoprodotto della originalità. E l'involucro della bizzarria avvolgerà o il vuoto o della vecchia merce scadente. Il primo è, per esempio, il caso del pur quotatissimo Rosso di San Secondo, ii cui ingegno, dice Gramsci, gli permette con Marionette, che passione! di « portare sui teatro la formula famosa: per fare un cannone si prende un buco e lo si avvolge di bronzo: egli prende il vuoto, lo avvolge di parole ». Siamo costretti, oggi, a controllare l'esattezza di questo giudizio tutte le volte che assistiamo a riesumazioni di Rosso. Il secondo caso riguarda la innumerevole produzione di Carlo Ve[...]
[...]nuovi. « I lavori capaci — scrive — di emozionare il nostro pubblico sono quelli che mettono a contatto il presente con l'avvenire, i dominatori con gli oppressi, il sistema sociale dell'oggi con le ardite speranze del domani ».
E qui è da notare che egli non istalla nella rubrica teatrale dell'Avantil una cattedra staccata dalla vita teatrale. Egli si rivela uomo di teatro; e cioè consapevole delle necessità pratiche a cui la vita del teatro è sotto:posta e dei mezzi che devono non ostacolare ma favorirne lo sviluppo. Sarebbe stato da ricordare il suo insegnamento l'anno scorso, in occasione di una polemica che fu intitolata « Arte e cultura » e che piú esattamente sarebbe stata intitolata « Arte e Teatro ». Gramsci sostenne che i diritti e i valori dell'arte dovevano essere rispettati in teatro come essenziali ai suoi fini nel tempo stesso ideali e pratici, perché senza di questi ultimi non esisterebbe teatro e la sua opera rimarrebbe nell'ambita della letteratura. Battendosi contro « l'insincerità psicologica, la bolsa espressione arti[...]
[...]ura particolare, perché tendente a fini di creazione artistica — sono successi i " vincoli " che legano l'intraprenditore ai salariad, i vincoli della forca e dell'impiccato ».
Piccoli impresari locali, in verità, non erano mai mancati; erano sorti già dopo il crollo del mecenatismo principesco ed aristocratico; ma, come fenomeno generale, il mondo dei comici era costituito da compagnie girovaghe, piú o meno zingaresche, di tipo paternalistico, sotto una direzione nel tempo stesso artistica ed amministrativa. A queste compagnie si erano andate sostituendo, dalla fine dell'Ottocento, vere e proprie aziende capocomicali, per lo piú di proprietà dell'attor principale o di alcuni attori principali associatisi; piú tardi la società capocomicale era stata formata dall'attore o dagli attori anzidetti che davano alla società l'apporto del loro lavoro e da un finanziatore che investiva i suoi capitali. Piú tardi apparvero compagnie in cui anche gli attori principali erano scritturati e la compagnia era proprietà di un capitalista.
Il fatto recent[...]
[...]iodo di maggiore floridezza mai raggiunta dal teatro in Italia, lo strato capitalistico dominante, costituito dai tre proprietari di teatro già nominati, si era consolidato con un accordo monopolistico, il cui primo e immediato programma, in previsione del triennio 191821, doveva esser quello di consolidare con un contratto tipo il dominio dei loro interessi sulle aziende capocomicali. Contro il trust SuviniZerboniChiarelliParadossi costituitosi sotto forma di Consorzio, la Lega dell'Arte Drammatica dette il grido d'allarme ai capocomici; e questi, appoggiati anche dalla Società degli Autori, trovarono il piú battagliero rappresentante dei loro interessi in Ermete Zacconi, proprietario della compagnia a lui intitolata.
Sull'Avanti! di Torino, prima ancora che questa lotta fosse impostata sul terreno economico, Gramsci aveva rilevato i pericoli del trust sul terreno culturale. « Torino — egli aveva scritto il 25 maggio 1916,
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sotto il titolo « Sfogo necessario » — è diventata una buona piazza per il trust che [...]
[...]d'allarme ai capocomici; e questi, appoggiati anche dalla Società degli Autori, trovarono il piú battagliero rappresentante dei loro interessi in Ermete Zacconi, proprietario della compagnia a lui intitolata.
Sull'Avanti! di Torino, prima ancora che questa lotta fosse impostata sul terreno economico, Gramsci aveva rilevato i pericoli del trust sul terreno culturale. « Torino — egli aveva scritto il 25 maggio 1916,
300 I documenti del convegno
sotto il titolo « Sfogo necessario » — è diventata una buona piazza per il trust che regola il mercato artistico italiano »; e quel che diceva era valido per quasi tutta Italia. « Il trust ha ammazzato la concorrenza, ha rotto la molla che costringeva a dare il meglio se si voleva molto pubblico, si è formata la palude, la marcita che favorisce prosperità ai girini e alle erbacce ». E qui, nel successivo articolo del 18 giugno, « Malinconia », la dimostrazione della sempre maggiore scarsezza di spettacoli teatrali sostituiti da « un pullulare malsano di varietà e di canzonettisterie ».
Un anno dop[...]
[...]lico, si è formata la palude, la marcita che favorisce prosperità ai girini e alle erbacce ». E qui, nel successivo articolo del 18 giugno, « Malinconia », la dimostrazione della sempre maggiore scarsezza di spettacoli teatrali sostituiti da « un pullulare malsano di varietà e di canzonettisterie ».
Un anno dopo, il male si aggrava: gli spettacoli di varietà, operette, vaudevilles si sono allargati, hanno preso posto in tutti i teatri di prosa. Sotto il titolo « L'industria teatrale », il 28 aprile 1917, Gramsci scrive: « Torino è diventata una fiera, Barnum è diventato il dio tutelare della attività estetica e del gusto dei torinesi. Barnum o il consorzio teatrale: Barnum o il trust dei fratelli Chiarella ».
Qui Gramsci denunzia lo spirito animatore dell'industria teatrale, tal quale esso si rivelava allora di fronte al caffèconcerto (e tal quale si rivela oggi di fronte alla rivista): « lo spirito dell'accumulatore di quattrini, cieco, sordo, insensibile a tutto ciò che non sia cespite di guadagno. Se domani sarà provato che è piú che [...]
[...]acciate, pur mantenendo nella ditta l'aggettivo " teatrale " ».
Dei danni che certamente deriveranno, e già cominciano a derivare, al teatro drammatico, l'industria teatrale, osserva Gramsci, non si preoccupa poiché, a causa del monopolio e della perversione del gusto, i suoi affari prosperano ugualmente. Perché dovrebbero, infatti, preoccuparsi i proprietari teatrali? Le compagnie, scrive Gramsci, « se vogliono vivere e lavorare devono passare sotto le forche caudine dei patti, dell'ingerenze, dei repertori, che il Consorzio impone ».
Fissiamo subito la nostra attenzione su questi tre temi proposti da Gramsci: patti, ingerenze, repertori; poiché si tratta di una tematica quanto mai attuale per porre in discussione le ragioni che impedivano allora e tanto piú impediscono oggi — in una situazione nuova ma analoga — quella libertà del teatro che è condizione assoluta per la sua esistenza.
Quanto ai patti, salvo alcune clausole addirittura leonine da tempo
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superate, essi sono oggi ancora, sostanzialmente, quegli stes[...]
[...]egime nel quale, dal 1936 ad oggi, la sovvenzione ministeriale è condizione di vita della compagnia.
Quanto, in definitiva, alla scelta del repertorio (per la quale l'ingerenza degli esercenti era solo potenziale nel momento in cui Gramsci scriveva, e che diventò reale due anni dopo, quando al trust degli esercenti fu abbinata la « Sitedrama », società accaparratrice di repertorio nazionale e straniero) l'ingerenza ministeriale ha, come è noto, sotto il governo fascista e quello democristiano, raggiunto il piú alto grado, rappresentando essa la ragione basilare del regime delle sovvenzioni, predisposto appunto in modo da soffocare ogni libertà del teatro. La censura fa il resto, sopprimendo tutto quello che al sovvenzionatore sia sfuggito di sopprimere.
Nel conflitto scoppiato fra il consorzio monopolistico degli esercenti ed i capocomici, Gramsci prese posizione contro il Consorzio, pur mettendo in evidenza il rapporto di forca ed impiccato, fra capocomico e scritturato. Su tutta una serie di sfruttamenti, infatti, quello del capocomico[...]
[...]rono costretti in Milano nel gennaio 1922: durò circa un mese e fu sorretto dalla solidarietà di tutti i lavoratori del teatro della città; ma fini con la sconfitta degli attori, perché i capocomici si allearono, questa volta, con i proprietari di teatro; i quali erogarono i fondi per la costituzione della prima corporazione fascista e crumira. Fu, in questa occasione, scoperto dai lavoratori del teatro un documento quanto mai significativo: una sottoscrizione promossa dall'Associazione
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Proprietari ed Esercenti di teatro, iniziata da Chiarella, con L. 5.000, ed altrettante da Zerboni, « per arginare le continue pretese delle leghe rosse ».
Credo che il contributo dato da Gramsci fra il 1917 e il 1919 allo studio del teatro come fatto economico sia di notevole importanza e che, nell'attuale naufragio della vita teatrale italiana, le sue intuizioni possano servire da bussola.
Il fatto economico è da lui sempre considerato nella sua inscindibilità dal fatto culturale ed artistico; e molti suoi passi vanno meditati.
L[...]