Brano: [...]ra giunto alla fine ad accettare il leninismo. Entrambi questi uomini apparten
gono ad un'epoca nella quale la lotta per il socialismo si concepiva come un'autentica lotta rivoluzionaria. Fu certo negativo che tra di essi, cosí simili per formazione ed ispirazione, non si sia creata una salda amicizia politica e che gli sforzi
per indurli a superare i contrasti siano stati resi vani dalla morte inattesa di Morandi.
FRANCESCO DE MARTINO
DALLA SCUOLA KAFKIANA ALLA RUPE TARPEA
Come nel castello kafkiano vaga un'onnipotente presenza padrona delle anime umane, cosí tra i corridoi delle scuole sperimentali s'aggirano fantasmi mitologici padroni delle anime professionali della categoria docente, e ne decretano il processo.
Una programmazione scolastica degli anni '80 non può non iniziare con una premessa polemica contro le nuove mitologie didattiche che hanno invaso la scuola media dell'obbligo, e in particolare le scuole sperimentali. Dieci anni fa, tanto per ricordare, l'editoria didattica cattolica sfornava i primi obiettivi e le prime verifiche sotto forma di quiz rudimentali e di definizioni implumi (il senso morale, il senso dell'amicizia ecc.) sui massimi sistemi etici e dottrinali debitamente volgarizzati. Dall'altra parte stavano il contenutismo selvaggio, l'insegnan
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te di sinistra come un orco dalla bocca mostruosa, questa funzione somatica ipersviluppat t da un apparato vocale spropositato rispetto al resto delle funzioni di[...]
[...]rano le proposte « ordinate » della didattica cattolica ammodernata. Ammodernati e ammodo, civili, disinvolti, i giovani redattori delle ditte editoriali cattoliche civettano con grafiche accattivanti, divulgano e smerciano a tappeto le metodologie del modello anglosassone purché si salvino i contenuti ortodossi sotto il segno della programmazione. Nell'area laica e marxista il contenutismo, in quanto selvaggio, è stato rimosso, non ripensato: a scuola e fuori vige il principio generale dell'austerità nelle sue componenti tecniciste, efficientismo e produttivismo delle competenze quantitative di adulti e allievi. Ma nel frattempo si è dimenticato che la qualità politica umanistica e retorica di don Milani aveva pur provocato, in tutta la fisionomia della realtà scolastica italiana, la piú profonda riforma morale e intellettuale del dopoguerra, le grandi attese e i bisogni professionali che la produzione editoriale democratica non ha saputo sviluppare, almeno secondo chi scrive.
Si è pubblicato, si è tradotto, e moltissimo dall'inglese, si [...]
[...]concettuale, in ogni operazione di conoscenza, sono presenti infiniti obiettivi, e concezioni e culture e temperamenti infinitamente diversi, plurimi e contrapposti. In ogni attimo culturale gli obiettivi si snodano in filigrana: quando si legge, quando si ascolta, quando ci si emoziona, bambino o adulto. L'esercizio mentale di indagarli tutti è improbo, dispotica la pretesa di uniformarli e imporli nel consiglio di classe o persino a livello di scuola magari in curriculum triennale. Ne conosciamo le seduzioni linguistiche, gli eufemismi della sindrome autoritaria: la « necessaria omogeneità », la « unitarietà di intenti ».
Ma chi ci rimette, in realtà, in questa speculazione della ragione che si autodivora, sono il confronto tra ragioni diverse e la ragione stessa. Il master mind può continuare per l'eternità e girare sopra il pianeta con risultati atroci. Bontà
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sua, « Scuola e didattica » (gennaio '80, n. 9, p. 8) ammette che questo bisogno di misurare la millenaria riflessione sugli scopi dell'esistenza e [...]
[...]n curriculum triennale. Ne conosciamo le seduzioni linguistiche, gli eufemismi della sindrome autoritaria: la « necessaria omogeneità », la « unitarietà di intenti ».
Ma chi ci rimette, in realtà, in questa speculazione della ragione che si autodivora, sono il confronto tra ragioni diverse e la ragione stessa. Il master mind può continuare per l'eternità e girare sopra il pianeta con risultati atroci. Bontà
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sua, « Scuola e didattica » (gennaio '80, n. 9, p. 8) ammette che questo bisogno di misurare la millenaria riflessione sugli scopi dell'esistenza e del pensiero umano fa trasparire « divergenze », richiede « nei prossimi anni chiarificazione, integrazione, coordinamento » tra gli obiettivi di carattere intellettivo delle diverse tassonomie. Sicché, per rimediarvi, la rivista cattolica piú diffusa preannuncia già, in vista del decennio venturo, una nuova esplorazione « di maggiore rigore » e senza confini in mezzo agli obiettivi « di carattere affettivo », anche se (lo si concede) « questi sfuggono quasi se[...]
[...]pacità e le funzioni in tutte le salse e le discipline, esistono solo il come e il quanto funzionare proprio come si addice alla razionalità delle buone scuole della buona società tecnologicamente avanzata e appagata su se stessa. Ma, per parafrasare l'ultimo Enrico Berlinguer in fase di travaglio autocritico, uno può chiedersi: « perché » fare funzionare i bambini, in « che cosa » devono essere capaci? Per trasformare anche dentro l'istituzione scuola: come avevano scoperto il '68 e don Milani, appunto. Ma per trasformare sono necessari contenuti, obiettivi di conoscenza e categorie d'analisi disvelanti come punti di approccio e di orientamento elastici, e tecniche d'insegnamento agili quali le forze demo ratiche interessate ritardano ancora ad elaborare limitandosi spesso all'acquisizione di impostazioni e linguaggi pensati in altre sedi ideologiche.
Non c'è ora lo spazio per analizzare in modo approfondito le ragioni di questi ritardi e limiti della sinistra culturale ed editoriale italiana sull'argomento scuola e, nello specifico, in s[...]
[...]nza e categorie d'analisi disvelanti come punti di approccio e di orientamento elastici, e tecniche d'insegnamento agili quali le forze demo ratiche interessate ritardano ancora ad elaborare limitandosi spesso all'acquisizione di impostazioni e linguaggi pensati in altre sedi ideologiche.
Non c'è ora lo spazio per analizzare in modo approfondito le ragioni di questi ritardi e limiti della sinistra culturale ed editoriale italiana sull'argomento scuola e, nello specifico, in scienze dell'educazione. Molto sommariamente si può dire che hanno pesato trenta anni di subordinazione culturale allo stalinismo, dopo che la vecchia guardia della pedagogia bolscevica era stata sconfitta dalla pedagogia autoritaria di Mackarenko, ripresa senza ripensamenti dalla sinistra italiana inerte nel vuoto teorico. Qui hanno trovato buon nutrimento i secolari vizi positivisti, deterministici della tradizione marxista nazionale: la scuola come problema sovrastrutturale da risolversi nel dopo rivoluzione. Intanto la
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sinistra laica no[...]
[...]o, in scienze dell'educazione. Molto sommariamente si può dire che hanno pesato trenta anni di subordinazione culturale allo stalinismo, dopo che la vecchia guardia della pedagogia bolscevica era stata sconfitta dalla pedagogia autoritaria di Mackarenko, ripresa senza ripensamenti dalla sinistra italiana inerte nel vuoto teorico. Qui hanno trovato buon nutrimento i secolari vizi positivisti, deterministici della tradizione marxista nazionale: la scuola come problema sovrastrutturale da risolversi nel dopo rivoluzione. Intanto la
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sinistra laica non trovava niente di meglio sul mercato culturale che la « progressiva » modernità delle tecniche attivizzanti americane (Dewey per primo) per bilanciare la produzione cattolica stratificata, egemonia d'organizzazione e di cultura che ha colonizzato gli istituti scolastici d'ogni livello.
Sta comunque di fatto che questi limiti si avvertono quotidianamente nell'assenza di una pedagogia teorica critica, a parte qualche valida eccezione che non poggia su un impianto cultu[...]
[...]n poggia su un impianto culturale organico. L'insegnante democratico in sostanza deve ancor oggi arrangiarsi da solo facendo tesoro delle esperienze altrui concretamente scritte o descritte. D'altro canto quelle carenze dovrebbero perlomeno suggerire di valorizzare l'apporto e l'intervento di risorse fondamentali della realtà scolastica, come gli allievi, che le programmazioni rigide per forza di cose umiliano Che l'accumulazione culturale nella scuola proceda solamente attraverso le rigidità tecniciste e che ogni altra alternativa si risolva in sperimentalismo improvvisato, facilone, è tutto da dimostrare. Si può improvvisare ininterrottamente sempre pensando un principio, una precisa strategia educativa di movimento.
D'altronde nulla si può leggere, nessuna tecnica verifica valutazione, nessuna scheda e nessun capitolo è stato scritto, ad esempio, su « Come l'educato educa l'educatore », anche se è il concetto antropologico marxiano piú rivoluzionario. Eppure, in un solo momento, una critica o una proposta piú intelligente di un allievo [...]
[...]e una delle innumerevoli tecniche proposte, bruciata anche nelle sue potenzialità trasformative della realtà territoriale.
La quale realtà è, come sempre, piena di contraddizioni che vanno indagate e sottoposte a esame: per non dimenticare mai, se si vogliono mantenere i nervi saldi anche di questi tempi, che c'è un regime che non ha mai smesso di occupare l'etica e la società politica e civile e, tra gli avamposti diffusi del dominio, anche la scuola. Nonostante ciò, nessun testo di pedagogia teorica, nessuna « attivizzante » tecnica didattica promuove la capacità di riconoscere e cogliere il senso delle contraddizioni che attraversano le radici dell'intero vissuto dei bambini. Che si vive nella contraddizione, che il senso della contraddizione è la regola aurea della conoscenza e della dialettica l'aveva detto ragionevolmente il Presidente per ora demodée. E la prima contraddizione fondamentale resta quella tra capitale e lavoro, l'obiettivo piú urgente da insegnare e apprendere con l'uso di categorie d'indagine di base, piaccia o meno a[...]
[...]e ci reca da un simposio in Boston la buona nuova delle xYz in diagramma contorto, verticali orizzontali incrociate, a significare le dinamiche piú banali con le freccine attitudinali, tra lacune spaventose e « successi prodigiosi » (De Landscheere), si rivela, last but not least, irrimediabilmente maschietto.
In realtà, solo scavando e rendendo esplicite le contraddizioni, si possono realizzare i due grandi compiti a cui dovrebbe accingersi la scuola media riformata e democratica. In primo luogo dare al ragazzo la consapevolezza storica delle cause e del significato dell'essere sociale in cui vive e soffre, offrirgli le categorie di fondo per chiarirgli cos'è che determina in ultima analisi l'essenza
e l'esistenza sua e delle cose e dei rapporti che si vede sotto il naso e che non sono affatto naturali e immodificabili come gli hanno fatto credere fuori scuola
o alle elementari, e che cos'è che determina i rapporti tra gli uomini, e tra gli uomini e le cose di cui essi si appropriano, che costruiscono, vendono, modificano, per cui lottano. Che in questi spazi di conoscenza, i ritmi di apprendimento dei bambini di una i media siano ritardati è un fatto, sí, ma un fatto innaturale perché l'insieme delle istituzioni circostanti li hanno voluti proditoriamente ritardare in linea con la concezione tradizionale e conservatrice che pretendeva di difendere, repressione e regolamento in pugno, dai turbamenti esterni le religioni ingenue, l'infanzia delicat[...]
[...]rotti da confrontare e
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spiegare per l'educazione della mente degli allievi secondo diversità e contrasti, valori positivi: a partire, sempre, dal reale e dall'unità della cultura in direzione del discorso conclusivo sul laboratorio didattico.
È vero che il laboratorio potrebbe diventare lo spazio scolastico ideale per superare storiche subalternità generazionali. Nel laboratorio gli studenti da fruitori (fase della scuola autoritaria) a produttori (scuola progressista) potrebbero crescere come dominatori di conoscenze quando tutti — in una scuola rinnovata dai bisogni del territorio, socialmente gestita — sono ricercatori, sperimentatori, soggetti partecipi dando, com'è ovvio, contributi diversi su di un asse didattico centrato sulla ricerca trasformativa e la redazione di strumenti di intervento. Ma questa è una via che, a quanto pare, troppi insegnanti hanno già percorso troppo dolorosamente per poterla ripetere. L'incontro con il territorio è spesso degenerato nello scontro con i genitori dei ceti sociali privilegiati, pronti a mobilitarsi. D'altronde le cause di questi fallimenti sono piú generali, risalgono a lontano, al '74 quan[...]
[...]redazione di strumenti di intervento. Ma questa è una via che, a quanto pare, troppi insegnanti hanno già percorso troppo dolorosamente per poterla ripetere. L'incontro con il territorio è spesso degenerato nello scontro con i genitori dei ceti sociali privilegiati, pronti a mobilitarsi. D'altronde le cause di questi fallimenti sono piú generali, risalgono a lontano, al '74 quando le forze democratiche avevano lanciato la proposta teorica di una scuola inserita nel tessuto del territorio senza minimamente sostenerla nei fatti e nell'organizzazione: una scommessa politica che oggi si è rivelata perdente. Oggi la prospettiva di una gestione sociale della scuola dell'obbligo non è in agonia; è morta. Anche se proprio ieri ho letto e di sicuro leggerò domani sulla stampa ufficiale del movimento operaio che la questione scolastica ha « una collocazione strategica... all'incrocio dei problemi piú drammatici dell'attuale crisi del capitalismo ».
Per concludere dal vivo: in prima A, a Rezzato. Una novità: le fasce di questa classe sono tre. Un'altra novità: la prima apprende bene, la seconda mica tanto, la terza poco o niente. A parte sta il caso di Diego Milani (che pone problemi da quarta fascia). I casi « ufficiali » segnalati di handicap da ritardo m[...]
[...]si « ufficiali » segnalati di handicap da ritardo mentale sono due, in realtà almeno cinque. È senz'altro una classe che ha un suo specifico. Fuor d'ironia: in ogni caso la I A resta a mio avviso quella che di solito si definisce « una bella classettina », una classe di piccoli polinesiani in potenza quanto a rapporti interpersonali e a strutture caratteriali: spontanei, gentili, affabili, cordiali, potrebbero diventare splendidi amanti se nella scuola liberata per davvero si cominciasse a fare un po' di educazione del corpo in positivo. Ovviamente tutti hanno saputo creare l'ambiente ideale per l'inserimento degli handicappati.
L'analisi diventa piú problematica quando si devono affrontare questioni di apprendimento. Per rendere in modo vivo il quadro dei problemi presenti li incarneremo in quattro rappresentanti delle fasce. Ferrari, la 1' fascia, d'estrazione proletaria (come quasi tutta la classe), denota ritmi di apprendimento rapidi e una richiesta di cultura e di conoscenza inesausta. Appassionatamente critico e polemico, non riesce[...]
[...]la mamma. La scena illuminante si presta ad alcune considerazioni.
Primo: la teoria e la pratica di inserire gli handicappati gravi in classi normali per accompagnare processi di apprendimento a processi di socializzazione è dannosa e controproducente sotto qualsiasi profilo la si voglia sostenere. Controproducente per la classe dove, in un rapporto numerico pedagogicamente assurdo, vanno affrontate e si aggravano le cento contraddizioni di una scuola disastrata e di una società ineguale; controproducente per l'handicappato mentale che si carica di una aggressività e di una frustrazione peggiori di quelle accumulate in qualsiasi ghetto. L'alternativa non sta tra la ghettizzazione razzista e l'inserimento forzato in strutture tra l'altro inadeguate dietro le suggestioni di un confessionalismo integralista che non ha mai avuto fautori, sul versante laico opposto, neanche tra gli esponenti piú radicali dell'eliminazione delle istituzionighetto. L'alternativa sta in istituzioni aperte e adeguatamente strutturate e competenti che, al loro inter[...]
[...]ia di Natale, pour cause. Ferrari durante una discussione di laboratorio aveva in mente con chiarezza un intervento decisivo, non riusciva ad esprimerlo, soffriva con le lacrime agli occhi. Ferrari, emblema del grande potenziale che avrebbe dovuto scaturire dalla scolarità di massa sulla scena della cultura e della storia, dunque piangeva. Avrei voluto piangere con lui secondo autentica pietas sociale. Perché — questo dovrebbe essere chiaro — la scuola di Rezzato non è la Carducci di Porta Venezia. A Rezzato il famoso « resto della classe », puntualmente evocato dagli insegnanti conservatori per selezionare e abbandonare in solitudine gli allievi socialmente piú svantaggiati, non è composto dal figli dell'avvocato o del dottore. Qui semmai il problema è proprio quello di sanare la separazione di classe tra la maggioranza dei bambini d'educazione proletaria e paesana e i privilegiati dei quartieri residenziali urbanocentrici. In questa direzione si dovrebbe alzare l'asse didattico, secondo la mia formazione culturale e la mia sensibilità soc[...]
[...]a dei bambini d'educazione proletaria e paesana e i privilegiati dei quartieri residenziali urbanocentrici. In questa direzione si dovrebbe alzare l'asse didattico, secondo la mia formazione culturale e la mia sensibilità sociale (anche gli atei hanno un cuore).
Che queste siano tesi riducibili in sintesi all'immagine della Rupe Tarpea, potra
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forse dirmelo San Pietro alla resa dei conti, non certo i colleghi di una scuola pubblica e laica che devono oggi pagare i costi psicologici e potrebbero anche pagare — cose di un attimo — quelli economici morali per le colpe di una gestione confessionale che, nel passato, ha saputo costruirvi sopra cinicamente rendite colossali, salvo scaricare oggi l'intero problema, senza mediazioni, senza strutture adeguate, sulle spalle di una categoria sindacalmente sprovveduta.
RENATO ROVETTA
I CATTOLICI, LA POLITICA E LA MORALE ASSOLUTISTICA
Sentiamo dire (l'ha detto recentemente Andreotti) che la presenza dei cattolici nella società italiana è legata a una capacità reale di te[...]