Brano:
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PIER PAOLO PASOLINI, Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi, Torino, Einaudi, 1979, pp. 481.
« Ho fatto delle "descrizioni". Ecco tutto quello che so della mia critica in quanto critica. E "descrizioni" di che cosa? Di altre "descrizioni", che altro i libri non sono. [...] Nella vita accadono dei fatti; i libri li descrivono: ma in quanto libri sono anch'essi dei fatti: e quindi possono essere anch'essi descritti: dalla critica. [...] S'intende che chi descrive, descrive dal suo angolo visuale. Che non vuol sempre rigidamente dire soggettivo: esso è il punto di incontro di una infinità v[...]
[...] vuol sempre rigidamente dire soggettivo: esso è il punto di incontro di una infinità vorticosa di elementi, che in realtà appartengono ad universi distinti (esistenza e cultura, preistoria e storia, professionismo e dilettantismo, fenomenologia e psicologia: e altre simili coppie piú o meno antitetiche, all'infinito) » (pp. 457458). Nell'ultimo intervento su « Tempo », commiato molto intenso, significativamente dedicato a Todo modo di Sciascia, Pasolini ci offre una conclusione sulla sua attività di « recensore ». Si era svolta dalla fine del '72 agli inizi del '75 ed aveva quindi coperto piú o meno il periodo in cui uscirono gli Scritti corsari. Dato forse non del tutto trascurabile se non si rifiuta di leggere in questa contemporaneità un procedere parallelo, nella quantità superiore delle « descrizioni » l'impronta di una intrinseca, naturale predilezione e predisposizione.
« Nei saggi ideologici ci metto il mio senso comune: solo per quelli poetici, oh Tetis, il mio acume ». L'Epigramma iniziale, preposto ai dattiloscritti, conferma[...]
[...]tinatari. Il pregio comune a tutti gli articoli, a prescindere dai contenuti, è che sollecitano a leggere ciò che non si conosce, a ripensare criticamente su opere che si credeva di aver definito per sempre. Sono introduzioni ricche di stimoli, comunicative ma tutt'altro che semplicistiche o convenzionali; questa invidiabile compresenza si concretizza in pagine che hanno già scandalizzato per la loro spregiudicata devianza (come tutta l'opera di Pasolini) lontanissime come sono dalla piú remota velleità di « captatio benevolentiae ». Il lettore avverte questo procedere autonomo, viene attratto dal recensore che sembra scrivere per se stesso, magari attento a sfrondare il testo di ricercatezze per essere comunicativo ed espressivo, raffinato e semplice. L'autenticità e l'originalità delle letture corrispondono al rifiuto del linguaggiotipo del critico di mestiere e del giornalista; ne deriva una prosa che non ha niente da invidiare a quelle precedenti o contemporanee, densa di senso e rigorosa, lucidissima nel rifiuto di possibili ambiguità ma[...]
[...]autenticità e l'originalità delle letture corrispondono al rifiuto del linguaggiotipo del critico di mestiere e del giornalista; ne deriva una prosa che non ha niente da invidiare a quelle precedenti o contemporanee, densa di senso e rigorosa, lucidissima nel rifiuto di possibili ambiguità ma inconfondibile per la vibrazione, per il suo valore letterario.
La vastità della materia, la multiforme configurazione dell'universo artistico con cui Pasolini si misura non è definibile e schematizzabile: se infatti si può dire che si è occupato di poesia, di romanzi, di saggi, di cinema, la singola recensione non può essere catalogata in riferimento a questi settori se non approssimativamente. Per questo accade che le riflessioni su un saggio di religioni orientali porti poi a valutare la nuova cultura di destra del suo editore, che ha superato la retorica dello schema fascista. Il procedimento risulta forse poco organico, legato da un filo tenue a volte, da cui emerge però l'interesse del critico ad un preciso tema. Luciano, Pound, Abelardo, Fald[...]
[...]assoluta in cui egli si addentra tanto da rasentare spesso la tentazione di riscrivere l'opera
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altrui (e in non pochi casi sarebbe stato auspicabile!). Emergono quelle coppie antitetiche che lui stesso ci ha ricordato come elementi che intervengono nella critica, a volte con la prevalenza di una categoria sulle altre, producendo un discorso sempre libero da schemi. Nell'originalità dei contenuti ritroviamo un Pasolini già noto, che, come in Passione e ideologia, piú ancora in Empirismo eretico e negli Scritti corsari, rifiuta le mode culturali e lotta per impedire il danno del loro « terrorismo ». Contro le idee dominanti degli intellettuali di sinistra ci viene a ricordare proprio al momento giusto che il neoluogo comune sulla dissociazione tra arte e ideologia può essere pericoloso e per lui inaccettabile quando analizza, per esempio, lo stile di Céline, « mimesi » del buon senso borghese. È questa una delle tante stroncature « scandalose » dalle motivazioni sempre ben chiare, anche se non sempre accetta[...]
[...], anche se non sempre accettabili, che assolvono alla funzione di arginare intelligentemente, a volte genialmente, solo con l'intuito, il dilagante confuso falso anticonformismo degli intellettuali « aperti ». Accade cosi di leggere una feroce demolizione della Bibbia del Decadentismo, Controcorrente, ridotta a Manuale, in cui l'enfasi e la banalità di un linguaggio referenziale, lo stile impotente e rozzo esprimono un gusto ridicolo e superato. Pasolini non risparmia nemmeno Manzoni, Anticristo per il suo umorismo antievangelico, creatore di alcuni personaggi « pronti per un technicolor americano degli anni Cinquanta », in una delle pagine piú dissacranti, logiche conseguenze delle sue analisi improvvisate, « a braccio ». Tuttavia piú frequentemente la motivazione di fondo è rigorosamente circoscritta all'interno del fatto artistico, di come un'ideologia vive nella forma dell'opera: lo possiamo verificare nella stroncatura quasi totale de La Storia, dell'opera di Fenoglio, di Pavese, di Cassola, fino ad Amarcord o alla sceneggiatura di Berto[...]
[...]e de La Storia, dell'opera di Fenoglio, di Pavese, di Cassola, fino ad Amarcord o alla sceneggiatura di Berto, Oh Serafina, che lo indigna. Ritroviamo d'altra parte anche una benevolenza eccessiva, clamorosa per opere decisamente mediocri, valutate piú per un suo modo particolare di percepirle, in cui ritornano le categorie famose già indicate. L'effetto immediato è il disorientamento in cui si trova il lettore, per l'abolizione degli abissi che Pasolini cerca di realizzare, riducendo quello che il nostro gusto ha canonizzato come capolavoro e viceversa impreziosendo opere trascurabili. È un limite non piccolo, come d'altra parte lo è azzardare analisi freudiane approssimative e tendenziose (anche troppo rimproverate) che lo spingono a vedere omosessuali piú o meno falliti in molti autori. Non è il caso però di indugiare troppo su queste « carenze », se cosí si possono definire, non per ignorare un aspetto imprescindibile della personalità di Pasolini e quindi del suo particolarissimo, inimitabile modo di fare le « descrizioni », ma per privi[...]
[...]tro gusto ha canonizzato come capolavoro e viceversa impreziosendo opere trascurabili. È un limite non piccolo, come d'altra parte lo è azzardare analisi freudiane approssimative e tendenziose (anche troppo rimproverate) che lo spingono a vedere omosessuali piú o meno falliti in molti autori. Non è il caso però di indugiare troppo su queste « carenze », se cosí si possono definire, non per ignorare un aspetto imprescindibile della personalità di Pasolini e quindi del suo particolarissimo, inimitabile modo di fare le « descrizioni », ma per privilegiare nell'insieme i suoi procedimenti e valutare quanto ci sia da imparare, quanto egli riesca a vivificare il lettore, a liberarlo da schematismi inibenti.
Questi articoli d'occasione hanno certo un valore scientifico minore rispetto ai saggi, ma non è del tutto esatto scindere in Pasolini questo tipo di avvicinamento alla letteratura dalla ricerca della verità: in lui anzi c'è la compresenza di entrambe, e quando inveisce contro chi snatura la letteratura, contro i « terroristi », avvertiamo la sua ricerca della verità. La cultura umiliata ha una grande presenza in questi scritti e in tal senso il suo rimpianto e la sua angoscia sono perfettamente parallele al rimpianto e alla angoscia che destava in lui la scomparsa dell'identità culturale del mondo contadino per opera della civiltà industriale, del Potere. Non a caso lui, scandalizzato dal disprezzo piccoloborghese per la cu[...]
[...]orna anche piú motivato il suo grande rifiuto all'omologazione, la scelta di una solitudine intellettuale senza scampo, la condanna ad avere molti denigratori e rari veri interlocutori (prima e dopo la morte). La neoavanguardia torna in questi articoli appena l'argomento lo rende possibile: « terroristica », « neocapitalistica », è oggetto di un'ostilità che ha perduto le forti punte polemiche personalistiche e tutto sommato si può affermare che Pasolini nobiliti le sue argomentazioni: trasferisce la questione sul piano culturale, carica di responsabilità il « nemico », lo incasella e lo data come un « fenomeno » ormai concluso, che sembra star 11 solo per confermare che lui aveva avuto da tempo ragione.
Il tema a cui Pasolini rivolge un'attenzione privilegiata nel già privilegiato contesto letterario è la produzione poetica, ragione intima, passione inconsumabile, che lo spinge a dedicare molte pagine a molto materiale, con un rigore ed una sicurezza di lettura che riscattano tutto quello che di viscerale si ritrova nei confronti della letteratura in prosa. Marianne Moore, Mandel'stam a Bellezza, Leonetti, Zanzotto, Kavafis e poi magari Giorgio Baffo: egli riafferma la volontà di una valutazione della poesia come valore finale assoluto, che non tollera di essere utile a qualcosa, che è innanzitutto ricerca formale[...]
[...]idicola della prosa di Fenoglio, il « pastiche » di Gozzano contro il « purismo » di Kafka, la mancanza di « vischiosità » in Soldati, la disorganica « scollatura » narrativa di Madame Bovary, la « decrepitezza » della pagina di Gisella, il « cursus » referenziale e poi lo scoppio lirico in Neve sottile di Junichiro Tanizaki, si riferiscono qui solo per dare un'idea telegrafica della capacità di articolazione e di penetrazione delle osservazioni pasoliniane.
Si potrebbe concludere ricordando ancora molti autori trascurati per necessità di concisione, ma sarebbe un'elencazione inutile di qualche centinaio di nomi e di osservazioni che inoltre non potrebbe dare idea del fervore intellettuale di Pasolini. Un nome in particolare deve però essere fatto, perché intorno ad esso ed alla sua esemplarità si possano valutare tutti i caratteri di questo ultimo Pasolini: Eros Alesi. Su di lui e sulla sua poesia egli scrive deciso: « [...] senza rilievo, anche quell'Eros Alesi di cui si presenta un puro e semplice documento di vita [...] in questi anni la moda ha voluto che questa tragedia fosse intollerabile ed enfatica e ha preteso soluzioni estreme. Non ho nessuna particolare pietà per questo disgraziato ragazzo, debole e ignorante, che è morto per la stessa ragione per cui si fanno crescere i capelli » (p. 96).
Ros SELLA REGNI