Brano: [...] E. Zola, M. Barrés, A. Kubin, O. Spengler e Th. Mann), Amburgo 1958; C. MAGRIs, Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna, Torino 1963; R. RUNCINI, I cavalieri della paura, in Passato e Presente n. 1617 del 1960; e, naturalmente, i saggi di Günther Anders.
(2) La tradizione apocalittica giudaicocristiana è esaminata in H. BIETENHARD, Das tausendjährige Reich, Zurigo 1955. Per la apocalittica protocristiana è da vedere in generale, oltre che O. CULLMANN, Christus und di Zeit: die urchristliche Zeit und Geschichtsauffassung, Zurigo 1948, la problematica connessa al cosiddetto ` rinvio ' (Verzögerung) della parusia e, in particolare, H. CONZELMANN, Die Mitte der Zeir, Tübingen 1954 (6' ed. 1962), con larga bibliografia. Per il legame tra moderna filosofia della storia ed escatologia giudaicocristiana, cfr. K. Löwrra, Meaning in History, Chicago 1948 (Weltgeschichte und Heilsgeschichte, Stuttgart 1953; trad. it. Significato e fine della storia, ed. Comunità, 1963); R. NIEBUHR, Faith and History, New York 1949. Un tentativo, del [...]
[...]e cosmica vissuta nella sua sgomentante imminenza e incombenza, la fine come già avvenuta e indicibilmente disforica, la fine accompagnata da un delirio eufo
(5) Per gli aspetti psicopatologici attinenti al nostro tema e per la compilazione della note (6) e (7) ci siamo avvalsi della collaborazione del dott. Giovanni Jervis, che nella sua qualità di psichiatra fu già nostro collaboratore nella ricerca intorno al e tarantismo pugliese ». Siamo inoltre debitori di alcune indicazioni bibliografiche al prof. Bruno Gallieri della Clinica delle malattie nervose e mentali della Università di Roma.
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rico di palingenesi e di reintegrazione, e la fine come fantasma persistente e come reazione catastrofica aggressiva in quella modalità psicotica che é stata definita «paranoia di distruzione », ovvero, con immagine biblica, «reazione di Sansone» (6). Eppure nella prospettiva di una ricerca storicoculturale e antropologica sulle apocalissi culturali il problema di una valutazione unitaria delle apocalissi pSicopatalogiche é imp[...]
[...]le problema in quanto i caratteri esterni delle apocalissi psicopatologiche sembrano riprodursi anche in quelle culturali, dato che anche le apocalissi culturali racchiudono l'annunzio di catastrofi imminenti, il rifiuto radicale dell'ordine mondano attuale, la tensione estrema dell'attesa angosciosa e d'euforico abbandonarsi alle immaginazioni di qualche privatissimo paradiso irrompente nel mondo. Non è pertanto illegittimo, sempre nella
dare, oltre a A. WETZEL, Das Weltuntergangserlebnis in der Schizophrenie, ' Ztschr. f. Neurologie', 78 (1922), pp. 403 sgg., i contributi direttamente ispirati allo esistenzialismo Heideggeriano; A. STORCH, Die Welt der beginnenden Schizophrenie und die archaische Welt, 'Zeitschrift f. Neurologie', 127 (1930), pp. 109 sgg. e Tod und Erneuerung in die schizophrenen DaseinsUmwandlung, 'Zeitschrift f. Neurologie', 181 (1948), pp. 275 sgg.; R. BIRZ, Die Metapher des Untergangs in der Schizophrenie, 'Nervenartzt', 20 (1949), pp. 258 sgg.; A. STORCH e C. KuHLENKAMPF, Zum Verständnis des Weltuntergangs bei den [...]
[...]essione verso la crisi e la effettiva potenza di reintegrazione operativa culturale che esse dispiegano (7).
(7) Un progetto comparativo del genere è già largamente preparato dalla copiosa letteratura relativa ai rapporti tra vita culturale e psicopatologia e dal vasto processo in atto attraverso cui la psicopatologia occidentale cerca oggi di sottoporre a revisione critica i suoi tradizionali dogmatismi etnocentrici, naturalistici e di classe. Oltre le ricerche sui tratti patologici nella biografia di personaggi di rilievo (Hölderlin, Nietzsche, Van Gogh, Verlaine etc.), e oltre ai tentativi di determinare il rapporto fra malattia e creazione culturale, o di individuare i modi con i quali la malattia mentale viene rappresentata nell'arte (p. es. la melanconia in Dürer), la moderna psicopatologia si è venuta aprendo a tutta una serie di comparazioni interculturali. Si sono così venute istituendo ricerche a) sulla assenza o presenza di malattie mentali presso i cosiddetti popoli primitivi e in generale presso culture extraocci
dentali, b) sul modellamenti dei quadri nosografici — soprattutto delle nevrosi in rela
zione ai diversi contesti culturali, alle varie epoche[...]
[...]a mi appaia un oggetto assurdo e allora da questa assurdità scaturirà la mia noia, la quale, in fine dei conti, non è che incomunicabilità e incapacità di uscirne. Ma questa noia, a sua volta, non mi farebbe soffrire tanto se non sapessi che pur non avendo rapporti col bicchiere, potrebbe forse averne, cioè che il bicchiere esiste in qualche paradiso sconosciuto nel quale gli oggetti non cessano un solo istante di essere oggetti. Dunque la noia, oltre che incapacità di uscire da me stesso, è la consapevolezza teorica che potrei forse uscirne, grazie a non so quale miracolo.
E
n, ancora :
La noia, per me, era simile a una specie di nebbia nella quale il mio pensiero si smarriva continuamente, intravvedendo soltanto a intervalli qualche particolare della realtà; proprio come chi si trovi in un denso nebbione e intravveda ora un angolo di casa, ora la figura di un passante, ora qualche altro oggetto, ma solo per un istante e l'istante dopo sono già scomparsi.
Questo spaesarsi del mondo si presenta con una tonalità ed una elaborazione anco[...]
[...]951, p. 7.
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di essi. In questa modalità apocalittica ritroviamo i'l «derisorio» che inaugura l'esperienza di Roquentin, ma in termini rovesciati poiché infatti in Roquentin il mondo appaesato entra improvvisamente in crisi di spaesamento in occasione di eventi irrilevanti, mentre in Lord Chandos il mondo stabilmente immerso in una diffusa, prigra, grigia spaesatezza che rifiuta la parola si mette improvvisamente a vivere, oltre la parola, sotto lo stimolo di qualche ineffabile casualità. In Roquentin irrompe, attraverso il casuale, la malattia degli oggetti: in Lord Chandos un mondo malato viene di tanto in tanto recuperato nella sua oggettività attraverso un oggetto casuale che malgrado la sua irrilevanza acquista la carica sublime di ineffabile oggettarecupero, di cifratissimo e idoleggiatissimo simbolo del significante.
Ma torniamo alla avventura di Roquentin. Il rapporto con la realtà é qui caratterizzato, come si é detto, dal fatto che gli oggetti diventano strani, bizzarri, deboli, gratuiti, incerti, indecisi[...]
[...]on è un sedile. Potrebbe essere altrettanto bene un asino morto, per esempio, gonfiato dall'acqua, e che fluttua alla deriva, a pancia all'aria, in un gran fiume d'inondazione: ed io sarei seduto sul ventre dell'asino, ed i miei piedi sarebbero a bagno nell'acqua chiara... Il bigliettaio mi sbarra la strada: « Aspettate la fermata! ». Ma .lo respingo e salto giù dal tram. Non ne potevo più. Non potevo sopportare le cose fossero così vicine.
Più oltre, in occasione della esperienza della radice di castagno nei giardini pubblici, Roquentin descrive (do strano eccesso» di cui pativa la radice, il suo minaccioso andar oltre le qualità sensibili in una apparente « dovizia » che tuttavia « finiva per diventare confusione » e accennava a sprofondare nel caos. Più oltre ancora, in contrapposizione alla pigra normalità in cui per lo più gli uomini vivono nella moderna civiltà industriale (le loro facce «ottuse e piene di sicurezza »), Roquentin dispiega, a guisa di minaccioso ammonimento, il quadro di una possibile «fine del mondo»:
E se capitasse qualcosa? Se d'un tratto si mettesse a palpitare? Allora s'accorgerebbero della sua presenza e gli sembrerebbe di sentirsi scoppiare il cuore. A che cosa gli servirebbero, allora, le loro dighe, i loro argini, le loro centrali elettriche, i loro alti forni, i loro magli a va
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pore? Ciò potre[...]
[...]ne sedie messe in fila, il riflesso del sole sulla strada, tre tavole bianche in un caffè), cfr. MEYERGRoss, Clinical Psychiatry, London 1958, p. 238.
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tocca, con un certo compiacimento, la scrivania, la macchina da scrivere, il tavolo, ne descrive la materia. Poi prende in mano un portacenere e dice: « Adesso lo sento vivo nelle mie mani, so chi è di maiolica: prima sembrava finto ».
L'inizio della crisi di spaesamento, oltre che repentino, é — per riprendere la notazione di Camus — «derisorio », «miserabile »: tutto pub cominciare dal più ovvio e dal più banale, dai pomodori del mercato come — nell'avventura di Roquentin — dal sassolino della spiaggia. La destrutturazione dello sfondo di domesticità implica appunto questa continua dissipazione nel derisorio, questo restar senza margine di ripresa davanti a dati banali, senza potersi mai raccogliere in quel centro operativo che alimenta il suo calore esistenziale non soltanto con la intenzionalità attuale ma anche con le ovvietà immerse nell'ombra e nell'ombra gua[...]
[...]atastrofe, l'attualità dell'attenzione, e di
sarticolando, per questo loro eccentrico richiamo, ogni sfondo appaesato possibile. D'altra parte gli ambiti percettivi che cc non Stan
no più nel loro quadro » possono, appunto per questo, essere trava
gliati da un rischioso eccesso di semanticità indeterminata, da una allusività oscura e sospetta, da una tensione interna che li
predispone ad una sorta di esplosione, e infine da un irrelato andar oltre che li sospinge verso il deforme e il mostruoso, accennando a caotiche mescolanze. Vien fatto qui di pensare alla «strano eccesso» della radice di castagno esperito da Roquentin, al minaccioso andar oltre di questa radice in una apparente (( dovizia» che tuttavia (( finiva per diventare confusione ». Ovvero vien fatto di pensare, sempre a proposito di Roquentin, alla irruzione del caos nella immaginata catastrofe del mondano, ai vestiti avvertiti come viventi, alla lingua che diventa un millepiedi vivo, all'occhio beffardo che la madre scopre nella screpolatura della carne rigonfia del suo bambino, all'apparizione dell'occhio di
pietra, del gran braccio tricorno, dell'allucegruccia, del ragnomascella. 'Ma per tornare al documento psicopatologico ecco co
me questa polarità di difetto e di ecc[...]
[...] 137
individuare di volta in volta, anche per l'apocalittica d'oggi, l'opera mondana variamente qualificata che essa media e con
sente, risalendo la perigliosa china di cui l'apocalisse psicopatologica indica il rischio in modo esemplare. Nell'analisi dei prodotti dell'apocalittica d'oggi lo storico della cultura e l'antropologo sono quindi chiamati di volta in volta a misurare di quanto l'immediato finire della crisi radicale sia affrontato e oltrepassato nella sua incombenza paralizzante, nella sua attualità indicibilmente disforica, nella sua privata e incomunicabile fruizione euforica di paradisi terrestri e di ultramondi, ovvero nel suo furore distruttivo di tutto ciò che vive e che vale. Nell'analisi di questi prodotti spetta allo storico della cultura e all'antropologo il compito di determinare, attraverso tale misurazione, il mediato ricostituirsi — oltre la crisi — di un messaggio relativo alla vita e al mondo che continuano e si trasformano, e spetta altresì il compito di indicare quando questo messaggio é incerto o assente, e quando infine, nel silenzio di ogni effettiva comunicazione, ricalca i modi stessi della crisi: ma proprio per assolvere questo compito, lo storico della cultura e l'antropologo non possono non avvalersi del sussidio euristico del documento psicopatologico.
D'altra parte il confronto della apocalittica d'oggi con le apocalissi psicopatologiche giova a mettere in evidenza come nella
apparizioni post mortem di Gesù agl[...]