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Il segmento testuale Machiavelli è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...] quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all'esaurimento dall'interno di tante tesi ha dato proprio l'analisi gramsciana, la quale, sottolineando con singolare energia la solidarietà di certi ideali e di certe visioni con una situazione, ha aperto la strada ad altre scelte e ad altre possibilità. E come sul terreno dottrinale a un certo Hegel, à un certo Marx, a un certo Labriola e, magari, a un certo Machiavelli, oppose un'altra possibilità interpretativa, cosí a un'altra storia d'Italia volle saldare un'altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un'Italia capace di riscattare in tutta la sua storia altre possibilità costantemente vinte, soffocate o mistificate. E proprio perché era un politico e non un filosofo — e con ciò si vuol dire solo che era anche uno storico e un filosofo serio, e non un professore — non si preoccupò di raccogliere in candidi [...]

[...]in testa », come lo chiama in una lettera nel '31) compare nei volumi delle opere una diecina di volte circa, e sempre
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lia non a caso culturalmente crociana e gentiliana, che aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall'intrinseco » certe posizioni — ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola: ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che é vivo da ciò che é morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.
La rottura con una certa tradizione e la lotta per un'altra Italia, si configurano così — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella stessa storia d'Italia:[...]

[...]to della meditazione gramsciana.
«L'Italia — osserva Gramsci — ebbe e conservò... una tradizione culturale che non risale all'antichità classica, ma al periodo dal Trecento al Seicento, e che fu ricollegata all'età classica dall'Umanesimo e dal Rinascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogico politico (31). Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei
cancellato. Malgrado la sua cognizione meravigliosa della vita reale, ci rimase un metafisico in mezzo a una generazione di positivisti, vagheggiando la determinazione dell'Idea fra genti che non ne comprendevano il nome ». Presso lo stesso editore, nella x Biblioteca di scienze sociali e politiche », n. 32, nel 1900, Croce aveva riunito i suoi a saggi critici » su Materialismo storico ed economia marxista (e nella stessa collana il liliale ' positivista' T[...]

[...]l'ineffabile Enrico Ferri. I sarcasmi di Engels, o di Labriola, erano ben lontani dal raggiungere l'amena leggerezza di quei valentuomini: nel confronto dei quali — non si dimentichi — si collocava Croce. Del resto sul e positivismo » è da rileggere sempre tutta la lettera di Labriola a Engels del '94 (Roma 1949, pp. 14650).
(31) P. 16 (cfr. 1. 28 sgg.; L.V.N. 2045; R. 6 sgg.).
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suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), si colgono bene le differenze della sua posizione, e la sua originalità (32). Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodi e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve «importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno é già riuscita a elaborare le sue questioni e le soluzioni relative in modo già molto chiaro e approfondito ». D'altra parte a valutare esattamente le riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe necessario un lavoro preliminare — che manca — in cui avesse risalto quello che il tema Machiavelli fu in Italia fra la prima guerra mondiale e il fascismo. Impegnarsi su Machiavelli non era analizzare un momento qualsiasi della cultura italiana: significava prendere posizione su tutte le questioni fondamentali della storia e della politica italiana. E forse non é senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul «machiavellismo »), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l'abbia scritto mai; ov'è, in certo modo, la verifica della tesi gram sciana dell'erasmismo di Croce — anche se é da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l'ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po' convenzionale) (33).
Gramsci sa che Machiavelli é esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che « lo stesso
(32) Cfr. L. 144 (a quando vidi il Cosmo, l'ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il Machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »).
(33) Le due e figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la 'passione' di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l'Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla ' politica' del M. intorno al '25, e subito dopo (dr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: a è risaputo che il M. scopre la necessità e l'autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in [...]

[...]ascimento ». Da altra parte, mentre é fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un'ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Del la Casa — dei tratti che li avvicinano a Machiavelli, ma un'immagine artificiosa dell'uomo del Rinascimento gli preclude un'adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia d'Italia (34). Su Machiavelli, invece, é veramente originale e suggestivo. « Bisogna
considerare — premette il Machiavelli come espressione neces
saria del suo tempo... Non solo l'Arte della guerra deve essere connessa al Principe, sibbene anche le Istorie fiorentine, che devono servire appunto come un'analisi delle condizioni reali ed europee da cui scaturiscono le esigenze immediate contenute nel Principe... La dottrina di Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente ' libresca', un monopolio di pensatori isolati, un libro segreto che circola fra iniziati. Lo stile del Machiavelli non é quello di un trattatista sistematico... é stile di uomo d'azione, di chi vuole spingere all'azione, é stile di 'manifesto' di partito » (35), Manifesto e profezia: dover essere che si fa costruttivo dell'essere. Gramsci a proposito di Machiavelli pone due rapporti illuminanti: con Savonarola e con Rousseau.
« L'opposizione SavonarolaMachiavelli, scrive, non é l'opposizione tra essere e dover essere... ma tra due dover essere, quello astratto... del Savonarola, e quello realistico del Machiavelli, realistico anche se non diventato realtà », perché Machiavelli non fu capo di uno stato, né capitano di un esercito: ma si « uomo di parte, di passioni poderose, un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non pub non occuparsi del dover essere ». Machiavelli non é mai «un mero scienziato »; «si fa
(34) Mach. 6, 9, 141; P. 34; 1. 345.
(35) Mach. 9, 13, 15.
y
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popolo; [e] non con un popolo genericameìite inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso (36). Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l'idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell'autonomia della poli[...]

[...]41; P. 34; 1. 345.
(35) Mach. 9, 13, 15.
y
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popolo; [e] non con un popolo genericameìite inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso (36). Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l'idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell'autonomia della politica, e scopritore dell'economico. ' Morale ' é il principato, ' morale ' é la repubblica. « Il Principe prende il posto, nella coscienza, della divinità o dell'imperativo categorico, diventa la base del laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita » — per la res publica si «perde l'anima »; alla volontà generale si sacrifica tutto (37). Tragica nel momento dell'autoritàprincipato: armonica in quello del consensorepubblica, la situazione umana, la natura umana é sempre un movimento storicamente [...]

[...]n supera [un] qualsiasi ambiente dato, con tutte le sue superstizioni e i suoi costumi barbarici; é statica, é una vuota forma che può essere riempita di qualsiasi contenuto storico attuale e anacronistico (con le sue contraddizioni). La formula kantiana sembra superiore perché gl'intellettuali la riempiono del loro particolare modo di vivere e di operare... » (38). Nella « staticità » formale kantiana, opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica; nella dialettica PrincipeDiscorsi; nella figura MachiavelliRousseau; in Machiavelli rivoluzionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula
(36) Mach. 10, 40.
(37) Mach. 147 (e 117).
(38) P. 202.
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crociana di Marx « Machiavelli del proletariato » in un MachiavelliMarx del « popolo » fiorentino e italiano del '500. Con la proclamata « moralità » del Principe si rifiutava così la « distinzione » di tipo crociano come l'idea teologale ad essa congiunta di una « natura » umana, per risolvere con forza ogni « forma » trascendentale nella società umana pacificata: e questo nel punto stesso in cui il dover essere della res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un'intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizia, si sacrifica — paradossalmente — anche l'anima: che è una forma di ascesi che invano si[...]

[...]me norma di un rigorismo e di un'intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizia, si sacrifica — paradossalmente — anche l'anima: che è una forma di ascesi che invano si cercherebbe nella tradizione italiana, non solo fra le anime belle e le anime pie, o fra i molti salvatori di anime proprie ed altrui, ma anche fra i più rigorosi e seri moralisti.
Quanto di se stesso Gramsci prestasse a questo Machiavelli, non è difficile vedere: saldato, non a un qualunque popolo, ma al suo popolo, non a qualunque cultura, ma alla cultura italiana del suo tempo; intellettuale non velleitario, ma uomo di passione che dei suoi scritti fa un manifesto; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato; ecco il profilo dell'intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta soprarazionale; che salda il sapere al fare, che al posto dell'atteggiamento oracolare e del pi[...]

[...]; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato; ecco il profilo dell'intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta soprarazionale; che salda il sapere al fare, che al posto dell'atteggiamento oracolare e del piglio pontificale pone la verità come ricerca e lavoro comune. Nella « figura » di Machiavelli, forse meglio che in ogni altro suo scritto, Gramsci ha fissato il proprio pensiero, e la propria lontananza non solo da Croce ma dal tipo di cultura che Croce ha incarnato. Non a caso Gramsci colloca dopo Machiavelli la decisiva « separazione » degli intellettuali italiani come non a caso egli insiste sulla corrispondenza simbolica CroceErasmo.
Troppo facile sarebbe nella storia degli intellettuali italiani delineata da Gramsci enumerare con mentalità notarile difficoltà d'ogni sorta; altrettanto facile quanto sottolinearne suggerimenti e giudizi di una singolare penetrazione, che oltrepassano i limiti impostigli dalle fonti a cui era costretto ad attingere. Perché non
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sarebbe difficile rintracciare nella storiografia crociana, o dei crociani (da De Ruggiero a Omodeo), proprio le rad[...]



da [Le relazioni] E. Garin, Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...] quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all’esaurimento dall’interno di tante tesi ha dato proprio l’analisi gramsciana, la quale, sottolineando con singolare energia la solidarietà di certi ideali e di certe visioni con una situazione, ha aperto la strada ad altre scelte e ad altre possibilità. E come sul terreno dottrinale a un certo Hegel, a un certo Marx, a un certo Labriola er magari, a un certo Machiavelli, oppose un’altra possibilità interpretativa, cosi a un 'altra storia d’Italia volle saldare un’altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storicistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un’Italia capace di riscattare in tutta la sua storia altre possibilità costantemente vinte, soffocate o mistificate. E proprio perché era un politico e non un filosofo — e con ciò si vuol dire solo che era anche uno storico e un filosofo serio, e non un professore — non si preoccupò di raccogliere in candi[...]

[...]sci » Salvemini, del Cattaneo grande ammiratore (editore, nel ’22, presso il Treves, di una antologia molto significativa). Che, per vie mediate, il « positivo » diEugenio Garin

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crociana e gentiliana, che. aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall’intrinseco » certe posizioni, ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola : ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che è vivo da ciò che è morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.

La rottura con una certa tradizione e la lotta per un’altra Italia, si configurano cosi — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella, stessa storia d’Ita[...]

[...]ena leggerezza ^ di quei valentuomini : nel confronto dei quali — non si dimentichi — sì collocava Croce. Del resto sul « positivismo » è da rileggere sempre tutta la lettera di Labriola a Engels del ’94 (Roma, 1949, pp. 14650).'Eugenio Garin

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nascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogicopolitico1. Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), si colgono bene le differenze della sua posizione, e la sua originalità 2. Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodo e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve « importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno è già riuscita a elaborare le sue quistioni e le soluzioni relative in modo già molto chiaro e approfondito ». D’altra parte a valutare esattamente le riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe necessario un lavoro preliminare — che manca — in cui avesse risalto quello che il tema Machiavelli fu in Italia fra la prima guerra mondiale e il fascismo. Impegnarsi su Machiavelli non era analizzare un momento qualsiasi della cultura italiana: significava prendere posizione su tutte le questioni fondamentali della storia e della politica italiana. E forse non è senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul « machiavellismo » ), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l’abbia scritto mai; ov’è, in certo modo, la verifica della tesi gramsciana deH’erasmismo di Croce; anche se è da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l’ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po’ convenzionale)3.

1 P., p. 16 (cfr. p. 28 sgg.; L. V. N., pp. 2045, R., p. 6 sgg.).

2 Cfr. L., p. 115 («quando vidi il Cosmo, l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli[...]

[...]è, in certo modo, la verifica della tesi gramsciana deH’erasmismo di Croce; anche se è da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l’ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po’ convenzionale)3.

1 P., p. 16 (cfr. p. 28 sgg.; L. V. N., pp. 2045, R., p. 6 sgg.).

2 Cfr. L., p. 115 («quando vidi il Cosmo, l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione » ).

3 Le due « figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la « passione » di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l’Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla « politica » del M. intorno al ’25, e subito dopo (cfr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: «è risaputo che il M. scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è al di là, o piut414

Le relazioni

Gramsci sa che Machiavelli è esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che «lo stesso richiamo a Roma è meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima deirUmanesimo e del Rinascimento ». D’altra parte, mentre è fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un’ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare A[...]

[...]Rinascimento ». D’altra parte, mentre è fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un’ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Della Casa, dei tratti che li avvicinano a Machiavelli, ma un’immagine artificiosa dell’uomo del Rinascimento gli preclude un’adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia d’Italia1. Su Machiavelli, invece, è veramente originale e suggestivo. « Bisogna considerare — premette — il Machiavelli come espressione necessaria del suo tempo... Non solo YArte della guerra deve essere connessa al Principe? sibbene anche le Istorie fiorentine, che devono servire appunto come un’analisi delle condizioni reali ed europee da cui scaturiscono le esigenze immediate contenute nel Principe... La dottrina del Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente 46 libresca ”, un monopolio di pensatori isolati, un libro segreto che circola tra iniziati. Lo stile del Machiavelli non è quello di un trattatista sistematico... è stile di uomo d’azione,, di chi vuole spingere all’azione, è stile da “ manifesto ” di partito »2. Manifesto e profezia: dover esser che si fa costruttivo dell’essere. Gramsci a proposito di Machiavelli pone due rapporti illuminanti: con Savonarola e con Rousseau.

« L’opposizione SavonarolaMachiavelli — scrive — non è l’opposizione tra essere e dover essere... ma tra due dover essere, quello astratto... del Savonarola, e quello realistico del Machiavelli, realistico anche se noti diventato realtà », perché Machiavelli non fu capo di uno Stato, né capitano di un esercito : ma si « uomo di parte, di passioni poderose, un

tosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all’indagine della realtà»).

1 Mach., pp. 6, 9, 141; P., p. 34; I., pp. 345.

2 Mach., pp. 13, 15, 9.Eugenio Garin 415

politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non può non occuparsi del “ dover essere ”[...]

[...]a le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all’indagine della realtà»).

1 Mach., pp. 6, 9, 141; P., p. 34; I., pp. 345.

2 Mach., pp. 13, 15, 9.Eugenio Garin 415

politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non può non occuparsi del “ dover essere ” ». Machiavelli non è mai « un mero scienziato » ; « si fa popolo; {e} non con un popolo genericamente inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso \ Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l’idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell’autonomia della politica, e scopritore dell’economico. « Morale » è il principato, « morale » è la repubblica. « Il Principe prende il posto, nella coscienza, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base del laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita », per la res publica si « perde l’anima » ; alla volontà generale si sacrifica tutto 2. Tragica nel momento deH’autoritàprineipato : armonica in quello del consensorepubblica, la situazione umana, la natura umana è sempre un movimento storicamente co[...]

[...][un] qualsiasi ambiente dato, con tutte le sue superstizioni morali e i suoi costumi barbarici; è statica, è una vuota forma che può essere riempita da qualsiasi contenuto storico attuale e anacronistico (con le sue contraddizioni...). La formula kantiana, sembra superiore perché gli intellettuali la riempiono del loro particolare modo di vivere e di operare... » 3. Nella « staticità » formale kantiana, opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica, nella dialettica PrincipeDiscorsi; nella figura MachiavelliRousseau; in Machiavelli rivoluzionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula crociana di Marx « Machiavelli del proletariato » in un Machiavelli « Marx del po~

1 Mach., pp. 10, 3940.

2 Mach., pp. 147, 117
3 P., p. 202.416

Le relazioni

polo » fiorentino e italiano del ’500. Con la proclamata « moralità » del Principe si rifiutava cosi la « distinzione » di tipo crociano come l’idea teologale ad essa congiunta di una « natura » umana, per risolvere con forza ogni «forma» trascendentale nella società umana pacificata: e questo nel punto stesso in cui il dover essere della res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un’intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizi[...]

[...] norma di un rigorismo e di un’intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizia, si sacrifica — paradossalmente — anche l’anima: che è una forma di ascesi che invano si cercherebbe nella tradizione italiana, non solo fra le anime belle e le anime pie, o fra i molti salvatori di anime proprie ed altrui, ma anche fra i più rigorosi e seri moralisti.

Quanto di se stesso Gramsci prestasse a questo Machiavelli, non è difficile vedere: saldato, non a un qualunque popolo, ma al suo popolo, non a qualunque cultura, ma alla cultura italiana del suo tempo; intellettuale non velleitario, ma uomo di passione che dei suoi scritti fa un manifesto; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato: ecco il profilo dell’intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta sopranazionale, che salda il sapere al fare, che al posto dell’atteggiamento oracolare e del pi[...]

[...]; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato: ecco il profilo dell’intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta sopranazionale, che salda il sapere al fare, che al posto dell’atteggiamento oracolare e del piglio pontificale pone la verità come ricerca e lavoro comune. Nella « figura » di Machiavelli, forse meglio che in ogni altro suo scritto, Gramsci ha fissato il proprio pensiero, e la propria lontananza non solo da Croce ma dal tipo di cultura che Croce ha incarnato. Non a caso Gramsci colloca dopo Machiavelli la decisiva « separazione » degli intellettuali italiani, come non a caso egli insiste sulla corrispondenza simbolica CroceErasmo.

Troppo facile sarebbe nella storia degli intellettuali italiani delineata da Gramsci enumerare con mentalità notarile difficoltà d’ogni sorta; altrettanto facile quanto sottolinearne suggerimenti e giudizi di una singolare penetrazione, che oltrepassano i limiti impostigli dalle fonti a cui era costretto ad attingere. Perché non sarebbe difficile rintracciare nella storiografia crociana, o di crociani (da De Ruggiero a Omodeo), proprio le radici di quelle posiz[...]



da Federico Sanguineti, Varietà e documenti. Caterina Sforza nel "mito" Gramsciano in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]mpa presso Le Monnier.
Per un'ampia panoramica sul romanzo italiano di primo Ottocento, dr. il fondamentale SERGIO ROMAGNOLI, Narratori e prosatori del Romanticismo, in AA.VV., Dall'Ottocento al Novecento, vol. VIII della Storia della Letteratura Italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, 1968, spec. il cap. I.
CATERINA SFORZA NEL « MITO » GRAMSCIANO
Gli studiosi di Gramsci hanno avvertito da tempo che l'opera di Machiavelli costituisce un punto di riferimento concreto di tutta l'evoluzione teorica e politica dell'autore dei Quaderni del carcere. In una lettera lo stesso Gramsci ricorda infatti che il professor Umberto Cosmo fin dal 1917 insisteva perché il suo
VARIETÀ E DOCUMENTI 707
giovane allievo si dedicasse a uno studio sul Machiavelli: « quando vidi il Cosmo, l'ultima volta, nel maggio 1922 (egli era allora segretario o consigliere all'Ambasciata italiana di Berlino), egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »1.
Dopo le ricerche di Renzo Martinelli, sappiamo che Gramsci si interessa al pensiero del Segretario fiorentino fin dal 1915: in alcune note a penna corrente il giovane Gramsci parla già di Machiavelli come espressione di un effettivo sentimento nazionale, che nulla ha a che fare con espressioni puramente letterarie e retoriche di italianità. Nel giudizio di Gramsci, che sarà approfondito nelle note del carcere, la borghesia italiana acquista coscienza di classe solo dopo la rivoluzione francese. Machiavelli rimane perciò un isolato 2.
Ma già nel 1916 Gramsci ricava dalle pagine di Machiavelli un « mito » stabile e permanente: il « mito » di Caterina Sforza. Com'è noto ai lettori di Machiavelli, l'esempio di Caterina Sforza è ricordato nel xx capitolo del Principe a dimostrazione della conclusione che « la migliore fortezza che sia, è non essere odiato dal populo ». Le fortezze, spiega Machiavelli, non hanno mai giovato a nessun Príncipe, se non Caterina Sforza, e solo durante la congiura del 1488. Nel 1499, le fortezze non bastano a difendere Caterina Sforza dall'assalto del Valentino, « el qual, sotto la insegna de' tre gigli, / d'Imola e Furli si fe' signore / e cavonne una donna co' suo figli », come si legge nel primo dei Decennali.
Gramsci ha in mente soprattutto il vr capitolo del iii libro dei Discorsi:
Ammazzarono, alcuni congiurati Forlivesi, il conte Girolamo loro signore, presono la moglie ed i suoi figliuoli che erano piccoli; e non parendo loro potere vivere sicuri se n[...]

[...]asolini, preferisce invece richiamarsi all'indole della fiera contessa, e ricordando alcuni dei suoi atti storicamente
1 Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Einaudi, Torino 1965, p. 412.
2 R. MARTINELLI, Una polemica del 1921 e l'esordio di Gramsci sull'o Avanti! » torinese, in « Critica marxista », a. X, n. 5, settembreottobre 1972, pp. 1556.
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provati, concludere all'opposto che la narrazione del Machiavelli deve essere considerata di una verosimiglianza innegabile 3.
Possiamo anche pensare che Gramsci (il quale nei suoi Quaderni del carcere si richiamerà nel corso della sua interpretazione di Machiavelli a una pagina dei Ragguagli di Parnaso) debba aver tenuto conto, nel momento in cui utilizza il « mito » di Caterina Sforza, della riduzione operata da Traiano Boccalini dell'episodio machiavelliano a exemplum miticoletterario 4. La pagina di Machiavelli è infatti considerata dal giovane Gramsci come esempio di letteratura « mitologica », dove la verità piú rigorosa dei particolari si accompagna ad un'estrema fantasia nella composizione 5.
Le membra genitali che colpiscono la fantasia di Gramsci diventano La matrice che dà il titolo al corsivo pubblicato nella rubrica Sotto la mole, sull'« Avanti! » torinese del 23 giugno 1916. È evidente che la pagina di Gramsci è una parafrasi del testo machiavelliano:
Raccontano i biografi di Caterina Sforza che quando il duca Valentino volle prendere d'assalto la città di Ravenna, per costringere la donna alla resa, applicò alle macchine d'assedio i figlioli di lei. Ma Caterina di sopra alle mura assisté impassibile allo strazio delle sue creature, e al duca che irrideva beffardo, ella, la madre, la donna castissima, fece un gesto plebeamente eroico. Con una mossa violenta scopri gli organi del sesso, dicendo, che finché lei, la madre era viva, non doveva il nemico menare trionfo, perché chi aveva dato alla luce quei giovani, altri ne poteva creare e[...]

[...]e sue creature, e al duca che irrideva beffardo, ella, la madre, la donna castissima, fece un gesto plebeamente eroico. Con una mossa violenta scopri gli organi del sesso, dicendo, che finché lei, la madre era viva, non doveva il nemico menare trionfo, perché chi aveva dato alla luce quei giovani, altri ne poteva creare e meglio vigorosi perché avrebbero succhiato col latte materno l'odio per gli assassini 6.
Utilizzata liberamente la pagina di Machiavelli come « mito » morale e sociale, il gesto di Caterina Sforza diventa per Gramsci il simbolo dell'irruzione violenta della classe proletaria nella storia, il simbolo dell'Internazionale. Com'è noto, dall'epoca di Zimmerwald e di Kienthal, Gramsci inizia a porsi il problema di conoscere e di collegarsi colle correnti rivoluzionarie del movimento operaio internazionale 7. Come simbolo dell'Internazionale, Caterina Sforza si contrappone cosí alla figura oleografica dell'Italia come donna con la corona turrita e il peplo classico, di cui gli italiani sono i figli.
Nel « mito » il gesto plebeo è el[...]

[...]3 P.D. PASOLINI, Caterina Sforza, Loescher, Roma 1893, vol. I, pp. 2345; V. CIAN, Caterina Sforza (A proposito della «Caterina Sforza » di Pier Demetrio Pasolini), in « Rivista storica italiana », a. X, fasc. 4, ottobredicembre 1893, pp. 577610.
4 T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso, a cura di G. Rua, Laterza, Bari 1910, pp. 1201.
5 E la ricetta soreliana, alla quale Gramsci si richiamerà esplicitamente nella sua interpretazione del Príncipe di Machiavelli come « mito ». Cfr. G. SOREL, L'Opera di Luciano Jean, in « Divenire sociale », 1 giugno 1910, p. 148.
6 La matrice, in Cronache torinesi (19131917), a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1980, pp. 3978.
7 P. TOGLIATTI, Il capo della classe operaia italiana, in Gramsci, a cura di E. Ragionieri, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 20: « Sin dall'epoca dei convegni di Zimmerwald e di Kienthal, una delle maggiori preoccupazioni di Gramsci era stata quella di riuscire a conoscere e a prendere contatto con le correnti rivoluzionarie del movimento operaio internazionale e in primo luogo del bolscev[...]

[...]l'epoca dei convegni di Zimmerwald e di Kienthal, una delle maggiori preoccupazioni di Gramsci era stata quella di riuscire a conoscere e a prendere contatto con le correnti rivoluzionarie del movimento operaio internazionale e in primo luogo del bolscevismo ». Cfr. anche P. Spriano, Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, Einaudi, Torino 1958, p. 355.
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lo stesso procedimento per cui il Principe di Machiavelli è innalzato nei Quaderni del carcere a simbolo della volontà collettiva nazionalepopolare. Dal punto di vista formale non esiste quindi una differenza fra l'utilizzazione giovanile di Machiavelli e l'utilizzazione che Gramsci farà di Machiavelli in carcere. Ma il rapporto fra il « mito » giovanile di Caterina Sforza e il piú noto « mito » gramsciano del moderno Principe non si riduce a un'analogia esteriore. Caterina Sforza non rimane infatti il cappello piccante di un articolo scritto alla giornata che deve morire dopo la giornata: dalle iniziali nebbie culturiste questo « mito » resta, attraverso il ritmo del pensiero in sviluppo, come elemento stabile e permanente del pensiero di Gramsci negli anni 19161919. Il simbolo della matrice è applicato direttamente alla storia intesa come catena degli sforzi che l'uomo ha fatto per libera[...]

[...]uoni questi intellettuali. Giudicando la confusa concezione positivistica dei riformisti italiani (Treves, Turati, Loria) come caricatura del marxismo e come causa del ristagno della produzione intellettuale del socialismo italiano, Gramsci inizia a considerare gli scritti teorici di Antonio Labriola come un principio fulgido e pieno di promesse del marxismo italiano.
Secondo lo stesso artificio che induce Gramsci a identificare nel Principe di Machiavelli antropomorficamente il simbolo della volontà collettiva, Caterina Sforza, l'eroica donna romagnola, la fecondissima ed astutissima donna — forte ed astuta donna aveva definito Caterina Sforza l'Oriani 9 — è antropomorficamente assunta a simbolo della Storia. Scrive Gramsci:
la Storia è una fecondissima e astutissima donna, che non si lascia sopprimere né da pugnali né dalle bombe incendiarie né dalle mitragliatrici; non teme il colpo d'audacia degli avventurieri prezzolati, non teme l'azione complessa e sistematica dell'apparato autoritario... la Storia può ben essere assomigliata alla eroic[...]

[...] indomata 11.
Nasce cosi lo storicismo assoluto di Gramsci. Con l'esperienza ordinovista, a partire dal 1919, Gramsci ha finalmente modo non solo di teorizzare ma anche di realizzare la sua concezione ormai materialistica della storia. Ponendo il problema della rivoluzione proletaria come realizzazione della dittatura del proletariato in Italia, Gramsci inizia a considerare il proletariato italiano come erede della scienza politica classica del Machiavelli. Nella lotta contro il fascismo i comunisti, essendo la Storia una madre, sono i figli della Storia, eredi — come direbbe Benjamin — di una debole forza messianica su cui il passato ha un diritto 12. Caterina Sforza è adesso la genitrice del nuovo uomo: la madre del nuovo Principe. La contraddittoria accusa, mossa agli ordinovisti, di essere spontaneisti e volontaristibergsoniani, è la prova, non solo della giustezza, ma anche della « fecondità » del movimento torinese: « I `volontaristi' non vogliono creare nulla. I `volontaristi' vogliono solo interpretare la storia e non deformare le leggi[...]

[...]esso. Questi `volontaristi', che sarebbero poi i comunisti, non vogliono essere dunque che i figli della storia. Essi non s'inventano, né vogliono inventarsi, una storia che si deve adagiare nelle loro vedute e non rifuggono dall'assumersi le responsabilità che comporta la loro posizione » 13
Si comprende che Gramsci nei Quaderni del carcere definisca la Storia come attività rivoluzionaria che crea nuovi rapporti sociali. Cosi Gramsci ricava da Machiavelli i due simboli, fra loro indissolubili, nei quali è possibile riassumere tutto il suo pensiero: Caterina Sforza è la Storia, il Principe è il Partito.
FEDERICO SANGUINETI
11 La taglia della Storia, in L'Ordine Nuovo (19191920), Einaudi, Torino 1954, pp. 610.
12 Manca ancora un lavoro organico sulla concezione gramsciana della storia confrontata con le Tesi di Benjamin; si veda per ora F. DESIDERI, Il nano gobbo e il giocatore di scacchi. Le «Tesi sul concetto di Storia » di Benjamin, in « Metaphorein », a. I, n. 3, marzogiugno 1978, pp. 4881.
13 Senza uscita?, in Socialismo e fascismo. L'O[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] E. Garin, Antonio Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]re, diceva Gobetti, di un « conservatorismo illuminato e trepido, onesto, moderatamente liberale, capace di salvare le forme e la pace »). In tal senso soltanto, Gramsci è costantemente « condizionato » da Croce — e dalla situazione determinatasi intorno a Croce — pro e contro. E questo significa unicamente che la forma della discussione, proprio per essere non velleitaria, ma calata nella realtà nazionale, si definisce in certi termini storici. Machiavelli di contro a Guicciardini; De Sanctis, Spaventa, Labriola, invece di Cattaneo, e cosí via. Ed era davvero piú importante mostrare le possibilità e fecondità di De Sanctis oltre, o su un piano diverso da quello
Mach., p. 39.
2 M.S., p. 157.
3 Quaderni della Critica, 8, p. 86.
I documenti del convegno
degli « avversari » che si rifacevano a De Sanctis. Per una loro intima forza, e per l'opera della cultura piú « avanzata», erano quelli i temi operanti; 11 bisognava dar battaglia, non spostar l'attenzione altrove, su linee magari importanti, ma non altrettanto « attuali » (quanto piú « astr[...]

[...]onvegno
degli « avversari » che si rifacevano a De Sanctis. Per una loro intima forza, e per l'opera della cultura piú « avanzata», erano quelli i temi operanti; 11 bisognava dar battaglia, non spostar l'attenzione altrove, su linee magari importanti, ma non altrettanto « attuali » (quanto piú « astratto » e « dottrinario » l'amore di Salvemini e Gobetti per la « concretezza » di Cattaneo!). Valgono per Gramsci le parole che Gramsci scriveva su Machiavelli: « il Machiavelli non è un mero scienziato; egli è un uomo di parte, ... un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze... » 1. E come Croce, costantemente, aveva legato la sua visione storica della vita culturale italiana a unimpegno eticopolitico, cosí, di contro, Gramsci, da un lato tende a svelare i limiti — e la validità — di una tradizione culturale italiana (di quella tradizione culturale italiana), ma dall'altro indica accanto ad essa i fremiti e le possibilità di un'altra cultura: giacobina, popolarenazionale, non aulica, non distaccata. E la distanza CroceGramsci, pur in tanta vicinanza[...]

[...]e limiti interpretativi, in cui si fanno sentire le conseguenze, non solo della situazione tragica in cui Gramsci lavorava, ma anche delle impostazioni da cui partiva e con cui si trovava a combattere. Cosí è in tanti aspetti tutta desanctisiana la condanna « moralistica » di buona parte dell'età umanisticorinascimentale (di un De Sanctis che si va a volte a incontrare stranamente con Walser o Toffanin); ed è di origine desanctisiana il rapporto MachiavelliGuicciardini. Ma è gramsciana, non solo la maniera di parre il problema dell'ambiguità, ossia della pluralità di temi del Rinascimento, ma, soprattutto, la robusta interpretazione di Machiavelli, e
R., p. 63.
2 0.N., p. 7.
3 M. S., pp. 199200.
12 I documenti del convegno
il nesso MachiavelliSavonarola, e, in Machiavelli, il rapporto PrincipeDiscorsi, e tutta la polemica con Croce e con le varie visioni della posizione di Machiavelli. Qui Gramsci ha certo risentito — oltre De Sanctis e Croce — della lettura del libro di Russo; ma ha anche proposto una serie di temi, fondamentali certo per intendere la sua concezione del Moderno Principe, ma non dimenticabili per chiunque intenda ripensare seriamente il significato di Machiavelli e del Rinascimento. Per questo la discussione dell'opera gramsciana andrà condotta su questo argomento col massimo rigore, tanto piú che è molto importante mettere a fuoco, proprio nella valutazione dell'età del Rinascimento e della Riforma, la presentazione del distacco della cultura —e degli « intellettuali » — dalla realtà nazionale, dal popolo, e la prospettiva delle loro vicende e della loro funzione oltre i confini italiani. Ove finalmente la storia della cultura italiana si definisce e prende corpo nell'indagine circa la formazione e le vicende, gli interessi e l'opera precisa, di grup[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] S. G. Graziano, Alcune considerazioni intorno all'umanesimo di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...] concetto centrale in Gramsci è che la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, non può essere distinta dalla creazione di una nuova coscienza nazionalepopolare. Una nuova cultura che si inserisca nello sviluppo storico organico dovrà rendere consapevoli nuove forze e renderle positivamente fattive. Sembra opportuno, in questo senso, collegare ciò che si è andato dicendo alle note di Gramsci sull'Umanesimo, sul Rinascimento, sul Machiavelli e sulla funzione del « moderno principe ». Gramsci diede dell'Umanesimo e del Rinascimento — momenti conclusivi di un vasto movimento che inizia dopo il Mille — un giudizio severo. Qui, ovviamente, non si tratterà di impegnare le vaste questioni che vengono a porsi con tale giudizio che, isolato in sé, ricalca impostazione insoddisfacenti, quanto di notare che in Gramsci esso ritrova efficacia nella contrapposizione UmanesimoRiforma, esemplificazioni storiche di cultura di pochi e di cultura popolare, di concezione che non riesce a farsi ideologia popolare e di concezione che riesce ad influi[...]

[...]a propria vita e della storia. Solo che questa concezione non si tradusse in coscienza nazionale, in attività ideologica. Mancando in questa sua funzione nazionale, l'UmanesimoRinascimento fini col negare se stesso, col contribuire alla propria negazione, con l'assumere il « carattere di una restaurazione », appunto perché la sua elaborazione « rimase patrimonio di una casta intellettuale, non ebbe contatto col popolonazione » 5.
Il pensiero di Machiavelli su questa linea assume dimensione storica di grandissimo rilievo. Le opere di Machiavelli sono « espressione di una personalità che vuole intervenire nella politica e nella storia del suo
I R., p. 20.
2 R., p. 15.
3 R., p. 13.
4 R., pp. 278.
5 R., p. 27.
162 I documenti del convegno
paese e in tal senso sono di origine democratica » 1. In tal senso Gramsci può parlare di un « neoumanesimo » di Machiavelli basato « sull'azione concreta dell'uomo che per le sue necessità storiche opera e trasforma la realtà» z. Esprimendo la « necessità politica e nazionale di riavvicinarsi al popolo come hanno fatto le monarchie assolute di Francia e di Spagna » 3, il pensiero politico di Machiavelli esprime le questioni di fondo che il mondo moderno ha chiaramente approfondito. « Il Machiavelli è rappresentante in Italia della comprensione che il Rinascimento non può esser tale senza la fondazione di uno Stato nazionale, ma come uomo egli è il teorico di ciò che avviene fuori d'Italia, non di eventi italiani » 4. Il Principe noia è classificazione di criteri, sistematica trattazione, ma libro « vivente » che suscita il mitoprincipe, simbolo della volontà collettiva il cui processo di formazione viene presentato antropologicamente, come qualità e caratteristiche di una concreta persona. Ma quando la volontà collettiva dalla fase iniziale del suo for marsi per distinzione, dal passato[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Petronio, Gramsci e la critica letteraria in Studi gramsciani

Brano: [...]cessaria, si sviluppò nella Controriforma, la nuova ideologia fu soffocata anch'essa e gli umanisti (salvo poche eccezioni) dinanzi ai roghi abiurarono » 1: dove le intuizioni della storiografia romantica e desanctisiana sul carattere formale della letteratura rinascimentale trovano una conferma e una spiegazione, e mille fatti rimasti « mitici » diventano « storici », si fanno chiari nel loro significato storicoculturale: valga per tutti il casoMachiavelli, di cui Gramsci riesce a fissare, forse per primo, il profondo rapporto con la situazione storica italiana ed europea 2.
Lo stesso sguardo educato alla comprensione dialettica della storia ed alla considerazione della parte che in essa hanno avuta le forze subalterne, il Gramsci appunta sul Risorgimento, ed anche qui la visione tradizionale, monarchica e moderata, dell'Ottocento svela la sua faziosa fallacia, ed anche qui Gramsci semina spunti e germi che attendono di essere svolti e sistemati. Se perciò qualcuno ha potuto giustamente parlare della necessità di uno studio del De Sanctis « se[...]

[...]necessità di uno studio del De Sanctis « secondo Gramsci » piuttosto che «secondo Croce », potremmo dire che anche lo schema della letteratura italiana va oggi approfondito, chi voglia rifarlo secondo interessi democratici e moderni, « secondo Gramsci », e non secondo la concezione moderata e liberale di cui il Croce ha dato gli esempi piú alti 3.
1 R., p. 27.
2 Per Umanesimo e Rinascimento cfr. ancora I., p. 36 sgg.; M. S., p. 85 sgg.; per il Machiavelli cfr. soprattutto Mach., p. 3 sgg.; 115 sgg.; 211 sgg.; R., p. 13; L. C., p. 47. Per un esempio recente della fertilità di alcune intuizioni gramsciane sul Rinascimento, oltre ai saggi ben noti di E. Garin, cfr. A. TENENTI, Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento, Torino, 1957.
3 Cfr. V. GERRATANA, « De SanctisCroce o De SanctisGramsci », in Società, VII, 1952, n. 3, p. 497 sgg. Sul tema di questa comunicazione si possono inoltre consultare utilmente il saggio di C. SALINARI, « Il ritorno di De Sanctis », in Rinascita, IX, 1912, n. 5, con la replica di B. CROCE, « De Sancti[...]

[...]SanctisCroce o De SanctisGramsci », in Società, VII, 1952, n. 3, p. 497 sgg. Sul tema di questa comunicazione si possono inoltre consultare utilmente il saggio di C. SALINARI, « Il ritorno di De Sanctis », in Rinascita, IX, 1912, n. 5, con la replica di B. CROCE, « De SanctisGramsci », in Lo spettatore italiano, V, 1952 ,n. 7; e le recensioni di N. SAPEGNO a Letteratura e vita nazionale (in Società, VII, 1951, n. 2) e di E. JACOMELLI, « Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno di A. G. », (ivi, VI, 1950, n. 1).
238 I documenti del convegno
Ma vi è ancora di piú. Rinnovare gli schemi estetici indicando un nuovo modo di leggere, rinnovare gli schemi storiografici indicando un punto nuovo di vista, significa aiutare non solo ad una diversa e nuova comprensione dei « contenuti » delle singole specifiche opere d'arte, sibbene proprio ad una valutazione nuova e diversa delle varie opere d'arte, proprio in quanto opere d'arte, in quanto forma.
Se è vero, infatti, che « nessuna opera d'arte può non avere un con tenuto, cioè non esse[...]



da Luca Toschi, Varietà e documenti. Un romanzo sconosciuto nella Toscana neoclassicista in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]mpa presso Le Monnier.
Per un'ampia panoramica sul romanzo italiano di primo Ottocento, dr. il fondamentale SERGIO ROMAGNOLI, Narratori e prosatori del Romanticismo, in AA.VV., Dall'Ottocento al Novecento, vol. VIII della Storia della Letteratura Italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, 1968, spec. il cap. I.
CATERINA SFORZA NEL « MITO » GRAMSCIANO
Gli studiosi di Gramsci hanno avvertito da tempo che l'opera di Machiavelli costituisce un punto di riferimento concreto di tutta l'evoluzione teorica e politica dell'autore dei Quaderni del carcere. In una lettera lo stesso Gramsci ricorda infatti che il professor Umberto Cosmo fin dal 1917 insisteva perché il suo


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Machiavelli, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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