Brano: [...] quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all’esaurimento dall’interno di tante tesi ha dato proprio l’analisi gramsciana, la quale, sottolineando con singolare energia la solidarietà di certi ideali e di certe visioni con una situazione, ha aperto la strada ad altre scelte e ad altre possibilità. E come sul terreno dottrinale a un certo Hegel, a un certo Marx, a un certo Labriola er magari, a un certo Machiavelli, oppose un’altra possibilità interpretativa, cosi a un 'altra storia d’Italia volle saldare un’altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storicistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un’Italia capace di riscattare in tutta la sua storia altre possibilità costantemente vinte, soffocate o mistificate. E proprio perché era un politico e non un filosofo — e con ciò si vuol dire solo che era anche uno storico e un filosofo serio, e non un professore — non si preoccupò di raccogliere in candi[...]
[...]sci » Salvemini, del Cattaneo grande ammiratore (editore, nel ’22, presso il Treves, di una antologia molto significativa). Che, per vie mediate, il « positivo » diEugenio Garin
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crociana e gentiliana, che. aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall’intrinseco » certe posizioni, ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola : ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che è vivo da ciò che è morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.
La rottura con una certa tradizione e la lotta per un’altra Italia, si configurano cosi — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella, stessa storia d’Ita[...]
[...]ena leggerezza ^ di quei valentuomini : nel confronto dei quali — non si dimentichi — sì collocava Croce. Del resto sul « positivismo » è da rileggere sempre tutta la lettera di Labriola a Engels del ’94 (Roma, 1949, pp. 14650).'Eugenio Garin
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nascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogicopolitico1. Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), si colgono bene le differenze della sua posizione, e la sua originalità 2. Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodo e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve « importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno è già riuscita a elaborare le sue quistioni e le soluzioni relative in modo già molto chiaro e approfondito ». D’altra parte a valutare esattamente le riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe necessario un lavoro preliminare — che manca — in cui avesse risalto quello che il tema Machiavelli fu in Italia fra la prima guerra mondiale e il fascismo. Impegnarsi su Machiavelli non era analizzare un momento qualsiasi della cultura italiana: significava prendere posizione su tutte le questioni fondamentali della storia e della politica italiana. E forse non è senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul « machiavellismo » ), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l’abbia scritto mai; ov’è, in certo modo, la verifica della tesi gramsciana deH’erasmismo di Croce; anche se è da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l’ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po’ convenzionale)3.
1 P., p. 16 (cfr. p. 28 sgg.; L. V. N., pp. 2045, R., p. 6 sgg.).
2 Cfr. L., p. 115 («quando vidi il Cosmo, l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli[...]
[...]è, in certo modo, la verifica della tesi gramsciana deH’erasmismo di Croce; anche se è da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l’ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po’ convenzionale)3.
1 P., p. 16 (cfr. p. 28 sgg.; L. V. N., pp. 2045, R., p. 6 sgg.).
2 Cfr. L., p. 115 («quando vidi il Cosmo, l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione » ).
3 Le due « figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la « passione » di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l’Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla « politica » del M. intorno al ’25, e subito dopo (cfr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: «è risaputo che il M. scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è al di là, o piut414
Le relazioni
Gramsci sa che Machiavelli è esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che «lo stesso richiamo a Roma è meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima deirUmanesimo e del Rinascimento ». D’altra parte, mentre è fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un’ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare A[...]
[...]Rinascimento ». D’altra parte, mentre è fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un’ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Della Casa, dei tratti che li avvicinano a Machiavelli, ma un’immagine artificiosa dell’uomo del Rinascimento gli preclude un’adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia d’Italia1. Su Machiavelli, invece, è veramente originale e suggestivo. « Bisogna considerare — premette — il Machiavelli come espressione necessaria del suo tempo... Non solo YArte della guerra deve essere connessa al Principe? sibbene anche le Istorie fiorentine, che devono servire appunto come un’analisi delle condizioni reali ed europee da cui scaturiscono le esigenze immediate contenute nel Principe... La dottrina del Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente 46 libresca ”, un monopolio di pensatori isolati, un libro segreto che circola tra iniziati. Lo stile del Machiavelli non è quello di un trattatista sistematico... è stile di uomo d’azione,, di chi vuole spingere all’azione, è stile da “ manifesto ” di partito »2. Manifesto e profezia: dover esser che si fa costruttivo dell’essere. Gramsci a proposito di Machiavelli pone due rapporti illuminanti: con Savonarola e con Rousseau.
« L’opposizione SavonarolaMachiavelli — scrive — non è l’opposizione tra essere e dover essere... ma tra due dover essere, quello astratto... del Savonarola, e quello realistico del Machiavelli, realistico anche se noti diventato realtà », perché Machiavelli non fu capo di uno Stato, né capitano di un esercito : ma si « uomo di parte, di passioni poderose, un
tosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all’indagine della realtà»).
1 Mach., pp. 6, 9, 141; P., p. 34; I., pp. 345.
2 Mach., pp. 13, 15, 9.Eugenio Garin 415
politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non può non occuparsi del “ dover essere ”[...]
[...]a le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all’indagine della realtà»).
1 Mach., pp. 6, 9, 141; P., p. 34; I., pp. 345.
2 Mach., pp. 13, 15, 9.Eugenio Garin 415
politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non può non occuparsi del “ dover essere ” ». Machiavelli non è mai « un mero scienziato » ; « si fa popolo; {e} non con un popolo genericamente inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso \ Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l’idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell’autonomia della politica, e scopritore dell’economico. « Morale » è il principato, « morale » è la repubblica. « Il Principe prende il posto, nella coscienza, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base del laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita », per la res publica si « perde l’anima » ; alla volontà generale si sacrifica tutto 2. Tragica nel momento deH’autoritàprineipato : armonica in quello del consensorepubblica, la situazione umana, la natura umana è sempre un movimento storicamente co[...]
[...][un] qualsiasi ambiente dato, con tutte le sue superstizioni morali e i suoi costumi barbarici; è statica, è una vuota forma che può essere riempita da qualsiasi contenuto storico attuale e anacronistico (con le sue contraddizioni...). La formula kantiana, sembra superiore perché gli intellettuali la riempiono del loro particolare modo di vivere e di operare... » 3. Nella « staticità » formale kantiana, opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica, nella dialettica PrincipeDiscorsi; nella figura MachiavelliRousseau; in Machiavelli rivoluzionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula crociana di Marx « Machiavelli del proletariato » in un Machiavelli « Marx del po~
1 Mach., pp. 10, 3940.
2 Mach., pp. 147, 117
3 P., p. 202.416
Le relazioni
polo » fiorentino e italiano del ’500. Con la proclamata « moralità » del Principe si rifiutava cosi la « distinzione » di tipo crociano come l’idea teologale ad essa congiunta di una « natura » umana, per risolvere con forza ogni «forma» trascendentale nella società umana pacificata: e questo nel punto stesso in cui il dover essere della res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un’intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizi[...]
[...] norma di un rigorismo e di un’intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizia, si sacrifica — paradossalmente — anche l’anima: che è una forma di ascesi che invano si cercherebbe nella tradizione italiana, non solo fra le anime belle e le anime pie, o fra i molti salvatori di anime proprie ed altrui, ma anche fra i più rigorosi e seri moralisti.
Quanto di se stesso Gramsci prestasse a questo Machiavelli, non è difficile vedere: saldato, non a un qualunque popolo, ma al suo popolo, non a qualunque cultura, ma alla cultura italiana del suo tempo; intellettuale non velleitario, ma uomo di passione che dei suoi scritti fa un manifesto; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato: ecco il profilo dell’intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta sopranazionale, che salda il sapere al fare, che al posto dell’atteggiamento oracolare e del pi[...]
[...]; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato: ecco il profilo dell’intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta sopranazionale, che salda il sapere al fare, che al posto dell’atteggiamento oracolare e del piglio pontificale pone la verità come ricerca e lavoro comune. Nella « figura » di Machiavelli, forse meglio che in ogni altro suo scritto, Gramsci ha fissato il proprio pensiero, e la propria lontananza non solo da Croce ma dal tipo di cultura che Croce ha incarnato. Non a caso Gramsci colloca dopo Machiavelli la decisiva « separazione » degli intellettuali italiani, come non a caso egli insiste sulla corrispondenza simbolica CroceErasmo.
Troppo facile sarebbe nella storia degli intellettuali italiani delineata da Gramsci enumerare con mentalità notarile difficoltà d’ogni sorta; altrettanto facile quanto sottolinearne suggerimenti e giudizi di una singolare penetrazione, che oltrepassano i limiti impostigli dalle fonti a cui era costretto ad attingere. Perché non sarebbe difficile rintracciare nella storiografia crociana, o di crociani (da De Ruggiero a Omodeo), proprio le radici di quelle posiz[...]