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da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] N. Bobbio, Nota sulla dialettica in Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Norberto Bobbio
NOTA SULLA DIALETTICA IN GRAMSCI
1. Il tema centrale per lo studio del marxismo teorico è pur sempre il tema della dialettica. Che significa « dialettica »? Che significa, in particolare, « dialettica » nel linguaggio marxistico? Ha il termine « dialettica » un significato univoco? Se ha piú significati, qual rapporto vi è tra gli uni e gli altri? Se alcuni significati sono tra loro eterogenei, è legittimo, o almeno opportuno, l'uso di un termine unico? Nonostante il numero incalcolabile di pagine scritte sull'argomento, rimangono pur sempre zone d'ombra, che meriterebbero di essere illuminate con metodo analitico rigoros[...]

[...] un termine unico? Nonostante il numero incalcolabile di pagine scritte sull'argomento, rimangono pur sempre zone d'ombra, che meriterebbero di essere illuminate con metodo analitico rigoroso. Si ha l'impressione che nel linguaggio quotidiano del marxismo il termine « dialettica » abbia eccessiva fluidità, e nasconda tra le sue pieghe significati vari mal connettibili tra loro, che sono poi la maggior fonte di confusione e d'inutili dispute.
Gramsci è uno scrittore marxista. Usa egli il termine « dialettica » e come lo usa? Ha il termine « dialettica » nel suo linguaggio un significato univoco? Quali sono i diversi significati del termine nel linguaggio gramsciano? Tra i diversi significati, quali sono i prevalenti? Ha il concetto di dialettica rilievo nel pensiero di Gramsci? È un concetto centrale o marginale nel suo sistema dottrinale? Quale uso egli ne fa e per risolvere quali problemi? Non mi pare che il tema della dialettica in Gramsci sia stato sinora affrontato con l'attenzione che l'importanza del concetto richiede. Eppure per comprendere la filosofia di uno scrittore marxista è utile cominciare dal concetto ch'egli ha della dialettica e dall'ufficio che gli assegna.
Non pretendo con questa nota di rispondere esaurientemente a
74 I documenti del convegno
tutte le domande che mi son poste, bensí, soltanto, di avviare una ricerca che potrà servire da contributo a quello studio minuto e organico sulla filosofia di Gramsci, che, se non sbaglio, dopo i primi studi esplorativi e alcuni saggi parziali, non è ancora stato s[...]

[...] che l'importanza del concetto richiede. Eppure per comprendere la filosofia di uno scrittore marxista è utile cominciare dal concetto ch'egli ha della dialettica e dall'ufficio che gli assegna.
Non pretendo con questa nota di rispondere esaurientemente a
74 I documenti del convegno
tutte le domande che mi son poste, bensí, soltanto, di avviare una ricerca che potrà servire da contributo a quello studio minuto e organico sulla filosofia di Gramsci, che, se non sbaglio, dopo i primi studi esplorativi e alcuni saggi parziali, non è ancora stato scritto. Questa nota consiste semplicemente nella raccolta di passi sulla dialettica, tratti dai Quaderni — raccolta che non presumo completa —, ordinata intorno a tre problemi: 1°. quale importanza Gramsci assegna al concetto di dialettica; 2°. quali diversi significati il termine assume nel discorso gramsciano; 3°. quale funzione il concetto di dialettica esplica nella parte distruttiva e costruttiva del suo pensiero.
2. Si può dire senza esitazione che Gramsci assegna alla dialettica un'importanza fondamentale. Il passo piú significativo si trova là dove, discutendo la svalutazione della tecnica compiuta dal Croce nel campo dell'arte e della logica, esce in questa osservazione: « Anche per la dialettica si presenta lo stesso problema; essa è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, ma è anche perciò una nuova tecnica » 1. Non ci interessa qui la questione della tecnica; ci interessa l'affermazione che per Gramsci la dialettica è un nuovo modo di pensare, anzi una nuova filosofia. In questo senso egli si riallaccia alla nota tesi marxiana ed[...]

[...]dialettica un'importanza fondamentale. Il passo piú significativo si trova là dove, discutendo la svalutazione della tecnica compiuta dal Croce nel campo dell'arte e della logica, esce in questa osservazione: « Anche per la dialettica si presenta lo stesso problema; essa è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, ma è anche perciò una nuova tecnica » 1. Non ci interessa qui la questione della tecnica; ci interessa l'affermazione che per Gramsci la dialettica è un nuovo modo di pensare, anzi una nuova filosofia. In questo senso egli si riallaccia alla nota tesi marxiana ed engelsiana, secondo cui il metodo dialettico era stato il lato rivoluzionario di Hegel, e aveva segnato una svolta nella storia della filosofia. Il legame tra dialettica e rivoluzione filosofica compiuta dal marxismo, è ribadito ancor piú esplicitamente in un passo, anch'esso di origine engelsiana, nella polemica con Bukharin: « La funzione e il significato della dialettica possono essere concepiti in tutta la loro f ondamentalitd, solo se la filosofia della pras[...]

[...]età » 2. Questa « fondamentalità » della funzione e del significato della dialettica diventa uno degli argomenti principali, come vedremo meglio in seguito, contro Bukharin, il quale, nella sua presentazione del
1 M. S., p. 61. Il corsivo è mio.
2 M. S., p. 132. Il corsivo è mio.
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materialismo storico, distinguendo la filosofia, come scienza della dialettica, dalla dottrina della storia e della politica, avrebbe, secondo Gramsci, sottovalutato l'importanza della dialettica, facendone una sottospecie della logica formale, mentre essa è una nuova logica, anzi una nuova teoria della conoscenza: « Posta cosí la quistione [come la pone Bukharin), non si capisce piú l'importanza e il significato della dialettica che, da dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica, viene degradata a una sottospecie di logica formale, a una scolastica elementare » 1. 'Il concetto di Gramsci mi par questo: che la separazione del capitolo sulla dialettica dalla trattazione dei problemi sto[...]

[...], facendone una sottospecie della logica formale, mentre essa è una nuova logica, anzi una nuova teoria della conoscenza: « Posta cosí la quistione [come la pone Bukharin), non si capisce piú l'importanza e il significato della dialettica che, da dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica, viene degradata a una sottospecie di logica formale, a una scolastica elementare » 1. 'Il concetto di Gramsci mi par questo: che la separazione del capitolo sulla dialettica dalla trattazione dei problemi storici ed economici impedisce al metodo dialettico di mostrare tutta la sua potenza inventiva e costruttiva. Altrove, infatti, precisa che nella scienza della dialettica o gnoseologia, come lui la intende, « i concetti generali di storia, di politica, di economia si annodano in unità organica » 2; e quindi essa non può essere separata, come teoria del metodo, dall'applicazione del metodo ai problemi dell'interpretazione storica, economica e politica. Ciò gli permette di condannare la « concezione[...]

[...]a filosofia, la scienza della dialettica, e che le altre parti sono l'economia e la politica, per cui si dice che la dottrina è formata di tre parti costitutive, che sono nello stesso tempo il coronamento e il superamento del grado piú alto che verso il '48 aveva raggiunto la scienza delle nazioni piú progredite d'Europa: la filosofia classica tedesca, l'economia classica inglese e l'attività e scienza politica francese » 3. Con queste parole Gramsci condanna la disintegrazione dell'unità del materialismo storico; unità che egli ritiene fondata esclusivamente sull'uso del metodo dialettico.
Si osservi che questa insofferenza per la separazione della dialettica « come specie di logica formale », dal corpo delle dottrine marxistiche, è ribadita anche a proposito della Storia del materialismo del Lange. Gramsci ritiene che quest'opera sia stata la causa di alcune grossolane interpretazioni materialistiche del marxismo, le quali hanno fatto del marxismo una dottrina materialistica corretta dalla dialettica, ma, ciò
M. S., p. 132.
2 M. S., p. 129.
3 M. S., pp. 128129.
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facendo, — qui ritorna il suo concetto principale — si è assunta la dialettica come « un capitolo della logica formale e non come essa stessa una logica, cioè una teoria della conoscenza » 1.
Proprio perché la dialettica è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, è un modo di pensare difficile, n[...]

[...]ifficile, in quanto il pensare dialetticamente va contro il volgare senso comune che è dogmatico, avido di certezze perentorie ed ha la logica formale come espressione » 2. Parlando del dilettantismo filosofico parla « della mancanza di senso storico nel cogliere i diversi momenti di un processo di sviluppo culturale, cioè di una concezione antidialettica, dogmatica, prigioniera degli schemi astratti della logica formale » 3.
L'interesse che Gramsci aveva per il problema della dialettica può anche essere testimoniato dal progetto che egli andava accarezzando di approfondirne lo studio: in un passo bibliografico sono citate, come opere da cercare, la Dialettica dei Padri Liberatori e Corsi, e i due volumi Dialettica di Baldassarre Labanca, oltre al capitolo « Dialettica e logica » nei Problemi fondamentali del marxismo di Plekhanov 4.
3. Quanto all'uso del termine « dialettica » (e derivati), si trovano nella pagine di Gramsci i diversi significati che il termine ha assunto nel linguaggio marxistico. Si possono distinguere almeno due s[...]

[...]ettica può anche essere testimoniato dal progetto che egli andava accarezzando di approfondirne lo studio: in un passo bibliografico sono citate, come opere da cercare, la Dialettica dei Padri Liberatori e Corsi, e i due volumi Dialettica di Baldassarre Labanca, oltre al capitolo « Dialettica e logica » nei Problemi fondamentali del marxismo di Plekhanov 4.
3. Quanto all'uso del termine « dialettica » (e derivati), si trovano nella pagine di Gramsci i diversi significati che il termine ha assunto nel linguaggio marxistico. Si possono distinguere almeno due significati fondamentali: il significato di « azione reciproca » e quello di « processo per tesi, antitesi e sintesi ». Il primo significato appare quando l'aggettivo « dialettico » è unito a « rapporto », « nesso », e forse anche « unità »; il secondo, quando è unito a « movimento », « processo », « sviluppo ». È inutile dire che i due significati sono nettamente diversi. Quando parlo, poniamo, del nesso dialettico tra uomo e natura, voglio intendere che l'uomo agisce sulla natura e[...]

[...], mi contrappongo a chi sostenesse essere la società borghese il prodotto di un'evoluzione della società feudale. A questi due significati Engels, nella Dialettica della natura, ne aggiunge un altro. Per Engels le leggi della dialettica sono tre, vale a dire, oltre alle leggi della compenetrazione degli opposti (azione reciproca) e della negazione della negazione, anche quella « della conversione della quantità in qualità e viceversa » J.
In Gramsci si trovano tutti e tre i significati. Nel senso di azione reciproca, direi che il termine « dialettica » viene usato, ad esempio, nell'espressione « dialettica intellettualimassa » 2. Il significato dell'espressione è che intellettuali e massa non sono termini senza relazione, e neppure a relazione univoca, ma sono termini a relazione biunivoca, nel senso che, come gli intellettuali influiscono sulla massa dando ad essa la consapevolezza teorica delle sue aspirazioni, cosí la massa in fluisce sugli intellettuali, dando ad essi, con l'espressione dei propri bisogni, una funzione storica real[...]

[...]relazione biunivoca, nel senso che, come gli intellettuali influiscono sulla massa dando ad essa la consapevolezza teorica delle sue aspirazioni, cosí la massa in fluisce sugli intellettuali, dando ad essi, con l'espressione dei propri bisogni, una funzione storica reale. Gl'intellettuali decadono quando il nesso si rompe. Del resto, questo rapporto tra intellettuali e massa non è che un aspetto del rapporto fondamentale per il marxismo e per Gramsci, a cui si applica il principio dell'azione reciproca, voglio dire del rapporto fra teoria e pratica. Parlando di identità di teoria e pratica, Gramsci intende identità dialettica nel senso di teoria che si giustifica praticamente e di pratica che si giustifica teoricamente. Leggo il passo che mi sembra piú significativo: « Se il problema di identificare teoria e pratica si pone, si pone in questo senso: di costruire su una determinata pratica una teoria che, coincidendo e identificandosi con gli elementi decisivi della pratica stessa, acceleri il processo storico in atto, rendendo
1 Dialettica della natura, trad. it., Roma, ed. Rinascita, 1950, . p. 32.
2 M. S., p. 12.
78 I documenti del convegno
la pratica piú omogenea, coerente, eff[...]

[...]
1 Dialettica della natura, trad. it., Roma, ed. Rinascita, 1950, . p. 32.
2 M. S., p. 12.
78 I documenti del convegno
la pratica piú omogenea, coerente, efficiente in tutti i suoi elementi, cioè potenziandola al massimo, oppure, data una certa posizione teorica, di organizzare l'elemento pratico indispensabile per la sua messa in opera » 1. Peraltro, l'uso piú 'frequente del termine «dialettica», inteso come azione reciproca, si trova in Gramsci a proposito del rapporto strutturasuperstruttura, cioè di quel composto o sintesi ch'egli chiama
blocco storico ». 'Si può dire che per « blocco storico » Gramsci intenda il risultato, in una certa situazione storica, del rapporto dialettico di struttura e di superstruttura. In im celebre passo, dove egli dice che « la struttura e le superstrutture formano " un blocco storico " » , e spiega quali sono le condizioni storiche necessarie perché l'ideologia trasformi la realtà, ciò che esprime, in termini hegeliani, dicendo che il razionale si fa reale, conclude: < Il ragionamento si basa sulla reciprocità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è appunto il processo dialettico reale) » 2.
L'uso di gran lunga piú frequente e indubbiam[...]

[...]» , e spiega quali sono le condizioni storiche necessarie perché l'ideologia trasformi la realtà, ciò che esprime, in termini hegeliani, dicendo che il razionale si fa reale, conclude: < Il ragionamento si basa sulla reciprocità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è appunto il processo dialettico reale) » 2.
L'uso di gran lunga piú frequente e indubbiamente anche piú importante del termine « dialettica » nel linguaggio gramsciano è quello corrispondente al significato di « processo tesiantitesisintesi ». Aggiungiamo che è anche il significato piú genuinamente hegelianomarxistico; basti pensare che confluisce nel concetto di « divenire » . Proprio a proposito del divenire, della distinzione fra progresso e divenire, ci si imbatte in quest'uso del termine: « Nel " divenire " si è cercato di salvare ciò che di piú concreto è nel " progresso ", il movimento e anzi il movimento dialettico (quindi anche un approfondimento, perché il progresso è legato alla concezione volgare dell'evoluzione) » 3. È chiaro che qui con «[...]

[...]ramente terminologica, che la dialettica come concezione della storia (e della natura) è legata strettamente all'idea che la realtà storica (e, secondo le interpretazioni del marxismo, anche quella naturale) sia contraddittoria,
e che la dialettica sia lo strumento adeguato per comprenderla, e, cornprendendola, superarne le contraddizioni. Ora, il rapporto fra filosofia
e consapevolezza delle contraddizioni è sempre presente nel pensiero di Gramsci, nel quale il marxismo è, in quanto filosofia, superiore alle filosofie precedenti, e quindi anche allo hegelismo, solo nella misura in cui ha acquistato piú piena consapevolezza delle contraddizioni, e si pone, anzi, da se stesso came un elemento della contraddittorietà della storia. « In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma
e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente
o inteso com[...]

[...]o sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente
o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenze e quindi di azione » 1.
Non manca, infine, in Gramsci il riferimento del termine « dialettica » al principio o legge del passaggio dalla quantità alla qualità. Ne parla ripetutamente nella critica al materialismo volgare di Bukharin. In un passo, lamenta che il Saggio popolare non sciolga uno dei nodi teorici del marxismo, vale a dire, appunto « come la filosofia della prassi abbia " concretato " la legge hegeliana della quantità che diventa qualità » 2. Altrove si vale del principio in funzione polemica contro l'evoluzionismo volgare « che non può conoscere il principio dialettico col passaggio della quantità alla qualità » 3; altrove, ancora[...]

[...] del principio in funzione polemica contro l'evoluzionismo volgare « che non può conoscere il principio dialettico col passaggio della quantità alla qualità » 3; altrove, ancora, contro la teoria della previsione nella storia, che parte dal presupposto che le forze contrastanti siano riducibili a quantità fisse, mentre cid non accade perché « la quantità diventa continuamente qualità » 4.
1 M. S., pp. 9394. Il corsivo è mio.
2 M. S., p. 163.
3M.S.,p.125.
4 M. S., p. 135.
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4. La funzione del concetto di dialettica nel pensiero gramsciano è centralissima, ed è legata quasi esclusivamente al secondo significato sopra illustrato che è, come si è detto, il significato genuino hegelianomarxistico. Il concetto di dialettica serve a Gramsci per caratterizzare il marxismo come filosofia nuova, e a dare battaglia, secondo l'interpretazione di Marx piú volte ripetuta da Engels, su due fronti: contro l'idealismo hegeliano, che è dialettico, sí, ma fa un uso speculativo della dialettica, e contro il materialismo volgare che è, sí, antidealistico, ma non è dialettico. Hegel, per Gramsci, ha avuto il merito di presentare tutte in una volta, seppure in un romanzo filosofico, le contraddizioni che prima risultavano soltanto dall'insieme dei sistemi. Ha dialettizzato i due momenti della vita del pensiero, materialismo e spiritualismo, ma in modo speculativo, onde è risultato il famoso uomo che cammina sulla testa.
I continuatori di Hegel hanno distrutto l'unità dialettica, ed è toccato alla filosofia della prassi di ricostruirla, ma questa volta ponendo l'uomo sulle gambe 1. Quanto al materialismo tradizionale, il suo vizio fondamentale è di essere evoluzionistico, cioè, appu[...]

[...]lla prassi è toccato lo stesso destino della filosofia di Hegel, cioè di scindersi, e « dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo filosofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica ha cercato di incorporare ciò che della filosofia della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir » 2, la battaglia su due fronti continua, e spetta ad una ripresa genuina della filosofia della prassi (è il compito che Gramsci si pone) di ricostruire l'unità dialettica perduta.
Com'è noto, nei frammenti gramsciani il fronte materialistico è rappresentato da Bukharin, quello idealistico da Croce. Nei rispetti di Bukharin e di Croce, Gramsci rinnova le critiche che Marx ed Engels avevano mosso rispettivamente al materialismo meccanicistico e alla filosofia di Hegel. Quale rimprovero muove, fra gli altri, Gramsci a Bukharin? Uno dei rimproveri è proprio di aver trascurato la dialettica:
1 M. S., pp. 9394 e 87.
2 M. S., p. 87.
Norberto Bobbio 81
« Nel Saggio manca una trattazione qualsiasi della dialettica. La dialettica viene presupposta, molto superficialmente, non esposta, cosa assurda in un manuale che dovrebbe contenere gli elementi essenziali della dottrina trattata... » 1. Questa mancanza si può spiegare, secondo Gramsci, con due motivi, uno di carattere teorico, l'incomprensione da parte di Bukharin della funzione della dialettica, e l'altro di carattere psicologico, la difficoltà del pensiero dialettico che va contro il senso comune, di fronte al quale Bukharin ha capitolato. La mancanza dunque non è casuale: in realtà il vizio principale del pensiero di Bukharin ,è, per Gramsci, di non essere un pensiero dialettico, e un pensiero non dialettico è un pensiero meccanicistico e pretende di far previsioni storiche al pari di quelle che fa lo scienziato della natura, e cosí facendo ottunde il senso storico, snerva la lotta, ostacola o ritarda ogni forma di intervento attivo nella storia. Analoga critica, si osservi, è rivolta al Bernstein: « L'affermazione del Bernstein secondo cui il movimento è tutto e il fine è nulla, sotto l'apparenza di una interpretazione " ortodossa " della dialettica, nasconde una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico: le[...]

[...]fine è nulla, sotto l'apparenza di una interpretazione " ortodossa " della dialettica, nasconde una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico: le forze umane sono considerate come passive e non consapevoli, come un elemento non dissimile dalle cose materiali, e il concetto di evoluzione volgare, nel senso naturalistico, viene sostituito al concetto di svolgimento e di sviluppo » '2.
Per quel che riguarda l'atteggiamento di Gramsci verso Croce, è noto che per lui fare i conti colla filosofia crociana voleva dire compiere la stessa opera distruttivacostruttiva, di critica e di inveramento, che Marx aveva compiuto con Hegel, anche se talora il novello Hegel gli si presenta piuttosto nelle vesti di un nuovo signor Dühring 3. Chi abbia presenti le pagine che il giovane Marx dedica alla critica della filosofia speculativa di Hegel (pagine che peraltro Gramsci non poteva conoscere), troverà frequenti analogie in alcune pagine che Gramsci dedica a Croce. Il vizio fondamentale della filosofia di Croce è per Gramsci di essere ancora una filosofia speculativa, e in tal modo egli ritorce l'accusa che Croce aveva mosso al marxismo di essere una filosofia teologizzante per
1 M. S., p. 132. Il corsivo è mio.
2 P., p. 190.
3 Si veda, ad esempio, M. S., pp. 44, 200.
82 I documenti del convegno
aver ripresentato nella struttura il principio di un dio ascoso 4. Basterà ricordare un passo fra i molti che si potrebbero scegliere: « La filosofia del Croce rimane una filosofia " speculativa " e in ciò non è solo una traccia di trascendenza e di teologia, ma è tutta la trascendenza e la teologia, appena liberat[...]

[...]egliere: « La filosofia del Croce rimane una filosofia " speculativa " e in ciò non è solo una traccia di trascendenza e di teologia, ma è tutta la trascendenza e la teologia, appena liberate dalla piú grossolana scorza mitologica » 2. Solo la filosofia della prassi si è liberata da ogni residuo di trascendenza ed è storicismo assoluto. « Lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa » 3. Ma che intende dire Gramsci quando parla della filosofia crociana come filosofia speculativa? Uno dei sensi di questa accusa si ricollega ancora una volta al concetto di dialettica. C'è in Gramsci il sospetto che la dialettica di Croce sia una dialettica concettuale in antitesi alla dialettica reale, cioè una dialettica delle idee e non delle cose. L'accusa viene formulata in questo modo: Croce avrebbe scambiato il divenire con il concetto del divenire, onde la sua storia « diventa una storia formale, una storia di concetti, e in ultima analisi una storia degli intellettuali, anzi una storia autobiografica del pensiero del Croce, una storia di mosche cocchiere » 4. Con altre parole: la storia del Croce è una storia delle idee, e di conseguenza dei portatori e creatori delle idee che [...]

[...]ite attraverso le teorie che rispecchiano queste contraddizioni, ancora una volta una storia dell'uomo che cammina colla testa e non coi piedi. L'analogia con alcuni passi dei Manoscritti del '44 di Marx è sorprendente: Marx aveva rimproverato Hegel di aver trasferito il movimento della storia reale nella coscienza e di aver descritto un movimento storico che non era quello dell'uomo reale, ma della coscienza con se stessa.
5. La polemica di Gramsci con Croce ha molti aspetti. Quello che abbiamo sinora toccato è uno degli assalti ch'egli muove alla roccaforte crociana. E da notare ora che il concetto di dialettica è impegnato anche in un'altra critica, che per essere piú volte ripetuta e per il fatto di involgere insieme con Croce una piú ampia tradizione di pensiero,
1 M. S., pp. 190, 230.
2 M. S., pp. 190191.
3 M. S., p. 191.
4 M. S., p. 217.
Norberto Bobbio 83
ritengo sia uno dei punti nodali per l'interpretazione della filosofia gramsciana. Non si tratta piú dell'antitesi di dialettica speculativa e dialettica reale, ma del c[...]

[...]a toccato è uno degli assalti ch'egli muove alla roccaforte crociana. E da notare ora che il concetto di dialettica è impegnato anche in un'altra critica, che per essere piú volte ripetuta e per il fatto di involgere insieme con Croce una piú ampia tradizione di pensiero,
1 M. S., pp. 190, 230.
2 M. S., pp. 190191.
3 M. S., p. 191.
4 M. S., p. 217.
Norberto Bobbio 83
ritengo sia uno dei punti nodali per l'interpretazione della filosofia gramsciana. Non si tratta piú dell'antitesi di dialettica speculativa e dialettica reale, ma del contrasto nel modo stesso di concepire i momenti del processo e il passaggio dall'uno all'altro; non piú, si potrebbe dire, di una divergenza nel modo di usare la dialettica, ma nel modo di intenderne il meccanismo. Questo punto, che ci accingiamo ad esporre, dà infine la piena misura della parte primaria che il concetto di dialettica rappresenta nel pensiero gramsciano.
Gramsci muove al Croce, come è noto, il rimprovero di essere un ideologo della restaurazione, ovvero un liberale conservatore ricolle[...]

[...]Non si tratta piú dell'antitesi di dialettica speculativa e dialettica reale, ma del contrasto nel modo stesso di concepire i momenti del processo e il passaggio dall'uno all'altro; non piú, si potrebbe dire, di una divergenza nel modo di usare la dialettica, ma nel modo di intenderne il meccanismo. Questo punto, che ci accingiamo ad esporre, dà infine la piena misura della parte primaria che il concetto di dialettica rappresenta nel pensiero gramsciano.
Gramsci muove al Croce, come è noto, il rimprovero di essere un ideologo della restaurazione, ovvero un liberale conservatore ricollegantesi alla tradizione dei moderati; e cerca d'inserire la posizione crociana in un vasto disegno storico che dovrebbe risalire sino al neoguelfismo del Gioberti e valersi, come categoria di comprensione storica, dei concetti di rivoluzione passiva del Cuoco e di rivoluzionerestaurazione del Quinet. Ebbene, Gramsci ritiene di poter spiegare l'atteggiamento del Croce mostrando che questi aveva frainteso la dialettica; per Gramsci, il concetto che Croce ha della dialettica non corrisponde alla conoezione genuina hegelianomarxistica, anzi rappresenta « una... mutilazione dell'hegelismo e della dialettica » J. È lo stesso errore che Marx rimprovera a Proudhon in un celebre passo della Miseria della filosofia, cosí spesso citato da Gramsci nei momenti cruciali da farcelo annoverare fra le fonti piú importanti della sua riflessione sul marxismo 2. Marx accusava Proudhon di aver frainteso il significato della dialettica, che è movimento di opposti o passaggio dall'affermazione alla negazione e alla negazione della negazione, dal momento che aveva preteso di distinguere in ogni evento storico il lato buono e il lato cattivo, e conservare il primo eliminando il secondo. E spiegava: « Ciò che costituisce il movimento dialettico è la coesistenza dei due lati contraddittori, la loro lotta e la loro confusione in una nuova categoria.[...]

[...]su Feuerbach, mentre la Sacra famiglia è una fase intermedia indistinta di origine occasionale » (Mach.; p. 31, n.).
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movimento dialettico »1. Altro che eliminare il lato cattivo: « È il lato cattivo — ribadiva Marx — a produrre il movimento che fa la storia, determinando la lotta » 2. Qui Marx metteva in rilievo ciò che è il nucleo del pensiero dialettico, cioè la forza della negatività nella storia. Ed ecco come Gramsci, in polemica con Croce, rileva la stessa difficoltà: « L'errore filosofico (di origine pratica!) di tale concezione consiste in ciò che nel processo dialettico si presuppone " meccanicamente " che la tesi debba essere " conservata " dall'antitesi per non distruggere il processo stesso, che pertanto viene " preveduto " come una ripetizione all'infinito, meccanica, arbitrariamente prefissata. In realtà si tratta di uno dei tanti modi di " mettere le brache al mondo ", di una delle tante forme di razionalismo antistoricistico » 3. Ciò che la posizione del tipo ProudhonCroce (Gramsci pone sempr[...]

[...]che nel processo dialettico si presuppone " meccanicamente " che la tesi debba essere " conservata " dall'antitesi per non distruggere il processo stesso, che pertanto viene " preveduto " come una ripetizione all'infinito, meccanica, arbitrariamente prefissata. In realtà si tratta di uno dei tanti modi di " mettere le brache al mondo ", di una delle tante forme di razionalismo antistoricistico » 3. Ciò che la posizione del tipo ProudhonCroce (Gramsci pone sempre accanto a Proudhon anche Gioberti) rappresenta attraverso la pretesa di conservare la tesi nell'antitesi, è proprio la sconfessione di quella forza della negatività che costituisce il nerbo della dialettica. « Nella storia reale, — prosegue Gramsci — l'antitesi tende a distruggere la tesi, la sintesi sarà un superamento, ma senza che si possa a priori stabilire ciò che della tesi sarà " conservato" nella sintesi, senza che si possa a priori " misurare " i colpi come in un "ring " convenzionalmente regolato » 4. Ci troviamo di fronte, indubbiamente, a uno dei nodi, forse al nodo principale del pensiero gramsciano, in quanto erede, interprete, continuatore del pensiero marxista. Qual è il rapporto fra tesi e antitesi? Vi è un pensiero che tenta di mettere l'accento sulla tesi sia che pretenda di conservare nell'antitesi una parte della tesi (il « lato buono » di Proudhon) sia che, come si legge in un altro passo, pretenda di sviluppare tutta la tesi fino af punto di riuscire ad incorporare una parte dell'antitesi stessa 5 : questo pensiero è una falsificazione della dialettica e sfocia nel riformismo. II
Miseria della filosofia, trad. it., Roma, 1949, p. 91. Vedi anche pp. 9899.
2 Op. cit., p. 9[...]

[...] sia l'antitesi a conservare qualche cosa della tesi o che sia invece la tesi ad assorbire parte dell'antitesi, il risultato è identico: l'attenuazione del contrasto fra tesi e antitesi.
Norberto Bobbio 85
pensiero dialettico genuino, invece, è quello che mette l'accento sull'antitesi, che considera l'antitesi come negazione reale e totale della tesi, ed è la consapevolezza teorica della rivoluzione. In altri passi, oltre quelli già citati, Gramsci si esprime in questo modo: « Ogni antitesi deve necessariamente porsi come radicale antagonista della tesi, fino a proporsi di distruggerla completamente e completamente sostituirla » 1;. oppure: « Ogni membro dell'opposizione dialettica deve cercare di essere tutto se stesso e gettare nella lotta tutte le proprie "risorse" politiche e morali, e... solo cosí si ha un superamento reale » z.
Da questa antitesi tra una dialettica del positivo e una dialettica del negativo, Gramsci trae alcune conseguenze decisive per la elaborazione del suo pensiero critico. Due soprattutto mi paiono degne di[...]

[...]Ogni antitesi deve necessariamente porsi come radicale antagonista della tesi, fino a proporsi di distruggerla completamente e completamente sostituirla » 1;. oppure: « Ogni membro dell'opposizione dialettica deve cercare di essere tutto se stesso e gettare nella lotta tutte le proprie "risorse" politiche e morali, e... solo cosí si ha un superamento reale » z.
Da questa antitesi tra una dialettica del positivo e una dialettica del negativo, Gramsci trae alcune conseguenze decisive per la elaborazione del suo pensiero critico. Due soprattutto mi paiono degne di rilievo. Anzitutto, l'affermazione che l'antitesi prolunghi e conservi la tesi dà origine alla pretesa, che è carattere permanente e costitutivo di ogni riformismo, di elaborare una storia a disegno, e come tale soffoca ogni volontà rivoluzionaria. Questo concetto dà esca ad uno dei motivi polemici piú persistenti del pensiero gramsciano, la critica della previsione storica 3. « Realmente si "prevede" — dice Gramsci — nella misura in cui si opera, in cui si applica uno sforzo volontario e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato " preveduto ". La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di conoscenza; ma come l'espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva » 4. 'In seconda luogo, questa falsificazione della dialettica, in quanto conduce ad una ricostruzione puramente teorica della storia,. ad uso dei conservatori e dei moderati che temono sopra ogni altra cosa coloro che fanno la storia, è una prerogativa degli intellettu[...]

[...] M. S., pp. 135138..
4 M. S., p. 135.
86 I documenti del convegno
nel loro cervello dosandone gli elementi " arbitrariamente" (cioè passionalmente) »'.
Entrambe le conseguenze, di cui la prima si ricollega alla critica del riformismo e alla giustificazione storica del momento giacobino, e la seconda ci introduce alla critica della politica degli intellettuali, sono un'ultima conferma della necessità che una comprensione della filosofia di Gramsci cominci dal concetto di dialettica.
1 M. S., p. 186.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] E. Garin, Antonio Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: Eugenio Garin
ANTONIO GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA
(Appunti)
1. Premesse metodologiche e questioni formali. Unità e frammentarietà: unità come coerenza.
Chi voglia affrontare, sotto un qualunque punto di vista, l'opera di Gramsci e il suo significato, non potrà non proporsi, preliminarmente, una serie di questioni la cui risoluzione in un senso piuttosto che in un altro peserà poi sulla valutazione e sull'interpretazione delle pagine gramsciane. Il carattere « frammentario» dei Quaderni, il valore delle Lettere, il loro rapporto con la produzione « giornalistica » precedente, il loro stesso « linguaggio » : ecco tutta una serie di problemi che chiedono una soluzione precisa. Quando il Croce nel '48 rifiutò la discussione del volume forse piú organico di Gramsci, addusse come motivo primario che si trattava di appunti, di osservazioni, di dubbi nati da letture occasionali, « di pensieri abbozzati o tentati, di interrogazioni a se stesso, di congetture e sospetti spesso infondati », comunque privi di «quel pensiero sintetico che scevera, fonde, integra in un tutto ». V'era, naturalmente, anche un altro motivo di quel rifiuto — e il Croce stesso, del resto, lo dichiarò — e cioè proprio la « filosofia della prassi » a cui il Croce ridava il « nome vulgato » di « materialismo storico », con ciò negando ogni originalità alla elaborazione di Gramsci 1. M[...]

[...] tentati, di interrogazioni a se stesso, di congetture e sospetti spesso infondati », comunque privi di «quel pensiero sintetico che scevera, fonde, integra in un tutto ». V'era, naturalmente, anche un altro motivo di quel rifiuto — e il Croce stesso, del resto, lo dichiarò — e cioè proprio la « filosofia della prassi » a cui il Croce ridava il « nome vulgato » di « materialismo storico », con ciò negando ogni originalità alla elaborazione di Gramsci 1. Ma è certo che anche quella prima e fondamentale « ragione » crociana non può non
1 Quaderni della Critica, 10, 1948, pp. 789.
4 1 documenti del convegno
essere discussa; tanto piú che, innegabilmente, se da un lato ci troviamo innanzi a frammenti, dall'altro non abbiamo che Lettere, e, prima ancora, solo articoli di giornale e scritture occasionali su cui sembra pesare perfino la condanna dell'autore 1. Per non dire della questione del « linguaggio », che Gramsci affrontò di proposito, e con tanto acume da sottolineare l'importanza che, almeno come tentativi, avevano a parer suo anch[...]

[...]che quella prima e fondamentale « ragione » crociana non può non
1 Quaderni della Critica, 10, 1948, pp. 789.
4 1 documenti del convegno
essere discussa; tanto piú che, innegabilmente, se da un lato ci troviamo innanzi a frammenti, dall'altro non abbiamo che Lettere, e, prima ancora, solo articoli di giornale e scritture occasionali su cui sembra pesare perfino la condanna dell'autore 1. Per non dire della questione del « linguaggio », che Gramsci affrontò di proposito, e con tanto acume da sottolineare l'importanza che, almeno come tentativi, avevano a parer suo anche ricerche come quelle del Vailati. Ora, è giusto estendere la ragione contingente di ovvi travestimenti di nomi propri a tutta la terminologia filosofica gramsciana? e, quindi, a tutta una impostazione dottrinale?
A dir vero Gramsci stesso sembrò proporsi il problema, non solo quando ritornò su alcuni testi dei suoi Quaderni rielaborandoli, ma in alcune note metodologiche del 1933. Stese, è vero, per chi intendesse studiare Marx, esse tuttavia non riescono a nascondere un chiaro accento autobiografico. E, comunque, nella loro precisazione e validità debbono pur essere tenute presenti da chiunque affronti lo studio dei volumi gramsciani.
Non a caso Gramsci si proponeva proprio il problema di chi voglia ricostruire la genesi e la struttura di una « concezione del mondo», che l'autore non abbia mai « esposto sistematicamente », e quindi non sia rintracciabile « in ogni singolo scritto o serie di scritti, ma nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti » . In un lavoro del genere « occorre... preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito p[...]

[...]ritto o serie di scritti, ma nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti » . In un lavoro del genere « occorre... preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso ». (Lo studioso non dovrebbe mai dimenticare lo sdegno morale con cui Gramsci colpisce l'abitudine di « sollecitare i testi ».)
Questa analisi preliminare tende a « identificare gli elementi divenuti stabili e "permanenti ",... assunti [cioè) come pensiero proprio », distinguendoli dal materiale servito di stimolo, e fissando per dati interni — « dall'intrinseco » — i periodi e gli « scarti ». « È osservazione comune di ogni studioso — prosegue — come esperienza personale, che ogni nuova teoria studiata con " eroico furore" (cioè quando non si studia per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per
1
LC., p. 137.
Eugenio Garin 5
un certo tempo, spe[...]

[...]indagine del genere; se si terranno presenti le non dimenticabili osservazioni sugli effetti dell'isolamento nel carcere, come determinanti di un lavorio esasperato intorno a un tema 2, — l'indagine si orienterà subito, attraverso l'analisi dei testi, verso la « ricerca del leitmotiv, del ritmo del pensiero in isviluppo... piú importante delle singole affermazioni casuali e degli aforismi staccati ».
Ora ciò che colpisce subito nei testi del Gramsci è proprio la costanza. evidente di temi. Quest'opera cosí « frammentaria » nella forma espressiva. (articoli, lettere, appunti) è in realtà singolarmente « unitaria », non solo nell'ispirazione e nell'impegno, ma nella costanza delle precise « do
1 M. S., pp. 767.
2 P., p. 130; L. C., p. 39.
6 1 documenti del convegno
mande » e nel progressivo approfondimento delle risposte. Nei Quaderni ritornano con insistenza gli stessi « appunti », o appunti analoghi; e l'eco se ne ritrova nelle lettere; e non è difficile rintracciarne motivi già negli articoli. D'altra parte, ire un certo senso, il[...]

[...]0; L. C., p. 39.
6 1 documenti del convegno
mande » e nel progressivo approfondimento delle risposte. Nei Quaderni ritornano con insistenza gli stessi « appunti », o appunti analoghi; e l'eco se ne ritrova nelle lettere; e non è difficile rintracciarne motivi già negli articoli. D'altra parte, ire un certo senso, il « frammento » corrisponde non di rado come modo espressivo esatto a quella puntualizzazione delle « piccole cose » opposta dal Gramsci alla considerazione « oleografica » della storia per momenti « culminanti » epici o eroici: « Nella realtà, da dovunque si cominci a operare, le difficoltà appaiono subito gravi perché non si era mai pensato concretamente a esse; e siccome occorre sempre cominciare da piccole cose (per lo piú le grandi cose sono un insieme di piccole cose) la " piccola cosa " viene a sdegno; è meglio continuare a sognare e rimandare l'azione al momento della " grande cosa " »'. La polemica contro la genialità in name del « metodo delle esperienze piú minuziose » 2 trova del resto un riscontro importante anc[...]

[...]delle note', della polemica contro il « sistema » 4 in name dell'aderenza alla concreta realtà storica: « si crede volgarmente che scienza voglia assolutamente dire " sistema " e perciò si costruiscono sistemi purchessia, che del sistema non hanno la coerenza intima e necessaria ma solo la meccanica esteriorità » 5. In realtà unità e sistematicità consistono « nell'intima coerenza e feconda comprensività di ogni soluzione particolare » 6.
2. Gramsci e Croce.
L'elaborazione continua a cui Gramsci sottopone concetti e metodi si precisa dunque lungo linee di sviluppo ben definite. Se in un articolo dell'Avanti! del 21 agosto 1916 troviamo l'uso aperto — sul terreno della critica teatrale — delle « categorie » crociane (e un tendenziale
1 P., p. 7
2 L. C., p. 41.
3 M. S., pp. 1712.
4 M. S., pp. 17980.
5 M. S., p. 131.
s M. S., p. 180.
7 L. V., p. 247.
Eugenio Garin 7
orientamente crociano degli anni di preparazione riconoscerà egli stesso piú tardi, esplicitamente 1), assistiamo poi a un progressivo costante lavoro di determinazione della portata « speculativa » del « revision[...]

[...]della sua debolezza per fargli fare « cerimonie » che gli « ripugnavano », nel « delirio » parlò per un'intera notte « dell'immortalità dell'anima in un senso realistico e storicistico, cioè come... sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessarie e come un .incorporarsi di esse nel mondo di fuori »
Il serrato dialogo con Croce (e con tutto il mondo intellettuale italiano legato alla influenza crociana) percorre cosí l'attività culturale gramsciana, e ne caratterizza bene l'inserzione nella vita nazionale. In Croce Gramsci vede, non solo il grande intellettuale di tipo erasmiano, ma anche l'espressione piú avanzata della cultura italiana contemporanea, quella che ha più presa e maggior efficacia « conformatrice » . Il fatto che Gramsci combatta su quella linea, e a volte si ha l'impressione di una sua volontà di opporsi a Croce punto per punto, giudizio contro giudizio, in tutta la valutazione della storia italiana, in una correzione costante delle posizioni discusse, per uno spostamento sistematico del punto di vista; il fatto che tale impostazione sembri spesso lasciare in ombra, magari fino all'ingiustizia, altri temi ed aspetti pur validi di posizioni culturali diverse: tutto questo indica in realtà, non un limite, ma l'attualità di una discussione, la sua storicità concreta, una analisi che, appunto perché non « spec[...]

[...]eresse sia la ricerca della verità e il progresso della scienza, si dimostra .piú " avanzato " chi si pone dal punto di vista che l'avversario può esprimere un'esigenza che deve essere incorporata, sia pure come un momento subordinato, nella propria costruzione. Comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell'avversario... significa... porsi da un punto di vista " critico ", l'unico fecondo nella ricerca scientifica » 1. Gramsci, in proposito, ha insistito con pari energia sulla necessità di non diminuire mai l'avversario se non si vuol vincerlo « in sogno » 2, e sulla fecondità di una discussione « reale », cioè condotta sul piano di un dibattito attuale.
Se « dobbiamo essere piú aderenti al presente... avendo coscienza del passato e del suo continuarsi (e rivivere) » 3 ; se condizione per « l'attività attuale di creazione di una nuova storia » è « lo studio concreto della storia passata »; se si sarà tanto più forti « quanto piú elevato sarà il livello culturale e sviluppato lo spirito critico », se « condanna i[...]

[...] quelle che hanno presa, che pesano nella vita di un paese (« una teoria è appunto " rivoluzionaria " nella misura in cui è elemento di separazione e distinzione consapevole in due campi » 2; « si può dire che una gran parte dell'opera filosofica di B. Croce rappresenta f ill tentativo di riassorbire la filosofia della prassi e incorporarla come ancella alla cultura tradizionale»). È sotto questo profilo che va inteso, non solo il rapporto di Gramsci con Croce, ma tutto il modo della discussione gramsciana, e il suo inserimento nella vita culturale del paese. « Come uomo di pensiero fu dei nostri » — scriveva Croce nel '47 3 — « di quelli che nei primi decenni del secolo in Italia attesero a formarsi una mente filosofica e storica adeguate ai problemi del presente... E rivedo qui i frutti di quegli anni: il rinnovato concetto della filosofia nella sua tradizione speculativa e dialettica, non già positivistica e classificatoria, l'ampia visione della storia, l'unione dell'erudizione col filosofare, il senso vivissimo della poesia e dell'arte nel loro carattere originale ». Croce avrebbe po[...]

[...]e dialettica, non già positivistica e classificatoria, l'ampia visione della storia, l'unione dell'erudizione col filosofare, il senso vivissimo della poesia e dell'arte nel loro carattere originale ». Croce avrebbe potuto continuare, toccando del punto fondamentale di contatto: una cultura sdegnosa di « anime belle » e di « mani pure », ma militante, politicamente combattente, e poco importa, qui, se in campi opposti.
I1 « crocianesimo » di Gramsci — a parte una prima simpatia iniziale — consiste nell'avere « combattuto » sistematicamente Croce, considerandolo la voce piú importante (e piú « pericolosa ») della vita italiana (il sostenitore, diceva Gobetti, di un « conservatorismo illuminato e trepido, onesto, moderatamente liberale, capace di salvare le forme e la pace »). In tal senso soltanto, Gramsci è costantemente « condizionato » da Croce — e dalla situazione determinatasi intorno a Croce — pro e contro. E questo significa unicamente che la forma della discussione, proprio per essere non velleitaria, ma calata nella realtà nazionale, si definisce in certi termini storici. Machiavelli di contro a Guicciardini; De Sanctis, Spaventa, Labriola, invece di Cattaneo, e cosí via. Ed era davvero piú importante mostrare le possibilità e fecondità di De Sanctis oltre, o su un piano diverso da quello
Mach., p. 39.
2 M.S., p. 157.
3 Quaderni della Critica, 8, p. 86.
I documenti del convegno [...]

[...]inatasi intorno a Croce — pro e contro. E questo significa unicamente che la forma della discussione, proprio per essere non velleitaria, ma calata nella realtà nazionale, si definisce in certi termini storici. Machiavelli di contro a Guicciardini; De Sanctis, Spaventa, Labriola, invece di Cattaneo, e cosí via. Ed era davvero piú importante mostrare le possibilità e fecondità di De Sanctis oltre, o su un piano diverso da quello
Mach., p. 39.
2 M.S., p. 157.
3 Quaderni della Critica, 8, p. 86.
I documenti del convegno
degli « avversari » che si rifacevano a De Sanctis. Per una loro intima forza, e per l'opera della cultura piú « avanzata», erano quelli i temi operanti; 11 bisognava dar battaglia, non spostar l'attenzione altrove, su linee magari importanti, ma non altrettanto « attuali » (quanto piú « astratto » e « dottrinario » l'amore di Salvemini e Gobetti per la « concretezza » di Cattaneo!). Valgono per Gramsci le parole che Gramsci scriveva su Machiavelli: « il Machiavelli non è un mero scienziato; egli è un uomo di parte, ...[...]

[...] Critica, 8, p. 86.
I documenti del convegno
degli « avversari » che si rifacevano a De Sanctis. Per una loro intima forza, e per l'opera della cultura piú « avanzata», erano quelli i temi operanti; 11 bisognava dar battaglia, non spostar l'attenzione altrove, su linee magari importanti, ma non altrettanto « attuali » (quanto piú « astratto » e « dottrinario » l'amore di Salvemini e Gobetti per la « concretezza » di Cattaneo!). Valgono per Gramsci le parole che Gramsci scriveva su Machiavelli: « il Machiavelli non è un mero scienziato; egli è un uomo di parte, ... un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze... » 1. E come Croce, costantemente, aveva legato la sua visione storica della vita culturale italiana a unimpegno eticopolitico, cosí, di contro, Gramsci, da un lato tende a svelare i limiti — e la validità — di una tradizione culturale italiana (di quella tradizione culturale italiana), ma dall'altro indica accanto ad essa i fremiti e le possibilità di un'altra cultura: giacobina, popolarenazionale, non aulica, non distaccata. E la distanza CroceGramsci, pur in tanta vicinanza, non si misura forse mai cosí bene come quando si rifletta sull'osservazione gramsciana 2 a proposito delle due grandi opere storiche crociane, la Storia d'Italia e la Storia d'Europa: in entrambe lo storico presuppone il momento della latta, « del ferro e del fuoco », del rinnovamento, della
rivoluzione » ; studia il momento dell'equilibrio, della riunificazione (Gramsci, è noto, ammette la possibilità di una storia eticopolitica come storia del momento « egemonico », ma per domandarsi subito se quella di Croce sia veramente storia eticopolitica, o non, piuttosto, solo « speculativa » 3).
Impegnarsi puntualmente sul suo medesimo terreno a discutere quella che era la piú chiara e diffusa posizione culturale, esaminando in ogni sfumatura la visione storica che essa offriva della vita italiana, significava veramente combattere per l'affermazione di un'altra posizione, non astrattamente e in modo velleitario, ma operando sul piano culturale e sul terreno polit[...]

[...]ione, non astrattamente e in modo velleitario, ma operando sul piano culturale e sul terreno politico nel loro indissolubile nesso. « Se scrivere storia significa fare storia del presente, è grande libro di storia quello che nel presente aiuta le forze in sviluppo a divenire piú consapevoli di se
1 Mach., p. 39.
2 M. S., p. 192.
3 L. C., pp. 1867.
Eugenio Garin 11
stesse e quindi piú concretamente attive e fattive » Nella suggestiva tesi gramsciana si coglie tutta la vicinanza e la lontananza da Croce: si coglie ormai consapevolmente dichiarato il senso di quello che gli accadde di scrivere nel '19, a proposito dei rivoluzionari russi: hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato e arricchito una tradizione » 2. Quello che con efficacia fu detto di Gobetti con un'espressione gobettiana, può dirsi, con piú forza, di Gramsci: « ha letto il Marx di Lenin, non il Marx di Croce: cioè non lo ha messo in soffitta ». Ma converrà dire di piú: Gramsci non ha messo Marx né in soffitta né sugli altari: lo ha « tradotto » nel « linguaggio » italiano attuale — si ricordino le sue considerazioni sulla « traduzione » della Rivoluzione francese 3 — ossia ha alimentato i problemi del presente con la riflessione del passato, e la storia del passato ha illuminato e vivificato con le richieste del presente.
3. La storia della « tradizione culturale » italiana.
È cosí possibile ripercorrere con Gramsci tutta la storia della cultura italiana, in una prospettiva originale, saldata al presente, ossia legata a discussioni vitali, e a reali richieste. Ed è una storia in cui si possono cogliere puntualmente visioni e costruzioni di singolare fecondità, anche se talora non scevre di insufficienze e limiti interpretativi, in cui si fanno sentire le conseguenze, non solo della situazione tragica in cui Gramsci lavorava, ma anche delle impostazioni da cui partiva e con cui si trovava a combattere. Cosí è in tanti aspetti tutta desanctisiana la condanna « moralistica » di buona parte dell'età umanisticorinascimentale (di un De Sanctis che si va a volte a incontrare stranamente con Walser o Toffanin); ed è di origine desanctisiana il rapporto MachiavelliGuicciardini. Ma è gramsciana, non solo la maniera di parre il problema dell'ambiguità, ossia della pluralità di temi del Rinascimento, ma, soprattutto, la robusta interpretazione di Machiavelli, e
R., p. 63.
2 0.N., p. 7.
3 M. S., pp. 199200.
12 I documenti del convegno
il nesso MachiavelliSavonarola, e, in Machiavelli, il rapporto PrincipeDiscorsi, e tutta la polemica con Croce e con le varie visioni della posizione di Machiavelli. Qui Gramsci ha certo risentito — oltre De Sanctis e Croce — della lettura del libro di Russo; ma ha anche proposto una serie di temi, fondamentali certo per intendere la sua concezione del Moderno Principe, ma non dimenticabili per chiunque intenda ripensare seriamente il significato di Machiavelli e del Rinascimento. Per questo la discussione dell'opera gramsciana andrà condotta su questo argomento col massimo rigore, tanto piú che è molto importante mettere a fuoco, proprio nella valutazione dell'età del Rinascimento e della Riforma, la presentazione del distacco della cultura —e degli « intellettuali » — dalla realtà nazionale, dal popolo, e la prospettiva delle loro vicende e della loro funzione oltre i confini italiani. Ove finalmente la storia della cultura italiana si definisce e prende corpo nell'indagine circa la formazione e le vicende, gli interessi e l'opera precisa, di gruppi definiti di uomini (gl'« intellettuali ») che tendono a cost[...]

[...]prospettiva delle loro vicende e della loro funzione oltre i confini italiani. Ove finalmente la storia della cultura italiana si definisce e prende corpo nell'indagine circa la formazione e le vicende, gli interessi e l'opera precisa, di gruppi definiti di uomini (gl'« intellettuali ») che tendono a costituirsi con fisionomia e aspirazioni determinate (storia di cose e individui concreti al posto di nozioni vaghe e nebulose).
D'altronde, se Gramsci risente di tutto un clima culturale nella valutazione dei secoli XVII e XVIiIiI, e nella limitata attenzione rivolta, per esempio, all'opera degli scienziati, di nuovo l'analisi dei suoi giudizi dovrà farsi molto attenta per quel che riguarda 1'800. Dalle considerazioni su Manzoni (Manzoni di fronte a Tolstoi nel rapporto col popolo) e su Gioberti, al peso attribuito a De Sanctis e alla sua opera, è tutta una serie di nette prese di posizione su argomenti centrali della cultura italiana. Finché ritroviamo il punto nodale costituito da Hegel in Italia, ossia delle posizioni di Spaventa e Lab[...]

[...]r quel che riguarda 1'800. Dalle considerazioni su Manzoni (Manzoni di fronte a Tolstoi nel rapporto col popolo) e su Gioberti, al peso attribuito a De Sanctis e alla sua opera, è tutta una serie di nette prese di posizione su argomenti centrali della cultura italiana. Finché ritroviamo il punto nodale costituito da Hegel in Italia, ossia delle posizioni di Spaventa e Labriola, di Croce e Gentile.
E proprio qui si colloca l'originalità della gramsciana filosofia della prassi, col suo giudizio rapido, ma chiaro e indicativo, sul valore di Labriola: («,i1 Labriola, affermando che la filosofia della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica, è autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della prassi » 1), e la sua polemica condotta su due fronti: da un lato contro la « rinascita » idealistica, e dall'altro contro il positivismo del primo Novecento. E
1 M. S., p. 79.
Eugenio Garin 13
se contro quest'ultimo, contro il suo modo di fraintendere Marx e contro tutti gli atteggiamenti [...]

[...] autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della prassi » 1), e la sua polemica condotta su due fronti: da un lato contro la « rinascita » idealistica, e dall'altro contro il positivismo del primo Novecento. E
1 M. S., p. 79.
Eugenio Garin 13
se contro quest'ultimo, contro il suo modo di fraintendere Marx e contro tutti gli atteggiamenti di deteriore « economismo » e « meccanicismo fatalista », Gramsci si vale spesso delle armi dei neohegeliani, contro il loro « revisionismo » e le loro nostalgie teologiche e speculative (« Lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa » 1) riprende le armi di Hegel (di un Hegel non « teologo » o non solo « teologo » — « la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo ») e di Marx, e in questo senso elabora il suo umanismo integrale (« il comunismo è umanismo integrale: studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali ecc. » 2), il suo integrale storicismo r(« la storia rigua[...]



da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA
In un testo del 1933 Gramsci fissò i canoni per lo studio di una « concezione del mondo » che il pensatore non abbia mai « esposto sistematicamente », e quindi non sia consegnata, come tale, a un « singolo scritto o serie di scritti », ma debba essere rintracciata « nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti ». In un'indagine del genere « occorre... preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso». Si tratt[...]

[...]di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso». Si tratta di «identificare gli elementi stabili e ' permanenti ',.., assunti come pensiero proprio », distinguendoli dal materiale che é servito di stimolo, e fissando « dall'intrinseco » gli eventuali « periodi » e i possibili « scarti » (1).
E' osservazione comune di ogni studioso come esperienza personale — prosegue Gramsci — che ogni nuova teoria studiata con ' eroico furore ' (cioè... non per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per un certo tempo, specialmente se si è giovani, attira di per se stessa, si impadronisce di tutta la personalità, e viene limitata dalla teoria successivamente studiata,
(*) Per concessione dell'Istituto Gramsci e degli Editori Riuniti pubblichiamo due delle quattro relazioni tenute al Convegno di Studi Gramsciani (svoltosi in Roma nel gennaio 1958) i cui atti sono in corso di pubblicazione.
** Le abbreviazioni per i riferimenti ai volumi delle opere sono quelle adottate per l'indice generale posto in fondo al vol. VII. Il vol. IX è indicato con l'abbrevazione O. N. Si è inoltre usata, soprattutto per le pp. 20233, l'Antologia popolare, Roma 1957, a cura di C. Salinaci e M. Spinella; per altri scritti non raccolti in volume ci si é serviti delle riproduzioni in a Rinascita », vol. 14, 1957, pp. 14658. De La città futura si é usata una riproduzione fotografica del giugno 1952; per Id Grido del Pop[...]

[...]rattutto per le pp. 20233, l'Antologia popolare, Roma 1957, a cura di C. Salinaci e M. Spinella; per altri scritti non raccolti in volume ci si é serviti delle riproduzioni in a Rinascita », vol. 14, 1957, pp. 14658. De La città futura si é usata una riproduzione fotografica del giugno 1952; per Id Grido del Popolo l'esemplare della Biblioteca Nazionale di Firenze. Di proposito non si è fatto alcun riferimento esplicito alla vasta letteratura gramsciana, spesso molto notevole.
(1) M. S. 7688.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 155
finché non si stabilisce un equilibrio critico, e si studia con profondità, senza però arrendersi subito al fascino del sistema o dell'autore studiato. Questa serie di osservazioni valgono tanto più quanto più il pensatore dato é piuttosto irruento, di carattere polemico e manca di spirito di sistema, quando si tratta di una personalità nella quale l'attività teorica e quella pratica sono indissolubilmente intrecciate, di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente l'autocritica nel modo più spietato e conseguente ».
Gram[...]

[...]l sistema o dell'autore studiato. Questa serie di osservazioni valgono tanto più quanto più il pensatore dato é piuttosto irruento, di carattere polemico e manca di spirito di sistema, quando si tratta di una personalità nella quale l'attività teorica e quella pratica sono indissolubilmente intrecciate, di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente l'autocritica nel modo più spietato e conseguente ».
Gramsci — é noto — si riferiva a un eventuale studio su Marx: eppure ai nostri orecchi suonano indicativi proprio per uno studio sulla sua opera i suoi avvertimenti: distinguere fra scritti compiuti e pubblicati, e scritti postumi; fra lavori conclusi (« un'opera non può essere mai identificata col materiale bruto raccolto per la sua compilazione: la scelta definitiva, la disposi zione degli elementi componenti, il peso maggiore o minore dato a questo o a quello degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sóno appunto ciò che costituisce l'opera effettiva »). Delle lettere converrà usare con [...]

[...]cautela: «un'affermazione recisa fatta in una lettera non sarebbe forse ripetuta in un libro. La vivacità stilistica delle lettere, se spesso é artisticamente più efficace dello stile più misurato e ponderato di un libro, talvolta porta a deficienze di argomentazione; nelle lettere come nei di scorsi si verificano più spesso errori logici; la rapidità maggiore del pensiero é spesso a scapito della sua solidità » (2).
E' difficile pensare che Gramsci, nel '33, quando stendeva queste pagine così precise, non avesse presente il proprio lavoro consegnato ad articoli, pubblicati si, ma che egli stesso considerava ' provvisori '; a lettere; a quaderni d'appunti. Pensava alla fine; é del 24 luglio di quell'anno la lettera in cui fa cenno alla cognata dei lucidi discorsi pronunciati nel delirio: « ero persuaso di morire, e cercavo di dimostrare l'inutilità della religione e la sua inanità, ed ero preoccupato che, approfittando della mia
(2) Cfr. M. S. 137.
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debolezza, il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie ch[...]

[...]debolezza, il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che mi ripugnavano e da cui non sapevo come difendermi. Pare che per un'intera notte ho parlato dell'immortalità dell'anima in un senso realistico e storicistico, cioè come una necessaria sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessaria, e come un incorporarsi di esse nel mondo di fuori » (3).
E' un testo umanamente significativo: ma che documenta anche la consapevolezza di Gramsci; ed è un testo che, fra l'altro, richiama una lettera di due anni prima, del 17 agosto 1931, molto importante ai fini della determinazione « dall'intrinseco » dei momenti dello sviluppo del suo pensiero. Ricordando i tempi in cui era allievo di Umberto Cosmo dichiara che, ' sebbene allora non avesse precisato la sua posizione ', aveva tuttavia il senso di trovarsi su un terreno culturale comune a molti: « partecipavamo in tutto o in parte al movimento morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere senza relig[...]

[...]he abbiano dato gli intellettuali moderni italiani; mi pare una conquista civile che non deve essere perduta » (4).
Senza dubbio era presente qui una polemica precisa contro una delle `crisi' periodiche a cui vanno soggetti gli intellettuali italiani; dopo la Conciliazione taluni « convertiti dell'idealismo crociano e gentiliano » avevano trovato che una cattedra val bene una messa. Eppure non era solo una polemica contingente che operava in Gramsci: egli voleva definire una volta di più un tratto permanente del proprio rapporto con Croce e col movimento culturale che a lui si richiamava. In una lettera del 6 giugno del '32 non esiterà a dichiarare, in forma nettissima, non
(3) L. 229.
(4) L. 132; Cfr. M. S. 199 (a io ero [nel febbraio del '17] tendenzialmente piuttosto crociano »); L. V. N. 247 (dall'« Avanti! », 21 agosto 1916): a accanto all'attività conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività estetica a.
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solo una sot[...]

[...]ento culturale che a lui si richiamava. In una lettera del 6 giugno del '32 non esiterà a dichiarare, in forma nettissima, non
(3) L. 229.
(4) L. 132; Cfr. M. S. 199 (a io ero [nel febbraio del '17] tendenzialmente piuttosto crociano »); L. V. N. 247 (dall'« Avanti! », 21 agosto 1916): a accanto all'attività conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività estetica a.
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solo una sottile convergenza fra Croce e Gentile, ma la funzione di Croce nell'Italia fascista: « la più potente macchina » per « conformare » le forze nuove italiane agli interessi del gruppo dominante, intimamente grato, « nonostante qualche superficiale apparenza », al non a caso sempre tollerato filosofo napoletano (5). E' dei « quaderni » la battuta sulla più stretta parentela di Croce con i senatori Agnelli e Benni che con Platone e Aristotele; né a Gramsci era sfuggito il parallelismo fra certi infelici discorsi di Gentile e la bonaria difesa crociana (mag[...]

[...]ile convergenza fra Croce e Gentile, ma la funzione di Croce nell'Italia fascista: « la più potente macchina » per « conformare » le forze nuove italiane agli interessi del gruppo dominante, intimamente grato, « nonostante qualche superficiale apparenza », al non a caso sempre tollerato filosofo napoletano (5). E' dei « quaderni » la battuta sulla più stretta parentela di Croce con i senatori Agnelli e Benni che con Platone e Aristotele; né a Gramsci era sfuggito il parallelismo fra certi infelici discorsi di Gentile e la bonaria difesa crociana (maggio del '24) delle «piogge di pugni, in certi casi utilmente e opportunamente somministrate », o di una funzione positiva del fascismo (luglio del '24), per la restaurazione di un più severo regime liberale nel quadro di uno stato forte (6). Eppure, accanto all'accusa così cruda di una concordia nascosta fra Croce e il fascismo — « non abbracciamento da palcoscenico, ma sempre... concordia e della più intima e fattiva » — ecco come Gramsci parla della crociana religione della libertà: « Reli[...]

[...]ociana (maggio del '24) delle «piogge di pugni, in certi casi utilmente e opportunamente somministrate », o di una funzione positiva del fascismo (luglio del '24), per la restaurazione di un più severo regime liberale nel quadro di uno stato forte (6). Eppure, accanto all'accusa così cruda di una concordia nascosta fra Croce e il fascismo — « non abbracciamento da palcoscenico, ma sempre... concordia e della più intima e fattiva » — ecco come Gramsci parla della crociana religione della libertà: « Religione della libeertà significa... fede nella civiltà moderna, che non ha bisogno di trascendenze e rivelazioni ma contiene in se stessa la propria razionalità e la propria origine ».
(5) L. 19293. Sulle «crisi» degl'intellettuali (oltre le osservazioni sul Giuliano, pubblicate in « Energie Nuove », febbraio 1919) è da rileggere, ne La città futura, Margini, 3: « gli uomini cercano sempre fuori di sé la ragione dei propri fallimenti spirituali... » (con quel che segue).
(6) « La Critica », XXII, 1924 (20 maggio), p. 191: « non è detto... [...]

[...]nazione... ». Nel ristampare queste pagine nel '43 (il volume fu finito il 20 marzo del '43) il Croce annotava: « L'autore... non intende punto sottrarsi alla taccia che... gli può essere data di facile ottimismo e di non sufficiente preveggenza politica » (cfr. N. Boasto, Politica e cultura, Torino 1955, p. 217 sgg.; M. ABBATE, La filosofia dì Benedetto Croce e la crisi della società italiana, Torino 1955, p. 221 e sgg.).
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Gramsci, insomma, anche quando giunse a una posizione apertamente critica, e ormai del tutto staccata, non rinnegò mai, non solo una personale esperienza crociana, ma il valore permanente di certi temi, anche se poi « in questi fatti umani — per usare le sue parole — la concordia si presenta sempre... come una lotta e una zuffa ». E chi ricerchi, oltre gli « scarti », gli « elementi stabili e permanenti », e « il ritmo del pensiero in isviluppo... più importante delle singole affermazioni casuali o degli aforismi staccati », non potrà nascondersi un costante riferimento, e magari alla fine per comb[...]

[...] degli aforismi staccati », non potrà nascondersi un costante riferimento, e magari alla fine per combattere o rifiutare, a tutta una problematica legata a quel vario rinnovarsi della cultura italiana che si mosse intorno all'attività del Croce. Anche se poi, spesso, molto più che di Croce, dovrebbe farsi il nome del De Sanctis o del Labriola, o perfino, in sede di critica letteraria, di Renato Serra, che crociano senza dubbio non era, ma che Gramsci, in quella commossa pagina in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce (7). Tanto riuscì a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comu ne rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo.
D'altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l'aspetto o l'influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l'uso, bisognerà tener presente l'avvertenza
(7) « Il grid[...]

[...]lla commossa pagina in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce (7). Tanto riuscì a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comu ne rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo.
D'altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l'aspetto o l'influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l'uso, bisognerà tener presente l'avvertenza
(7) « Il grido del popolo » di Torino, 20111915: « il Serra ha dato una lezione di umanità: in ciò egli ha veramente continuato Francesco De Sanctis, il più grande critico che l'Europa abbia avuto... Ora non possiamo aspettarci più nulla da Renato Serra. La guerra l'ha maciullato, la guerra della quale aveva scritto con parole così pure, con concetti cosí ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui: era l'uomo nuovo dei nostri tempi, c[...]

[...]ure, con concetti cosí ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui: era l'uomo nuovo dei nostri tempi, che tanto ancora avrebbe potuto dirci ed insegnarci, Ma la sua luce s'è spenta e noi non vediamo ancora chi per noi potrà sostituirla... » Ne La Città Futura (Numero unico, Torino 11 febbraio 1917), ove pure riporta un lungo testo di Salvemini sul concetto di cultura, nel riprodurre anche un testo di Croce Gramsci lo chiama « il più grande pensatore d'Europa in questo momento ». E più oltre (Margini, 6), a proposito del « socialismo scientifico » di Claudio Treves, rimanda al « positivismo filosofico u (a questa concezione non era scientifica, era solo meccanica, aridamente meccanica... ne è rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico... un balocco di fatalismo positivista »).
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sua, essere « il ritmo del pensiero in sviluppo più importante delle singole affermazioni casuali ».
Al qual proposito é forse opportuna, in margine agli avvertimenti metodologici [...]

[...]ca... ne è rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico... un balocco di fatalismo positivista »).
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sua, essere « il ritmo del pensiero in sviluppo più importante delle singole affermazioni casuali ».
Al qual proposito é forse opportuna, in margine agli avvertimenti metodologici prima sottolineati, ancora qualche postilla sulla questione più volte dibattuta della frammentarietà dei ' quaderni'. Che Gramsci si rendesse conto del pericolo insito in essa, risulta chiaro. Come é altrettanto evidente che non gli sfuggivano le insidie dell'isolamento del carcere che, se poteva rendere in certo modo « essenziale » la sua riflessione, rischiava anche di impoverirla. « La prigione — scrive nel '32 a proposito di un saggio su Carlo Bini — é una lima così sottile, che distrugge completamente il pensiero, oppure fa come quel maestro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco d'olivo stagionato per fare una statua di San Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, fini col ricava[...]

[...]ome quel maestro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco d'olivo stagionato per fare una statua di San Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, fini col ricavarne un manico di lesina ». Sono righe di una consapevolezza crudele, che vien fatto di mettere a fronte al programma di lavoro tracciato così organicamente, e con si ampio respiro, nella ben nota lettera del 18 marzo 1927. Dell'inattuabilità di quel piano Gramsci si accorse subito: e non
tanto per gli ostacoli materiali mancanza di libri, impossi
bilità di compiere indagini preliminari — ma soprattutto per la condizione ' mentale' in cui era costretto (« mi é molto difficile abbandonarmi completamente ad un argomento o ad una materia e sprofondarmi in essa,... come si fa quando si studia sul serio ») (8). E tuttavia nella frammentarietà dei quaderni non si traduce solo quella disperata volontà di operare che faceva suo il motto della saggezza Zulù: « meglio avanzare e morire, che fermarsi e morire ». Se nelle notazioni epigrammatiche si esprime la[...]

[...]are — da dovunque si cominci a operare, le difficoltà appaiono subito gravi perché non si era mai pensato concretamente a esse; e siccome occorre sempre cominciare da piccole cose (per lo piú le grandi cose non sono che un insieme di piccole cose) la ' piccola cosa' viene a sdegno; é meglio continuare a sognare, e rimandare l'azione al momento della ' grande cosa'» (10).
L'esigenza del concreto contro ogni residuo ' aroma speculativo ' portò Gramsci a insistere sui metodi della ` filologia ', sul determinatissimo ` certo' (11). Scrive a Berti, nel '27, contro « le
(9) M.S. 131. Cfr. p. 179: « dissoluzione [in Croce] del concetto di ' sistema ' chiuso e definito e quindi pedantesco e astruso in filosofia: affermazione che la filosofia deve risolvere i problemi che il processo storico nel suo svolgimento presenta volta a volta. La sistematicità è ricercata non in una esterna struttura architettonica ma nell'intima coerenza . e feconda comprensibilità di ogni soluzione particolare. Il pensiero filosofico non è concepito quindi come uno svolgimento — da pensiero altro pensiero — ma pensiero della realtà storica etc. ».
(10) P. 7.
(11) M.S. 191: a la filosofia del[...]

[...]n filosofia: affermazione che la filosofia deve risolvere i problemi che il processo storico nel suo svolgimento presenta volta a volta. La sistematicità è ricercata non in una esterna struttura architettonica ma nell'intima coerenza . e feconda comprensibilità di ogni soluzione particolare. Il pensiero filosofico non è concepito quindi come uno svolgimento — da pensiero altro pensiero — ma pensiero della realtà storica etc. ».
(10) P. 7.
(11) M.S. 191: a la filosofia della prassi deriva certamente dalla concezione immanentistica della realtà, ma da essa in quanto depurata da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia o storicità o a puro umanesimo. Se il concetto di struttura viene concepito 'speculativamente', certo esso diventa un 'dio ascoso'; ma appunto esso non deve essere concepito speculativamente, ma storicamnte, come l'insieme dei rapporti sociali in cui gli uomini reali si muovono e operano, come un insieme di condizioni oggettive che possono e debbono essere studiate coi metodi della ' filologia' e non della ' speculazio[...]

[...] ' filologia' e non della ' speculazione '. Come un ' certo ' che sarà anche ' vero ', ma che deve essere studiato prima di tutto nella sua ' certezza ' per essere studiato come ' verità '.
Non solo la filosofia della prassi è connessa all'immanentismo, ma anche alla concezione soggettiva della realtà, in quanto appunto la capovolge, spiegandola come fatto storico, come ' soggettività storica di un gruppo sociale ', come fatto reale, che si
ORAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 161
idee geniali »: « penso che la genialità debba essere mandata nel ' fosso ' e debba invece essere applicato il metodo delle esperienze più minuziose » (12). E la ricerca, minuziosa insieme e duttile, la notazione precisa, venne a trovare un modo espressivo congeniale nella breve nota, nell'appunto rapido, che tuttavia rimanda di continuo a una fondamentale unità d'orientamento. Ove non si vuol già negare la presenza, nei quaderni, di non pochi testi ancora informi; si vuol rifiutare la tesi sostenuta dal Croce nel '48 che i quaderni costituiscano solo una congeri[...]

[...]senza, nei quaderni, di non pochi testi ancora informi; si vuol rifiutare la tesi sostenuta dal Croce nel '48 che i quaderni costituiscano solo una congerie « di pensieri abbozzati o tentati, di interrogazioni a se stesso, di congetture e sospetti spesso infondati », comunque privi sempre di « quel pensiero sintetico che scevera, fonde, integra in un tutto » (13).
Non diverso discorso dovrà farsi, del resto, a proposito delle altre opere del Gramsci: le lettere, e, innanzitutto, gli articoli del periodo anteriore all'arresto. Di essi è noto il giudizio che l'autore dette nel settembre del 1931: pagine « scritte alla giornata » e, come tali, destinate a « morire dopo la giornata » (14). In realtà, di nuovo, la forma espressiva è solidale con un modo d'intendere la funzione dello scritto, anzi del pensiero, della riflessione; e, se si vuole usare il termine grave, della filosofia. In una delle sue osservazioni più acute Gramsci cercherà di chiarire il senso di una conversione 'non speculativa' della filosofia nella storia: ed è un testo [...]

[...]li articoli del periodo anteriore all'arresto. Di essi è noto il giudizio che l'autore dette nel settembre del 1931: pagine « scritte alla giornata » e, come tali, destinate a « morire dopo la giornata » (14). In realtà, di nuovo, la forma espressiva è solidale con un modo d'intendere la funzione dello scritto, anzi del pensiero, della riflessione; e, se si vuole usare il termine grave, della filosofia. In una delle sue osservazioni più acute Gramsci cercherà di chiarire il senso di una conversione 'non speculativa' della filosofia nella storia: ed è un testo da tener presente per intendere anche la vicinanza e la lontananza della concezione gramsciana da identificazioni apparentemente analoghe proposte in sede idealistica: l'identità fi
presenta come fenomeno di 'speculazione' filosofica ed é semplicemente un atto pratico, la forma di un contenuto concreto sociale e il modo di condurre l'insieme della società a foggiarsi una unità morale. L'affermazione che si tratti di ' apparenza', non ha nessun significato trascendente o metafisico, ma é la semplice affermazione della sua ' storicità ', del suo essere ' mortevita ', del suo rendersi caduca perché una nuova coscienza sociale e morale si sta sviluppando, più comprensiva, superiore, [...]

[...] ' in confronto del passato morto e duro a morire nello stesso tempo. La filosofia della prassi é la concezione storicistica della'realtà, che si é liberata da ogni residuo di trascendenza e di teologia anche nella loro ultima incarnazione speculativa; lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa s.
(12) L. 41.
(13) « Quaderni della Critica », 10, 1948, pp. 789.
(14) L. 137 (sulla ' frammentarietà', pref. a M.S., XIXXX).
162 EUGENIO GARIN
losofiastoria « porta alla conseguenza che occorre negare la ' filosofia assoluta' o astratta e speculativa, cioè la filosofia che nasce dalla precedente filosofia e ne eredita i ' problemi supremi ' cosidetti, o anche solo il ' problema filosofico ', che diventa pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia. La precedenza passa.., alla storia reale dei rapporti sociali, dai quali quindi... sorgono (o sono presentati) i problemi che il filosofo si propone ed elabora. Se la filosofia è storia della filosofia,[...]

[...]osofia è ' storia', se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali in cui gli uomini vivono), e non già perché a un grande filosofo succede un più grande filosofo e così via, è chiaro che lavorando praticamente a fare storia si fa anche filosofia... » (15').
Commentare questo testo fino in fondo, seguirne la genesi e discuterne il senso, porterebbe ad un'analisi completa del pensiero di Gramsci, che a me non compete: sarebbe necessario infatti seguire il maturare della sua riflessione attraverso la lotta politica, che lo portò a leggere, o a rileggere con occhi resi diversi da eventi decisivi, le pagine medesime di Marx (16). Ma in tale prospettiva, e nel modo d'intendere il filosofo « individuale », andrà ricollocata tutta la sua impostazione delle vicende degli intellettuali italiani: tutta la sua storia della filosofia, della cultura; anzi, a un certo punto, tutta la storia italiana cercata nel concreto degli individui pensanti e operanti, pensanti in quanto operanti, e capaci [...]

[...]ndrà ricollocata tutta la sua impostazione delle vicende degli intellettuali italiani: tutta la sua storia della filosofia, della cultura; anzi, a un certo punto, tutta la storia italiana cercata nel concreto degli individui pensanti e operanti, pensanti in quanto operanti, e capaci di rendersi conto, e di rendere conto in precise proposizioni teoriche volte a suscitare nuove azioni.
Comunque a qualche conclusione preliminare sembra possi
(15) M.S. 2334
(16) Sono da rileggere gli articoli del '18, quali La critica critica (a Il grido del popolo », 12 gennaio 1918): « La nuova generazione pare voglia ritornare alla genuina dottrina di Marx, per la quale l'uomo e la realtà, lo strumento di lavoro e la volontà non sono dissaldati, ma si identificano nell'atto storico. Credono pertanto che i canoni del materialismo storico valgano solo post factum, per studiare e compren' dere gli avvenimenti del passato, e non debbano diventare ipoteca sul presente e sul futuro... »; o Il nostro Marx (4 maggio 1918: a non è un mistico né un metafisico pos[...]

[...]dissaldati, ma si identificano nell'atto storico. Credono pertanto che i canoni del materialismo storico valgano solo post factum, per studiare e compren' dere gli avvenimenti del passato, e non debbano diventare ipoteca sul presente e sul futuro... »; o Il nostro Marx (4 maggio 1918: a non è un mistico né un metafisico positivista; è uno storico... »). Poi vennero altre letture di Marx, letture di Lenin, e, soprattutto, esperienze decisive.
GRAMS CI NELLA CULTURA ITALIANA 163
bile giungere circa il linguaggio gramsciano: e respinta la tesi degli ' inconditi abbozzi', degli articoli di giornale occasionali, e delle lettere edificanti, sarà da considerarsi con cautela anche il concetto di una frammentarietà dovuta a una situazione anormale di lavoro — concetto in cui rischia di insinuarsi l'idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l'elaborazione del periodo dal '27 in poi e l'attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a quello dell'azione: opera di storico succeduta a quella[...]

[...] situazione anormale di lavoro — concetto in cui rischia di insinuarsi l'idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l'elaborazione del periodo dal '27 in poi e l'attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a quello dell'azione: opera di storico succeduta a quella del politico. Senza dubbio uno sviluppo nel pensiero gramsciano è innegabile — nessuno potrebbe porre mai sullo stesso piano l'articolo del « Grido del Popolo » in morte di Renato Serra e i testi dei quaderni su Croce., Ma si tratta di una chiara linea di approfondimento, non della verifica di una dialettica di tipo crociano fra un pensiero e un'azione fra loro `distinti'. La saldatura di teoria e pratica, di pensiero e azione, fu anzi in Gramsci, a un certo momenta, così `realmente' raggiunta che, come i suoi più energici articoli di « Ordine Nuovo » mettono efficacemente e criticamente a fuoco le questioni del momento in cui operano, così, quanto più profondo sembra farsi il suo ironico distacco (17), tanto più aderente si rivela il suo pensiero al moto delle cose, più pertinenti le osservazioni, più legate alle vicende effettuali: unitarie nell'ispirazione, puntualizzate nello scarno linguaggio di una nota. Così fu costantemente partecipe al dibatttito culturale anche nel momento della sua segregazione e lo segui fin negli aspett[...]

[...]segregazione e lo segui fin negli aspetti marginali, in un dialogo serrato con l'altra posizione allora effettivamente significativa da noi: con l'interpretazione della storia d'Italia elaborata sotto la spinta dello storicismo crociano. Al qual proposito, forse, non giova molto chiedersi se per avventura altre voci, soffocate dalla cosidetta rinascita idealistica, fossero più importanti, e meritassero maggiore attenzione e più equo giudizio. Gramsci non intendeva fare opera di ricercatore erudito: la sua concezione del pensatore e dello storico lo impegnava in una
(17) L. 58.
164 EUGENIO GARIN
situazione concreta, a scelte reali. E se, oggi, noi possiamo spesso considerare con occhio distaccato non poche impostazioni e valutazioni che ancor ieri sembravano dominanti; se, a un certo punto, anche i famosi ` conti con Croce ' si possono supporre un capitolo chiuso della storia della nostra cultura — ma non so, per ora, quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all'esaurimento dall'interno di t[...]

[...] E se, oggi, noi possiamo spesso considerare con occhio distaccato non poche impostazioni e valutazioni che ancor ieri sembravano dominanti; se, a un certo punto, anche i famosi ` conti con Croce ' si possono supporre un capitolo chiuso della storia della nostra cultura — ma non so, per ora, quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all'esaurimento dall'interno di tante tesi ha dato proprio l'analisi gramsciana, la quale, sottolineando con singolare energia la solidarietà di certi ideali e di certe visioni con una situazione, ha aperto la strada ad altre scelte e ad altre possibilità. E come sul terreno dottrinale a un certo Hegel, à un certo Marx, a un certo Labriola e, magari, a un certo Machiavelli, oppose un'altra possibilità interpretativa, cosí a un'altra storia d'Italia volle saldare un'altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un'Italia [...]

[...]ffrontò l'unica posizione veramente operante in Italia (e non a caso era tale), veramente potente, e con essa si impegnò: ne prese talora il linguaggio, vide l'ambito della sua validità, non ne sottovalutò né l'importanza, né la forza, né le conquiste reali. Oggi può sembrare che sulla linea RomagnosiCattaneo ci fosse una forza teorica più robusta: e può darsi (18); ma in un'Ita
(18) Gobetti, nel '24, indicava fra a i maestri più diretti del Gramsci » Salvemini, del Cattaneo grande ammiratore (editore, nel '22, presso il Treves, di una antologia molto significativa). Che, per vie mediate, il a positivo » di Carlo Cattaneo
(per usare la distinzione del Labriola fra a positivo e a positivistico ») passasse in
Gramsci, è comprensibile. Ma una meditazione approfondita non risulta; il nome di Cattaneo (a giacobino con troppe chimere in testa », come lo chiama in una lettera nel '31) compare nei volumi delle opere una diecina di volte circa, e sempre
II
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 165
lia non a caso culturalmente crociana e gentiliana, che aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall'intrinseco » certe posizioni — ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola: ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò [...]

[...]di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che é vivo da ciò che é morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.
La rottura con una certa tradizione e la lotta per un'altra Italia, si configurano così — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella stessa storia d'Italia: rappresentano la vittoria di forze vitali, di possibilità positive contra soluzioni esaurite: e sono, perciò spesso, non più parziali, ma veramente rispondenti all'aspirazione di tutta l'Italia, di tutta la sua storia, di tutto il suo popolo. Come non ricordare l'articolo pubblicato nel '19 sull'Ordine Nuovo, a proposito dei rivoluzionari russi (19): « hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la... vita più intima [del popolo], la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda... Hanno rotto col passa[...]

[...]olo che « il nuovo stato era il suo stato, la sua vita, il suo spirito, la sua tradizione ». La rivoluzione non va mai contro il moto storico: é il punto in cui il processo rompe gli argini che lo volevano chiudere — in cui gli istituti già elaborati come strumenti si irrigidiscono in barriere: é ve
in riferimenti generici, che, come nel caso de La città, mostrano un desiderio di letture piuttosto che letture già fatte. Certo, acuto com'era, Gramsci si rese ben conto che anche in posizioni legate al « positivismo » non mancavano temi fecondi (basterebbero i richiami a Vailati, l'accenno alla teoria della «previsione» in Limentani ecc.). Ma la sua battaglia era altrove.
(19) O.N. 7 (7 giugno 1919).
166 EUGENIO GA1tIN
ramente, per usare ancora un'espressione gramsciana, « la protesta del divenire storico contro ogni irrigidimento e ogni impaludamento del dinamismo sociale ». E prosegue: « la critica marxista all'economia liberale é la critica del concetto di perpetuità degli istituti economici e politici; é la riduzione a storicità e contingenza di ogni fatto, é una lezione di realismo agli astrattisti pseudoscienziati ».
Non é facile staccarsi da questi testi gramsciani, così limpidi e precisi, sul processo storico come effettiva conquista di libertà, contro ogni mistificazione del socialismo, contro ogni esperantismo pseudomarxista che non tenga conto della vita reale di un popolo (20). Tutti gli articoli del '19 andrebbero sottolineati con quelle loro dichiarazioni nettissime: « l'esperienza liberale non é vana, e non può essere superata se non dopo averla fatta »; « la creazione dello stato proletario non é... un atto tumaturgico: é... un farsi, é un processo di sviluppo ». L'urto contro le cristallizzazioni in nome del processo di liberazione umana [...]

[...] atto tumaturgico: é... un farsi, é un processo di sviluppo ». L'urto contro le cristallizzazioni in nome del processo di liberazione umana produce, é vero, una scissione, che é di tutti: gruppi contro gruppi, l'uomo contro se stesso; ma « lo scisma del genere umano non può durare a lungo. L'umanità tende all'unificazione interiore ed esteriore, tende ad organarsi in un sistema di convivenza pacifica che permetta la ricostruzione del mondo ». Gramsci combatte senza posa per un marxismo che sia davvero, com'egli dice, umanismo integrale: e proprio per questo non esita a ribellarsi contro ogni economismo e ogni determinismo assoluto: « La pretesa — ribadisce — presentata come postulato essenziale del materialismo storico, di esporre ogni fluttuazione della politica e dell'ideologia come un'espressione immediata della struttura, deve
(20) O.N. 45, 9, 15 18. A proposito dell' esperantismo é interessante l'articolo La lingua unica e l'esperanto, « Il grido del popolo m, 16 febbraio 1918 (con le iniziali A. G.): «Quale atteggiamento devono p[...]

[...]giamento devono prendere i socialisti in confronto dei banditori di lingue uniche...?... combattere quelli che vorrebbero che il partito si faccia sostenitore e propagatore dell'Esperanto a. E prosegue: « non c'é nella storia, nella vita sociale, niente di fisso, di irrigidito, di definitivo. E non ci sarà mai. Nuove verità accrescono il patrimonio della sapienza, nuovi bisogni, nuove curiosità intellettuali e morali pungono lo spirito... a.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 167
essere combattuta teoricamente come infantilismo primitivo ». E in un testo dell'Ordine Nuovo aveva ben precisato cosa fosse il suo umanesimo integrale: «studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali, le studia nelle interferenze reciproche, nella dialettica ' che si sprigiona dai cozzi inevitabili tra la classe capitalista, essenzialmente economica, e la classe proletaria, essenzialmente spirituale, tra la conservazione e la rivoluzione. La demagogia, l'illusione, la menzogna, la corruzione della società capitalistica non sono accidenti[...]

[...]nfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma morale; per guadagnare centomila lire si affama una città; per guadagnare un miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di ricchezza. La vita degli uomini, le conquiste della civiltà, il presente, l'avvenire sono in continuo pericolo ».
Economismo, determinismo cieco e meccanico, astrattismo teologizzante — ecco le accuse che l'umanismo di Gramsci rivolge nel '19, con vigore di argomenti, dalle colonne dell'edizione piemontese dell'Avanti!, a Einaudi (21). L'economia « studia i ' fatti' e trascura gli ' uomini'; i processi storici sono visti come regolati da leggi perpetuamente simili, immanenti alla realtà dell'economia che é concepita avulsa dal processo storico generale ». Il meccanismo economico si pone come autonomo: «può venir ' urtato' dagli uomini, ma non ne é determinato e vivificato »; é « uno schema, un piano prestabilito, una via della provvidenza, una utopia astratta e materialistica, che non ha mai avuto e non avrà mai [...]

[...]tica, che non ha mai avuto e non avrà mai incastro nella realtà storica ». Gli economi
(21) O.N. 2325.
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sti di tipo einaudiano «hanno tutta la mentalità dei sacerdoti; sono queruli e scontenti sempre, perché le forze del male impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso. mondo ».
Nell'idea di una ' natura' umana si cela «un residuo ' teologico ' e ' metafisico' ». « La natura dell'uomo — insiste Gramsci — é la 'storia'... se... si dà a storia il significato di 'divenire ', di una ' concordia discors ' che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile; perciò la ' natura umana' non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del ' genere' umano » (22). Ove, ancora, quella ' storia del genere umano' lungi dall'essere « pura dialettica concettuale » é storia di uomini reali in rapporti reali, in cui i processi che modificano le situazioni e la coscienza che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge così... all'... equ[...]

[...]che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge così... all'... equazione fra filosofia e politica', fra pensiero e azione, cioè a una filosofia della prassi... La sola filosofia é la storia in in atto » (23) — la storia che « riguarda gli uomini viventi... tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliorano se stessi » (24).
Proprio per questo la politica di Gramsci doveva saldarsi indissolubilmente con una visione storica, anzi con una revisione della storia di quel popolo a cui apparteneva e tra cui operava. « Scoprire e inventare modi di vita originali » — com'egli dice — non si può se non rispondendo concretamente e positivamente a
(22) M.S. 312.
(23) Seguita: e in questo senso si può interpretare la tesi del proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca — e si può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da Lenin è stata anche un grande avvenimento ' metafisico ' D. E ancora (M.S. 32): a nella storia l'uguaglianza ' reale, cioè il grado di spiritualità' raggiunto dal processo storico della ' natura umana ', sì identifica nel sistema di associazioni ' private e pubbliche ', ' esplicite ed implicite ' che si annodano nello ' Stato' e nel sistema mondiale politico: si tratta di ' uguaglianze' sentite come tali fra i membri di un'associazione e di ' diseguaglianze ' sentite tra le diverse associazioni; uguaglianze e diseguaglianze che valgono in quanto se ne abbia coscienza individualmente e come gruppo a. A proposito di Lenin, è interessante il testo di Croce, Pagine spar[...]

[...]pubbliche ', ' esplicite ed implicite ' che si annodano nello ' Stato' e nel sistema mondiale politico: si tratta di ' uguaglianze' sentite come tali fra i membri di un'associazione e di ' diseguaglianze ' sentite tra le diverse associazioni; uguaglianze e diseguaglianze che valgono in quanto se ne abbia coscienza individualmente e come gruppo a. A proposito di Lenin, è interessante il testo di Croce, Pagine sparse, II, p. 177.
(24) L. 255.
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domande reali, essenziali, maturate nella storia d'Italia, individuandole in una comprensione dei rapporti fra le sue molteplici componenti, e non isolandone alcune, a mutilandole per difendere interessi di parte ». E basterà rileggere gli articoli pubblicati sull'Avanti! nel novembre del '19, e riflettere sul sì detto a Cavour, e sul no detto a Giolitti, per comprendere, non solo la maturità della visione gramsciana della storia d'Italia, ma anche la sua vibrante condanna dell'esperantismo e la sua insistenza sulle « traduzioni » nazionali dei grandi moti della storia (25). Il ricorrente richiamo a Kant che decapita Dio, mentre Robespierre decapita il re, non vuole indicare soltanto il rapporto fra una « tranquilla teoria » che cambia le « idee », e una rivoluzione che muta la società: vuol richiamare al problema della traduzione varia in linguaggi nazionali di posizioni dottrinali « equivalenti ». La gramsciana filosofia della prassi, se respinge ogni mistificazione speculativa, rifiuta ogni espera[...]

[...]condanna dell'esperantismo e la sua insistenza sulle « traduzioni » nazionali dei grandi moti della storia (25). Il ricorrente richiamo a Kant che decapita Dio, mentre Robespierre decapita il re, non vuole indicare soltanto il rapporto fra una « tranquilla teoria » che cambia le « idee », e una rivoluzione che muta la società: vuol richiamare al problema della traduzione varia in linguaggi nazionali di posizioni dottrinali « equivalenti ». La gramsciana filosofia della prassi, se respinge ogni mistificazione speculativa, rifiuta ogni esperantismo; traduce il marxismo in italiano, ossia intende rispondere alle richieste maturate lungo la storia italiana in modo ad esse appropriato (26). Non è, insomma, un formulario di risposte prefabbricate, ma un modo di individuare le domande, e un metodo per rispondervi realmente, non evasivamente.
Né Gramsci poneva limite alcuno alla storicità della filosofia della prassi: nata quale « manifestazione delle intime contraddizioni da cui la società é stata lacerata... non può evadere dall'attuale terreno delle contraddizioni »: anch'essa ' provvisoria ' in nome della « storicità di ogni concezione del mondo e della vita ». E « si può persino giungere ad affermare che, mentre tutto il sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un modo unificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero diventa[...]

[...]i concezione del mondo e della vita ». E « si può persino giungere ad affermare che, mentre tutto il sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un modo unificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero diventare ' verità ' » (27). Avviene, é vero, che « la stessa filosofia della prassi tenda a diventare una ideologia »;
(25) O.N. 299301; M.S. 6162.
(26) M.S. 61, 63 sgg., 67.
(27) M.S. 96.
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tenda, anch'essa, a concedere « a necesità esteriori e pedantesche di architettura del sistema » e ad « idiosincrasie individuali »; tenda insomma a farsi « astorica ». Lo sforzo costante di Gramsci é stato quello appunto di opporsi a qualsiasi trasformazione della filosofia della prasi in una metafisica o teologia, per svolgerne « uno ' storirismo' assoluto », inteso come « mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero », come un «umanismo assoluto della storia ».
Per questo l'attività critica, la sola possibile, é impiegata costantemente a risolvere «i problemi che si presentano come espressione dello svolgimento storico »; e poiché « l'unità della storia, ciò che gl'idealisti chiamano unità dello spirito, non é un presupposto ma un continuo farsi progressivo », l'indagine sto[...]

[...]. tutto quello che si vuole manipolando le prospettive e l'ordine delle grandezze e dei valori » (e attraverso l'immorale « sollecitazione dei testi »); se é vero che la tradizione italiana presenta filoni molteplici é pur vero che sarà atteggiamento storicamente serio e particolarmente costruttivo solo quello che più elevato avrà il senso della molteplicità e della distinzione. « Si condanna in blocco il passato quando non si riesce a diffe
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renziarsene o almeno le differenziazioni sono di carattere secondario e si esauriscono quindi nell'entusiasmo declamatorio » (28).
Costretto a trasferire la propria attività su un piano diverso, nei quaderni Gramsci tende soprattutto a una storia della tradizione culturale italiana vista nel concreto della vita dei gruppi intellettuali allo scopo di definire una ' concezione del mondo'. « La fondazione di una classe dirigente — egli scrive — (e cioè di uno stato) equivale alla creazione di una Weltanschauung », che, d'altra parte, non è solo «elaborazione ' individuale' di concetti sistematicamente coerenti, ma inoltre e specialmente... lotta culturale per 'trasformare' la 'mentalità popolare' e diffondere le innovazioni filosofiche che si dimostreranno ' storicamente vere' nella misura in cui diventer[...]

[...]zione della filosofia della prassi fa corpo con una storia d'Italia, dei suoi gruppi intellettuali, non isolati nelle loro idee o nei loro scritti, ma visti in rapporto con le forze reali operanti, e con quei popolani la cui voce solo di rado sembra affiorare o essere ascoltata e conservata, ma che pure hanno espresso lungo i secoli artisti e contadini, artigiani, e ciompi, e soldati. Non è difficile « schedare » il materiale dei « quaderni » gramsciani lungo queste linee, e ordinarlo per argomenti ad esse riconducibili. D'altra parte questa « storia » doveva sempre le
(28) P. 34, 63, 131.
(29) M.S. 21 sgg., 25, 75 sgg. (per la distinzione forze materialiideologiecontenuto forma, distinzione « meramente didascalica », cfr. M.S., 49).
172 EUGENIO GARIN
garsi criticamente alle « altre storie »: a quelle più valide per intima solidità, esprimenti efficacemente forze e temi di rilievo; così come a quelle dominanti e trionfanti sul piano politico italiano. Uno dei segni del carattere non velleitario della critica gramsciana dei « quaderni » sta proprio nel suo rapporto costante con Croce da un lato, e con le più vistose e rilevanti manifestazioni delle correnti cattoliche e idealistiche dall'altro.
Il fatto che così spesso l'opera di Gramsci si faccia dialogo serrato con Croce, il fatto che le impostazioni discusse, elaborate o respinte si leghino alla situazione culturale creata dal Croce, è segno di forza e di attualità di un pensiero che non lavorava alteri saeculo, ma per questo secolo. L'altro secolo che poi giudica, che indica limiti e ingiusti giudizi, probabilmente non sarebbe mai nato così acuto senza quelle discussioni. La caducità di certi giudizi non é che l'altra faccia della loro storicità: e, mentre l'impegnarsi nel tempo é il segno della responsabilità di un dibattito, il discorso polemico col discorso più effic[...]

[...] così acuto senza quelle discussioni. La caducità di certi giudizi non é che l'altra faccia della loro storicità: e, mentre l'impegnarsi nel tempo é il segno della responsabilità di un dibattito, il discorso polemico col discorso più efficace, a cui perciò stesso si lega, é anche il lavoro storicamente più costruttivo — il solo veramente costruttivo.
Sarebbe ben difficile negare oggi, nello spostarsi di una discussione, che certe valutazioni gramsciane dì importanti movimenti sono particolarmente insufficienti o almeno discutibili: basterebbe pensare all'atteggiamento di fronte al positivismo, e, per altro verso, all'apprezzamento del modernismo. Nel primo caso, anche se probabilmente converrebbe andar molto cauti, _per non incorrere in frettolose revisioni, e tener distinte cose distinte, e rendersi ragione di pur sempre validi temi polemici (e andare magari a rileggersi il Marx di Loria, del 1902) (30), é certo che
(30) Cfr. A. Loxln, Marx e la sua dottrina, Palermo, Sandron, 1902, p. 64 (da un art. del 1 aprile 1883): a Carlo Marx.[...]

[...]ta. Studioso della filosofia hegeliana, ei tentò ringiovanirla, associandola all'indagine delle scienze storiche e giuridiche; e più tardi, quando il nuovo indirizzo della scienza ebbe vasto trionfo, egli si immerse nell'investigazione realistica, studiò la vita sociale, e tentò di innestare nel tronco delle sue teorie filosofiche le immense nozioni positive, che aveva acquisite. Ma l'antico indirizzo del suo pensiero e de' suoi studi non fu
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Gramsci risenti di tutto quel moto culturale che caratterizzò i primi due decenni del secolo, e in cui la « Critica» ebbe tanta parte. Cosi come, viceversa, negli accenni all'importanza dei ' modernisti' italiani, a guardar da vicino, c'é da chiedersi quanta pesasse — questa volta — la polemica antigentiliana. Né, per fare un altro esempio, par sostenibile il peso specifico attribuito una volta al movimento vociano, rilevante soprattutto come espressione paradigmatica di una singolare confusione di idee. Il discorso potrebbe continuare, ma per esser davvero utile dovrebbe estendersi — e questo non [...]

[...]iana. Né, per fare un altro esempio, par sostenibile il peso specifico attribuito una volta al movimento vociano, rilevante soprattutto come espressione paradigmatica di una singolare confusione di idee. Il discorso potrebbe continuare, ma per esser davvero utile dovrebbe estendersi — e questo non é possibile qui ora — a tutta la rete, fittisima, di rapporti e dibattiti che travagliarono la cultura italiana del primo Novecento, ove la voce di Gramsci — come, per altro verso, quella di Gobetti (e, prima ancora, di Salvemini) — inserirono, proprio sulle linée più avanzate, una nota originale, che appare oggi, nell'esaurirsi di altri temi, singolarmente stimolante. Ed é proprio in questi toni che più giova afferrare il significato della meditazione gramsciana.
«L'Italia — osserva Gramsci — ebbe e conservò... una tradizione culturale che non risale all'antichità classica, ma al periodo dal Trecento al Seicento, e che fu ricollegata all'età classica dall'Umanesimo e dal Rinascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogico politico (31). Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei
cancellato. Malgrado la sua cognizione meravigliosa della vita reale, ci rimase un metafisico in mezzo a una generazione di positivisti, vagheggiando la determinazione dell'Idea fra genti che non ne comprendevano il nome ». Presso lo stesso editore, nella x Biblioteca di scienze sociali e politiche », n. 32, nel 1900, Croce aveva riunito i suoi a saggi critici » su Materialismo s[...]

[...]originalità (32). Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodi e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve «importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno é già riuscita a elaborare le sue questioni e le soluzioni relative in modo già molto chiaro e approfondito ». D'altra parte a valutare esattamente le riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe necessario un lavoro preliminare — che manca — in cui avesse risalto quello che il tema Machiavelli fu in Italia fra la prima guerra mondiale e il fascismo. Impegnarsi su Machiavelli non era analizzare un momento qualsiasi della cultura italiana: significava prendere posizione su tutte le questioni fondamentali della storia e della politica italiana. E forse non é senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul «machiavellismo »), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l'abbia scritto mai; ov'è, in certo mod[...]

[...]non é senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul «machiavellismo »), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l'abbia scritto mai; ov'è, in certo modo, la verifica della tesi gram sciana dell'erasmismo di Croce — anche se é da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l'ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po' convenzionale) (33).
Gramsci sa che Machiavelli é esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che « lo stesso
(32) Cfr. L. 144 (a quando vidi il Cosmo, l'ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il Machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »).
(33) Le due e figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la 'passione' di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza[...]

[...]sa che Machiavelli é esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che « lo stesso
(32) Cfr. L. 144 (a quando vidi il Cosmo, l'ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il Machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »).
(33) Le due e figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la 'passione' di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l'Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla ' politica' del M. intorno al '25, e subito dopo (dr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: a è risaputo che il M. scopre la necessità e l'autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all'indagine d[...]

[...]dopo (dr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: a è risaputo che il M. scopre la necessità e l'autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all'indagine della realtà »).
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richiamo a Roma é meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima dell'Umanesimo e del Rinascimento ». Da altra parte, mentre é fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un'ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Del la Casa — dei tratti che li avvicinano a Machiav[...]

[...]sigenze immediate contenute nel Principe... La dottrina di Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente ' libresca', un monopolio di pensatori isolati, un libro segreto che circola fra iniziati. Lo stile del Machiavelli non é quello di un trattatista sistematico... é stile di uomo d'azione, di chi vuole spingere all'azione, é stile di 'manifesto' di partito » (35), Manifesto e profezia: dover essere che si fa costruttivo dell'essere. Gramsci a proposito di Machiavelli pone due rapporti illuminanti: con Savonarola e con Rousseau.
« L'opposizione SavonarolaMachiavelli, scrive, non é l'opposizione tra essere e dover essere... ma tra due dover essere, quello astratto... del Savonarola, e quello realistico del Machiavelli, realistico anche se non diventato realtà », perché Machiavelli non fu capo di uno stato, né capitano di un esercito: ma si « uomo di parte, di passioni poderose, un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non pub non occuparsi del dover essere ». Machiavelli non é mai «un mero scienziat[...]

[...] «si fa
(34) Mach. 6, 9, 141; P. 34; 1. 345.
(35) Mach. 9, 13, 15.
y
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popolo; [e] non con un popolo genericameìite inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso (36). Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l'idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell'autonomia della politica, e scopritore dell'economico. ' Morale ' é il principato, ' morale ' é la repubblica. « Il Principe prende il posto, nella coscienza, della divinità o dell'imperativo categorico, diventa la base del laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita » — per la res publica si «perde l'anima »; alla volontà generale si sacrifica tutto (37). Tragica nel momento dell'autoritàprincipato: armonica in quello del consensorepubblica, la situazione umana, la natura umana[...]

[...]tico (con le sue contraddizioni). La formula kantiana sembra superiore perché gl'intellettuali la riempiono del loro particolare modo di vivere e di operare... » (38). Nella « staticità » formale kantiana, opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica; nella dialettica PrincipeDiscorsi; nella figura MachiavelliRousseau; in Machiavelli rivoluzionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula
(36) Mach. 10, 40.
(37) Mach. 147 (e 117).
(38) P. 202.
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crociana di Marx « Machiavelli del proletariato » in un MachiavelliMarx del « popolo » fiorentino e italiano del '500. Con la proclamata « moralità » del Principe si rifiutava così la « distinzione » di tipo crociano come l'idea teologale ad essa congiunta di una « natura » umana, per risolvere con forza ogni « forma » trascendentale nella società umana pacificata: e questo nel punto stesso in cui il dover essere della res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un'intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di [...]

[...]res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un'intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizia, si sacrifica — paradossalmente — anche l'anima: che è una forma di ascesi che invano si cercherebbe nella tradizione italiana, non solo fra le anime belle e le anime pie, o fra i molti salvatori di anime proprie ed altrui, ma anche fra i più rigorosi e seri moralisti.
Quanto di se stesso Gramsci prestasse a questo Machiavelli, non è difficile vedere: saldato, non a un qualunque popolo, ma al suo popolo, non a qualunque cultura, ma alla cultura italiana del suo tempo; intellettuale non velleitario, ma uomo di passione che dei suoi scritti fa un manifesto; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato; ecco il profilo dell'intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta soprarazionale; che salda il sapere al fare, che al posto dell[...]

[...] in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato; ecco il profilo dell'intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta soprarazionale; che salda il sapere al fare, che al posto dell'atteggiamento oracolare e del piglio pontificale pone la verità come ricerca e lavoro comune. Nella « figura » di Machiavelli, forse meglio che in ogni altro suo scritto, Gramsci ha fissato il proprio pensiero, e la propria lontananza non solo da Croce ma dal tipo di cultura che Croce ha incarnato. Non a caso Gramsci colloca dopo Machiavelli la decisiva « separazione » degli intellettuali italiani come non a caso egli insiste sulla corrispondenza simbolica CroceErasmo.
Troppo facile sarebbe nella storia degli intellettuali italiani delineata da Gramsci enumerare con mentalità notarile difficoltà d'ogni sorta; altrettanto facile quanto sottolinearne suggerimenti e giudizi di una singolare penetrazione, che oltrepassano i limiti impostigli dalle fonti a cui era costretto ad attingere. Perché non
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sarebbe difficile rintracciare nella storiografia crociana, o dei crociani (da De Ruggiero a Omodeo), proprio le radici di quelle posizioni di Gramsci che meno soddisfano: da un Erasmo convenzionale allo scarso rilievo dato alla tradizione scientifica dal '500 in poi; dall'atteggiamento di fronte agli illuministi del '700 alla svalutazione di non poche posizioni dell'800. Una serie di ricerche in questa direzione sarebbe certo giovevole, ma non destinata a incidere sensibilmente sulla prospettiva cosí originale in cui l'opera di Gramsci si colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando così largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un'elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i ' mistificatori ' del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti — Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa — e Croce per quanto contribuì a m[...]

[...]loca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando così largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un'elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i ' mistificatori ' del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti — Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa — e Croce per quanto contribuì a mantener vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso, sempre più chiaramente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione dell'hegelismo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabili: un ' sistema ' della ' filosofia dello spirito', una ' natura umana' assoluta. Gramsci, al contrario, non si limiterà a rifiutare l'atto spirituale taumaturgico, e solo retoricamente operoso, per ritrovare il positivo e il concreto processo storico, vivo e reale nel lavoro delle società umane. Anche l'ultimo « aroma speculativo » svanirà: nella critica alla doppia mistificazione del marxismo — sia in direzione idealistica che materialistica — e nella elaborazione di una originale ' concezione del mondo' si consoliderà nitidissimo un integrale umanismo storico: uomini veri, reali, che vivono convivendo in reali rapporti: mobili, in un processo condizionato insieme e libero.
L[...]

[...]eale nel lavoro delle società umane. Anche l'ultimo « aroma speculativo » svanirà: nella critica alla doppia mistificazione del marxismo — sia in direzione idealistica che materialistica — e nella elaborazione di una originale ' concezione del mondo' si consoliderà nitidissimo un integrale umanismo storico: uomini veri, reali, che vivono convivendo in reali rapporti: mobili, in un processo condizionato insieme e libero.
Limpido e preciso qui Gramsci é veramente nostro (39), ossia
(39) Cfr. CROCE, a Quaderni della Critica », 8, 1947, p. 86.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 179
di quanti credono nel compito critico di una cultura volta a liberare gli uomini in terra, per costruire una città giusta: per la sua moralità impietosa; per la sua ironica lucidità; per il suo atteggiamento di lotta in un tempo di latta. Della sua « zuffa » continua con Croce, come dell'essersi consapevolmente calato tutto nella tradizione culturale italiana più viva, non c'é persona seria che possa dubitare. E a caratterizzare la sua distanza da posizioni a cui pure, in origine, era stato vicino, nulla giova quanto la sua ripetuta osservazione sul carattere del[...]

[...]orico dei momenti rivoluzionari; Croce é storico degli istituti e delle ' forme' da conservare, non delle libertà reali da conquistare. La storia eticopolitica potrà anche esser riassunta nel momento del consenso: nella crudeltà della lotta, quando si chiede piuttosto il giustiziere che il giustificatore, quando essere ingiusti é necessario, e bisogna dannarsi e non salvarsi, l'olimpica serenità goethiana é piuttosto irritante che consolante. Gramsci — l'aveva già notato Gobetti (che per questo gli fu vicino) — é invece l'espressione dell'intransigenza morale più aspra nel campo della cultura; l'imperativo più forte alla lotta per la libertà (40), anche a costo di perdere l'anima, a costa di riuscire odiosi alle anime belle: perché l'umanità si serve nella volontà ferma di costruire un mondo comune oltre le scomuniche, perché la verità é cosa comune, con un linguaggio comune. Ed è questa verità comune, non oracolare e non fuori del tempo, ma che nella storia si costruisce e nella storia si consuma, tutta umana, di uomini e per uomini, q[...]

[...]iù forte alla lotta per la libertà (40), anche a costo di perdere l'anima, a costa di riuscire odiosi alle anime belle: perché l'umanità si serve nella volontà ferma di costruire un mondo comune oltre le scomuniche, perché la verità é cosa comune, con un linguaggio comune. Ed è questa verità comune, non oracolare e non fuori del tempo, ma che nella storia si costruisce e nella storia si consuma, tutta umana, di uomini e per uomini, quella che Gramsci cerca e per cui lotta: per questo, oltre le parti, egli è di quanti in Italia intendono lavorare insieme intorno a problemi precisi (alle « piccole cose »), con semplicità, con quanti più uomini é possibile. Sarà indulgenza alla retorica, ma come non concludere con la conclusione di quel
(40) P. GosETTI, La rivoluzione liberale, Torino, 1950, p. 117: « La figura di Lenin gli appariva come una volontà eroica di liberazione: i motivi ideali che costituivano il mito bolscevico... dovevano agire... come l'incitamento a una libera iniziativa operante dal basso ».
180
EUGENIO GARIN
l'ultima[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] F. Alderisio, Riflessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della prassi in Studi gramsciani

Brano: Felice Alderisio
RIFLESSIONI DI A. GRAMSCI SUL CONCETTO DELLA FINALITÀ` NELLA FILOSOFIA DELLA FRASSI
facilmente riconoscibile che tutta la materia raccolta nel volume postumo di Gramsci Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce presenta un andamento asistematico e rapsodico, e spesso ha un carattere meramente filologico, anziché speculativo, per quanto il volume stessa riesca largamente informativo ed illuminante su di un notevole gruppo di questioni anche d'interesse strettamente filosofico e dottrinario. Ed. anche, o specialmente, le riflessioni sporadiche e per lo piú vaghe e indirette ivi contenute sulla finalità, o teleologia, nel mondo naturale e soprattutto nel mondo umano — la quale categoria, per quanto intervenga solo occasionalmente, o per lo piú incons[...]

[...]egoria, per quanto intervenga solo occasionalmente, o per lo piú inconsapevolmente, nelle pagine degli autori piú insigni della filosofia della prassi e del materialismo storico, è necessariamente intrinseca e implicita in tale dottrina, ed è particolarmente valida per distinguerla, anche meglio che non si sia fatto neI passato, dal comune indirizzo del naturalismo positivistico o dello schietto materialismo, — sono state pensate e scritte da Gramsci in forma filologica, immediata e intenzionalmente provvisoria, se non proprio di sfuggita; e ciò forse è avvenuto assai piú in considerazione della gran difficoltà del tema e dell'impegno critico da esso richiesto, che non per il misconoscimento o la svalutazione di esso in ordine alla più compiuta. e soddisfacente concezione della natura e della storia nella filosofia della. prassi. E quindi ovvio e naturale per me che il tema di questa comunicazione rispetti e quasi rispecchi nella sua trattazione l'indole e l'andamento delle riflessioni gramsciane che ad esso si riferiscono, fino a la sc[...]

[...]rse è avvenuto assai piú in considerazione della gran difficoltà del tema e dell'impegno critico da esso richiesto, che non per il misconoscimento o la svalutazione di esso in ordine alla più compiuta. e soddisfacente concezione della natura e della storia nella filosofia della. prassi. E quindi ovvio e naturale per me che il tema di questa comunicazione rispetti e quasi rispecchi nella sua trattazione l'indole e l'andamento delle riflessioni gramsciane che ad esso si riferiscono, fino a la sciare allo stato semplicemente allusivo o alquanto indeterminato quegli
54 I documenti del convegno
spunti di idee, che cosí furono abbozzati nei quaderni del carcere, donde fu tratta la materia per il suddetto volume.
Gramsci ha affermato che la « filosofia della prassi è una concezione nuova, indipendente, originale », e che la sua indipendenza e originalità è quella « di una nuova cultura in incubazione, che si svilupperà con lo svilupparsi dei rapporti sociali »; ha scritto inoltre che « la filosofia della prassi è uguale a Hegel piú Davide Ricardo » 1, in quanto i nuovi canoni metodologici introdotti da Ricardo in economia « hanno avuto un significato d'innovazione filosofica » (cosicché, ad es., il principio della legge di tendenza nell'homo oeconomicus e nel mercato determinato « è stata una scoperta di va[...]

[...]alismo storico per l'efficacia dell'azione economicopolitica, con l'esigenza etica propria del libero volere agente secondo fini suggeriti soprattutto dalla detta condizionalità e da realizzarsi, se necessario, anche con un rovesciamento della prassi; onde il progresso sociale riesca una moralizzazione sociale. Ma il detto volume contiene un'altra riflessione, molto ampia e forse meglio introduttiva alla filosofia della prassi, e con la quale Gramsci vedeva questa filosofia presupporre il passato culturale della Rinascita e della Riforma, la filosofia tedesca e la Rivoluzione francese, :il calvinismo e l'economia classica inglese, il liberalismo laico e in senso lato lo storicismo, che sta alla base di tutta la concezione moderna della vita. E di tutto questo complesso movimento « la filosofia della prassi è il coronamento », quale «riforma intellettuale e morale », e anche quale dialettizzamento del « contrasto tra cultura popolare e alta cultura » : essa è « una filosofia che è anche politica, e una politica che è anche filosofia ». P[...]

[...]. Il laceramento avvenuto per l'hegelismo si è ripetuto per la filosofia della prassi, cioè dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo filosofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica, ha cercato d'incorporare ciò che della filosofia della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir» 1 (di lunga vita per la classe di. cui la cultura idealistica è stata ed è l'esponente).
È facile qui rilevare che Gramsci intuiva nella concezione hegeliana — a parte la cattiva riuscita di essa in una sorta di uomo capovolto, che cammini sulla testa delle idee, e non sulle gambe dei bisogni e delle forze reali — una sintesi di due momenti della vita e del pensiero, e vedeva pure, in corrispondenza o analogia col laceramento avvenute nella scuola hegeliana, anche un laceramento avvenuto nella filosofia. della prassi, spesso degenerata in pregiudizio o superstizione materialistica e deterministica. Onde egli avvertiva che se la filosofia della prassi aveva
1 M. S., pp. 867.
Felice Alderisio 57
ragione di aff[...]

[...]ogni concezione del mondo e della vita) », bisognasse ancora ammettere — per quanto la cosa fosse difficile farla comprendere « praticamente » — che una tale interpretazione storicista delle verità supreme del mondo e della vita « è valida anche per la stessa filosofia della prassi, senza scuotere quei convincimenti che sono necessari per l'azione » , e senza perciò dedurre dallo storicismo « lo scetticismo morale e la depravazione ». Insomma Gramsci qui riassume nella concettosa riflessione già riferita la sua veduta circa la filosofia della prassi: « Ecco perché la proposizione del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà deve essere analizzata ed elaborata con molta finezza e delicatezza » 1.
Altra considerazione di Gramsci che a me sembra pure orientata o convergente verso il nostro tema è quella sul concetto di regolarità e necessità nello sviluppo storico, a cui giunse il « fondatore della filosofia della prassi » (Marx); ma non proprio per « una derivazione dalle scienze naturali », bensí con « una elaborazione di concetti nati nel terreno dell'economia politica, specialmente nella forma e nella metodologia che la scienza economica ricevette da Davide Ricardo », (la cui impostazione delle leggi economiche Gramsci riteneva necessario studiare). Infatti Ricardo « non ha avuto importanza nella fondazione dell[...]

[...]so il nostro tema è quella sul concetto di regolarità e necessità nello sviluppo storico, a cui giunse il « fondatore della filosofia della prassi » (Marx); ma non proprio per « una derivazione dalle scienze naturali », bensí con « una elaborazione di concetti nati nel terreno dell'economia politica, specialmente nella forma e nella metodologia che la scienza economica ricevette da Davide Ricardo », (la cui impostazione delle leggi economiche Gramsci riteneva necessario studiare). Infatti Ricardo « non ha avuto importanza nella fondazione della filosofia della prassi solo per il concetto di " valore " in economia, ma ha avuto un'importanza " filosofica ", ha suggerito un modo di pensare e d'intuire la vita e la storia ». Tale modo di pensare è, detto alla buona, « il metodo del posto che, delta premessa che dà una certa conseguenza »; ed a Gramsci parve che esso « debba essere identificato come uno dei punti di partenza (stimoli intellettuali) delle esperienze filosofiche dei fondatori della filosofia della prassi ». Ma l'economia classica dette luogo a una « critica dell'economia politica », la quale è partita dal concetto della « storicità » del mercato determinato e del suo cosiddetto « automatismo », mentre gli economisti puri concepivano gli elementi o fattori economici come « eterni », « naturali ». « La critica analizza realisticamente i rapporti delle forze che determinano il mercato, ne approfondisce le contraddizioni, valut[...]

[...]e sarà presuntivo finché non avrà dato prova manifesta di vitalità » '.
Non si tratta dunque di un automatismo statico, immodificabile dal giuoco delle forze economiche e dal loro risultato, ma variabile col variare dei rapporti delle forze; ed è un automatismo in cui entra « l'arbitrio » individuale o collettivo (che è l'elemento storicistico per eccellenza). e L'elemento arbitrario », dell'individuo, di consorzi sociali, dello Stato, come Gramsci riconosce — ha assunto « un'importanza che prima non aveva », ed ha « profondamente turbato l'automatismo tradizionale »
mediante interventi arbitrari, « misura diversa, imprevedibili», per quanto esso non faccia sparire del tutto il vecchio « automatismo », il quale può continuare a verificarsi « su scale piú grandi di quelle di prima per i grandi fenomeni economici, mentre i fatti particolari sono impazziti» (o si hanno le crisi economiche, che modificano la vita economica, soprattutto a causa dell'elemento arbitrario). Queste e simili considerazioni ritiene Gramsci di dover fare onde « [...]

[...]
mediante interventi arbitrari, « misura diversa, imprevedibili», per quanto esso non faccia sparire del tutto il vecchio « automatismo », il quale può continuare a verificarsi « su scale piú grandi di quelle di prima per i grandi fenomeni economici, mentre i fatti particolari sono impazziti» (o si hanno le crisi economiche, che modificano la vita economica, soprattutto a causa dell'elemento arbitrario). Queste e simili considerazioni ritiene Gramsci di dover fare onde « prendere le mosse per stabilire ciò che significa regolarità, legge, automatismo nei fatti storici », e senza che con ciò si tratti «di scoprire una legge metafisica di determinismo, e neppure di stabilire una legge generale di causalità. Si tratta solo di rilevare come nello svolgimento storico si costituiscano delle forze relativamente permanenti, che operano con una certa regolarità e automatismo ». In altri termini non si può indicare una vera e propria « legge» dei fatti storici, eterna ed immutabile; ma l'accennato « elemento della filosofia della prassi » (deriva[...]

[...]ire una legge metafisica di determinismo, e neppure di stabilire una legge generale di causalità. Si tratta solo di rilevare come nello svolgimento storico si costituiscano delle forze relativamente permanenti, che operano con una certa regolarità e automatismo ». In altri termini non si può indicare una vera e propria « legge» dei fatti storici, eterna ed immutabile; ma l'accennato « elemento della filosofia della prassi » (derivato, secondo Gramsci, soprattutto dall'impostazione delle leggi economiche fatta dal Ricardo) « è poi, nientemeno, il suo particolare modo di concepire l'immanenza » . Nel senso finora chiarito « il concetto di necessità è strettamente connesso a quello di regolarità e di razionalità » . Non è la necessità nel senso
1 M. S., pp. 99100. A proposito del modo di pensare la vita e la storia conseguentemente alla forma e al metodo dell'economia politica del Ricardo, Gramsci qui annota che bisogna vedere, o meglio studiare, il concetto filosofico di caso e di legge, il concetto di una razionalità e di una provvidenz[...]

[...], soprattutto dall'impostazione delle leggi economiche fatta dal Ricardo) « è poi, nientemeno, il suo particolare modo di concepire l'immanenza » . Nel senso finora chiarito « il concetto di necessità è strettamente connesso a quello di regolarità e di razionalità » . Non è la necessità nel senso
1 M. S., pp. 99100. A proposito del modo di pensare la vita e la storia conseguentemente alla forma e al metodo dell'economia politica del Ricardo, Gramsci qui annota che bisogna vedere, o meglio studiare, il concetto filosofico di caso e di legge, il concetto di una razionalità e di una provvidenza perché —come solitamente è accaduto — si finisce, da un lato, « nel teleologismo trascendentale, se non trascendente », e dall'altro lato — col concetto di caso — « nel materialismo metafisico, che il mondo a caso pone».
Felice Alderisio 59
speculativo astratto, ma « nel senso storico concreto », poiché « esiste necessità quando esiste una premessa efficiente e attiva, la cui consapevolezza negli uomini sia diventata operosa ponendo dei fini conc[...]

[...]plesso di passioni e sentimenti imperiosi, cioè che abbiano la forza di indurre all'azione " a tutti i costi ".
Come si è detto, solo per questa via si pub giungere a una concezione storicistica (e non speculativaastratta) della "razionalità" nella storia » (e quindi anche della cosiddetta irrazionalità — relativa anch'essa, com'è relativa la razionalità — nella storia stessa).
Da quanto precede risulta una innegabile intuizione da parte di Gramsci della presenza del fattore arbitrio, anzi del fattore razionalità, cioè di una legge immanente, nonché di una finalità ed autodeterminazione (se consapevole o inconsapevole, o con entrambe le accezioni, ora non importa indagare) nella storia e nella vita umana. E di una tale intuizione si possono rintracciare altre chiare indicazioni .non solo nell'opera finora citata, ma anche in altre. Ma è anche innegabile che di quel concetto Gramsci ebbe piú il senso e l'avvertimento che non l'intendimento pieno e spiegato, onde egli della questione della razionalità o immanenza della storia umana e della teleologia, come finalità naturale e interna alle cose e come idea umana operante nella storia, dovette limitarsi a dare solo alcune interessanti indicazioni piú che altro +filologiche, che potevano soltanto preludere ad una necessaria trattazione teoretica, ma non soddisfarla, né ancor meno eluderla. Tuttavia quanto egli riuscí a considerare sull'argomento fu segno per lui di un chiaro e fermo
i M. S., p. 101. Qui G. ricorda i conce[...]

[...]ico, « in cui il concetto di Provvidenza è tradotto in termini speculativi, e in cui si dà inizio all'interpretazione idealistica della filosofia vichiana ».
60 1 documenti del convegno
orientamento, e tale orientamento è sempre valido e necessario per la migliore intelligenza e il piú sicuro quanto necessario sviluppo della filosofia della prassi.
Ed ecco ora l'osservazione piú diretta e calzante sul concetto della finalità, lasciataci da Gramsci nei suoi « quaderni », per quanto anch'essa sia rimasta alla fase di una semplice obiezione polemica e di una vaga e generica presa di posizione teoretica. E un'annotazione avente per titolo « La teleologia » 1 e fa parte delle molteplici critiche che Gramsci scrisse contro il Manuale popolare di sociologia marxista di Bukharin. Egli fra l'altro lamentava che tale libro proprio « nella questione della teleologia » apparisse piú vistosamente difettoso, poiché a tale proposito quel saggio popolare presentava « le dottrine filosofiche passate su uno stesso piano di trivialità e banalità, cosí che al lettore pare che tutta la cultura passata sia stata una fantasmagoria di baccanti in delirio... Cosí il Saggio presenta la quistione della teleologia nelle sue manifestazioni piú infantili, mentre dimentica la soluzione data da Kant. Si potrebbe forse d[...]

[...]. Si potrebbe forse dimostrare che nel Saggio c'è molta teleologia inconscia, che riproduce senza saperlo il punto di vista di Kant: per esempio il capitolo sull'Equilibrio tra la natura e la società» 2. Ed a questo proposito, tanto del vieto finalismo teologico o trascendente ed intrinseco (degenerante spesso ad un livello volgare ed infantile), quanto di una teleologia razionale e scientifica (che ben poteva meritare di essere adoperata anche
M.S., pp. 1645.
2 La critica qui fatta da Gramsci a Bukharin è tanto piú seria e degna di meditazione in quanto egli vi denunziava un metodo riprovevole di esporre le dottrine storiche, poiché, a causa di esso, « un lettore serio, che estenda le sue nozioni e approfondisca i suoi studi, crede di essere stato preso in giro, ed estende il suo sospetto a tutto l'insieme del sistema. È facile parere di aver superato una posizione abbassandola, ma si tratta di una pura illusione verbale. Presentare cosí burlescamente le questioni può avere un significato in Voltaire, ma non è Voltaire chiunque voglia, cioè non è grande artista ». Ma sull'argome[...]

[...]ario filosofico (alla voce Fin, cause finale), distinguendo i fini fittizi e innaturali da quelli manifestamente naturali e razionali, per cui iniziò il suo ragionamento con questa ferma battuta: « Il parait qu'il faut être forcené pour nier que les estomacs soient faits pour digérer, les yeux pour voire, les oreilles pour entendre».
Felice Alderisio 61
dalla scienza naturale, e di essere accortamente adottata dalla filosofia della prassi), Gramsci prese posizione a questo punto in una lunga e concettosa nota, valendosi del pensiero di Kant, di Goethe e di Croce. In tale nota Gramsci comincia col citare dalle Xenie del Goethe (nella traduzione del Croce)' l'esortazione satirica contro il finalismo volgare: «Il Teleologo: — II Creatore buono adoriamo del mondo, che, quando — il sughero creò, inventò insieme il tappo » ; poi riporta questa breve ed importante chiosa del Croce stesso: « Contro il finalismo estrinseco, generalmente accolto nel secolo decimottavo, e che il Kant aveva di recente criticato surrogandolo con un piú profondo concetto della finalità »; poi egli si attacca di nuovo al Goethe, scrivendo che questi « altrove e in altra forma » aveva ripetuto « questo[...]

[...]nt è il
più eminente dei moderni filosofi, quello le cui dottrine hanno maggiormente influito sulla mia cultura; la distinzione del soggetto dall'oggetto
e il principio scientifico che ogni cosa esiste e si svolge per ragion sua propria ed intrinseca (che il sughero, a dirla proverbialmente, non nasce per servir di turacciolo alle nostre bottiglie) ebb'io comune col Kant, ed io in seguito applicai molto studio alla sua filosofia». Da ultimo Gramsci trae il succo di tali anteriori motivi di pensiero, e conclude la sua interessantissima nota con questa franca dichiarazione di teleologismo storico: « Nella concezione di missione storica {sottint.: del proletariato moderno) non potrebbe scoprirsi una radice teleologica? E infatti in molti casi essa assume un significato equivoco e mistico. Ma in altri casi ha un significato, che, dopo il concetto kantiano della teleologia, può essere sostenuto e giustificato dalla filosofia della prassi ».
Gramsci dunque, con siffatto suo orientamento filosofico piú avanzato
e decisamente fuori del quad[...]

[...] e conclude la sua interessantissima nota con questa franca dichiarazione di teleologismo storico: « Nella concezione di missione storica {sottint.: del proletariato moderno) non potrebbe scoprirsi una radice teleologica? E infatti in molti casi essa assume un significato equivoco e mistico. Ma in altri casi ha un significato, che, dopo il concetto kantiano della teleologia, può essere sostenuto e giustificato dalla filosofia della prassi ».
Gramsci dunque, con siffatto suo orientamento filosofico piú avanzato
e decisamente fuori del quadro convenuto del materialismo causalistico, cioè meramente naturalistico e meccanico, era rivolto ad una concezione
e spiegazione causalefinalistica della natura ed ancora piú ad un finalismo immanente e volontaristico della prassi storica umana. Ed il suo merito per tale orientamento è stato tanto maggiore in quanto egli non ebbe modo di scoprire, né di poter rendere manifesto alcunché di preciso
e netto in tale senso nella precedente e migliore letteratura del materialismo storico, per quanto si s[...]

[...]e categorie fisse », che « i risultati della scienza moderna si devono spiegare razionalmente », che « è necessario pensare; che atomo, molecola, ecc. non possono essere osservati col microscopio, ma solo col pensiero » 2 — rimase per tre decenni :inutilmente affidato al Bernstein e sottratto ad ogni studio; né della tardiva pubblicazione fattane a Mosca nel 1925 una prima volta (e poi, ivi di nuovo, nel 1927 e nel 1935) poté forse giungere a Gramsci qualcosa di piú della semplice notizia bibliografica. Ma egli avrebbe certamente molto gioito nel leggere alcune cose in quei manoscritti di Engels, e molto si sarebbe giovato delle numerose utili indicazioni storiche e riflessioni teoretiche engelsiane sulla dialettica naturale, sulla finalità nella natura, sui rapporti tra la natura e l'uomo, e sui rapporti in genere tra la scienza, la filosofia, la storia naturale e la storia umana. E cosí egli vi avrebbe certamente rilevato, e con pieno assentimento, questo giudizio storico di Engels sulla scienza naturale e sulla filosofia, da questi f[...]

[...]gel. E poiché questa inversione del rapporto tra l'ideale e il reale, anche nell'immagine della testa stante all'ingiú, anziché eretta sulle spalle e sulle gambe (con la forza delle quali soltanto é possibile portare il proprio corpo e camminare), riguarda — nel concetto
e nell'immagine — direttamente il rapporto tra il fine e la causa, o il fine e il mezzo (o i mezzi), e può quindi bene sviluppare ed arricchire l'esposizione del pensiero di Gramsci in rapporto al tema propostomi, importa che io esamini anche ciò che egli ha scritto sul detto motivo critico della filosofia d'ella prassi contro la concezione del mondo storico ponente l'uomo « con la testa all'ingiú » . Gramsci dunque, in una lunga riflessione filologica su Marx e Hegel j, comincia con l'avvertire che « nello studio dello hegelismo di Marx » occorre ricordare che questi (il quale ebbe « carattere » — e Gramsci fece pur bene a rilevarlo —« eminentemente praticocritico ») aveva partecipato alla vita universitaria di Berlino pochi anni dopo la morte di Hegel (1831), cioè quando doveva essere ancora vivissimo « il ricordo dell'insegnamento orale di Hegel e delle discussioni appassionate » da esso già suscitate, e soprattutto in riferimento alla storia concreta. E in tali discussioni certamente « la concretezza storica del pensiero di Hegel doveva risultare molto piú evidente » di quanto in avvenire possa essere risultato dallo studio degli « scritti sistematici » del filosofo. Cosicché Gramsci espres[...]

[...]te di Hegel (1831), cioè quando doveva essere ancora vivissimo « il ricordo dell'insegnamento orale di Hegel e delle discussioni appassionate » da esso già suscitate, e soprattutto in riferimento alla storia concreta. E in tali discussioni certamente « la concretezza storica del pensiero di Hegel doveva risultare molto piú evidente » di quanto in avvenire possa essere risultato dallo studio degli « scritti sistematici » del filosofo. Cosicché Gramsci espresse l'avviso che « alcune affermazioni » di Marx dovettero essere legate proprio a quella « vivacità conversativa: per es., l'affermazione che Hegel fa camminare gli uomini
1 M. S., pp. 701, in fine al frammento « Marx ed Hegel » .
66 1 documenti del convegno
con la testa in gin » . E qui è importante riferire che lo stesso Gramsci tentò di ricondurre in qualche modo alla fonte hegeliana questa plastica e notissima immagine critica di Marx (e che fu poi anche di Engels), raffigurante un uomo capovolto, che stando con la testa in basso e con le gambe per aria si sforzi tuttavia di camminare (come sanno fare i saltimbanchi), e diretta quindi a riprodurre — con immediato e irresistibile effetto di comicità — la strana posizione che all'uomo sarebbe stata data dalla concezione hegeliana della filosofia della storia e, anzitutto, da quella del diritto e dell'eticità. Difatti Gramsci osservò che l'immagine degli « uomini co[...]

[...]di Marx (e che fu poi anche di Engels), raffigurante un uomo capovolto, che stando con la testa in basso e con le gambe per aria si sforzi tuttavia di camminare (come sanno fare i saltimbanchi), e diretta quindi a riprodurre — con immediato e irresistibile effetto di comicità — la strana posizione che all'uomo sarebbe stata data dalla concezione hegeliana della filosofia della storia e, anzitutto, da quella del diritto e dell'eticità. Difatti Gramsci osservò che l'immagine degli « uomini con la testa in giú » dové derivare dallo stesso Hegel, poiché questi se ne era servito « parlando della Rivoluzione francese » , e scrivendo che « in un certo momento della Rivoluzione francese (quando fu organizzata la nuova struttura statale) pareva che il mondo camminasse sulla testa, o qualcosa di simile ». Egli inoltre (affidandosi ancora ad un suo vago ricordo, per l'impossibilità in cui si trovava di riscontrare le fonti) aggiunse anche che il Croce si sarebbe una volta domandato « di dove i1 Marx abbia preso questa immagine » ; ed in conclusion[...]

[...]do) »; o che piú veramente gli appariva « scaturita da una conversazione tanto è fresca, spontanea, poco " libresca " » . E in una breve nota a questo punto si legge — a proposito sempre della suddetta immagine — che A. Labriola aveva scritto: «Gli è proprio quel codino di Hegel che disse come quegli uomini (della Convenzione) avessero pei primi, dopo Anassagora, tentato di capovolgere la nozione del mondo, poggiando questo su la ragione» ~.
Gramsci dunque aveva colto nel vero ritenendo che proprio Hegel era stato il primo ad usare l'immagine della « testa » dell'uomo (ossia del suo « pensiero ») come reggente e movente sopra di sé il mondo umano; quindi prima che la stessa immagine venisse poi usata ed abusata nelle conversazioni, discussioni e anche polemiche di scuola, tanto a sostegno dell'idealismo storicopolitico di Hegel, quanto per la critica realistica — anzi la satira — di tale idealismo. Da una tale critica perd
1 A. LABRIOLA, Da un secolo all'altro, ed. Dal Pane, p. 43.
Felice Alderisio 67
quell'immagine veniva rovesciat[...]

[...]ingiú e con le gambe per aria, e che in tale posa s'affaticasse non solo a muovere sé stesso mediante la testa e le mani, ma a reggere e a portare eventualmente anche qualche altro peso. Ed è ovvio che se non si sta sui piedi, e non si hanno buone gambe, non si può portare in giro il proprio corpo, né si può portare alcunché sulle proprie spalle o sulla propria testa. Ma oltre la vaga indagine filologica, indicata
piuttosto che eseguita — da Gramsci, sull'origine dell'immagine degli « uomini con la testa all'ingiù », e oltre la riferita citazione del Labriola (risalente esattamente .a una fonte hegeliana 1), nulla è possibile trovare, nella filologia marxistica, che di quella immagine in essa pur tanto ripetuta nel senso critico datole da Marx e da Engels valga a scoprirne l'origine e la fonte vera, e forse anche a precisarne storicamente l'esatto senso e valore, tanto positivo nell'uso fattone dallo Hegel, quanto negativo nell'uso a controsenso e a distorsione critica, a cui ben presto quell'immagine della testa (resa, da eretta, rove[...]

[...]al dualismo di esistenza e coscienza, e considera questa come un mero riflesso di quella, e non come il coronamento e l'autoriflessione della stessa realtà o esistenza nel suo sapersi ed attuarsi, ossia la finalità ultima, che è la finalità stessa del reale e ad esso immanente.
Ritengo cosí di aver messo in opportuna luce, e riportato all'attualità della presente considerazione e ricerca filosofica un importante filone di pensiero di Antonio Gramsci, e ripreso insieme una esigenza teoretica interna alla filosofia della prassi ed al suo metodo dialettico nella sua concezione della natura e della storia umana e nella sua azione conseguente, aprendo infine una vasta ed interessante prospettiva di lavoro.
6.



da Danilo Dolci, Pagine di un inchiesta a palermo, introduzione di Ernesto De Martino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]3,6 no
9 P.M. 1 3,5 3,2 3,4 no
10 F.S. 1 3,2 4,8 3,8 no
11 C.G. si 1 2,2 4,0 2,2 no
12 M.V. 1 2,1 3,3 2,8 no
13 F.G. 1 3,0 3,0 2,8 no
14 F.C. si 1 2,8 3,2 2,3 no
15 S.V. sì 1 3,0 3,0 3,5 no
16 P.A. 1 3,0 3,0 3,5 no
17 N.G. 1 2,5 6,0 3,2 no
18 P.A. sì 1 3,0 2,1 2,1 no
19 S.G. 1 2,5 3,0 3,0 no
20 R.P. 1 2,5 3,0 2,3 no
21 S.S. 1 3,5 3,5 2,5 no
22 P.F. 1 4,5 3,5 1,8 no
23 M.F. 1 5,0 3,2 3,2 no
24 V.C. 1 2,0 1,7 2,0 no
25 M.S. sì 1 7,5 2,2 2,2 no
26 P.I. 2 3,0 4,0 2,6 no
2,0 3,0 2,5
27 L.G. 1 3,5 2,5 3,2 no
28 M.F. 1 3,5 2,5 3,2 no
29 C.I. 1 3,0 5,0 5,0 no
30 F.P. 1 2,6 3,2 3,5 no
31 F.A. 1 3,0 3,0 2,6 no
32 M.A. 1 3,5 3,5 3,8 no
33 P.G. 1 3,5 2,7 3,0 no
34 F.C. 1 4,0 2,7 3,0 no
35 S.D. 1 4,0 2,5 3,0 no
36 C.G. 2 5,0 2,5 2,5 no
3,0 2,5 2,5 no
37 L.N. 1 2,5 3,0 3,5 no
38 D.P. 1 3,0 3,5 3,8 no
39 P.A. 1 2,2 2,2 2,5 .. no
40 P.G. 1 4,5 4,5 3,5 no,
v v W.C. Acqua
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4 4 no no
2 1 no no
2 2 no no
8 2% no no
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[...] subito ad essere responsabile di una cellula di strada. Poi di una sezione. Leggevo con piacere, perché oltre ad apprendere la dottrina del partito, soddisfacevo una mia esigenza di studio che avevo avuto sempre. Organizzavo delle letture in collettivo, con degli operai: abbiamo incominciato col « Materialismo storico e dialettico » di Marx. Ci sforzavamo a capire, mesi e mesi. La storia del partito bolscevico, « La città del socialismo » di Gramsci. Da questo libro ho tratto un insegnamento che mi ha servito: la società é come un treno di tanti vagoni, alla testa del quale c'è una locomotiva di tipo moderno, mentre gli altri vagoni rappresentano le fasi della società passata, con tutte le sue strutture, con tutti i suoi difetti. Il viaggio viene
DANILO DOLCI
difficile perché questi vagoni sono scarcassati; ogni tanto cade una vite, cade uno sportello. Per cui é necessario, per aggiustarli, la collabora zione di tutti quelli che sono sul treno. E quando tutto é messo a punto, si viaggia speditamente verso la città del socialismo. M'e[...]

[...] un compagno qualificato il quale mi propose di andare a fare il fattorino alla Federbraccianti. Ed io accettai. In questo periodo la direzione del partito aveva indetto un corso politico per corrispondenza, al quale io partecipai. So io quale sforzo facevo e quale impegno mettevo nello studio, perché avevo coscienza che più mi sarei educato politicamente, piú avrei dato al partito. E ` in questo studio, ricordavo ancora una volta un detto di Gramsci il quale in un suo libro dice: Istruitevi, perché la rivoluzione é rivoluzione di uomini. La società ha bisogno di uomini nuovi, consapevoli —. Studiavo alla luce di un lumina, per risparmiare Ila luce. E un giorno mi venne il dubbio che non sarei stato buono a niente, e che il mio studio non avrebbe approdato a niente, anche perché, per lo studio che facevo, incominciavo ad avere una forma di esaurimento nervosa. Scrissi alla direzione della scuola, a Roma al Partito, per chiedere un consiglio se valesse la pena di continuare, e avevo anche il dubbio che la rivoluzione non sarebbe venuta [...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine M.S., nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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