Brano: [...]liade (dr. Trattato di storia delle religioni, tr. it. 1954, p. 430), alle nozioni di « azione sacra », di « gesto significativo », di a avvenimento primordiale ». « È mitico non soltanto tutto quel che si racconta circa eventi svolti e personaggi vissuti in illo tempore, ma anche tutto ciò che si trova in relazione diretta o indiretta con tali eventi e con. personaggi primordiali ». (op. cit., p. 430). Cose sostanzialmente non diverse ci dicono LévyBrühl nella sua Mythologie primitive (1935), Kerény in tutta la sua opera dedicata allo studio della mitologia, il Preuss nell'opera Der religiöse Gehalt der Mythen (1933), il Van der Leeuw nella sua fenome nologia della religione intitolata La religion dans sono essence et ses manifestations (1948).
I miti sono per i primitivi — precisa LévyBrühl — storie realmente
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accadute, storie che appartengono a un piano di verità. Ma la loro verità non è quella degli avvenimenti quotidiani. Noi chiamiamo vera la storia di Napoleone e di Cesare, e non vera quella di Pantagruel o di Don Chisciotte. Non è di questa verità appartenente alla storia o alla cronaca che parlano i primitivi. I loro miti sono storie effettivamente accadute, ma accadute in uno spazio, in un tempo, in un mondo distinti dallo spazio, dal tempo e dal mondo di oggi. I miti sono cioè la storia sacra delle società « primitive ». « Se così è, per essi non s[...]
[...]ato : non si ha neanche l'idea di un dubbio del genere. Si tratta dunque di storie vere, rivelazioni relative ad un periodo extratemporale, pieno di esseri ed avvenimenti che appartengono alla sopranatura, ma la natura attuale è ad essi solidale e ne è inseparabile. E precisamente questi rapporti che essi contengono ne attestano il carattere sacro e garantiscono loro un'autorità incomparabile: la qual cosa può parimenti dirsi dei libri sacri ». (LévyBrühl, Carnets, tr. it. 1952, p. 114, 115).
Ci potremmo chiedere — in via preliminare se è legittimo parlare di mito come di un mondo unitario, se cioè esiste una realtà storicoculturale cui si possa, senza essere tacciati di arbitrio o di genericità, dare il name di mito. L'esistenza di questa realtà ci è comprovata dalle mitologie presenti in tutte le culture e in tutte le epoche, ai livelli più diversi di civiltà. Gli studi di Cassirer, Lévy Brühi, Kerény, Eliade, Jung, Gusdorf — per non citare che alcuni studiosi recenti — ci autorizzano a parlare di un « pensiero mitico » o di una « coscienza mitica », come ha fatto, ad esempio, Ernst Cassirer nel secondo volume della sua Filosofia delle forme simboliche. L'esistenza di una forma simbolica, chiamata mito e caratterizzata da una sua particolare struttura, che è possibile descrivere come un mondo unitario, non significa che i contenuti della coscienza mitica siano sempre i medesimi, né che sia possibile cristallizzare il significato e la funzione del mito prescindendo dalle condi[...]
[...]a coscienza, immagini che si coordinano fra loro fino a diventare eventi
e significati. Noi sappiamo bene che i miti australiani sono diversi dai miti greci, dai miti medioevali, dai miti moderni. Ma è pur sempre possibile riconoscere a tutti i livelli culturali la presenza di una funzione miticofabulatrice che di continuo genera prodotti diversi per contenuto, pur conservando costante l'universalità della sua funzione. Dalle ricerche di Lucien LévyBrühl sulla mentalità primitiva, che rimangono fino ad oggi le più importanti in argomento, nasce un problema analogo. Ciò che lo studioso francese ha chiamato partecipazione, ossia i1 complesso dei rapporti magicomitici, o « mistici » come li definisce il LévyBrühl, che collegano individuo e gruppo, gruppo e totem, gruppo
e antenati, gruppo e suolo, non sono una prerogativa esclusiva dei popoli primitivi. Il mondo della partecipazione che il primo LévyBrühl, ad esempio quello delle Fonctions mentales dans les sociétés inférieures del 1910, qualificava come un mondo « prelogico », nettamente distinto dal nostro universo dominato dalla logica e dall'uso dei concetti, ci appare negli interessanti Carnets, scritti nel 19389, e pubblicati postumi, come una esperienza universale e non certo limitata alle sole società inferiori. Ciò non significa che le credenze magiche, le rappresentazioni
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mitiche, le varie pratiche rituali in uso presso i primitivi continuino ad avere valore per noi. Noi non crediamo che le cosiddette e appart[...]
[...]cipazione, la sua funzione antropologica di creare fondamenti e radici, significati e valori. La partecipazione espressa e obiettivata mette in essere una specie di statuto metafisico, più o meno esplicito, più o meno consapevole, ma pur sempre esistente e necessario per vivere e orientarsi in una realtà che ci rifiutiamo di riconoscere come un regno assurdo e angoscioso nel quale saremmo scagliati per i decreti di un dio ostile e straniero.
Il LévyBrühi non ha voluto, se non con timidi cenni, sviluppare il problema della partecipazione fuori dall'ambito della mentalità primitiva. Questa scrupolo fa onore alla sua probità scientifica. Negli stessi Carnets il LévyBrühl si avventura molto raramente e con estrema cautela nella fenomenologia moderna della partecipazione. Egli afferma soltanto che l'esperienza della partecipazione esercita un suo compito nella religione, nella metafisica, nell'arte e anche nella concezione complessiva della natura (cfr. op. cit., p. 260), ma lascia intravedere che la partecipazione, da lui studiata nel mondo delle culture primitive, costituisce il nucleo emozionale di un'esperienza sui generis e index sui assai diversa dall'esperienza fondata sull'uso dei concetti, sulla regolarità del
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le sequenze fenom[...]
[...]ne, nella metafisica, nell'arte e anche nella concezione complessiva della natura (cfr. op. cit., p. 260), ma lascia intravedere che la partecipazione, da lui studiata nel mondo delle culture primitive, costituisce il nucleo emozionale di un'esperienza sui generis e index sui assai diversa dall'esperienza fondata sull'uso dei concetti, sulla regolarità del
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le sequenze fenomeniche e sulla fissità delle forme. Questa esperienza LévyBrühl l'ha chiamata « mistica », sebbene la parola « mistico » non andasse troppo a genio nemmeno a lui. Ma a chi gli suggeriva di sopprimere la s di mistico egli, come ci informa Maurice Leenhardt nella sua Prefazione ai Carnets, «opponeva il suo fine sorriso». Con quel termine LévyBrühl alludeva, secondo il Leenhardt, a « forze impercettibili ma reali, e non si rendeva conto che il vocabolo forza già di per sé é una parola che circoscrive un avvenimento a un dato momento, cioè già un mito » (p. 24). « In realtà » — conclude giustamente il Leenhardt — « mistico era allora, ed é tutt'ora, il termine rifugio in cui si racchiude tutto ciò che, nel comportamento umano, sfugge alla chiara analisi. Ha fatto fortuna oggi, anche se gli etnologi l'hanno abbandonato per usarlo, con cognizione di causa, solo quando si è in presenza di misticismo e di assorbimento nella divinità... [...]
[...]ircoscrive un avvenimento a un dato momento, cioè già un mito » (p. 24). « In realtà » — conclude giustamente il Leenhardt — « mistico era allora, ed é tutt'ora, il termine rifugio in cui si racchiude tutto ciò che, nel comportamento umano, sfugge alla chiara analisi. Ha fatto fortuna oggi, anche se gli etnologi l'hanno abbandonato per usarlo, con cognizione di causa, solo quando si è in presenza di misticismo e di assorbimento nella divinità... LévyBrühl se ne è servito per qualificare la frangia affettiva che contorna ogni esperienza umana e può financo assorbirla » (p. 24). Più adatti sarebbero i termini « mitico » e talvolta « magico » per indicare in modo meno ambiguo la natura della partecipazione. Ma ciò che a noi importa soprattutto porre in rilievo, mettendo a frutto le ricerche del LévyBrühl, é l'universalità storica della partecipazione e la costante presenza in essa di un substrato mitico che ne costituisce il fondamento e quasi il principio di chiarificazione. Non si cerchi in una ricerca complessa e difficile come questa un insieme di definizioni precise e rigide. Lo stesso LévyBrühl, dopo una lunga vita tutta dedicata allo studio di tali problemi, confessava di trovarsi di fronte a una serie di difficoltà non risolte. Egli accusava la nostra terminologia filosofica e psicologica di essere crudamente inadeguata ad esprimere i rapporti complessi che esistono tra
mito », « partecipazione », « categoria affettiva del soprannaturale », « esperienza mistica ». L'esperienza mistica é infatti inseparabile dalle credenze e dai miti, ed anche il sentimento e la rappresentazione del soprannaturale si configura ed esprime nei miti. L'ultimo LévyBrühl si proponeva dunque uno st[...]
[...]ie di difficoltà non risolte. Egli accusava la nostra terminologia filosofica e psicologica di essere crudamente inadeguata ad esprimere i rapporti complessi che esistono tra
mito », « partecipazione », « categoria affettiva del soprannaturale », « esperienza mistica ». L'esperienza mistica é infatti inseparabile dalle credenze e dai miti, ed anche il sentimento e la rappresentazione del soprannaturale si configura ed esprime nei miti. L'ultimo LévyBrühl si proponeva dunque uno studio psicologico e sociologico della partecipazione, e questo studio si sarebbe trasformato in una nuova ricerca approfondita intorno al significato e al valore del mito.
Potremmo dire che la ragione distingue e articola, laddove il mito, le cui categorie sono fortemente impregnate di emozionalità, unifica e
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fonde in una partecipazione che rende l'uomo solidale al destino della natura e della società. Le categorie razionali distinguono, o tendono almeno a distinguere, l'io dal mondo, l'individuo dalla società il mondo vegetale dal mondo anima[...]
[...] pensiero mitico i primi cercano la continuità di mito e ragione, i secondi la discontinuità. James Frazer, Edward B. Tylor, Emile Durkheim, ad esempio, vogliono appunto rintracciare nel pensiero magicomitico dei primitivi i rudimenti, ma anche i fondamenti, del nostro pensiero razionale e scientifico. Essi insistono sulla « omogeneità » della mente umana pur nella varietà delle forme fenomenologiche in cui la mente storicamente si obiettiva. Il LévyBrühl, Mircea Eliade, Rudolf Otto, Walter Otto, Carlo Kerény e molti altri, sono sensibili soprattutto all'elemento di eterogeneità e discontinuità esistente tra esperienza « primitiva », « sacrale », « mistica », da un lato, ed esperienza razionale, profana, logicoconcettuale dall'altro. Il problema di una fenomenologia della ragione si allarga qui nel problema più vasto, e in certo senso più drammatico, di una fenomenologia dell'esperienza. Esisterebbero cioè non solo vari tipi di ragionamento, ma addirittura vari modi di essere nel mondo. Da quest'ultimo punto di vista la ragione stessa e l[...]
[...]na, come argomenti per una polemica a sfondo irrazionalisticodecadente contro l'empirismo e l'intellettualismo del mondo contemporaneo. Non seguiremo certo Eliade lungo questa strada che porta a contrapporre artificiosamente i valori religiosi del mito alle insidie presunte o reali dell'umanismo e dello storicismo moderni. Ma occorre riconoscere che alla comprensione del mito hanno recato un forte contributo proprio quegli studiosi moderni come LévyBrühl, Walter Otto, Eliade, Kerény, che hanno cercato di avvicinarsi alle creazioni culturali del mito dall'interno, simpaticamente invece che polemicamente. Comprendere il mito é problema analogo a quello di capire che cosa sia la musica, la poesia. Kerény ha ragione quando afferma che le grandi creazioni mitologiche costituiscono un fenomeno paragonabile, per profondità, durata, e universalità, soltanto alla natura stessa. Allo stesso modo che poco o nulla comprende della musica o dell'arte chi non si pone in un contatto vivo e diretto con l'opera, così poco o nulla intende della mitologia c[...]
[...] cui scaturisce il mito nelle sue forme più arcaiche é, per così dire, di tipo esistenziale. Il mito è una risposta culturale che emerge da una crisi antropologica, anche se la fenomenologia di queste risposte é di una ricchezza sconcertante e fa perfino dubitare della possibilità di conferire al mito un senso unitario. Ritroviamo, come elemento centrale del pensiero mitico, una ricerca di significati, di valori, di partecipazioni, nel senso che LévyBrühl ha dato a quest'ultima parola. La coscienza mitica vuole anche darsi ragione del mondo, capire i suoi fenomeni, ma più che spiegare concettualmente gli eventi della natura e della società, essa cerca di giustificare il significato metafisico del mondo, il suo esser così (Sosein), la presenza attuale dell'esistere ricollegando la struttura storica del reale e dell'uomo stesso a un suo dover essere, a strutture paradigmatiche e originarie dalle quali si sprigiona senso e luce. La mitologia, ogni mitologia, anche nelle sue metamorfosi più recenti e non chiaramente individuate e consapevoli,[...]
[...]rso a ciò che Bergson avrebbe chiamato a funzione fabulatrice u, introducendo negli aspetti più ingenui della coscienza mitica potenze ausiliatrici e soteriologiche, eroi civilizzatori, forze sopranna turali, se avesse senso parlare di soprannaturale per un tipo d'uomo che ancora non opera le nostre nette distinzioni categoriali tra natura e soprannaturale. Possiamo, in senso lato, chiamare mondo della partecipazione, usando il linguaggio caro a LévyBrühl, il mondo delle connessioni vitali in cui si muove l'uomo primitivo e in cui torna a muoversi mutatis mutandis l'uomo categoriale quando riemerge in lui, in forme storicamente trasfigurate, l'esigenza del mito. La giustificazione mitica, cioè, non è pura dilettosa favola o libero e arbitrario proiettarsi della fantasia non governata da alcuna logica, e non è neppure prefigurazione immaginosa e provvisoria di una spiegazione razionale. Essa contiene tanto l'elemento fabulatore quanto l'elemento logico, ma quell'evento caratteristico che é il mito non viene interpretato secondo la scala or[...]